Abbiamo deciso di
non stare alla finestra dopo esserci imbattuti
casualmente in una affermazione del grande biochimico Erwin Chargaff:
Prima o poi
bisogna porre dei limiti alla scienza, in nome della
diversità umana. Non si può cianciare sulla
brevettabilità dei semi di
soia e poi permettere che si faccia di tutto e di più con gli
esseri
umani e in nome della libertà di cura o della libertà
dell'avere figli
(mi diceva ieri sera un amico - che voterà SI' per motivazioni
economicistiche - che i più richiesti nelle banche del seme sono
nordici, praticamente biondi e occhi azzurri).
CI ASTERREMO pertanto dal votare (anche se avremmo preferito votare NO).
Questa posizione riguarda esclusivamente chi scrive - webm@ster - e non
coinvolge in alcun modo gli altri collaboratori di questo sito.
Grazie e tornate a trovarci.
Si dice spesso che il progresso - sociale, economico e persino culturale - è messo in moto dallo sviluppo tecnologico. Circola anche una spiegazione alternativa, vale a dire che esigenze, bisogni e desideri, nati per inspiegabili motivi, generano le tecniche necessarie per soddisfarli. In altre parole: o "dove c'è il mezzo c'è la volontà", oppure "dove c'è la volontà c'è il mezzo".
La produzione semi-industriale di bambini sembra appartenere alla prima
categoria: l'esigenza era senza dubbio meno impellente del desiderio
che gli scienziati avevano di mettere alla prova le loro nuove
tecnologie. I bambini generati in provetta sono qualcosa di più
di un semplice sottoprodotto, e hanno contribuito a finanziare,
attraverso i loro "genitori" e altri fondi pubblici, la ricerca sui
feti. Un i termine come "tecnologia riproduttiva" è in
realtà una definizione di comodo, che comprende diverse
attività, alcune delle i quali probabilmente non molto
edificanti. i Comprende infatti ogni genere di ricerca sulla
fertilità, la patologia fetale, il trapianto di embrioni e
così via. Per come la vedo io, include anche casi strazianti
come quello riferito sul numero del 5 giugno 1986 della rivista Nature
a proposito di una donna schizofrenica incinta che era stata persuasa o
costretta ad acconsentire a un aborto per permettere ai medici di
esaminare a fondo il feto. Comunque, non è questa l'impostazione
che ho scelto per il presente articolo.
Ciò che intendo fare è esprimere le mie personali obiezioni nei confronti di vari tipi di ricerca oggi condotti nel campo della riproduzione umana. Lo faccio come un vecchio biochimico i cui specifici interessi (la chimica cellulare) toccano da vicino il tema delle mie presenti obiezioni. Ma, ancor più, lo faccio come un uomo che vuole protestare contro la sempre più grave decadenza di una società che viene ingannata da fantastiche prospettive, al solo scopo di tenere nascoste azioni riprorevoli. Credo sia giunto il momento di sostituire la massima comunemente accettata dalla nostra civiltà scientifica, "è il fine che santifica i mezzi", con quest'altra: "Sono i mezzi che demonizzano il fine".
La chimica delle obiezioni
Voglio sottolineare che le mie non sono le parole di un esperto.
Abbiamo dato troppo valore alla nostra ammirazione per la competenza
specifica e professionale in una data materia. I giudici, dopo tutto,
non sono degli esperti in furti e scassi. La competenza professionale
spesso paralizza e annulla ogni tipo di common sense. Serve per sapere
come si fanno certe cose, ma non a stabilire se queste cose sono
auspicabili o discutibili. In altre parole, è assolutamente
cieca di fronte a simili distinzioni.
Quando, grazie a una qualsiasi delle nuove tecnologie riproduttive ora
in corso di sperimentazione, si riuscirà a generare un bambino,
dovremo dire che l'operazione ha avuto successo. Ma non è forse
una conclusione troppo affrettata? Il destino di un essere umano
comincia con il concepimento, ma non termina con la sua nascita. Quanti
anni dovranno passare - dieci, quindici, venti? - prima di poter
annunciare di avere avuto successo? E' davvero insensato pensare che,
nel caso di un concepimento normale, entrano in gioco dei fattori che
non possono essere riprodotti nell'ambiente sintetico in cui avviene la
fecondazione in vitro? (E non sto pensando a influenze mistiche ,
bensì a concreti processi chimici). Quando si manipolano
meccanismi che la natura, nella sua saggezza, ha elaborato nel corso di
milioni di anni, bisogna essere consapevoli del pericolo che le nostre
scorciatoie Possono costarci molto care.
Nel concepimento normale l'ovulo femminile viene inondato da un enorme
numero di spermatozoi. La fecondazione può allora sembrare un
fatto puramente casuale o, in alternativa, può essere
considerata come un processo in cui l'ovulo seleziona lo spermatozoo
con il quale congiungersi. Non si tratta di un cavillo metafisico,
anche se, al momento, sembra essere un problema al quale non si
può dare ancora una risposta precisa: siamo davvero sicuri che
la sequenza nucleica del Dna contenuta in due diversi spermatozoi sia
assolutamente identica, anche se entrambi sono provvisti di tutti i
geni necessari per la definizione della specie?
A una gran parte del Dna umano non è ancora stata assegnata una
precisa funzione genetica. I biologi parlano del "genoma umano" e di un
"Dna privo di funzione e significato"; ma forse sono loro a fare
affermazioni prive di senso.
E' piuttosto probabile che queste porzioni di Dna siano
responsabili di funzioni che non sono ancora state individuate. Non
sappiamo che cosa sia la vita, ma ciononostante la manipoliamo come se
fosse una soluzione salina di composti inorganici. Quando aggiungiamo
del cloruro di sodio a una soluzione di nitrato d'argento, riteniamo
giustamente che non ci siano differenze fra gli atomi d'argento che si
sono disciolti e quelli rimasti nella soluzione. Ma quando facciamo una
fecondazione artificiale, non cacciamo forse le nostre maldestre dita
nella rete incredibilmente fine e complessa del destino umano? Facciamo
nascere un bambino che altrimenti non sarebbe forse mai nato.
Il termine "pre-embrione" mi sembra del tutto ingiustificato. Temo che
serva soltanto da alibi. La vita dell'embrione comincia con la
fecondazione dell'ovulo, nel quale si trovano tutte le
potenzialità dell'organismo. Il tentativo di determinare con
mezzi scientifici il momento in cui fa la sua comparsa quella che da
tempo immemore è stata chiamata l'anima umana è
ovviamente ridicolo. Stabilire una data serve soltanto a permettere
l'esecuzione di esperimenti che un normale rispetto per la vita umana
avrebbe dichiarato illegali. Esperimenti che fino a pochi anni fa
sarebbero stati, di fatto, nemmeno immaginabili.
Embrioni congelati
Oggi esistono tecniche per congelare e conservare gli embrioni. Si
è dimostrato (anche se non so con quale percentuale) che questi
embrioni possono essere trapiantati, dopo essere stati scongelati,
nell'utero della "madre", vale a dire la stessa donatrice dell'ovulo,
oppure nell'utero di un'altra donna, la "madre sostitutiva".
Poiché con questa tecnica sono nati bambini sani, la si
considera un successo. Ma il rapido congelamento dei tessuti e la loro
conservazione a temperature bassissime non sono sempre dei procedimenti
innocui per quanto riguarda le macromolecole, come ad esempio gli acidi
nucleici. La concentrazione elettrolitica in continuo cambiamento
durante la fase di congelamento e la trasformazione dei liquidi interni
in ghiaccio possono causare effetti negativi.
Sebbene il valore di un neonato - a differenza di quello di una
minestra - non si basi sulla sua, per così dire,
"commestibilità", ossia sulla possibilità di essere usato
e consumato, ovunque si continuano a fare tentativi per dimostrare che
ciò che va bene per le verdure va bene anche per gli esseri
umani. La vita dell'uomo è, tuttavia, un esperimento
irripetibile: nessun controllo, nessun placebo. Sebbene le aspettative
che ha davanti a sé un allevatore di uomini, e che gli impongono
certi limiti, dovrebbero essere essere più alte di quelle che
frenano un allevatore di animali, non ci sarà nessuno a fare i
conti quando sarà giunto il momento. L'allevamento umano
è, una professione così nuova che la società non
ha ancora imparato come difendere se stessa.
L'etica è un ramo della filosofia, e dovrebbe essere lasciata al
suo posto. Fino a poco tempo fa nessuno si sarebbe aspettato che fosse
applicabile alla pura ricerca scientifica. L'etica della chimica o
della geologia non sembrerebbero avere maggiore significato dell'etica
degli scacchi o del violino. E "non etico" non equivale a "criminale".
Quando un'industria scarica prodotti inquinanti in un fiume agisce non
in modo "non etico" ma semplicemente "criminale". Soltanto
recentemente, parallelamente all'affermarsi della nuova professione
dell'etico, alcune applicazioni pratiche della ricerca scientifica
hanno incominciato a essere classificate come etiche o non etiche:
classificazione che dimostra l'inadeguatezza del nostro codice
criminale.
Così, in un recente numero della rivista Nature (19 settembre
1986) è stato pubblicato un articolo intitolato: "Proposte di
principi etici per la tecnologia riproduttiva". Questo articolo,
scritto da Gina Kolata, riassume una serie di raccomandazioni adottate
dalla American Fertility Society. Un manuale di giardinaggio scritto
dal peggior caprone non avrebbe potuto essere più permissivo.
Si distinguono quattro categorie: 1) eticamente accettabile; 2) adatto
per esperimenti clinici; 3) adatto per ricerche scientifiche; 4)
eticamente inaccettabile.
Le prime tre categorie includono praticamente tutto ciò che
viene fatto al momento. Eticamente inaccettabili sono il brevetto di
procedimenti medici e l'utilizzo di madri "sostitutive" per ragioni non
mediche.
Quanto possano essere disinteressati gli scienziati, con la testa e gli
occhi rivolti all'empireo della conoscenza e della verità, si
può capire dal fatto che nessuno sembra aver considerato che in
tutte queste varie operazioni notevoli somme di denaro passano di mano
in mano, cosa che spesso finisce per far scomparire ogni senso etico.
La confusione in cui cade la società quando deve esprimere un
giudizio su alcuni risultati della ricerca scientifica contemporanea
non mi sorprende. C'è stata abitudine, in questo secolo, di
considerare la scienza come la più elevata e pura impresa
dell'uomo. La scienza era l'incessante ricerca per scoprire i
veri segreti della natura, una ricerca che ci avrebbe aiutato a capire
il funzionamento del nostro pianeta.
Questa fiduciosa speranza è scomparsa, io credo, con la fusione
atomica, la manipolazione del nucleo cellulare, la capacità di
manipolare l'eredità genetica. E' cominciata una nuova era: la
scienza è ora l'arte della manipolazione, modificazione,
sostituzione e ridefinizione delle forze della natura. Ciò non
vale, naturalmente, per tutte le discipline scientifiche, ma vale senza
dubbio per quella che sto discutendo in questo articolo, una forma di
biologia applicata che rischia di farci compiere brutalità che
la società, quando aprirà gli occhi, forse non
sarà facilmente pronta a tollerare.
Se i controlli arrivano tardi
A questo punto devo fare una precisazione. Con le mie parole non
intendo affatto stabilire una distinzione tra una società
incolpevole e una scienza malvagia. La scienza, ovviamente, è un
prodotto della società e non potrebbe esistere senza il suo
sostegno. E' infatti proprio in virtù di questo sostegno che la
società, per mezzo dei suoi rappresentanti, può
esercitare forme di controllo. Ma di solito i controlli arrivano troppo
tardi per la gente comune. Per tutti noi, cresciuti in un ambiente che
garantisce la libertà di pensiero ed espressione, sembra
impensabile che ci possano essere eccessi nella ricerca scientifica. La
tecnologia riproduttiva, nella forma in cui mi viene descritta, sembra
rappresentare un esempio di questo genere.
Non sono in grado di fare una discussione filosofica su ciò che
si intende per destino umano; una discussione che dovrebbe affrontare
inoltre la questione se, e fino a che punto, le "arti curative" del
passato fossero anch'esse una lotta contro il destino. Mi sembra che la
stessa inefficacia di quelle arti faccia automaticamente sparire il
problema. I confini di ciò che è curabile sono stati
estesi lentamente e con fatica. La prevenzione sanitaria pubblica e
l'uso degli antibiotici ha per- messo di sconfiggere molti virus, ma il
corpo umano è rimasto il veicolo del proprio destino. Il destino
doveva essere accettato, proprio come si accettava, e si accetta
ancora, il decreto stabilito da quella inesorabile Signora che si
chiama morte. Ma se la medicina continua a seguire la strada sulla
quale sembra essersi ora incamminata, ben presto sentiremo dire che la
sua grande e più autentica missione è la sconfitta della
morte, una prospettiva che persino il più convinto degli
ottimisti esiterebbe a concedere ad altri fuorché a se stesso.
Se una delle numerose Accademie delle Scienze che in passato
organizzavano competizioni a premi per il miglior saggio su una
determinata questione fosse stata abbastanza stravagante da proporre il
tema "Come rendere innecessari i rapporti sessuali senza pregiudicare
la riproduzione umana?", le attuali tecniche innovatrici di
riproduzione sarebbero state certamente degne di vincere la medaglia
d'oro. Che una domanda del genere non fosse a quel tempo neanche
pensabile non dipende soltanto dallo stato ancora arretrato della
ricerca scientifica, ma anche dal fatto che gli scienziati di allora
erano meno intriganti di quelli di oggi, e preferivano evitare
l'inevitabile.
Non so dire se il loro senso etico fosse più sviluppato di
quello attuale; ma lo era certamente il loro senso estetico: si
tenevano lontani da ciò che era indecente e mostruoso. Non posso
nemmeno immaginare che un von Baer o un Virchow avrebbero mai accettato
la produzione di embrioni umani al solo scopo di distruggerli.
Se la decisione spettasse a me, proibirei senz'altro la produzione di
embrioni umani a scopo d'esperimento. La curiosità scientifica
non è un impulso al quale non si debbano mettere limiti,
benché non neghi che, ad esempio, il problema della
differenziazione cellulare durante la crescita embrionale sia di grande
interesse. Imporre un limite alle proprie domande è un
sacrificio che anche uno scienziato deve essere pronto a fare in nome
della dignità umana. Ci sono ancora così tante cose che
non sappiamo: cominciamo da quelle.
Ritengo si debba condannare anche l'uso delle madri sostitutive,
soprattutto nel caso sia fatto per guadagno. E' vero che il capitolo 30
della Genesi offre una vivace descrizione di una situazione alquanto
confusa; ma lasceremo a quell'antico popolo del deserto il compito di
mettersi a posto con la propria coscienza, sebbene si debba osservare
che questo celebre racconto descrive in realtà una forma di
adozione impiegata in una comunità primitiva poligamica.
Gli straordinari progressi che ha compiuto la scienza (soprattutto
nelle sue applicazioni pratiche) nell'era moderna sono il risultato di
un'infinità di piccoli passi in avanti, ognuno dei quali appare
alla gente innocuo o persino vantaggioso. Aiutare qualche coppia che
altrimenti sarebbe condannata a restare senza figli o a ricorrere
all'adozione può sembrare una cosa giusta e meritevole agli
occhi del medico. Ma stiamo già assistendo a una forma
incipiente di allevamento umano, con la creazione di fattorie degli
embrioni.
E chi potrà impedire la produzione di massa e lo sfruttamento
industriale degli embrioni umani, la nascita di un nuovo settore della
biotecnologia? E chi potrà negare l'interesse scientifico
rappresentato dalla produzione di chimere, dallo studio della crescita
di un embrione umano nell'utero di un animale? Ebbene, io penso che la
società potrebbe impedire questo e anche altro; ma temo che non
lo farà. Quello che vedo nel prossimo futuro è un
gigantesco mattatoio, una Auschwitz molecolare, in cui, anziché
denti d'oro, verranno estratti enzimi e ormoni.
"Nulla rimarrà invendicato": così ci assicura un celebre
verso del "Dies Irae". Ma quel giorno non è ancora arrivato e,
tenendo conto della natura umana, io vedo soltanto due modi per
impedire che accada il peggio: mettere un freno alla cupidigia e
mettere un freno all'ambizione degli uomini. Se la prospettiva del
guadagno fosse del tutto eliminata, e l'utilizzo della tecnologia
riproduttiva concesso gratuitamente, con vero spirito samaritano; e se
fosse imposta una completa anonimità, in modo tale che ogni
nuova scoperta fosse resa nota senza citare il nome del suo autore,
credo che quasi tutti i peggiori eccessi potrebbero essere evitati. Il
carattere ridicolmente utopico di questi miei suggerimenti deve essere
considerato direttamente proporzionale alla mia mancanza di speranze.
Il tentativo recentemente intrapreso di far gustare al pubblico il bricolage genetico, pone un curioso problema. I National Institutes of Health (NIH) si sono lasciati coinvolgere in una controversia (probabilmente perché qualcuno li ha pregati di stabilire «linee direttrici»), in cui non hanno proprio nulla da cercare. Forse, si sarebbe dovuto rivolgere una siffatta richiesta al dipartimento della giustizia, il quale, però, dubito che si sarebbe occupato dei problemi di una biologia molecolare colposa.
Anche se non credo che un'organizzazione terroristica abbia mai
chiesto alla polizia federale di emanare direttive riguardanti
l'esecuzione corretta di esperimenti con esplosivi, sono sicuro
del tipo di risposta: dovrebbero mantenersi estranei a qualsiasi azione
illegale. Ciò rientra anche nel caso di cui intendo ora parlare:
nessuna cortina fumogena e nessun laboratorio di sicurezza del tipo P3
o P4 possono esimere il ricercatore dalla colpa, se ha recato danno a
un suo simile.
Devo riporre le mie speranze nelle donne delle pulizie e negli addetti
agli animali impiegati nei laboratori a giocherellare con i DNA
ricombinanti, o nel legislatore che deve ravvisare un'occasione
d'oro nella possibilità di perseguire le pratiche
biologiche illecite, e nelle corti d'assise che disdegnano
dottori di ogni tipo.
Nell'esecuzione della mia impresa donchisciottesca - una lotta
contro mulini a vento muniti di laurea in medicina - comincerò
con la follia principale, ciooè con la scelta
dell'Escherichia coli come ospite. In tale contesto vorrei citare
una definizione contenuta in un prestigioso manuale di microbiologia:
«L'Escherichia coli viene indicato come il “bacillo
dell'intestino crassoâ€, perché è la specie
predominante in quel tratto dell'intestino».
In realtà noi ospitiamo molte centinaia di diverse varianti di
questo utile microorganismo, responsabile di poche infezioni, ma forse
del maggior numero di lavori scientifici che qualsiasi altro organismo
vivente. Se gli uomini del nostro tempo si sentono chiamati a produrre
nuove specie di cellule viventi (specie che il mondo non ha
probabilmente mai visto dagli inizi della sua esistenza), perché
scegliere proprio un microorganismo che da gran tempo è
convissuto con noi in rapporti più o meno felici?
La risposta è che noi ne sappiamo di più
sull'Escherichia coli che su qualsiasi altro essere vivente,
inclusi noi stessi. Ma questa è una risposta valida? Prendetevi
tempo, fate con diligenza le vostre ricerche e ricaverete alla fine
molte cose su microorganismi che non possono vivere nell'uomo e
nell'animale. Non c'è fretta, non c'è
per niente bisogno di avere premura. A questo punto, molti colleghi mi
interromperanno assicurandomi di non poter aspettare più a
lungo, di avere una fretta incredibile di aiutare
l'umanità sofferente.
Orbene, senza mettere in dubbio la nobiltà dei loro motivi, devo
dire che, per quanto io sappia, nessuno ha mai presentato un progetto
chiaro dì come preveda di guarire tutto, dall'alcaptonuria
alla degenerazione di Zenker, per non parlare del modo con cui intende
migliorare e sostituire i nostri geni. Ma schiamazzi e vuote promesse
riempiono l'aria: «Non volete in fin dei conti avere
un'insulina a buon mercato? Non vi piacerebbe vedere il grano
prendere il suo azoto direttamente dall'aria? E non sarebbe bello
se a verde umanità potesse preparare il suo cibo mediante
fotosintesi: dieci minuti al sole come colazione, trenta minuti per il
pranzo e un'ora per la cena?». Bene, forse sì, forse
no.
Se è veramente necessario che il dottor Frankenstein continui a
produrre i suoi piccoli mostri biologici (ma io ne nego l'urgenza
e persino la necessità) deve forse essere l'Escherichia
coli a fornire il grembo materno? Questo è un campo dove quasi
ogni esperimento costituisce un. colpo sparato a casaccio, e chi
può sapere che cosa mai si riesce a impiantare nel DNA dei
plasmidi che saranno moltiplicati dal bacillo sino alla consumazione
dei secoli?
E alla fin fine questa roba penetrerà nell'uomo e
nell'animale, nonostante tutte le misure di sicurezza. Tra
interno ed esterno non c'è una reale differenza. In
seguito ci assicureranno che i lavori verranno eseguiti con virus
lambda indeboliti e con ceppi di E. coli modificati e difettosi, i
quali non possono vivere nell'intestino. Ma come la mettiamo con
lo scambio di materiale genetico nell'intestino?
Come possiamo essere sicuri di quel che accadrà, quando i
piccoli mostri sgattaioleranno fuori dal laboratorio? Ecco
un'altra citazione dal ragguardevole manuale: «In effetti
non si può escludere la possibilità che mediante una
ricombinazione genetica nel tratto intestinale persino bacilli innocui
possano diventare in qualche occasione virulenti». Io,
però, penso a qualcosa di peggio della virulenza. Stiamo
giocando con il fuoco.
Non è un motivo di sorpresa ma di deplorazione se i gruppi con
il compito di stabilire «linee direttrici» e i diversi
comitati consultivi siano stati formati esclusivamente, o in
maggioranza, di sostenitori di questo genere di sperimentazione
genetica. Si è trascurato completamente (questa, almeno è
stata l'impressione) il fatto che ci trovavamo di fronte a un
problema non tanto di igiene quanto di etica, e che la domanda cui si
doveva anzitutto rispondere era se noi avevamo il diritto di porre
un'ulteriore terribile ipoteca su generazioni non ancora nate.
Uso l‘aggettivo «ulteriore» in rapporto al problema
irrisolto e altrettanto pauroso dell'eliminazione delle scorie
nucleari. Il nostro tempo è condannato a lasciar prendere
decisioni di enorme portata da persone deboli, travestite da
specialisti. C'è qualcosa di più vasta portata
della creazione di nuove forme di vita?
Ora, poiché è chiaro che i National Institutes of Health
non sono adatti a decidere su dilemmi così importanti, posso
soltanto sperare, anche senza alcuna seria prospettiva, in
un'azione del parlamento. Si potrebbero, per esempio, valutare le
possibilità di compiere i seguenti passi: 1) divieto assoluto di
utilizzare come ospiti batteri presenti nell'organismo umano; 2)
istituzione di un'autorità veramente rappresentativa di
questo paese, la quale dovrebbe accordare e sostenere ricerche su
ospiti e metodiche meno contestabili; 3) rendere monopolio federale
qualsiasi forma di «ingegneria genetica»; 4) concentrazione
di tutto il lavoro di ricerca in un solo luogo, per esempio a Fort
Detrick. Naturalmente sarà necessaria una forma di moratoria
sino alla promulgazione di norme legislative di sicurezza.
Ma al di là di tutto ciò si presenta un
importantissimo problema di carattere generale: la spaventosa
irrevocabilità dei propositi. Si può smettere con a
fissione atomica, si può desistere dal visitare ancora la Luna,
ci si può astenere dall'uso di aerosol, è possibile
persino prendere in considerazione la decisione di non uccidere intere
popolazioni per mezzo di alcuni tipi di bombe, ma non si possono
revocare nuove forme di vita. Una cellula di Escherichia coli appena
costruita e in grado di vivere, che porti con sé un DNA
plasmidico insieme a un pezzo di DNA eucariotico trapiantato,
sopravviverà a noi, ai nostri figli e ai nostri nipoti.
Un attacco irreversibile alla biosfera è una cosa talmente
inaudita e sarebbe parso così impensabile alle generazioni
passate, da indurmi soltanto a desiderare che la nostra generazione non
commetta tale colpa. L'ibridazione di Prometeo con Erostrato
produce necessariamente risultati cattivi. In effetti, i risultati
sinora pubblicati delle sperimentazioni in questo campo non sono certo
convincenti. Comprendiamo assai poco del DNA eucariotico e non sono
ancora pienamente intellegibili il significato delle interruzioni
e delle sequenze ripetute del DNA e la funzione
dell'eterocromatina.
Si ha l'impressione che esperimenti di ricombinazione in cui un
pezzo di DNA animale viene incorporato nel DNA di un plasmide microbico
siano effettuati senza capire a fondo ciò che sta succedendo. Il
luogo in cui un dato gene si trova nel DNA con riferimento alle
sequenze dei nucleotidi contigui viene lasciato al caso o si tratta
dì controllo e regolazione reciproci? Possiamo essere sicuri -
tanto per citare qualcosa di fantasticamente improbabile - che il gene
per un determinato ormone albuminico, funzionante soltanto in alcune
cellule specializzate, non diventi cancerogeno, qualora sia introdotto,
per così dire, nudo e crudo nell'intestino? è una
cosa saggia mescolare ciò che la natura ha tenuto distinto,
cioè i genomi di cellule eucariotiche con quelli di cellule
procariotiche?
Il peggio è che non lo sapremo mai. Rispetto all'uomo, i
batteri e virus sono sempre appartenuti a un movimento biologico
clandestino estremamente attivo, la nostra comprensione della
guerriglia per mezzo della quale essi influiscono su forme superiori di
vita è molto lacunosa. Mentre aggiungiamo a questo arsenale
insondabili strutture vitali (procarioti, che moltiplicano geni
eucariotici) gettiamo un velo di incertezza sulla vita delle future
generazioni. Abbiamo .il diritto di operare in contrasto con la
saggezza evolutiva di milioni di anni per accontentare
l'ambizione e la curiosità di alcuni scienziati?
Questo mondo ci è dato soltanto in prestito. Arriviamo e ce ne
andiamo e dopo di noi lasciamo terra, aria e acqua ad altri che ci
seguono. La mia generazione - o forse quella che l'ha preceduta -
ha intrapreso per prima sotto la guida delle scienze esatte una
distruttiva guerra coloniale contro la natura. Perciò il futuro
cimaledirà.
Il prossimo referendum, che si propone di trasformare la procreazione assistita, prevista dalla legge vigente, in una procreazione fabbricata tecnologicamente, promossa secondo regole di mercato, rappresenterà uno snodo importante nella storia della democrazia, non solo italiana. Si tratterà infatti del primo banco di prova di un populismo tecnoscientifico, il cui obiettivo non sarà più la difesa di privilegi locali, o la richiesta di leggi di polizia (tradizionali richieste populiste), bensì la fabbricazione dell'uomo, a prezzo della soppressione di organismi umani viventi.
Il carattere populista dell'iniziativa è dato innanzitutto
dallo strumento prescelto, il referendum, col suo caratteristico
scavalcamento delle istituzioni parlamentari, ed il suo "dare
direttamente la parola" al popolo. La cui opinione è fortemente
condizionata dallo schieramento mediatico, controllato dai maggiori
gruppi industriali e finanziari, favorevole al referendum. Un "popolo"
dunque pilotato, come spesso accade da poteri forti. Populista è
però anche il contenuto affettivo della posta in gioco. Nella
quale, come sempre nel populismo, si contrappone una richiesta
egoistica all'interesse del più debole.
La richiesta egoistica in questa vicenda è quella delle coppie
sterili, che trasformano la loro domanda di figli, in "diritto", da
soddisfare, anziché attraverso l'adozione di bimbi
abbandonati, o comunque bisognosi, attraverso la fabbricazione di nuovi
esseri umani che verrebbero loro consegnati, come "proprietà",
dall'apparato tecno-scientifico che si dichiara in grado di
fabbricarli.
Particolare non secondario, questa fabbricazione richiede la
soppressione di esseri umani già viventi in forma embrionale.
Contrariamente all'impostazione dell'intero dibattito, che
i radicali, promotori del referendum, spalleggiati da operatori
più fortemente impegnati in strutture ospedaliere, e dagli
opinionisti dello schieramento, hanno presentato come una scelta tra
scienza e fede, la questione posta sta già tutta
all'interno di una coscienza laica che riconosca la propria
responsabilità nei confronti degli altri (anche se poi
interpella a vario titolo anche l'uomo religioso).
Le domande poste alla coscienza laica sono essenzialmente due. La
prima: "È legittimo che uno Stato decida la soppressione di
esseri inermi, che non possono difendersi, dietro la spinta
plebiscitaria di masse, organizzate da interessi di particolari gruppi
(qui gli individui che esigono figli, pur non essendo in condizione di
averli naturalmente, e i gruppi di pressione sanitari e scientifici
interessati allo sviluppo di questo mercato)"? La seconda: "Può
una democrazia sopravvivere in una situazione nella quale decisioni
decisive dal punto di vista sociale (in questo caso per gli effetti
sulla famiglia, e sulla vita e morte di individui), vengono prese sotto
fortissime pressioni di "esperti", che si presentano come detentori di
verità scientifiche?.
Questa seconda questione irrompe nel dibattito politologico dei Paesi
dotati di facoltà di Scienze Politiche autorevoli, nel secondo
dopoguerra, a seguito della riflessione sul ruolo determinante svolto
dai fisici nella realizzazione di armi di sterminio di massa, una
vicenda che aveva dimostrato le enormi possibilità di produzione
di morte ad opera della scienza. L'esame della questione assume
poi forma più strutturata nel successivo dibattito sulla
"tecnocrazia", di cui i gruppi di pressione tecnoscientifici sono
parte, sviluppatosi a metà del anni 60, cui partecipai in quanto
assistente e collaboratore, a Losanna, di uno dei suoi protagonisti,
Jean Meynaud. Come la maggior parte dei politologi di formazione
democratica Meynaud temeva fortemente "l'affermazione di nuovi
signori la cui autorità non deriverebbe più da una delega
popolare, ma dal potere derivante dalle competenze". E concludeva che,
per ora, il modo migliore di evitare una simile deriva era rafforzare i
partiti, e difendere i poteri e le competenze dei parlamenti.
Lo spettro di referendum di spinta tecnocratica su materie etiche, come
quello cui andiamo incontro, non si era ancora configurato; ma le sue
potenzialità erano già presenti. Lo erano, a ben vedere,
già da un pezzo: almeno dalla presa del potere da parte di quel
particolare tipo di populismo tecnocratico che fu il nazionalsocialismo.
Lo sfondo di questo dibattito, spostandoci sul punto di vista
epistemologico, della filosofia della scienza è quello del
sapere scientifico, ed in particolare della medicina. Una questione non
affrontabile oggi, prescindendo dai lavori di Michel Foucault e, dal
punto di vista della medicina di Ivan Illich. Lavori relativamente
recenti, che sollevarono accesi dibattiti in tutto il mondo, ma che
qui, in Italia, in questi giorni, tutti sembrano aver dimenticato
(semmai li hanno conosciuti), soprattutto nel campo che si qualifica
come portatore "del progresso scientifico".
I lavori più radicali sono quelli di Ivan Illich, come Medical
Nemesis. The Expropriation of Health, ed anche Tools for Conviality
Foucault riprende Medical Nemesis nel suo lavoro Crisis de un modelo en
la medicina. Ne La convivialità, Illich presenta efficacemente
la questione. "La perversione della scienza nasce dalla credenza in due
specie di sapere: quello, inferiore, dell'individuo, e quello,
superiore, della scienza. Il primo apparterrebbe alla sfera
dell'opinione, sarebbe l'espressione di una
soggettività, e non avrebbe nulla a che fare col progresso. Il
secondo sarebbe obiettivo, definito scientificamente , e diffuso da
portavoce competenti…. Sotto il nuovo regno il cittadino abdica
ad ogni potere in favore dell'esperto, unico competente".
Questa situazione ha ricadute politiche, e psicologiche devastanti, di
grande rilievo anche dal punto di vista delle questioni buttate oggi
con inaudita violenza nella macchina referendaria. "Il conflitto
personale non ha più alcuna legittimità dal momento che
la scienza promette l'abbondanza per tutti e pretende di dare a
ciascuno secondo le sue esigenze personali e sociali, obiettivamente
identificate. La persona non può più contribuire di suo
al continuo rinnovamento della vita sociale. Il voto rimpiazza la
discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffé. Il
cittadino si siede davanti allo schermo, e tace."
Perché analizzare, per esempio, e trasformare psicologicamente,
e simbolicamente, il conflitto conseguente alle difficoltà di
procreazione se la scienza si dice capace di fornirti un figlio bello
pronto? Peccato che poi, a parte le menzogne della scienza megafonata
(in questo caso documentate, ad esempio, da esperti come Agnoli, e
Vescovi, resi però pressoché invisibili nel
megaschieramento mediatico tecnoprogressista), poiché la
realtà è fatalmente ed unicamente quella prodotta dagli
individui, questo scavalcamento dell'elaborazione del Sé,
della propria reale condizione, attraverso l'accesso al
tecnicizzato prodotto-figlio, apra, come vede poi lo psicoterapeuta,
baratri di ogni genere. Ciò accade proprio perché in
questo procedimento un sapere astratto e inefficace (in quanto
prescinde dal soggetto), ha dislocato l'essere umano in una
condizione che non è la sua.
Per Foucault, i medici e la medicina, "proprio a causa della loro
efficacia provocano degli effetti, alcuni puramente nocivi, altri
incontrollati, che obbligano la specie umana ad entrare in una storia
azzardata, in un campo di probabilità e rischi la cui ampiezza
non può essere misurata con precisione". E ricorda, tra i
moltissimi altri esempi, come il trattamento anti infettivo abbia
prodotto una diminuzione generalizzata nella capacità degli
organismi di difendersi. Certo il rischio medico, nota, cioè il
legame tra effetti positivi e negativi della medicina, fa parte di
tutta la sua storia. "Il livello di consumo medico, conclude, e il
livello di salute non sono in relazione diretta".
La pratica psicoterapeutica conferma con chiarezza sia le intuizioni di
Illich, che i lavori di Foucault. Il benessere psichico
dell'individuo é direttamente proporzionale alla sua
capacità di porsi in modo riflessivo e critico nei confronti
delle promesse salvifiche e di benessere del potente circo
tecnomediatico. La cui tendenza a presentarsi come lo strumento che
allontanerà dalla vita umana l'esperienza del dolore,
della perdita e della mancanza, oltre a possedere lo stile volgare
della ciarlataneria, e ad abituarvi le persone, imbarbarendo la cultura
nel suo complesso, suscita aspettative destinate a venire deluse. Non
perché la tecnoscienza non possa fabbricare bambini, ma
perché questa fabbricazione, avvenendo fuori dal mondo umano dei
corpi e delle loro relazioni affettive ed emotive, crea una
molteplicità di complicazioni psichiche di difficile soluzione.
Infine, questo è il mio parere, l'individuo sterile viene
privato dall'intervento pseudo rassicurante (in realtà
profondamente ansiogeno), del funzionariato tecnoscientifico, di una
parte importante della sua verità, e della sua storia. Alla
quale il soggetto è chiamato a dare un senso, una risposta, una
soluzione, vivendo, insieme, l'esperienza profondamente umana
della consapevolezza del limite, anziché la fantasia
psicotizzante di onnipotenza indotta dalla tecnoscienza. Elaborazione
del senso ed esperienza del limite possono essere positivamente vissuti
nell'ambito, tradizionalmente proprio dell' umano, di
quella che Illich chiamava la convivialità: la vicinanza, i
corpi, il provvedere ai bisogni degli altri, per esempio di un bimbo
senza genitori.
L'essere umano di questo ha bisogno: calore, sentimento,
incontro, scambio, affetto. Certo il mondo dei corpi, e degli affetti,
ci mette davanti al limite: della procreazione, delle performance
impossibili, dell'invecchiamento sicuro, e tanti altri ( tra i
quali, certa, la morte). Per ognuno di questi limiti la tecnoscienza
sfodera, a singhiozzo, sfavillanti rimedi.
Questi rimedi separano la storia di chi li adotta, da quella del resto
dell'umanità, che accetta il limite, a cominciare da
quello della costante connessione tra corpo, e affetto. Una scissione
di cui razionalmente, laicamente, in tutta la mia esperienza di vita e
professionale, osservo le drammatiche conseguenze.
Sono di sinistra e non schiodo. Voterò al referendum sulla legge 40 ma metterò lo stesso qualche No. Potendo, abrogherei per intero, come chiedevano i radicali, ma non per i loro stessi motivi bensì perché sono sempre stata d'accordo con un intervento legislativo leggero, il minimo possibile. Avrei dunque cancellato tutta la legge 40 sperando, forse invano, in nuove norme non misurate sull'adesione o sulla sottrazione trasversale a una fede, quella cattolica o quella nella scienza.
Mi piacerebbe che a sinistra fosse autorevole e maggioritaria la
cautela su tecnologie che hanno al centro il corpo delle donne e il
potere di generare, che provassimo in molti un po' di sana
diffidenza verso scienziati che fanno business sul desiderio di
maternità.
Diffido dell'ipotesi di trasformare l'accesso alla
fecondazione artificiale in un diritto specifico, mentre penso che
grande attenzione vada messa sulla sicurezza e sulla salute delle donne
- questo si un diritto - che non può essere centrata sulla
produzione o meno di tre embrioni ma riguarda, piuttosto,
l'insieme di cure e pratiche che precedono gli interventi di
fecondazione, i trattamenti della sterilità: stiamo parlando,
è bene ricordarlo, di tecniche che martoriano il corpo.
E un dibattito politico che enfatizza, anche senza volerlo, la
maternità biologica come condizione fondante della
femminilità offende non solo lo stesso principio di scelta della
maternità (è legittimo pure scegliere di non essere
madre), ma anche coloro che madri non potranno diventare. Come si vede,
sono piena di “riserve etiche†anche se non vado
d'accordo con Camillo Ruini.
Se in questi referendum vincerà l'astensione, la legge diventerà intoccabile e a poco servirà dire che non c'è stato un esplicito consenso popolare: l'astensione potrà essere letta come la legittimazione del lavoro parlamentare. Se si vinceranno i Si, le norme andranno riscritte per tenere conto di ciò che dice il paese. In entrambi i casi servono cittadini e cittadine consapevoli, per davvero, sull'uso delle biotecnologie e dunque in grado di esprimere un giudizio fortemente informato.
Credo, infatti, che l'atteggiamento di chi compra, dunque
finanzia il mercato delle biotecnologie, può incidere più
del proibizionismo sulle rotte della ricerca scientifica, quantomeno su
alcune sue applicazioni.
Se si crede, e nulla fa pensare il contrario, che l'opinione pubblica possa avere idee chiare sull'uso della fecondazione artificiale, è necessario abbandonare slogan e emotività. Nel mio piccolo, penso che fermare la propaganda sia un dovere, ne siamo tutti contaminati. Ieri, per esempio, ho cestinato un video contro la legge 40 che gira via e-mail, confezionato con cura da un o una appassionata ma estremamente increscioso per noi di sinistra. Il filmato propone una sequela di bugie e mezze verità alternate a immagini di bimbi tra corolle di fiori o neonati cullati da un foulard.
Alcune affermazioni contenute in questo video, tipo: “In Italia
c'è una nuova legge che impedisce ai bambini di venire al
mondo e alle donne di diventare madriâ€, riecheggiano argomenti
ideologici che il Movimento per la vita ha usato contro la legge 194 e
che vanno rigettati, fosse solo per marcare la differenza di uno stile
politico. Sempre dal video: “(…) ci sono bambini nati da
spermatozoi e ovociti di donatori esterni alla coppia che non
nasceranno. Ora gli uomini e le donne sterili in Italia non potranno
più avere figliâ€. Questo è un messaggio
terrorizzante che definisce come vittima chi ha un problema di
sterilità, il che non aiuta le vittime a risollevarsi né
a combattere il presunto carnefice.
L'infelice foto che illustra questa infelice frase ritrae decine di bambole tutte uguali, vestite con una tuta rosa ma, a ben guardare, in mezzo c'è una creatura vera, assolutamente uguale alle bambole (o viceversa). L'immagine evoca ovviamente il “supermarket dei bambiniâ€, definizione che non amo perché riassume una possibile, reale deriva in un semplicistico slogan, più facile da rifiutare che da accogliere per una riflessione. La foto, inoltre, allude - sempre senza volere, immagino - alla clonazione, su cui in Italia è stato messo un assoluto divieto bipartisan, ma che spintona ancora a forza nella ricerca scientifica seppur sotto la definizione di clonazione terapeutica, apparentemente più debole. Il filmato mi è arrivato anonimo e credo non sia riconducibile al Comitato dei referendum per il Si, ma è zeppo di luoghi comuni semplificatori.
Un dibattito pubblico informato e di buona qualità, invece, farebbe saltare gli schemi politici che consentono a entrambi gli schieramenti di fare propaganda. E potrebbe smarcare la questione della fecondazione artificiale e dell'uso delle biotecnologie dall'infelice contrasto cattolici/laici, creando un'inedita trasversalità di valori e di idee. Il paradosso dei referendum, infatti, è che i quesiti sono puntuali, le risposte secche, tuttavia le scelte possono essere motivate da ragioni che non trovano rappresentanza e non coincidono con gli attuali schieramenti, oppure li attraversano in libertà, senza sentimento di appartenenza.
Così è almeno nella mia esperienza. Tre esempi.
Voterò Si all'abrogazione del primo articolo. Ritengo che
per proteggere l'inizio della vita non sia necessario considerare
il concepito un soggetto (coinvolto).
Per mia personale convinzione, supporre che l'embrione debba essere difeso anche contro la madre (Chi dovrebbe esercitare questa difesa poi? I giudici? Ancora i giudici?), intacca uno dei principi fondanti di questo mondo, la relazione tra chi genera e chi è generato, inscindibile legame e grande tesoro. Le donne si sono sempre prese scrupolosamente cura della vita dall'inizio dei tempi e questa è una delle ragioni per cui siamo ancora qui a parlarne.
Sulla procreazione godono di una autorità che ha radici nei
fatti e nella storia. È molto triste e pericoloso che non si
facciano largo in questo dibattito voci femminili capaci di riconoscere
e tradurre questa verità di cui ogni donna è consapevole,
e che a sinistra per difendere l'autodeterminazione si faccia
appello alla scienza e non alla riflessione e alla elaborazione della
parte migliore del femminismo. Non tenere saldo questo timone fa
perdere l'orientamento alle donne, sia a quelle che parlano sia a
quelle che ascoltano.
Né la posizione di chi si china sugli embrioni come su una
culla, né quella di chi non se ne preoccupa affatto ha il sapore
della consapevolezza femminile. Soffocata dalle grida di una parte e
dell'altra, la verità delle donne, della loro esperienza,
del loro equilibrio, del loro essere più sapienti della scienza
non dà frutto.
In coerenza con queste mie idee, ho molti dubbi anche sulla fecondazione eterologa. Sono una fan di tutte le possibili combinazioni familiari, omosessuali comprese, ma temo fortemente, per esempio, le conseguenze dell'anonimato (la retromarcia della liberale Inghilterra insegna) e il mercato degli ovuli a danno delle più povere (se ne è preoccupata pure la Commissione europea).
Terzo esempio, il quesito sull'uso degli embrioni sovrannumerari.
Mi pare significativo che la comunità scientifica si divida sulla prospettive della ricerca sulle cellule staminali embrionali e che in molti oggi non lo ritengano il migliore binario per trovare soluzioni a malattie incurabili. Dunque, nel dubbio e per cautela, dico No.
Si, ne sono sicura, i miei pensieri e le mie domande sono di
sinistra, ma ogni tanto mi sento isolata. Per fortuna altri dubitano.
Il deputato verde Paolo Cento, intervistato da Avvenire, ha ricordato
che le biotecnologie sono anche un business, la diffidenza verso la
manipolazione genetica è un patrimonio della cultura ecologista,
c'è uno spazio da occupare tra il proibizionismo e
l'affidamento acritico alla scienza, votare Si, No o astenersi
sono tutte posizioni legittime.
Le proposte di approfondimento di Paolo Cento, che non ama la legge 40 e lo ha sempre dichiarato, sono state liquidate in modo sbrigativo e in qualche caso ai limiti della volgarità. So che è un colpo basso metterla così, ma vorrei chiedere: come mai tutta quella gente di sinistra che è contraria alla manipolazione genetica della verdura non batte ciglio davanti alla manipolazione genetica degli esseri umani?
Si ha l'impressione molto spesso, in Italia, che la vera sostanza del
laicismo (cosa ben diversa dallo spirito laico) consista nella
superficialità (talora assai rozza) con la quale esso
è solito definire e/o interpretare la posizione cattolica. Lo si
sta vedendo ancora una volta da qualche tempo a proposito della legge
sulla fecondazione assistita e di tutte le questioni relative. Lo
schieramento politico culturale laicista è infatti incline ad
additare al pubblico disprezzo quanto sostiene la Chiesa e ricorrendo
abitualmente ai graziosi epiteti
di «oscurantista», «medievale», «nemico
delle donne», «reazionario».
Ne parla come un punto di vista fuori dalla storia ma soprattutto
privo della benchè minima dignità culturale,
intriso di pregiudizio antiscientifico e al servizio del puro e
semplice desiderio della Chiesa e del clero di essere gli unici
tribunali della coscienza. àˆ difficile immaginare una
delegittimazione più radicale.
A me pare, invece, che non ci sia bisogno di essere dei cattolici
osservanti nè di aderire alle posizioni della Chiesa sulla
questione specifica (personalmente io non sono la prima cosa e non
aderisco alle seconde: in particolare mi lascia molto perplesso
l'estensione che il Magistero fa del concetto
di «vita», inclusivo dell'embrione, fino a farlo
coincidere di fatto con il concetto di «persona», con
conseguente estensione dei diritti di questa all'altro), non c'è
bisogno di tutto ciò per capire che al fondo degli orientamenti
della Chiesa e dei suoi ostracismi si agitano questioni decisive, per
il futuro non già della Santa Sede bensì per quello
di tutta l'umanità .
Questioni ineludibili che meritano ben altra attenzione di quella, per
lo più infastidita e sprezzante, che tanta parte della
società italiana, in particolare del ceto dei colti,
è solita riservargli. Voglio citarne solo due: quelle che tra
tutte a me sembrano della massima importanza.
La prima è riassumibile in alcuni interrogativi: può
esserci, è ammissibile o no che ci sia, un limite
all'applicazione delle scoperte scientifiche alla realtà
sociale? (Attenzione sto parlando non di un limite alla ricerca
scientifica, ma di un limite, alla sua, per così dire,
traduzione nel corpo sociale, nella vita quotidiana di uomini e
donne)?
Oppure è giusto - ecco l'altro corno del dilemma - acconsentire a tutto ciò che la scienza rende e renderà domani possibile, consentire che ogni possibilità diventi concreta, sia fatta transitare senza alcun vaglio nella trama dei rapporti umani di cui siamo in certo senso i depositari storici e gli eredi?
Ancora: è giusto che domani ci si disfi di un embrione qualunque malattia gli sia diagnosticabile per il futuro? Oppure per alcune malattie ciò sarà ammissibile e per altre no?
E come scegliere? In base a quale criterio? In altre parole, e in generale: è lecita o no una discussione pubblica sulla scienza e sui suoi effetti sociali?
E si può parlare della scienza a prescindere dal suo proprio punto di vista o di quello di coloro che, per essere addetti ai lavori, pretendono che la propria opinione abbia un valore superiore a quella dei profani?
E' permesso parlare ad esempio della fecondazione assistita e delle sue conseguenze sulla società umana infischiandosene del parere del celebre ginecologo o di quello della famosa astronoma?
I quali, tra l'altro, non si vede quale titolo abbiano a pronunciarsi su cose che non conoscono o conoscono nè meglio nè peggio di chiunque altro?
Oppure sulle conseguenze sociali delle scoperte scientifiche
è lecito che prendano la parola solo gli esperti, e che la
decisione in merito spetti esclusivamente alle singole
volontà degli individui dal momento che ciò
corrisponderebbe ad un loro «diritto», che domani
potrà estendersi chissà a quali altri
desideri?
Ecco alcune delle questioni di qualche peso che la posizione della
Chiesa cattolica, con la sua netta ostilità alla
manipolazione artificiale della riproduzione umana, contribuisce a
porre e a tenere aperte. Quest ioni che ne sollevano una ulteriore: a
che cosa si ridurrebbe mai una sfera politica che nel governo della
società , dopo essersi spogliata - come almeno in parte si sta
spogliando - di molte decisioni in materia economica, si spogliasse
pure di quelle in materia di applicazioni sociali della scienza?
La seconda questione che la posizione cattolica contribuisce più o meno direttamente a sollevare e ad agitare riguarda anch'essa chiunque di noi, dal momento che riguarda nè più nè meno che la natura degli umani.
In realtà , infatti, le accanite discussioni sull'inizio
della vita, sul concepimento, sull'embrione e via dicendo, non
riguardano tanto il mondo intrauterino quanto il mondo dei
già nati, dei già vivi ad ogni effetto, il
mondo nostro, la sua organizzazione e i suoi principi.
Dalla notte dei tempi fino ad oggi infatti quella che chiamerei
l'apparente casualità genetica è stato un elemento
costitutivo della persona. Nessuno è in grado di conoscere le
qualità e il destino di un essere umano che vede la luce:
in esso si può nascondere un genio o un imbecille; così
come di conseguenza nessuno è in grado di conoscere le sue
potenzialità evolutive, sia fisiche che
intellettuali.
Ebbene, l'esistenza di questo vero e proprio velo di ignoranza
intorno al progetto biologico nonchè intorno alle
capacità e al carattere del singolo individuo, è
decisiva, nel legittimare la rivendicazione di una piena eguaglianza
tra tutti gli esseri umani e la loro necessaria libertà .
Se quel velo d'ignoranza viene meno, infatti, se un'appropriata
diagnosi genetica fosse in grado domani di farci conoscere qual
è il destino biologico di questo o di quello, quali la sua
speranza di vita, le sue possibilità di ammalarsi, quali,
anche, la sua capacità di apprendere, di applicarsi al
lavoro, e così via ipotizzando (ma la ricerca autorizza ormai
quasi ogni genere d'ipotesi), ognuno capisce che diverrebbe in pratica
difficilissimo mantener saldo quell'orientamento ideologico, oggi di
gran lunga prevalente nella nostra società , che non solo reputa
imprescindibile l'uguaglianza dei diritti, ma non rinuncia neppure ad
augurarsi anche l'eguaglianza delle chances, dei punti di
partenza.
C'è bisogno di aggiungere che l'orientamento ideologico in
questione si chiama democrazia? Ancora domande dunque, e sempre sullo
stesso punto decisivo: il limite. C'è un limite? E dove lo si
fissa? E chi lo fissa? E in base a quale criterio? Oppure, viceversa,
è tutto mobile, si cambia di continuo tutto a seconda
dell'avanzamento della ricerca scientifica, o magari in base al
semplice desiderio di ognuno di noi, per l'occasione ribattezzato con
il sacro nome di diritto.
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