Eleaml - Nuovi Eleatici


COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLA MAFIA

(20 dicembre 1962 - 4 luglio 1976)

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Senato della Repubblica - Camera dei Deputati

RELAZIONE DI MINORANZA - LA TORRE ED ALTRI


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RELAZIONE DI MINORANZA

dei deputati La Torre, Benedetti, Malagugini e dei senatori Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti nonché del deputato Terranova

VALUTAZIONE CRITICA DELLA RELAZIONE DI MAGGIORANZA

La relazione di maggioranza (o del Presidente) della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno dalla mafia in Sicilia — che chiude più di undici anni di attività — non può ritenersi in alcun modo soddisfacente, delude le attese dell'opinione pubblica, non rafforza il prestigio delle istituzioni democratiche.

Ciò accade perché, sin dall’inizio, non si è voluta fare una scelta politica netta a proposito della genesi e delle caratteristiche del fenomeno mafioso. Pur affermando che «la Commissione si è proposta di ripensare in una prospettiva politica le conclusioni a cui è pervenuta la storiografia sulla mafia» e che il dato caratteristico peculiare che distingue la mafia dalle altre forme di delinquenza organizzata è «la ricerca del collegamento con il potere politico», si oscilla, nel seguito, fra la tesi sociologica della mafia come «potere informale» che occupa il «vuoto di potere» lasciato dallo Stato, e la realtà storica della compenetrazione fra il sistema di potere mafioso e l’apparato dello Stato. Si sfugge cioè al nodo centrale della questione: che tale compenetrazione è avvenuta storicamente come risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti (mafia e potere politico).

È d’altronde un giudizio storicamente acquisito che la formazione dello Stato unitario nazionale ha significato l'avvio della trasformazione della economia e della società italiana in senso capitalistico, sotto la guida della borghesia. Per assolvere questo suo ruolo dirigente, la borghesia italiana ha dovuto scegliere, di volta in volta, quelle intese e quei compromessi con le vecchie classi dirigenti dell'Italia preunitaria, pervenendo alla formazione di un blocco fra gli industriali del Nord e gli agrari del Sud. Cioè la borghesia non ha governato, come tuttora del resto non governa, da sola, ma ha dovuto dividere il potere con le altre classi e, per un lungo periodo, soprattutto con i grandi proprietari terrieri, specie con quelli meridionali e siciliani.

Il fenomeno mafioso, come è storicamente accertato, si colloca all'origine di questo processo di trasformazione della società italiana e, con riferimento ad una regione come la Sicilia, ne diviene un elemento costitutivo. La mafia sorge e ricerca subito i suoi collegamenti con i pubblici poteri della nuova società nazionale, e a pubblici poteri accettano, a loro volta, di avere collegamenti con la mafia, per scambiarsi reciproci servizi. Un accordo di potere in Sicilia non può prescindere dalla classe dominante locale costituita dal grande baronaggio. È ragionevole, quindi, supporre che il collegamento fra mafia e pubblici poteri non avvenga senza la partecipazione diretta del baronaggio. Questa circostanza sembra comprovata dalla geografia del fenomeno mafioso, e non in termini sociologici, ma politici. La Sicilia occidentale, con la capitale Palermo, è stata la base materiale della potenza economica, sociale e politica del baronaggio prima della Unità. Ed è qui, e non nell'altra parte dell’Isola, che si avviamo le nuove forme di collegamento mafioso con i pubblici poteri.

La mafia è quindi un fenomeno di classi dirigenti. Come tale, pertanto, la mafia non è costituita solo da «soprastanti», «campieri» e «gabellotti», ma anche da altri componenti delle classi che esercitano il dominio economico e politico nell'Isola, cioè da appartenenti alla grande proprietà terriera e alla vecchia nobiltà.

Finora si è cercato di presentare il proprietario terriero più come vittima che come beneficiario della mafia; tutt’al più si è riconosciuto che il vantaggio da lui ricevuto sia stato quello di avere nella mafia una guardia armata del feudo.

Il prefetto Mori è arrivato perfino ad affermare che il proprietario terriero, in quanto fornito di beni patrimoniali estesissimi, non può essere considerato mafioso anche se, per ipotesi, ha colluso con la mafia. Ma se questo fosse vero, bisognerebbe dimostrare che i gruppi sociali più forti in Sicilia in questi cento anni di unità nazionale sono stati i «campieri», i «soprastanti» e i «gabellotti», e non i baroni e i grandi proprietari terrieri, ciò che urta perfino contro il senso comune. Se una circostanza è lecito riproporre in sede di giudizio storico sullo sviluppo della società siciliana e meridionale, questa è che l’affittuario o «gabellotto», che dir si voglia, non ha avuto possibilità di sviluppo autonomo, cioè come borghesia nascente, come nella valle padana, ma è stato costretto ad accontentarsi di un semplice ruolo subalterno nell’ambito del modo di produzione latifondistico. Protagonista e beneficiario di questo modo di produzione è stato fondamentalmente il grande proprietario terriero, e non il «gabellotto» tant’è che il «gabellotto» quando la fortuna e la capacità gli hanno arriso, si è trasformato anche lui in proprietario terriero, avendo al suo servizio nuovi «gabellotti» (e così gli è stata offerta, attraverso anche il fenomeno della mafia, la possibilità di essere cooptato o. assimilato nella vecchia classe dominante).

Interpretare fa mafia come fenomeno della classe dirigente isolana, con la partecipazione decisiva del grande baronaggio della Sicilia occidentale, non significa che tutti i membri delle classi dirigenti siano stati o siano, come tali, membri attivi della mafia, ma solo che i membri della mafia rappresentano una sezione nient’affatto marginale delle classi dominanti, i cui interessi, appunto, possono anche entrare, poi, in contraddizione, nello svolgimento dei fatti, con aspetti dell’attività della mafia stessa.

Il popolo siciliano nel 1860 non si riconosce nel nuovo Stato perché dopo le promesse garibaldine: 1) viene soffocata nel sangue la sete di terra dei contadini siciliani: Bixio a Bronte e tutte le repressioni successive, sino a quella dei fasci del 1893-94; viene immediatamente tradita l’aspirazione all’autogoverno del popolo siciliano. A tutto ciò si aggiunga il servizio militare obbligatorio, le tasse ingiuste, la corruzione e le angherie delle classi dominanti. Ma il punto centrale è l'ostacolo allo sviluppo di una borghesia moderna e il rifiuto dell’autogoverno. Il patto scellerato fra il partito moderato di Cavour e la nobiltà feudale siciliana è all’origine di quel mancato sviluppo dell’autogoverno e di una borghesia moderna in 'Sicilia. Ma, dopo aver riconfermato il suo dominio, l’aristocrazia terriera ha bisogno di un forte potere repressivo per tenere a bada ì contadini. Il potere legale che è in grado di esercitare lo Stato sabaudo è insufficiente, nonostante il ricorso ripetuto allo stato d’assedio. La classe dominante siciliana sente, allora, il bisogno di integrarlo con quello extralegale della mafia, che si realizza sul feudo con i «gabellotti», i «soprastanti» e i «campieri». Si gettano così le basi del sistema di potere mafioso che si intreccia, come potere informale, con gli organi del potere statale; si realizza una vera e propria compenetrazione fra mafia e potere politico, con l’obiettivo di tenere a bada le classi sociali subalterne. Ad una parte dei ceti medi, a cui si impedisce di diventare borghesia. moderna, si apre la prospettiva della cooptazione nella classe dominante con l'accesso alla proprietà terriera, passando attraverso la trafila della «gabella» che consente di sfruttare e taglieggiare i contadini. Via via, d’altra parte, che l’aristocratico si allontana sempre più dalla terra, si apre la via al ricatto contro di esso e si offre spazio al «gabellotto» di essere lui l’erede del feudo, e cioè di essere affiliato alla classe dominante, e magari, poi, di conquistarsi il titolo di barone.

La mafia, d’altro canto, ricerca un consenso di massa per meglio raggiungere i suoi obiettivi. La mafia fa leva sul l’odio popolare contro lo «Stato carabiniere», contro un. potere statale estraneo, antidemocratico ed ingiusto, che nulla offre al popolo e sa solo opprimerlo. La mafia compie così una grande mistificazione, utilizzando il malcontento popolare, per fini contrari agli interessi reali del popolo siciliano: essa ha bisogno dell’omertà, per assicurarsi l’impunità nei suoi delitti, e cerca, anzi, la solidarietà dei siciliani. Viene così qualificato «sbirro» chi riconosce l’autorità dello Stato, che è per sua natura nemico della Sicilia: di siciliano non deve riconoscere lo Stato di polizia, anzi si sostiene che da questo Stato, che l'opprime, si deve difendere. In tal modo la mafia riesce a dominare il popolo siciliano ed a giustificare iil suo potere extralegale.

Ecco la radice dell'omertà, a cui certo si aggiunge, poi, la paura, il terrore della rappresaglia, che la mafia organizza contro chi si ribella alla legge della omertà. Ma questo gioco della mafia ha successo perché lo Stato non sa offrire al popolo siciliano null’altro che la repressione e gli stati d’assedio: nel 1860 con Bixio, nel 1863 col generale Govone, nel 1871 col prefetto Malusardi, che menò vanto di aver debellato la mafia, ricevendone onori e precedendo in ciò il prefetto Mori; e, infine, con la repressione del movimento dei fasci, nel 189394, sino al fascismo. Ecco la ragione dèi fallimento storico della lotta alla mafia.

Un particolare interesse ha 'l’analisi del fenomeno mafioso, di fronte al fascismo. Con l’avvento del fascismo gli agrari si sentono più tranquilli. Il potere fascista garantisce, in prima persona, la repressione del movimento contadino. Ecco perché si affievolisce il bisogno di far ricorso al potere extralegale della mafia: la pace sociale è garantita dallo Stato legale, che offre agli agrari grossi vantaggi nella immediata modifica dei patti agrari a danno dei mezzadri e dei coloni siciliani e nel prolungamento della giornata lavorativa del bracciante. La miseria nelle campagne siciliane, nel periodo fascista, è spaventosa: vi è una disoccupazione di massa. Si conoscono, poi, le conseguenze nefaste della battaglia del grano, di quella politica economica che portò alla riduzione delle aree trasformate a vigneto, ad agrumeto, ad ortofrutticoli. Ai braccianti venne offerto il miraggio delle terre di Abissinia.

Aumentò la superficie delle terre incolte e malcoltivate.

C'è poi una leggenda da smentire: che nel periodo fascista esistesse l'ordine assoluto. La verità è che la stampa non libera non raccontava tutto e quindi non si sapeva quante rapine, quante estorsioni, quanti sequestri di persona in quel periodo avvenissero. Lo stesso prefetto Mori, nella sua autobiografia, mentre afferma di aver dato un colpo alle bande organizzate nelle Madonie, e quindi al banditismo vero e proprio, sulla questione della mafia non riesce a dire niente di serio: anzi, a un certo punto, mena vanto di avere integrato nel sistema fascista i «campieri» dei feudi.

Ecco perché la mafia non è scomparsa, perché nel periodo fascista ha potuto vegetare all'ombra del potere senza bisogno di compiere gesti particolarmente clamorosi. L’alta mafia uscì indenne dalla repressione fascista. La repressione indiscriminata, con le retate di massa, le perquisizioni su larga scala nelle case della povera gente all’epoca di Mori, ed in quelle successive, i metodi vergognosi della polizia fascista, il sistema delle torture per far confessare imputati spesso innocenti, sottoposti a sevizie inenarrabili, ebbero il triste risultato di alimentare l’odio di massa contro lo Stato.

1. — Il nodo del 1943.

Bisogna avere presente che sempre, nei momenti di crisi, il popolo siciliano ha riproposto la sua aspirazione all’autogoverno; nel 1860 come nel 1893 ed ora, nel 1943, al crollo del fascismo.

In realtà, il popolo siciliano vide nella caduta del fascismo il crollo dello Stato accentratore, poliziesco, protettore delle ingiustizie sociali; lo Stato che aveva detto sempre «no» alle sue aspirazioni all'autogoverno ed alla giustizia sociale. Ed è questa la componente sana, più genuina, dell’indipendentismo siciliano.

Certo, gli agrari, ancora una volta, fanno leva su questo sentimento per distorcerlo ai loro fini: essi temono, infatti, che dal crollo del fascismo sorga uno Stato nazionale diverso, in cui la classe operaia e le masse contadine possano avere — come poi, in effetti, hanno avuto — un ruolo diverso; temono «il vento del Nord».

Giungiamo così al nodo del 1943: al punto fondamentale, cioè, della nostra inchiesta.

Un rinnovato alimento la mafia lo ricevette dal modo in cui avvenne la liberazione della Sicilia nell’estate del 1943. Nella loro manovra, gli agrari, all’inizio, si incontrano con le forze di occupazione angloamericane che, anche in Sicilia, si appoggiavano a gruppi sociali conservatori. C'è infine l'utilizzazione, da parte dei servizi segreti americani, del gangsterismo siculo-americano nella preparazione dello sbarco in Sicilia e l’insediamento di sindaci mafiosi in numerosi centri dell’Isola. Tutto ciò venne favorito dalla debolezza dei partiti antifascisti in Sicilia e dalla mancanza di una lotta di massa per la liberazione. Ma la convergenza della mafia sulle posizioni separatiste durò poco: proprio perché la mafia deve appoggiarsi al potere. politico, appena si rese conto che il Movimento per la indipendenza della Sicilia non aveva alcuna prospettiva di conquistare il potere, cambiò bandiera.

Una parte della mafia e del mondo agrario, quando si accorsero che il Movimento per l’indipendenza della Sicilia non aveva alcuna prospettiva di conquistare il potere nell'Isola, tarmò ai vecchi amara col vecchio personale politico dello Stato prefascista, con i vecchi notabili che si erano schierati sulle posizioni dej partito liberale e dei gruppi monarchici e qualunquisti che pullulavano in quel periodo (1).

In questo quadro, non bisogna trascurare le grandi manovre che l'aristocrazia terriera siciliana compì alla vigilia del referendum del 2 giugno 1946: l’accordo sull'ipotesi di staccare la Sicilia dall'Italia, nel caso di vittoria della Repubblica, e di insediare in Sicilia la monarchia sabauda, come punto di riferimento per un ritorno vandeano verso il Continente. Da qui i collegamenti realizzati dai monarchici con il bandito Giuliano, fino alla strage dii Portella della Ginestra.

2. — Rapporto mafia-banditismo-Governo.

La Commissione parlamentare antimafia non può rifiutarsi — come fa la relazione di maggioranza — di trarre conclusioni politiche dalla drammatica vicenda della strage di Portella della Ginestra e dalla morte di Giuliano. È fuori dubbio che Giuliano, sparando a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, intendeva compiere una strage in occasione della Festa del lavoro in una zona nevralgica della provincia di Palermo dove la CGIL

(1) Di particolare interesse, a questo proposito, appare quanto si legge a pagina 74 della «Relazione sull'indagine riguardante casi di singoli mafiosi» pubblicata nella scorsa Legislatura (Documento XXIII, n. 2quater, Camera dei deputati,,V Legislatura): «Il dottor Navarra, che era rimasto estraneo al fascismo, si schiera, secondo l’orientamento comune dei maggiorenti mafiosi dell’epoca, con il Movimento di indipendenza siciliana sin dal suo nascere. Il movimento era, come è noto, appoggiato da tutta la mafia isolana e così il Navarra ne approfittò per consolidare i vincoli di amicizia e ”rispetto" con gli altri capimafia dell’entroterra (Calogero Vizzini, Genco Russo, Vanni Sacco ed altri), incrementando, conseguentemente, il suo già alto potenziale mafioso e venendo tacitamente riconosciuto, per "intelligenza” e per essere uno dea più vicini alla capitale dell’Isola, quale influente esponente di tutta la mafia siciliana, ottenendo così non solo la stima ma anche la "deferenza” degli altri mafiosi di grosso calibro.

«Venuto meno il Movimento, il Navarra ed altri si orienteranno poi verso il PLI, partito al quale avevano dato le loro preferenze anche taluni grossi proprietari terrieri della zona.

«Solo allorquando, dopo il 1948, la DC apparve come ài partito più forte, si assistette — sempre a titolo speculativo ed opportunistico — al passaggio in massa nelle file della DC di grandi mafiosi, con tutto il loro imponente apparato di forza elettorale.

«Anche il Navarra non fu da meno degli altri capimafia e in Corleone e comuni viciniori (Marineo, Godrano, Bisacquino, Villafrati e Prizzi) attivò campagne elettorali e sensibilizzò le amicizie mafiose, onde dirigere ed orientare votazioni su personaggi ai quali, in seguito, si riprometteva di chiedere favori, così come ormai era nel suo costume mentale».

e i partiti di sinistra si erano notevolmente sviluppati.

Tale strage si colloca in un momento decisivo della vita politica siciliana: all'indomani delle elezioni della 1“ Assemblea regionale siciliana che aveva visto i partiti di sinistra, uniti nel Blocco del popolo, conquistare la maggioranza relativa dei voti e quindi il diritto ad assolvere ad un ruolo decisivo nel governo regionale, e mentre c’è la crisi dello schieramento antifascista sul piano nazionale e internazionale, e a Roma si apre la crisi di governo con l’obiettivo di escludere il PCI e il PSI dal governo per bloccare le riforme delle strutture economiche e sociali del Paese.

Risulta evidente che ad armare la mano di Giuliano furono forze collegato al blocco agrario siciliano (e anche a centrali straniere) che intendevano sviluppare un aperto ricatto verso la DC per indurla a rompere con i partiti di «sinistra in Sicilia contribuendo cosi ad accelerare anche la rottura sul piano nazionale.

D’altro canto, la banda Giuliano diede un seguito alla sua azione terroristica, e dopo la strage di Portella, nelle settimane successive, si ebbero attacchi alle sedi del PCI e del PSI e delle Camere del lavoro in numerosi comuni del palermitano (S. Giuseppe Iato, Partinico, Monreale, S. Cipirello, eccetera) nel corso dei quali furono assassinati e feriti numerosi lavoratori.

Più in generale, nella gran parte della provincia di Palermo si creò un clima di terrore che rendeva impossibile l’esercizio delle libertà democratiche da parte dei partiti di sinistra e della CGIL. Tale clima di terrore venne alimentato sino alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 che segnarono una profonda modifica dei rapporti di forza fra partiti in tutti i comuni di influenza della banda Giuliano.

Prendiamo ad esempio i dati elettorali di Montelepre. Il 20 aprile 1947 (elezioni regionali), il MSI democratico repubblicano, la lista di Varvaro, prese 1.951 voti, la DC 719 voti, il Partito monarchico 114, il Blocco del popolo 70. Nel 1948 la DC passa da 719 a 1.593, i monarchici da 114 a 1.034, il Fronte democratico popolare, in cui è candidato Varvaro, prende soltanto 27 voti. Occorre vedere, poi, le preferenze personali di Mattarella e degli altri che non erano della zona di Partinico ed esaminare come si impedì (ci sono i documenti in possesso dell’Antimafia) (2) al Fronte democratico popolare di tenere una qualunque forma di propaganda elettorale in tutta la zona. A trarre benefici dall’«intervento» elettorale della banda Giuliano, furono il PNM da un lato e la DC dall’altro. Ciò spiega la difficoltà in cui poi si trovò il Governo nel dare conto al Parlamento e al Paese della morte di Giuliano.

Si verificò, in questa circostanza, un fatto enorme. Il Governo si servì della mafia per eliminare il bandito. Giuliano doveva essere preso morto perché non potesse parlare. Si creò, così, la messinscena della sparatoria nel cortile De Maria a Castelvetrano. Il Ministro dell’interno dell'epoca emanò un bollettino con cui si accreditava la falsa versione della morte di Giuliano e si promuovevano sul campo tutti i protagonisti dell'impresa. Il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca venne promosso generale. Il prefetto Vicari fu promosso prefetto di prima classe e da lì spiccò il volo sino a diventare Capo della polizia. Ma bisognava anche impedire che la Magistratura aprisse una qualche inchiesta sui fatti e allora si pensò di «tacitare» il Procuratore generale di Palermo, Pili, che era alla vigilia di andare in pensione.

Il Presidente della Regione (che era allora l'onorevole Franco Restivo!) si incaricò di offrire a Pili un importante incarico: al momento di entrare in quiescenza lo nominò consulente giuridico della Regione siciliana. E così il cerchio si chiuse.

(2) Vedi la deposizione resa l’8 gennaio 1971 dall’onorevole Varvaro al Comitato ristretto della Commissione antimafia presieduto dall’onorevole Bemandinetti (pubblicata come allegato 23, alle pagine 741 e seguenti del Doc. XXIII, n. 2 sexies, Camera dei deputati, l Legislatura).

Tutti gli organi dello Stato furono in verità coinvolti in una operazione che. doveva servire ad impedire che si accertasse la verità sulle collusioni fra alcuni uomini politici e la banda Giuliano. Ma per raggiungere questo risultato si fece ricorso alle cosche mafìose che ne uscirono rafforzate e accresciute nel loro peso politico. Tale peso politico la mafia lo utilizza nel contrastare le lotte contadine per ila riforma agraria e 11 rinnovamento sociale della Sicilia.

3 — Lotte contadine e riforma agraria.

Al momento del crollo del fascismo, il latifondo siciliano si presentava intatto nelle sue caratteristiche fondamentali. Gran parte delle terre erano incolte o malcoltivate. La maggior parte delle grosse aziende (gli ex feudi) erano in mano ai «gabellotti». Il movimento contadino siciliano si andava organizzando sotto le bandiere della CGIL. Gli agrari si rifiutavano di riconoscere le leggi agrarie dei governi antifascisti dei CLN, boicottavano i decreti Gullo e Segni che modificavano i riparti dei prodotti agricoli a favore dei mezzadri e quelli per l'assegnazione delle terre incolte.

Ma il primo scontro avvenne attorno ai «granai del popolo». Quando il Governo, per rifornire le città affamate, organizzò l’ammasso, gli agrari mobilitarono la mafia. E furono uccisi Andrea Rada, segretario della sezione comunista di Casteldaccia; D'Alessandro a Ficarazzi; Maniaci a Cinisi.

I decreti Gullo traevano origine dalla necessità di aumentare la, produttività agricola. Si spingevano i contadini a seminare le terre incolte offrendo anche l'incentivo di una ripartizione più favorevole del prodotto. Si sviluppò così, dal 1944 in poi, e con un ritmo crescente, di più vasto e organizzato movimento contadino della storia della Sicilia. Sorsero centinaia di cooperative che chiesero in affitto le terre incolte o malcoltivate e avviarono un rilevante processo di trasformazione di vaste aree. Le lotte per l'assegnazione delle terre incolte e malcoltivate e quelle per un più equo riparto dei prodotti agricoli assunsero aspetti davvero drammatici.

Non vi è dubbio che il movimento contadino siciliano con la sua parola d’ordine «fuori il gabellotto dai feudi» abbia dato il via ad uno scontro frontale con la mafia. Potrebbe, infatti, sorgere l’interrogativo se il gabellotto, come espressione di una borghesia «impedita nel suo sviluppo», non avesse diritto, anch’egli, ad uno spazio nel processo di trasformazione del latifondo siciliano. Era, infatti, inevitabile che il gabellotto, messo con le spalle al muro dai contadini, reagisse con tutta 'la violenza di cui erano capaci le cosche mafiose delle quali egli era espressione. Da qui la lunga catena degli eccidi di dirigenti contadini commessi in quegli anni.

Il fatto grave è che l'apparato dello Stato si comportò sempre in modo da garantire l'impunità degli assassini e dei mandanti. La questione è decisiva e merita una spiegazione. politica.

Occorre, a questo fine, rispondere all’interrogativo: verso quali forze politiche si orientarono ile cosche mafiose dopo il tramonto del Movimento separatista? Una parte si orientò verso i vecchi esponenti del trasformismo politico siciliano (liberali, monarchici, e qualunquisti). Una parte, invece, si orientò verso la Democrazia cristiana. La operazione venne iniziata già nel periodo in cui l’onorevole Salvatore Aldisio era Alto commissario per la Sicilia.

Uomini come Aldisio, Milazzo, Alessi, Scelba e Mattarella, all'inizio, furono protagonisti d'una battaglia di recupero su posizioni autonomistiche degli strati di piccola e media borghesia siciliana che avevano fatto la scelta separatista. Aldisio diventò Alto commissario della Sicilia per conto del Governo nazionale dei Comitati di liberazione e impostò una spregiudicata azione per dare una base di massa al suo partito. Si manifestò subito, nell'azione dall'Alto commissario Aldisio, la doppia anima della politica che poi la Democrazia cristiana seguirà negli anni successivi: da un lato, un programma di riforme e di sviluppo democratico e dall’altro la ricerca di un compromesso con d ceti parassitari isolani. Questa contraddizione trovò un nodo risolutore nella rottura dell’unità antifascista nella primavera del 1947.

Quando mettiamo in evidenza questo aspetto nel rapporto fra DC e cosche mafiose sappiamo che si è trattato di un rapporto che si è modificato nel corso degli anni, avendo ampiezza e influenza variabili.

Abbiamo accennato già, a proposito della strage di Portella della Ginestra, al ricatto e alla pressione che le forze del blocco agrario siciliano intesero esercitare, in quell’occasione, nei confronti della Democrazia cristiana perché all'indomani delle elezioni siciliane del 20 aprile 1947 andasse ad una rottura aperta con i partiti della sinistra.

Mentre lo Statuto preparato dalla Consulta regionale era stato il frutto di una intesa fra i grandi partiti antifasoisti che erano allora nel Governo nazionale, dopo la strage di Portella si formò un' governo regionale minoritario democristiano con l’appoggio delle forze della destra monarchico-liberal-qualunquista. La Democrazia cristiana, dopo Portella, cedette al ricatto del blocco agrario e anticipò in Sicilia la rottura dell’alleanza fra i grandi partiti di massa, che qualche settimana dopo si ripetè anche al livello nazionale. L’impianto della Regione siciliana venne attuato in quel clima e con quello schieramento che preparò in Sicilia le elezioni del 18 aprile 1948. Nel corso di quella campagna elettorale furono compiuti alcuni dei più efferati delitti di mafia contro esponenti del movimento contadino siciliano. Vogliamo ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia, Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste tre zone fondamentali nella provincia di Palermo e socialisti. Perché tre socialisti? Gli assassinai si susseguirono a distanza di pochi giorni. Vi era stata la Scissione socialdemocratica e il movimento contadino in Sicilia restava, invece, unito; occorreva, dunque, dare un colpo al movimento e da parte della mafia si sviluppò una campagna di intimidazioni verso i dirigenti socialisti. L’assassinio dei tre fu un fatto simbolico; non a caso a difendere Leggio nel processo per l’assassinio di Rizzotto fu l’avvocato Rocco Gullo, allora massimo esponente della socialdemocrazia palermitana.

Ecco perché il voto del 18 aprile, in Sicilia, vide tutte le forze conservatrici e parassitarne fare quadrato intorno alla Democrazia cristiana. Si creò un clima di terrore per ricacciare indietro il movimento contadino che aveva osato mettere in discussione il dominio del blocco agrario. Il voto per la DC da parte di queste forze fu una ipoteca consapevole che si volle mettere sulla politica di quel partito (e quelle stesse forze erano pronte a ritirare la fiducia data, come faranno nelle elezioni successive, perché, se andiamo a vedere le oscillazioni dei voti per la Democrazia cristiana in certe zone della Sicilia, vediamo che il rapporto fiduciario fra queste forze e la DC non è un rapporto organico e le cosche decidono a seconda delle circostanze).

La situazione, però, in quel momento politico ha preso una china ineluttabile; dopo le elezioni del 18 aprile, infatti, si procedette in Sicilia al consolidamento dello schieramento di centrodestra al governo della Regione. Cadde il governo monocolore di Alessi, che era stato una sorta di governo di transizione (monocolore DC con appoggio liberalqualunquista di destra) e si costituì il governo organico di centrodestra presieduto dall'onorevole Restivo, del quale entrarono a far parte come assessori gli esponenti più qualificati del blocco agrario e del sistema di potere mafioso. Tale schieramento governò la Regione ininterrottamente per sette anni: dal 1948 al 1955; fu il famoso settennio «restiviano» dei governi del blocco agrario.

Ecco, allora, la risposta all’interrogativo angoscioso del perché dall'inquinamento mafioso della Regione. La Regione siciliana fu impiantata da uno 'schieramento politico che era l'espressione organica del blocco agrario e del sistema di potere mafioso. Il decollo della Regione, la fondazione dell’autonomia richiedeva il contributo di tutte le componenti popolari che l’avevano voluta e che avevano preparato lo Statuto. La discriminazione che si aprì nel maggio 1947 verso la parte ipiù avanzata e combattiva del popolo siciliano, che aveva dato un terzo dei voti (maggioranza relativa) al Blocco del popolo, offriva lo spazio ad un sistema di potere fondato sul clientelismo, sulla corruzione e sulla mafia.

L’autunno dal 1949 e la primavera del 1950 furono caratterizzati iin Sicilia da una ondata di lotta per la terra di eccezionale portata. Decine di migliaia di ettari di terra vennero occupati dai contadini che in molti casi procedettero anche alla quotizzazione e alla semina dei fondi occupati. È nota la violenza della repressione organizzata in quel periodo dal ministro dell’interno Scelba. In Sicilia centinaia di dirigenti e migliaia di contadini furono arrestati e condannati, in molti casi, a numerosi anni di carcere. Ma nonostante la repressione il movimento continuò a dilagare per molti mesi provocando, anche io Sicilia, all’interno della Democrazia cristiana il prevalere delle tendenze favorevoli all’attuazione di una riforma agraria.

Dopo un ampio dibattito, l'Assemblea regionale siciliana, il 27 dicembre 1950, approvò un’importante legge di riforma agraria che oltre a fissare il limite delle proprietà terriere a 200 Ha, imponeva agli agrari alcuni vincoli per la trasformazione delle terre che restavano di loro proprietà.

Ma quella legge, varata in un clima drammatico, doveva essere apertamente sabotata e restare per cinque anni senza attuazione. Fu scatenata dagli agrari siciliani un'«offensiva della carta bollata» per bloccare l’attuazione della legge. Ma quell'offensiva potè avere successo perché il governo regionale, presieduto dall'onorevole Restivo, fu ben lieto di assecondare la manovra degli agrari e dei loro avvocati. Intanto gli avvocati degli agrari erano noti esponenti della Democrazia cristiana siciliana come il professor Gioacchino Scaduto (allora sindaco di Palermo); il professor Pietro Virga (allora assessore ad lavori pubblici del Comune di Palermo); il professor Lauro Chiazzese, Rettore dell’Università, presidente della Cassa di Risparmio V. E. per le province siciliane, e segretario regionale amministrativo della DC; il professor Orlando Cascio, uomo di fiducia del ministro Mattarella.

Queste personalità, presentando i ricorsi degli agrari, erano in grado di influenzare fortemente l'attività dell'Assessorato regionale all'agricoltura e dell'Ente di riforma agraria. Il personale dell’Assessorato della agricoltura e quello dell'Ente di riforma agraria, d'altro canto, era stato assunto con i peggiori metodi del clientelismo privilegiando alcuni rampolli delle più note famiglie mafiose. Le connivenze, pertanto, diventarono un fatto normale. Solo così si spiega il fatto che per ben 5 anni gli agrari riuscirono a bloccare l’attuazione della riforma.

Nello stesso tempo venne attuata una colossale truffa nei confronti dei contadini siciliani con l’operazione vendita delle terre in violazione della legge di riforma agraria. Protagonista di questa operazione doveva essere la mafia.

Le relazioni presentate dalle Federazioni comuniste di Caltanissetta, Agrigento e Trapani nel 1963 alla nostra Commissione documentano. gli episodi più significativi di questa grande truffa. (Le relazioni sono pubblicate in allegato: v. allegati nn. 1, 2 e 3). La relazione della Federazione comunista di Caltanissetta documenta come in quella provincia, negli anni successivi all’approvazione della legge, siano stati venduti circa 20.000 Ha di terra.

A pag. 22 della relazione si legge infatti:

«Per avere una esatta dimensione dell’enorme truffa consumata ai danni dei contadini e della economia di interi paesi basta citare i seguenti dati: le terre vendute ammontano complessivamente a circa 20.000 ettari; esse sono state pagate a lire 300.000400.000 per ettaro cioè sono costate ai contadini 68 miliardi più gli interessi, le taglie (vedi vendite Riggiulfo-Cotugno) e le enormi spese che sui contadini sono gravate (nei feudi Deri, Montecamino, Mostunuxaro, Mustogiunto, acquistate dai contadini di Santa Caterina, tramite una cosiddetta cooperativa di combattenti, dopo aver regolarmente pagato cambiali per ben dieci anni, i contadini hanno constatato che ancora non avevano decurtato di una sola lira il debito derivante dall’acquisto delle terre!).

«Per ile stesse terre che hanno formato oggetto di queste vendite in tutta la provincia (ripetiamo circa 20.000 ettari) se espropriate dall’ERAS in attuazione della legge di riforma agraria sarebbero state. pagate ai proprietari 80100 mila lire per ettaro, cioè complessivamente da lire 1 miliardo e 600 milioni a lire 2 miliardi. È chiaro che le enormi taglie imposte dagli agrari, dai mafiosi e da determinate forze politiche ai contadini non hanno avuto fa foro tragica incidenza sulla situazione ormai rovinosa esistente nelle campagne. Quei contadini che, a. suo tempo, comprarono le. terre sono stati i primi a fuggire dalle campagne oppressi dalle cambiali e impossibilitati, dato il grave indebitamento, a realizzare una qualsiasi opera di trasformazione nelle campagne».

Analogamente accadde ad Agrigento a Trapani e a Palermo, come documenta la Commissione di inchiesta nominata nel 1959 dal governo Milazzo e presieduta dal dottor Merra (la cui relazione è agli atti della nostra Commissione).

Ecco allora che il caso del fondo Polizzello di Mussameli, su cui. giustamente sì sofferma la relazione in esame, non è un episodio isolato e nemmeno eccezionale. Episodi analoghi si verificarono in decine di comuni della Sicilia occidentale. Essi furono possibili perché le cosche maliose di quei paesi erano ormai entrate nel sistema di potere della Democrazia cristiana di quei comuni. Nel caso di Polizzello, infatti, Genco. Russo era ormai diligente della Democrazia cristiana di Mussomeli dove arrivò ad essere consigliere comunale oltreché vice presidente del Consiglio di amministrazione del Consorzio di bonifica dal Platani e Tumarrano.

Ma Genco Russo e i suoi complici, quando andarono a Roma per trattare con l’Opera nazionale combattenti, erano accompagnati dai parlamentari democristiani con alla testa l’onorevole Calogero Volpe che può essere definito il cervello politico del sistema di potere mafioso in provincia di Caltanissetta.

Lo stesso si può dire per la vicenda del dottor Michele Navarra, il capomafia della zona di Corleone. II dottor Navarra fu anche lui il capo elettore dell'onorevole Calogero Volpe o di altri parlamentari. regionali e dirigenti della DC.

Analogamente si può dire del capomafia di Raffadali professor Di Carlo che fu capo elettore dell’onorevole Di Leo. Risulta evidente che i casi di Genco Russo a Mussomeli, di Navarra a Corleone e di Di Carlo a Raffadali sono emblematici di una situazione molto diffusa in decine di comuni della Sicilia occidentale.

Risulta evidente come nel periodo. della «mafia agricola» le più importanti cosche mafiose della Sicilia occidentale confluirono nel sistema di potere della DC. Ciò spiega la loro potenza e come riusciranno prima a bloccare la riforma agraria e poi a svuotarla largamente con l’operazione vendita delle terre. Ciò spiega anche l’inquinamento dalla Pubblica amministrazione. L’Ente di riforma agraria, d consorzi di bonifica, i consorzi di irrigazione eccetera erano in mano alla mafia.

La rottura del latifondo in Sicilia avvenne attraverso un processo contraddittorio. Da un lato venne ritardata e distorta l’attuazione della legge di riforma agraria, dall’altro lato si realizzò l’operazione vendita delle terre che offrì un nuovo campo di attività alla mafia.

4— Mafia urbana.

È necessario rispondere agli interrogativi relativi al perché e al come avviene rincontro fra la nuova leva mafiosa e di tipo urbano e la nuova leva di uomini politici dei partiti governativi che avanza sulla scena pubblica dopo la crisi del blocco agrario e che provoca la caduta dei governo Restivo nel 1956. Quando, ad esempio, sd fa la biografia di Ciancimino come caso emblematico, bisogna rispondere a questo interrogativo: da dove è venuto e come è potuto accadere? Bisogna qui fare l’analisi del processo di sviluppo economico, e, parallelamente, di quello politico. Per quanto riguarda la Democrazia cristiana, dopo di congresso di Napoli del 1954, che vede la vittoria della linea Fanfani, prevale la concezione integralistica, per cui in provincia di Palermo l’onorevole Gioia passa dalla linea restiviana di alleanza soltanto elettorale e governativa con forze di destra che erano espressione organica di cosche maliose, ma che restavano distinte e separate dal partito democristiano, ad una concezione che mirava ad assorbire all'interno della DC quelle stesse forze. Non che Restivo disdegnasse il passaggio nelle file della DC di noti esponenti del blocco conservatore: vogliamo ricordare di caso del professor Lauro Chiazzese (ex dirigente del PLI, diventato segretario regionale amministrativo della DC). Ma Restivo come suo metodo fondamentale tendeva a mantenere una distinzione del blocco di forze più parassitario (la CESPA, il gruppo parlamentare degli ex fascisti e qualunquisti, è uno dei capolavori dell'onorevole Restivo, quando era Presidente della Regione: 7 deputati regionali che costituivano un gruppo parlamentare al servizio del Presidente della Regione).

Con l’avvento di Gioia prevale invece lo orientamento di costringere le forze ex liberali e monarchico-qualunquiste ad entrare nella DC. La relazione che la Federazione comunista di Palermo ha mandato alla Commissione antimafia (vedi allegato n. 4) elenca le persone che fino al 1956 erano state esponenti, consiglieri comunali, deputati regionali e parlamentari nazionali del Partito monarchico e del Partito liberale e che, via via, passano con tutto il loro codazzo alla DC: da Di Fresco, attuale presidente della Provincia di Palermo, ad Arcudi e Cerami, che sono tuttora senatori della Repubblica, ai fratelli Giganti, uno assessore al Comune e l’altro alla Provincia, ai Guttadauro padre e figlio, uno assessore al Comune e l'altro alla Provincia, a Pergolizzi, e così via. Le cosche mafiose, che erano portatrici della forza elettorale di questi personaggi erano confluite nella DC con alla testa i bosses mafiosi delle varie zone di Palermo: Paolino Bontà, Vincenzo Nicoletti, Pietro Torretta, La Barbera, Greco, Gambino, Vitale eccetera.

Lo stesso accadde in decine di comuni della provincia: cosche mafiose ex-liberali, ex-separatiste (le cosche, in provincia, erano ex-liberali ed ex-separatiste) confluirono nella DC. L’episodio di Camporeale possiamo definirlo un infortunio sul lavoro, nel senso che a Camporeale la morte dà Almerico è un incidente. In numerosi altri comuni l'immissione delle cosche mafiose nelle sezioni della DC avvenne pacificamente pur tra resistenze, contraddizioni, espulsioni, ritiri sotto la tenda di esponenti democristiani, cattolici e democratici, che non accettavano questa immissione nel loro partito delle forze legate alla mafia. A Camporeale la resistenza ferma e tenace del professor Almerico provocò la reazione violenta del boss Vanni Sacco nei termini che sappiamo. E l'onorevole Giovanni Gioia, segretario della D,C a Palermo, non batté ciglio e proseguì imperterrito nell'opera di assorbimento delle cosche mafiose nella DC.

C'è da rilevare che dopo il primo dibattito svoltosi nella Commissione veniva presentato dal Presidente un nuovo testo della relazione. Constatammo, con sorpresa, che erano state aggiunte delle pagine biografiche riguardanti alcune persone del mondo politico ed economico siciliano che non figuravano nella prima stesura e che non avevano nessun rapporto col fenomeno mafioso. Si tratta dal deputato socialista Salvatore Fagone, dell’avvocato Vito Guarrasi e dell'ingegnere Domenico La Caverà. Tali nomi erano stati indicati a fini diversivi dai commissari della destra fascista. Si trattava quindi e si tratta di un evidente cedimento a forze di destra e a gruppi interessati a intorbidire le acque.

Successivamente il Presidente accettava di depennare dalla rosa dei nuovi nomi quello del deputato socialista Fagone mentre, pur negando che avessero alcun legame con la mafia e pur ridimensionando i rilievi precedentemente fatti, ha voluto lasciare nella sua relazione gli altri due nomi.

Intanto, come dimostreremo più avanti, La Caverà rappresenta la borghesia imprenditoriale siciliana che tenta di opporsi alla politica dei grandi gruppi monopolistici e rimane schiacciata. Diverso il caso Guarrasi che è il tipico professionista abituato a rendere i suoi servizi ad alto livello tecnico e professionale. Ma come lui ci sono decine di uomini in Sicilia. La differenza fra Guarrasi e gli altri consiste nel fatto che Guarrasi ha reso servizi anche alle sinistre. Ecco perché si infierisce contro di lui e non contro gli altri che più organicamente e stabilmente hanno espresso il sistema di potere mafioso: il notaio Angilella, il notaio Margiotta, l’avvocato Orlando Cascio, il professor Chiazzese, il professor Scaduto, l’avvocato Noto Sardegna, l’avvocato Cacopardo, eccetera. Ma qui l’obiettivo è più ambizioso. Dalla relazione della maggioranza risulterebbe che il punto di massima espansione della potenza della mafia in Sicilia sarebbe quello del governo regionale presieduto dall’onorevole Silvio Milazzo (14 mesi che 'vanno dall’ottobre 1958 al dicembre 1959). Si tratta. di un falso storico. La rivolta siciliana del 1958 è contro il sistema di potere arrogante, integralista, antidemocratico, clientelare e mafioso del gruppo dirigente fanfaniano in Sicilia.

In conseguenza della rottura del blocco agrario in Sicilia, a metà degli anni ’50, si crearono nuove possibilità di inserire le forze della piccola e media borghesia siciliana in un rinnovato processo di sviluppo economico dell'Isola. In quel clima si costituì in Sicilia il governo dell'onorevole Alessi (allora vicino a Gronchi), che ripropose, anche se con timidezza e contraddizioni,:i temi dello sviluppo dell’autonomia, e per la prima volta, quelli di un piano di sviluppo economico regionale. Ma un tale disegno entrava in contraddizione con la strategia di espansione monopolistica nelle regioni meridionali. Lo scontro si fece aspro e ravvicinato. Sulla base di tale scontro si determinò una profonda crisi e una differenziazione nelle forze sociali e negli schieramenti politici. Una crisi si aprì tra la Confindustria e la direzione della Sicàndustria, quale organizzazione delle forze della borghesia imprenditoriale isolana che pretendevano di avere un ruolo determinante nel. processo di industrializzazione della Sicilia. Anche nelle forze del capitalismo agrario sii manifestarono analoghi segni di crisi a causa delle scelte politiche del Mercato Comune Europeo e della fine del protezionismo granario (prezzo politico del grano duro, eccetera).

Più in generale, la strategia di espansione monopolistica riproponeva in quel periodo il problema della omogeneizzazione dell’apparato amministrativo e statale. Si imponeva anche un ricambio di tutto il personale politico incapace di adeguarsi ai «nuovi tempi». L'ideologia per tale ricambio, dal 1955 al 1958, la fornì, anche in Sicilia, l'integralismo fanfaniano, che conquistò le leve di comando all’interno della Democrazia cristiana, con la velleità dì essere portatore di una politica di sviluppo e di rinnovamento. Ma la contraddizione fondamentale era rappresentata dall’accettazione di un disegno esterno che si scontrava con l'esigenza di un reale sviluppo democratico. In particolare in Sicilia questi gruppi si mostrarono subito incapaci di intendere il valore dell’autonomia. Donde un più rapido loro scadimento a gruppi di potere, col risultato che,. sull'onda del «fanfanismo», si fece avanti un nuovo personale politico specialista nell'arte del sottogoverno, spregiudicato e senza scrupoli, assetato di comando e ricchezza. Tale personale si mostrò disponibile per un rinnovato tentativo di colonizzazione per una vera e propria subordinazione della Regione alla politica di rapina dei monopoli, secondo un disegno che era stato apertamente prospettato sin dalla fine del 1955 al convegno del CEPES di Palermo. (In quell’occasione si riunirono a Villa Igea, sotto la presidenza del professor Valletta, d più bei nomi della finanza italiana per dire no ad ogni ipotesi di programmazione economica regionale in Sicilia).

Venne rapidamente liquidato, pertanto, il governo Alessi. Al suo posto si insediò, nel 1956, il governo La Loggia, che si presentò immediatamente come il coerente interprete della strategia monopolistica e dell’integralismo fanfaniano.

Risulta evidente che in una realtà come quella siciliana, e in presenza del regime di autonomia, il disegno monopolistico doveva non solo scontrarsi con le forze avanzate della classe operaia e del movimento democratico ed autonomista isolano, ma scatenare una rivolta in settori importanti della borghesia isolana e nelle stesse file della DC.

L'occasione venne dal tentativo di colpo di mano di La Loggia che nell’estate del 1958, battuto nel voto sul bilanciò,. rifiutava di dimettersi.

Nella lunga battaglia parlamentare caratterizzata dall'ostruzionismo delle sinistre, si aprì una profonda differenziazione nel gruppo parlamentare DC sino alla spaccatura aperta. Si arrivò, dopo una lunga crisi, alla elezione dell'onorevole Silvio Milazzo alla Presidenza della Regione e alla rivolta autonomistica del 1958-59.

La formazione dea governi Milazzo era sin dall’inizio limitata da condizioni negative (quali la convergenza sul piano parlamentare della destra missina, quasi 'subito peraltro riassorbita all’alleanza con la DC, e il carattere contraddittorio della linea politica e della formazione milazziana). Errori successivi — e deplorevoli elementi trasformistici e di provocazione — contribuirono ad offuscare di reale valore democratico e autonomistico di quella battaglia, favorendone sia incomprensioni, sia interessate falsificazioni.

Fu merito dell’onorevole Milazzo respingere il ricatto anticomunista in nome della causa autonomistica; fu suo limite ed errore il restare in parte impigliato nell’anticomunismo e nell’illusione che il collegamento con forze di destra potesse servire alla Sicilia.

È naturale che in quel clima di profondo sommovimento della vita «sociale e politica dell’Isola alcune frange mafiose abbiano cercato di trovare addentellati con esponenti del nuovo governo. Ma è un diversivo l’affermazione della relazione che quello fu il periodo di massima espansione del potere mafioso.

Lo schieramento di forze che si costituì attorno a Milazzo si dimostrò incapace per la sua insufficienza parlamentare e per la sua eterogeneità di governare la Sicilia. Si manifestarono ritardi nel capire i limiti di quello schieramento e si alimentarono illusioni su quello che era possibile fare in quelle condizioni. Ma in quel breve periodo, sotto la spinta dei partiti di sinistra, furono attuate alcune esemplari iniziative antimafia: 1) la cacciata di Genco Russo e Vanni Sacco dai consorzi di bonifica; 2) l’inchiesta suill'ERAS della Commissione presieduta dal giudice Merra (agli atti della Commissione).

Il sistema di potere mafioso ricevette, invece, nuovo alimento dal modo in cui, da parte di alcuni settori della grande industria, dell'agraria siciliana e della DC, si operò per rovesciare il governo Milazzo. Si sviluppò una campagna allarmistica, affermando che tutti i mezzi erano buoni per raggiungere Io scopo di far cadere quel governo. E i mezzi usati furono quelli del ricatto e della corruzione verso alcuni esponenti di quel governo utilizzando, ancora una volta, la mafia.

Contemporaneamente, per riconquistare la direzione della Regione la DC non esitò a dar vita allo «schieramento antimarxista» a consegnare la Presidenza della Regione al monarchico Majorana (oggi senatore del MSI) e a imbarcare nel governo esponenti del MSI. Si faceva compiere alla Sicilia un passo indietro di almeno dieci anni, dando nuovo spazio alle forze peggiori del clientelismo e dell’ascarismo mafioso. La sconfitta della «rivolta milazziana», costituì un'altra delusione del popolo siciliano e aprì un periodo di difficoltà nelle lotte per l’autonomia e il rinnovamento democratico della Sicilia.

A tanti anni di distanza, quella breve, contraddittoria e complessa esperienza va ricondotta al suo vero significato legato ai termini dello scontro politico, aspro e violento, che in quel periodo vi fu fra DC e partiti di sinistra. Emersero da quell'esperienza i guasti profondi che la rottura e la prolungata contrapposizione frontale fra la DC e i partiti di sinistra avevano prodotto nella vita e nel funzionamento delle istituzioni autonomistiche in Sicilia.

L’apertura di una nuova fase nella vita politica italiana con la formazione dei governi di centrosinistra offrì alcune possibilità nuove di iniziativa per lo sviluppo della democrazia anche in Sicilia. Non è casuale che la costituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia avvenne proprio nel 1962, alTinizio della esperienza dei governi di centrosinistra. E al tempo stesso si manifestarono i limiti e le contraddizioni del nuovo schieramento di governo anche per quanto riguarda la lotta contro il sistema di potere mafioso. L'esempio più significativo di queste contraddizioni è costituito dal comportamento del governo regionale verso il Comune di Palermo.

Fu il Presidente della Regione del primo governo di centrosinistra in Sicilia, l'onorevole Giuseppe D’Angelo, ad accogliere la proposta comunista di un'inchiesta sul rapporto mafia-Enti locali nella Sicilia occidentale e, in primo luogo, a Palermo. Ma quando il prefetto Bevivino depositò la sua clamorosa relazione sul Comune di Palermo e il gruppo parlamentare comunista all’ARS presentò la mozione per lo scioglimento del Consiglio comunale, il presidente D’Angelo e la maggioranza di centrosinistra non furono capaci di compiere, sino in fondo, il proprio dovere e la mozione comunista venne respinta con 43 voti contro 43. In conseguenza di quel voto, Lima e soci rimasero in sella e, utilizzando l'incoerenza di D’Angelo, poterono organizzare la loro vendetta sino a estrometterlo, con l'aiuto dei gestori delle esattorie, dalla scena politica siciliana.

5. — Mafia e potere nella Sicilia d'oggi.

La gravità della compenetrazione della mafia col sistema di potere democratico in Sicilia agli inizi degli anni '60 è efficacemente documentata nelle relazioni che le Federazioni comuniste della Sicilia occidentale consegnarono alla Commissione parlamentare alla fine del 1963. Il PCI è stato l’unico partito che ha offerto alla Commissione antimafia simile collaborazione. Vogliamo sottolinearlo a testimonianza della coerenza e della continuità dell'impegno del nostro partito su questo fronte di lotta per il progresso democratico della Sicilia. Pubblicheremo, pertanto, quelle relazioni in allegato. Nessuno, oggi, a distanza di 12 anni mette in discussione le cose che allora noi scrivevamo. Si sostiene, invece, che la situazione sarebbe profondamente cambiata e che uno dei risultati più rilevanti sarebbe costituito dall’affievolirsi del rapporto tra mafia e potere politico fino quasi ad annullarsi. Non vi è dubbio che molti cambiamenti sono avvenuti e. noi comunisti siamo i primi a sottolinearlo.

Nel documento che il Comitato regionale siciliano del PCI ebbe a consegnare alla nostra Commissione in occasione dell’ultimo sopralluogo a Palermo si dà un quadro chiaro e sintetico di tali cambiamenti:

«Non vi è dubbio che ila costituzione dell'Antimafia, la sua semplice presenza nella vita politica, la stessa azione repressiva - che tanto spesso per?? stata usata in direzione sbagliata - iniziata dopo la strage di Ciaculli, hanno indebolito il prestigio della mafia.

«Le inchieste condotte dalla Commissione nei più diversi campi dì attività hanno intimorito molti uomini politici, amministratori e pubblici funzionari e li hanno resi più cauti nei loro rapporti con la mafia.

«Prima del 1963 molti mafiosi ostentavano i loro rapporti con gli uomini politici e gli amministratori locali e viceversa. La presenza dei mafiosi nei seggi elettorali era sfacciata e aggressiva. Oggi questi fatti vistosi di rapporti tra mafiosi e uomini politici si sono rarefatti».

L'ultimo episodio clamoroso di ostentazione di rapporti ebbe a fornirlo il deputato regionale democristiano Dino Canzoneri proprio pochi giorni dopo la strage di Ciaculli. Nella seduta del 23 agosto 1963 dell’Assemblea regionale siciliana il deputato comunista Rossitto denunziò l'appoggio che le cosche mafiose avevano dato ad alcuni candidati democristiani e in particolare fece riferimento ai legami fra Luciano Leggio e l’onorevole Canzoneri. Il Canzoneri in quell’occasione ebbe l’impudenza di disegnare la figura di Leggio come quella di un perseguitato giudiziario a causa delle calunniose accuse... dei comunisti! (V. allegato. n. 5, pag. 180).

In realtà il Leggio era latitante da anni e grazie alle complicità politiche poteva circolare impunemente e organizzare la sua rete delinquenziale. Dopo la strage di Ciaculli e l’arresto di Leggio e di altri noti bosses mafiosi, l’onorevole Canzoneri si ritirava definitivamente dalla scena politica regionale.

Questo indebolimento del prestigio della mafia è dovuto pure ad un processo di maturazione sociale, civile e culturale del popolo siciliano, alla scolarizzazione di massa e allo sviluppo dell'informazione.

Ma tutto ciò non può far dire che la mafia non esiste più, che i suoi rapporti con il potere politico e pubblico sono stati definitivamente tagliati, né che la mafia si è trasformata in puro e semplice gangsterismo.

In realtà sono avvenuti mutamenti nella dimensione territoriale del fenomeno mafioso  — la sua esportazione al Nord — nell’allargamento dei settori e dei campi di azione della mafia, nel suo modo d’essere e nel suo comportamento.

La via della semplice repressione — che colpisce la escrescenza, ma che non modifica il humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici — non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi.

Seguendo la via della pura repressione non ci si è spiegati o si è spiegato male il significato della rinnovata virulenza della mafia dalla strage di via Lazio fino ai più recenti fatti della zona Partanna-Pallavicino-San Lorenzo a Palermo.

Si è così caduti nella confusione da parte delle forze dell'ordine; si sono fatte delle teorizzazioni su seconde, terze e perfino quarte mafie e si è arrivati alla equazione mafia-delinquenza urbana.

L’esplodere della mafia a Milano e in altri centri del Nord, il moltiplicarsi dei sequestri di persona a scopo di riscatto (nuovo terreno di attività della mafia ma non solo di essa) hanno portato argomenti a queste tesi.

Ora è indubbio che nell'esplodere della criminalità al Nord vi è un elemento tipico di tutte le realtà urbane, delle grandi metropoli capitalistiche; ma non v’è dubbio che in questo quadro un posto specifico ed autonomo appartiene alla mafia, il che non esclude che possano aversi intrecci dei fenomeni mafiosi con fenomeni puramente delinquenziali, particolarmente sul terreno del reclutamento della «manovalanza».

Il modo assurdo con cui si sono scelte le località di soggiorno obbligato per i mafiosi ha favorito il loro inserimento al Nord ed una certa facilità di reclutamento di nuove leve fra gli strati più emarginati e disperati di emigrati siciliani, una facilità di presa su attività quali il racket della manodopera, la. speculazione edilizia, certe attività commerciali, oltre al contrabbando di droga e i sequestri di persona.

In questo quadro che ha elementi di intrecciò complesso la specificità mafiosa specie dei «gruppi dirigenti» rimane intatta.

La mafia si presenta oggi come una grande trama che dalla Sicilia si estende al Continente; le sue radici, il suo humus, il suo terreno di accumulazione finanziaria,di reclutamento e di selezione dei migliori quadri ed infine il rapporto con certo mondo politico continuano però a rimanere la Sicilia.

Come la mafia si trasferì negli Stati Uniti con l’ondata emigratoria, così è avvenuto con il suo trasferimento al Nord, favorito anche dai soggiorni obbligati.

Ma la «centrale», non solo in termini «ideali» o di tradizioni, ma di terreno di continua riproduzione, rimane la Sicilia.

Ciò non esclude che lo strato superiore, lo «stato maggiore» si distribuisca fra la Sicilia, il Nord e perfino Paesi stranieri, e sia ricco di enormi mezzi finanziari, incrementato, particolarmente negli ultimi anni, col traffico di droga e con i sequestri, e quindi di grandi possibilità di spostamenti e di collegamenti.

L'arresto di Leggio e la scoperta delle connessioni tra i sequestri in Sicilia e alcuni grossi sequestri al Nord, la personalità e l’attività di alcuni dei mafiosi arrestati, confermano questa valutazione.

A fianco della mafia siciliana un peso crescente assume oggi la mafia calabrese come dimostrano i recenti arresti collegati ai sequestri di persona a Roma e al Nord. Lo sviluppo impetuoso della mafia calabrese (pur nella diversità dei connotati storici rispetto a quella siciliana), mentre testimonia un preoccupante processo di disgregazione economica e sociale della Calabria, dimostra, in pari tempo, una insufficiente vigilanza e mobilitazione della opinione pubblica e di tutti gli organi dello Stato. La presenza della Commissione parlamentare d’inchiesta ha, invece, stimolato tale mobilitazione in Sicilia.

I mafiosi costituiscono oggi una grande potenza finanziaria. L’enoteca Borroni, scoperta a Milano, aveva un deposito di vini pregiati per un valore di oltre un miliardo di lire. Il Guzzardi, implicato nei sequestri, è anche un grosso appaltatore edile (ha avuto anche un appalto nella costruzione della metropolitana di Milano). Il commercialista palermitano Pino Mandalari (candidato del MSI alle elezioni politiche del 1972) ospita nel suo studio le società finanziarie di alcuni fra i più noti gangsters tra cui Salvatore Riina, braccio destro di Leggio, e il Badalamenti di Cinisi, nonché quelle di padre Coppola. Tali società intestate a dei prestanome si occupano delle attività più varie (dall’acquisto dei terreni ed immobili come beni di rifugio alla speculazione edilizia, alla sofisticazione dei vini).

Ma lo sviluppo di una rete mafiosa a carattere nazionale per controllare alcuni traffici e per organizzare i sequestri non significa che ci troviamo di fronte a un pugno di gangsters sradicati dalla realtà locale che li ha espressi. La denunzia-confessione del giovane Leonardo Vitale (il cosiddetto Valachi siciliano) ha offerto un vero e proprio spaccato di che cosa è, ancora oggi, una cosca mafiosa in un rione o in una borgata di Palermo. La cosca mafiosa di Altarello di Baida-Boccadifalco, a cui era affiliato il Vitale, era dedita ad attività tradizionali come quella dell'estorsione (il Vitale ha comunicato alla Polizia un elenco di estorsioni sino ad allora del tutto ignorate e successivamente confermate dai costruttori edili che le avevano subite) e di tipo nuovo come la speculazione sulle aree. Non solo, ma permane la divisione delle zone di influenza tra le varie cosche. (Il Badalamenti è intervenuto recentemente da arbitro tra la mafia di Altarello e quella della Noce per una questione di competenza territoriale).

Il recente attentato al vecchio boss Vincenzo Nicoletti, subito dopo il suo rientro dal soggiorno obbligato, e la sequenza di delitti che ne è susseguita nella zona (il quadrilatero Pallavicino-Partanna-Mondello-Tommaso Natale) mette in evidenza l'esistenza di una realtà analoga in quel gruppo di borgate rispetto a quanto denunziato per la zona di Altarello-Boccadifalco. La recrudescenza di attività criminali nella zona Cinisi-Carini-Partinico-Roccamena in relazione all’attività del gruppo mafioso legato alla famiglia di padre Coppola indica che anche in zona della provincia permane e si sviluppa l’attività delle cosche mafiose locali. Tutto ciò indica la ricostituzione (nonostante la repressione degli ultimi anni) di un potere mafioso su base territoriale con l'aggiornamento delle strutture tradizionali nonché dei campi di attività. Uno dei campi nuovi di attività è costituito, nella zona del vigneto, dalla sofisticazione su larga scala. Ma continua l'attività tradizionale tipo abigeato, controllo della guardiania, dell’acqua di irrigazione, dei consorzi di bonifica e degli appalti.

Questi fatti dimostrano il permanere di connivenze fra potere mafioso, amministrazioni locali, funzionari pubblici, uomini politici. La denunzia del Vitale lumeggiava anche questi aspetti, confermando come il potere DC nelle borgate di Palermo sia, ancora oggi, fondato largamente sulla compenetrazione con la mafia.

Lo «stato maggiore nazionale» della mafia stabilisce un suo rapporto di influenza e di intervento diretto, di volta in volta, sulle singole cosche locali che, pur conservando (come è nella tradizione della mafia) una loro autonomia, si comportano ancora come cellule di una organizzazione articolata pronte a rendere servizi allo «stato maggiore nazionale», nella attuazione delle varie imprese. Un esempio di questo rapporto è fornito dal sequestro Cassina. È ormai dimostrato che il sequestro dell’ingegner Luciano Cassina fu organizzato dallo «stato maggiore nazionale» con un ruolo importante assegnato a padre Coppola. I killers per l'attuazione del rapimento furono, poi, forniti dalla cosca mafiosa di Altarello di Baida (zona in cui le abitudini del Cassina erano particolarmente conosciute).

In questo quadro un elemento nuovo si viene a delineare: quello di un certo spostamento delle simpatie politiche della mafia e di una sua utilizzazione nella «strategia della tensione» e in collegamento con le trame nere.

I giudici Turane, Caizzi ed Arcai considerano il rapporto tra mafia e trame nere «qualcosa di più di una semplice ipotesi di lavoro».

È noto che durante le elezioni regionali del 1971, che videro una forte avanzata del MSI, gruppi notevoli di mafiosi di borgate palermitane e di certi quartieri popolari spostarono la loro attività elettorale dalla DC al MSI.

I corrieri del tritolo scoperti a La Spezia confermano gli interrogativi sui collegamenti tra contrabbando e traffico di armi e di esplosivi e attuazione di alcuni sequestri di persona. È casuale la fuga di Leggio nel novembre del 1969 — alla vigilia della strage di Piazza Fontana — e il suo scegliere Milano come base operativa?

E la scelta, da parte di grossi mafiosi, di Pino Mandalari, già candidato del MSI, come consulente finanziario è pure casuale?

E le voci su una utilizzazione di killers mafiosi per l'assassinio di dirigenti politici nazionali in caso di golpe da parte del gruppo Pomar-Micalizio, non sono forse indicative? Questi elementi e gli interrogativi ancora aperti assumono rilievo e diventano oltremodo preoccupanti se si tiene presente che la mafia, in passato, ha sempre avuto un ruolo di punta nella battaglia delle forze reazionarie contro il movimento popolare.

Le cosche mafiose sono state utilizzate in maniera spregiudicata contro il movimento operaio e contadino siciliano dalle forze del blocco agrario per impedire la riforma agraria; la lotta del popolo siciliano per la sua emancipazione è punteggiata da decine di martiri trucidati dalla mafia al servizio della conservazione.

Questa rapida messa a punto sull’evoluzione del fenomeno mafioso e sulle caratteristiche che è venuto assumendo negli anni più recenti ci conduce ad alcune conclusioni.

I cambiamenti anche profondi che sono intervenuti nel modo di essere della mafia non consentono, comunque, di affermare che essa abbia perduto la sua caratteristica originaria della incessante ricerca del collegamento con il potere politico.

Tale collegamento continua ad esistere e trova alimento in un potere oligarchico e clientelare che rifiuta sistematicamente una vera dialettica democratica, mortifica le istituzioni rappresentative, impedisce lo sviluppo di forme nuove di partecipazione e controllo democratico dei cittadini.

L’inchiesta condotta sulla vicenda Mangano-Coppola-Spagnuolo, sul caso Rimi alla Regione Lazio, sulla fuga di Luciano Leggio dalla clinica romana, eccetera ha consentito alla Commissione di raccogliere ima documentazione imponente sul come, anche fuori dalla Sicilia, la mafia possa utilizzare il sistema di potere clientelare per svolgere la sua attività. La requisitoria del Pubblico ministero dottor Caizzi nel processo contro Leggio e le cosche mafiose operanti in Lombardia, che la Commissione ha acquisito ai suoi atti, sottolinea ancora il collegamento dei mafiosi con alcuni uomini politici.

Ecco perché sarebbe un grave errore l’accoglimento da parte della Commissione della tesi secondo la quale si sarebbe esaurito il rapporto mafia-potere politico. Nella città di Palermo, per esempio, tutta la documentazione raccolta nel corso dell’inchiesta negli anni '60 conserva la sua validità. Il comportamento, ancora oggi, del gruppo dirigente della DC nella gestione del Comune e della Provincia di Palermo offre il terreno più favorevole al perpetuarsi del sistema di potere mafioso.

Ciò non significa che non vi siano dei cambiamenti. Si cerca di dare veste di apparente modernità alla gestione dei vari enti. Ma, nella sostanza, il sistema di potere resta clientelare e mafioso.

Di questa triste realtà hanno preso coscienza in vari momenti esponenti qualificati della DC. Ma tutte le iniziative adottate, sino ad oggi, non hanno avuto successo.

Attualmente la parte più moderna e avveduta del gruppo dirigente regionale della DC sta tentando di avviare un processo di risanamento della vita politica siciliana. Ma tale tentativo rischia di arenarsi, ancora una volta, se non si colpisce alla radice il sistema di potere che nelle città e nelle province della Sicilia occidentale dà alimento alle cosche mafiose.

Al vertice di questo sistema di potere a Palermo, da venti anni, si è insediato l’attuale ministro della marina mercantile onorevole Giovanni Gioia. Abbiamo già descritto il modo in cui nella seconda metà degli anni ’50 l'onorevole Gioia, diventato segretario provinciale della DC, organizzò la confluenza nel suo partito delle cosche mafiose ex monarchiche, liberali e qualunquiste. Quell’impianto non è stato ancora debellato. Che il sistema di potere mafioso a Palermo conduca all'onorevole Gioia è dimostrato da tutta la documentazione in possesso della Commissione.

I sistemi attraverso i quali si impedisce ogni dialettica e controllo democratico nella vita della DC palermitana sono documentati nel famoso «Libro Bianco» delle minoranze DC inviato in data 17 novembre 1970 alla direzione di quel partito e reso noto sul giornale L’Ora, nel testo che qui di seguito pubblichiamo.

È nell’ambito di quel sistema di potere che si sviluppa la compenetrazione con la mafia.

Prendiamo il caso Vassallo. Il documento n. 737 della Legione dei Carabinieri a firma del generale dalla Chiesa offre uno spaccato di come si è potuto edificare un impero economico che è diventato un pilastro decisivo del sistema di potere mafioso a Palermo. Ma da quella relazione emerge la funzione decisiva dell’onorevole Gioia con i suoi uomini di fiducia dislocati in posti chiave (assessorati, uffici, banche, enti economici, aziende municipali, ospedali, eccetera).

La fantasia dei giornalisti è stata attratta dall’interrogativo se esistesse o meno una società (la VALIGIO) formata da Vassallo-Lima-Gioia. Ma il problema non è di provare l'esistenza del contratto giuridico fra i tre. Il rapporto del prefetto Bevivino e la relazione dell'onorevole Vestri hanno documentato a sufficienza la compenetrazione tra le cosche mafiose e il gruppo di potere dominante a Palermo e, in questo ambito, il ruolo del costruttore Vassallo.

I rapporti circostanziati della Polizia e dei Carabinieri dimostrano che Vassallo: 1) ha avuto la licenza di appaltatore edile grazie ad una dichiarazione molto discutibile dell’ingegner Enrico Ferruzza (3) (la S. A. I. A. «Società per azioni industria autobus» di proprietà dei Ferruzza è stato uno dei pilastri del sistema del potere mafioso a Palermo. Il dottor Giuseppe Ferruzza, figlio di Enrico, poi diventerà socio di Vassallo nella vergognosa speculazione edilizia della «S. Francesco Piraineto» ai margini dell'autostrada Palermo-Punta Raisi) (4); 2) ha conquistato il primo appalto (quello della fognatura di Tommaso Natale-Sferracavallo) costringendo, con un tipico atto di mafia, i concorrenti ad abbandonare il campo e con il favore della Giunta comunale capeggiata

(3) Citiamo qui tale dichiarazione quale è riportata nel Doc. 737, agli atti della Commissione: « Mentre il " Consorzio tra le cooperative " aveva già avuto modo di dimostrare — durante le precedenti gare d'asta — la propria idoneità ad effettuare tali lavori, il Vassallo e lo Schiera presentarono — allegate alla domanda — due dichiarazioni, rilasciate lo stesso giorno in cui venne presentata la domanda al commissario prefettizio, rispettivamente :

— dall'ingegner Enrico Ferruzza (in favore del Vassallo) che, quale consigliere delegato della S.p.A. " SAIA " (Società per azioni industria autobus) di Palermo, affermava:

"a richiesta dell'interessato si dichiara che il signor Vassallo Francesco ha in appalto lavori per conto della nostra azienda in Altofonte (garage e casa di abitazione per il personale), per un importo di circa lire 6.000.000, nonché ha compiuto per l'azienda lavori di miglioramento nel tratto Isola delle Femmine paese-Isola delle Femmine bagni.

I lavori, assistiti dagli ingegneri incaricati dalla mostra azienda, sono stati eseguiti a regola d'arte e non hanno dato luogo ad alcun rilievo. F.to Enrico FERRUZZA" ».

Nel Doc. 737, agli atti della Commissione, si leggono le seguenti informazioni sul conto di tale società:

«S.p.A. ”San Francesco residenziale Piraineto”, con sede in ria Vincenzo Di Marco n. 4:

— costituita il 27 febbraio 1968 tra Vassallo Francesco e Ferruzza Giuseppe con un capitale di lire 1. 000.000 (51 per cento Vassallo e 49 per cento Ferruzza);

— ne è amministratore unico, dalla data di costituzione, il Vassallo Francesco;

— la società ha in via di ultimazione n. 287 villini, che sorgono su di un’area di circa 35. 000 mq. in contrada "Piraineto” di Carini (Palermo). Detta area è stata caduta dal Ferruzza alla società stessa per lire 417.000.000; tale somma è stata pagata dalla ”S. Francesco” in contanti per lire 200.000.000 e mediante l’accollo di due mutui per complessivi 217.000.000 di lire che lo stesso Ferruzza aveva stipulato — all’atto dell’acquisto — con la Cassa di Risparmio (atti del 28 settembre 1965 e del 17 marzo 1967);

— il 4 giugno 1968 la società ha ottenuto dalla Banca nazionale del lavoro un mutuo di lire 1.900.000.000, con uno sconto di interesse del 5 per cento annuo, estinguibile in venti anni, per un ammontare complessivo (con le varie spese connesse) a lire 3.040.000.000».

allora dal professor Cusenza (5); 3) ha potuto «decollare» come grande costruttore edile grazie alla benevolenza del senatore Cusenza diventato intanto presidente della Cassa di Risparmio per le province siciliane, che gli aprì credili non garantiti sino a 700.000.000 di lire; 4) ha potuto violare impunemente il piano regolatore e il regolamento edilizio in numerose costruzioni;

(5) Infatti il primo progetto porta la data del 1° dicembre 1950, risale cioè al periodo in cui era sindaco il professor Gaspare Cusenza (23 ottobre 194831 marzo 1951) e prevede una spesa complessiva di lire 125.000.000, di cui 109.600.000 prezzo base d’asta e la somma restante per imprevisti, ma fu approvato il 6 agosto 1951 (n. 4564) sotto la gestione Pivetti (31 marzo 19517 novembre 1951) con delibera resa esecutoria il 24 novembre 1951 (46315), nello stesso giorno in cui il sindaco Avolio lasciava la carica. Sul primo esperimento di licitazione privata non vi sono documenti. Dal secondo, effettuato il 23 febbraio 1952, risulta che la gara fu dichiarata deserta per insufficienza di concorrenti, essendone stato escluso, per non aver completata la prescritta dichiarazione di sopralluogo, uno dei due presentatisi. Con deliberazione del 17 aprile 1952 resa esecutoria il 30 maggio 1952 (40045; il commissario prefettizio (dottor Riccardo Vadalà) affidò a trattativa privata i lavori all’impresa Vassallo, che aveva offerto un ribasso dello 0,11 per cento sui prezzi di capitolato. Qualche mese dopo però (deliberazione del 24 ottobre 1952, resa esecutoria il 22 novembre 1952, n. 90986) il Vassallo, adducendo a motivo una sospensione dei lavori intervenuta per incompletezza di assegnazioni, ottenne un aumento dell'11 per cento. Tutto il procedimento dà luogo a gravi dubbi. Anzitutto non può escludersi che la posizione di prestigio del Vassallo abbia influito sulla stessa delibera dei lavori, ma è da osservare soprattutto, dati d motivi meramente formali per i quali non si era proceduto all’aggiudicazione nel secondo esperimento, che non si comprende perché la successiva trattativa non si sia svolta nei confronti dei due concorrenti o, quanto meno, del Consorzio fra le cooperative produzione e lavoro della provincia di Modena, che aveva concretamente dimostrato di voler assumere i lavori, e perché il suddetto consorzio abbia subito l’esclusione senza protestare. Sorge spontaneo il sospetto di indebite pressioni maliose. Infatti, nello stesso giorno 23 febbraio il Vassallo, unitamente a tale Giulio Schiera anch’egli di Tommaso Natale, dichiara di essere disposto ad eseguire i lavori con lo sconto già citato, e presenta una dichiarazione della SAIA — Società per azioni industria autobus — a firma dell ingegner Enrico Ferruzza, alla quale si è già fatto riferimento alla nota 3. Il 29 febbraio 1952 presenta il certificato generale del casellario, dal quale, in contrasto con quanto precedentemente esposto, risulta «Nulla».

Come ottiene l’appalto? La materia era sostanzialmente regolata dalla legge 10 giugno 1937, numero 1139, sostituita dalla legge 30 marzo 1942, n. Sii, per la quale gli appalti di opere pubbliche dovevano essere affidati ad imprese iscritte nell’albo nazionale degli appaltatori, salvo la possibilità di rivolgersi «ad imprenditori idonei, non iscritti, solo nel caso di lavori speciali per i quali non figurino nell’albo ditte particolarmente attrezzate per i lavori stessi» (art. 1), il che certamente non si verificava nel caso.

D’altra. parte l’iscrizione all’albo comportava una serie di requisiti (art. 4 legge) che il Vassallo non possedeva: neppure quello dell'iscrizione alla Camera di commerciò (già Ufficiò provinciale dell’economia cooperativa). È ben vero che, mancando la Commissione prevista dalia legge, a partire dal 1943, nessuna nuova iscrizione era possibile, ma il Ministero dei lavori pubblici con circolare 8 gennaio 1949, n. 511, aveva disposto che presso i singoli provveditorati regionali fossero istituiti elenchi provvisori di fiducia e che l’accertamento dei requisiti delle imprese da iscriversi fosse effettuato con accuratezza in modo che la determinazione della classifica secondo l’ammontare degli appalti cui potevano essere ammesse e la specializzazione rispecchiassero la situazione effettiva. Si fa presente che i lavori per oltre cento milioni rientravano nella categoria di quelli per importo illimitato, richiedenti una corrispondente organizzazione e che ancora nel 1955 si disponeva che gli uffici si limitassero ad affidare alle imprese non iscritte «piccoli cottimi fiduciari» non superiori a 5 milioni. Al Vassallo invece, non iscritto nell'elenco delle imprese di fiducia, non iscritto alla Camera di commerciò, privo di organizzazione e di esperienza si affidano nel 1952 lavori di fognatura per un importo incluso nella massima categoria allora prevista!

Dal citato verbale della deliberazione del 17 aprile 1952, risulta, contrariamente al vero, che l'impresa Vassallo «è regolarmente iscritta nell’albo delle imprese di fiducia del Genio civile» e che «ha eseguito importanti lavori per conto della ” Montecatini ” e della " SAIA ”, mentre essa aveva lavorato soltanto per quest’ultima (sempre che l’avesse effettivamente fatto perché potrebbe trattarsi di dichiarazione compiacente, in quanto egli, in società con l’Anello — che però era il titolare dell’impresa — risulta aver lavorato per la SAIA a partire dal 2 agosto 1952, cioè soltanto successivamente) e prescindendo dal rilievo che il Vassallo non aveva alcuna esperienza in materia di fognature. Nel verbale stesso si afferma inoltre che l’ultimo esperimento aveva «avuto esito negativo» sottacendo i motivi per cui ciò si era verificato.

 5) in alcuni casi i progetti Vassallo venivano approvati dalla Commissione e dal Consiglio comunale prima di essere protocollati (6); 6) gran parte degli edifici che il Vassallo ha costruito erano in anticipo acquistati o presi in affitto dagli enti pubblici e prenotati dal Comune e della Provincia per essere adibiti ad edifici  scolastici mentre non si utilizzavano le somme messe a disposizione dalle leggi sull’edilizia scolastica (7).

L’onorevole Salvo Lima è stato incriminato dalla Magistratura per avere ripetutamente violato la legge per favorire il costruttore Francesco Vassallo (come risulta dal doc. 1119 agli atti della Commissione).

(6) In relazione alla costruzione del fabbricato sito in via Sardegna angolo via Restivo nella relazione Bevivieo sul Comune di Palermo (contenute nel Doc. 192, agli atti della Commissione) si legge: «La Commissione edile, dopo avere espresso parere contrario al rilasciò della licenza, e ciò fino al 17 ottobre 1961, ebbe successivamente a concedere il parere favorevole nella seduta del 5 dicembre stesso anno, senza che l’impresa avesse adeguato il progetto ad alcuna delle numerose condizioni dettate dagli uffici tecnici e dalla stessa Commissione edile nella seduta del 17 ottobre. Dal verbale della seduta del 5 dicembre della Commissione edile, risulta che il dirigente dell’ufficiò tecnico si oppose all’approvazione del progetto per la mancata funzionalità dello stesso ai fini della destinazione che l'edificio doveva in parte avere per attrezzature di mercato». «La costruzione ebbe inizio un anno e mezzo prima del rilasciò della licenza. Dal rapporto di fine lavori risulta infatti che la costruzione è stata iniziata nell’aprile del 1961, mentre la licenza porta la data del 18 ottobre 1962».

Nello stesso documento, in ordine al fabbricato di via Quarto dei Mille, si legge: «La Commissione ispettiva ha ritenuto di disporre un sopralluogo dal quale è risultato che la costruzione eseguita è difforme dal progetto approvato». «I rapporti per l'abitabilità e il certificato di fine lavori compilati dall’ufficiò tecnico rispettivamente il 3 ottobre 1962 e ildicembre 1952 dichiarano invece che la costruzione è conforme al progetto approvato».

Circa le costruzioni A, B, C e D di via Lazio: «Per quanto riguarda il progetto delle costruzioni in esame, si osserva che esso prevedeva un fronte di metri 115. Tale fronte era regolamentare nel momento della presentazione del progetto (gennaio 1961). Ma, nelle more del rilasciò della licenza, era stato approvato dal Presidente della Regione il nuovo piano regolatore generale, nel quale veniva tra l’altro determinato in più di 100 metri (art. 72 delle norme di attuazione) il fronte degli edifici del tipo di quello in esame. Da ciò la perplessità, che si evince dalla lettura degli atti del fascicolo, delle sezioni tecniche competenti, circa il rilasciò della licenza con la detta norma della lunghezza infinita e con quella successiva che limitava a 100 metri la lunghezza stessa. L’assessore ai lavori pubblici ritenne di poter rilasciare la licenza con la norma della lunghezza infinita (115 metri). In questo modo è stato possibile all’impresa edificare con una volumetria superiore a quella stabilita dal decreto presidenziale».

In merito all'edificio sito in corso Calatafimi angolo via Porrazzi si legge, poi, nello stesso Doc. 192: «Sta di fatto che, dal sopralluogo disposto da questa Commissione ispettiva e contrariamente a quanto dichiarato nel rapporto di abitabilità, l'edificio risulta costruito in difformità al progetto e alle varianti approvati».

Quanto alle vicende amministrative relative alla costruzione di un edificio in via Notarbartolo angolo ria Libertà, nel citato documento 192 si legge: «Il Consiglio comunale con atto deliberativo n. 340 del 20 luglio (lo stesso giornoquindiin cui fu presentato il progetto ed ebbe luogo la seduta della Commissione edilizia), a seguito anche del parere favorevole espresso dall’Ufficiò legale, approvò, ad unanimità di voti con l’intervento di 51 consiglieri sui 60 assegnati al Comune di Palermo, il progetto per la costruzione dell'edificio.

È da mettere in evidenza che l’ordine del giorno per la seduta del Consiglio comunale del 20 luglio 1962 porta la data del 14 luglio stesso anno ed al n. 48 è registrato l’affare: "Approvazione, a norma dell’articolo 19 del Regolamento edilizio integrativo, del progetto per la ricostruzione dell’edificio posto ad angolo sudest fra via Notarbartolo e via Libertà”. Il progetto in esame, come si è risto sopra, fu presentato il 20 luglio.

La Commissione provinciale di controllo, con provvedimento emesso nella seduta del 10 agosto 1962, e trasmesso al Comune con il foglio numero 1257815421 dell’11 agosto stesso anno, annullò tale delibera consiliare.

L'Amministrazione comunale, senza nulla innovare al contenuto dell’atto deliberativo annullato, con due deliberazioni della Giunta municipale numero 2789 del 18 settembre 1962 e n. 2988 del 19 ottobre stesso anno riprodusse l'argomento dell'approvazione del progetto La Lomia conformemente alla deliberazione consiliare del 20 luglio. Con lettera datata 20 novembre 1962, n. 7767, il Presidente della Commissione provinciale di controllo, a seguito di carteggio intercorso, comunicava al Sindaco di Palermo "che la deliberazione in oggetto (ricostruzione dell'edificio di civile abitazione di proprietà La Lomia. e Consorti sito in via Notarbartolo angolo via Libertà) è stata riconosciuta legittimamente adottata nella seduta di questa Commissione di controllo del 9 novembre 1962 ”.

Corre l'obbligo, a questa Commissione, di rilevare che, fino al 25 gennaio 1964 (data della presente indagine), le due delibere di Giunta municipale sopra citate, adottate con 1 poteri del Consiglio, non sono state ratificate.

Risulta che la deliberazione n. 2988 è già iscritta all'ordine del giorno del Consiglio comunale, che sarà notificato nei primi giorni del corrente mese di febbraio».

Nel procedimento penale n. 10047/68 P. M. l’onorevole Lima è imputato di interesse privato in atti di ufficiò per avere consentito a Vassallo di costruire un edificio fra via Sardegna e via E. Restivo in violazione al piano regolatore che prevedeva in quell'area un pubblico mercato, e, inoltre, per avere approvato un altro progetto Vassallo per costruire un edificio fra via Notarbartolo e via Libertà in violazione al piano regolatore.

Nel procedimento n. 13772-68 P. M. l'onorevole Lima è imputato di avere determinalo i funzionari dell’Ufficiò tecnico dei lavori pubblici di Palermo ad attestare, contrariamente al vero, nel rapporto di abitabilità e nel certificato di fine lavori relativi al fabbricato di via Quarto dei Mille costruito da Francesco Vassallo, la conformità alle norme del piano regolatore, e successivamente a concedere il certificato di abitabilità con la sola eccezione della parte dell'edificio cadente fuori del piano regolatore.

(7) Nella relazione sulle strutture scolastiche siciliane (Doc. XXIII, n. 2 quinquies, Camera dei deputati, I Legislatura), sono stati pubblicati i seguenti dati relativi agli immobili di proprietà di Francesco Vassallo e di società dallo stesso controllate, locati al Comune e alla Provincia di Palermo per essere adibiti a scuole.

Ambedue gli enti spendevano complessivamente lire 913. 668. 000, delle quali ben 391. 570.000 (42 per cento circa) erano pagate a Vassallo ed a società dallo stesso controllate.

UbicazioneComune (a) DestinazioneProprietarioCanone annuo
Via G. Arcoleo, 20Media «Cavour»F. Vassallo3. 410.000
Via Raffaele Mondini, 19Media «Alighieri»F. Vassallo6. 770.000
Via Quarto dei Mille, 4Media «Mazzini»F. Vassallo11. 900.000
Via Libertà, 88Media «Piazzi»F. Vassallo10. 900.000
Via De Spuches, 2Media «Pirandello»F. Vassallo10. 600.000
Via Aquilea, 34Media «V. Veneto»F. Vassallo(b)12. 414. 000
Via Leonardo da Vincilst. Professionale Stato Industr. Art. Sp. A. Edilsud53. 380.000
Piazza Gen. Turba, 71Ist. Statale d’arte con annessa scuola mediaF. Vassallo27. 330.000
Via Leonardo da VinciIst. Magistrale De CosmiS. p. A. Edilsud40.000.000
Via D. della Verdura, 17Ispettorato scolastico 1 e 2° CircoscrizioneF. Vassallo2. 165. 000
180. 869. 000
(a) Dati riferiti ai 5 agosto 1969.

(ò) Canone in corso di rivalutazione

UbicazionePROVINCIA (a) DestinazioneProprietarioCanone annuo
Palermo, Via AquileaIst. Tecn. Comm. CrispiF. Vassallo (b)35. 970.000
Palermo, V. Magg. ToselliIst. Tech. Comm. Ferrara (succursale)F. Vassallo (b)11. 300.000
Palermo, Via La Marmora2° Ist. Tecn. Industr. F. Vassallo (b)54. 786. 000
Palermo, Via Malaspina3° Liceo scientificoEdilsud (b)67. 500.000
Palermo, Via Del FanteLiceo scientifico «Galilei»Sines S. p. A. Profeta Girolamo41. 145. 000
210. 701. 000
(a) Dati riferiti all'anno scolastico 1969-70.

(b) Canoni in corso di rivalutazione.

Evidentemente i funzionari venivano determinati a compiere atti illegali perché il sindaco Lima li ricompensava. Infatti, nel procedimento penale n. 96571 P. M. e 96671 P. M. l'onorevole Lima è imputato di avere erogato la somma di 6 milioni all'ingegner Drago dell'Ufficiò tecnico dei lavori pubblici per lavori che invece erano di competeni za dell’ufficiò.

Analogamente si procedeva nei confronti dei funzionari della Commissione provinciale di controllo (l'organo di tutela verso le delibere del comune!). Nel procedimento penale 7578 P. M. l’onorevole Lima è imputato per avere assunto in servizio al Comune di Palermo Frisina Gaetano figlio di Frisina Giacomo funzionario della Commissione di controllo; Bisagna Salvatore figlio di Bisagna Giorgio funzionario della Commissione di controllo; Bevilacqua Maria figlia di Bevilacqua Giovanni funzionario della Commissione di controllo.

Tutto ciò dimostra un legame organico fra il Vassallo e il gruppo di potere dominante a Palermo che fa capo a Gioia.

D’altro canto le famiglie Cusenza e Gioia hanno realizzato diverse operazione di acquisto o vendita col Vassallo. Sono note le vicende del rapporto del colonnello Lapis della Guardia di finanza che documenta tali ! operazioni e accusa il professor Cusenza di legami con la mafia. È noto come alcuni anni dopo, allorquando l’onorevole Gioia divenne Sottosegretario alle finanze, il colonnello Lapis ebbe a ritrattare in parte quelle accuse. Quella triste vicenda è stata oggetto di severe censure in drammatiche sedute della Commissione (8).

L'onorevole Gioia ha ritenuto di potersi difendere con l’argomento che gli affari tra Vassallo e Cusenza per l’edificio in via Duca della Verdura sono precedenti alla nomina del Cusenza a presidente della Cassa di Risparmio (ma i due si erano già conosciuti bene per la fognatura di Tommaso Natale... quando Cusenza era sindaco di Palermo).

Sempre secondo Gioia le vendite di appartamenti Vassallo alla famiglia di Cusenza (compresa la moglie dell’onorevole Gioia)

(8) Durante la IV Legislatura, la Commissione aveva incluso, fra i documenti allegati alla relazione sul Comune di Palermo trasmessa alle Camere, un promemoria redatto dell tenente colonnello Lapis, allora comandante del Nualeo di polizia tributaria di Palermo in cui faceva riferimento a taluni rapporti di affari tra il costruttore Francesco Vassallo e il defunto senatore Cusenza, a proposito del quale si riferiva la voce corrente secondo cui questi non sarebbe stato «estraneo alle influenze della mafia locale».

A seguito di talune indiscrezioni di stampa sul contenuto di tale promemoria (che sarebbe stato reso pubblico solo nella l Legislatura in occasione della pubblicazione della «Relazione sulle risultanze acquisite sul Comune di Palermo», Camera dei deputati, I Legislatura, Doc. XXXIII, n. 2 ter) l’onorevole Gioia, genero del Cusenza, aveva inviato al Presidente della Commissione, senatore Pafundi, un esposto in cui venivano contestati taluni dati indicati nel promemoria. Ricevuto tale esposto, il senatore Pafundi, senza avvertire né l’Ufficiò di Presidenza, né la Commissione, aveva disposto di sua iniziativa ulteriori accertamenti in merito a quei dati, accertamenti concretatisi in due successivi appunti del suddetto tenente colonnello Lapis, nei quali questi — operando una vera e propria ritrattazione — ridimensionava le valutazioni dei fatti e dalle circostanze indicati nel suo primo rapporto

L’iniziativa del senatore Pafundi suscitò, nella seduta del 6 dicembre 1967 in cui la Commissione ne fu per la prima volta informata, le vivacissime proteste dei Commissari del Gruppo comunista. Il senatore Cipolla protestò per il fatto che la Commissione fosse stata informata dell’iniziativa del Presidente Pafundi solo dopo che essa era stata posta in essere. Il senatore D’Angelosante contestò che il Presidente Pafundi avesse il potere di riaprire, da solo, una inchiesta che la Commissione aveva ritenuto conclusa inviando alle Camere i relativi documenti. Il deputato Assennato ravvisò nel comportamento del Presidente Pafundi la volontà di mantenere la Commissione all’oscuro di tutta la questione, con una deliberata violazione di certe. procedure formali poste a garanzia di tutti i suoi componenti e denunciò l'iniziativa del Presidente come una manovra di copertura a favore dell'onorevole Gioia, con l'artificiosa neutralizzazione di un documento già acquisito dalla Commissione.

Nella successiva seduta del 14 dicembre 1967, il senatore Spezzano sottolineò la circostanza che le nuove dichiarazioni del tenente colonnello Lapis erano intervenute quando l’onorevole Gioia ricopriva la carica di Sottosegretario di Stato alle finanze, il che lasciava presumere che la ritrattazione operata dallo stesso tenente colonnello Lapis fosse il frutto di indebite pressioni.

 per un prezzo di quasi 200.000.000 (in lire 1963!), sarebbe avvenuto dopo la morte del Cusenza e quindi ad iniziativa autonoma delle figlie (9).

Resta il fatto che, negli stessi giorni, quattro giovani signore, sposate e residenti in zone diverse della città, ebbero la felice idea di investire cospicue somme nell’acquisto di appartamenti del costruttore Vassallo. Non è lecito il sospetto che il Vassallo avesse concordato, mentre il Cusenza era in vita, di cedergli degli appartamenti e, essendo sopravvenuta la morte di costui, si siano stipulati gli atti con gli eredi? D’altro canto tutti gli uomini di Gioia si trovano ad acquistare appartamenti di Vassallo. Il che lascia intravvedere che si è trattato di vendite di favore. Va sottolineato, infine, come la personalità di Vassallo è di chiara estrazione mafiosa come si può ricavare dagli elementi a suo carico forniti dalla Polizia e dai Carabinieri (10).

D’altra parte la vicenda del sequestro del figlio di Vassallo ha messo in evidenza, ancora una volta, il comportamento di tipo I mafioso del Francesco Vassallo (11).

(9) Dagli atti esistenti presso la Commissione risultano altresì le seguenti vendite 'di immobili effettuate dal Vassallo alle figlie del professor Cusenza:

Teresa in Francesco Sturzo, nata il 3 aprile 1927:

— piani terreni, lotti A) e B) dell’edificio di via Lazio; con atto del notaio Angilella del 13 ottobre 1963 per lire 27. 500.000;

— porzione dello stesso edificio in via Lazio, al piano scantinato, con atto del notaio Angilella del 14 ottobre 1963, per lire 28. 000.000;

Dorotea in Giuseppe Citrolo, nata il 25 aprile 1929:

— tre appartamenti del 6° piano del palazzo di via Malaspina con compromesso del 5 luglio 1963, per la somma di lire 14. 000.000;

— l’appartamento al 4° piano, a destra salendo, del palazzo di via Vincenzo Di Marco, n. 4, con atto del notaio Angilella del 25 agosto 1958, per la somma di lire 10.000.000;

Giovanna in Giovanni Gioia, nata il 23 marzo 1933:

— l’appartamento al 3° piano, a destra salendo, dello stesso palazzo di via Vincenzo Di Marco, n. 4, con atto del notaio Angilella del 25 agosto 1958, per la somma di lire 10.000.000;

— locali terranei, lotti A) e B) dell’edificio di via Lazio, con atto del notaio Angilella del 13 ottobre 1963, per la somma di lire 23. 500.000;

— porzione dello stesso edificio e stessi lotti A) e B) per mq. 850, con atto del notaio Angilella del 14 ottobre 1963, per la somma di lire 28. 000.000;

Maria in Luigi Di Fresco, nata il 12 dicembre 1937:

— locali terranei, lotti A) e B) dell'edificio di via Lazio, con atto del notaio Angilella del 13 ottobre 1963, per la somma di lire 13. 650.000;

— tre appartamenti, siti al 7° piano del palazzo di via Malaspina, con compromesso del 5 luglio 1963, per la somma di lire 14. 000.000.

Nel Doc. 737, agli atti della Commissione, si legge: «Appare, perciò, in chiara evidenza come tutta l'attività del Vassallo (compresa anche quella di commerciante e speculatore in cereali degli anni 19421946 e di cui sarà,. pai, anche detto in particolari) sia stata, sin dagli inizi, legata a ben determinati interessi mafiosi (operanti prima nel modesto ambito della borgata di Tommaso Natale e poi nella stessa città di Palermo, ove il Vassallo aveva stabilito la propria sede di lavoro nel settore edilizio) e che la sua posizione economica trasse appunto l’inàziale ossigeno dal fiancheggiamento diretto e non di una mafia spregiudicatamente inserita — come altrove — nelle speculazioni dell'immadiato dopoguerra».

Occorre ricordare che, a carico del Vassallo, sussistono i seguenti precedenti penali:

20 maggio 1933: Pretore di Palermo, ammenda lire 60 per contravvenzione stradale;

22 febbraio 1934: con verbale n. 7 dell’Arma di Palermo Molo, denunziato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale;

gennaio 1935: Pretore di Palermo, N,d. p. per remissione di querele per tentata violenza privata e lesioni. Assoluzione per insufficienza di prove per ingiurie;.

20 maggio 1935: Pretore,lire 60 ammenda per contravvenzione all’articolo 672 C. P. Pena amnistiata;

28 novembre 1935: Tribunale appello Palermo, reclusione giorni 15 e lire 300 multa per furto. Pena sospesa anni 5;

5 marzo 1937: Pretore Palermo, estinto il reato per amnistia da contravvenzione articolo 1 legge 30 marzo 1893, n. 184;

31 luglio 1938: Pretore Palermo, lire 50 ammenda per contravvenzione articolo 672 C: P. Pena amnistiata;

gennaio 1942: Tribunale Palermo, mesi tre arresto e lire 500 ammenda per omesso conferimento Kg. 80 olio. Condanna confermata in appello il 25 giugno 1942;

6. — Cassino e il sistema di potere mafioso a Palermo.

Un altro pilastro del sistema di potere mafioso a Palermo è rappresentato dall’impresario Arturo Cassina che ha gestito, ininterrottamente, per ben 36 anni, il servizio di manutenzione delle strade e delle fogne del comune di Palermo. Si è verificato, ininterrottamente, alla scadenza del contratto, che il Consiglio comunale sia stato messo di fronte al fatto compiuto del rinnovo automatico dell’appalto alla ditta Cassina. E ciò nonostante le vivaci proteste dell'opposizione di sinistra. Il Cassina, infatti, ha legami ben saldi a destra (basti ricordare la vicenda del giornale filofascista Telestar di cui il Cassina era l’editore... ). Il servizio di manutenzione dalle strade a Palermo è stato gestito dall'impresa Cassina in maniera indecente. Il Cassina ha sempre dato in subappalto, a piccoli mafiosi dei vari rioni, i lavori da eseguire.

(segue nota 11).

3 febbraio 1942: Tribunale Palermo, assolto per non aver commesso il fatto dal reato di falso e truffa;

17 luglio 1942: con verbale n. 43 dell'Arma di Tommaso Natale, dichiarato in contravvenzione per inosservanza decreto prefettizio dell’ll giugno 1940 circa l'oscuramento notturno (art. 650 C. P. );

settembre 1946: Tribunale Palermo, mesi otto reclusione e lire 8. 000 multa per furto. Pena condonata;

febbraio 1952: Comandante Porto Palermo, ammenda lire 6. 000 per abusiva estrazione sabbia. Noti trascrizione nel casellario giudiziale;

31 dicembre 1956: Pretore Palermo, lire 10,000 ammenda per inosservanza ordine di sgombro di suolo pubblico di materiale;

24 giugno 1957: Pretore Palermo, lire 50.000 multa per omissione contributi INACasa;

14 ottobre 1966: Tribunale di Palermo, N. dp. per amnistia DP. 1966) da lesioni personali colpose;

20 ottobre 1966: Corte cassazione, N. dp. per amnistia da contravvenzione legge urbanistica;

10 dicembre 1966: Tribunale Palermo, N. d. p. per amnistia da contravvenzione all’ordinanza del sindaco;

3 luglio 1969: Corte di Appello di Palermo, reclusione mesi quattro e giorni dieci, per omicidio colposo. Pena condonata per DP. 1966, N. d. p. per amnistia (DP. 1966 da contravv. legge 7 gennaio 1956);

2 dicembre 1970: Corte cassazione, annulla senza rinvio la sentenza di condanna, per costruzione abusiva, emessa dal Tribunale di Palermo in data 11 luglio 1969 perché estinta per amnistia (D. P. 22 maggio 1970);

aprile 1971: Pretore Palermo, ammenda lire 10.000 per inosservanza provvedimento dell’Autorità.

CARICHI PENDENTI

In seguito ad esposto a firma di rappresentanti della sedicente unione per la moralità pubblica di Palermo, la Procura della Repubblica promuove azione penale nei confronti di Vassallo Francesco, Ciancimino Vito ed altri per concorso in falsità ideologica in atti pubblici.

— Dal 22 giugno 1973 il procedimento è in fase istruttoria presso la 10“ Sezione (G. I. dottor Tessitore).

Con rapporto giudiziario n. 15049 del 16 dicembre 1970, denunciato dalla Guardia di finanza alla Procura della Repubblica di Palermo, quale titolare della società «San Francesco», per violazione dell’articolo 55 del codice navale.

— Dal 19 gennaio 1971 il processo si trova in fase istruttoria presso la Pretura di Carini investita del caso per competenza territoriale.

Il 26 giugno 1971 denunziato con altri 16 (capolista Riggio Antonino) dall’Assessorato allo sviluppo economico della Regione Siciliana per concorso nel reato di interesse privato in atti di ufficiò e per violazoine dell’articolo 221 testo unico regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265.

— Dal 22 aprile 1975 il processo è in fase istruttoria presso la 1 Sezione (G. I. dottor Fratantonio).

Con rapporto giudiziario 16745 del 26 febbraio 1972 denunciato dal Nucleo investigativo Carabinieri di Palermo, con altre 7 persone (capolista Cavallaro Nicolò), per associazione per delinquere e concorso in ricettazione.

Dal 20 settembre 1975 il procedimento è pendente presso il sostituto procuratore della Repubblica dottor Grasso per la requisitoria.

Con rapporto giudiziario n. 593421 del 20 ottobre 1972 denunciato dal Nucleo di polizia giudiziaria Carabinieri di Palermo per concorso in circonvenzione di incapaci in danno di De Caro Caterina.

— In data 30 maggio 1975 il processo è stato assegnato alla 2“ Sezione penale per il dibattimento fissato nell'udienza del 2 febbraio 1976.

Con rapporto giudiziario n. 02973 del 15 luglio 1973 denunciato dalla Squadra mobile di Palermo per truffa aggravata in danno di Paolo e Giovanni Scirea.

— Dal 24 settembre 1975 il processo è in fase istruttoria presso la 3 Sezione.

Con lettera n. 5531 del 17 dicembre 1970 denunciato, con altri 42 (capolista Rivarola Angelo), dal 2” Istituto tecnico industriale di Palermo per concorso in abuso di ufficiò in casi non preveduti specificamente dalla legge ai danni dello stesso Istituto.

— Dal 20 febbraio 1975 il fascicolo si trova in fase di istruttoria presso la 1 Sezione ed è stato unito al procedimento indicato nel puntò 3).

Lo stesso metodo egli ha seguito per la gestione della cava di pietre in (località Boccadifalco. Il Cassina si è accaparrato, avvalendosi di metodi mafiosi, vaste aree attorno alla città e particolarmente nella zona di monte Caputo dove i piccoli proprietari sono stati minacciati dai mafiosi per cedere il terreno a Cassina.

Il sequestro del figlio di Cassina, ingegner Luciano, come quello del figlio di Vassallo, si spiega proprio nell’ambito dello scontro fra cosche mafiose.

Sistemi analoghi vengono adottati per la gestione della manutenzione stradale alla provincia. (Basti ricordare la denunzia documentata fatta all'Assemblea Regionale siciliana a proposito degli appalti alla ditta Patti della manutenzione delle strade provinciali che ha visto implicati alcuni degli uomini di fiducia di Gioia, quali l’ex presidente dalla Provincia Antonino Riggio).

Tutti i servizi del Comune e dalla Provincia vengono appaltati con criteri mafiosi e con risultati rovinosi per l’interesse pubblico. In questo ambito si collocano l'appalto dell’illuminazione pubblica (di cui ci occuperemo più avanti quando parleremo dell’onorevole Giovanni Matta) e l’appalto della numerazione civica e toponomastica cittadina, con la truffa operata con l'appalto alla società Contacta.

Abbiamo già sottolineato come il caso Ciancimino non possa essere isolato dal contesto del sistema di potere mafioso a Palermo. Occorre pertanto soffermarsi su altre figure di protagonisti. Vogliamo trascurare i personaggi che sono scomparsi dalla scena politica e amministrativa e soffermarci invece su quelli che mantengono posizioni di spicco per suffragare così la nostra tesi del permanere, ancora oggi, di un rapporto fra mafia e potere a Palermo.

Dopo le elezioni del 15 giugno scorso è ! stato eletto Presidente dell’Amministrazione provinciale di Palermo il dottor Ernesto Di Fresco del gruppo Gioia. Il Di Fresco è un personaggio emblematico di tutto il sistema di potere mafioso a Palermo, così come è stato edificato sotto la guida dell’onorevole Giovanni Gioia. Egli è uno degli ex monarchici che confluì nella Democrazia cristiana sulla base dell'operazione politica pilotata da Gioia nella seconda metà degli anni cinquanta.

Il Di Fresco era molto legato al noto don Paolino Bontà, capo della mafia di Palermo est. Quando il Di Fresco fu eletto consigliere comunale alle amministrative del maggio 1956 nella lista del Partito nazionale monarchico, il capomafia don Paolino Bontà lo accompagnava alle sedute del Consiglio comunale e gli dava precise indicazioni (fra cui quella di passare alla Democrazia cristiana. ) Per la verità il Di Fresco non era un’eccezione in quanto don Paolino Bontà a quell'epoca dava direttive anche a parlamentari nazionali democristiani, come l'onorevole Francesco Barbaccia. Don Paolino Bontà ostentava questi suoi rapporti passeggiando ogni mattina davanti all’albergo Centrale in corso Vittorio Emanuele a Palermo tenendo a braccetto l'onorevole Barbaccia. Anche il Di Fresco e la sua consorte Maidani Peppina hanno acquistato appartamenti dal costruttore Vassallo. Allorché il Di Fresco era assessore al patrimonio stipulò gran parte dei contratti di affitto degli appartamenti Vassallo per adibirli a scuole o altri servizi comunali. La grande stampa, d’altro canto, ha scritto che quando il Vassallo venne giudicato davanti alla Sezione misure e prevenzione, perché proposto per il soggiorno obbligato, nella piccola folla che lo accompagnava c'era l’assessore comunale Ernesto Di Fresco.

Ma l’episodio più clamoroso è quello dell’affitto dell’edificio per la caserma dei Vigili urbani. Venne affittato un intero palazzo di otto piani e di 114 vani (in via Dogali nella borgata Passo di Rigamo) per adibirlo a caserma dei Vigili urbani con la spesa di oltre 50 milioni all’anno (vedere allegati 6 e 7).

Il costruttore dell’edificio preso in affitto è tale Piazza Giacomo legato alla cosca mafiosa di Uditore-Passo di Rigano come risulta dalla documentazione in possesso della Commissione. Ebbene l'appartamento in cui abita la famiglia del Di Fresco in via del Quarnaro, composto di 7 stanze, 2 stanzette e accessori è stato venduto alla moglie del Di Fresco proprio dal costruttore Piazza (12).

7. — Il caso Matta.

Come è noto, all'inizio di questa Legislatura l'onorevole Giovanni Matta era stato nominato membro della nostra Commissione. Fu necessario ricorrere alla dimissioni della maggioranza della Commissione per arrivare alla sostituzione del Matta. Ma perché il gruppo di potere dell'onorevole Gioia, di cui il Matta è un esponente, arrivò a simile sfida? Forse perché si pensava di arrivare al discredito definitivo della Commissione.

In una drammatica seduta della Commissione, che precedette le dimissioni di protesta dei Commissari comunisti, l’anoirevole La Torre documentò le ragioni della incompatibilità nei confronti dell’onorevole Matta.

Giovanni Matta è un prodotto tipico del sistema idi potere mafioso al Comune di Palermo. Egli ha fatto carriera da gregario del gruppo di potere che fa capo all’onorevole Gioia. Egli è stato per qualche tempo sindaco della società BOA che certamente è stata una fonte di finanziamento del gruppo. Infatti oltre a Matta figuravano come amministratori della BOA altri «giovani» di fiducia del Gioia. La BOA gestisce numerosi rifornimenti di benzina ed ha un deposito a Trapani.

L’onorevole Matta ha iniziato la sua attività pubblica come segretario dell'onorevole Salvo Lima. Nel momento in cui Lima diventava assessore ai lavori pubblici del Comune di Palermo nel 1956, Matta veniva assunto come impiegato straordinario assolvendo alla funzione di tecnico legale dell’assessore Lima. Nel 1960 Matta si dimette da impiegato comunale per potersi presentare candidato alle elezioni amministrative.

Viene eletto e diviene assessore, prima al patrimonio e poi ai lavori pubblici. Vi sono numerosi documenti su tutto questo periodo che vanno dal rapporto Bevivino a quelli dei Carabinieri, Polizia e Finanza.

Dopo questo quindicennio di partecipazione, in vario modo, alla gestione del settore dei lavori pubblici di Palermo, l'onorevole Matta, interrogato dalla Commissione nel 1970, ha fatto le seguenti affermazioni (pagina 62 della deposizione ohe verrà successivamente pubblicata, alla stregua dei criteri stabiliti dalla Commissione): «Ritengo si debba parlare non specificamente di mafia, ma di delinquenza organizzata in genere. Una volta eliminate dalla circolazione determinate persone, abbiamo vissuto in tranquillità». Asseriva quindi: «Il caos urbanistico non esiste». E poi ancora, a pagina 74: «Non esistono legami tra delinquenza organizzata e amministrazione».

(1) Nel Doc. 692, agli atti della Commissione, sono riportate le seguenti notizie:

«La moglie, Maidani Pappina possiede: un appartamento sito in Palermo via Aquileia n. 10 piano 5°, di sei stanze ed accessori, acquistato in data 10 febbraio 1964 dal noto costruttore Francesco Vassallo, per la somma indicata in atti di lire 9. 000.000;

un appartamento sito in Palermo, in via Aquileia m. 34, piano 8°, composto di 4 stanze ed accessori, acquistato in data 26 agosto 1965, dal costruttore Francesco Vassallo, per la somma indicata in atti di lire 7. 500.000;

2 appartamenti siti in Palermo via A/44 n. 2, costituenti un intero primo piano, composti di complessive 6 stanze ed accessori acquistati in data 19 ottobre 1965 da Quatta Attilio, per la somma indicata in atti di lire 6. 750.000;

un appartamento sito in Palermo, via privata Arioidi, piano rialzato, composto di 2 stanze ed accessori, acquistato il 18 gennaio 1966, da Cricchio Giuseppe per la somma descritta in atti di lire 6. 000.000;

un appartamento (dove il Di Fresco abita con la famiglia) sito a Palermo in via del Quarnaro n. 11, piano attico, composto di 7 stanze, 2 stanzette ed accessori, acquistato in data 27 dicembre 1968 dal costruttore Piazza Giacomo, nato a Palermo il 6 gennaio 1927, per la somma descritta in atti di lire 11. 500.000».

Questo è il succo dell'interrogatorio, del tutto reticente, anche se durato ore, dello onorevole Matta. Questo interrogatorio veniva immediatamente preceduto da quello del dottor Guarraci, che era stato, per breve periodo, assessore di parte socialista. Il Guarraci assumeva un atteggiamento del tutto diverso, aperto alle risposte a tutti i quesiti posti e dava elementi che avrebbero dovuto essere approfonditi.

Perché, invece, l’onorevole Matta tacque? Perché questo atteggiamento omertoso in sede di Commissione? La cosa si capisce dalla lettura dei dossiers in possesso della Commissione, perché da essi si ricavano una serie di elementi che riguardano aspetti vari dell'attività dell'onorevole Matta come assessore e dei funzionari dell'assessorato che da lui dipendevano. Egli non ha detto niente di questo apparato corrotto, mentre si tratta di gente che nei documenti della Polizia e dei Carabinieri viene descrìtta in maniera molto efficace. Ci limitiamo ad alcune cose essenziali. La prima riguarda il modo in cui Matta utilizzava l’attività di assessore anche ai fini di arricchimento personale.

C'è un rapporto del colonnello dalla Chiesa in data 27 aprile 1972, nel quale si legge:

«Nel corso di recenti accertamenti svolti dai dipendenti del Nucleo di polizia giudiziaria di Palermo circa il rilasciò della licenza edilizia a favore di Mercurio Giovanna, moglie dell'avvocato Matta, assessore all'urbanistica del Comune idi Palermo, per la costruzione già avvenuta del villino sito in fondo Catalano nella contrada... di Palermo, sono emerse inosservanze all’articolo 50 delle inerme di attuazione del piano regolatore, approvato dal Presidente della Regione siciliana il 28 giugno 1962, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio 1963...». E conclude: «I fatti, con rapporto giudiziario n. 158 del 20 marzo 1972, del predetto Nucleo di polizia giudiziaria, sono stati deferiti alla Procura della Repubblica di Palermo, che vi ha ravvisato gli estremi del reato di interesse privato in atti d’ufficiò a carico del Matta». Questo è agli atti della Commissione!

C’è poi tutta la vicenda che riguarda l’appalto della manutenzione della illuminazione a Palermo. Erano corse voci che l’onorevole Matta sarebbe stato sociò della società ICEM, nel momento in cui si decideva di indire la gara di appalto per questo servizio, che coinvolge una spesa di qualche miliardo all’anno.

Ebbene, dalla relazione conclusiva di coloro che hanno fatto l’inchiesta (funzionari della Questura, Carabinieri, Guardia dà finanza), si ricavano le seguenti conclusioni: «che l’onorevole Matta, pur essendo assessore all'urbanistica, volile fare il presidente della Commissione, che spettava invece all’assessore ai lavori pubblici. Non risulta sia socio dell’ICEM, ma il titolare ufficiale della suddetta società è stato magna pars del comitato elettorale dell’onorevole Giovanni Matta, in occasione delle elezioni, immediatamente successive al conferimento del suddetto appalto». Esiste un’ampia documentazione sul l’Assessorato ai lavori pubblici durante la gestione Matta. Purtroppo certe indagini non sono state mai completate per le note difficoltà in cui si è trovata la Commissione. Risultano, però, provate le responsabilità anche penali di numerasi funzionari dell’Assessorato.

1) Ingegner Biondo Salvatore direttore presso la ripartizione. urbanistica del Comune di Palermo. Assunto nel 1959 al Comune senza concorso dall’assessore Lima e favorito successivamente dagli assessori Ciancimino e Matta fino a diventare direttore della ripartizione urbanistica. (Biondo è coimputato con Ciancimino nel procedimento penale n. 210969 P. M. e n. 62369 G. I. );

2) ingegner Salvatore Corvo — vice direttore della ripartizione urbanistica;

3) avvocato Filippo Vicari — direttore del servizio amministrativo della ripartizione urbanistica;

4) ingegner Melchiorre Agnello — direttore della sezione edile della ripartizione urbanistica. (Imputato di interesse privato in atti di ufficiò «per avere abusato della sua qualità di ingegnere presso l’Ufficiò tecnico e di componente della Commissione edilizia approvando progetti a sua firma o alla realizzazione dei quali aveva collaborato»). (Vedere allegato n. 8);

5) avvocato Niccolò Maggio — capo ufficiò affari legali del comune di Palermo. (È imputato di truffa aggravata nel procedimento penale n. 5209 P. M. ).

I suddetti funzionari hanno compiuto tutta la loro carriera nel periodo in cui assessori ai lavori pubblici sono stati rispettivamente Lima (diventato sindaco), Ciancimino (poi diventato sindaco) e Matta. Ad essi è stato consentito di trafficare nelle forme più ignobili e di arricchirsi.

Nei rapporti citati si mette in evidenza anche la losca attività svolta dall’architetto Barraco Antonio — membro della Commissione edilizia comunale dal 1956 al 1964 e della Commissione urbanistica comunale dal 1965.

Dalle indagini della Questura a seguito di una denuncia pervenuta alla Commissione è emerso che il Barraco è sindaco supplente della s. p. a. «S. Francesco Residenziale Piraineto» di proprietà di Vassallo e Ferruzza. Egli è imputato insieme a Ciancimino, Pergolizzi e Nicoletti nei procedimenti penali n. 10047/68 P. M. e n. 2083/68 G. I. per interesse privato in atti di ufficiò per l'approvazione di tre progetti del costruttore Vassallo.

I documenti dei Carabinieri offrono un quadro impressionante del rapporto fra alcune imprese (Vassallo, Piazza, Moncada, eccetera) e alcuni capimafia (Torretta, Nicola Di Trapani, Buscemi) e amministratori comunali di Palermo, come Ciancimino, Di Fresco, Pergolizzi e Matta (13).

D’altro canto l’onorevole Gioia è chiamato in causa in numerosi documenti ufficiali agli atti della Commissione a proposito dei legami personali e diretti con singoli boss mafiosi.

Vogliamo richiamare alcuni di questi rapporti con mafiosi intrattenuti da Gioia e suoi collaboratori come risultano dai documenti ufficiali.

1) Nella sentenza del G. I. Tribunale di Palermo del 23 giugno 1964 contro La Barbera + 42 (Doc. 236) si legge:

«Restando nell’argomento delle relazioni è certo che Angelo e Salvatore La Barbera, nonostante il primo lo abbia negato, conoscevano l’ex sindaco Salvatore Lima ed erano con lui in rapporti tali da chiedergli favori.

«Basti considerare che Vincenzo D’Accardi, il mafioso del capo ucciso nell'aprile 1963, non si sarebbe certo rivolto ad Angelo La Barbera per una raccomandazione al sindaco Lima, se non fosse stato sicuro che Angelo e Salvatore La Barbera potevano in qualche modo influire su Salvatore Lima.

(13) Sull’argomento, esiste agli atti della Commissione, una vasta documentazione {Doc. nn. 950, 951, 952, 953, 954, 955, 956, 957, 958 e nn. 714, 715, 716, 717, 718, 719, 720, 721) che verrà successivamente pubblicata, alla stregua dei criteri che la Commissione ha fissato all’atto della conclusione dei suoi lavori.

Per quanto riguarda specificamente il Piazza, nel Doc. 951, agli atti delia Commissione, si legge che egli: «... dà avvio all’attività edile che lo pone in contatto diretto con il noto capomafia Torretta Pietro e con Bonura Salvatore, che in primis approntano i loro capitali.

Nacque così, come è notorio nella borgata Uditore, il connubio PiazzaTorrettaBonura, che diede l’avvio alla realizzazione di svariati edifici, anche se sotto le mentite spoglie di ditta individuale intestata al solo Piazza Vincenzo.

Infatti l’impresa Piazza Vincenzo risulta iscritta alla locale Camera del commerciò in data 6 novembre 1961, al n. 40335 n 35394 n., con attività dichiarata: «Costruzioni edili e stradali», con sede in Via Lo Monaco Ciacciò, n. 6, Uditore, attuale domicilio di Pietro Torretta».

«Del resto quest'ultimo ha ammesso di avere conosciuto Salvatore La Barbera, pur attribuendo a tale conoscenza carattere puramente superficiale e casuale.

«Gli innegabili! contatti dei mafiosi La Barbera con colui che era il primo cittadino dii Palermo, come pure con persone socialmente qualificate, o che almeno pretendono di esserlo, costituiscono una conferma di quanto si è già brevemente detto sulle infiltrazioni della mafia nei vari settori della vita pubblica».

E ancora: «... Data la sua latitanza, non è stato possibile chiarire la reale natura dei suoi rapporti con l'ex sindaco Lima e con gli onorevoli Gioia e Barbaccia, a cui ha fatto allusione Giuseppe Annaloro. Certo è che con l’asserito "autorevole” intervento di Tommaso Buscetta, Giuseppe Annaloro ottenne la integrale approvazione di un progetto di costruzione e compensò il Buscetta per il suo interessamento, con la somma di lire 5.000.000 destinata, a dire sempre del Buscetta, agli "amici” idei Comune di Palermo».

2) Nel processo contro Pietro Torretta + 120 (Doc. 509) sono documentate le irregolari assegnazioni di case popolari fatte a mafiosi come Nicola Gentile, Gaetano Filippone e Marsala Giuseppe (capomafia di Vicari) e congiunti, da Salvatore Lima ed Ernesto Di Fresco, con l’interessamento di Vito Ciancimino, Giuseppe Brandaleone ed Ernesto Pivetti. Il figlio di Marsala era autista di Ciancimino e di Di Fresco.

3) Imperiale Gioè Filippo (ucciso recentemente) interrogato nel processo penale contro Garofalo+ 20 (Doc. 400) dichiara che Salvatore La Barbera si interessò per fargli ottenere la licenza di una pompa di benzina, dicendogli: «il sindaco (Lima) è una cosa mia, lei avrà quello che desidera e poi avrà a vedere con me».

Dopo un giorno Salvatore La Barbera ottenne la licenza per Imperiale e gli dice: «Lei sa tutte queste cose come sono! Mangia e fai mangiare!» Poi pretese di entrare in società nella gestione della pompa. La pompa fu gestita in piazza Giacchery (benzina API) per sei mesi, perché la società API, allorché si diffuse la notizia che Salvatore La Barbera era ricercato, disdisse il contratto ed affidò ad altri la gestione.

4) I fratelli Taormina, implicati nel sequestro di persona dell’industriale Rossi di Montelera, esponenti del gruppo di mafia dominante un tempo (e oggi?) a Cardillo, risultarono, all’epoca delle indagini per rapine ed estorsioni svolte verso il 1966 (processo contro Grado + 32), legati o molto vicini al consigliere comunale Iocolano, in particolare Taormina Giacomo.

5) Una relazione della Legione dei Carabinieri di Palermo (a firma del generale dalla Chiesa del 30 luglio 1971) nel descrivere la personalità del dottor Giuseppe Lisotta, cugino di Vito Ciancimino, mette in evidenza come questo personaggio, esponente delle cosche mafiose di Corleone, abbia avuto incarichi in numerosi enti:

1) Istituto provinciale antirabbico;

2) Cassa soccorso dipendenti AMAT;

3) INADEL.

Se ne può dedurre che le assunzioni del dottor Lisotta presso i suddetti enti siano state caldeggiate da Ciancimino quanto da Gioia. Quest’ultimo, in particolare, attraverso il cognato dottor Sturzo, all’epoca Presidente della Provincia di Palermo.

6) Nella «Scheda informativa sul conto di Nicoletti Vincenzo fu Vincenzo» capomafia riconosciuto della zona di Pallavicino, redatta il 30 settembre 1963 dal locale Comandante della Stazione dei Carabinieri, Cesane Franchina, si legge:

Al punto 10: «nel passato ha svolto attività politica in favore della Democrazia cristiana».

Al punto 11: «nel passato mantenne relazioni con l’ex sindaco di Palermo, dottor Lima, e con l'onorevole Gioia».

Al punto 16: «per il suo ascendente talvolta ha provveduto a collocare giovani in impieghi aiutando anche economicamente i bisognosi».

8— I fatti più recenti.

I fatti più recenti mettono in evidenza un processo di «razionalizzazione» del sistema di potere mafioso nella città e nella provincia di Palermo che certamente richiede la guida di personalità politiche in grado di controllare gli atti e le decisioni di enti pubblici diversi. Vogliamo riferirci, in particolare, alla conquista dell'appalto della manutenzione stradale da parte dell’impresa LESCA e alla entrata in scena della CONSEDIL.

Abbiamo già illustrato la funzione assolta dall'impresa Arturo Cassina che ha gestito ininterrottamente, per oltre 36 anni, il servizio di manutenzione stradale del comune di Palermo. Ogni volta alla scadenza novennale, la Giurata comunale era riuscita ad imporre al Consiglio il rinnovo del contratto alla ditta Cassina senza regolare gara di appalto.

L’ultima volta in cui si adottò quella scandalosa procedura fu nel 1962, quando il conj tratto alla Cassina venne rinnovato ancora per 9 anni.

L'approvazione di tale irregolare deliberazione provocò il ricorso del gruppo consiliare comunista di fronte alla Commissione provinciale di controllo. Anche in quella sede si verificò un colpo di mano per ratificare la delibera. Su quella vicenda esiste un’ampia documentazione presso la nostra Commissione. (In particolare la deposizione resa allora dal Presidente della Commissione provinciale di controllo di Palermo, ili magistrato Di Blasi, che sii dimise per protesta dall’incarico definendo quanto era accaduto «un atto di mafia»).

Il clamore suscitato da quell’episodio convinse il gruppo di potere che domina la città di Palermo che nel 1971 (alla scadenza dell’appalto!) non sarebbe stato possibile ripresentare l’operazione di rinnovo puro e semplice alla ditta Cassina e che occorresse escogitare qualcosa di nuovo. È stata così inventata la LESCA che si è aggiudicata l'appalto-concorso della manutenzione stradale a Palermo, subentrando all’impresa Cassina. Ma la cittadinanza palermitana ha potuto constatare: 1) che la LESCA conservava tutte le strutture e le attrezzature e gli uomini dell’impresa Cassina; 2) che a dirigere l'attività della nuova impresa era l’ingegner Pasquale Nisticò, genero di Arturo Cassina, assistito dall'ingegner Luciano Cassina, figlio del titolare della vecchia ditta; 3) che nelle quattro zone in cui è divisa la città operano ancora i vecchi subappaltatori mafiosi con funzione ufficiale di capi zona.

Ci si è domandato, allora, quale era il rapporto fra la LESCA e Cassina. Si è scoperto così che la famiglia Cassina ha in realtà il controllo della società Arborea che possiede il 95 per cento delle azioni della LESCA.

Ebbene il gruppo di potere che domina Palermo ha compiuto la beffa di indire un appalto-concorso dove alla fine sono rimaste in gara solo 3 ditte: la Cassina, la LESCA e la ICES di Roma. Quest’ultima non viene ammessa perché la Commissione aggiudicatrice (nominata dalla Giurata comunale!) non giudica sufficiente la fidejussione bancaria. Restano in lizza Cassina e LESCA: Cassina contro Cassina.

Su questa grottesca vicenda il gruppo comunista ha presentato un ampio e documentato ricorso alla Regione, chiedendo un’inchiesta parlamentare dopo che l'assessore regionale agli Enti locali Giacomo Muratore (uomo di fiducia dell’onorevole Gioia!) aveva approvato l’operato della Giurata comunale di Palermo. Copia di tale ricorso viene pubblicala tra gli allegati. (Allegato n. 9).

Per capire la «posta in gioco» occorre tenere presente che l'appalto della manutenzione stradale e delle fognature costa al Comune di Palermo oli tre 100 miliardi per i 9 anni di durata del contratto. (150 se si tiene conto della inevitabile revisione dei prezzi in aumento!). Esiste un divario scandaloso tra i costi previsti dall’appalto e quelli accertati in altre città. (Per la manutenzione di strade e piazze è prevista a Palermo una spesa annua di 4 miliardi e 400 milioni, mentre a Bologna il costo complessivo è di 498 milioni. Per la manutenzione delle fogne a Palermo è prevista una spesa annua di 5 miliardi e 900 milioni, mentre a Bologna il costo complessivo è di 200 milioni circa).

Altro grande settore di dominio incontrastato del gruppo di potere diretto dall'onorevole Gioia è l'Ente porto di Palermo. La impresa che opera in esclusiva nel porto di Palermo è la SAILEM di cui è titolare l’ingegner D’Agostino che, grazie alla protezione del ministro Gioia, è diventata una delle più grandi imprese portuali del Mediterraneo. Presidente dell’Ente porto è l’avvocato Santi Cacopardo che fu protagonista di primo piano dello scempio di Palermo negli «anni ruggenti» della speculazione edilizia in qualità, allora, di Presidente dell’Istituto autonomo case popolari di Palermo. La Commissione possiede una documentazione enorme sulle gesta di tale personaggio che ha fatto assolvere all’IACP la funzione di battistrada della speculazione edilizia, particolarmente attraverso la costruzione dei cosiddetti villaggi satelliti dove il Comune, era costretto a fare le opere di urbanizzazione, valorizzando le aree limitrofe che venivano occupate dai mafiosi in combutta con gli uomini politici del gruppo di potere dominante. Invece di provvedere al risanamento dei vecchi quartieri fatiscenti si è favorito per venti anni l’espansione della città in una direttrice preordinata (l’asse via Libertà, viale Lazio, circonvallazione verso Tommaso Natale e l’aeroporto di Punta  Raisi, su cui si è concentrato lo scontro sanguinoso fra le cosche mafiose!).

Negli ultimi anni, incalzato dall’opinione pubblica e dall’opposizione di sinistra, il ministro Gioia ha assunto in prima persona l’iniziativa del «risanamento» dei quartieri popolari promuovendo la stipula di una convenzione fra Comune di Palermo, Cassa per il Mezzogiorno e Italstat. Tale convenzione era chiaramente finalizzata a scopi speculativi verso il versante di Palermo Est (oltre Oreto) dove, fra l’altro, esistono cospicui interessi immobiliari delle famiglie Gioia e Cusenza. Sta di fatto che, avendo l’opposizione di sinistra in Consiglio comunale imposto profonde modifiche alla convenzione, che limitano fortemente i margini di manovre della speculazione, il «risanamento» di Palermo non si realizza.

Si sta, invece, manovrando per realizzare i progetti della speculazione fuori dalle aree da risanare. Le opere di contenimento del fiume Oreto sono già in convenzione alla Italstat con uno stanziamento di 5 miliardi circa (progetto avviato già da 45 anni). Inoltre, sono già stati stanziati 10 miliardi circa per un tronco della circonvallazione di Palermo che si riferisce a questa zona. Sono previste ulteriori opere per quello che dovrebbe diventare il «Progetto speciale Palermo» che attualmente è fermo al CIPE:

— un asse di aggancio «Circonvallazione-Porto» che dovrebbe correre lungo il fiume Oreto (previsti 12 miliardi circa);

— risanamento idrico-fognante lungo il fiume Oreto (20 miliardi circa);

— altro tronco circonvallazione (10 miliardi circa).

Come avviene la speculazione? Attraverso la scelta delle priorità delle opere da eseguire. Il risanamento idrico-fognante verrà fatto fra le ultime cose. Risulta che inquilini del quartiere interessato vengono già mandati via. Il giorno che verrà fatto il risanamento il quartiere sarà già pronto per essere trasformato da popolare in quartiere «bene».

L'ultimo capolavoro del gruppo di potere dominante di Palermo è la costituzione del  consorzio di imprese CONSEDIL. La (legge n. 166 consente alle imprese o loro consorzi di realizzare interventi edilizi a tasso agevolato (5 per cento) con la concessione di contributi sugli interessi per mutui fino al 75 per cento della spesa ai sensi dell’articolo 72 della legge n. 865 e della (Legge n. 1179, prevedendo ad hoc stanziamenti per gli anni 19751976.

Il 7 giugno 1975 (giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge n. 166), si costituisce in Palermo un consorzio di imprese CONSEDIL con la sdia ed esclusiva finalità di operare interventi ai sensi dell'articolo 72 della legge n. 865. Le imprese sono le seguenti: SAILEM (D’Agostino), Gaissima, Tosi, ABC (Pisa), Reale, Ranieri. Direttore tecnico del consorzio è l'ingegner Giuseppe Marmino che, vedi caso, è anche direttore tecnico della LESCA, la ditta che si è aggiudicato il servizio di manutenzione stradale a Palermo. Sino ad oggi la maggior parte di queste imprese hanno operato in settori diversi dall’edilizia quali opere marittime (SAILEM), strade (Cassina, Reale, ABC); solo Tosi e Ranieri vi hanno operato e quest’ultima in misura molto ridotta.

Il CONSEDIL è l’unico ad avanzare richiesta alla Regione per l’ottenimento dei contributi ad sensi dell'articolo 72 della legge n. 865 per un intervento di grosse dimensioni nel Comune di Palermo. Contemporaneamente, come prescritto dalla legge, chiede l’assegnazione di aree al Comune e indica quale istituto finanziatore la sezione di credito fondiario del Banco di Sicilia. L’assessore regionale ai lavori pubblici ooncede al CONSEDIL l’intera franche di contributi agli interessi destinata ai privati; il che consente un intervento di circa 25 miliardi, per la cui realizzazione non resta che l’assegnazione dell’area da parte del Comune.

Il disegno di legge n. 376 del 13 agosto 1975 con l’articolo 6 stanzia altri fondi per gli anni 1975-1976, raddoppiando il finanziamento.

Da quanto sopra emergono le seguenti considerazioni:

1) i nominativi dei componenti il CONSEDIL non lasciano dubbi che esiste un’ampia copertura politica che potrà permettere la massima agevolazione a tutti i livelli, ma soprattutto a quello comunale (approvazione progetti, convenzioni, eccetera);

2) la maggior parte delle imprese del CONSEDIL e soprattutto le più consistenti (SAILEM e Cassina) non si sarebbero mai sognate di entrare nell’attività edilizia, in quanto i settori in cui esse agiscono, opere marittime e strade, consentono ad esse consistenti profitti. Pertanto la loro presenza denota che sono sicuri di condurre un vero e proprio «affare»;

3) il CONSEDIL, per le precedenti considerazioni, non sarà in grado di affrontare con le proprie strutture tecniche ed industriali l’intero intervento e quindi si porterà al di sopra della piccola e media imprenditoria in posizione di pura e semplice finanziaria, spostando così il rischio di impresa dal momento manageriale industriale al momento politico e finanziario. Tale monopolio assumerà una pesantezza insopportabile per la media e piccola imprenditoria, in quanto si instaurerà inevitabilmente una intermediazione oltre che politica e clientelare, anche mafiosa. Alla mafia delle aree si aggiunge così la mafia dei subappalti.

Si fa notare che per il CONSEDIL non esistono problemi finanziari, non esistono esitazioni nella fase decisionale, esiste un rapporto politico per cui gli uffici comunali e delle banche saranno a completa disposizione per rendere agevole la strada alla realizzazione, mentre potranno renderla piena di ostacoli alle altre componenti in gioco. Si ricordi in proposito in quali enormi difficoltà si è sempre dibattuto l’IACP di Palermo, che dopo anni non riesce ad ottenere dal Comune le opere di urbanizzazione. Vedremo, invece, con quale celerità verranno fatte per il CONSEDIL dove Cassina è un membro dei più importanti. Conseguentemente si verificherà che le prime case ad essere pronte saranno proprio quelle del CONSEDIL. Da qualche parte si è avanzata l’ipotesi che in seguito, di fronte a pressioni popolari per l’ottenimento della casa o per la oggettiva situazione di carenza di alloggi in Palermo, si potrebbe arrivare alla vendita diretta all'IACP o alle cooperative svuotandone così le funzioni istitutive.

Si ripeterebbe così l’esperienza degli edifici costruiti dalla famosa impresa Vassallo o affittati al Comune e alla Provincia per scuole e agli altri enti pubblici per uffici.

Abbiamo voluto soffermarci su alcuni fatti più recenti per mettere in evidenza come si evolve il sistema di potere mafioso a Palermo.

Vogliamo ricordare ancora la grande influenza che il gruppo di potere palermitano ha sul sistema bancario grazie al controllo del Banco di Sicilia. L'attuale presidente del Banco, Ciro Di Martino, fu sostenuto da Gioia che, inoltre, ha imposto come vice presidente il suo uomo di fiducia Ferdinando Alicò.

Nella?lottizzazione? del potere fra le varie correnti della Democrazia cristiana l'onorevole Gioia ha preteso ancora il Banco di Sicilia. Ma, avendo sino ad oggi il Ministero del tesoro e la Banca d'Italia respinto tutti i suoi candidati, il Banco di Sicilia è da molti anni con il consiglio di amministrazione non rinnovato, con conseguenze catastrofiche per la vita di questo importante istituto e per l'intera economia siciliana.

9. — Il sistema di potere mafioso a Trapani.

Il sistema di potere mafioso continua a dominare la vita di altre zone della Sicilia occidentale. Dopo Palermo possiamo dire che la situazione più preoccupante esiste in provincia di Trapani. La Democrazia cristiana trapanese, infatti, è oggi in mano ad un gruppo di potere che è dominato dalla famiglia dei Salvo di Salemi, che, come è noto, controlla le famose esattorie comunali di cui si è tanto occupata la nostra Commissione (14).

Il congresso provinciale della Democrazia cristiana trapanese, tenutosi nel 1972, è considerato il punto di arrivo della scalata data dal gruppo Salvo alla direzione della Democrazia cristiana di quella provincia.

(14) La materia delle esattorie ha formato oggetto nella I Legislatura di un’ampia indagine da parte di un Sottocomitato del Comitato per l’indagine sugli Enti locali, la cui relazione di massima non è stata, peraltro, mai sottoposta alla discussione ed all’approvazione formale della Commissione. I dati emersi da quell’indagine consentono, però, di delineare un impressionante quadro di carenze, di anomalie e di irregolarità nel servizio esattoriale.

L’aggio concesso a favore degli esattori per le somme riscosse in Sicilia, notevolmente e ingiustificatamente superiore a quello vigente nel restante territorio nazionale (a fronte di un aggio aggirantesi, sul territorio nazionale, intorno ad una aliquota media del 3,30 per cento, l'aggio siciliano giunge a toccare sino al 10 per cento circa); le ulteriori cospicue agevolazioni quali le cosiddette «tolleranze» sud tempi di versamento dei capitali riscossi, che vengono concesse fino alla misura del 20 per cento ed oltre del carico dei ruoli (e che si traducono sostanzialmente nella messa a disposizione degli esattori di ingenti somme di denaro senza interesse, che possono essere reinvestite in altre più lucrose attività); i non trascurabili profitti assicurati agli esattori attraverso i particolari istituti dei diritti di mora e delle partite inesigibili; i rimborsi spese eccedenti l’aggio che sono in taluni casi previsti a favore degli esattori, inducono al legittimo convincimento che l'apparato esattoriale possa configurarsi come una colossale organizzazione di intermediazione parassitaria che danneggia gravemente i contribuenti siciliani, l’economia siciliana e 'lo stesso sviluppo economico-sociale dell’Isola.

Causa fondamentale dello strapotere dell’apparato esattoriale siciliano è stato l’esercizio distorto della legislazione tributaria da parte della Regione, a sua volta indubbiamente condizionata dalla spinta potente del formidabile gruppo di pressione di quell’apparato, praticamente nelle mani di poche famiglie (i Salvo, appunto, di cui si parla nel testo, i Cambria, i Corleo) che ne detengono il monopolio.

Il concreto esercizio da parte della Regione della potestà tributaria, che l'articolo 37 dello Statuto attribuisce alla sua autonoma competenza come fondamentale strumento per la realizzazione di un programma regionale di sviluppo democratico, anziché realizzare semplici ed economici meccanismi impositivi tali da tradursi in congrui strumenti di perequazione fiscale, ha modificato in peggio il macchinoso sistema di riscossione già vigente nel resto del Paese ed ha reso obiettivamente più facile nell’Isola l’incrostarsi nelle maglie di esso di privilegi, favoritismi ed abusi.

Non appare difficile qualificare tali incrostazioni come un classico terreno di coltura di degenerazione mafiosa,

In quel congresso avvenne la saldatura, attorno al gruppo doroteo dell'onorevole Grillo, di una vasta maggioranza alla cui formazione concorrevano non solo i tradizionali gruppi salernitani e marsalesi, ma anche forze di Trapani e di Alcamo.

In quell’occasione il moroteo Culicchia, segretario provinciale uscente e sindaco di Partanna, accusò pubblicamente i Salvo di aver «acquistato» i voti dei delegati ininterrottamente per tutta la durata del congresso e fino al seggio elettorale dove si votava per il rinnovo delle cariche. La chiave interpretativa fondamentale del rapporto tra gruppi mafiosi e potere politico negli ultimi dieci anni in provincia di Trapani va ricercata, infatti, nella scalata del gruppo Salvo e nella crisi conseguente a questo processo che pare averli colpiti negli ultimi mesi (si veda il sequestro Corleo).

Con i Salvo debuttava un nuovo impegno imprenditoriale in prima persona, dinamico, dei gruppi mafiosi. In parte è un processo analogo a quello legato all'emergere, in quegli anni, di nuovi gruppi dirigenti mafiosi legati alla speculazione edilizia nei grandi centri urbani dell'isola. Le scelte prioritarie del gruppo trapanese si rivolgono, però, non solo all’edilizia ma anche all’agricoltura e alla speculazione finanziaria.

L'accordo raggiunto per alcuni anni dai Buccellato e dai Navarra di Castellammare, dai Rimi nell’alcamese, dai Minore a Trapani, dai Salvo e Zizzo a Salemi, dai Taormina a Castelvetrano, eccetera si consolida di fronte alle nuove possibilità finanziarie che l’espansione nel campo delle esattorie di Salvo e Corleo ha messo a disposizione di questi gruppi. Si creano nuove condizioni e si costruisce un nuovo gruppo dirigente che, chiusa la parentesi cristiano-sociale, rientra pienamente nella Democrazia cristiana e ne assume il controllo senza, tuttavia, alcuna guerra a fondo contro il tradizionale gruppo moroteo di Mattarella (l'unico trauma è forse il sequestro Caruso cui da più parti si attribuisce un emblematico valore politico). In quegli anni si espande la presenza in provincia di Trapani di Lima e di Gioia e Attilio Ruffini diviene il punto di riferimento di vasti gruppi non solo dorotei, ma anche della corrente fanfaniana di Trapani. In sostanza il rapporto privilegiato delle nuove forze dirigenti della Democrazia cristiana trapanese è verso Gioia-Lima-Ruffini. Il gruppo Salvo, contemporaneamente, tende ad assicurarsi una serie di contatti e di rapporti con altri partiti individuando uomini da appoggiare al momento elettorale o da usare come tramiti per costruire accordi politici su determinate operazioni economiche.

Alla fine degli anni '60 si aprono una serie di scontri tra i Salvo ed altri gruppi che pure avevano avuto un ruolo importante nella costruzione del gruppo dirigente post-mattarelliano. Questi scontri attorno al controllo dei consorzi agrari e delle zone di sviluppo turistico sono accompagnati da una vera e propria «presa di potere» all'interno delta Democrazia cristiana del nuovo gruppo di maggioranza, la cui ottica diviene sempre più esclusiva fino al tentativo di un anno fa di modificare in proprio favore il rapporto territoriale tra le sezioni di partito della Democrazia cristiana e le sezioni elettorali al fine di tagliare fuori nelle elezioni amministrative del giugno scorso l’intera componente morotea.

(segue nota 14).

soprattutto se si guardi all'essenza del fenomeno mafioso inteso come smodato ed ostentato abuso di potere.

Ciò spiega il rilevante contributo che il gruppo comunista ha dato all’elaborazione delle proposte per il riordinamento del settore, impegnandosi vigorosamente perché alla recente legge 2 dicembre 1975, n. 576, contenente disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni, che riduce notevolmente l’area di intervento delle esattorie permettendo al contribuente, con un sistema di autotassazione, di versare direttamente i tributi, senza il tramite degli esattori, sia affiancata, per la Sicilia, una misura che affidi le funzioni esattoriali solo alle banche pubbliche o a consorzi di banche, in cui quelle pubbliche abbiano la maggioranza del capitale sociale.

Il tentativo fallì per l’intervento diretto della Direzione democristiana e con la sospensione del già convocato congresso provinciale. Gli altri partiti di centrosinistra erano oggetto di una penetrazione di questi gruppi impegnati nel quadro politico provinciale anche per la rilevanza economica della ricostruzione del Belice, e della costruzione dell’autostrada. Negli ultimi anni, si è avuta una prevalenza netta del gruppo Salvo sugli altri e il delinearsi di una loro volontà di controllo della provincia. Questo, indipendentemente dia tutte le analisi, evidentemente non comprovate, sul traffico della droga che li avrebbe visti finanziatori di una rete distributiva nella quale sarebbe stato rilevantissimo il ruolo di Zizzo e di gruppi alcamesi (oltre ai Rimi anche Guarrasi e Melodia). A questo proposito pare rilevante la supposizione che fa la Polizia, dopo 1 'accertamento patrimoniale su Guarrasi (l’assessore al Comune di Alcamo, assassinato alla vigilia delle elezioni del 15 giugno il cui patrimonio si è rivelato insospettatamente cospicuo e sicuramente superiore al miliardo), che egli sia stato ucciso in un tentativo di sequestro che rimanda logicamente al caso Corleo. Il Guarrasi, ex sindaco di Alcamo ed esponente di rilievo provinciale della corrente dorotea, non poteva certamente aver costruito una fortuna di queste proporzioni solo attraverso la speculazione edilizia ad Alcamo.

Alla morte del vecchio Rimi fu reso più evidente l’indebolimento del vecchio gruppo dirigente mafioso; con ciò si spiega il fiorire di una serie incontrollata di attentati ai cantieri edili promossi da una mafia alcamese di secondo grado, come i fratelli Minore, che oggi rivendica spazi propri. Questi fatti hanno preoccupato forze e gruppi mafiosi. Si è determinata così una situazione di tensione nella provincia che sta, probabilmente, alla base dei numerosi assassini degli ultimi mesi tra i quali alcuni rilevanti (Russo a Castelvetrano, Guarrasi e Piscitelli ad Alcamo, i due scomparsi di Paceco e Trapani legati ai rami minori del gruppo mafioso di Paceco) e del clamoroso sequestro di Corleo.

10. — Il potere mafioso a Caltanissetta.

Le cosche maliose della provincia di Caltanissetta hanno avuto sempre un ruolo politico di primo piano. Basti ricordare i nomi di don Calogero Vizzini e dì Giuseppe Genco Russo. La mafia nissena si è sempre caratterizzata per la sua capacità di garantire «L'ordine» in quella provincia. L’assenza di gravi fatti di sangue e di altri clamorosi reati ha consentito a determinati uomini politici e funzionari «responsabili» di affermare che la mafia a Caltanissetta sarebbe ormai scomparsa. Improvvisamente, invece, nella seduta del 12 settembre 1972 del Consiglio comunale di Caltanissetta il sindaco, professar Raimondo Collodoro, denuncia di aver subito intimidazioni mafioso. Quell’episodio ripropone il problema dello scontro fra diversi gruppi di potere nei settori dell'urbanistica, dell’attività edilizia e del mercato ortofrutticolo.

Il Comune di Caltanissetta in quel momento doveva predisporre i programmi per l’approvazione della legge per la casa con la cessione delle aree dei piani zonali alle cooperative già finanziate. L'intimidazione maliosa nasceva dalla volontà di gruppi di speculatori privati di impedire la creazione di un mercato competitivo di aree. Contemporaneamente, manovrando gli organi di controllo, si cercava di vanificare una delibera del Consiglio comunale che poneva un vincolo a verde nel Parco Testasecca che un gruppo di speculatori mafiosi intendeva, invece, accaparrarsi. Si sono poi avute le conferme clamorose della presenza maliosa in provincia di Caltanissetta con il caso Di Cristina, i suoi rapporti con l’Ente minerario e i suoi legami elettorali con l'onorevole Gunnella.

Ma le cosche mafiose hanno manifestato la loro presenza anche nel polo di sviluppo industriale di Gela. Ecco, a questo proposito, quanto è stato denunziato nell’interrogazione che gli onorevoli La Marca, Mancuso e Vitali hanno rivolto in data 26 marzo 1975 ai Ministri delle partecipazioni statali, 'interno e lavoro:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri delle partecipazioni statali, dell’interno e del lavoro e della previdenza sociale per sapere:

1) se sono a conoscenza del pesante clima di tensione esistente attorno al complesso petrolchimico di Gela e, più specificatamente, nell’ambito delle imprese appaltatrici di lavori e servizi dall'ANIC, dove episodi di brutale sfruttamento di lavoratori (spesso culminati in infortuni anche mortali), di corruzione, di connivenza tra imprese appaltatrici ed alcuni tecnici dell’azienda di Stato, nonché di intimidazioni mafioso contro le organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL si vanno verificando con un crescendo impressionante, fino al punto, non soltanto di turbare la tranquillità necessaria all'ambiente di lavoro, ma anche di mettere in serio pericolo la stessa incolumità dei lavoratori e dei dirigenti sindacali.

Significativi di tale grave situazione sono gli episodi verificatisi negli ultimi mesi e precisamente:

a) la costruzione di due villini in contrada Desusino, di proprietà di due tecnici dell’ANIC addetti all'ufficiò manutenzione edile dello stabilimento, eseguita dall’impresa MECOS, appaltatrice di lavori dell’ANIC, a mezzo di operai dipendenti da detta impresa, costruzione denunziata dalla Camera del lavoro di Gela l'8 febbraio 1975 e confermata dalla ispezione effettuata dall'Ispettorato provinciale del lavoro il 12 febbraio 1975;

b) l'intimidazione di pretta marca mafiosa contro il segretario della Camera del lavoro di Gela al quale, la sera dell'11 febbraio 1975, veniva incendiata l'auto;

c) la sparatoria (8 colpi di pistola) ad opera di un pregiudicato non nuovo ad aggressioni del genere contro il direttore dell’impresa SMIM (anche questa appaltatrice di lavori dell'ANIC), per fortuna rimasto illeso insieme con altri operai che si trovavano dietro la macchina del citato direttore, presa di mira dallo sparatore all’interno del petrolchimico il 7 marzo 1975;

2) se risulta a verità che noti delinquenti cornimi, assunti come operai dalle imprese MECOS e SMIM e da queste regolarmente retribuiti, svolgono la duplice mansione di "guardaspalle” dei dirigenti delle stesse imprese e di informatori del locale Commissariato di Pubblica sicurezza;

3) se, dopo la scoperta della costruzione di due villini da parte dell'impresa MECOS per conto di due tecnici dell'ANIC, abbia trovato conferma la voce, secondo la quale la stessa impresa sta costruendo a Caltanissetta un villino per conto di un funzionario di quell'ispettorato provinciale del. lavoro;

4) se, alla luce dei fatti sopra riportati, i Ministri non ritengono di dover intervenire, con un’azione concertata, per rompere l’intrecciò sviluppatosi, all'ombra del rigoglioso bosco degli appalti-ANIC, tra alcuni tecnici dello stabilimento petrolchimico, le imprese appaltatrici, il Commissariato di Pubblica sicurezza e lo stesso Ispettorato provinciale del lavoro.

In particolare si chiede al Ministro delle partecipazioni statali se non sia giunto ormai il momento di affrontare di grave problema della pratica degli appalti ancora recentemente, e non soltanto a seguito dei gravi fatti sopra denunziati, sollevato dalle organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL, con la precisa richiesta di abolire la concessione in appalto di servizi e lavori all'interno dello stabilimento che potrebbero essere condotti direttamente dall’azienda di Stato».

E a completare il quadro ecco scoppiare lo scandalo della Cassa rurale «S. Giuseppe» di Mussameli.

Trattasi della Cassa rurale che ha favorito le operazioni bancarie intese a sostenere l’attività del gruppo di mafiosi guidato da Genco Russo per impadronirsi del feudo Polizzello. A Genco Russo la Commissione ha dedicato un ampio profilo, nella «Relazione sull’indagine riguardante casi di singoli mafiosi» (Doc. XXIII, n. 2 quater Camera dei deputati I Legislatura). Presidente di tale Banca è l'avvocato Vincenzo Noto, ex sindaco di Mussameli, noto capo elettore di Calogero Volpe. II suo nome ricorre negli atti relativi al profilo di Genco Russo.

In atto i soci della Cassa sono 237. Nel 1940 erano 1. 500, nel 1945 erano 1. 050, nel 1954 erano scesi a 500 per raggiungere il numero attuale di 237. La raccolta di fondi è valutata a circa sei miliardi di lire e riguarda piccoli depositi di circa un migliaio di piccoli risparmiatori. Il presidente avvocato Noto ha utilizzato la Cassa ad esclusivo vantaggio di un ristretto gruppo familiare comprendente:

1) Noto Angelo, nipote di Vincenzo;

2) dottoressa Scozzati, moglie dell'avvocato Vincenzo Noto.

Le operazioni di investimento (almeno quelle che si conoscono) portate a termine da tale clan familiare riguardano le seguenti iniziative:

1) «Pastifici riuniti Valle dei Platani», di cui l'avvocato Vincenzo Noto è stato amministratore delegato;

2) «Laterplatani», industria di manufatti per l’edilizia, di proprietà di Angelo Noto, nipote dell'avvocato Vincenzo;

3) acquisto di abitazioni in Mussameli, Palermo, Erma, Cinisello Balsamo;

4) acquisto di aree fabbricabili nel territorio urbano di Mussomeli. Tali aree costituiscono una notevole percentuale delle aree disponibili nel piano regolatore di Mussomeli. La elencazione di tali beni è ricavata da un atto in notaro Ielo di Caltanissetta in data 25 maggio 1975, con il quale i proprietari di tali beni chiedono ed" ottengono l'accensione di ipoteca su di essi a garanzia di un debito con il Banco di Sicilia per circa un miliardo e settecento milioni.

Non si conosce se, oltre a quelli elencati in tali atti, siano presenti altri beni intestati al suddetto clan familiare capeggiato dal Noto. La sofferenza dell'Istituto pare che ascenda a circa sei miliardi, di cui è documentabile in beni solo la suddetta quota di 1. 700 milioni circa, peraltro coperta da ipoteca del Banco di Sicilia. Non si conosce la destinazione degli altri quattro miliardi.

Qualche settimana prima dello scoppio dello scandalo il reverendo Giuseppe Mulè, vice presidente della Cassa, ha ritirato un suo deposito personale di 1 milione e 700 mila lire per depositarlo in altro Istituto. Analoga operazione è stata condotta dall’arciprete di Mussameli per circa 37 milioni.

Hanno intrapreso azione legale dinanzi al Tribuinaie d:i Calltanissetta soltanto sei dei piccoli risparmiatori depositanti, che hanno avanzato istanza di liquidazione giudiziaria. Il Tribunale di Caltanissetta ha già richiesto la informativa alla Banca d'Italia, ohe non l'ha ancora inviata. Nelle settimane antecedenti al crac pare che sia stata tentata una operazione di camuffamento della situazione economica, costruendo crediti vantati dalla Banca e nient’affatto esistenti. Infatti qualche ex cliente della Banca che aveva estinto da diverso tempo ogni pendenza debitoria e chiuso ogni conto si è visto arrivare una lettera raccomandata con la quale la Banca lo invita a sanare un debito finanziario effettivamente non esistente.

Vogliamo segnalare la struttura giudiziaria di Mussomeli.

Da diversi anni risulta non coperto il posto di Pretore. Le funzioni della Pretura sono affidate ad un vice pretore onorario: l'avvocato Giuseppe Sorce. il quale è contemporaneamente vice presidente della Banca popolare di Mussomeli.

L'avvocato Giuseppe Sorce è suocero di un figliuolo dell'avvocato Vincenzo Noto, presidente della «S. Giuseppe» di Mussomeli. L’avvocato Sorce è lo stesso che coprì la carica di sindaco di Mussomeli dal 1946 al 1956. Esiste una dichiarazione apologetica in favore di Giuseppe Gerico Russo, sottoscritta dal Sorce nella sua qualità di sindaco (15).

Oltre a quella di Mussameli le Preture della provincia di Caltanissetta clic da anni sono rette da vice pretori reggenti sono:

1) Villalba: da tempo immemorabile non c’è un Pretore titolare. Il mandamento della Pretura di Villalba comprende anche il comune di Vallelunga, anche quest’ultimo centro di mafia (i Madonia, i Sinatra sono di Vallelunga). Detta Pretura è sempre retta da un avvocato del luogo il quale, come reggente, è regolarmente stipendiato, e naturalmente si mette al servizio di chi lo fa nominare (chi si muove per le nomine è l'onorevole Volpe!);

2) Butera: anche qui il titolare della Pretura manca da tempo immemorabile. Il vice pretore reggente è sempre stato un avvocato del gruppo di potere che fa capo al commendatore Guido Scichilone, capo della DC più volte sindaco del Comune, e consigliere della Cassa di Risparmio, impresario di. trasporti extraurbani;

3) Riesi: attualmente è senza titolare e il reggente è un avvocato del luogo, nonostante sia centro di mafia (patria dei Di Cristina);

4) Sommatino: da circa 10 anni è retta da un avvocato del luogo, Giuseppe Pappalardo (uomo di Volpe), benché ci sia un titolare che, però, non appena nominato nel 1973, è stato applicato alla Pretura di Caltanissetta per sette giorni la settimana! Si dice che l'operazione sia stata fatta per favorire il Pappalardo «ben protetto».

Tutte queste Preture sono in generale anche senza cancelliere titolare e si rimedia con qualche cancelliere a scavalco o col segretario comunale che per legge deve fare il cancelliere in assenza di questi.

Le caratteristiche attuali del fenomeno mafioso in provincia di Agrigento.

In provincia di Agrigento gli atti e le manifestazioni tipiche del fenomeno mafioso hanno subito una graduale, ma costante attenuazione, rispetto al periodo (1943 inizio anni '60) di vera e propria esplosione che aveva visto le cosche mafiose protagoniste di una lunga catena di delitti culminati nell'assassinio del commissario di Pubblica sicurezza Cataldo Taodoj. La Federazione agrigentina del PCI ha già espresso il proprio giudizio sul fenomeno mafioso, con una puntuale e documentata analisi contenuta nel «memoriale» consegnato alla Commissione antimafia, che ancora oggi conserva la sua validità e attualità, confermata da episodi e rivelazioni successivamente verificatisi. Pertanto ci limitiamo ad alcune sintetiche considerazioni aggiornative delle caratteristiche e delle dimensioni che allo stato attuale assume il fenomeno mafioso.

Le cause della sua attenuazione sono dovute alla crisi delle tradizionali attività produttive: miniere di zolfo oggi in fase di completa smobilitazione, la crisi grave che investe la pesca e, per altri versi, il settore delle costruzioni edilizie. Nella città di Agrigento, dopo la frana del luglio 1966 a causa del caos urbanistico, si è determinata la paralisi quasi completa delle attività di costruzione.

(15) L’Ora del 1213 febbraio 1964 recava la seguente notizia: «L'inviato del quotidiano torinese La Stampa a sua volta riferisce che anche l’avvocato Giuseppe Sorce, nella sua qualità di ex sindaco di Mussomeli, ha rilasciato a Genco Russo un attestato di civismo, disinteresse e laboriosità». Lo stesso inviato riferisce poi le varie argomentazioni difensive divulgate dal difensore di Genco Russo tra cui le seguenti significative espressioni testuali dal tono minaccioso: «Il cavaliere Genco Russo è vittima delle correnti interne del suo partito (la DC ndr. ). Sa chi lo ha proposto per la riabilitazione e lo fece nominare cavaliere nel 1945? Quegli stessi suoi compagni di partito che ora lo accusano come violento capomafia. Si vuole colpire Genco Russo per soddisfare l'opinione pubblica italiana e per salvare i veri capomafia. Condannando Genco Russo si lasciano in pace gli altri».

Nel rimboschimento le lotte bracciantili hanno costretto l'azienda forestale a gestire direttamente i lavori di forestazione, lasciando uno spazio marginale agli appalti di cui solitamente sono stati e sono titolari elementi notoriamente legati alla organizzazione maliosa, Nel settore del vigneto la costituzione di un forte movimento cooperativo di cantine sociali (di orientamento cattolico, socialista e comunista) ha sottratto molto terreno all’opera mafiosa di intimidazione e di ricatto a scopo di lucro, specie nella fase di commercializzazione dell’uva e poi del mosto, ed ha impedito il diffondersi su vasta scala della sofisticazione (che invece dilaga nel trapanese e nel palermitano).

Si è avuta contemporaneamente la crescita del livello di istruzione e della coscienza civile e democratica delle popolazioni. I grandi movimenti di lotta, guidati dai partiti di sinistra, dai sindacati e da alcuni settori importanti del mondo cattolico e della stessa Democrazia cristiana, in tutti questi anni hanno contribuito notevolmente a fare maturare una nuova coscienza nelle nuove generazioni, riducendo l'area di omertà e di paura che, laddove ancora esiste, rappresenta uno degli elementi su cui poggia e si sviluppa l'organizzazione mafiosa.

Anche se il fenomeno mafioso ha subito in provincia tale ridimensionamento, si esclude che debba essere considerato estinto o comunque non in grado, a seconda della contingenza politica od economica, di riprendersi ed estendersi. Sono, infatti, presenti i presupposti economici e sociali determinati storicamente dallo sviluppo del capitalismo in Sicilia e regolati dal sistema di potere di stampo burocratico-clientelare che spingono tanti giovani, anche a causa dalla disoccupazione dilagante, a porsi fuori dalla legge, ricercando il legame con de organizzazioni mafiose. Esistono, infatti, in tutti i comuni dell'agrigentino nuclei mafiosi di tipo classico che agiscono ©d operano con metodi che vanno dalla intimidazione al ricatto, dal paternalismo alla solidarietà di clan. Alcuni di essi sono riusciti a collegarsi organicamente con i centri fondamentali della mafia siciliana che risiedono a Palermo da dove si dipartono le fila delle organizzazioni che regolano il contrabbando di tabacco, di droghe e di altri generi, il mercato della prostituzione e delle produzioni ortofrutticole, i campi cioè dove gli interessi economici e le possibilità di lucro sono consistenti per cui è possibile che avvengano delitti gravi e spietati fatti di sangue. Sono esemplari, a questo proposito, le vicende della mafia operante nel triangolo Riesiavanusaampobello di Licata. L'esecuzione in una stanza dell’Ospedale civico di Palermo di Candido Cium è il momento più clamoroso di una lunga catena di omicidi perpetrati in quella zona, che ha visto implicati personaggi come il Di Cristina di Riesi, funzionario della SOCHIMISI e capo elettore del PRI.

Un altro settore in cui è (presente largamente la mafia è costituito dall'allevamento e dal commerciò di bestiame: zona di Canicatti tradizionalmente rinomata per il commerciò e l’importazione dall’estero di capi bovini e di carne macellata; zona montana (Alessandria della Rocca, Biurgio, Lucca Sicula, Bivonta, Santo Stefano, Cammarata, ecc.). Qui si passa dai frequenti reati di abigeato ad azioni di intimidazione (sgozzamento del bestiame, incendio di ovili), dalla macellazione clandestina di carni all'assassinio di pastori e mercanti. Le cosche più influenti di questa attività risiedono nei comuni di Alessandria e Buirgio che oltre ad esercitare un peso notevole nella zona sopra citala riescono a collegarsi con la mafia dei vicini centri del palermitano (PrizziCorleone). L'organizzazione mafiosa è particolarmente presente, inoltre, nel settore delle costruzioni edilizie e opere di interesse pubblico e stradali. In centri come Canicattì, Licata, Sciacca, Palma, Ribera, buona parte della speculazione edilizia porta il marchio della iniziativa di gruppi mafiosi i quali hanno operato, come nel caso di Licata, Canicattì, Palma, in stretta collaborazione con le amministrazioni comunali dirette dalla DC e dal centrosinistra ritardando ed in alcuni casi impedendo l’elaborazione e l’approvazione da parte dei Consigli comunali degli strumenti urbanistici, accaparrandosi le aree a basso costo o addirittura le aree di proprietà comunale (come nel caso del costruttore Pace di Palma Montechiaro, eletto consigliere comunale nella Usta della DC nelle ultime elezioni amministrative, più volte denunciato dalla nostra sezione alla Magistratura con esiti purtroppo sempre negativi. ).

Lo sviluppo della costruzione di opere pubbliche ha consentito a certi gruppi mafiosi di mettere le mani sugli appalti ed i subappalti, mediante legami precisi con il potere politico dominante, più specificamente con d partiti al governo. Qui si va dalle guardianie dei cantieri (comprese le industrie Italcementi) alle assunzioni dii mano d’opera che vengono operate, specie per ciò che riguarda la mano d’opera cosiddetta «specializzata», tramite il solito sistema delle raccomandazioni e delle protezioni di stampo mafioso. Permane il sistema delle tangenti ricattatorie, il cosiddetto «pizzo» ancora largamente praticato oltre che in questo settore anche nelle attività commerciali e la partecipazione diretta di elementi notoriamente legati alla mafia alla gestione e conduzione dei lavori. Al tradizionale e compatto gruppo dei costruttori di Favara, si va gradualmente sostituendo in questo settore la schiera degli speculatori di Agrigento che, bloccati nella città capoluogo a causa della vicenda della frana, hanno trovato sbocco in provincia.

La mafia agrigentina ha tentato recentemente un rilancio di tipo moderno con una operazione speculativa di carattere finanziario collegata con il sottobosco della finanza milanese del clan di Sindona e realizzata quasi interamente in provincia di Agrigento.. Si tratta dall'«Inter-finanziaria S. p. A.» con sede centrale a Milano, che riusciva ad aprire oltre 20 sportelli in provincia di Agrigento in piccoli comuni spogliati dall'emigrazione ed economicamente molto depressi. All’improvviso la vecchia e nuova mafia si attivizzò e cominciò il reclutamento dei depositi: una vera e propria caccia al risparmio di emigrati, ex possidenti, piccoli e medi proprietari di terre che, spinti dall'elevato tasso di interesse concesso (più del doppio del tasso praticato dalle altre banche!) e a volte da promesse di impiego nelle agenzie dell'Istituto, riversarono nelle sue casse più di 4 miliardi e mezzo di depositi nel volgere di poco tempo.

Un primo dato per dimostrare il collegamento diretto tra mafia e l'«Inter-finanziaria»: gli impiegati assunti, spesso senza i necessari titoli ed un adeguato grado di istruzione, erano quasi tutti figli o parenti stretti di esponenti mafiosi locali, i quali non avendo mansioni burocratiche da svolgere venivano utilizzati come ricercatori di clienti, data, appunto, la loro «influenza».

Per oltre un anno l’«Inter-finanziaria» agì indisturbata allargando la propria attività nel campo turistico-albeghiero, dando inizio alla costruzione di un grande complesso nell’isola di Lampedusa, superando apertamente i limiti della autorizzazione concessale dal Ministero del tesoro e praticando operazioni bancarie non autorizzate. Questi fatti hanno interessato il meccanismo di controllo della Banca d’Italia determinando la procedura di fallimento e idi liquidazione della società e la incriminazione dal Consiglio di amministrazione per bancarotta fraudolenta. È da notare che quasi tutti i componenti del Consiglio di amministrazione erano siciliani e la maggior parte originari o residenti in provincia di Agrigento.

Discreti agganci mantengono tuttora alcuni personaggi legati alla cosca mafioso dell'agrigentino con tutto il complesso sistema di potere burocratico-clientelare costituito dalla DC ed estesosi con il centrosinistra. Sono frequenti i casi di immissione nei ruoli dei comuni e degli enti regionali, parastatali, eccetera, di personale raccomandato protetto dalla mafia che sfrutta molto bene i legami che essa ancora mantiene con alcuni notabili DC a livello provinciale e locale. Particolari collegamenti con questi ambienti realizza, travalicando talvolta i confini della provincia, l’onorevole Gaetano Di Leo di Ribera che, assieme all'onorevole Calogero Volpe di Caltanissetta, «amministra» rapporti che il partito di maggioranza intrattiene con le cosche mafiose. Sono frequenti, infatti, i loro interventi in situazioni locali allorquando si tratta di appianare contrasti o sistemare qualche affare interno all'organizzazione mafiosa relativi a controversie elettorali o a vicende amministrative di spartizione del potere e del sottogoverno.

Esistono situazioni dove il sistema di potere DC fa tutt'uno con il sistema ed il metodo mafioso. È il caso di Cattolica Eraclea, medio centro dell’agrigentino, dissanguato dalla crisi, dalla disoccupazione e dall'emigrazione, dove tuttora opera una consistente organizzazione di mafiosi, collegata con Ribera, Montallegro, Siculiana. Qui il connubio tra sistema di potere DC e mafia, seppure in una dimensione molto circoscritta, assume le caratteristiche di vera e propria simbiosi.

Considerazioni finali.

Abbiamo voluto mettere in evidenza i limiti, le contraddizioni e talune reticenze della relazione generale presentata dal Presidente della nostra Commissione. Ci sdamo assunti, contemporaneamente, le responsabilità di denunziare la realtà del sistema di potere mafioso nelle sue manifestazioni attuali, a Palermo e nelle altre province della Sicilia occidentale.

In questa denunzia non c’è alcuna intenzione scandalistica. Non siamo stati noi a promettere all’opinione pubblica l'esplosione della «Santa Barbara» e ad alimentare false prospettive sugli scopi della nostra Commissione parlamentare. La nostra denunzia tende a mettere in evidenza il permanere di rapporti fra cosche mafiose e pubblici poteri. Tale documentazione è importante ai fini degli indirizzi da dare alla lotta per debellare il dominio della mafia.

Ecco perché noi mettiamo al primo posto il problema di una profonda trasformazione dei rapporti fra lo Stato e i cittadini. Se si vuole assestare un colpo decisivo alla potenza della mafia occorre debellare il sistema di potere clientelare attraverso lo sviluppo della democrazia, promuovendo la smobilitazione unitaria dei lavoratori, 1 autogoverno popolare e la partecipazione dei cittadini al funzionamento delle istituzioni democratiche.

Il triste spettacolo che, dopo le elezioni amministrative del 15 giugno, sta offrendo il gruppo di potere che domina Palermo, impedendo il funzionamento del Consiglio comunale e di quello provinciale, dimostra tutto il valore della nostra tesi.

La paralisi delle assemblee elettive ha permesso tradizionalmente al gruppo di potere palermitano di ottenere centinaia di delibere con d poteri del Consiglio da fare ratificare, poi, in pochi minuti, con un colpo di mano, al Consiglio comunale o provinciale convocato soltanto un paio di volte all’anno, fatti che furono duramente censurati in una mozione comunista discussa il 23 marzo 1973 dall'Assemblea regionale siciliana (vedi allegato 10). Ecco perché occorre promuovere tutte le forme di controllo democratico, garantendo il pieno funzionamento delle assemblee elettive.

Il sistema di potere mafioso è entrato ormai irrimediabilmente in crisi anche a Palermo. Ne sono una testimonianza gli ultimi sviluppi della lotta politica all'interno della DC palermitana e la ricerca travagliata di un confronto democratico e costruttivo per dare una nuova direzione alle amministrazioni della città e della provincia di Palermo.

A questi sviluppi positivi un contributo non secondario è venuto dall’attività della nostra Commissione, particolarmente dal momento in cui si ottenne il successo delle dimissioni di Vito Ciancimino da sindaco di Palermo. Tali processi positivi vanno assecondati con l'impegno costruttivo dì tutte le forze democratiche.

Più in generale occorre impastare su nuove basi il rapporto Stato-Regione facendo dispiegare tutto il potenziale democratico e rinnovatore dell’autonomia siciliana, per affrontare i problemi dallo sviluppo economico e sociale dell’Isola. Operando per questi obiettivi di sviluppo economico e di rinnovamento democratico sarà possibile portare avanti un'azione di profondo risanamento della vita pubblica dando prestigio ed efficienza a tutti gli organi dello Stato e, in primo luogo, a quelli chiamati a svolgere l’attività di prevenzione e repressione della criminalità organizzata.

Con questa ispirazione ideale e politica noi abbiamo contribuito alla elaborazione ed approvazione delle proposte conclusive per combattere di fenomeno della mafia che la nostra Commissione si appresta a presentare in Parlamento. Vogliamo sottolineare che questo contributo positivo corrisponde all'impostazione costruttiva che noi imprimiamo alla nostra azione politica come principale partito di opposizione.

Ci siamo preoccupati, in questo caso, di contribuire a dare una conclusione positiva ai lavori della nostra Commissione animati dal proposito di salvaguardare il valore e la funzione del nostro Parlamento.

Siamo rammaricati, invece, di non essere riusciti a trovare un’intesa sulla relazione generale perché ci divide dal partito della Democrazia cristiana il giudizio sulle responsabilità politiche nel sistema di potere mafioso in Sicilia.

Abbiamo così voluto sottolineare la necessità urgente di voltare pagina nel modo di governare da Sicilia. Sappiamo che tale esigenza è ormai avvertita da un vasto schieramento di forze ed essa si fa strada anche all’interno del partito della Democrazia cristiana.

Le ultime vicende politiche siciliane sono una conferma dell’affermarsi di questo volontà di cambiamento. Il nostro proposito è di accelerare questi processi (positivi, di fare in modo che essi agiscano in profondità per liberare la Sicilia dal cancro del sistema di potere mafioso.
















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