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INTERPELLANZA SUI FATTI DI SICILIA

del Deputato D'ONDES-REGGIO

TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1863

PRESIDENZA DEL COMMENDATORE CASSINIS, PRESIDENTE.


Signori, questa triste iliade doveva finire con due grandi catastrofi. L’una, quella ornai assai famosa di Petralia; a tutti è noto che si andava a cercare in una capanna sui monti di notte tempo, non un renitente alla leva, ma uno il quale poteva sapere, o s’immaginava che poteva sapere dove fosse un renitente alla leva, si tentava di fare aprire per forza chi vi albergava il quale non voleva aprire; si tirano fucilate da ambo le parti, e poi si appicca il fuoco e si bruciano vivi un padre, una figlia, un figlio. (Viva sensazione)

[…]

L’altra catastrofe: si arresta a Palermo un sordomuto come renitente alla leva; la povera madre chiedeva di vederlo, le era proibito; ma l’amore di madre, e di madre siciliana, sa vincere ogni barriera. (Ohi ohi)

Questo ed altro narra il deputato siciliano per motivare la sua interpellanza e la sua richiesta di commissione di inchiesta. Lo scontro in parlamento riguardò soprattutto l'applicazione arbitraria della Legge Pica in  Sicilia, in quanto era stata varata per le provincie continentatli e comunque per quelle dichiarate con decreto reale "infestate dal brigantaggio".

Dal voto sulla sua interpellanza derivarono poi le dimissioni di alcuni parlamentari fra cui Garibaldi.

Zenone di Elea – 9 Ottobre 2014

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SOMMARIO. Atti diversiIl deputato Macchi presenta uno schema dì legge. = Seguito della discussione sollevata dalle interpellanze del deputato D'Ondes-Reggio sopra gli ultimi fatti di Sicilia — Lettera del deputato Greco AntonioSpiegazioni del ministro per l'interno Peruzzi circa una lettera anticostituzionale del prefetto di AvellinoIncidente d'ordineDichiarazione del deputato Romeo StefanoPromessa del ministro per un'inchiestaDiscorso del deputato Cordova intorno alle condizioni della Sicilia, ed agli atti del Governo — Repliche del ministro per la guerra Della PovereSpiegazioni dei deputati La Porta, Mordini e BrignoneNuovi voti motivati (lì diversi deputati e domanda di chiusura, la quale è approvataDomanda del deputato Petruccelli di documenti diplomatici, e riserve del presidente del Consiglio, MinghettiRepliche del deputato D'Ondes-Reggio — Discorso del deputato Bixio in risposta a vari oratori, ed in difesa degli atti governativi e militariInterruzioni violente — Spiegazioni dell'oratore — La discussione è sospesa, e rinviata a domani.

La seduta è aperta alle ore 1 12 pomeridiano.

TENCA, segretario, dà lettura del processo verbale della tornata precedente, che è approvato.

GIGLIUCCI, segretario, espone il seguente sunto di petizioni:

9661. Marco Scaccia, di Castelvetro Parmense, sindaco di quel comune nel 1848, espone i numerosi e gravi sacrifizi fatti pella causa nazionale e chiede di esserne indennizzato a termini della legge risguardante i danneggiati politici.

9662. I municipi di Angegno, Dizzasco, Casasca, Cerano, Brienno, San Fedele, Castiglione, Blessagno, Pigra, Schignano, Pellio, Ramponio, Scaria, Verna, Lanzo, ClainoOsteno, Penna e Laino del circondario di Como, invocano dalla Camera lo stanziamento di una somma nel prossimo bilancio a continuazione di opere stradali già dallo stesso Governo incominciate.

ATTI DIVERSI.

MACCHI. Prego la Camera a voler dichiarare d'urgenza la petizione n° 9561, con la quale il signor Marco Scaccia, di Cremona, invoca qualche compenso dei molti danni che ha sofferti per la guerra del 1859.

(È decretata d’urgenza. )

POLTI. Le Giunte municipali dei comuni tutti che compongono il mandamento di Castiglione d’Intelvi e le rappresentanze comunali di Brienno e di Angegno, stretti dalla penosa apprensione di prevenzioni che designano a lunga dimenticanza e foss’anco all’abbandono, il proseguimento dei lavori attinenti alla sistemazione della nuova strada nazionale che da Como accennerebbe allo Spluga lungo la costa occidentale del Lario, colla petizione 9562 implorano un provvedimento. Così, mentre molti altri municipi e privati di quella zona lacuale rincalzano la vitale bisogna con vive istanze dirette alla regia prefettura locale, i petenti nel più diretto loro interesse si rivolgono alla Camera perché nel prossimo bilancio dello Stato sia assegnata una competente spesa per il compimento di quel tratto di via almeno che da Torriggia mette capo ad Angegno, sulla cui sistemazione già furono da tempo assunti ed approvati i rilievi del relativo progetto.

La petizione della quale è parola si presenta corroborata dalle più salde argomentazioni, ed io col massimo interessamento prego la Camera a volerla dichiarare d’urgenza e ch’essa, come di diritto, così di fatto venga trasmessa alla Commissione incaricata di riferire sul bilancio.

PRESIDENTE. L’onorevole deputato Polti chiede che la petizione 9562 presentata dai municipi di Angegno, Dizzasco, Casasco, Cerano, Brienno, San Fedele, Castiglione, Blessagno, Pigra, Schignano, Pellio, Ramponnio, Scaria, Verna, Lanzo, ClainoOsteno, Ponna e Laino, del territorio della riva occidentale del Lario, sia dichiarata d’urgenza e trasmessa alla Commissione del bilancio.

Sarà trasmessa a quella Commissione.

(È dichiarata d’urgenza).

Hanno fatto omaggio alla Camera:

Il signor Trossarelli Giovenale, geometra di Savigliano — Di un opuscolo intitolato: Conguaglio dell'imposta fondiaria ovvero Dell'estimazione censuaria del catasto stabile, copie 200;

Il colonnello cavaliere Martines di Domenico, da Messina — Cenni biografici dello scienziato italiano Giuseppe Luigi Lagrangia, offerti in premio agli alunni del convitto Alighieri in Messina, copie 3.

Prego gli onorevoli deputati che stanno nell’emiciclo di prendere il loro posto.

L’onorevole Macchi ha presentato un progetto di legge che sarà trasmesso, secondo il regolamento, agli uffizi per il loro esame.

La Camera aveva deliberato che oggi avesse luogo la discussione per la presa in considerazione del progetto di legge presentato dall’onorevole deputato Brofferio; ma presi i concerti collo stesso onorevole Brofferio, ed interpretando l’intenzione della Camera, cioè che si porti a termine la discussione sull'interpellanza del deputato D’Ondes-Reggio, io mi sarei permesso di posporre questo svolgimento alle presenti interpellanze.

Confido che la Camera non disapproverà il mio operato.

Voci. Va bene.

PRESIDENTE. L’onorevole deputato Greco scrive:

«Onorevole signor presidente,

«Trattenuto a letto da improvvisa indisposizione, e supponendo che oggi sarei chiamato a dare il mio pensiero intorno ad una parte delle mie interpellanze che furono confuse con quelle dell’onorevole D’Ondes-Reggio, sento il bisogno di accennarle che io, traendo argomento dai fatti indicati nella mia domanda, desiderava provocare dalla Carriera una risoluzione la quale potesse stabilire i limiti tra le attribuzioni del potere civile e del militare.

«Essendo stata posta la questione sopra altro terreno, ed essendo stato a me riservato il diritto d’interpellare i signori ministri sui fatti di Pietrarsa, mi riserbo, quando ne sarà il tempo, di sottoporre alla Camera la mia proposta.

«Ed intorno al voto che sarei per dare nella questione che di presente si agita, mi occorre solo di ricordarle che io sono uno dei soscrittori del voto di sfiducia presentato sul banco della Presidenza dall’onorevole Crispi.

«Si compiaccia, signor presidente, di dar lettura di questa mia lettera alla Camera, e con piena stima mi confermo

«Della S. V. Illustrissima,» ecc.

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE SOLLEVATA DALLE INTERPELLANZE 

DEL DEPUTATO D’ONDES-REGGIO SULLE COSE DI SICILIA.

PRESIDENTE. Continuano all’ordine del giorno i dibattimenti sollevati dalle interpellanze del deputato D’Ondes-Reggio sulle cose della Sicilia.

Anzitutto ha facoltà di parlare il ministro per l’interno. (Movimento d'attenzione)

PERUZZI, ministro per l'interno. La Camera ricorderà pur troppo come ieri, in sul finire della seduta, l’onorevole deputato Miceli, dopo lunghe premesse, si facesse a domandare che cosa avrebbe fatto il Governo se un suo funzionario gli avesse consigliato di sopprimere lo Statuto costituzionale per sostituirvi la repubblica, e quindi che cosa avrebbe fatto se un funzionario gli avesse consigliato di fare un colpo di Stato per sopprimere lo Statuto e sostituirvi l’azione assoluta del potere esecutivo. Al che il Ministero non esitò a rispondere che se un funzionario avesse fatta una tale proposizione, in prima sarebbe stato considerato come matto e, nel caso che tale non fosse, sarebbe stato destituito.

Quindi, scendendo da queste generalità ad una dolorosa specialità, l’onorevole Miceli diceva aver avuto conoscenza di una lettera scritta dal commendatore De Luca, prefetto di Avellino, al ministro dell’interno commendatore Rattazzi, colla quale gli proponeva un colpo di Stato e la soppressione dello Statuto.

Replicava io non aver mai avuta cognizione di questa lettera, e lo stesso affermava l’onorevole commendatore Rattazzi, mio predecessore. Io soggiungeva però, dopo alcune parole pronunziate dall’onorevole Bixio, quale membro della Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, io soggiungeva, dico, risovvenirmi che qualche discorso intorno ad una lettera singolare del prefetto d’Avellino mi fosse effettivamente stato tenuto da qualcuno della Commissione d’inchiesta, ma confermava ad un tempo non avere io certamente mai avuto cognizione di una lettera così fatta.

Uscito dalla seduta profondamente commosso per questo uso che si era creduto di fare di documenti che la Camera ben ricorderà essere stati comunicati con dichiarazione che non sarebbero mai...

MICELI. Domando la parola.

PERUZZI, ministro per l'interno.. stati propalati, mi sono dato immediatamente, d’accordo coi miei colleghi, a ricercare fra le carte dei Ministeri, e fra quelle comunicate alla Commissione d’inchiesta della Camera, per vedere se avessi rinvenuto la lettera accennata. Nessuna lettera di questo genere è stata rinvenuta fra le carte del Ministero dell'interno, né fra quelle che dal Ministero dell’interno erano state comunicate alla Commissione d’inchiesta; bensì sono stati ritrovati presso l’onorevole mio collega, il ministro della guerra, due rapporti indirizzati, non al ministro dell’interno, ma al generale La Marmora dal commendatore De Luca, l’uno nel 5 dicembre 1862 e l’altro nel 13 dello stesso mese; rapporti che dal generale La Marmora furono comunicati al ministro della guerra tostoehè egli ebbe notizia della costituzione della Commissione d’inchiesta! al brigantaggio, affinché il ministro della guerra potesse comunicarglieli come argomento di studio. Locché fu dal ministro della guerra eseguito.

Non ho bisogno di ricordare come la data di questi rapporti coincida precisamente con l’epoca della crisi ministeriale, per la quale il Ministero Rattazzi fu sostituito da quello in allora presieduto dall’onorevole cavaliere Farini.

Io ritorno a ricordare come né l’una, né l’altra di queste lettere fosse indirizzata ai ministri, ma unica mente al generale La Marmora; epperciò l’onorevole commendatore Rattazzi era fondatissimo nel dire quello che ieri asseriva.

Avendo avuto fra le mani questi due rapporti, li ho attentamente letti ed esaminati stamane per la prima volta, epperciò sono in grado di esporre schiettamente alla Camera che cosa vi ho rinvenuto.

In uno di questi rapporti, in quello del 5 dicembre, il prefetto di Avellino riferisce aver egli, nel giro che faceva della provincia, allora, come la Camera ben ri corda, infestatissima dal brigantaggio, udito special mente ad Ariano da vari patrioti lamentare le gravi condizioni del paese, e come taluni aggiungessero per sino che lo Statuto, nei gravi momenti in cui si versava, fosse d’inciampo al consolidamento nazionale, e che a salvare la patria da supremi ed imprevedibili sciagure fosse non che lecito, desiderabile ogni mezzo eccezionale, quand’anche si fosse dovuto ricorrere ad un colpo di Stato.

Al che, il prefetto di Avellino, nel riferire, come era suo dovere, queste opinioni quando le aveva udite esporre, imperocché i prefetti hanno il dovere di te nere il Governo informato delle condizioni dello spi rito pubblico, e di riferire tutto quello che intorno alla ! cosa pubblica viene a loro notizia, si affrettava di ! soggiungere, come queste opinioni fossero avventate e superlative, e continuava ad osservare come effettiva| mente in quelle gravi contingenze si sentisse il bisogno i di una' più energica azione governativa e di maggiori mezzi repressivi posti nelle mani del potere esecutivo E nel rapporto del 13 dicembre, più ampiamente svolgendo tutto il tristo argomento del brigantaggio, contro il quale il prefetto di Avellino si è così efficacemente adoperato che ora la sua provincia è completamente sgombra da questo flagello, svolgendo ampia mente questo doloroso argomento, il commendatore De Luca, indirizzandosi al generale La Marmora, gli manifestava come sulla pubblica opinione egli avesse dovuto constatare la cattiva impressione che facevano certe interpellanze, nelle quali la Rappresentanza nazionale aveva occupato dei lunghi giorni che si sarebbe desiderato fossero stati consacrati agli affari gravissimi del paese; (Movimenti) gli manifestava come certe opinioni, certe parole dette nell’aula parlamentare scemassero forza al Governo e menomassero l’efficacia alla azione dell’autorità governativa, e come, secondo lui, fosse necessario innanzi tutto (così comincia questo brano del rapporto) che il Governo dovesse riprendere tutta la sua forza morale ed essere suffragato specialmente dal Parlamento. Soggiungeva come credeva convenire che per provvedimenti legislativi fosse posto un freno a certe intemperanze della stampa, e fossero adottate speciali disposizioni rispetto ai comuni ed alle guardie! nazionali, che diceva avere necessità d’essere richiamate I ai principii della Costituzione; finalmente svolgeva il suo concetto intorno alla necessità di crescere forza all’azione governativa, per via di misure eccezionali, richieste dalla gravità dei tempi e delle circostanze; ma non vi s’incontra parola la quale accenni a che ciò debba essere fatto al di fuori e contro il potere legislativo e lo Statuto.

ROMEO STEFANO. Domando la parola per un fatto personale.

PERUZZI, ministro per l'interno. Non vi si parla altro che di leggi, di Costituzione e di forza morale del potere esecutivo per suffragi della rappresentanza nazionale.

Devo solamente avvertire che per avventura a qualcuno fra gli onorevoli membri della Commissione d’inchiesta, e ad altri che abbiano letto questi rapporti, può bensì aver fatta una dolorosa impressione la forma di alcuni brani dei medesimi, forma, la quale certamente non è improntata di quel rispetto che è dovuto alla Rappresentanza nazionale, e forse estende troppo genericamente a questa ciò che per avventura poteva essere suo giudizio intorno agli atti od alle parole di qualche individuo; ma questo è un vizio di forma....

CRISPI. Domando la parola.

PERUZZI, ministro per l'interno... che ora che è caduto sotto i miei occhi sarà certamente argomento di censura e di rimprovero al funzionario che si è permesso simili espressioni, a malgrado del lungo tratto di tempo ormai trascorso.

Ma io prego la Camera a considerare come qui si tratti di una comunicazione interna di un funzionario ad un altro funzionario e non di un atto che fosse destinato a venire sotto gli occhi del pubblico: se una sola parola meno che rispettosa intorno alla Rappresentanza nazionale e ad un solo dei rappresentanti io trovassi in un documento di un funzionario governativo che dovesse cadere sotto gli occhi del pubblico (A destra: Bene! bene!), certamente io non esiterei un istante a reprimere energicamente una così fatta mancanza di rispetto verso coloro nei quali sta il fondamento dell’autorità del Governo e della riputazione delle nostre istituzioni.

Ma quando si tratta di comunicazioni interne di funzionari che si trovano in presenza di fatti così tremendi, quali erano quelli che succedevano allora nella provincia di Avellino ed in altre provincie napolitane, io credo che una censura sia ben sufficiente a richiamare questo funzionario ai doveri di convenienza, ed io penso, o signori, che se qualche risponsabilità emerga da questo fatto, questa risponsabilità debba ricadere su chi non ha temuto di portare dinanzi al pubblico quanto era unicamente destinato a rimanere negli uffizi governativi. (Bene! Benissimo! a destra)

Io, o signori, ho dato conto esattissimo di quello che ho rinvenuto intorno a questo affare, ed io spero e desidero che questo incidente dolorosissimo tra quanti ne sono succeduti sotto i miei occhi, dacché ho l’onore di sedere nel Parlamento, possa per queste mie parole avere il suo termine. (Segni di assenso da varie parti della Camera)

L’onorevole Miceli ha chiesta la parola, e siccome vi è particolarmente interessato, può esservi il l'atto personale, e sotto tale aspetto, se là Camera non ha difficoltà, io gli darei la parola; ma siccome altri deputati hanno chiesta pure la parola, né credo esservi personalmente interessati, quindi sorgerebbe un incidente; perciò io credo bene di interrogare la Camera se ella intende che si apra una discussione di incidente. (No! no!)

Chi intende dunque che si apra una discussione di incidente voglia (Vivi richiami a sinistra)

CRISPI. Domando la parola sull’ordine della discussione.

PRESIDENTE. La parola è al deputato Crispi sull’ordine della discussione.

CRISPI. E troppo grave, o signori, il fatto il quale fu denunciato ieri dal nostro onorevole collega Miceli e troppo gravi sono le cose state dette testé dall’onorevole ministro dell’interno.

La Camera non può lasciare che questo incidente resti indeciso; l’interesse ad esaurirlo è tanto che s’attacca a questo incidente un ordine di fatti dai quali risulta la prova del modo col quale le provincie meridionali e le altre parti d’Italia sono al presente amministrate: non è possibile che la Camera voglia non permettere che si vada al fondo della questione, che si è sollevata; molto più ché ho sentito parlare di documenti che non sono più in mezzo alle carte che furono date alla Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, carte che fu impedito a qualunque deputato non solo di poter esportare, ma neanco di poter copiare, mentre oggi veniamo a conoscere dall’onorevole ministro dell’interno che di alcune ne è possessore il Ministero della guerra.

0 esisteva la lettera, che oggi pare essere stata distrutta, la lettera alla quale accennava l’onorevole Miceli e della quale parlò l’onorevole Bixio e sulla quale è pronto a testimoniare l’onorevole Romeo, 0 alla sua vece esistono i rapporti differenti da essa lettera; interessa sempre che la Camera conosca quale e dove sia la verità.

Se la lettera esistette e fu distrutta, eotesta sarebbe stata una grave colpa; se esistono unicamente i rapporti indicati, importa alla Camera di leggerli onde vedere qual è il preciso loro significato.

Quindi prego la Camera a non voler introdurre un brutto precedente, cioè di metter una pietra sepolcrale su questioni di tanta importanza.

Una voce. Uh!

CRISPI. Non c’è né uh! né oh! E una questione che interessa tutti. Se l’onorevole deputato Miceli, se coloro i quali hanno testimoniato alla Camera che la lettera esistette sono nell’errore, ebbene che quest’errore sia dissipato; e se l’onorevole De Luca è un onesto funzionario, che il suo nome esca puro dalla fattagli accusa.

Quindi nell’interesse nostro, come deputati della nazione, nell’interesse di un funzionario che il Ministero appoggia e difende a oltranza, è necessario che una discussione sia fatta sull’incidente stato promosso.

CHIAVES. Domando la parola per una mozione d’ordine.

CRISPI. La Camera dovrà notare che non è questo il primo caso in cui sorsero di cotesti zelanti funzionari pubblici, ohe proposero atti eccedenti le intenzioni del Governo. Quindi non converrà che la cosa resti nell’obblio.

La Camera ricorderà il modo come si preparò il colpo di Stato in Francia... (RumoriInterruzioni) (Con calore)... Si cominciò dai funzionari a parlare contro le istituzioni nazionali di quel paese, e poi l’esercito lo compì. (Nuovi e prolungati rumori)

PRESIDENTE. Osservo all’onorevole Crispi che ora è solo questione se si debba o no sollevare un incidente sul fatto a cui si riferiscono i documenti indicati dal signor ministro dell’interno; e questa è la sola questione che porrò in deliberazione.

Prego pertanto l’onorevole Crispi di limitarsi a siffatta questione.

CHIAVES. Io aveva precisamente domandata la parola sulla questione d’ordine per ricordare all’egregio nostro presidente che, siccome parecchi deputati hanno chiesto di parlare per un fatto personale, è impossibile che sia loro negata la parola per questi fatti personali. Stante la natura della questione, mi parrebbe che questi deputati, i quali hanno domandata la parola per un fatto personale, possano dare tutti gli schiarimenti per avventura necessari perché la questione sia esaurita, tanto più che a questi deputati può sempre replicare il Ministero. Aggiungerò ancora che trattasi qui di una questione di una natura tale che solo vi si può partecipare per informazioni personali che questi o quelli siano in grado di dare. Per cui è impossibile sollevare l’incidente, perché ci troveremo sempre da un lato tra chi parla per fatti personali, e da un altro tra chi parla perché ne ha il diritto quandochessia, come sarebbero i ministri.

Io quindi pregherei l’onorevole presidente di dar la parola a quelli che l’hanno chiesta per un fatto personale.

PRESIDENTE. Allora darò la parola...

PERUZZI, ministro per l'interno. Domando la parola per dire una sola cosa che credo semplificherà molto la questione.

Non era necessario che l’onorevole Crispi si riscaldasse tanto...

CRISPI. Non mi riscaldo punto; sono perfettamente calmo.

PERUZZI, ministro per l'interno... e se avesse egli soltanto detto che desiderava di sincerarsi intorno alla mia esposizione, non avrei avuta nessuna difficoltà di soddisfarlo, giacché se la Camera lo desidera, io non ho difficoltà di depositare queste lettere presso il presidente, autorizzandolo a darne lettura a quei deputati che amino prenderne cognizione. Io non le ho portate alla Camera, e non ne ho data lettura per due motivi: primo, perché vi sono molte altre cose in questi rapporti che io non credo sia bene mettere in pubblico, perché quello che si legge qui si legge in pubblico, e se qualcheduno brama che si governi in pubblico (Noi noi), che tutto quel che passa tra il Ministero e i suoi funzionari sia stampato e si faccia conoscere a tutti (Noi noi), allora non sarà possibile un Governo serio. (Bisbiglio a destra)

Intendiamoci bene, la base del Governo è la fiducia; se questa esiste, naturalmente bisogna che i rapporti tra i funzionari del Governo rimangano negli uffici, e segreti. In conseguenza io ho creduto di non istabilire questo precedente, divenire qui a dare lettura del rapporto di un ufficiale governativo.

In secondo luogo perché quelle espressioni di cui parlava poco fa, avrebbero potuto sollevare degli incidenti spiacevoli, mentre la cosa sarà con tutta facilità regolata tra il ministro che farà il suo dovere e il funzionario il quale intenderà le rimostranze che gli saranno fatte dal Ministero.

Del resto, noterò ancora ohe queste carte non erano fra quelle delle quali la Commissione aveva chiesto di prendere cognizione, bensì le furono assai prima comunicate spontaneamente dal ministro della guerra con preghiera di restituirglele, giacché tra esse ve n’erano diverse relative a pratiche ancora da disbrigare.

Difatti prima di partire il generale Sirtori le riportò egli stesso al ministro della guerra.

Ecco tutta la malizia che l’onorevole Crispi vedeva in quest’affare.

PRESIDENTE. Mi pare che in seguito a queste dichiarazioni si potrebbe rientrare nella discussione...

MICELI. Io ho domandato la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. Ha la parola per un fatto personale, e la prego di attenervisi.

MICELI. Siccome accusando il prefetto De Luca, e più che il De Luca i signori ministri, mi sono fondato sulle dichiarazioni che mi erano state fatte da parecchi miei amici, fra i quali il deputato Romeo e il deputato Saffi, e confermate poi dall’onorevole Bixio, così io domando che prima di me parli l’onorevole Romeo, cambiando con lui il mio numero d’iscrizione.

PRESIDENTE. Parli dunque il deputato Romeo.

ROMEO STEFANO. Signori, l’onorevole ministro dell’interno ha parlato di un rapporto fatto al generale La Marmora; io mi ricordo benissimo che le parole che si appongono al prefetto De Luca non si leggevano in un rapporto al generale La Marmora; ma in un altro indirizzato al ministro dell’interno, il quale ha dovuto essergli inviato tre o quattro giorni prima che il Ministero Rattazzi si dimettesse.

In quel rapporto non si parlava dell’opinione generale del paese, ma della sua propria (Bene! a sinistra) ed invitava il Governo a saltare il fosso come in altro paese è stato fatto in una data famosa...

CRISPI. E il due dicembre, diciamolo chiaramente.

ROMEO STEFANO. Questo io lo ricordo perfettamente. Altronde prego la Camera di leggere la deposizione fatta alla Commissione d’inchiesta dal prefetto De Luca. Fra le cause precipue del brigantaggio egli annoverò l’opposizione che in questa Camera si faceva al Governo, non l’opposizione della Sinistra, ma l’opposizione tutta...

CRISPI. Bravo!

ROMEO STEFANO... e i miei amici della Commissione d’inchiesta si ricorderanno sicuramente quali parole gravi io usai contro il prefetto De Luca quando egli, agente del potere esecutivo, credeva di essere autorizzato a dare una lezione di prudenza all’opposizione alla quale appartenevano allora i corifei della maggioranza attuale. (A sinistra: Bene!)

Signori, io finisco con una parola. Quel prefetto è ribelle, ribelle non solo allo Statuto, ma al Codice penale, ed il signor ministro per l’interno lo sa offìcialmente. (A destra: Oh! oh!)

PERUZZI, ministro per l'interno. Domando mille perdoni; io non so niente affatto che sia ribelle né al Codice penale, né allo Statuto nessuno dei funzionari da me dipendenti. Quando qualche ufficiale del Governo manchi ai suoi doveri, subisce il suo processo.

(Rumori a sinistra) Io conosco benissimo qualcheduno che ha mancato e che è stato condannato.

ROMEO STEFANO. Domando la parola.»

PRESIDENTE. Se è per un fatto personale gliel’accordo, altrimenti non gliela posso accordare.

ROMEO STEFANO. Debbo rispondere per spiegare quello che ho detto...

PRESIDENTE. Ne la prego; non è più il caso di discussione su questa materia.

ROMEO STEFANO. Non può restare così indecisa una frase che ha detto l’onorevole ministro.

Signori, io dirò una parte di quello che so, perché» tutto non potrei dire in questa Camera: ma un alto funzionario, un generale ispettore dei carabinieri aveva fatto un lavoro di polizia; egli ha offerto questo lavoro di polizia al ministro dell’interno. Il ministro dell’interno non si è degnato di rispondere...

PRESIDENTE. Questo non è fatto personale. (Agitazione a sinistra)

MICELI. Il paese esige che noi censuriamo i ministri. (Oh! oh! a destra)

Signor presidente, abbia la bontà...

PRESIDENTE. Io prego il signor Romeo a venire al fatto personale.

MICELI. Abbiamo bisogno di dichiararci. (Vivi rumori)

ROMEO STEFANO. Non vogliono sentire come un uomo abbia violato il Codice penale!

PRESIDENTE. Io mi raccomando al loro patriottismo; importa di non sollevare un incidente; importa che si venga all’ordine del giorno; vogliano limitarsi pertanto al fatto personale.

MICELI E BERTANI Alla verità! alla verità! (Agitazione e rumori)

PRESIDENTE. La verità la sapranno a suo tempo. Questa è una quistione d’ordine, non di merito. Io debbo far rispettare il regolamento; questo è il mio dovere, questo è il mio mandato; vogliano attenervisi essi pure.

ROMEO STEFANO. Signor presidente, vorrei dire due parole soltanto per ispiegare quello che ho detto, che, cioè, quest’uomo è ribelle non solamente allo Statuto, ma anche al Codice penale. (Rumori)

Ora io diceva: il signor ministro dell’interno non si è degnato neppure di rispondere. Quest’alto funzionario è venuto a noi, alla Commissione, ci ha narrato il fatto, e ei ha detto: giacché il ministro dell’interno non si degna neppure di prendere conoscenza del mio travaglio di polizia....

Voci a destra. Travaglio!

CRISPI. Non fate i pedanti.

MICELI. I puristi!

ROMEO STEFANO... prendetevelo voi, e prendete le informazioni nelle provincie ove andrete.

Allora, signori, noi abbiamo preso queste carte, ed abbiamo di là rilevato (prego l’onorevole ministro dell’interno a volerle rileggere) come il prefetto De Luca non solamente abbia mancato al Codice penale, ma sia incorso in reati tali che merita pene infamanti. Ciò risultava dal lavoro del generale dei carabinieri. (Sensazione e rumori)

PERUZZI, ministro per l'interno. Io dichiaro che non posso rileggere queste carte per la buonissima ragione che non le ho lette mai.

ROMEO STEFANO. Le abbiamo portate noi, signor ministro.

PERUZZI, ministro per l'interno. Io non le ho avute...

MICELI. Ha fatto male...

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Miceli di stare al regolamento.

PERUZZI, ministro per l'interno. Io dichiaro altamente che non credeva che in questa Camera io dovessi udire a farsi istruzioni di processi criminali; ma in pari tempo dichiaro che simili parole essendo state pronunziate, io non solamente prenderò conto delle carte a cui allude l’onorevole deputato Stefano Romeo, ma instituirò un’inchiesta dalla quale dovrà risultare se siano veri oppur no questi fatti. (Segni d'approvazione)

Credo che nessuno in questa Camera possa avere neppure il più. lontano dubbio, per quanto possiamo essere avversari politici, che un ministro voglia sottrarre all’azione dei magistrati un funzionario il quale abbia mancato al Codice penale.

Signori, le passioni, le gare di parte possono spingere le cose ben lontano; rifii sino a questo punto non l’avrei creduto mai! (Bravo! Bene! a destra)

PRESIDENTE. L’incidente non ha seguito; si passa pertanto all’ordine del giorno.

Secondo la deliberazione presa ieri dalla Camera, avendo l’onorevole Miceli preso ultimo la parola contro i provvedimenti messi in esecuzione dal Governo in Sicilia, spetta ora la parola a chi intende invece di sostenerli.

Leggerò secondo l’ordine d’iscrizione i vari nomi, e quelli che intendono di parlare in favore, ossia in senso dei provvedimenti suddetti, si compiaceranno di annunziarlo.

L’onorevole Cordova ha dichiarato che parlerebbe contro.

Il deputato Mandoj-Albanese in che senso parla?

MANDOJ-ALBANESE. Contro.

PRESIDENTE. Il deputato Lazzaro?

LAZZARO. Rinuncio alla parola.

PRESIDENTE. Il deputato Di San Donato?

DI SAN DONATO. Rinuncio.

PRESIDENTE. Minervini. In che senso parla?

Voci. Non c’è.

PRESIDENTE. L’onorevole Greco è assente per indisposizione, come sanno.

Il deputato Bixio ha presentato un ordine del giorno. Credo che parli in favore.

Ha la parola l’onorevole Bixio.

BIXIO. Prego la Camera di concedermi cinque minuti di tempo. Sono troppo commosso dall’ultimo incidente, non sono in sesto: debbo raccapezzare le mie idee.

PRESIDENTE. Allora sospenderò la seduta per pochi minuti.

Voci. Lasci parlare un altro.

PRESIDENTE. Se l’onorevole Bixio non vi si oppone e la Camera lo consente si potrebbe dar la parola all’onorevole Cordova.

Voci. Sì! sì! (Conversazioni)

PRESIDENTE. Prego i signori deputati di far silenzio e di rimanere al loro posto.

Il deputato Cordova ha facoltà di parlare.

CORDOVA. Ho insistito ieri a prendere la parola, come aveva l’onore di dire alla Camera, non tanto per esercitare un diritto che mi compete come deputato, quanto per adempiere un dovere. E la Camera mi deve rendere questa giustizia, ricordando che da tre anni che siede il Parlamento italiano varie volte furono portati innanzi a questa Camera gli affari che particolarmente concernono la Sicilia, ed in una lunga serie d’interpellanze fatte, io serbai sempre il silenzio sui dolorosi argomenti che si riferiscono a quella mia terra natale.

La ragione, signori, che mi moveva a serbare questo silenzio era una specie di ripugnanza a trattenere il Parlamento sopra interessi che potevano presentarsi come municipali in un certo senso, e in un tempo in cui si aveva a provvedere a tutti i bisogni della grande nazione che abbiamo avuto la fortuna di costituire. Questo sentimento di ripugnanza si era in me destato da lungo tempo.

Negli anni scorsi di emigrazione, assistendo dalla tribuna dei giornalisti alle discussioni della Camera subalpina, io mi ricordo che sentiva con pena i deputati sardi in quell’epoca, di cui ricorderò sempre i nomi che più si occupavano delle cose di Sardegna, Angius, Asproni, per esempio, Siotto-Pintor, Marongiu e tanti altri, io sentiva con una specie di dolorosa ripugnanza la viva insistenza con cui essi trattenevano la Camera subalpina degli affari locali.

 Ed io aveva in me una specie di presentimento che il giorno in cui la Sicilia farebbe parte di questa grande nazione si sarebbe rinnovato lo stesso doloroso fenomeno; perciò, signori, mi astenni sempre dal prendervi parte. Io credeva che innanzi tutto la Camera dovesse occuparsi di quistioni d’interesse generale; ma ora mi accorgo bene che in occasione delle interpellanze dell’onorevole D’Ondes-Reggio si tratta di un interesse generale; dippiù sento il dovere, essendo nato e cresciuto in Sicilia, ed avendo occupato dei posti ragguardevoli in quel paese, di portare alla Camera il tributo della mia piccola esperienza sopra i fatti, sopra le condizioni dell’isola, intorno ai quali fatti, intorno alle quali condizioni veggo prodursi delle opinioni così contraddittorie.

L’interesse, o signori, è supremo, ed è italiano. Non voglia il Cielo che io porti innanzi alla Camera alcuni di quei sospetti, alcune di quelle minacce che desterebbero giustamente la sua indignazione. No, o signori, quand’anche gli affari di Sicilia, ai quali, in certa misura, si è convenientemente provveduto, fossero assolutamente negletti, il vincolo che stringe quella provincia alla comune patria non si scioglierà giammai (Bene!), essa è stata stretta per sempre e resisterà all’urto di qualsivoglia avvenimento. (Bravo!) Tuttavia anche per riguardo alle quistioni estere che possono sollevarsi, anche per riguardo alla posizione-difficile in cui eventualmente possiamo trovarci, non sarà discaro alla Camera che io rapidissimamente getti uno sguardo sull’importanza di questa provincia: non occuperò che qualche minuto sopra quest’argomento.

La Sicilia, o signori, non è nella posizione istessa della Sardegna, non è nella posizione stessa di qualche isola del Mediterraneo che dovrebbe anche appartenere all’Italia e non le appartiene. La Sicilia, per la sua posizione geografica, per cui è circondata dal, mare, e intanto non è staccata dalla Penisola italiana che da un breve corso d’acqua che varca la palla dell’umile cannone da 24 anche non rigato, per la sua posizione geografica, per cui guarda contemporaneamente, stando in mezzo ai due bacini orientale ed occidentale, del Mediterraneo, i tre mari, toscano, africano e ionio, per questa posizione è la chiave dell’Italia meridionale, ciò che non conviene giammai dimenticare.

Da quell’isola, il cui possesso è assolutamente necessario all’Italia, mossero sempre i Governi che si stabilirono nelle parti meridionali della Penisola. Dall’isola di Sicilia l’impero d’Oriente passò a stabilire la sua autorità nelle provincia meridionali d’Italia quando declinava l’impero occidentale. Dall’isola di Sicilia i Saraceni si trasportarono ad occupare vari luoghi della Penisola meridionali. Dall’isola di Sicilia il normanno Ruggero, profittando della morte di Roberto e della minorità dei suoi figli, si spinse ad occupare il reame di Napoli ed a costituire per la prima volta quel regno che più tardi doveva prendere il nome di regno delle Due Sicilie. Dalla Sicilia, signori, gli Aragonesi si spinsero alla dominazione di Napoli tanto contrastata dagli Angioini. Dalla Sicilia si spinse la prima ristaurazione borbonica del 1799 all’epoca del cardinale Ruffo d’infausta memoria. Dalla Sicilia partì la seconda restaurazione borbonica del 1815. Dalla Sicilia Garibaldi partì per portare la vittoria alla rivoluzione che si preparava nelle parti meridionali della Penisola.

L’importanza della Sicilia per il possesso delle parti meridionali della Penisola italiana è stata riconosciuta in tutti i tempi, ed io ricorderò, o signori, che era appunto quest’importanza che dava ragione alle quistioni con Napoli, ed ai lagni che si muovevano dall’una e dall’altra Sicilia. Da una parte i Siciliani dicevano: noi non abbiamo ricevuto alcun Governo da Napoli, siamo noi che abbiamo dato un Governo a Napoli e questo ci tratta come una colonia. Dall’altra parte i Napoletani rispondevano: il Governo che ci avete dato è stato qualche volta il dispotismo, é stata la restaurazione borbonica; e quando il Governo ha sede qui, bisogna bene che amministri principalmente nell’interesse di una popolazione che è tre volte maggiore di quella della Sicilia. L’isola chiedeva di separarsi; il Governo di Napoli, anche popolare e libero, rispondeva non poterlo permettere per necessità della sua conservazione.

Necessità fatale, signori, che nasceva dalla natura stessa delle cose, necessità che allegavano i deputai napoletani del 1820, di cui i resti venerati siedono ancora nell’attuale Senato del regno; necessità di cui si valeva il padre dell’onorevole nostro vicepresidenti Poerio, uomo di tanta fama, per sostenere l’unione dell’una e dell’altra Sicilia e per opporsi alla separazione dell’isola dalle provincie del continente; necessità finalmente che creava quel dissenso nelle opinioni delle due popolazioni, quell’antipatia, quei sentimenti di avversione che si manifestavano tra l’una e l’altra provincia, sentimenti che sono felicemente scompare e per sempre; né dico ciò per effetto oratorio, dappoi ché è noto a tutto il mondo che giammai la simpatia tra Siciliani e Napoletani fu più sincera di quello ch'è attualmente.

Voci a sinistra. È vero! è vero!

CORDOVA. Se il sangue sparso nelle battaglie de 1859 non avesse prodotto altro beneficio all’Italia, sarebbe questo un beneficio immenso, per cui non vi sarebbe mai sufficiente la nostra gratitudine per la me moria di quelle vittime. (Bene!)

Questa, o signori, è la mia opinione sull’importanza della Sicilia, guardata dal punto di vista dell’interesse continentale. Ma gl’interessi siciliani sono a voi ben cari; voi non guardate la convenienza della Penisola, quando si tratta d’interessi siciliani; la Sicilia, benché isola, è la preoccupazione più cara del vostro cuore; e ne avete dato l’esempio allorquando avete mostrato lo stesso interesse per tutte le altre parti della nazione italiana, quantunque non facessero parte del territorio peninsulare, come sarebbe la Sardegna; quando avete mostrato quella profonda emozione che accompagnò la cessione della contea di Nizza. (Bravo! a sinistra)

Vi sono dei fatti che mostrano a che punto arrivasse l’ignoranza delle cose di Sicilia. Ne citerò qualcuno, perché mostrano ad evidenza la verità di quanto asserisco.

Un uomo di corte dell’Italia settentrionale, dedicando nel 1828 un libro stampato in splendida edizione al re Carlo Felice, contenente la vita di non so qual beato o beata della Casa di Savoia, parlando delle vicende felici o avverse di quest’augusta dinastia, ricordando la restaurazione del 1815, fra gli altri regnanti restaurati indicava «Ferdinando IV, augusto cognato di V. M. felicemente regnante.»

Ora dal gennaio 1825 era morto, e sin dal 1816, non si chiamava più IV, ma I. (Si ride)

Mi ricordo, signori, d’aver veduto appeso alle mura esterne del palazzo dell’Accademia delle scienze e posto in vendita un quadro genealogico e storico fatto ad imitazione di quelli di Le Sage. Accanto al nome di Carlo Alberto posto nella colonna degli Stati Sardi, accanto a quello di Gregorio XVI e di Leopoldo di Toscana, per Napoli e per la Sicilia indicava come principe regnante S. M. Isabella II, regina di Spagna e delle Indie. (Ilarità)

Gli autori del quadro credevano che Napoli e Sicilia fossero ancora in potere della Spagna e non avendo inteso il cannone di Velletri, ignoravano i mutamenti avvenuti dopo il 1734. Questo basti per darvi un’idea dell’oscurità in cui giacevano le cose di Sicilia per chi le guardava dall’Italia superiore.

Or bene, dopo il 1859, dopo il 1860 siamo in possesso dell’isola; funzionari di vari ordini vi si sono recati; noi potevamo augurarci che le cose della nostra provincia fossero state in quest’occasione profondamente studiate; ma, in occasione della interpellanza del deputato D’Ondes-Reggio, si sono dovute chiedere informazioni riguardo a tutte le cose dell’isola.

Se da una parte l’interpellante, forse per esuberanza di passione, forse per uno slancio d’eloquenza, ha bistrattato i soldati che hanno servito il Governo, che hanno servito la volontà nazionale in Sicilia; se ha detto che i soldati commettevano atti barbarici, d’altra parte gli fu opposto l’argomento della barbarie siciliana. Quest’argomento si desumeva dalle relazioni militari, dai documenti che furono recati innanzi alla Camera. Ho potuto allora notare che regnava la più profonda assurdità sopra i vari temi che formano l’oggetto delle interpellanze, sulle condizioni speciali dell’isola, e che vi era la più perfetta contraddizione tra quel che esponevano alcuni deputati e ciò che dicevano i rapporti militari, e divergenze molte intorno agli ultimi fatti che hanno formato argomento delle interpellanze. Nè poteva essere altrimenti, o signori; i rapporti militari non sono fatti certamente per riuscire a far conoscere qual è la condizione sociale, qual è lo stato di civiltà o barbarie in cui si trova un paese; i militari hanno ben altro a pensare; essi devono adempiere alla propria missione. Per un istinto naturale all’uomo è in certo modo scusabile se, conosciuti alcuni fatti, tendono a generalizzarli, ed esprimere con parole generali le impressioni che hanno ricevuto. La loro missione non è di osservare fatti sociali, ma di provvedere; la loro missione è speciale, e per quanto il generale Jonnini pretenda, nella sua grand’opera sull’Arte della guerra, che debbano avere cognizioni di diritto politico, e non ignorare, per esempio, i nomi di Grozio, di Puffendorfio, di Hobbes (Bene! bene! a sinistra) e di altri pubblicisti, io sono convinto che un generale può ben servire la patria nella sua specialità senza tali cognizioni, molto più quando vi è il telegrafo elettrico.

Dunque ai rapporti militari, signori, in fatto di civiltà non saprei prestare gran fede; l’idea di civiltà è un’idea, direi così, troppo civile per poter essere militare. (Mormorio a destra, approvazione a sinistra) Parlo nel senso della definizione scientifica, e non della civiltà dei modi, di cui sono maestri i militari. La nozione della civiltà è difficile, ed è stata in vario modo discussa in tutti i tempi.

Ed io ricorderò in prova un libro noto a tutti in questa Camera, cioè la Storia della civiltà moderna in Europa, di Guizot.

La civiltà, signori, si può considerare, secondo il concetto generale ricevuto dai popoli civili, in due svolgimenti, nello svolgimento sociale da una parte, nello svolgimento degl’individui dall’altra, i quali poi si congiungono e si agitano reciprocamente.

È facile per coloro che osservano superficialmente lo attenersi alla parte sociale che risulta all’occhio con gli edilizi, con le strade, coi pubblici e privati istituti, e non badare abbastanza alla parte dello sviluppo, alle cause speciali ed individuali che hanno potuto inceppare il progresso delle relazioni sociali in paesi dove gli uomini, lungi dall’essere barbari, sono nel massimo sviluppo personale.

Per esempio, io non dubito che, se l’egregio generale Govone, che pei risultati ottenuti io stimo benemerito della sicurezza pubblica in Sicilia, benemerito del nostro esercito per la repressione esercitata contro i renitenti, avesse avuto il tempo di pensare ai luoghi che esso percorreva, avrebbe trovato documenti di una civiltà non dubbia.

Egli nella sua esposizione ha narrato di aver percorso tanti paesi, come sono Salemi, Racalmuto, Alcamo e via discorrendo; luoghi tutti che appartengono a quella parte della Sicilia che il signor ministro dell’interno, il quale conosce alquanto le condizioni siciliane per avere percorso la Sicilia e per averle guardate colla solita sua sagacia e rapidità di percezione (Risa ironiche a sinistra), distingue avvedutamente dalla Sicilia orientale. Se in questi luoghi, in cui si è portato con passo veloce il generale Govone, per cagion d’esempio in Salemi, avesse avuto non altro da fare; se non fosse stato interamente occupato dalle sue operazioni militari, forse egli si sarebbe soffermato innanzi Salemi ricordando che quella è la gloriosa patria di Aguirre, di quell’insigne personaggio che fu riformatore della Università di Torino, fondatore dei collegi delle provincie e forse anche di quell’istesso collegio della sua natia città d’Alba, in cui il generale Govone avrà fatto i primi suoi studi. (Bravo! a sinistra)

Nè crediate, o signori, che io sia troppo esagerato a pretendere questo dall’onorevole generale Govone, perché posso assicurarlo che se Napoleone I avesse dovuto trovarsi in faccia a Salemi, si sarebbe cavato il cappello.

Dico questo, o signori, coll’autorità del Vallauri, storico piemontese, coll’autorità del Botta, storico piemontese, coll’autorità del Renan, storico dell’Università francese.

Vittorio Amedeo II, come a tutti è noto, travagliato dai Gesuiti, travagliato dalle mene ecclesiastiche, avea bisogno di fondare un’istruzione laica fortemente costituita, la quale resistesse alle pretensioni della scuola teologica. Questo concetto appartiene al D’Aguirre; egli concepì e realizzò questa magnifica istituzione, madre dell’Università di Parigi, come riconoscono gli scrittori francesi; istituzione che poscia venne imitata dal Primo Napoleone per tutta la Francia per averla trovata in Torino.

Queste riflessioni sfuggirono al capo delle nostre forze militari, intento a raccogliere i renitenti alla leva, ed io applaudo al generale Govone di essersene dispensato; soltanto io avrei desiderato che nel suo rapporto si fosse dispensato dal generalizzare i fatti e dal salire alle definizioni di barbarie e di civiltà. E nulla dirò di quell’Alcamo, che è la patria di Vincenzo Ciullo, tanto caro a noi Italiani, perché fu il primo a cantare nell’italiano sermone; che è la patria del Mattioli, del Bogini, che riempirono di splendore l’Università di Padova, il collegio della Sapienza in Roma e l'Università di Napoli; la patria di quel chiaro iniziatore degli studi orientali che fu Pietro da Alcamo, poiché in simili studi, signori, la Sicilia non è nuova, né in essi è primo in ordine di tempo, come riconosco esser primo in ordine di merito, questo barbaro del 1863, che uscito dal ciclo della barbarie per andare in quello della civiltà, si riposa provvisoriamente al banco dei ministri. (Viva ilarità).

Il primo e più notevole errore dì queste relazioni militari è quello notato ieri dal ministro dell’interno, e che consiste nell’estendere a tutta la Sicilia i giudizi che concernono la parte occidentale.

Non è la prima volta che io rendo questa giustizia al ministro dell’interno; sebbene non gliela rendessi pubblicamente, perché non ho preso altra volta la parola in quest’argomento, in occasione d’una interpellanza mossa dall’onorevole deputato La Porta sulle condizioni della provincia di Girgenti, privatamente conversando, riconobbi nel ministro dell’interno la conoscenza di questo fatto, che quando si voglia giudicare le condizioni della Sicilia, non bisogna confondere le tre provincie di Trapani, Girgenti, Palermo, con Caltanissetta, Catania, Noto e Messina.

Infatti tutti i luoghi indicati dal generale Govone appartengono a quelle tre provincie e non alle altre quattro.

Avvertite però, signori, che questa distinzione io non la fo a cagione d’onore delle quattro provincie nelle quali non si sono verificati i fatti militari ai quali ha preso parte l’onorevole generale Govone, non a danno delle altre tre provincie; ma, dovendo discorrere delle condizioni dell’isola, mi è forza stabilire questo fatto; benché qualche onorevole collega, che mi ode in questa Camera, mi è parso attribuire a questa distinzione una specie di triste importanza, quasiché si volessero con essa far rinascere quelle separazioni, quelle divisioni, che una volta si produssero, parlo dell’epoca infausta del 1820, tra una parte e l’altra dell’isola.

Questo pensiero, o signori, non può essere menomamente nel ministro, né in me, e l’onorevole collega a cui alludo sa bene che dalla prima gioventù abbiamo lavorato tutti quanti a distruggere quelle dissensioni. (Segni di assenso)

D’altronde se la parte orientale dell’isola si diversifica dalla occidentale, non perciò è opposta all’altra; esse hanno condizioni di civiltà diverse e non contrarie che si completano reciprocamente secondo l’idea felice che tutti coloro i quali hanno fatto studi sulla storia della civiltà moderna ripetono da Michele Chevalier che è stato il primo a mettere in evidenza la teoria del dualismo nei progressi della civiltà. Nella parte orientale dell’isola, in quella parte più specialmente indicata dal Dante quando, deplorando la divisione della Sicilia dal restò d’Italia, diceva:

E la bella Sicilia che caliga Tra Pachino e Peloro... in quella che forma la base del triangolo e che si estende da Messina per Catania a Siracusa, le condizioni sociali sono diverse da quelle della parte occidentale che costituiva l’antico Val di Magzara, e che dal mezzo va all’apice, per cosi dire, del triangolo siciliano, la cui cima può considerarsi il capo Lilibeo. In una è maggiore lo sviluppo della Società, nell’altra è massimo quello dell’individuo.

Queste differenze sono state notate in tutti i tempi. Nella parte orientale voi trovate più sviluppata l’economia rurale e privata, più sviluppato l’elemento sociale della civiltà. Nell’altra parte trovate più pronunziato l’elemento individuale, e quindi lo spirito bellicoso e indipendente.

Così quasi tutte le insurrezioni siciliane incominciarono sempre nella parte occidentale dell’isola; fu nella parte occidentale che scesero i mille! io non so Se si Sarebbero avventurati così nella parte orientale quando erano incerti i destini dell’insurrezione siciliana. (Bene! Bravo! a Sinistra)

Non dimenticherò mai, o signori, che nel 1848, deplorando qualcuno di qtiei mali che sono venuti ora a deplorare il ministro della guerra ed il generale Govone, vedendo le casse delle finanze esauste, trovando che le imposte si esigevano più facilmente nella parte orientale dell’isola che nell’occidentale, io mi dolevo quasi di quelle condizioni dell’esistenza di quel terreno montuoso: e mi ricordo che il mio collega Vincenzo Errante mi disse: non vi dolete tanto! sono i baluardi della nostra libertà e della nostra indipendenza epperciò onore a questa parte dell’isola, sebbene le sue condizioni di civiltà per la parte sociale, non per la individuale, possono essere in grado alquanto inferiore a quelle della parte orientale.

Le cagioni, o signori, io non le enumererò; molte persone dotte che hanno studiate queste questioni hanno creduto di trovarle nella diversità di razza, e hanno detto che nella parte orientale dell'isola predominavano le razze greca e latina, nella occidentale invece la fenicia e la cartaginese, vale a dire l’elemento africano, che rappresenta una civiltà diversa della prima. Perciò nell’una parte predominerebbe la pastorizia nomade, nell’altra l’agricoltura avrebbe preso maggior sviluppo, secondo l’indole originaria di antichi abitatori.

Ma invece di ricorrere alla storia delle genti per trovare le cause della varietà di caratteri del popolo siciliano, benché anche questo modo non possa dirsi dettato da fini politici, poiché era quello di un uomo distintissimo, ma non politico, vale a dire dal defunto monsignor Crispi, io dico che basta la topografia per spiegarvele.

La parte occidentale dell’isola (permettete che una volta ancora ve ne parli) è tutta aspra di montagne da cui scendono strette valli che al piede si stendono in deliziose e ricche pianure che finiscono al mare. Così il montano nido dell’avoltoio si trova sicuro, vicino alla preda ed allo scampo. E quindi è facile comprendere che comitive armate di malfattori che percorrono le campagne più in questa parte dell’isola trovino luogo acconcio che nell’altra.

Ma al nido del nibbio spesso è vicino quello dell’aquila. Egli stessi monti che ricoverano il malfattore, sono atti a sostenere le operazioni della guerriglia che si balte per la patria. (Bene!) La Sicilia ama e venera questo paese Che spesso gli ricuperò la libertà. Quindi questa parte è pei suoi titoli benevisa, altamente benevisa dell’isola intera.

Il risultato di questo esame, che io ho cercato di abbreviare il più che mi fosse possibile per non tediare la Camera, si è che ogni qualvolta si parla di renitenza, di poca sicurezza, non bisogna estendere i fatti che si adducono alla intiera Sicilia, ma riferirli a’ luoghi in cui si presentano. Si sa, per esempio, che i renitenti sono con molta facilità raccolti dal generale Zoppi e dal generale Medici nelle provincie orientali. Ivi essi raccolgono anche il plauso delle popolazioni, perché le condizioni locali sono più favorevoli. Ma se si trovano malfattori, se occorrono gravi eccessi nelle provincie occidentali, non perciò debbono ritenersi come barbare.

Io ho parlato del grande sviluppo che in questa parte dell’isola ha avuto il movimento intellettuale, e risponderò ancora come dei fatti criminosi non hanno mai condotto persone prudenti a conchiudere alla barbarie di un paese. Da fatti pochi e particolari non si deve tanto facilmente ascendere a definizioni assolute. Non so per qual cagione l’onorevole D’Ondes-Reggio parlava con particolare stima delle madri siciliane.

Io non so ammettere distinzione tra madre e madre; probabilmente egli si sarà risovvenuto, quando parlò delle madri siciliane, d’un dramma della signora Sauli Saiani intitolato: Le madri siciliane (Si ride), che non so perché sia intitolato così, salvo perché si tratta di una madre tenera, come se ne trova dappertutto; ed in ciò vi ha niente di speciale, né voglio credere che le madri siciliane siano lo migliori madri del mondo, come non crederò che le madri torinesi siano le peggiori madri, solo perché qualche anno fa è stata tradotta innanzi al tribunale criminale di Torino e condannata una madre scellerata, amante di un carabiniere, per aver abbruciato i piedi ad un suo bambino, che la incomodava nelle sue turpi spedizioni, per impedirlo dal camminare, cosicché il bambino ne morì.

Signori, noi abbiamo tutti l’abitudine di ammirare la grazia e le virtù delle donne torinesi (Bravo! Bene! Ilarità) dunque non possiamo dedurre da fatti particolari accuse generali e dobbiamo andar cauti sull’argomento della civiltà e della barbarie. (Bene)

Nel 1793, nel 1792 principalmente, nessuno ignora i fatti terribili che si produssero in Francia in circostanze analoghe a quelle della Sicilia.

Il generale Govone ha prodotto dei giornali del 1860 presi di là a caso.

Questi giornali, mi si è fatto osservare, si riferiscono più specialmente alle epoche del 186061 in cui il generale Govone non era in Sicilia. (Ilarità — Bravo! Bene! a sinistra) Ma si fa cenno che ve ne sono altri che si riferiscono al 1863. Questi sarebbero una conseguenza dei fatti del 1810.

Or bene, i fatti dei quali io citava l’esempio appartengono alla storia francese, e cominciati nel 1792, essi vanno sino al 1794.

Voi li conoscete questi fatti. Erasi colà compiuta una rivoluzione sociale, e notate, o signori, che la Sicilia e le altre parti dell'Italia meridionale non vengono né da una annessione pacifica, né da una conquista militare che porti con sè l’ordine e la disciplina (Bravo! a sinistra!); ma vengono da una rivoluzione; fatto cardinale che non bisogna dimenticare.

Ebbene, dopo la rivoluzione francese del 1789, chi non ha letto nella storia le atrocità commesse in Francia?

Prima che accadessero i famosi battesimi repubblicani, vi furono le guerre dei contadini contro i feudatari ed i loro intendenti, le guerre da una famiglia all’altra; fanciulli innocenti soffocati nei fossi dei castelli; uomini legati insieme e buttati nei fiumi, altri decapitati, di alcuni fu persino bevuto il sangue. Ma se perciò fu concesso ai poeti, al Monti, per esempio, nella Basvilliana, di parlare della barbarie in cui si trovava la Francia, chi ha mai creduto a questa barbarie francese?

Perché dei fatti barbari erano accaduti dopo una rivoluzione sociale, chi ha mai negato la civiltà francese del secolo XVII e del secolo XVIII e quella che immediatamente seguì questi fatti atroci del 1794, non appena fu restituito l’ordine in Francia?

Questi fatti sono stati considerati tali che non potessero portar macchie alla nazione francese, come delle calamità che seguono necessariamente tutte le rivoluzioni che hanno un carattere sociale. Che se poi in ogni rapporto dei carabinieri su un fatto criminoso noi vogliamo trovare un ciclo di barbarie, per ritornare poi ad un ciclo di civiltà, quando il fatto criminoso è punito, questi cicli in verità non appartengono al sistema di Vico che li fa grandi di dieci o dodici secoli, ma diventano così piccoli che si confondono con la dottrina atomistica. (IlaritàApplausi)

Vediamo ora qual è lo spirito pubblico dell’isola, intorno al quale si è mosso anche moltissimo dubbio, perché molti oratori sono venuti a dipingerlo come orribile, avverso all’ordine attuale di cose, mentre altri oratori lo dipinsero come eccellente, il meglio insomma che si possa desiderare da un Parlamento, da un Governo italiano.

Lo spirito pubblico della Sicilia, secondo le opinioni mie sicure, che porterò alla Camera con tutta lealtà e senza alcun riguardo all’impressione che le mie parole possano produrre in Sicilia, né all’impressione che possano produrre presso gli onorevoli miei colleghi di questa Camera, lo spirito pubblico dipende dalle condizioni sociali e dagli atti del Governo, i quali atti naturalmente devono essere accomodati alle condizioni sociali del paese stesso.

Or bene, io ho delle informazioni, le ho avute oralmente, le ho avute per iscritto da tutte le parti orientali dell'isola, e da esse mi consta che in esse ìa pubblica sicurezza non fu punto turbata, che lo spirito pubblico è eccellente, che il novello ordine di cose è intieramente gradito, che le popolazioni si mostrano grate alle cure che prende il Parlamento, a quelle che prende il Governo italiano per loro, che i lavori pubblici, che gli studi procedono colla massima alacrità. Mi è accaduto un giorno di parlare di un argomento di cui si è discorso tante volte in Italia da qualche tempo, dell’impopolarità vera o presunta del Gabinetto Rattazzi. C’era qualche Siciliano che mi diceva: assicuratevi che nel cuore di ogni proprietario siciliano vi è l’immagine di Rattazzi, non per altro che per lo stato d’assedio. (Ilarità) Il che vuol dire che tutto ciò che ha potuto tendere a stabilire la sicurezza pubblica è riuscito gradito a quelle popolazioni.

È naturale da un altro lato che, in quelle parti dell’isola in cui non è ristabilita intieramente quella sicurezza pubblica, alla quale il Governo ed il generale Govone hanno resi degli importanti servizi, è naturale che vi sia del malcontento, e le misure che si prendono per ristabilirla non possono che riescire gradite. In generale, secondo le mie informazioni, ciò accade in Sicilia; però nelle città popolose, nelle città cospicue come quella di Palermo, per gli uomini che hanno una intelligenza elevata, le operazioni del Governo non tornano intieramente gradite. E perché? Perché vi fu illegalità, perché qualche violazione di legge si commise nel ristabilire la sicurezza pubblica, e nel raccogliere i renitenti per l’esercito. I Siciliani sono avvezzi da lungo tempo a considerare il Governo come tenuto a rispettare la legge, ed anche quando essi per avventura non la rispettano, pretendono che il Governo la rispetti. E un’abitudine acquistata dalle loro antiche istituzioni, e consacrata dal patto del 1812, in cui un articolo esplicito diceva: «Ogni cittadino ha il diritto di far resistenza all’autorità pubblica, se questa non opera in conseguenza della legge.» Questo sentimento nell’isola è generale. Quindi ci sono degli uomini, i quali desiderando il ristabilimento della pubblica sicurezza non possono certamente approvare gli eccessi che si commettono, e che non sono certo imputabili a coloro che comandano, per le collisioni in cui si viene in simili circostanze; vi sono delle persone le quali desiderano che si completino le operazioni che tendono a ristabilire la sicurezza pubblica, e nel tempo stesso bramano che si rimanga nella legalità. Essi credono che quando la legalità è violata, la guarenzia che dà la legge ai cittadini, il rispetto dei diritti individuali venga a mancare; e quindi ls educazione del popolo, invece di progredire, retrocede; che finalmente invece d’affezionare le popolazioni a’ novello ordine di cose come apportatore di libertà, le disgusti.

Quindi per ciò che concerne la sicurezza, per ciò che concerne i renitenti alla leva, io credo che lo spirito pubblico è favorevole alle operazioni rigorose; ma si sarebbe desiderato che le medesime fossero perfettamente legali.

Vi è però, o signori, qualche cosa, per continuare sull’argomento delle condizioni sociali e dello spirito pubblico in Sicilia, vi è qualche cosa che non è stata fatta e che non ha soddisfatto alle speranze che i Siciliani avevano concepito quando fecero la loro gloriosa rivoluzione del 1860.

Io credo che un Governo, allorquando riceve un paese non dalla conquista, ma dalle mani della rivoluzione, debba domandare a sé stesso per quali bisogni questa rivoluzione si è fatta, che cosa voleva il popolo che si è sollevato, (Bene!) pensare in tutti i modi a soddisfare a questi bisogni. (Benissimo! Bravo!) Questo era il solo modo di ristabilire l’ordine, il solo modo di contentare completamente le popolazioni. (Benissimo! a sinistra)

Io mi domando, signori, che cosa voleva il popolo siciliano allorché insorse nel 1860. Lo domando alla rivoluzione del 1860, lo domando anche alle rivoluzioni anteriori della Sicilia. Anzitutto, io non ne dubito, il popolo siciliano voleva l’indipendenza d’Italia, e la potenza che è inerente alla formazione di una gran nazione. Io ricordo come tante e tante volte i Siciliani che più ripugnavano dall’annessione con Napoli dicevano: l’unione con Napoli ci toglie i vantaggi dell’esistenza municipale, del governo di noi stessi col soverchio accentramento degli affari pubblici in Napoli, senza darci il compenso di essere nazione forte e rispettata al di fuori. Quest’argomento, voi lo vedete, è scomparso dinanzi alla formazione del regno italiano, ed in tutti i Siciliani io conosco questo sentimento oramai sviluppato di legittimo orgoglio per chiamarsi Italiani, per appartenere alla gran nazione italiana. (Bravo! Bene!)

Io ho avuto occasione di conversare con commercianti di Sicilia che frequentano i mercati d’Inghilterra: essi dicono: per l’innanzi eravamo guardati con simpatia, ma dopo il 1860 siamo guardati con simpatia e con rispetto, e di questo vanno altamente orgogliosi. Questo fine è conseguito, e non sarà mai la Sicilia che venga a metterlo in forse.

Ma oltre l’indipendenza, oltre la potenza d’Italia, la Sicilia nella sua rivoluzione aveva delle aspirazioni di libertà. Voi sapete come la libertà fosse parola ignota al Governo dei Borboni: essa è altamente cara ai Siciliani per le antiche abitudini, per affetto alle loro antiche istituzioni. Oltre il desiderio di libertà, la Sicilia aveva un altro desiderio, che nelle varie epoche si è prodotto diversamente, secondoehè quella parte della civiltà, che non consiste tanto nello sviluppo dell’individuo, quanto in quello delle relazioni sociali, è andato venendo su: il bisogno dell’uguaglianza civile. Questo bisogno, che nel 1812 non era abbastanza sentito e nel 1848 si produsse in modo pronunziatissimo, come lo può mostrare la testimonianza di due documenti autentici, cioè a dire il confronto della Costituzione del 1812 con quella del 1848, una aristocratica, l’altra democratica; questo bisogno si è andato facendo sempre più vivo dopo che l’amministrazione napoletana, la quale in fatto d’eguaglianza non era cattiva, ne andò introducendo l’abitudine. Come tutti i paesi i quali fanno una rivoluzione, che vengono da un passato da essi detestato e che hanno da distruggere, essi desideravano inoltre un’azione del Governo, non che il Governo restasse impassibile osservatore dello svolgimento naturale dei fatti che produce il solo stabilimento delle istituzioni libere, ma che il Governo esercitasse un’azione. Voi sapete che per più volte è stato gridato dalla Sicilia: ma si governi di più! si eserciti un’azione più viva! Ora l’azione di un Governo può essere promotrice della prosperità futura dei popoli e riparatrice degli abusi che si sono introdotti per il passato.

Al bisogno, signori, di uguaglianza civile avevano le nostre leggi generalmente provveduto in Sicilia. Al bisogno di libertà i Siciliani credevano di aver ottenuto pieno soddisfacimento.

Mi duole dal fondo dell’animo che le circostanze li abbiano autorizzati a dubitare di aver conseguita la libertà appunto perché le operazioni militari che si sono fatte nell'isola non hanno avuto il suggello della legalità.

Questo è un dubbio che ha scosso tutti gli animi e che certamente li rende tristi e sospettosi.

Quanto all’azione del Governo, per essere imparziale, il Governo, secondo me (e notate che dico Governo e non Ministero, io prendo in complesso il Governo italiano dal momento dell’accettazione del plebiscito sino ad oggi); il Governo esercitò la sua azione promotrice molto bene dall’epoca dell’annessione sino ad ora.

Gli studi hanno fatto dei progressi significanti in Sicilia. Delle somme sono state votate per il mantenimento di quell’università e per la parte dell’istruzione secondaria.

L’istruzione primaria si va diffondendo rapidamente e un uomo rispettabile mi scriveva da Palermo, dichiarando che egli moriva contento, perché vedeva gettate le basi della futura prosperità del suo paese, solo per questo che vedeva frequentate con grande abbondanza le scuole primarie e serali e che aveva assistito alle lezioni che si danno in queste scuole.

Io non posso che rendere giustizia all’abilità spiegata dal ministro dei lavori pubblici. Innanzi tutto già s’intende è il Parlamento che ha votato i fondi e che ha fatto le concessioni necessarie perché un’azione promotrice della pubblica prosperità avesse luogo nell’isola.

Il ministro dei lavori pubblici ha esercitato costantemente e con molta attività la sua azione, perché le opere pubbliche prestamente procedessero nell’isola. Di questo io ho piena conoscenza. Riparazioni di antiche strade assunte dallo Stato, mentre il loro carattere era divenuto provinciale per disposizione legislativa; larghezza nel distinguere i lavori che possono cadere a peso delle provincie da quelli che possono cadere a peso dello Stato, e impegno nel porli a carico dello Stato con beneficio delle provincie; costruzioni marittime nei porti di Palermo, di Girgenti e di Licata; riparazione del porto di Siracusa; insomma provvedimenti utili sono stati dati sopra larga scala, e questi provvedimenti non hanno bisogno d’altro se non che di alquanto tempo per compiersi e per produrre i loro salutari effetti.

Dunque questa parte, che io chiamo azione promotrice, la veggo con solerzia esercitata nell’isola.

Ho parlato, signori, di azione riparatrice accanto alla promotrice. Intendo per l’una quell’azione che non consiste in altro se non che nel rimuovere gli ostacoli; che può presentare la natura alla prosperità economica di un paese, cioè nella costruzione delle strade, nell’apertura dei porti, nei nuovi mezzi di comunicazione: considero azione riparatrice quella che consiste nel rimuovere gli effetti delle tristi passate legislazioni, de’ monopoli, dei privilegi, nel distruggere gli abusi che ancor possono esistervi.

Quest’azione riparatrice, o signori, non mi sembra abbastanza esercitata dal Governo. Ed io non attribuisco ad altro la mancanza di quest’azione, se non che a difetto di conoscenza di certe condizioni dell’isola.

Noterò a questo proposito che quando io parlo di riparare il passato non intendo parlare di reazioni personali. L’onorevole ministro dell’interna osservò che relativamente a un individuo io lo aveva detto arrivato in Sicilia. È vero perché ne aveva avuto notizia da una mia corrispondenza, ma dichiaro che io non attribuisco alcuna importanza all’arrivo o non arrivo di quest’individuo, persuaso che la prosperità della Sicilia non dipende da simili circostanze, ma dipende da ben altri provvedimenti.

La rivoluzione siciliana ha creduto di conseguire certi benefizi, certe riparazioni contro il passato, che in verità incontrano qualche difficoltà quando si mettono in esecuzione. E facile, o signori, è troppo facile provvedere ai bisogni d’una provincia senza recar malcontento ad alcuno, mettendo là mano nel denaro dello Stato e diffondendolo largamente; così si riducono al verde le casse dello Stato e non si contentano le località. Credo che vi sia un modo più saggio, più degno anche degli uomini di Stato che hanno un genio effettivo, ed è quello d’alimentare le fonti della produzione, di cercare i mezzi di far crescere la ricchezza pubblica, rimuovendo gli ostacoli che i vizi di una legislazione passata hanno potuto lasciare nel paese. Citerò solo qualche esempio in appoggio; e credo che non sarà discaro alla Camera intenderlo perché gioverà alle cose siciliane che potranno discutersi in avvenire.

Un onorevole nostro collega recatosi in Sicilia in occasione del disegno delle strade ferrate calabro-sicule, narrava un giorno prima che il deputato D’Ondes-Reggio facesse le sue interpellanze, che in Sicilia veramente le acque non difettano, come è quasi generale sentenza; egli diceva: vi sono acque molte, ma si lasciano andare a mare, mentre potrebbero essere di tanta utilità all’agricoltura.

Quest’uomo distinto, quest’uomo di cognizioni speciali limitavasi a quest’osservazione, e non passava oltre a generalizzare e a dire: la barbarie dei Siciliani lascia andare l’acqua al mare ed io gliene sono grato. In quel piccolo convegno in cui così discorrevasi non credetti dovere indicare la ragione di questo fatto, ma la dirò alla Camera, e desidererei che fosse presente il signor ministro d’agricoltura e commercio, trattandosi d’una cosa di grande importanza per la prosperità dell’isola. È da sapere, signori, che in Sicilia le acque pubbliche non sono ancora rivendicate.

In Sicilia è prevalsa una giurisprudenza per effetto della quale si considerano unicamente come acque pubbliche le acque demaniali, le acque dello dello Stato, cioè navigabili; tutte le altre si reputano private.

La ragione della differenza che a questo riguardo esiste fra la Sicilia e le altre provincie meridionali consiste in due disposizioni diverse della legge abolitiva della feudalità promulgata nel 1822 in Sicilia, legge abolitiva non importata dall’estero, ma fatta per civiltà propria, la quale nel parlare delle acque e dei fiumi ne serbava la proprietà ai possessori, mentre la legge napoletana del 1806 regolandosi sui principii del diritto romano, stabiliva una categoria d’acque pubbliche, benché non fossero demaniali, che sono quelle che si possedono dai consorzi, quelle acque stesse che servono ad irrigare le campagne e formano la prosperità dell’Alta Italia e di tanti altri paesi civili.

L’istruzione del 1809, tanto nota ai giurisperiti napoletani, non fu mai applicata di fatto alla Sicilia, per quanto si procurasse di ciò ottenere dal passato Governo, e per conseguenza non potè recare quei vantaggi all’isola che sarebbero stati anche molto proficui per le finanze dello Stato.

Nel 1861 si era provveduto perché si promuovesse la formazione dei consorzi nell’isola di Sicilia; ma più tardi alle domande che facevano i comuni siciliani per il regolamento delle loro acque si rispose dal Governo che bisognava attendere una legge generale dal Parlamento, e si sospese per conseguenza ogni pratica e si ridussero quelle popolazioni all’inazione.

Vennero quindi fatte pratiche presso il Ministero di agricoltura e commercio onde si provvedesse almeno secondo la legislazione del 1809 per opere di buonifiche, e una di queste pratiche, rimasta addietro per qualche tempo, ebbe il suo corso, e di questo debbo rendere giustizia al signor ministro di agricoltura e commercio. Ma che cosa è mai lo avere provveduto a un sol comune?

Io non abuserò della pazienza della Camera continuando in questa via, ma ciò che vi ho detto delle acque potrei dirlo delle decime, lo potrei dire per la questione dei luoghi pii, dei demanii e per cento altre questioni non mai risolute, da cui dipende essenzialmente la prosperità dell’isola. Nella provincia di Girgenti, a cui si attribuiscono tanti reati, le terre sono in gran parte soggette ancora alle decime, e in virtù di queste decime vi sono dei canonici, dei semplici canonici i quali percepiscono dei redditi da 10 a 12 mila lire, e sapete voi da che questi ecclesiastici fanno scaturire i loro titoli di possesso? Da un passo di Cicerone il quale dice nelle Verrine: Omnis ager siculus decuma. nus est! (Ilarità) Perché adunque per l’addietro queste terre pagavano le decime a Roma, i canonici si credono eredi dei Cesari, e si costituiscono proprietari di quelle prestazioni. (Nuova ilarità)

Un dotto giureconsulto siciliano, il quale per la sua dottrina e virtù meriterebbe di sedere in questo onorevolissimo Consesso (e se non vi siede si è perché egli non volle accettare il mandato che gli veniva offerto), ecco quello che mi scriveva:

«In questo paese in cui la ragione laica ha prevalso sempre contro le pretese ecclesiastiche, in questo paese pare di essere ai tempi dei missi dominici degli eredi di Carlo Magno quando, dopo di aver dato le decime alla Chiesa, l’autorità civile prestava il' suo braccio secolare perché queste decime fossero pagate.»

Queste cose, o signori, sono certamente di ostacolo al progresso dell’agricoltura. Voi ben sapete che quando un peso gravita sopra il prodotto del suolo in ragione del prodotto istesso, tosto si inaridisce la fonte della produzione, e ne viene lo squallore e la miseria e l’ignoranza; né è a stupire che in siffatto stato di cose si riproducano i malfattori, uomini ardimentosi, i quali, non potendo procacciarsi guadagno col loro onorato lavoro, cercano un lucro illecito nelle tristi imprese di sangue e fanno il mestiere dei ladroni.

Quello, o signori, che io ho detto delle decime potrei dirlo dei demani. Le quistioni demaniali in Sicilia non sono risolte, sono rimaste totalmente in sospeso; non si è dato risoluzione alcuna a tanti affari pendenti, non si sono promossi altri che si dovevano iniziare; eppure il destino futuro dell'agricoltura dell’isola dipende da queste operazioni che sonosi debolmente cominciate per la via della conciliazione nelle provincie napoletane, ma che in Sicilia, ripeto, sono rimaste totalmente in sospeso.

E a questo proposito non posso dispensarmi dal dire alla Camera un fatto che è stato doloroso al mio cuore, e che si riferisce allo spirito pubblico.

Due onorevoli persone venute in Torino per sollecitare uno di questi affari, non avendo trovato quelle facilità con cui (bisogna rendere questa giustizia all’amministrazione napoletana) erano accolti in questo genere i reclami delle popolazioni, queste due onorevoli persone, scoraggiate, presentatesi a me mi dissero: e adunque, signore, bisogna aspettare l’altra? L’altra, diss’io, che cosa è? Risposero: l’altra rivoluzione. (Ilarità a sinistra — Bene!)

Signori, quando le popolazioni non si trovano soddisfatte di un ordine di cose, resta sempre un germe di movimenti che possono produrre gravi pericoli. (Bene!)

Queste parole, o signori, non vi debbono sorprendere in bocca di un Siciliano, giacché il Governo cessato fu così brutale nell’isola che le rivoluzioni vi furono troppo frequenti, e il signor Torriani, segretario del comune di Messina, potè scrivere la Storia della sedicesima rivoluzione della fedelissima città dì Messina. (Ilarità)

Facciamo in modo che i Siciliani non abbiano mai a pensare all'altra: facciamo in modo che questa provveda completamente ai loro bisogni.

E qui, o signori, permettetemi ancora un altro breve cenno di una serie di operazioni che bisognerebbe vivamente promuovere in Sicilia e che sono state trascurate, voglio dire il riordinamento della pubblica beneficenza.

In quell’isola che fu luogo di passaggio dei crociati e per la sua vicinanza alle reggenze di Barberìa era continuamente esposta ad assalti dei pirati, che fu soggetta a malattie contagiose proprie dell’Oriente, ora intieramente scomparse, in quell’isola vi sono fondazioni pie le quali hanno perduto il loro antico scopo, e che riordinate a buon fine verrebbero a sollievo delle classi povere e potrebbero anche servire per certe istituzioni di credito.

Queste operazioni erano arrestate costantemente dal cessato Governo non ostante la laicità della legislazione dell’isola, arrestate dagli scrupoli personali del principe, il quale ad ogni momento si lasciava influenzare dai suoi confessori, dai suoi direttori di coscienza.

Or bene, dopo la rivoluzione del 1860 si pensava da per tutto, esercitando quella libertà che poi è stata così bene consacrata dal Parlamento italiano colla legge del 3 agosto 1862, di riordinare la pubblica beneficenza a vero vantaggio degli uomini. Difatti le congregazioni di carità le quali amministrano queste opere, possono oramai colla massima facilità mettere nei bilanci rispettivi di esse delle somme, che servano a sussidiare le opere più utili e diminuire i fondi addetti ad opere perfettamente inutili. Havvi un comune delle provincie napoletane, di cui non ricordo il nome, il quale ne ha già dato l’esempio. In esso cinque opere pie tutte di messe, di processioni, erano amministrate dalla congregazione di carità, e la congregazione, credo che il signor ministro dell’interno se ne ricordi, formando i bilanci delle opere pie, di alcune somme si servì per la fondazione di ospedali, e per altre spese utili, lasciando tuttavia tutto il possibile rispetto al santo, e, credo, non meno di 1500 messe. (Si ride)

Or bene, quest’azione salutare del riordinamento si è tardata: ed io non mi astengo dal cogliere quest’occasione per invitare il Governo a promuovere questo riordinamento della pubblica beneficenza.

La legge del 3 agosto 1862 fece concepire il sospetto che le opere pie addette al culto, le quali non fossero in dipendenza di opere della pubblica beneficenza, non dovessero essere amministrate dalle congregazioni laicali, ma che dovessero rimanere sotto la dipendenza del Governo, esercitandosi quest’azione del Governo per mezzo del ministro guardasigilli. Senza alcun dubbio, in faccia all'autorità ecclesiastica era salvata l’attribuzione del potere civile sopra queste istituzioni, ma altro vantaggio è quando le istituzioni si trovino coordinate nelle stesse mani in modo da potersi reciprocamente aiutare.

Io fo plauso al Ministero di avere finalmente con dichiarazione del 4 novembre 1863 dichiarato che per effetto dell’articolo 34 della legge 3 agosto 1862 tutte queste opere sono sottoposte al ministro dell’interno, non solo quelle di pubblica beneficenza, ma tutti i luoghi pii non aventi erezione in titolo ecclesiastico. j

Applaudo alla ragionevolezza colla quale il signor guardasigilli si è spogliato di tali attribuzioni, applaudo alla forza colla quale il ministro dell’interno i prese possesso di esse; ma non è questo che un atto! del 4 novembre 1863, che ancora non ha potuto produrre alcun utile risultato.

Colgo quindi quest’occasione per pregare il signor ministro dell’interno di promuovere in tutti i comuni dell’isola il riordinamento delle opere pie secondo le disposizioni della legge 3 agosto 1862. Questa serie di operazioni appartenenti all’azione del Governo, riparatrici del passato, in confronto alle altre operazioni! che ho chiamate promotrici del pubblico bene, hanno questo speciale vantaggio che tengono in attività gli; spiriti delle popolazioni.

Infatti notate: gli studi, senza alcun dubbio, interessano la società intera, ma non occupano che la gioventù; i lavori pubblici occupano utilmente l’operaio, ma non occupano l’attività intellettuale delle menti più elette nelle varie parti dell’isola; questa è molto meglio occupata quando è chiamata a far parte di una! azione riparatrice, che consiste nel togliere gli abusi! del passato.

Quando i Consigli comunali, le Giunte municipali, gli uomini intelligenti trovino pascolo alla loro attività nelle operazioni demaniali, e in quella del regolamento delle acque, e in quella del riordinamento dei luoghi pii, lo spirito pubblico s’innalzerà e si appagherà nel maneggio dei pubblici negozi.

Dopo di aver parlato delle condizioni sociali dell’isola, io verrò agli ultimi fatti che si producevano in. tali condizioni.

Il Governo doveva chiamare sotto le bandiere i renitenti alla leva, doveva ristabilire la pubblica sicurezza; le misure che egli prendeva naturalmente riuscivano gradite alla classe dei proprietari, e devo dire al signor ministro dell’interno che l’istituzione delle Giunte voluta dall’articolo 5 della legge 15 agosto 1863 è da me attaccata per la parte della sua legalità, non già per la sua impopolarità. Io so bene e riconosco che i proprietari di varie parti dell’isola volevano che ci fossero delle Giunte le quali liberassero il paese dai! sospetti, anche col domicilio coatto.

Ma deve il Governo, quando provvede al bisogno delle popolazioni, lasciarsi dominare dai sentimenti momentanei delle popolazioni stesse? Non deve il Governo aver innanzi a sé sempre il tipo assoluto del legittimo e del giusto?

Io credo che il Governo deve attenersi a questo ultimo partito; altrimenti le popolazioni ne verrebbero demoralizzate, sopratutto quando alle azioni lodevoli del Governo nessun ostacolo si offre, nessuna urgenza tale che egli non possa attingere i poteri eccezionali dal Parlamento.

Comecché una parte della popolazione siciliana fosse pronta a venire soddisfatta dalle disposizioni di rigore, dagli atti che si facevano dal Governo per la pubblica sicurezza, benché non fossero legittime, io avrei voluto che il Governo informasse sempre sé stesso ai principii di legalità, che ricordasse alle popolazioni stesse che reclamavano questi provvedimenti che innanzi tutto si doveva rispettare l’autorità del Potere legislativo, del Parlamento.

Quanto alle conseguenze di questi atti, o signori, si è dall’onorevole deputato D’Ondes-Reggio domandato un’inchiesta parlamentare, che fu la conclusione della sua interpellanza.

All’inchiesta parlamentare domandata dall’onorevole D’Ondes-Reggio rispose l’onorevole ministro della guerra che il Governo l’avrebbe considerata come un atto di sfiducia, e che in conseguenza non la voleva.

In certo modo egli era nel suo diritto, ma tuttavia sarebbe forse stato più dicevole alla Camera che egli ne esponesse i motivi, che non dicesse: Nolo quia nolo: statero ratione vóluntas. (Ilarità a sinistraMovimenti in senso diverso)

Questi motivi che non sono stati discussi innanzi alla Camera dal Ministero, furono trattati più volte tra i deputati. Si andava esaminando se l’inchiesta dovesse o non dovesse ordinarsi, se inducesse o non inducesse sfiducia nel Ministero.

Taluno faceva osservare che il Governo professando nel nostro diritto costituzionale teorie conformi a quelle che usano gl’Inglesi, avrebbe dovuto facilmente accettare l’inchiesta parlamentare, dappoiché si sa che una simile inchiesta non avrebbe incontrato alcun ostacolo in Inghilterra.

Altri dicevano che se Inghilterra prevale il sistema delle inchieste parlamentari, egli è che il potere esecutivo è sfornito di molti poteri che ha presso di nói, come sarebbe quello di richiedere le corporazioni municipali, d’invitarle a deporre, e via discorrendo. Questo è il motivo per cui è necessario intervenga colà l’autorità del Parlamento. Procuravano quindi costoro di far prevalere il sistema francese, nel quale un’inchiesta parlamentare non si fa se non che per riuscire ad una legge, per riuscire cioè ad un atto che sia decisamente nelle attribuzioni del Parlamento. Questo almeno è il sistema che si professava al tempo della monarchia di luglio.

Si osservò da taluno che si sarebbe potuto trovare un mezzo fra queste due opinioni, che una via media sarebbe stata quella di ordinare un’ inchiesta sulle condizioni sociali e sull’amministrazione dell’isola.

E per avventura, o signori, questo fatto aveva un precedente nella storia parlamentare francese, quando alcuni eccessi che si attribuivano all’autorità militare, eccessi, notate, non a danno delle popolazioni francesi, ma a danno nientemeno che dei Caballi, destarono la sensibilità delle Camere. Il Governo non ammetteva che si facesse una inchiesta su gli atti dell’autorità militare, e si ordinò quindi sulle condizioni della colonia Algerina, in modo che potè comprendere gli atti dei quali avevano fatte lagnanze alcuni deputati.

Ma ormai la domanda d’inchiesta da quasi tutti gli onorevoli deputati che hanno manifestata la loro opinione nelle proposte di ordini del giorno è stata messa da parte, perché si trovava che non avesse nel momento attuale scopo veruno. L’inchiesta si riferiva a fatti che sono imputabili agli esecutori materiali degli ordini ricevuti, ed a fatti che sono riferibili agli ufficiali superiori.

La parte degli ordini è stata riconosciuta lealmente innanzi al Parlamento, non solamente dall’onorevole generale Govone, che ebbe una parte principale nel comandare le operazioni militari, ma anche dal Governo; quindi questa parte che doveva formare principalissimo soggetto d’inchiesta parlamentare, è rimasta eliminata perché i fatti sono confessati, cioè gli ordini di un vero stato d’assedio per costringere lo popolazioni a restituire i renitenti.

Quindi io non vedo in modo veruno che sia più il caso di venire ad un’inchiesta parlamentare, od almeno, se alla medesima si vuol procedere, non panni sia necessario occuparsi ancora dei fatti politici, di quei fatti che cadono sotto il giudicio del Parlamento, perché, ripeto, sono stati dichiarati veri. Non sarebbe dunque ii caso di quest’inchiesta, ma bensì soltanto di portare giudizio sopra questi atti del Ministero. Il signor ministro dell’interno, dopo di aver dichiarato i fatti, ha cercato di legittimarli.

Vi è una parte che particolarmente lo concerne, e che si distingue da quella del ministro della guerra; è questa l’esecuzione della legge 15 agosto 1863.

Il signor ministro ha ritenuto che l’articolo quinto di questa legge dovesse considerarsi come indipendente dagli altri articoli della legge stessa. Non ispiaccia alla Camera ricordare in che sta questa semplicissima questione. Legge sul brigantaggio si chiama quella del 15 agosto 1863. Essa ebbe per fine di provvedere al brigantaggio. In questa legge l’articolo primo ha stabilito che tutti i reati che si commettono, considerati dagli articoli tale e tale del Codice penale nelle provincie che sono dichiarate infestate dal brigantaggio con decreto reale, saranno giudicati dai tribunali militari

Altre disposizioni d’ordine vengono negli articoli successivi secondo, terzo e quarto; il quinto poi dice che il Governo potrà ordinare il domicilio coatto pei vagabondi, per gli oziosi, pei camorristi e manutengoli, col parere di una Giunta composta del prefetto, del presidente del tribunale, del regio procuratore e di due consiglieri provinciali.

Si è trovato che il Governo aveva operato illegalmente nell’istituire le Giunte nelle provincie non dichiarate in istato di brigantaggio, e nel nominare egli stesso i consiglieri provinciali, la cui nomina non gli è attribuita dal testo della legge.

Alla prima parte, che è la più importante, il signor ministro risponde con dire che le popolazioni stesse reclamavano l’istituzione di queste Giunte. Io non ho negato queste istanze, soltanto ho creduto di dover ricordare al signor ministro che nel ricevere le domande delle popolazioni egli ha il dovere di curare la dignità delle popolazioni stesse e l’osservanza della legge.

Egli di più si è valso di un argomento desunto dalla discussione di questa legge innanzi alla Camera dei deputati. Egli ha fatto notare come taluni deputati reclamassero l’istituzione di queste Giunte anche in provincie non dichiarate in istato di brigantaggio; e come egli allora abbia dichiarato che non sarebbe stato alieno dall’intendere la legge in questo senso, e come essendosi gridato ai voti! ai voti! la Camera passasse a votare la legge stessa.

Io ammetto, signori, quest’ordine di ragionamenti nel signor ministro dell’interno, uomo politico il quale è dedito ad altri studi che non sono quelli di giurisprudenza; egli innanzi alla Camera è in diritto di dire: io, volendo eseguire la legge, ho cercato di rendermi ragione della volontà della Camera; nei processi verbali della Camera ho trovato che si faceva un eccitamento in questo senso, e vedendo che sopra di ciò non si discuteva, ma si passò ai voti, ho interpretata la legge nel senso stesso.

Ma io son sicuro che il signor ministro guardasigilli, che probabilmente prenderà la parola su tale questione, non vorrà adoperare lo stesso argomento, il quale, ripeto, può star bene in bocca d’un uomo politico che non professi giurisprudenza, ma che sicuramente non, adoprerà il ministro guardasigilli.

È noto a tutti che le discussioni che si fanno intorno a una legge non hanno autorità nell’interpretazione della medesima, e che il senso della legge si deve desumere dal contesto delle sue parole (Alcuni segni di denegazione), e dal confronto colle leggi precedenti.

DE CESARE. E i motivi del Codice?

PRESIDENTE. Non interrompa.

CORDOVA. I motivi del Codice non contano più che niente. Il signor De Cesare m’interrompe e mi cita l’esempio dei motivi del Codice; e io rispondo che precisamente quando il Codice Napoleone fu applicato nelle varie parti d’Italia, fu uso di citare i processi verbali del Consiglio di Stato francese, raccolti dal barone Locrè, ma per nove decimi le questioni che si sono agitate sull’interpretazione del Codice sono state risolte in senso contrario a quello che risultava dai processi verbali. (Bravo!— Applausi a sinistra) Una legge non si fa per i motivi che dice questo o quell'altro oratore: quando si fa una legge parlano otto o dieci deputati. Gli altri 400 che taciono, e che spesso hanno più giudizio di coloro che parlano, votano la legge se la trovano in armonia coi principii di cui s’informa, senza dare il menomo assenso ai motivi che altri può avere esposto. (Bravo Applausi dalla sinistra e dalle tribune pubbliche)

PRESIDENTE. Avverto le tribune che non è permesso alcun segno d’approvazione o di disapprovazione.

CORDOVA. Vi è poi un’altra questione che verte intorno alle operazioni militari. Rispetto a quelle che furono legali io non posso farne rimprovero al Governo, anzi gliene fo onore.

Quanto alle operazioni militari che non erano nella legge, il Governo non ha potuto addurre altro che la utilità dei risultati.

Certo non bisogna in conto alcuno sconsiderare l’esercito in Sicilia, non bisogna privarlo di quell’autorità che da tre anni gode nell’isola, poiché io sono stato testimonio dell’affetto, dell’amicizia con cui erano ricevuti gli ufficiali dell’esercito italiano in tutte le famiglie, della stima in cui si tenevano i carabinieri, fatto che non è distrutto da alcuni casi particolari, in cui furono massacrati carabinieri da banditi; ciò non toglie che quest’arma dei carabinieri sia in generale da tutti stimata.

Noi qui certamente non siamo un tribunale, siamo un’Assemblea politica, la quale congiunge la questione politica alla quistione di diritto. Ammetto che non si deve togliere autorità all’esercito in Sicilia nel momento attuale, che non si deve togliere autorità al Governo, ne convengo, ma non si deve asserire, per la dignità della Camera, non si deve asserire per non fare offesa al sentimento di quelle popolazioni, che ciò che è illegale sia stato legittimo. (Bravo! a sinistra)

Le città di Sicilia le quali furono cinte da un cordone, lo città a cui fu tolta l’acqua, in cui fu vietato l’uso libero dei diritti del cittadino, non debbono credere che i loro reclami sono giudicati illegittimi, per' ché si credono inopportuni.

Il Governo può, non sedendo le Camere, far dichiarazioni di stato d’assedio e dare disposizioni legislative che il Parlamento, se trova saggie ed opportune, può sanare, secondo la giurisprudenza inglese, con un bill d’indennità; ma altro è accordare un’indennità, altro è riguardare legittimo e regolare ciò che non lo è.

Venendo quindi alla conclusione, io do la mia adesione all’ordine del giorno dell’onorevole Salaris, come a qualunque altro che non si discosti da esso, che abbia il carattere medesimo, cioè rilevo la non legittimità degli atti commessi, quella non legittimità dallo stesso onorevole generale Govone affermata, quando diceva:

Se voi mi giudicate al rigore della legge mi condannate; ma se volete tener conto dei risultati mi assolverete.

Ebbene, signori, le mie conclusioni sono queste.

Io ritengo che se il Ministero, esponendo lo stato delle cose, avesse chiesto alla Camera poteri straordinari, a fronte della speciale condizione delle cose, si potevano accordare.

Se un Ministero inglese avendo tutto il favore della maggioranza si trovasse in simile circostanza (io lo domando ai miei colleghi della Camera) oserebbe domandare di più di quello che io sono pronto a votare? Chiederebbe altro che l’indennità alle persone che si sono scostate dalla legge in grazia dell’utilità dei risultati? (Bravo! Bene!)

PRESIDENTE. Il ministro per la guerra ha facoltà di parlare,

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Procurerò di essere il più breve possibile nel rispondere ai diversi attacchi che mi vennero dagli onorevoli deputati La Porta, Mordini, e per ultimo dal deputato Cordova.

Io posso stabilire una sola base di risposta, la quale è che tutti gli attacchi contro me diretti sono fra di loro in contraddizione.

Il deputato La Porta accusa il generale Govone e me di avere dichiarato erroneamente che vi fossero odi di famiglie in Sicilia, od almeno di avere esagerato. Ora il deputato La Porta in due fatti che narrò disse appunto di odii di famiglie. La prima volta quando lesse la lettera del Perrone Paladini: poiché questi per provare che non si dovevano prendere misure rigorose a mezzo delle truppe, scriveva che era cosa grave prendere misure siffatte, viste le molte inimicizie che erano nell’isola. La seconda volta, quando venne a parlare dell’affare del generale Serpi, disse che questi si era intromesso per far la pace fra due famiglie.

Quanto all’affare del capitano dei carabinieri che scrisse quella tal lettera ad un procuratore del Re, io vedo che un processo era stato avviato contro ad un carabiniere che per isbaglio aveva ucciso un innocente; io vedo poi un secondo fatto molto grave, ed è che questo procuratore aveva incominciato un processo contro un carabiniere; in questo io vedo due fatti: io non vedo tanto la lettera del capitano dove scusa il soldato carabiniere che per isbaglio avendo ucciso un individuo fu posto sotto processo, vedo un altro fatto, ed è che un procuratore del Re ricevendo una lettera simile da un ufficiale dei carabinieri, invece di deferirla al procuratore generale suo superiore, o di mandarla al Ministero, o di respingerla con isdegno a quel capitano, egli la manda al suo protettore. Ora io dico che quel procuratore del Re è indegno del suo posto. (Benissimo! al centro)

LA PORTA. Domando la parola per un fatto personale.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Io non parlerò a lungo dell’affare del generale Serpi, che fu accusato di essersi intromesso nelle famiglie, di aver fatto sequestrare ragazze, e di aver imposto matrimoni.

Il generale Serpi, sapendo che in Favarotta vi erano due famiglie nemiche, s’intromise per indurle ad una pacificazione. Quando vide che non poteva riuscire, desistette. Qualche tempo dopo una colonna in truppe fu spedita per arrestare renitenti e malfattori di quel paese. Il colonnello che la comandava fece tradurre in una camera le mogli di quattro o cinque sospetti malfattori che erano fuggiti, e le tenne in arresto per tre o quattro ore, dopo le pose in libertà; ma l’ultima a lasciar libera fu la madre della ragazza, che doveva sposare quel tale per mettere in pace le due famiglie. Il colonnello parlò per un quarto d’ora con quella donna, onde indurla a quel matrimonio, e non procedé più oltre.

Ma una osservazione di maggior rilievo, che serve di risposta al deputato La Porta, al deputato Mordini, al deputato Cordova ed a tutti i deputati che hanno tacciato il Ministero d’illegalità, è questa.

Le operazioni dirette contro ai renitenti ed ai malfattori cominciarono in sui primi giorni di luglio, e verso la fine di quel mese le truppe erano nei dintorni di Girgenti. A quell’epoca, lo disse l’onorevole La Porta, gli giungevano telegrammi onde si adoperasse perché fosse tolto un cordone o si lasciase passare un individuo, o fossero concesse altre facilità. Il deputato La Porta che cosa faceva di questi telegrammi? Li portava al ministro dell’interno o al presidente del Consiglio.

Ebbene, io dico che il deputato La Porta, che ci accusa d’illegalità, ha mancato al suo dovere. (Mormorio a sinistra) Egli invece di presentare quei telegrammi ai ministri, li doveva portare qui alla Camera. La Camera sedeva allora; egli doveva riferirle le prepotenze militari, e provocare dalla medesima una deliberazione.

LA PORTA. Ho domandato la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. L’avrà.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Ma così non fece né l’onorevole La Porta, né alcun altro deputato siciliano; ed io credo che questo non abbiano fatto, perché vedevano benissimo che quelle misure erano buone per la Sicilia, erano le sole che valessero a purgare l’isola dai mali che l’affliggevano, sicché lasciarono fare, e quando tutto fu finito, vennero in Parlamento a muovere censura.

Vengo ora al deputato Mordini.

(Molti deputati sono in piedi nella sala).

PRESIDENTE. Prego i signori deputati di recarsi al loro posto.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Il deputato Mordini...

PRESIDENTE. (Con forza) Prego nuovamente i deputati che sono nell’emiciclo di recarsi al loro posto. Questo sistema turba l’ordine, la mente di chi parla, l’opera della stenografia.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Il deputato Mordini in sull’esordire del suo discorso disse che non ho dato prova di essere un uomo politico, disse che ho offeso la Sicilia.

Debbo far osservare alla Camera che da un pezzo io conosceva i mali che affliggevano la Sicilia. Ciò è tanto vero che in sul finire di luglio ho presentato al Senato un disegno di legge sui renitenti, e lo presentai a questa Camera in principio di agosto. Questo disegno di legge fu votato, ma senza che palesassi punto i mali che affliggevano la Sicilia, perché non era allora certo di ottenere i risultati che speravo.

Il senatore Natoli forse voleva in Senato spingermi a dire qualche cosa; ma risposi che non conosceva il numero dei renitenti. Però dopo terminate le operazioni militari e veduto che quattro provincie di Sicilia erano state, liberate da 4000 disertori e renitenti, e da 1500 malfattori, credei di poter dire tutta la verità, essendo ora quelle provincie libere da quei mali.

Io ritengo adunque che la Sicilia mi debba essere riconoscente, e che non si possa dire che l’ho offesa.

Il deputato Mordini mi fece pure l’appunto d’avere introdotto la leva in Sicilia senza bastanti cautele.

Questo appunto mi sorprende assai. Fra gli atti della dittatura in Sicilia trovo che il secondo decreto, emanato il 14 maggio, riflette appunto la leva in Sicilia.

In quel decreto il dittatore Garibaldi stabilisce che tutti i giovani dai 17 ai 50 anni debbono armarsi; quelli dai 17 ai 30 debbono formare l’esercito attivo ed essere sotto gli ordini del generale in capo; quelli dai 30 a 40 devono formare le truppe che hanno da munire i distretti di Sicilia, i quali equivalgono ai nostri circondari; quelli dai 40 ai 50 devono guardare i comuni.

Quando lessi questo decreto, io pensai che probabilmente non era una legge di leva; ma, andando avanti, io vidi che a quel decreto succedeva un’ordinanza del segretario di Stato per la guerra, Orsini, la quale stabiliva che col 15 giugno gli allistamenti della prima categoria fossero finiti; che pel 18 si dovesse fare un’estrazione ragguagliata al due per cento della popolazione, e per il 25 fossero radunati a Catania e Palermo gli estratti a sorte.

Credeva ancora che quella fosse una disposizione provvisoria per quel tempo, ma ho trovato delle istruzioni che parlano del modo da seguire per la formazione delle liste negli anni avvenire; quindi se dobbiamo dire la verità, la leva non siamo noi che l’abbiamo introdotta in Sicilia, ma è il Governo dittatoriale, od introdotta in allora in modo che ad una popolazione di 2 milioni e 300,000 abitanti la leva chiedeva 46,000 uomini.

Una cosa poi che mi sorprese nel signor Mordini si fu il deplorare come noi andassimo troppo in fretta nell’unificare la Sicilia.

Io credo che tutti gli Italiani debbano avere molta riconoscenza al signor Mordini e particolarmente al signor Depretis che lo precedette nella dittatura per l’assimilazione che tentarono di far con molta rapidità della Sicilia colle altre provincie d’Italia.

Io potrei leggere un gran numero di titoli di leggi e di decreti che introducono in Sicilia le stesse leggi esistenti nelle altre parti d’Italia, e fra questa cito la legge sulla guardia nazionale.

Queste cose io le dico non certo per disapprovare quanto allora fu fatto, ma per mostrare la contraddizione nella quale è caduto l’onorevole Mordini.

Il signor Mordini disse ancora parlando del fatto di Petralia Soprana: «noi protestiamo contro quel fatto e contro l’operato del Governo.»

Io dico meglio, noi abbiamo eseguita la legge, l’abbiamo applicata, le proteste non servono. Io non so cosa avrei potuto fare di più che sottoporre quell’infelice al tribunale competente. E benché taluno opini che al fatto di Petralia Soprana non abbia tenuto dietro cosi pubblica e severa punizione quanto richiedeva la gravezza della colpa, io domando a voi quanti siete uomini legali se per un fatto qualunque si possa modificare la legge.

Ed appunto nel momento che ci si accasa di illegalità ci si propone di procedere illegalmente nell’applicare la giustizia. (Bene!)

Vengo ora alle osservazioni fatte dal deputato Cordova.

Io sono alquanto imbarazzato nel cominciare questo discorso: a me pareva in principio che il deputato Cordova per rialzare la Sicilia avesse forse voluto abbattere la parte settentrionale d’Italia! (Rumori a sinistra Voci a destra. Silenzio! si lasci parlare)

Dico a me pare; accertare non lo voglio.

Voci. No! no!

CORDOVA. Domando la parola per un fatto personale.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Ma quello che mi ha doluto molto di sentire dall’onorevole deputato Cordova sia come militare, sia come capo dell’esercito stesso, sono quelle sue parole che pel bene del paese vorrei mai avesse detto un deputato, che cioè la civiltà non possa stare coi militari, perché i militari sono in opposizione colla civiltà.

Voci a sinistra. No! non lo ha detto!

Voci a destra. Sì! lo ha detto! (Agitazione)

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Ho scritto le sue parole. Ha detto: «Che la civiltà è troppo civile per i militari. (Rumori)

MASSARI. Sì! ha detto questo.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. A questa sua osservazione io rispondo coll’appellarmi alla stessa Commissione parlamentare che andò nel Napoletano per l’inchiesta sul brigantaggio.

Io credo che gli elogi che essa ha fatto non solo sulle fatiche e sul disinteresse delle truppe, ma ben anche sulla intelligenza e sulla sagacità de’ suoi capi, valgano meglio delle accuse del deputato Cordova. (Bravo) Benissimo! — Rumori)

Del resto, io poi non so come il deputato Cordova potesse intendere di offendere l’esercito... (Richiami)

CORDOVA. Protesto, ne ho fatto l’elogio.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra... essendo questo formato da giovani sortenti dai migliori stabilimenti d’educazione. Ma poi nel caso speciale in cui siamo ora esso è composto delle migliori, delle più elette giovani intelligenze di tutta Italia.

CORDOVA. Ho lodato queste intelligenze speciali. Il ministro mi ha male inteso.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. La guerra di Lombardia, la guerra del 1860 introdussero nell’esercito un elemento giovane ed eletto. (Rumori in vario senso)

PRESIDENTE. Prego di lasciare a tutti la libertà della parola.

CRISPI. Il signor ministro non ha capito l’idea del Cordova.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Ma dirò di più. Sinora ho parlato della parte elevata dell’esercito, ho detto come è colta in questo momento la classe degli ufficiali; ora dirò che l’esercito civilizza i Siciliani. I Siciliani che sono nell’esercito imparano, seguono le scuole, divengono capaci dei gradi superiori (Bene!), e quando ritorneranno in Sicilia, i Siciliani saranno fortunati di averli avuti nell’esercito. (Bene)Rumori a sinistra)

Una voce. Sì, signori, è verissimo.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Ma quello che mi è sembrato strano gli è che l’onorevole Cordova ha fatto il rimprovero di illegalità, e nel rimproverare d’illegalità le misure prese dal ministro della guerra disse: «Voi avete dolorosamente colpito la popolazione siciliana; i Siciliani hanno questo di particolare, che capiscono benissimo dove siete legali e dove siete illegali, e quando sortite dalla legalità ne sono offesi.» Ebbene, io prendo a giudice la popolazione siciliana che propone il signor Cordova, e presento qui alla Camera due fatti giudicati da quella popolazione in ben diverso modo.

Uno di questi fatti è quello stesso che ha suscitato questa discussione, cioè l’arresto di 4000 renitenti e di 1500 malfattori con misure che l’onorevole Cordova ed altri dicono illegali. Ebbene, il popolo siciliano come ha giudicato? E stato tranquillo; ha fatto indirizzi di lode, ed abbiamo arrestato, si dice, illegalmente 5500 persone.

Ora per contrapposto cito un fatto dell’arresto di tre persone solamente.

Io prego il signor Cordova, seduto da quel lato della Camera, di guardare al signor Crispi che trovasi al lato opposto. Egli deve ricordarsi che essendo al potere in Sicilia in sul finire del 1860 volle far arrestare illegalmente il signor Crispi e due o tre altri. Mi smentisca l’onorevole Crispi se non è così.

Ebbene, i due o tre disgraziati furono arrestati, ma il signor Crispi pare sia stato più destro, scappò, andò ad un balcone di dove parlò al popolo siciliano, ed il popolo siciliano si commosse, e si commosse siffattamente che due o tre giorni dopo l’onorevole Cordova dovette scendere dal Ministero. (Risa a destra. — Rumori a sinistra)

Io non voglio entrare in altre osservazioni; la Camera comprenderà come io sia stanco, e d’altra parte io credo che questa discussione debba oramai essere finita. Quindi dichiaro che io respingo assolutamente le condizioni che ci ha fatto il deputato Cordova, e che mai non le potrei accettare.

CORDOVA. Domando la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. Hanno chiesto la parola per un fatto personale i deputati La Porta, Mordini, Cordova.

Io mi affido al loro senno che essi si atterranno al fatto personale, e che non confonderanno con questo le opinioni e gli apprezzamenti che hanno manifestato.

CORDOVA. Se l’onorevole La Porta fosse tanto cortese da cedermi... (Rumori continuati)

PRESIDENTE. La prego; prima la parola spetta al deputato La Porta

CORDOVA. Vorrei solamente... (Nuove interruzioni)

PRESIDENTE. La legalità vuole che l’abbia dopo. (Bravo!Applausi)

Avverto che sono vietati i segni di approvazione e di disapprovazione.

MICELI. Il deputato La Porta la cede al deputato Cordova. (Nuovi rumori) PRESIDENTE. Vi rinunzia?

LA PORTA. Non vi rinunzio, né la cedo; attendo solo un po’ di calma dalla Camera per parlare.

PRESIDENTE. Prego i signori deputati a volersi recare ai loro stalli.

Parli dunque il deputato La Porta per un fatto personale.

LA PORTA. Il signor ministro Della Rovere, continuando il suo specioso metodo di difesa entro questa Camera, si piacque rispondere a fatti ed a parole che io l’altro ieri qui pronunziai con parole e con un tuono che io, pel rispetto dovuto alla dignità della Camera, mi guarderò bene di seguire.

Egli disse (e questo è il meno) che tutti coloro i quali a lui risposero sono colpevoli di contraddizione. Ed io mi guarderò bene di restituirgli questa qualità, sebbene potrei provare che essa non mi appartiene. Ma d’altronde sarei ingiusto, se gliela rimandassi all’onorevole ministro, poiché egli in verità non si è contraddetto mai, non avendo mai negata l’illegalità delle misure adottate, avendo egli sempre portato per difesa il suo risentimento alle censure ricevute.

Io mi restringo, o signori, alla  questione personale, nel fatto del capitano dei carabinieri, nel quale fui chiamato come protettore del procuratore del Re «che meritava di essere destituito, perché diede a me quella lettera.»

Sono le parole, se non isbaglio, che disse il signor i ministro.

DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Non è in quel senso.

LA PORTA. Io non dirò che per questa lettera meriti di essere destituito invece il capitano dei carabinieri, anzi ho il dovere di dichiarare che esso è uno dei migliori che vi siano in Sicilia. Nel leggere quella lettera io intendeva dimostrare che se qualche reato è da deplorarsi contro i carabinieri in Sicilia, ciò devesi derivare da che alle volte i carabinieri commettono anche essi dei reati, ed hanno sempre l’impunità; questa impunità produce reazione.

Era in questo senso che io lessi quella lettera.

Ma il procuratore del Re merita d’essere destituito? Io credo che poco c’è da fare in questo, poiché quel procuratore del Re trovasi già in disponibilità.

Prima che il signor ministro Della Rovere avesse pronunziato le cennate parole quel procuratore del Re era stato punito; ma punito perché consegnò questa lettera? No; punito forse perché non volle ottemperare alla modesta insinuazione del capitano dei carabinieri. Poi mi si disse ch’io sono il protettore di quel procuratore del Re? (Rumori)

PRESIDENTE. Continui l’oratore, ma si attenga al fatto personale.

LA PORTA. Questa parola io la respingo. Io mi onoro di essere protettore della giustizia e della legalità.

Io ritengo che il ministro di giustizia non l’ha messo in disponibilità per questo fatto, perché lealmente dichiarò che egli forse non lo conosceva: ma le ragioni che arrivarono sino a lui e ve lo determinarono, possono, ed io non ne dubito, possono essere originate da questi fatti, dei quali recai le prove.

In conseguenza, se ho mancato e se in questi fatti io sono protettore, io ho protetto solamente la giustizia e la legalità, ne lascio giudice la Camera; il ministro della guerra abbia l'opinione che vuole, la Camera giudicherà. (A sinistra: Bene! Bravo!)

Il signor ministro Della Rovere mi fece un altro appunto; parlò di un’altra contraddizione.

Egli disse: ma come si viene qui a rimproverarci di illegalità, quando il deputato La Porta che parlava di un telegramma avuto dal sindaco di Favara, venne a presentarlo al ministro dell’interno e al presidente del Consiglio, mentre egli era alla Camera che doveva presentarlo? In conseguenza di ciò il deputato La Porta ha mancato al suo dovere.

Il signor ministro mi permetta di fargli osservare che questo tuono e questa qualifica di avere mancato al mio dovere di deputato l’aspetto piuttosto dalla Camera anzi che da lui.

Io ho coscienza di avere fatto il mio dovere quando consegnai quel telegramma al presidente del Consiglio, che rappresenta tutto il Gabinetto, quando lo consegnai al ministro dell’interno, il quale direttamente dovrebb’essere custode e tutelatone della libertà dei municipi, ed era in questa Camera, e lo presentai su quei banchi e il signor presidente del Consiglio, con una lealtà che l’onora, assunse impegno di provvedere e riparare.

Se ho mancato in qualche cosa è d’aver prestato fede al presidente del Consiglio (Si ride), al presidente di quel Gabinetto al quale appartiene il signor ministro Della Rovere.

Più non aggiungo.

PRESIDENTE. Il deputato Mordini ha la parola per un fatto personale.

MORDINI. Io rifuggo dalle questioni personali. Quando non sia strettamente necessario ad un deputato di rispondere sopra questione che lo investa personalmente, ritengo che il decoro della Camera e il rispetto alla rappresentanza nazionale comandino piuttosto il silenzio che non la parola.

Io comprendo l’emozione dell’onorevole ministro per la guerra, comprendo la sua vivacità nelle risposte al mio discorso; ma non trovo in questo materia per farvi su una discussione, solo mi permetto di enunciare la seguente osservazione: laddove egli dice che io sono in contraddizione perché rimprovero il Governo di aver voluto troppo violentemente unificare la Sicilia, mentre io stesso ho seguito questo sistema nel secondo periodo della dittatura, rispondo che due sole leggi sarde pubblicai in Sicilia: la legge sulla guardia nazionale, e la legge sulla pubblica istruzione; leggi per altro non pubblicate intiere, ma con quelle modificazioni che reputai necessarie e conformi allo stato dell’isola in quei giorni.

PRESIDENTE. Il deputato Cordova ha la parola per un fatto personale. (Movimento d’attenzione)

CORDOVA. Io debbo anzitutto giustificarmi con lei, signor Presidente.

Senza i rumori che si facevano nella Camera, ella non mi avrebbe lanciato quel tratto del suo spirito così vivace e grazioso, che bisogna che anch’io stia nella legalità.

Io pregava il signor presidente a voler domandare agli onorevoli Mordini e La Porta se per avventura volessero cedermi la precedenza nella parola; cortesia questa che, se fosse la mia preghiera giunta al loro orecchio, avrei potuto sperare di vedermi usata, perché era stato io particolarmente attaccato nelle risposte dall’onorevole ministro per la guerra.

PRESIDENTE. Se vuole, deploreremo i rumori che hanno impedito a vicenda d’intenderci. (Ilarità)

CORDOVA. Vengo ora all’onorevole ministro Della Rovere. Egli ha voluto trovare nel mio discorso delle allusioni e tal senso che se mai ci fosse stato, certamente non avrebbe riscosso il compatimento della Camera, ma sarei stato grandemente oppresso dalla sua disapprovazione. Se mai io avessi pronunciato tale parola che potesse essere meno che decorosa per le provincie subalpine, la Camera mi avrebbe certamente disapprovato, perciò io me ne appello francamente al suo giudizio. Del resto la Camera conosce bene che sono sempre stato accusato di piemontesismo.

Voci. È vero.

CORDOVA. Tutti sanno che è questa un’accusa che mi è stata fatta, che anzi fu questo un motivo, in certe circostanze, di esclusione politica, quindi tal senso non si poteva mai ammettere nelle mie parole, e me ne appello, ripeto, alla testimonianza della Camera.

Dopo aver procurato nella sua risposta di rendermi sgradito, di attirarmi sopra la disapprovazione delle provincie subalpine, il signor ministro ha procurato di attirare sopra di me anche quella dell’esercito. Anche qui ripeto, che se io avessi detto parola in conto alcuno offensiva per l’esercito che altamente onoro, questa Camera mi avrebbe schiacciato colla sua immediata disapprovazione. (Bene 1)

Quando io pronunciai una parola che si riferiva unicamente alla differenza tra gli studi civili e militari, la maniera forse meno felice con cui fu presentata quest’idea destò già un susurro di disapprovazione; ed io mi affrettai, tutta la Camera può farne fede, a dichiarare che in fatto di civiltà di modi i militari erano maestri a tutto il mondo. Io aveva quindi dato una spiegazione che avrebbe dovuto essere sufficiente, se il signor ministro non avesse voluto trovarvi dei motivi di risentimento contro di me.

Ma v’ha di più; il signor ministro, dopo di aver evocato sopra di me gli odii delle provincie subalpine e gli odii dell’esercito, se mai queste onorate provincie e quello splendido corpo fossero capaci di simili passioni (Bravo! Benissimo!), ha cercato di attirare su di me persino i risentimenti dell’onorevole Crispi; ha cercato di provocare le reminiscenze di una crisi politica, per la quale io doveva lasciare il posto di consigliere di luogotenenza in Sicilia.

A questo riguardo io rispondo che il deputato Crispi è abbastanza uomo politico per sapere quello che certe circostanze esigono, e per dimenticare quello che conviene dimenticare quando si tratta del bene di tutta Italia. (BeneApplausi a sinistra) Egli me n’ha dato prova stendendomi cordialmente la mano. In conseguenza io credo, che per questa parte le parole dell’onorevole ministro della guerra non produrranno nessun effetto. (Benissimo!)

L’onorevole ministro Della Rovere prima di lanciare un’accusa, se non voleva che fosse tacciata di temeraria, avrebbe dovuto esser sicuro di ciò che si passò nel Consiglio del luogotenente Montezemolo quando fu emesso quell’atto cui egli allude. I fatti di quel Consiglio, come segreti e come incapaci di poter trovare qui una legittima contraddizione, se io mi scostassi in alcun punto dal vero, per amore a certe sacre memorie, io non debbo ricordarli. (Bravoì)

Finalmente, o signori, si è parlato della crisi la quale mi costrinse a lasciare il portafoglio.

Qual meraviglia che si sia verificata questa crisi pochi giorni dopo l’accettazione del plebiscito ed in momenti in cui le passioni erano così accese? Ma io me ne appello alla memoria del deputato Crispi, io me ne appello alla memoria dello stesso signor Raffaele, redattore in capo di un giornale politico in Palermo, che in quell’epoca fu arrestato; io me ne appello alla memoria del barone Parisi, ed essi diranno che se io avessi voluto essere meno tenace a certi rapporti, a certi impegni, certamente non poteva essere scopo di quella crisi, che non era diretta contro di me.

A questi fatti accenno da lontano, perché non è più il caso di ricordarli, e nulla del resto provano nella presente questione.

Il generale Brignone che si è trovato presente a questa crisi sa bene anch’egli come nella discussione che nel Consiglio del luogotenente generale marchese di Montezemolo fu provocata per la crisi stessa, io fui sempre opposto al partito della resistenza. Io feci soggiacere qualunque mio personale interesse al bisogno, alla grande necessità di porre sicuramente e senza spargere una stilla di sangue il vessillo di Savoia ed il regno italiano nella Sicilia. Io dissi che non si doveva in conto alcuno incominciare un regno con una lotta nella pubblica strada, e che in conseguenza conveniva cedere.

Di questo mi possono essere testimoni persone che erano presenti in quella notte alla discussione che si tenne nel Consiglio della luogotenenza, e precisamente l’onorevole generale Brignone e l’onorevole barone Pisani, i quali siedono in questa Camera.

BRIGNONE. Domando la parola per un fatto personale.

CORDOVA. Dopo queste semplici spiegazioni dirò che non credo che abbia fatto bene l’onorevole ministro Della Rovere a voler provocare contro me l’indignazione delle provincie subalpine, quella dell’esercito ed altre indegnazioni, evocando reminiscenze che potevano essere dispiacevoli. Io non ho bisogno di ricorrere al giudizio della Camera per questa parte, fo appello a quelli degli stessi colleghi che seggono accanto all’onorevole Della Rovere. Scendano nella loro coscienza e vedano se da quel banco era opportuno che partissero parole che non suonano conciliazione. (Bene! dai banchi della sinistra)

BRIGNONE. Signori, io mi credo in dovere di osservare, rispetto alle parole testé pronunziate a mio riguardo dall’onorevole Cordova, che in Sicilia in quell’epoca io, qual comandante militare dell’isola, non faceva parte del Consiglio di luogotenenza, e che quando si prese la risoluzione di ordinare l’arresto del signor Crispi e di altri, io non solo non era presente, ma lo ignorava affatto, e lo seppi solo nella notte successiva in cui il signor Crispi era riuscito di non lasciarsi arrestare.

In quella notte il luogotenente stesso mi onorò di chiamarmi presso di lui, ma io fui affatto estraneo a quel fatto e non conosceva l’ordine d’arresto, né i motivi che l’avevano provocato.

CORDOVA. Domando la parola per un fatto personale. (Rumori)

Voci. No! no!

Altre voci. Parli! parli!

PRESIDENTE. Si limiti al fatto personale.

CORDOVA. Io non ho invocato la testimonianza dell’onorevole Brignone intorno ai fatti che si riferiscono all’arresto dell’onorevole Crispi. È verissimo ciò che egli dice, che non faceva parte del Consiglio di luogotenenza, e che non fu presente alla deliberazione che si riferisce a questa faccenda; io ho invocato la sua testimonianza relativamente a quell’altra notte in cui gli uffiziali della guardia nazionale venivano a riferire le manifestazioni che si facevano contro il potere costituito iu quell’epoca.

Il generale Brignone può ricordare, e mi pare che ne ha fatto testimonianza (lo ringrazio dei suoi cenni affermativi) che io non fui mai del parere di fare resistenza alle manifestazioni che si preparavano contro il Consiglio di luogotenenza.

PRESIDENTE. Debbo annunziare più cose alla Camera.

La prima è un ordine del giorno del tenore seguente: «La Camera approva l’operato del Ministero, e passa all’ordine del giorno.»

Esso è firmato dagli onorevoli BonCompagni, Chiavarina, Scrugli, Lacaita, Guerrieri, Betti, Massari, Pinzi.

Gli onorevoli Scrugli e Finzi hanno ritirato i loro ordini del giorno, perché, come la Camera ha inteso, essi hanno firmato quello di cui testé ho dato lettura.

Dirò in secondo luogo che fu presentato un ordine del giorno dall’onorevole Boggio del tenore seguente:

«Considerando che le condizioni eccezionali di alcune provincie del regno resero necessari rimedi straordinari;

«Considerando che già è deferito ai tribunali il giudizio intorno a quegli agenti che sono in sospetto di aver ecceduto;

«La Camera esprime la convinzione che il Ministero continuerà a vegliare a che si concilii il rispetto della legalità colla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica in Sicilia, e passa all’ordine del giorno.»

Dirò in terzo luogo che fu domandata la chiusura da dieci deputati.

La loro domanda è cosi espressa:

«I sottoscritti, ritenendo che la Camera sia abbastanza illuminata dalla discussione, ne domandano la chiusura.»

Sono firmati: Giorgini, Morelli, Chiavarina, Jacini, Sanseverino, Conti, Moretti, Marescotti, Ercole, Bracci, Grossi.

Essendo la chiusura domandata da dieci deputati, la pongo ai voti....

BIXIO. Domando la parola contro la chiusura.

PRESIDENTE. Credo di dover anzitutto dichiarare che conformemente agli antecedenti della Camera, ove la discussione venisse chiusa, vorrebb’essere riservata la parola all’interpellante e agli onorevoli deputati che hanno presentato ordini del giorno. (Movimenti in senso diverso)

Questo è negli usi della Camera.

Se la Camera ha nulla in contrario a questa proposta, io pongo ai voti la chiusura della discussione...

BIXIO. Chiedo di parlare contro la chiusura,

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

BIXIO. Dopo le considerazioni esposte dall’onorevole presidente, io voterò la chiusura. Osservo però che se mi sarà concesso di parlare io intendo di svolgere il mio ordine del giorno a mio modo, perché voglio rispondere agli argomenti esposti dall’onorevole interpellante. Insomma io intendo prendermi corpo a corpo coll’onorevole interpellante. (Ilarità)

PRESIDENTE. Veramente mi pare che nel caso presente sarebbe impossibile segnare un limite al modo con cui ciascun deputato svolgerà il suo ordine del giorno.

Io dunque con quella riserva che ho annunciata pongo ai voti la chiusura della discussione generale.

(La discussione generale è chiusa).

Il deputato D’Ondes-Reggio ha facoltà di parlare.

MINGHETTI, presidente del Consiglio. Domando la parola.

Dopo che gli onorevoli proponenti gli ordini del giorno li avranno sviluppati (spero con quella brevità che la lunga discussione richiede), mi riservo di dire quale è l’ordine del giorno che il Ministero accetta.

PETRUCCELLI. Domando la parola per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Il deputato Petruccelli ha facoltà di parlare per una mozione d’ordine che si riferisce al ministro per gli affari esteri.

PETRUCCELLI. La Camera si ricorda che ha rimandato l’interpellanza dell’onorevole Miceli in rapporto agli affari stranieri al momento in cui sarà discusso il bilancio. Se io fossi stato ministro per gli affari stranieri avrei rimandato all’anno nuovo quel sindacato, perciocché la fisionomia della situazione europea non è abbastanza chiara per poter rispondere categoricamente come si conviene alla dignità della Camera; ma poiché l’onorevole ministro ha accettato, io credo che sarebbe stato più opportuno di trattarle distintamente. Ma neppure questo è piaciuto al presidente del Consiglio che ama le discussioni miste, e le ha rimandate al momento del bilancio. Per conseguenza onde noi possiamo avere un punto di partenza ben fisso e più lucido che il vago in cui ci vediamo in questo momento, pregherei il signor ministro per gli affari esteri a voler presentare alla Camera i documenti che hanno rapporto alle nostre relazioni estere in questi ultimi tempi.

MINGHETTI, presidente del Consiglio. L’onorevole deputato Petruccelli non si trovò presente allorquando io chiesi alla Camera di non accettare le interpellanze, e però non mi fa meraviglia ch’egli non conosca precisamente il tenore della mia dichiarazione.

Pregai la Camera di non accettare, le interpellanze per molte ragioni che ora non ripeterò. Infine aggiunsi che, rispetto agli affari esteri, quando sarebbe venuto in discussione il bilancio passivo di questo Ministero, l’occasione sarebbe stata opportuna per coloro che volessero ragionare. Aggiunsi ancora che l’approvazione del bilancio attivo inchiudendo sempre una manifestazione della fiducia della Camera, non era possibile evitare che, da chi lo volesse, si dicessero parole sovra qualunque materia.

Non ho quindi accettato punto le interpellanze; solo non ho negato quel ch’io non poteva negare, il diritto cioè che, in occasione del bilancio, e più specialmente, secondo me, nella discussione del bilancio passivo del Ministero degli affari esteri, che particolarmente ha attinenza a tali materie, ciascun deputato facesse quello osservazioni che credeva del caso.

PETRUCCELLI. Domando la presentazione dei documenti.

MINGHETTI, presidente del Consiglio. Quanto alla pubblicazione dei documenti, mi permetto di pregare l’onorevole Petruccelli e la Camera a voler per ora soprassedere da tale domanda. Altra volta avrò l’onore di indicare se il Governo potrà, ed in quale misura, deporre i documenti dei quali si tratta.

PRESIDENTE. Il deputato D’Ondes-Reggio ha facoltà di parlare.

D’ONDES-REGGIO. Veramente dopo una così lunga discussione amerei d’essere assai breve, e cercherò di esserlo. Maggiormente lo sarei se il ministro dell’interno nel suo discorso non si fosse piaciuto di sollevare certe questioni che a mio avviso non avevano che fare colla materia.

Fra queste questioni mi pare che vi sia pur quella che il deputato D’Ondes-Reggio intorno allo spirito delle popolazioni di Sicilia parlava di un tempo quale non è il presente, ma del 1848 quando in Sicilia non si vagheggiava che l’idea di federazione.

Mi permetta il signor ministro che io gli dica ch'egli è caduto in grave errore; una volta che il popolo siciliano ha votato il plebiscito io non poteva parlare delle idee del tempo precedente. Dopo che esso ebbe votato il plebiscito io ho voluto e voglio l’unità d’Italia, ho giurato lo Statuto, e ciò basta.

Ma io voglio, o signori, quell’ordinamento dell’Italia che non è gran tempo volevano l’onorevole Peruzzi, l’onorevole Minghetti e l’onorevole Amari, il quale scrisse gran parte della deliberazione del Consiglio di Stato, con cui si stabilì che l’amministrazione locale indipendente era necessaria alla Sicilia.

Eglino hanno mutato le loro idee, io sto fermo nelle, mie dottrine, perché sono frutto di lunghe riflessioni e di convinzioni profonde.

Quanto poi all’equivoco che l’onorevole Peruzzi diceva avere io preso asserendo che egli non replicò alle risposte del senatore Pareto nelle questioni sulle Giunte, assevero e provo che l’equivoco è il suo: egli non rispose, ecco qui il testo officiale della discussione. Dopo il Pareto parlarono Farina e Vacca, e poi si passò alla votazione. (L'oratore mostra il testo) Ma questo fatto è di niuna importanza.

Andiamo alla condanna di deportazione di Francesco Arena.

Veramente io ieri sono rimasto oltremodo sorpreso, quando il ministro dell’interno disse cosa, che io non sapeva, cioè che i due fratelli Arena erano stati prima dai tribunali ordinari dichiarati innocenti, e poi sottoposti alla Giunta, ed uno di loro, Francesco, condannato alla deportazione.

Io veramente non credeva senza questa manifestazione dell’onorevole ministro che i poteri delle Giunte fossero così eccessivi, che anche coloro i quali dal potere giudiziario sono già stati dichiarati innocenti, possano essere condannati dalla Giunta. (Interruzioni)

Non so se di tanto potere vi sia esempio nella storia. Io intanto posso dire che ho delle prove morali che l’infelice condannato è innocente.

Ho ricevuto appunto ieri sera per la posta due certificati, uno della Giunta comunale di Bagheria ed un altro dell’arciprete, che dichiarano che quell’uomo ha sempre tenuta ottima condotta, ed una fede di perquisizione netta di alcuna imputazione.

Rimetterò tali documenti al ministro dell’interno.

PERUZZI, ministro per l'interno. Me li favorisca; li esaminerò io stesso, e sottoporrò di nuovo alla Camera il dubbio.

D’ONDES-REGGIO. Il ministro dell’interno ha voluto anco rammentare la mia amministrazione come ministro dell’interno in Sicilia nel 1818. Si è piaciuto osservare che io ebbi grandi difficoltà per la pubblica sicurezza, e ne ebbi certamente, non avendo né truppa, né altra forza regolare.

Io credo di aver allora prestato qualche servizio al mio paese, ma lascio ciò da parte. La cosa che veramente mi fece meraviglia fu quando egli si chiedeva per quale motivo si perdè la rivoluzione siciliana; e gravemente rispondeva a sè stesso: per la mancanza della pubblica sicurezza.

Io veramente sperava che un ministro di Stato d’Italia avesse attribuito altra ragione alla caduta della rivoluzione siciliana.

Ora io rispondo chiedendogli: perché cadde la rivoluzione di Napoli? Perché cadde la rivoluzione di Toscana? Perché cadde la rivoluzione d’Ungheria? Caddero tutte perché la reazione prevalse in tutta Europa, e la reazione prevalse perché tutta Europa si spaventò di Francia, Francia si spaventò di sé medesima; perché la Russia, sicura nel suo interno, spiegò le sue forze contro la rivoluzione; perché l’Inghilterra da vent’anni non ha più propositi generosi e fermi; perché avvenne il disastro di Novara in Piemonte; perché avvenne il disastro di maggio in Napoli; perché la spedizione delle truppe borboniche, che l’Inghilterra aveva promesso ai Siciliani che non si sarebbe mai fatta, si fece mancando ella alle promesse, perché Russia così volle.

Ecco, o signori, le cause per cui caddero tutte quelle rivoluzioni.

E pur nondimeno io penso che se mai il duca di Genova, eletto a Re, fosse venuto in Sicilia, forse la rivoluzione siciliana si sarebbe salvata.

Il signor ministro diceva quindi che per la legge di sicurezza pubblica della Sicilia aveva avuto meco delle conferenze, ed in alcune idee fummo d’accordo. Sì, e le mie idee furono le stesse che io nelle interpellanze sulla sicurezza pubblica di Sicilia aveva già in questa Assemblea manifestate, cioè, non proponeva io già misure straordinarie, non ho pronunziato mai in vita mia queste parole, e mai le pronunzierò; proponeva bensì di stabilire la pena del confino invece di quella della prigionia per i vagabondi e gli oziosi, perché la pena del confino da un canto è minore di quella della prigionia, c da un altro, attesa l’indole de’ miei concittadini, è più efficace; quindi io ben volentieri veniva a questo mutamento di pena; ma, io aggiungeva, deve la pena essere applicata dai giudici di circondario, come una volta si chiamavano, ed ora di mandamento, coi modi legali, con le prove, coi testimoni, con le difese.

Io voleva ritornare a questo procedimento a vece di quello dei tribunali di circondario, perché questo l’ho stimato sempre inopportuno tanto per la Sicilia quanto per Napoli; ed io mi sono opposto qui fortemente all’onorevole guardasigilli quando volle fare cotale innovazione in Sicilia ed in Napoli considerando, che sarebbe stata cagione di mancanza di giustizia. I fatti che sono seguiti hanno confermate le mie previsioni; e, se non erro, il ministro di grazia e giustizia, ora accomodandosi in certo modo alle mie opinioni, ha già ottenuto dal Senato la votazione di una legge che, fino a certo punto, fa ritornare la cognizione dei delitti e delle contravvenzioni ai giudici di mandamento e la toglie ai tribunali circondariali.

Ecco tutto quanto è passato tra me ed il ministro dell’interno. Ma poi egli si piacque di stabilire le Giunte, e però le mie idee e le sue in ciò differenziarono da capo a fondo.

Ma poi quella stessa legge presentata a questa Camera, come è noto, non venne in discussione, ed invece le Giunte si sono trovate nella legge del brigantaggio, di che ornai si è parlato abbastanza.

Ma andiamo alla mia proposta dell’inchiesta parlamentare. Io insisto a domandare la stessa non ostante ciò che si è detto in contrario, perché lo scopo per cui io voglio l’inchiesta è, affinché si possa aver sicurezza e per noi e per le popolazioni della Sicilia, se i fatti che si niegano sono veri, e se i fatti che non si possono negare sono delitti oppure no, e di ciò specialmente voglio dire.

I fatti più male famosi sono i tre uomini bruciati vivi a Petralia ed il sordomuto di Palermo tormentato col ferro e col fuoco. Ora se tali fatti sono innegabili, pure sembra si cominci a buccinare che i bruciati si bruciarono per caso da sè medesimi, ed il sordomuto per febbre algida ebbe la cura dei rivulsivi superficiali volanti, quindi non furono quelli atroci delitti.

Signori, io desidero di tutto cuore, e ho diritto di essere creduto, che il primo fatto fosse accidentale sventura, il secondo fosse veramente malattia, ma affermo che senza un’inchiesta parlamentare qualunque deliberazione vi sia in questo senso io non la credo, né la credono tutti i Siciliani. Perché sia accertata la verità e niuno dubbio rimanga, è necessaria l’inchiesta parlamentare.

In tre anni non c’è un esempio che un agente del Governo sia stato punito; come volete che noi possiamo aver fiducia ne’ procedimenti delle autorità governative o giudiziarie?

E qui pria di procedere oltre, io debbo dire che non posso comprendere come si parli di esercito in generale in questa questione: nel mio discorso non ho pronunziato questa parola, né certamente l’ho taciuta a caso. Niuno più di me apprezza e loda l’esercito; sono io che in questa Camera, quando una volta alcun generale o altro uffiziale si alzava come rappresentante dell’esercito, ho detto: che i rappresentanti dell'esercito eravamo noi tutti, poiché in Italia felicemente esercito e popolo sono la stessa cosa, che noi tutti altamente stimavamo l’esercito, perché come valoroso in guerra e sostegno dell’indipendenza nazionale, cosi in pace fedele al Re, allo. Statuto, alla Patria.

E per fermo, o signori, come mai si può attribuire all’esercito colpa se alcuni pochi soldati hanno commesso delitti? o come si può arrecare ingiuria all’esercito il chiedere che coloro che hanno commesso delitti sieno puniti? Io non voglio dire che ciò si faccia di mala fede, ma dire sì che chi così ragiona manca della logica umana. E che! Se alcuni deputati, o alcuni senatori o alcuni magistrati commettano reati sarà colpa di tutti? E chiedere che i colpevoli siano puniti sarà ingiuria che si reca a tutti? Eh! chi ragiona così non sarà di mala fede, ma mancherà della logica umana.

Ma lasciamo queste quistioni di fatto e parliamo della quistione di diritto.

Signori, io sono contrailo, come sempre ho detto, a tutte le misure o leggi eccezionali: per me sono scempio della verità o negazione della giustizia. Pur nondimeno poniamo per ipotesi che possa esservi necessità di leggi eccezionali: chi però debbe ordinarle?

L ministri o meglio i loro dipendenti?

Io veramente non comprendo come si possano mettere avanti proposizioni siffatte!

Signori, base fondamentale del nostro reggimento, anzi di qualunque che non sia dispotico, è la divisione de’ poteri. La facoltà di statuire delle leggi eccezionali, come ogni legge, è certamente della potestà legislativa, è presso di noi delle due Camere e del Re.

Se mai, signori ministri, credevate necessarie delle leggi eccezionali, come non chiederle al Parlamento?

A dir meglio non credeste necessaria una legge eccezionale per la leva, non credeste necessaria una legge eccezionale per il brigantaggio e non veniste a proporle al Parlamento, e non l’otteneste?

E come poi neanco avete voluto rispettare la legge eccezionale per la leva, e voi, e più i vostri dipendenti, avete preso arbitrio di praticare misure contro lo Statuto e le leggi, dichiarare lo stato d’assedio ovunque vi sia piaciuto in Sicilia?

Come, i vostri dipendenti si hanno arrogato potestà di potere legislativo e di potere giudiziario, ed unendovi insieme l’esercizio del loro potere che è l’esecutivo, perché appunto da voi dipendono? E ove mai fu visto cumulati insieme tutti e tre i poteri?

Sovente mi si è detto: voi siete avverso a tutte le leggi eccezionali, eppure anche in Inghilterra, esempio di libertà e legalità, sono stati tempi in cui leggi eccezionali si sono messe in pratica.

Senza dubbio ciò in Inghilterra si è fatto, ma veggiamo brevemente quali misuri eccezionali e da quale potestà si sono stabilite.

In Inghilterra non si conoscono che due misure eccezionali, quella della sospensione dell'Habeas corpus e l’altra chiamata Alien bill.

Habeas corpus. — E noto che quel palladio delle libertà inglesi sta scritto nella Magna Carta: niuno può essere arrestato ed imprigionato se non per legale giudizio dei suoi pari, e chiunque arrestato in flagranza ha dritto d’essere tosto condotto innanzi ad un giudice o altro ufficiale di giustizia per arrecare sue discolpe ed essere posto in libertà.

Primamente al 1774 Pitt credendo che si congiurava contro la persona ed il Governo del Re, che v’erano a ciò società segrete democratiche, che soffiavano in Inghilterra gl'influssi democratici di Francia, chiese la sospensione dell'Habeas corpus. Ebbe pure apparizione terribile di Fox, di Grey, di Sheridan; per onore dell’umanità, ovunque si trovano sempre de’ difensori della libertà degli uomini. Sheridan tra le altre cose diceva: il colpevole sarà preso, ma chi sicurerà la libertà agli innocenti? Infine l’ottenne. Ed il bill poi al 1798 fu rinnovato sino al 1800.

Ma sapete voi in che consisteva il bill. In potere arrestare sopra sospetti di tradimento un individuo, ma non mai in giudicalo sopra i sospetti. Quest’orribile misura oh! non ci sarebbe mai stato uomo inglese che l’avrebbe proposta.

Per fare passare l’atto i ministri avevano detto che assumevano su di loro la responsabilità di ogni negligenza ed abuso che per avventura avrebbero potuto commettere.

Prima di cessare la sospensione dell'Habeas corpus o ministri chiesero un altro bill d’indennità per le negligenze ed abusi che per avventura avessero commesso. Ciò fu impugnato violentemente.

Passò il bill sulla considerazione che i ministri ed i loro agenti sarebbero stati inabili a difendersi senza svelare secreti pericolosi alla vita di vari individui ed allo Stato; sulla considerazione che stava bene gettare un velo sul tempo nefasto in cui la libertà dei cittadini inglesi era stata oltraggiata. Al 1817 fra le misure prese da lord Sidmouth vi fu la domanda della sospensione dell''Habeas corpus sempre per le persone sospette di alto tradimento.

Quindi chiesero di nuovo il bill d’indennità per le negligenze ed abusi. Tutti gli arrestati non erano stati che 96. Opposizione fiera, petizioni da ogni parte contro, si gridava agli abusi, pure il Ministero mostrava che dei 96 niuno era stato arrestato se non sopra informazione d'alcuno giurata; ed il procuratore generale diceva che sull’informazione d’un solo niuno era stato in carcere più di un’ora, ed allora soltanto vi era rimasto quando l’informazione veniva corroborata da altro testimonio indubitato.

Alien bill. — Dal regno di Elisabetta sino al 1793 la Corona non aveva mai esercitato quella facoltà, ed al 1793 si pensò che non si potesse avere che per legge. Il Governo si fece a chiederlo perché secondo lui i Francesi democratici si recavano in Inghilterra ad attentare alla vita del Re e alla distruzione del Governo!

Si ottenne senza molta opposizione per un anno; consisteva in potere il Governo esaminare se i forestieri, venendo, avessero armi o munizioni ed il passaporto, ed in potere confinare in un dato luogo i sospetti ed anco espellerli.

Fu rinnovato di anno in anno, ed in alcuni anni con minore rigore. Finì colla pace al 1816.

Al 1818 fu rinnovato con molta opposizione, fu esercitato in casi rarissimi.

Al 1848 si concedette potere di mandar via degli stranieri pericolosi alla pace del paese, ma non fu praticato.

Signori, si trattava di ribellione; eppure a chi veniva in mente che lo facesse un ministro! A chi agenti inferiori! Così un paese è grande ed è potente.

Or vi siete voi almeno confinati ad arrestare ed incarcerare degl’individui sospetti di reato di renitenza e complicità alla leva, o di altro qualunque reato? Siete forse poscia venuti a chiedere un atto d’indennità per tale arbitrio? Niente affatto. Voi, o meglio i vostri dipendenti, avete arrestato, carcerato, dichiarato stato di assedio, levata l’acqua ai comuni, commessi atti di tortura, ogni legge avete violata; ma su di ciò abbastanza si è detto.

Io, signori, dovrei dire molte altre cose, però le metto da parte perché vedo che la Camera ornai di questa discussione è stanca. Ma d’una cosa non posso far ameno, di una domanda ai signori ministri, da cui mi aspetto una risposta categorica: intendete voi oppur no in appresso di seguitare le stesse misure che avete già praticato in Sicilia, sì o no? Questa è una risposta certamente indispensabile.

Dopo che i ministri avranno dato questa risposta, vedremo se ci sarà luogo a dire qualche altra cosa (RumoriOh! ohi), oppure se la Camera intenderà votare. Ma intanto essa deve votare dopo cotale risposta categorica dei ministri, la quale è necessaria che sappiano la Sicilia e tutta l’Italia.

MINGHETTI, presidente del Consiglio. La daremo.

PRESIDENTE. Ora l’onorevole Bixio ha la parola per isvolgere il suo ordine del giorno.

Ne darò lettura:

«La Camera, udite le dichiarazioni del Ministero, e considerato che è primo e supremo bisogno dello Stato mantenere l’esercito in quella forza che le leggi prescrivono e l’onore d’Italia comanda; considerato che ognuna delle provincie ha debito di contribuirvi nelle proporzioni dalle stesse leggi determinate; considerato che la sicurezza pubblica gravemente compromessa in Sicilia tanto dai renitenti alla leva che dai malfattori doveva essere energicamente tutelata, passa all’ordine del giorno.»

Voci. A domani! a domani! No! Parli! parli!

PRESIDENTE. Ha la parola. La Camera lo invita a parlare.

BIXIO. Prima di rispondere all’onorevole D’Ondes-Reggio sento il bisogno di dire qualche cosa all’onorevole Cordova. Egli con una eloquenza straripante ci ha innalzato a considerazioni che mi paiono assai migliori di quelle che venivano fuori nei giorni passati, delle rivelazioni che si misero innanzi da questi banchi, e segnatamente dall’onorevole deputato D’Ondes-Reggio.

Ma l’onorevole Cordova ha voluto provare che la Sicilia non è in quelle condizioni speciali per cui fosse necessario al Governo di adottare quelle misure, misure che io, individualmente, credo necessarie. Egli per questo fine ha citato delle celebrità che sono vissute in certi dati punti nei tempi andati; questo mostra che l’onorevole Cordova conta molto sull’influenza che esercita sulle nostre menti col suo ingegno che è grandissimo: ma se permette che mi serva un momento dell’analisi, gli proverò che il suo ragionamento è senza base. Egli sa che non ci è verità contro verità. Vuole un paragone anche da me? Glielo faccio subito: nel 1300 (l’onorevole Cordova è maestro in quanto a storia, lo sa) Marco Polo viaggiò molto, descrisse la China, e noi della China oggi sappiamo niente, non abbiamo neanco una rappresentanza consolare in quei paesi, eppure l’opera del Marco Polo II milione è ancora oggi secondo l’opinione dell’Humboldt la guida migliore per i geografi ed i viaggiatori.

Vuole un altro esempio? Cristoforo Colombo scopriva l’America, e noi nell’America non abbiamo neanche un palmo di terreno. Se occorresse qualchedun altro esempio, direi che un tempo gl’italiani, come potenza marittima, davano lezioni al mondo, ed oggi non sono neanche in condizione di prenderle. Veda dunque l’onorevole Cordova che i grandi uomini del passato non sono sempre una ragione della civiltà presente e che in conseguenza le sue citazioni per essere d’erudito non provano al caso nostro e non provano che le condizioni della Sicilia in alcune parti non giustifichino le misure che il Governo ha creduto dover adottare; e qui faccio punto con l’onorevole Cordova perché già il ministro della guerra ha risposto alla parte più delicata.

Passo adesso all’onorevole D’Ondes-Reggio. E prima di tutto io credo che è la prima volta che dalla bocca dell’onorevole D’Ondes-Reggio senta che è unitario. Non conosco nella vita parlamentare dell’onorevole D’Ondes-Reggio, né nei suoi scritti una dichiarazione simile. Io credeva che l’onorevole D’Ondes-Reggio fosse il solo qui nel Parlamento rappresentante di una cosa impossibile e doppiamente impossibile, la federazione, non trovo la parola, incastrata nell’elemento religioso come egli lo intende. (ilarità)

Da questo punto di vista e parlando in nome loro è venuto ad esporvi delle cose incredibili asserendo e negando insieme di delitti atroci cbe sono impossibili in Italia e che se fossero veri per l’individuo sono sempre impossibili come sistema, e che tutto ciò sia impossibile io non ho quasi bisogno di dimostrarlo; la dimostrazione è nella mia coscienza.

Prima di tutto come risposta generale dico questo: nessun Ministero al mondo né in Italia, né altrove, ma oggi in Italia segnatamente, potrebbe dare di questi ordini. Certo nessuno se ne farebbe esecutore.

Se l’onorevole D’Ondes-Reggio fosse un deputato, il quale, direi così, non vedesse negli atti del Governo altro che il dovere di combatterli, passa; ma l’onorevole D’Ondes-Reggio, professore di diritto, stato ministro di un Governo nazionale, che oggi siede qui in Parlamento, che era libero di prendere tutte le informazioni necessarie durante la proroga del Parlamento, è venuto qui a farsi eco di cose impossibili, di cose che saranno ripetute in Europa da tutti i giornali nemici d’Italia, i quali diranno che gl’italiani non sanno far altro che farsi carnefici gli uni degli altri: e sopra quali dati, quali informazioni? In nome di chi parla? Riunite i discorsi dell’onorevole Cordova e dell’onorevole Bertolami, riunite i certificati di 150 comuni di Sicilia che sono nelle mani dell’onorevole generale Govone, e ditemi che cosa rimane all’onorevole D’Ondes-Reggio.

L’onorevole D’Ondes-Reggio ha citato, con una compiacenza tutta particolare, il comune di Licata. Ebbene, io lo dirò francamente: la sola cosa che mi sia spiaciuta nelle misure militari si è l’aver veduto che il maggiore Frigerio, che è mio amico, che era ufficiale nei Cacciatori delle Alpi, abbia creduto di dover dare delle soddisfazioni ai consoli che si sono presentati come rappresentanze estere. Noi ne abbiamo anche troppo delle rappresentanze estere. La coscienza del maggiore Frigerio doveva bastare.

Ebbene, avete citata quella grande autorità del comune di Licata.

L’onorevole D’Ondes-Reggio ha dichiarato benemerite della patria le città di Palermo, di Licata, ed alcune altre, perché davanti a misure, che egli crede incostituzionali al punto da dar diritto alla presa d’armi, si tennero nella legalità. Ma i patrioti sapete che cosa avrebbero risposto, quando ci fosse stata una presa d’armi? E possibile, avrebbero detto i patrioti, è possibile che il Governo abbia errato nell’applicare certe misure in dati luoghi, ma prima di prendere le armi bisogna aver soddisfatto al proprio dovere, bisogna aver mandati i soldati che tutte le altre provincie hanno mandati. (Urne!)

V’ha una grande illusione in Sicilia, permettete che io lo dica francamente, credo avere il diritto di dirvi la verità. La libertà della Sicilia non è opera della sola Sicilia, è opera dell’Italia. Credete a me, vi dico la verità! Se le provincie d’Italia tutta non avessero mandato alla Sicilia gli elementi che le hanno mandato, la Sicilia non sarebbe libera e noi non saremmo qui a parlare, saremmo stati strozzati.

La Sicilia aveva bisogno di passare a traverso questa crisi, era una necessità che nulla poteva rimuovere. La Sicilia non ha mai compreso, spiegherò il mio concetto, non ha mai compreso il dovere di pagare il suo debito alla leva nazionale. La Sicilia, anche in momenti solenni, s’è rifiutata di pagare in persone quello che lo stesso dittatore le domandava, non dico dal tanto al poco, ma dal tutto al nulla in fatto di leva; il dittatore ordinava la leva, ma nessuno voleva presentarsi. La brigata ch’io comandava e che doveva completarsi marciando da Palermo per Corleone, Girgenti, Licata, Noto, Catania, non potè ottenere che gli ordini del dittatore fossero eseguiti. I volontari che venivano il mattino, se ne andavano in gran parte alla sera, portando via fucili, scarpe, coperte. (Sensazione)

Il Governo siciliano che andava raccogliendo con molto stento armi ed altro, non trovava modo di far sentire il dovere d’armarsi per la completa liberazione della Sicilia e per proseguire sul continente. (Interruzioni a sinistra)

BIXIO. Mi lascino la parola libera.

PRESIDENTE. Ha la parola libera, gliela manterrò io, gliela manterrà la Camera.

BIXIO. Dico la verità. Non mi sorprende che vi sia in Sicilia un’avversione alla leva, questa è cosa naturalissima, bisognerebbe quasi sorprendersi che così non fosse, ma mi sorprende che la somma dei renitenti e dei disertori al tempo in cui cominciarono le misure militari arrivi alla somma di 26 mila, e voi vedete che se tutte le provincie avessero la stessa cifra si giungerebbe alla cifra di 260 mila uomini, cioè l’esercito non avrebbe un soldato, e noi saremmo in Europa un oggetto di scherno.

Ripeto che non mi sorprende che in Sicilia gli elementi delle campagne siano renitenti alla leva, quello che mi sorprende è che la società e tutte le famiglie che sono interessate in questa questione, i partiti politici, tranne l’unitario, e segnatamente gli amici politici del signor D’Ondes-Reggio, non facciano il loro dovere nell’interesse d’Italia. Questo che oggi si lamenta per l’Italia, la Sicilia lo ha lamentato per sè. Così nel 1848 come nel 1860. Oggi bisogna che ogni provincia comprenda il suo dovere, e la Sicilia sappia che per l’Italia essa certo non ha fatto molto, mentre l’Italia ha fatto tutto quanto doveva.

È dunque mia convinzione che la Sicilia doveva attraversare questa crisi nel modo che il Governo ce l’ha fatta attraversare; era una necessità inevitabile, perché quelli che vengono fuori dalla Sicilia alla fin fine sono ottimi elementi. I soldati che ci vengono di là, o signori, equivalgono agli altri in bontà ed in robustezza, e quelli che ne verranno in seguito dopo questa buona lezione data ai renitenti, e verranno più volentieri, saranno sempre migliori.

Io che ho avuto l’onore di comandarne un certo numero so che appena un quinto di quello che aveva inscritto sui ruoli del mio corpo, tuttoché fossero i soldati venuti dalla Sicilia, erano in ultimo certamente non inferiori agli altri del mio corpo; erano i più tranquilli e silenziosi ed i più disciplinati; erano insomma quelli contro cui non c’era mai niente da dire. (Benissimo!)

Dunque ragione di più per insistere per la leva, perché sono buoni soldati; in questo momento stesso una parte de’ renitenti che sono nella divisione che comando in Alessandria promettono d’essere eccellenti soldati; ho domandato non è guari al comandante del 13° battaglione bersaglieri se i Siciliani adempivano ai loro doveri, e mi fu risposto di sì; in una parola, essi fanno il servizio loro magnificamente. Dico questo, o signori, perché da nessuno si creda che i Siciliani non siano buoni soldati.

Ora vi domando se quando in poche provincie stanno nascosti nientemeno che 26,000 renitenti nella totalità di tre anni, domando io se questa non è una prova che in quelle provincie sono tutti interessati a negare questo necessarissimo tributo di dare dei soldati per l’onore e la difesa della patria; perché credo che in Sicilia non vi era pressoché famiglia che non tenesse mano a qualche renitente. Or bene, gli amici del D’Ondes-Reggio, i vantati patrioti che tanto gridano contro al Governo nazionale, che cosa hanno fatto per dare questi 26 mila renitenti all’esercito? Niente affatto, e niuno potrà sostenere che questa condotta meriti approvazione.

L’onorevole deputato D’Ondes-Reggio ha parlato dal suo solito punto di vista del grande amore ch’egli porta alla Sicilia, sua patria; in non glielo contesto, solo gli chiedo il permesso di esaminarlo nei fatti.

La Sicilia ha attraversato delle crisi terribili, ma il signor D’Ondes-Reggio non si è mosso di qui. (Viva ilarità)

D'ONDES REGGIO. Domando la parola per un fatto personale.

BIXIO. In Sicilia si combatteva per la libertà, e il signor D’Ondes-Reggio se ne stava a Genova a fare il professore. Egli avrebbe pur potuto giovare allora la sua patria del suo grande amore col consiglio e colla sua autorità, e perché non si è mosso punto?

Comprendo che l’onorevole La Porta e l’onorevole Crispi, che in fondo non hanno altra differenza da noi che una maggior fretta, e lamentano che il Governo non vada a modo loro, finiscano per fare un’ opposizione sistematica, e credo a torto, ma essi almeno hanno fatto il debito loro. Ma l’onorevole D’Ondes-Reggio parla di grande amore; bisognerebbe averlo provato con qualche cosa nelle circostanze che ho citato. (Ilarità)

D'ONDES REGGIO. Domando la parola per un fatto personale.

BIXIO. Io sono libero di dire quello che penso. Io dico che questo grande amore bisogna provarlo. Il signor D’Ondes-Reggio ha parlato come siciliano e come cristiano; io parlo come italiano e mi occupo di vedere se nelle epoche terribili che ha traversate la Sicilia il signor D’Ondes-Reggio prestava l’opera sua.

Ripeto, all’epoca della prima rivoluzione era in Sicilia il signor D’Ondes-Reggio? No, era a Genova a fare il professore. (Si ride) Più tardi, nei momenti di crise terribile, importava che tutti gli uomini che amano veramente il paese prestassero ogni sforzo al bene pubblico, e la Camera ricorderà che l’onorevole deputato Brignone fece una narrazione degli imbarazzi in cui si trovava, e del bisogno che aveva di dare una direzione a Palermo. Era il tempo in cui gli uomini che non erano compromessi, che non erano legati da amicizie che li mettessero in condizioni difficili, dovevano andare ad adoperarsi a vantaggio della patria; si mosse l’onorevole D’Ondes-Reggio? No. (Rumori a sinistra e ilarità)

Egli è venuto oggi a parlare alla Camera delle scene terribili, a imputare all’esercito fatti che sarebbe una vergogna se avesse commessi, fatti che sono impossibili, fossero anche veri. (Si ride) E ciò in nome di chi? Con quali prove? Per averlo sentito dire! Allora io potrei rispondere che su questa prova del sentito dire si asserisce che all’onorevole deputato D’Ondes-Reggio i frati di Palermo abbiano fatto coniare e gli abbiano dato una medaglia di riconoscenza. (Viva ilaritàRumori a sinistra)

CRISPI. Questo non è decente. (Rumori)

BOGGIO. Libertà di parola!

D'ONDES REGGIO. Ho chiesto la parola per un fatto personale. (I rumori crescono sempre più; molti deputati sì alzano)

PRESIDENTE. (Scuotendo il campanello con forza) L’onorevole Bixio continui; io credo che egli voglia piuttosto accennare alle cose che abbia dette, alle opinioni che abbia manifestate l’onorevole D’Ondes-Reggio, che non alla persona di chi le disse; ma ad ogni modo la prego di contenersi in tal guisa nell’ulteriore suo discorso.

BIXIO. Quello che io bo detto, l’ho detto pensatamente.

Se fosse vero che i frati dei conventi di Palermo avessero fatto coniare una medaglia in onore del signor D'Ondes-Reggio, sarebbe forse una cosa non decente? E questo rispondo al signor Crispi che mi accusa di dire delle cose non decenti. Quando mai fu una cosa non decente coniare una medaglia ad un deputato che ha le loro convinzioni? (Bravo!) Se quanto uscì dalla mia bocca non soddisfa il signor i Crispi, sono soddisfatto io di averlo detto. Quando si può dire che gli ufficiali di molti battaglioni hanno commessi o lasciato commettere degli atti d’orrore, e questo si può dire da uomini seri, da professori di diritto, senza venire a portare alla Camera delle prove, anzi dicendo che non si sa se siano veri questi atti; se si può dir questo, non si potrà dire che i frati di Palermo hanno fatta coniare una medaglia al deputato D’Ondes-Reggio? (Bravo! Bene! — Applausi a destra)

CRISPI. È Broglio l'applauditore. (A destra: Silenzio! All’ordine!) La claque!

(Molti deputati a destra ed al centro si alzano protestando; voci: All’ordine! all’ordine!)

BIXIO. Del resto, se anche fosse lecito di parlare di municipi, ben altri municipi io potrei porre a confronto; municipi che hanno una storia la quale certo non è seconda a quella della città di cui si parla, e che, per aumentarne l’importanza, si volle fare di 250 mila abitanti; poi, correggendo anche nel testo ufficiale, si danno 220 mila, mentre la Commissione di statistica non dà a Palermo che 194 mila abitanti, e lamentare in Parlamento che oggi il pretore si chiami sindaco. (Si ride)

Vi sono altri comuni in Italia, vi sono altre città che hanno una posizione che vuol essere mutata, vi è Roma e Venezia e non si può mutare che coll’esercito, sono città d’Italia, le quali hanno pur diritto che la Sinistra ci pensi...

CRISPI. Ci ha pensato anche troppo. (Rumori a destra)

PRESIDENTE. Non interrompano.

BIXIO. Non si tratta di pensarci troppo, ma di pensarci bene, di pensarci seriamente.

BORDINI. Tutta la Sinistra lo vuole. (A destra: Silenzio!)

BIXIO. Ma lascino parlare! Risponderanno, se non sono contenti. (Grida ed esclamazioni a sinistra)

PRESIDENTE. Io li prego di far silenzio! Non è colle interruzioni e colle proteste che si fa trionfare un’opinione.

La manifestazione delle proprie idee è libera.

BORDINI. La libertà non deve arrivare all’offesa. Lo stesso presidente dovrebbe chiamare all’ordine l’oratore. (A destra: Silenzio!)

SINEO. Domando la parola sull’ordine della discussione...

(Rumori generali e grida a destra: Non si può interrompere l’oratore).

MORDINI. Signor presidente, domando che richiami il deputato Bixio all’ordine!

PRESIDENTE. Si calmino! Continui l’onorevole Bixio. Io gli faccio però un appello, ed è di vedere di temperare il più che sia possibile la vivacità, il colorito delle sue espressioni. (Segni di soddisfazione a sinistra)

BIXIO. Io parlo come la coscienza mi detta, ed espongo la verità come la sento; se il presidente vuol togliermi la parola....

Voci a destra. No! no! Parli! parli!

BIXIO. Ebbene, io dico che la Sinistra in questa questione la sbaglia, per bacco! E una mia opinione, non avrò la libertà di manifestarla? (Bravo!)

Sissignori, secondo me la Sinistra in questa questione si conduce poco abilmente; essa si lascia predominare dal pensiero di un’opposizione continua e in ogni cosa. (Agitazione)

Non capiscono che quando ci sono dei municipi tanto ragguardevoli da giungere a una popolazione complessiva di due milioni e mezzo, i quali si rifiutano di fornire gli elementi per liberarsi dallo straniero, è necessario dare autorità al Governo e forza all’esercito; che senza di questo diventiamo lo scherno d’Europa.

(Bravo! Bene!)

Se si mostrassero tanto patrioti quanto deputati i dell’opposizione, dovrebbero necessariamente dar forza i al Governo, e non unirsi a dar forza alle passioni popolari nuocevoli alla grande patria italiana. (Applausi a destra, vive proteste a sinistra)

MORDINI. Protestiamo contro queste parole.

Non vogliamo ricevere lezioni di patriottismo.

Voci a destra. All’ordine! all’ordine!

(I deputati Mordini, Crispi ed altri della sinistra rivolgono la parola contemporaneamente al deputato Bixio fra i clamori generali).

BIXIO. Risponderete.

MORDINI. Non si deve insultare!

Voci. (Al presidente) Si cuopra! si cuopra! Voci a destra. No! no! Parli il deputato Bixio!

(Motti deputati scendono nell’emiciclo in mezzo al crescente tumulto).

MACCHI. Chiedo di parlare.

DI SAN DONATO. Chiedo di parlare,

CHIAVES ed altri. Si rimandi la seduta a domani

PRESIDENTE, lo prego i signori deputati di calmarsi, così si potrà riprendere la discussione.

Io non credo che l’onorevole Bixio abbia inteso di intaccare o di rivocare menomamente in dubbio il patriottismo degli onorevoli deputati, ma solo abbia inteso di combattere, siccome un errore politico, il sistema per essi tenuto. Se questo è il suo concetto, prego; l’onorevole Bixio di dichiararlo.

BIXIO. Coloro della Sinistra che mi hanno interrotto violentemente sono legati con me d’amicizia e sanno ch’io li stimo. Ma io parlo dal punto di vista degli errori che un partito politico può commettere. (Bravo!)

Ebbene, a mio avviso è un errore politico commesso quell’ordine del giorno che i deputati della Sinistra hanno presentato ieri. E questa una mia opinione che potrà essere combattuta, ed io son qui pronto a sentire le obbiezioni che si potranno fare.

Credo che nella nostra vita politica e militare ab! biamo avuto fatti tali insieme che non possono lasciar; temere che alcuno abbia a ritrattare o modificare quello che ha detto. L’individuo rimane. Il deputato parla e spiega le sue parole, quando non sia stato ben capito. (Bravo!)

CRISPI. Accetto di tutto cuore queste spiegazioni.

(Il deputato Mordini fa segno d’unirsi in ciò al deputato Crispi).

(In seguito a queste dichiarazioni si va ristabilendo la calma).

PRESIDENTE. L’ora essendo tarda, la discussione è rimandata a domani.

La seduta è legata alle ore 6.

Ordine del giorno per le tornate di domani:

(Al tocco).

1° Seguito delle interpellanze dei deputati D’Ondes-Reggio e Greco Antonio intorno a fatti di Sicilia e Napoli;

2° Svolgimento di una proposta di legge del deputato Brofferio intesa a modificare la legge sull’ordinamento giudiziario relativamente ai giurati;

3° Seguito della discussione del progetto di legge per l’estensione a tutto il regno della legge sulle privative industriali;

4C Discussione del progetto di legge concernente il bilancio attivo.

(Alle otto di sera):

Relazione di petizioni.



BRIGANTAGGIO E DIMISSIONI DI GARIBALDI





















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