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TORNATA DEL 9 GENNAIO 1864

PRESIDENZA DEL COMMENDATORE CASSINIS, PRESIDENTE.


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Nella puntata “Il tempo e la storia Brigantaggio: una guerra italiana” andata in onda prima in aprile 2014 e poi nel settembre 2014, un medievalista come  Barbero viene spacciato come esperto del brigantaggio.

Paradossi, mistificazioni e scarsa cultura storica dell’informazione italiana.

Fra l’altro, nella puntata si riporta un filmato di Giorgio Bocca del 1970, nel quale si parla delle dimissioni di venti deputati a causa della repressione del brigantaggio.

Una falsità assoluta, basta leggere gli atti parlamentari.

Alcuni deputati, oltre allo stesso Garibaldi, si dimisero agli inizi del 1864, ma nel resoconto della seduta non si accenna a motivi inerenti il brigantaggio, se non indirettamente per Cairoli, a proposito del quale si scrive:

“L’onorevole Cairoli, deputato del collegio di Brivio, con lettera di Pavia del 31 scorso dicembre, rassegna le sue demissioni.

I motivi ne sono sostanzialmente i seguenti:

1° Il voto del 10 dicembre;

2° Il giudizio che ne ha portato l’opinione pubblica, e le funeste conseguenze che per suo avviso produsse il voto medesimo, quali la continuazione dell’arbitrio nelle provincie meridionali, la perturbazione delle coscienze, e dell’accordo necessario all’adempimento del comune mandato. (Bisbigli).”

Invitiamo i nostri lettori e i naviganti a soffermarsi sul lungo intervento di Pasquale Staninslao Mancini dell’11 gennaio 1864 che si batte per far cancellare dalla legge alcune parti, fra cui la richiesta di modifica dell’espressione “sospetti manutengoli” in “manutengoli”. Da leggere anche l’intervento del piemontese Brofferio del 12 gennaio 1864 che vota contro la legge sul brigantaggio in quanto viola il diritto alla difesa, diritto che in nessuno stato d’Europa, nemmeno nei momenti più bui, venne mai conculcato.

Il voto del 10 dicembre a cui si rinvia nella lettera di Cairoli è quello relativo alla interpellanza sui fatti di Sicilia da parte del deputato D’Ondes-Reggio che potete trovare nel nostro sito, atti parlamentari della Camera dei Deputati dal 5 dicembre 1863 al 10 dicembre 1863.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Zenone di Elea – 9 Ottobre 2014


SOMMARIO. Istanza del deputato Melchiorre circa la relazione di petizioni, e avvertenza del PRESIDENTE. — Congedi. = Seguito della discussione del disegno di legge per la repressione del brigantaggioApprovazione dell’articolo 1° — Emendamento del deputato Conforti all'articolo 2° — Avvertenza del ministro per la guerra Della RovereOpposizione del deputato Melchiorre, del guardasigilli Pisanelli e quindi dei deputati Gannavina e Castagnola, relatore, a quell'emendamentoSpiegazioni personali circa la magistratura, dei deputati Rattazzi, Bixio e Sineo — Emendamenti dei deputati Mancini e Tecchio, approvati — È respinto quello del deputato ConfortiSi approva l’articolo 2°. = Domanda del deputato Bixio circa la sorte della nuova fregata II Re d’Italia, e risposta del ministro per la marineria Cugia. — Emendamento del deputato Conforti all’articolo 4° — Obbiezioni del relatore e del guardasigilli, e parole in appoggio dei deputati Mancini e CrispiÈ approvatoEmendamento del deputato Mancini. = Informazione del ministro per la marineria circa la fregata di cui sopra. = Adesione De Filippo e ConfortiÈ rigettatoEmendamenti dei deputati Camerini, Ma---cchi e Mancini all'articolo 5°, oppugnati dal relatore, c rigettatiArticolodi aggiunta del deputato Bellazzi, accettalo dal ministro per l'interno Permei ed approvato. Presentazione di un disegno di legge del ministro per gli affari esteri Visconti Venosta per un trattato col Belgio per il riscatto del pedaggio sullo Scheda, e comunicazione dei trattati di commercio e navigazione colla Russia e colla Gran Brettagna.

La seduta è aperta alle ore 112 pomeridiane.

massari, segretario, dà lettura del processo verbale dell’ultima tornata, che è approvato.

GIGLIUCCI, segretario, espone il sunto delle seguenti petizioni:

9637. Trentasei comuni componenti i mandamenti di Gozzano, Momo, Borgomanero ed Orta, ed il municipio di Novara, lamentano la deliberazione colla, quale la Camera respinse la concessione della ferrovia da Novara alla Cava d’Alzo, e la pregano a voler conferire mandato al Ministero affine di concertare colla società concessionaria della strada una convenzione con cui in via d'esperimento il Governo assuma l’esercizio per un dato periodo mediante un annuo prezzo chilometrico, ovvero conceda in affitto ai concessionari il materiale di trazione per l’esercizio stesso.

9638. Tredici proprietari di ferriere nel mandamento di Atripalda domandano la revoca della concessione fatta dal Governo, nel maggio 1862, alla società Cesana, Long e Compagnia, relativa al privilegio di raccogliere le arene ferruginose, la quale concessione essi reputano sommamente gravosa a quell’industria nelle provincie napoletane.

ISTANZA PER LA RELAZIONE DI PETIZIONI.

MELCHIORRE. La Camera sa che una dello garanzie più preziose che lo Statuto del regno assicura ai cittadini d’Italia si è l’esercizio del diritto di petizione.

Ora questo diritto rimane eternamente illusorio se il Parlamento non si occupa della discussione, non dico di tutte le petizioni, ma di quelle almeno che siano state dichiarate d’urgenza.

Dacché la Camera elettiva si è riunita dopo l’ultima proroga del 1° agosto 1863, a me pare che una sola seduta sia stata consacrata alla discussione delle petizioni dichiarate d’urgenza, e che dopo questa seduta non se ne sia più fatta alcun'altra.

Se vogliamo, o signori, che questo diritto di petizione sia una realtà, conviene assolutamente che le sedute si ricomincino periodicamente intorno alla discussione di petizioni che da anni rimangono inosservate in seno alla Commissione istituita per l’esame di esse.

Mi consta pure che l’onorevole presidente di questa Commissione, chiamato ad altro uffizio per la carica che riveste di presidente d’uno dei Circoli d’Assiso delle provincie napoletane, si sei assentato, e pare che non sia vicino il tempo in cui si deve restituire in questa residenza.

Quindi, se manca il presidente, se la Commissione per conseguenza non è in funzione, come saranno esaminate queste petizioni che interessano moltissimi cittadini? E fra queste io credo che ve ne sono delle importantissime.

Per siffatte considerazioni io prego la Camera a riflettere seriamente allo scandalo che produce il non occuparsi delle petizioni, acciò voglia stabilire definitivamente elio, non ostante l’assenza dell’onorevole presidente della Commissione, le sedute della Commissione stessa siano riprese e queste continuino con quella alacrità colla quale la Camera per lo innanzi ha sempre ottemperato a questo sacro diritto di petizione.

PRESIDENTE. Le osservazioni dell’onorevole deputato Melchiorre sono giustissime, e certo la Camera vorrà che il diritto di petizione sia soddisfatto in tutta la sua pienezza.

Il difetto deriva però da una circostanza a cui pregherei la Camera di voler provvedere.

Sa l’onorevole Melchiorre, sa la Camera che, secondo l’articolo 70 del nuovo regolamento, la Commissione delle petizioni è permanente per tutta la Sessione: da ciò troppo naturalmente avviene che, per circostanze affatto indipendenti da volontà, talora alcuni dei membri della Commissione non possano intervenire alle sue adunanze; ond’è che il numero essendo solamente di nove, molte volte, malgrado la buona volontà di ciascuno de’ suoi membri, la Commissione non si trova in numero per deliberare.

A fronte di ciò io proporrei alla Camera che gli uffici volessero nominare ciascuno un membro, il quale fosse supplente dei nove membri ordinari della Commissione; talché questi membri supplenti intervenissero alla Commissione tuttavolta che essa non fosse in numero sufficiente per deliberare.

Se pertanto non vi ha opposizione, io inviterò gli uffici a riunirsi per nominare ciascuno un nuovo membro della Commissione, il quale si aggiunga in supplemento alla Commissione normalmente stabilita.

Io spero che la Camera vorrà approvare questa mia proposta, siccome quella per cui si soddisfarebbe al giusto desiderio testé espresso dall’onorevole Melchiorre, e nello stesso tempo al diritto troppo sacro di petizione.

Melchiorre. Ringrazio l’onorevole nostro presidente della benevolenza colla quale ha accolto la mia preghiera, e mi uniformo precisamente alla sua proposta, in quanto che io ritengo che questa renda assolutamente la mia idea; per conseguenza mi lusingo che la Camera la accolga e vi dia seguito.

ATTI DIVERSI.

PRESIDENTE. Non essendosi fatta osservazione in contrario, rimane inteso che ciascun ufficio nominerà un commissario supplente per l’oggetto suddivisalo.

(Il deputalo Checchetelli presta il giuramento).

10deputato Catucci chiede un congedo di un mese por affari necessari ed urgenti.

(E accordato).

Il deputato Giovanni Fabrizj per indisposizione di salute chiede un congedo di venti giorni.

(È accordato).

(Si proceda all’appello nominaleFatto l'appello segue un'aspettazione per un quarto d’ora).

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DEE DISEGNO DI
LEGGE PER LA REPRESSIONE DEE BRIGANTAGGIO.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul progetto di legge per la repressione del brigantaggio.

La Camera nella seduta di ieri deliberò che oggi si sarebbe passato alla discussione degli articoli.

Il Ministero dichiarò già in altra seduta di accettare il progetto della Commissione, salvo quelle modificazioni che nel corso della discussione si riservava di proporre.

La discussione pertanto seguirà sui progetto della Commissione.

Leggo il primo articolo:

«Fino al 30 aprile 1864 nelle provincie napoletane infestate dal brigantaggio e che saranno dichiarate tali con decreto reale avranno vigore le disposizioni seguenti.

Non essendovi osservazione, l’articolo 1° s’intenderà approvato.

(È approvato).

«Art. 2. I componenti comitiva o banda armata di tre persone almeno, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti ed i loro complici saranno giudicati dai tribunali militari, di cui nel libro il, parte II del Codice penale militare e con la procedura determinata dal capo III del detto libro.»

Interrogo il Ministero se accetta questa proposta della Commissione, oppure se crede di riferirsi al suo progetto.

Pisanelli, ministro di grazia e giustizia. La Camera avrà avvertito che il secondo articolo della Commissione riproduce la disposizione che era nella legge del 15 agosto.

Ora questa legge dette occasione ad alcuni deputati di dubitare se i Consigli straordinari di guerra fossero dalla stessa legge sanzionati, per modo che ne mossero quasi lamento in quest’aula. Il Ministero, a schivare queste dubbiezze, aveva altrimenti compilato l’articolo 2.

La dizione serbata nell’articolo 2 formolato dal Ministero esclude qualunque dubbio su questo punto, perché in esso è detto che i tribunali militari saranno quelli indicati nel libro II, parte II del Codice penale militare, e colla procedura ivi determinata. Il che importa che, ove si trattasse di giudicare un brigante colto in flagranza o resistente alla forza pubblica, esso sarebbe giudicato da tribunali straordinari e colla procedura stabilita nel capo iv del libro li; ove poi si trattasse di giudicare briganti che scorressero le campagne, o i complici loro, senza che questi fossero stati colti in flagranza e colle armi alla mano, allora essi sarebbero giudicati dai tribunali militari indicati nella parte seconda del Codice penale e colla procedura stabilita al capo III.

Parve al Ministero che la nuova compilazione che si era fatta dell’articolo 2 valesse ad eliminare intorno a questo punto ogni dubbio che sussisterebbe quando si accettasse l’articolo 2 che la Commissione ha proposto.

Essendo d’ altra parte concordi intorno all'intelligenza dell’articolo, mi pare che la Commissione stessa potrebbe assentire che al suo articolo 2 si surrogasse quello del Ministero.

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione assente.

PRESIDENTE. Dunque rimane inteso che l’articolo in discussione sarebbe l’articolo 2 del Ministero.

Sopra quest’articolo 2 vi sono sette emendamenti. Quattro di essi hanno uno scopo identico; hanno per oggetto cioè di stabilire che i complici sieno giudicati dai tribunali ordinari. Gli altri tre emendamenti sono aggiunte all’articolo stesso.

Hanno proposto gli emendamenti del primo ordine che accennai i deputati Conforti, Lovito, Mancini e Lazzaro.

L’emendamento proposto dal deputato Conforti è così espresso:

«I componenti comitiva o banda armata di tre persone almeno, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o lo campagne per commettere crimini o delitti, saranno giudicati dai tribunali militari, di cui è parola nel libro II, parte 2° del Codice penale militare, e con la procedura determinata dal capo 3° del detto libro.

«I complici saranno giudicati dai tribunali ordìnarii.»

biacchi. Domando la parola.

PRESIDENTE. So ch’ella intende parlare in surrogazione all’onorevole Camerini; quindi avrà la parola a suo tempo, cioè quando l'avrebbe avuta l’onorevole Camerini.

biacchi. Bene si apponeva l’onorevole nostro presidente, e siccome ho sentito citare gli autori degli emendamenti senza che siasi nominato l’onorevole Camerini, mi son fatto un dovere di chiedere la parola.

PRESIDENTE. Le osservo che non ho nominato alcuno degli autori degli emendamenti della seconda classe; ho nominato quelli soltanto che hanno proposti gli emendamenti che io dissi del primo ordine o classe, cioè a dire quelli per cui sostanzialmente si proporrebbe che i complici fossero sottratti ai tribunali militari ed assegnati al giudizio dei tribunali ordinari.

La parola spetta al deputato Conforti per isviluppare il suo emendamento.

conforti. Io dirò pochissime parole intorno a questo emendamento, perché, allorquando ho discorso in generale intorno alla legge del brigantaggio, ho detto qualche cosa che vi si riferiva.

Osserverò semplicemente che io ebbi una lunga conferenza coll’onorevole procuratore generale presso il supremo tribunale di guerra intorno ai tribunali, da cui dovevano essere giudicati i complici del reato di brigantaggio.

Non debbo dissimulare che la Commissione opinava che anche i complici dovessero essere giudicati dai tribunali militari, ordinari, si comprenda bene, tribunali militari ordinari e non già tribunali militari in tempi di guerra.

A questa proposta della Commissione il Ministero faceva grave opposizione, ed il commendatore Trombetta, col quale ebbi in un ufficio della Camera un lungo colloquio, mi disse che il Ministero rifuggiva dall’oceupare i tribunali militari del giudizio de’ complici del brigantaggio, ed unicamente consentiva che fossero giudicati dai tribunali militari in tempo di guerra coloro che erano presi colle armi alla mano, perché per costoro era necessaria una giustizia pronta, inesorabile. '

Infatti io che fui relatore della Commissione che doveva esaminare il progetto di legge presentato dalla Commissione d’inchiesta parlamentare, scrissi gli articoli 21 e 22 del progetto concepiti nei seguenti termini:

«Art. 21. I briganti presi con le armi alla mano saranno giudicati dai tribunali straordinari, giusta il capo iv, libro II, parte n del Codice penalo militare.

«Art. 22. Gli altri colpevoli del reato di brigantaggio saranno giudicati dalle Corti d’assise, giusta il Codice di procedura penale.»

Ma il progetto della Commissione nell’ultimo giorno della scorsa Sessione venne surrogato dalle legge Pica che diede tanta celebrità al nostro collega. (Movimenti diversi)

Ora, io ho presentato un emendamento, il quale non consiste in altro se non nel ripristinare nella legge ciò che fu approvato dalla Commissione, ciò per cui il ministro della guerra fece le più calde premure.

E quali sono le ragioni per le quali io mi conduco a questo divisamente? Esse sono evidenti, secondo il mio modo di vedere.

Signori, i tribunali militari nel modo in cui sono costituiti e nel modo in cui devono procedere possono benissimo giudicare prontamente con abbreviazione di forme, anzi talora senza forma alcuna i briganti presi colle armi alla mano, o che scorrono la campagna.

In questo caso non fa d’uopo di lunghe investigazioni, perché chiaramente si conosce il reato e coloro che lo commisero. Ma quando si tratta di coloro che sono imputati di aver somministrato notizie, viveri, ricovero, non è possibile averne oculata contezza se non per mezzo d’investigazioni lunghe, per mezzo di prove testimoniali.

Anzi non basta che i testimoni, per esempio, vengano a dire: il tale ha dato ricovero e somministrato viveri e notizie; bisogna che si conosca quali sono state le cagioni, le quali hanno spinto il proprietario o il massaro a ciò fare; bisogna vedere se ciò fu per effetto d’intimidazione, se si è ceduto ad una forza maggiore, se questa forza è stata tale da togliere agl’imputati la libertà d’azione.

Ora domando io: si possono fare tutte queste investigazioni allorquando bisogna giudicare colla massima rapidità per venire ad una conclusione? Io credo che questo sia impossibile.

D’altra parte chi non sa che allorquando sì tratta delle questioni di complicità vi sono alcuni dati, che non è possibile di ben afferrare, se non quando si sia ben versati nelle cose di legge?

Signori, io ammetto che nei supremi momenti, che nelle supreme necessità si possa prescindere, per dir così, dalle leggi comuni esistenti e sospendere alcune guarentigie; ma in questi casi bisogna allontanarsi il meno possibile dalle forme ordinarie dei giudizi.

L’allontanamento dalle forme ordinarie dei giudizi conduce all’errore, e quindi alla condanna dell’innocente. Rammenterò a quest’assemblea che per alcuni errori giudiziari commessi in Francia, tutta la nazione si commosse. E perché avvennero questi errori? Avvennero perché senza forme legali i giudizi furono precipitati e tumultuari.

Per tutte queste ragioni io sostengo che i complici del reato di brigantaggio debbono essere giudicati dai tribunali ordinari.

DELIA ROVERE, ministro della  guerra. Io intendo soltanto di rettificare un fatto esposto dall’onorevole Conforti.

Quando la Commissione che doveva formulare un progetto di legge per il brigantaggio mi chiamò nel suo seno nell’estate scorsa, io mi vi recai insieme al ministro guardasigilli e al ministro dell’interno.

Allora benché il deputato D’Ondes mi abbia rappresentato altra volta come un Nerone, come un Verre, io era decisamente contrario ai tribunali militari, e mi ricordo di aver osservato alla Commissione come destinando questi tribunali militari in tempo di guerra a giudicare dei reati di brigantaggio, si incorresse in parecchi inconvenienti, e fra gli altri in quello di mettere ufficiali a difensori obbligati dei briganti e togliere loro i difensori ordinari. Altra avvertenza non feci, e non distinsi fra complici e rei principali. Questa distinzione mi ricordo di non averla fatta.

Quindi mi limito a siffatta rettificazione e lascio poi al mio collega il guardasigilli la cura di rispondere per ciò che riguarda i complici.

D'ONDES-REGGIO. Domando la parola per un fatto personale. j

conforti. Domando la parola per ispiegare il mio concetto che mi pare essere stato frainteso dall’onorevole ministro della guerra.

Io ho detto che la distinzione tra coloro che sono presi colle armi alla mano e coloro che sono semplicemente complici fu fatta dall’onorevole commendatore Trombetta che rappresentava il ministro della guerra.

D'ONDES-REGGIO. Io ho domandato la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. Ha la parola, ma procuri di tenersi strettamente al fatto personale, onde in questione così grave non venga a divagarsi l’attenzione della Camera.

D'ONDES-REGGIO. È una parola sola, e l’avrei già detta se il presidente non avesse fatta quella raccomandazione.

Posso dire all’onorevole ministro della guerra che io questo l’ho saputo, e posso assicurarlo sulla mia parola che questo io l’ho detto a molti, e sempre, e stamane ancora, ch'ella tra’ ministri è contraria ai giudizi militari.

PRESIDENTE. La parola spetta al deputato Melchiorre.

Melchiorre. Se nella questione nella quale ci impegna l’emendamento dell’onorevole Conforti si dovesse consultare l’autorità del nome che la sostiene, io crederei inutile ogni discussione per ribattere le ragioni da lui addotte, perché fosse accettato dal Parlamento.

Ma non sarà certamente dedotto il valore della proposta dall’autorità del sostenitore, dal nome dell’egregio magistrato: se la Camera crede che questa legge sia necessaria, che essa debba raggiungere lo scopo cui mira, cioè la repressione del brigantaggio nelle provincie napoletane, io credo che sarà esiziale l’adottarla, imperocché si renderebbe frustranea ed inutile la legge medesima.

E in prima io son persuaso che l’onorevole Conforti valente difensore una volta, ed oggi magistrato integerrimo nella Cassazione di Napoli, troverà certamente una grave difficoltà nel decidere che il brigante preso colle armi alla mano debba essere giudicato dal tribunale militare straordinario, e il di lui complice, che per me è molto più terribile del brigante stesso, debba invece giudicarsi dalla Corte d’assise.

Io non so concepire come l’onorevole Conforti, che ha scienza e pratica in queste cose penali, possa volere il giudizio dell’attore principale staccato e scisso dal giudizio del complice, e trovi giusto il procedimento rapido verso il brigante, e trovi pericoloso ed ingiusto il rapido procedimento verso il complice, la cui esistenza è pure necessaria all’esistenza del brigante.

Io non voglio far presente alla Camera le teoriche della ragione penale, le quali assolutamente prescrivono che il giudizio dell’attore principale è inseparabile dal giudizio del complice, perocché sono cose a tutti note, massime ai componenti della nostra Camera, nella quale si accolgono lo più splendide illustrazioni del foro italiano.

Ma ciò non pertanto mi limiterò ad accennarne sommariamente alcune più rilevanti per confutare le ragioni esposte dall’onorevole Conforti. Rifletterò solo che senza complicità non sarebbe esistito il brigante, e la complicità nel brigantaggio è quella che toglie la tranquillità e sturba la pace, e produce disastri ed infiniti guai nelle provincie napoletane, e che se il brigantaggio in gran parte è scemato, lo si deve esclusivilmente alla giurisdizione militare instituita colla logge del 15 agosto 1863.

Quando questo male afflisse nel principio di questo secolo le provincie napoletane, ed era, se non così vasto come oggi, certamente egualmente feroce, il mezzo adoperato dal Governo di quell’epoca fu precisamente il giudizio militare con tutta la rapidità delle sue forme e del suo procedimento abbreviato e subitaneo.

Io ricordo qui una circostanza desunta dalla storia giuridica del brigantaggio nello sventurate provincie napoletane, la quale suggellerà la giustezza delle mie idee a fronte delle ragioni che l’onorevole Conforti esponeva, onde il suo emendamento fosso ammesso. Nel 1809, precisamente al 1° luglio, le Commissioni militari, che sarebbero i presenti tribunali militari che oggi devono giudicare i briganti ed i loro complici, vennero istituite come mezzo efficacissimo ad estirpare il brigantaggio.

Se si leggessero le considerazioni che precedono questi decreti, vi si troverebbe certamente ampia confutazione contro le ragioni svolte dall’onorevole Conforti. Queste Commissioni militari operarono efficacemente, ma il Governo d’allora, credendo che desse avessero compito il loro dovere, si avvisò di farle cessare, e con decreto del 27 maggio 1810 le abolì statuendo che i reati del brigante e dei loro complici fossero giudicati dalle Corti speciali cui furono trasferite le funzioni delle Commissioni militari alle quali succedettero; e che ne avvenne, o signori? Che dopo pochi mesi il Governo stesso, avvedutosi dall’errore commesso, dovette ripristinare le Commissioni militari con un decreto del 24 settembre 1810 per la provincia di Cosenza e di Monteleone, che allora era il capoluogo della Seconda Calabria.

Quindi se la storia noi consultiamo, se consultiamo la ragion penale ed i principii rischiaratori di essa, troviamo che la giurisdizione militare si è sempre sperimentata efficace e potentissima alla estirpazione del brigantaggio, e che il giudizio del complice non può essere scisso e separato dal giudizio dell’autore principale; e nel vero una volta che le Commissioni militari si vollero togliere e ripristinare le Corti speciali, si vide la necessità imperiosa di ritornare alle Commissioni militari suddette. Nel 1821, quando la rivoluzione nel Napoletano ebbe sì tristi effetti, e che le libertà furono spente, ed esigli e carcerazioni a migliaia furono fulminate dal Governo d’allora, noi troviamo che il brigantaggio si ripresenta nuovamente, e troviamo che il Governo istituì ancora delle Commissioni militari, che allora chiamavano Corti marziali; e più in là, quando si vollero distruggere le comitive armate che scorrazzavano per le campagne, stabilì i Consigli di guerra militari, elevati a Commissioni militari; insomma, in tutte le epoche nelle quali le provincie napoletane sono state travagliate dal flagello del brigantaggio si è ricorso sempre alla giurisdizione militare; e quando il Parlamento diede la sua approvazione al progetto di legge Pica, si ritornò alle Commissioni militari, ossia ai tribunali straordinari di guerra, ed i tribunali straordinari di guerra hanno speditamente giudicati i briganti ed i loro complici, e noi possiamo attestare per la verità che sono gli unici giudizi dei quali si possa tener conto dalla Camera nella discussione di questo grave argomento, in cui dotte e 1 eloquenti parole sono state pronunziate nelle diverse sedute che tennero occupata la Camera.

Ora, se noi vogliamo dalla storia»passare alla ragion penale ed al Codice penale attualmente in vigore, noi troviamo che la definizione dell’autore e del complice è tale che ammesso il giudizio del brigante, autore materiale del reato di che è esame, debba di necessità ammettersi che la complicità sia conosciuta e giudicata dai tribunali militari straordinari.

È vero, ed io non lo dissimulo, che le conseguenze possono essere tristissime e che l'onorevole Conforti faceva appello ad un giudizio di un delegato di pubblica sicurezza che, citato come testimonio, venne condannato da un tribunale militare straordinario nella provincia di Potenza come complice del brigantaggio. Non conosco le particolarità di questo fatto luttuoso, ed in verità quando fu annunziato dall’onorevole Conforti, ne provai viva e dolorosa impressione; ma se noi ammetteremo la difesa degl’imputati per mezzo degli avvocati e patrocinatori esercenti nel foro civile innanzi ai tribunali militari straordinari, queste tristi conseguenze, questi tristi effetti non si verificheranno forse più, imperocché allora l’intervento del difensore potrà mettere nella buona via i tribunali militari straordinari, e così conseguiremo l’intento di non veder riprodotte queste scene che turbano e commuovono gli animi onesti e tranquilli, e nel tempo stesso noi allontaneremo dai tribunali militari straordinari i pericoli di quella influenza eccessiva che hanno in alcuni casi spiegato nella repressione del brigantaggio. Quando le popolazioni pel corso non interrotto di due anni non han potuto vedere un giudizio completato innanzi alle Corti d’assise e rispetto ai briganti e rispetto alla numerosa famiglia de’ suoi complici, come potrebbero queste popolazioni rimanere tranquille se il Parlamento venisse oggi a decidere che il giudizio del brigante fosse espletato innanzi al tribunale militare straordinario, ed iì giudizio del complice, che è più reo del brigante stesso, perché senza il complice il brigante non esisterebbe, sia rinviato a quelle Corti d’assise da cui non s’ebbe ancora un esempio d’efficace ed esemplare castigo a questo riguardo? In tal guisa, signori, sarebbe inutile la legge, la quale si presenterebbe coi rigori d’una legge eccezionale e non raggiungerebbe lo scopo per cui temporaneamente vengono per essa sospese tante preziose guarentigie, che il patto costituzionale del regno assicura a tutti i cittadini d’Italia.

Per queste considerazioni riserbandomi di parlare quando me no darà facoltà il signor presidente per isvolgere le ragioni che avvalorano il mio emendamento, il quale tende esclusivamente ad ammettere la difesa innanzi ai tribunali militari straordinari per tutt’altre persone elle il militare stesso, che certamente non può inspirare confidenza all’imputato ed assicurare la pubblica coscienza.

Ritengo, signori, che l’emendamento Conforti toglierebbe alla legge ogni opportunità ed efficacia, in guisa che sarebbe meglio vederla respinta che votata coll’emendamento che ho finora con brevi argomenti combattuto. Lo ripeto, non si tenga conto dell’autorità del sostenitore, ma si guardino i fatti, la cui eloquenza è sempre irrecusabile e vai più di qualunque nome, di qualunque illustrazione, per quanto grande e rispettabile sia.

PRESIDENTE. Siccome l’onorevole Lovito è uno di quelli che hanno proposto un emendamento nel senso stesso del signor Conforti, se credesse di prender la parola in questo momento, gliela concederei.

Lovito. Vi rinuncio.

contorti. Se mi permettesse il signor presidente, darei un semplice schiarimento.

PRESIDENTE. Dia lo schiarimento.

contorti. Dapprima l’onorevole Melchiorre mi appunta d’inesattezza in fatto di teorica legale. Ma io gli domanderei: i soldati, i quali erano spinti dai paesani a disertare, erano giudicati dai tribunali militari, e coloro i quali li eccitavano a disertare da chi erano giudicati? Non erano essi giudicati dai tribunali ordinari?

massari. Per questo si è fatta la legge.

conforti. Ma si fece una legge eccezionale. Si rifletta che non si possono citare le teoriche generai i quando si tratta di una legge eccezionale.

Io poi mi meraviglio come l’onorevole Melchiorre venga a fare una lunga storia di tutte le leggi eccezionali sotto i Borboni, sotto il Governo militare.

Non si citano queste leggi dinanzi all’Assemblea. Noi abbiamo uno Statuto, e se facciamo una legge eccezionale, la facciamo per una necessità inesorabile.

Egli ha detto poi che i tribunali di Napoli non giudicarono nessun brigante. Io prego il guardasigilli di dare lettura dell’elenco delle cause che riguardano il brigantaggio. Sono state giudicate delle bande intiere; alcuni vennero condannati a morte, moltissimi vennero condannati ai lavori forzati a vita o a tempo. Dunque non è vero che la magistratura non abbia fatto il suo dovere.

Per queste ragioni io insisto sul mio emendamento.

PISANELLI, ministro dì grazia e giustizia. Io debbo dichiarare in nome del Governo di non accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Conforti e da altri nostri colleghi.

Alle ragioni che sono state in parte esposte dall’onorevole Melchiorre, ed esse mi sembrano convincentissime, ne aggiungerò poche altre.

Perché, signori, abbiamo istituito i tribunali militari? Forse per la ragiono allegata dall’onorevole Sineo, cioè perché la magistratura ordinaria non adempiva al suo dovere?

Parve che l’onorevole deputato Rattizzi avesse accettata questa supposizione, e da questa anzi deducesse la necessità dei tribunali straordinari. Ma se questa supposizione fosse vera, l'onorevole Sineo avrebbe avuto ben ragione a ripetere: no! migliorate i magistrati.

La ragione non è questa, e l’onorevole deputato Conforti che siede nella Cassazione di Napoli, che come vicepresidente di quella Corte può rendere testimonianza certa del modo con cui i magistrati delle Provincie napoletane abbiano adempiuto al loro compito, vale a respingere efficacemente qualunque arbitraria supposizione che si fosse fatta in contrario.

Io non seconderò l’invito dell’onorevole Conforti, facendo una esposizione dei giudizi che si sono dati dalle Assise di Chieti, da quelle di Lanciano, dalle Assise di Napoli e da quelle di Avellino e delle Puglie e delle Calabrie intorno alle cause del brigantaggio, e specialmente mi dispenso da ciò quando si è osato affermare arditamente che la magistratura napoletana non aveva adempito al suo compito senza allegare fatto veruno.

Fra non guari però sarà dal Ministero di giustizia pubblicata una statistica in cui saranno fatti chiari i lavori di tutte le Corti, di tutti i tribunali italiani, ed allora vedrà la Camera se i magistrati delle provincie napoletane non hanno con grande alacrità, con grande abnegazione sopportato uno strenuo e gravissimo lavoro.

Per ora mi limito ad una cifra soltanto: dirò alla Camera come nel primo semestre dello scorso anno 1863 le sezioni d’accusa delle Corti d’appello nelle provincie napoletane hanno portato giudizio sopra niente meno che 11,608 imputati, come dalle Corti d’assise di quelle provincie nel giro del medesimo periodo di tempo cioè nel primo semestre del 1863, furono giudicati niente meno che 4772 imputati.

Signori, quando queste cifre si riscontrano e si raffrontano alle cifre che danno le altre Corti non solo d’Italia, ma anche degli altri Stati d’Europa, si vedrà che per quanto amare, altrettanto sono ingiuste le accuse che si lanciano contro la magistratura napolitana; si vedrà che il lavoro sostenuto da quei magistrati è stato superiore a quello che offrono le statistiche di ogni altra Corte d’appello d’Europa.

Ma nondimeno, noi abbiamo istituiti i tribunali militari, e perché, o signori? Le provincie napolitane uscivano da una rivoluzione, cosa che spesso si dimentica da coloro che, nati in altre provincie, non pongono tutta la cura a bene studiare i fatti di quelle popolazioni. Una rivoluzione logora necessariamente tutte le forze tutelari dell’ordine, una rivoluzione eccita ire, rancori, passioni, inimicizie e desiderii incomposti, i quali non vengono a cadere che lentamente e col tempo; e solo lentamente e col tempo è possibile che si ristauri l’autorità delle leggi e che si ravvivino le nuove forze della nuova vita civile.

Se a queste condizioni se ne aggiunge un’altra, cioè quella del brigantaggio, oh! signori, voi vedrete in quelle popolazioni vacillare tutte le forze dell’ordine, rallentarsi e frangersi tatti i congegni che mantengono e avvalorano la vita sociale!

Che se il brigantaggio, per condizione strana oppure invincibile, si mostra in alcuni momenti vittorioso, si smarrisce quasi del tutto l’autorità del governo; la legge stessa si offusca, perde ogni suo prestigio l’autorità dei magistrati, e le popolazioni agitate e commosse invocheranno la forza, come sola valida difesa di ogni diritto conculcato. E il diritto stesso deve riassumere allora quelle primitive sembianze che ha nell’infanzia della società; e che ripiglia sempre quando la momentanea prepotenza di forze eslegi minaccia la rovina della società e l’anarchia.

I tribunali ordinari non bastarono nelle provincie ferocemente infestate dal brigantaggio, ma perché? Perché le forze consuete, i congegni ordinari, non bastano a scongiurare la sinistra influenza ed il terrore che in alcuni momenti può imprimere il brigantaggio. Non si trova chi denunzi i colpevoli, mancano i testimoni, e la giustizia rimane priva di tutti quei mezzi coi quali deve procedere e senza de'  quali non è possibile l’azione ordinaria dell’amministrazione pubblica. D’altra parte la giustizia ordinaria non può procedere che con le cautele convenienti ad uno stato normale; e quando avete bisogno di giudizi celeri e spediti, perché a questo solo patto si mostrano efficaci, essa mi sembra lenta e fastidiosa. Voi dovete eleggere i tribunali militari.

Questi tribunali però potete volerli, potete non volerli; ma se li volete, o signori, dovete volerli quali essi sono. Se li volete per gli autori principali, pei briganti, e li rifiutate pei complici, allora rifiutateli per tutti.

Sebbene questa sia una legge eccezionale, sarà forse vero che in una legge eccezionale non ha impero il principio che ha invocato giustamente l’onorevole deputato Melchiorre? Che il giudizio si spedisca sotto una legge ordinaria, o che si compia sotto una legge eccezionale, sarà sempre vero che voi non potete scinderlo; voi non potete. scindere giudizi i quali, per la loro indole legale, sono assolutamente indivisibili. Tale è il giudizio degli autori principali e dei complici.

Come mai immaginereste due giudizi, uno per procedere contro gli autori principali, l’altro per procedere contro i complici? Non pensate che uno potrebbe essere assolto da un’autorità e l’altro condannato da un’autorità diversa?

D’altra parte, o signori, non è stato forse ripetuto infinite volte in questa Camera che, se occorreva di combattere i briganti nelle campagne, era anche più necessario combatterli nelle città, perché i paesi ove si rannidavano i manutengoli erano il covo più reo del brigantaggio medesimo? E non potrebbe accadere, e non è accaduto spesse volte, che colui che scorre le campagne sia un uomo abbietto, ma misero, ma infelice, il quale non sia che istrumento di chi, nascosto in un palagio, lo incita, lo soccorre, lo aiuta?

Ebbene, voi vedreste il tribunale militare eretto contro il misero, ed il ricco, che sta nascosto, ma che è il fautore principale del brigantaggio, voi lo circonderete di tutte quelle cautele che in tempi ordinari debbono preferirsi, ma che in tempi straordinari si mostrano disadatte e insufficienti.

Non dico questo, o signori, per indurre nell’animo di alcuno il concetto che i tribunali militari condannino spensieratamente.

Ai tribunali militari è possibile un giudizio pronto e spedito. Ma io potrei provarvi coi risultati stessi dati dai tribunali militari quanta sia la loro temperanza. E ciò lo dico tanto ad onore de’ tribunali militari, quanto a conforto della magistratura sì spesso accusata di rilassatezza.

Di trenta manutengoli accusati dinanzi a un tribunale militare ho visto che ben più di venti furono assolti.

I tribunali militari hanno reso un grande beneficio al paese, hanno cioè annullato il concetto e il desiderio delle vendette private. Arrestato un brigante, pareva esso immancabilmente devoto all’ira ed alla vendetta delle popolazioni che si credevano afflitte o minacciate dai briganti, ed esse accorrevano come per dissetare la loro sete nel sangue dello sciagurato che era caduto nelle loro mani. Però spesso l’arresto di un brigante dava luogo a tumulti ed a scene sanguinose. Spesso l’arresto di un delinquente era causa di nuovi delitti. Queste agitazioni esprimevano l’impazienza di ogni indugio perché fosse fatta giustizia.

I tribunali militari sotto questo aspetto hanno prodotto un grande beneficio, essi sono riusciti, come molti deputati hanno convenuto, ad acquetare quelle impazienze, a vincere quelle agitazioni ed a ricondurre nell’animo di tutti il concetto che non vi può esser pena che non sia inflitta in virtù della legge, e da un tribunale dalla legge instituito.

Egli è per queste ragioni che io respingo l’emendamento dell’onorevole Conforti.

Bixio. Domando la parola per un fatto personale.

Melchiorre. Domando la parola per rischiarare un fatto che non è stato bene inteso.

Voci. No! no!

PRESIDENTE. Ella vede che la materia è molta; abbiamo molti articoli da votare; procuriamo di non interrompere il corso normale della discussione.

BIXIO. Domando la parola per un fatto personale.

PISANELLI, ministro digrada e giustizia, lo dichiaro che non intesi di fare alcuna imputazione.

Melchiorre. Io, quando sviluppava le mie argomentazioni non ha guari sul doloroso tema che ci occupa, non intendeva infliggere alcun biasimo alla magistratura creata nel 6 aprile 1862; solo attestava un fatto ed é che le Corti d’assise non hanno giudicato finora i briganti che scorrono le campagne, ed affinché la Camera apprezzi la verità di questo fatto è d’uopo che tenga presenti due fasi del brigantaggio, delle quali sembrami non siasi finora da alcun oratore tenuto conto.

Noi nel 1860 abbiamo avuto sanguinose reazioni che hanno costato molte lagrime e fatto versare molto sangue, e gittate nella miseria onorate famiglie del Napoletano... (Rumori)

PRESIDENTE. Questo è più che uno schiarimento. Io non posso permettere che taccia un nuovo discorso.

MELCHIORRE, Queste ragioni in parte sono state dalle Corti d’assise...

PRESIDENTE. Io non posso lasciarla continuare.

L’onorevole Rattazzi ha facoltà di parlare per un fatto personale.

RATTAZZI. L’onorevole guardasigilli ha supposto che io accettassi senza nessuua riserva la censura che l’onorevole Sineo aveva gettata sulla magistratura napoletana, quasi che essa avesse fallito nel compimento dell’ufficio suo.

Io credo che il signor ministro abbia frantese le mie espressioni. A niuno meno che a me poteva venire in mente di accusare quella magistratura, ed il signor ministro non può ignorarlo.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Si, è l’autore.

RATTAZZI. Fra gli argomenti che ho addotto in difesa della legge non ho fatto il menomo cenno dei magistrati napoletani, né ho detto che abbiano o non abbiano eseguito il debito loro. Bensì confutando un’osservazione dell’onorevole Sineo quando egli invocava come argomento per respingere la legge il difetto di questi magistrati, allora per dimostrare come fosse mal ferma la sua argomentazione, e come la medesima dovesse anzi condurre ad una conseguenza opposta, gli risposi: se è vero questo fatto, sarebbe anzi un argomento maggiore per accettare i tribunali militari, e così approvare il progetto di legge.

Non era che un mezzo di rispondere all’onorevole Sineo, combattendolo cogli stessi suoi argomenti: ma evidentemente non fu e non poteva mai essere il pensiero di riconoscere e di accettare come fondato quel biasimo alla magistratura, che essa certo non merita.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Sono lieto della dichiarazione fatta dall’onorevole Rattazzi.

BIXIO. L’onorevole guardasigilli ha detto che in questa Camera si era parlato arditamente contro la magistratura delle provincie meridionali senza provar niente.

Ora io ho detto francamente il mio pensiero su quella magistratura, ma non ho creduto di dover appoggiare le mie parole ad alcuna prova, ben sapendo di non poterne addurre maggiori di quelle che al ministro son note.

Però assai mi preme di mantenere che quel che ho detto non lo dissi a caso.

L’onorevole guardasigilli si ricorderà che, venuto egli nel seno della Commissione d’inchiesta per udire la lettura della relazione, insistette perché si togliessero alcune frasi dalla medesima che a quella magistratura si riferivano; noi potè ottenere, perché si ritenne dalla Commissione che quel rimprovero per alcuni membri della magistratura di quelle provincie era veramente fondato.

Del resto l’onorevole guardasigilli non ha, per convincersene, che a fare una cosa: percorra i rapporti stessi dei membri più elevati della magistratura di Napoli, e vedrà che vi sono delle lagnanze su molti di essa.

Noi non avevamo speciale missione di fare inchiesta particolarmente sulla, magistratura, ma è un fatto certo, ed era debito della Commissione d’inchiesta di dirlo, che, in termini generali, secondo l’opinione pubblica delle provincie meridionali, la magistratura non esercita quell’influenza morale che dovrebbe, ed è accusata di non aver usato energia nell’adempimento de’ suoi doveri.

DE BLASIIS. Domando la parola.

BIXIO. Io credo che la prudenza debba essere portata fino al punto in cui l’imprudenza degli altri spinge a passare il proprio confine.

Io credo che la Commissione d’inchiesta ha raccolti abbastanza dati: in una Corte d’appello che l’onorevole guardasigilli ben conosce furono raccolti dati a sufficienza perché si fosse iniziata una speciale inchiesta sopra la Corte stessa. È un fatto certo che in una provincia della Basilicata havvi certa gente di cui l’opinione pubblica non solo mormora, ma indica precisamente come di essere stata a capo del movimento reazionario. E pure un fatto che nelle carceri della Basilicata, carceri state da noi visitate replicatamente in alcuni giorni, abbiamo trovati rinchiusi degl’individui che nessuno sapeva vi fossero. (Mormorio) E un fatto che quei signori più odiosi, che oggi furono mandati al domicilio coatto in altre provincie, sono indicati come i capi di quei movimenti, e che per essere ricchissimi, hanno in fondo saputo tirare il sasso e nascondere la mano.

Ora, ripeto, noi abbiamo indicati fatti abbastanza perché si procedesse regolarmente.

Elia è cosa accertata che in termini generali in alcune patti la magistratura del Mezzogiorno non ha saputo o non ha voluto fare il suo dovere; e mi pareva, dicendo questo, di tenermi nei limiti della moderazione. Ora il signor guardasigilli come ministro, è venuto a dirci diversamente, ed avrà le sue ragioni di dirlo, avrà creduto con questo di dar forza morale alla magistratura, e come ministro avrà ragione, ma bisogna pur ricordarci che noi pure siamo tali che abbiamo fatto il compito nostro, che abbiamo raccolto dei materiali, che siamo venuti qui a riferire al Parlamento il risultato dell’inchiesta, e non potevamo lasciar credere che venissimo qui a lanciar parole che potessero sembrare imprudenti senza avere prove all’appoggio.

Io credo fosse mio debito di dir questo, e per quanto possa essermi costato il dirlo, per quanto io sia pieno di rispetto per il guardasigilli, per quanto comprenda che la sua posizione è tutta eccezionale per lui come ministro, egli comprenderà che vi sono delle cose che non si possono lasciar passare, ed io credetti di non dover lasciar passare quelle che egli disse, mirando a quanto io ebbi l’onore di dire l’altro ieri parlando su questo argomento.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Quando io aveva levata la voce a difesa della magistratura napoletana, mi era innanzi alla mente il lungo discorso dell’onorevole Sineo che si aggirava su questa materia.

Sineo. Domando la parola per un fatto personale. {Rumori)

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Certamente ad esso aveva dato occasione una frase dell’onorevole Bixio che io credeva a lui sfuggita, cioè che in quelle provincie la Commissione d’inchiesta aveva raccolto lagnanze frequenti e generali sulla magistratura; io sapeva, anche prima che la Commissione d’inchiesta andasse in quelle provincie, che esistevano queste lagnanze. Ma potrei domandare all’onorevole Bixio, quantunque non intenda di fare una precisa interpellanza perché vi sono delle questioni in cui è meglio non inoltrarsi molto, domanderei all’onorevole Bixio se delle altre amministrazioni di qualunque natura non si sono raccolte accuse, se non si sono raccolte lagnanze.

Io ho rammentato poc’anzi e lo ripeterò che in un paese che esce da una rivoluzione, che è stata potentissima negli Spiriti, e che era stato per molti anni governato pessimamente, si svegliano naturalmente ire e passioni, e non di rado lamenti e querele vivissime,

L’onorevole Bixio ha citato un fatto il quale ha dato luogo a più speciali lagnanze.

Io debbo dire solamente che ho visto e letto i verbali raccolti dalla Commissione d’inchiesta intorno a quel fatto, e che non ho mancato per parte mia di prendere tutte quelle misure le quali mi parevano convenienti per quel caso. Da queste lagnanze però non può dedursi il concetto sul quale pareva che altro oratore si appoggiasse, cioè che i tribunali straordinari siano stati là stabiliti perché la magistratura non adempiva il suo compito.

Una proposizione di questa fatta lanciata contro tutti i magistrati delle provincie napoletane certamente non poteva da me essere ammessa. Io avevo il debito di protestare contro questa proposizione, tanto più che in coscienza mi consta che la maggior parte dei magistrati hanno sopportato, dopo la nuova organizzazione, lavori gravissimi con abnegazione e con sacrificio.

PRESIDENTE. Il deputato Cannavina ha facoltà di parlare; mi permetta però prima un’osservazione.

Veggo chela discussione tra i fatti personali e le repliche degli oratori in vario senso minaccia di scompigliarsi, rivolgerei quindi agli onorevoli deputati due preghiere.

La prima di fare qualche sacrifizio in ordine a ciò che non sarebbe propriamente un fatto personale, ma sarebbe l’espressione piuttosto di individuali opinioni, quindi di attenersi al fatto puramente e rigorosamente personale.

Ebbimo tutti molta parte, qual più qual meno, a gravi fatti politici; bisogna perciò ben guardarsi dal considerare per fatti personali quella parte qualunque che siasi avuta nell’esercizio di funzioni o di uffici collettivi od individuali, o nella manifestazione delle proprie opinioni in questa o quest’altra congiuntura d’ordine pubblico; altrimenti non vi sarebbe quasi atto od opinione manifestata che non vestisse il carattere di fatto personale.

La seconda preghiera ch’io rivolgo agli onorevoli deputati si è di non domandare la parola due volte sullo stesso argomento; insomma io li prego di stare al regolamento, di adempiere al loro dovere, perché il presidente possa adempiere il suo.

CANNAVINA. Ho domandato la parola per discorrere nello stesso senso in che ha parlato l’onorevole Melchiorre, cioè oppormi all’emendamento dell’onorevole Conforti: ma poiché l’onorevole Melchiorre mi ha prevenuto nella parte storica, e l’onorevole guardasigilli mi ha prevenuto nella parte logico-morale, il mio discorso va ristretto, e non farò che esporre poche osservazioni per evitare P inconvenienza delle ripetizioni.

E pericoloso, o signori, lasciar decidere da due magistrati diversi una stessa quistione. Il fatto è sempre uno: il brigantaggio, nel quale più persone sono concorse in diverso modo, e contro le quali stanno i singoli fatti che però convergono ad un medesimo punto, come i rami di un albero al medesimo tronco, e debbono essere giudicati da un solo e medesimo giudice, per essere ben valutati, sia che riflettano l’autore, sia che riflettano il complice dello stesso fatto. Se si andasse a diverse giurisdizioni, a diversi magistrati, potrebbe essere il fatto nel suo tutto o nelle sue parti calcolato diversamente, secondo il sentire di ciascun magistrato, ed allora si avrebbe contraddizione di giudicati, lo che devesi sempre evitare.

Ma vi ha un’altra ragione pratica, la quale respinge assolutamente l’idea della separazione del giudizio del complice dal giudizio dell’autore principale.

Il procedimento d’istruzione della Corte militare è ben diverso da quello d’istruzione delle Corti ordinarie. L'istruzione è abbreviata innanzi ai giudici militari; presso il giudice ordinario è più formale e più lunga. Arabe le istruzioni però tendono al medesimo fine, vuol dire allo scovrimento ed alla punizione dei briganti e dei complici. Ora, se le istruzioni presentassero risultamenti diversi, cioè che non chiarissero che Tizio era brigante ed aveva relazioni criminose con Sempronio; e l’altra desse per risultamento che Tizio non era brigante, quantunque in istretta relazione con Sempronio, ben diverso sarebbe il giudizio dei due diversi giudici, e vi sarebbe contraddizione di giudicato sul medesimo fatto. Quindi è necessità che una sia l’istruzione, uno il procedimento, uno il giudice dell’autore del crimine e del complice per potersi avere un giudizio esatto, legale, privo di qualsiasi contraddizione.

Se pure una potesse essere l’istruzione e potesse passare da una giurisdizione all'altra, dopo che decisa la causa dell’autore dovesse essere decisa quella del complice, basta considerare che diverso è degli uomini il modo di vedere e sentire, per dover temere con troppa facilità una diversità di pronunziazioni cozzanti tra loro.

D’ONDES-REGGIO. La parola, signor Presidente.

CANNAVINA. Non dirò di più su questa parte, avendo l’onorevole ministro guardasigilli detto abbastanza. Passo ad altre osservazioni. Non posso nascondere che mi sorprende fortemente tanta tenerezza ed indulgenza verso i complici dei briganti, mentreché sono essi assai più detestabili di costoro, i quali se si gettano in campagna col fine di delinquere, vanno pure esposti a gravi disastri e pericoli, ai colpi de’ moschetti dei soldati, della guardia nazionale e di altri, non che a morte di freddo e d’inedia se fossero abbandonati. Ora il complice che sicuro in sua casa anima la mano del brigante, e vede con ciglio asciutto e gaudente colpita la famiglia del suo vicino nelle persone, nella proprietà e nell’onore, e soccorre ancora la mano iniqua, perché abbia a continuare nelle scelleratezze, è ben egli la causa vera del brigantaggio, è desso il vero flagello della Società.

Questa è la varia condizione del complice e del brigante; ed io dico che assai più spregevole è il primo che il secondo, e che dovrebbero i complici perciò essere trattati assai più severamente dei briganti, locché non fa la legge in discussione, perché non fulmina contro di essi neppure quelle sanzionate nel Codice penale, e ciò è difetto per mitezza e non per rigore.

Anche po’ principii di diritto vi sarebbe nella specie una ragione per punire più severamente il complice che il brigante stesso. Infatti nelle teoriche di diritto per le complicità, sta che quando vi hanno associazioni di malfattori che si fanno a delinquere, bisogna distinguere la parte dell’autore da quella del complice, per punire questo con più mitezza, e ciò per ragione di giustizia e di equità; perché, quando gli associati intendono alla consumazione del reato, ed uno mette la mano che bagna nel sangue del suo simile, ed un altro semplicemente coadiuva, senza prender parte nella consumazione, costui non ha messo altro che la volontà, punibile sì, ma certo con minor rigore, perché l’orrore per coscienza universale sta più contro il primo che contro questo.

Ma vi è pure una ragione politica che impone una diversità di pena tra l’autore ed il complice, quella di gettare la discordia tra i malfattori, perché ciascuno prevedendo la pena in caso di scovrimento, si facesse a scegliere la parte secondaria; e nella dissidenza venisse a mancare chi assumesse la parte di esecuzione; ed il pensiero criminoso restasse smesso.

Ora, nel fatto del brigantaggio le parti sono naturalmente assegnate, e non può esservi discordia nella scelta, epperò i complici non dovrebbero essere trattati con pena diversa da quella spettante al brigante. Il parroco retrivo, il quale ha relazione col brigante, soccorso in ogni modo con la di lui influenza, si rimane in sicurtà nella sua casa; il pastore che serve di veicolo tra la campagna e la città, ossia tra il brigante ed il parroco, rimane in quel luogo dove la sua condizione lo pone: ed il brigante non vuole, nò può volere che il pastore o il parroco sieno briganti al pari di lui, che prendano le armi e scorrano la campagna, perché in tal caso gli mancherebbe l’aiuto che tanto gli è necessario per sostenersi fuori il consorzio umano, di cui ha minacciato la distruzione.

Impossibile adunque sarebbe la discordia per diversità di pena, epperò essendo i complici che soccorrono i briganti la causa e il sostegno del brigantaggio, la logge avrebbe dovuto più infierire contro dei primi che contro dei secondi, perché la causa deve essere presa di mira più che l’effetto.

Io avrei voluto proporre un emendamento per accrescere la pena contro i complici; ma mi sarei inteso ripetere quel che altra volta nell’ufficio mi fu detto, quando si discuteva il primo progetto di legge sul brigantaggio, che ciò sapeva di crudeltà, ed io per non sentirmi novellamente chiamare crudele mi sono astenuto di tale emendamento; ma senza dubbio la legge è mite contro i complici, i quali non meritano alcuna indulgenza.

E se i complici sono quelli che dovrebbero essere più severamente trattati, non saprei spiegare perché il giudizio nel loro interesse dovesse ancora essere ritardato per loro maggior vantaggio col rito e con la giurisdizione ordinaria.

Noi sappiamo, o signori, che ci è bisogno di esempio c di pronto esempio che ha portato il maggior utile mercé di questa legge, perché, quando la punizione si è vista istantaneamente applicata, non più si è detto che la ragione penale era una chimera, ed allora i manutengoli si sono atterriti e non si sono più prestati volonterosi come per lo passato. Quando invece la punizione va per le lunghe, allora molto si spera e si delinque con più franchezza.

Il giudizio di Cipriano La Gala e dei suoi consorti non è stato ancor fatto, perché il procedimento ordinario è lungo e non si sa quando si farà. (Movimento) Intanto La Gala e gli altri sperano di vedersi impuniti e di ritornare a nuovi misfatti. Lo stesso sarebbe avvenuto per Caruso se si fosse dovuto serbare il procedimento ordinario. Caruso non sarebbe spento ancora e la sua vita sarebbe un insulto alle nostre istituzioni. 1 scellerati non debbono nutrire speranza di tornare alla società. (Bravo!)

Nè si dica che io abbia sete di sangue; certamente che no: con la morte dei malvagi io guardo alla vita delle vittime fatte segno al pugnale degli assassini che debbono essere garantite; e conchiudo che la punizione dei malvagi è necessaria e debbe essere prontamente fulminata. E la Camera, spero, vorrà che il giudizio dei complici non sia men duro, né più tardo di quello dei briganti. (Segni di approvazione)

SINEO. Io mi unisco all’onorevole preopinante pelle generose parole che egli ha pronunziato contro i complici, i quali vorrei veder puniti e ricercati con maggior cura ancora degli agenti materiali. Ma non è questo un motivo sufficiente per sottrarli alla giurisdizione ordinaria.

Non dimenticate, o signori, che i procedimenti contro i complici debbono essere specialmente diretti a guadagnare in nostro favore l’opinione pubblica d’Europa. Non potranno produrre questo effetto se non saranno che sentenze di tribunali eccezionali, poiché, credetelo pure, qualunque sia il paese in cui s’istituiscono tribunali eccezionali, potranno questi produrre qualche volta dei buoni effetti, ma non danno mai un compiuto appagamento alla pubblica opinione.

Io dunque che voglio non solo che i complici sieno puniti, ma che le sentenze contro di essi pronunciate od in contraddittorio od in contumacia abbiano l’assenso ed il plauso dell’Europa, ed acquistino al nostro paese il credito che merita, debbo consentire coll’onorevole Conforti acciocché questi procedimenti non siano affidati a tribunali eccezionali. Riconosco gl’inconvenienti che sono stati svolti dall’onorevole preopinante ed erano stati prima enunciati dall’onorevole guardasigilli. È vero, ci sarà qualche anomalia, ci saranno imbarazzi non lievi in ciò che i procedimenti contro gli agenti materiali sieno trattati innanzi ai tribunali eccezionali, mentre ai tribunali ordinari verrà affidato il profferire le sentenze contro i complici. E proprio di tutte le misure eccezionali di dar luogo a conseguenze non sempre perfettamente logiche. Quindi, ad onta delle osservazioni molto gravi presentate dall’onorevole preopinante, m’associo alle conclusioni dell’onorevole Conforti. Mi vi associo quantunque io mantenga le parole da me pronunciate che, in quanto ai procedimenti coi quali si sarebbe dovuto prevenire e reprimere il brigantaggio, la magistratura nelle provincie meridionali non ha sempre fatto il suo dovere. Io spero ch'essa farà il suo dovere nell’avvenire.

Su questo proposito soggiungerò ch’io non mi aspettava che il signor guardasigilli avesse creduto di poter dire che si fosse fatta alla magistratura una censura senza che se ne fossero addotte le prove.

Io ho accettate le dichiarazioni che erano state fatte da un membro della Commissione d’inchiesta; era questo per me una prova sufficientemente autorevole. Ma non mi sono contentato di questa prova. Ho addotti anche gli elementi della mia particolare convinzione; li ho sviluppati lungamente. Probabilmente sarà accaduto in questo caso come accade qualche volta, diesi vuol rispondere a discorsi senza averli sentiti (Si ride), ed è facile allora non rispondere adequatamele.

Io non ripeterò le cose che ho dette; esse sono stampate negli atti della Camera, e del resto, molti deputati

mi furono cortesi della loro attenzione. Tutto ciò a che non si è risposto sta fermo. Perciò a quanto ho detto mi riferisco. (Segni di approvazione a sinistra)

Voci. Ài voti! la chiusura!

castagnola, relatore. Chiederei di dire qualche parola.

Voci. No! no! La chiusura!

D'ONDES-REGGIO. Domando la parola contro la chiusura.

PRESIDENTE. Domando se la chiusura è appoggiata.

(E appoggiata).

Ha la parola l’onorevole D’Ondes-Reggio contro la chiusura.

D'ONDES-REGGIO. Ho chiesto di parlare contro la chiusura perché alle ragioni esposte dall’onorevole Conforti e avvalorate dalla sua autorità in questa materia, non vi ha alcuno che abbia risposto. Non l'onorevole guardasigilli, e non l’onorevole Cannavina. Entrambi hanno parlato di tutt’altre cose; hanno sostenuto che i complici sono scellerati; ma chi ha mai messo in dubbio che i complici di briganti siano scellerati? Hanno detto che questi complici sono forse più scellerati degli stessi autori principali; e sia ancora, ma la questione non è questa. La questione è di sapere, come ha detto l’onorevole Conforti, se i tribunali militari possano subitaneamente conoscere quali siano i complici. L’onorevole Conforti ha propugnato che ciò non è possibile, perché complicità è reato di assai difficile cognizione, ed io affatto abbraccio la sua opinione. Risponda adunque almeno il ministro di giustizia.

Una voce. Questo non è contro la chiusura.

PRESIDENTE. Ma così ella entra nel merito.

D'ONDES-REGGIO. Il merito si è che né il guardasigilli, né il deputato Cannavina non hanno risposto alle ragioni addotte dall’onorevole Conforti.

PRESIDENTE Io debbo sospendere la deliberazione sulla chiusura per far cenno di un nuovo emendamento dell’onorevole Tecchio, il quale vorrebbe che dopo la parola complici si aggiungesse e i ricettatori.

Io darò la parola all’onorevole Tecchio se intende svolgere il suo emendamento, cioè le ragioni di questa sua aggiunta, con preghiera però di limitarsi unicamente a questo punto, perché quanto al resto è in corso la chiusura.

TECCHIO. Mi limito all'emendamento da me proposto, senza toccare il merito.

Dall’indole stessa del mio emendamento risulta come io sia d’accordo colla Commissione che i complici debbano essere aneli’ essi giudicati dai tribunali militari.

Credo però che alla parola complici sia necessario aggiungere le parole e i ricettatori.

Da un canto veggo che la Commissione ha inteso di estendere la legge anche ai ricettatori. Ciò risulta dall’articolo 4 che stabilisce le pene dei ricettatori e somministratori di armi, munizioni, viveri ed altri aiuti.

Dall’altro canto i ricettatori non sono indicati in questo articolo 2 che parla della competenza o della giurisdizione.

Ora, secondo il nostro Codice penale, i ricettatori non sono considerati come complici. E bensì dichiarato nell'articolo 738 che sono puniti come complici i ricettatori di cose depredate, rubate, truffate, o simili, ma tranne quel caso che è limitato ai reati contro le proprietà, basta leggere gli articoli 163 e 429 per comprendere che i ricettatori non sono dal nostro Codice né qualificati, né puniti come complici.

Dunque, appunto perché egli è intento della Commissione di comprendere nella legge i ricettatori, è necessario ch'essi vengano espressamente additati, non meno che i complici, nell’articolo 2. Altrimenti si avrebbe l’assurdo che per questa legge i ricettatori sarebbero assoggettati ad una pena speciale al pari dei complici, e che nondimeno verrebbero giudicati dai tribunali ordinari, per quantunque i complici vengano assoggettati coll’articolo 2 ai tribunali militari.

PRESIDENTE. Pregherei ora la Commissione a dire il suo avviso sopra le due questioni delle quali si tratta, vale a dire su quella che concerne la soppressione della parola complici, e su quella ora sollevata dall’onorevole Tecchio che ha per oggetto l’aggiunta della parola ricettatori.

castagnola, relatore. La Commissione non accetta l'emendamento proposto dall’onorevole Conforti, il quale è perfettamente identico a quello proposto dall’onorevole Lovito e da altri deputati.

Le ragioni per cui lo respingo furono svolte già dal guardasigilli e da altri oratori, per cui io mi limiterò a dire che se fossero accolti i detti emendamenti svanirebbe perfettamente lo scopo della legge, ed allora converrebbe quasi quasi pregare il Ministero a ritirarla.

Signori, questa legge è stata fatta precisamente per i complici e per i manutengoli, perché, in quanto al punire sommariamente i briganti colti colle armi alla mano, forse non ve n’era bisogno, perché era un’osservanza generalmente riconosciuta, contro la quale nessuno aveva mai protestato, neppure la magistratura, neppure i procuratori generali, che i briganti presi colle armi alla mano venissero immediatamente fucilati, locché si riguardava come una conseguenza ancora della lotta.

Dunque, io vi ripeto, se vi è uno scopo, è quello di incutere un salutare timore nei complici, il far sì che essi si scostino dai briganti; questo è lo scopo, ed è precisamente a questa disposizione legislativa che si devono i benefici effetti i quali si sono conseguiti.

Per questi motivi adunque io credo che non sia conveniente di accettare detto emendamento, tanto più che ella è massima universale di giurisprudenza che sieno sempre conosciuti da uno stesso giudice tutti quei reati che hanno tra di loro connessione.

Quindi è che, secondo l’articolo 19 del Codice di procedura penale, le Corti d’assise, per quanto non debbano conoscere che di determinati reati, pure, se ve ne sono altri che hanno connessione coi medesimi conoscono anche di essi, per quanto non sieno che delitti di competenza dei tribunali o semplici contravvenzioni.

Per questi motivi adunque la Commissione non accetta l’emendamento dell’onorevole Conforti e di altri deputati.

Quanto al l’emendamento proposto dall’onorevole deputato Tecchio, dirò che la stessa non lo respinge, anzi a questo riguardo crede con veniente di chiarire quale sia l'interpretazione che essa ha data alla parola complici. Dessa ha creduto che la parola complici debba intendersi, non nel senso preciso e stretto, ma nel senso più largo, che, cioè, comprenda tutti quei delinquenti che hanno attinenze colpevoli co' briganti. Però, come ho detto, la Commissione non respinge l’emendamento TECCHIO. Ma se si accetta, sembra allora alla stessa che ne derivi un’altra conseguenza, ed è che se mai si vuole adoperare la parola complice nel senso ristretto come verrebbe ad essere adoperata, ove di fianco alla stessa si mettesse la parola ricettatori, onde completare la disposizione legislativa converrebbe aggiungerne un’altra, converrebbe dire eziandio gli agenti principali. Potrebbe altrimenti dubitarsi che i medesimi, quelli, cioè, che danno mandato di commettere reati, coloro i quali con doni, promesse e lusinghe spingono i briganti, potessero sfuggire la sanzione legislativa.

Dunque mi sembra che se si vuole usare la parola complici, nel senso stretto, allora converrebbe a fianco di questa qualificazione di complici, non solamente restringersi ad ammettere la parola ricettatori, ma introdurre anche quelle di agenti principali, onde far sì che nessuno dei colpevoli sfugga all’azione della giustizia militare.

Per questi motivi adunque la Commissione non rigetta l’emendamento proposto dall’onorevole Tecchio, ma crede conveniente che per completare la sua idea convenga anche aggiungere le parole agenti principali.

TECCHIO. Domando la parola in seguito alle dichiarazioni dell’onorevole relatore.

PRESIDENTE. Pia facoltà di parlare.

TECCHIO. Se si mantiene come è scritta nell’articolo la parola complici, i tribunali militari non applicheranno la legge se non a coloro che complici sono dichiarati dalla legge comune; perché evidentemente, quando la legge speciale non dà una definizione diversa da quella della legge comune, sta in vigore e deve essere applicata la definizione data dalla legge comune.

Credo dunque necessario aggiungere la parola ricettatori per questo, perché di regola, come ho dianzi accennato, i ricettatori dal Codice penale non sono considerati né come agenti principali, né come complici del reato d’altrui, ma la ricettazione è considerata come un reato sui generis.

Non credo poi necessario di aggiungere, seeondoché vorrebbe l’onorevole relatore, le parole «gli agenti principali,» perché il Codice penale ha già parificato gli agenti principali agli autori del reato, e li ha sottoposti alla pena medesima degli autori, come è facile a vedere nell’articolo 104 del detto Codice.

Quindi, per non involgere di soverchi vocaboli la legge, basta aggiungere al testo dell’articolo, dopo la parola complici, le parole e i ricettatori, e con ciò è perfettamente raggiunto il voto della Commissione.

PRESIDENTE. La Commissione si limiterebbe adunque a quest’emendamento, oppure vorrebbe aggiungere altre parole?

CASTAGNOLA, relatore. Mi rimetto all’avviso dell’onorevole guardasigilli.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Io non credo necessaria l’aggiunzione delle parole agenti principali in quanto che li ritengo compresi nella dizione dell’articolo.

PRESIDENTE. Trattandosi di porre ai voti la chiusura della discussione sull’emendamento Conforti, ricorderò nuovamente come vi siano quattro emendamenti, compreso il suo, nel senso medesimo; si differenziano solo in più o meno di estensione.

Tra questi ve n’ha uno altresì, come già notai, dell’onorevole Mancini.

Così se la Camera lo crede, e nella speranza che con una discussione sola si esauriscano quattro emendamenti, io darei la parola all’onorevole Mancini, perché svolga sin d’ora il suo.

MANCINI. Essendosi finora discusso intorno all’identico concetto che informa il mio emendamento, mi permetterò soltanto con qualche osservazione rispondere all’unico argomento, per quanto mi pare, con cui l’onorevole relatore della Commissione lo ha testé combattuto.

Egli ha detto che laddove si consentisse negli emendamenti, i quali vorrebbero riserbare il giudizio sui complici e sui ricettatori ai tribunali ordinari, la legge diverrebbe inutile; che la legge è fatta anzi propriamente ed esclusivamente per costoro; che se ad essi non si dovesse applicare, quasi bisognerebbe invitare il Ministero a ritirarla. Se queste parole non fossero contraddette, e dimostrate niente più che un movimento oratorio, potrebbero esercitare qualche influenza sul giudizio dell’Assemblea.

Ora a me torna facile far palese come la legge anche emendata secondo le nostre proposte, dovrebbe riconoscersi nonché utile, necessaria.

Ed in vero l’onorevole Castagnola disse che per quanto riguardava i membri delle bande i quali fossero presi a mano armata ci era per essi anche prima della legge una giustizia più sommaria e più pronta di quella che rendono i tribunali militari, e che in conseguenza la legge non avrebbe avuto ragione di essere per costoro.

Non posso astenermi dal rispondere, in primo luogo che, quando non si fosse trattato di altro che di rendere legale, di coordinare ad un legittimo uso dell'autorità sociale, e di circondare di una qualche garanzia l’esercizio di un pericoloso o formidabile potere nelle condizioni straordinarie ed eccezionali in cui si trovava una parte del paese, sarebbe stata questa sola una ragione più che sufficiente, anzi titolo di bisogno eminente perché una legge autorizzasse l’applicazione di sanguinosi supplizi; con ciò soltanto un deplorabile sacrifizio di umane vite potè cessare di essere abuso e delitto e divenire un penoso olocausto sull’altare della patria.

Apprezzo troppo lo spirito di giustizia che anima l’onorevole Castagnola e tutti i nostri colleghi, perché io non abbia a temere che questa mia proposizione possa incontrare contraddizione. Ma ciò non è tutto. Se i briganti presi colle armi alla mano anche prima della legge erano talvolta fucilati, si avverta che la legge a noi proposta non riguarda soltanto costoro, ma punisce altresì con giusta severità tutte le persone che abbiano fatto parte di qualunque comitiva o banda armata di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti. Ed una giurisprudenza antica nelle provincie napoletane formata sopra i decreti poco dissimili promulgati nel 1821, ha ritenuto che basta la formazione ed esistenza della banda ed il proposito d’andar commettendo crimini o delitti, perché ogni componente della medesima, sebbene ei potesse provare di aver le mani ancor monde di sangue, di non aver ancora commesso furti o reati di sorta, dovesse incorrere nelle relative gravissime pene del reato di partecipazione a bande o comitive armate.

Ed infatti, in un altro articolo della legge che è in discussione, e che trovavasi del pari nella legge somigliante che la prima volta abbiamo votato, si stabilisce la pena estrema per chi è preso colle armi alla mano, ma vi è pure stabilita gravissima pena per qualunque coro ponente di comitive o bande armate di tre persone, le quali vadano scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti. Ecco adunque un’altra parte importante della legge, la quale colpisce e reprime individui, che prima e senza la legge certamente o erano fucilati e trattati con soverchio rigore, o rimanevano impuniti. Ed in ciò l’utilità e la pratica efficacia della legge è di per sé manifesta.

Osservi pertanto la Camera che rispetto a tutte codeste classi di colpevoli nulla si cangia alla proposta della Commissione e del Ministero, in ciò che concerne la competenza. La competenza per costoro rimane sempre dei tribunali militari; e chiunque sia accusato di aver fatto parte di una banda armata, ancorché si tratti di un individuo non preso colle armi alla mano, o che anche possa provare di non aver ancora commesso alcun altro speciale reato, per utile ed efficace applicazione di quella legge non solamente è punito con le pene in essa determinate, ma soggiace alla giurisdizione militare.

Non può dirsi adunque che la legge diviene inutile e tale da potersi consigliare al Ministero di ritirarla, sol perché si eleva la questione ben diversa e ristretta, se cioè anche per gl’individui estranei alle bande, cioè per coloro che non sono briganti, ma contro i quali si proceda come complici, fautori o ricettatori, debbasi far tacere la giurisdizione ordinaria e comune, od attribuirne parimenti il giudizio ai tribunali militari.

Considerate, o signori, che in questa specie di reati quasi sempre ai complici e fautori viene imputato quello che i criminalisti addimandano concorso morale, vale a dire per istruzioni, provocazioni ed altre specie di favore. In questi casi di complicità conviene decidere questioni ben delicate di diritto o di apprezzamento, sopra reati estranei agli ordini e servizi militari, e che io reputo inaccessibili al giudizio d’un militare per quanto possa essere ben istrutto; e l'errore è assai facile senza il giudizio illuminato dell’uomo di legge, e senza quelle guarentigie di discussioni, di prove e di difese che sono scritte nei Codici.

Anche per altra cagione io credo che sarebbe pericolosa la competenza militare. Per questi tali accusati di aver somministrato danari, viveri, ricetto ai briganti, accade spesso di investigare se li abbiano prestati volontariamente e liberamente, o sotto la pressione di qualche timore o violenza.

In questi giudizi, e non credo con ciò di fare torto ai giudici militari, trattandosi di reati competenti può loro bensì accordarsi con un articolo di legge la competenza legale; ma essi non saranno meno per ciò moralmente incompetenti davanti l’opinione pubblica, la quale per avventura sarebbe spaventata se qualunque cittadino ed onesto padre di famiglia potesse d’un tratto vedersi trascinato davanti la giustizia militare sopra sospetti forse calunniosi o arrischiati, senza che preliminarmente la questione sul valore giuridico de’ fatti a lui imputati sia stata posta e discussa dinnanzi ai magistrati, e senza essersi da costoro riconosciuto e deliberato concorrere in que’ fatti gli elementi dalla legge richiesti per sottoporlo alla accusa ed al giudizio.

Io domando dopo ciò all’onorevole Castagnola come mai egli possa sostenere che la legge sol per ciò divenga inutile. Essa sarà soltanto circoscritta nei limiti giusti e prudenti, in cui la deviazione del diritto comune e lo stabilimento di una giurisdizione eccezionale può considerarsi giustificata dalle imperiose necessità pubbliche, quando non estenderete tale competenza straordinaria anche al complice, al ricettatore, ed a tutto quell’immenso numero di persone che si vedrebbero minacciate nella sicurezza dei loro focolari domestici, di venirne strappate e tradotte dinanzi a tribunali di eccezione, sciolti da’ salutari freni delle forme e delle garanzie.

Non mi associerò mai a coloro i quali reputino somma sapienza di Stato promulgar leggi le quali spargano il terrore. Il solo terrore salutare e fecondo di sociali benefizi è quello che viene da leggi giuste e morali: da tali leggi di cui un popolo civile può non arrossire in! faccia al mondo civile.

Credo con ciò aver dimostrato che il proposto emendamento, nel quale meco s’incontrarono anche le proposte somiglianti degli onorevoli colleghi Conforti, Lovito e Lazzaro, nulla detragga all’opportunità, alla utilità, all’efficacia della legge, restringendo l’azione e la giurisdizione dei tribunali militari non solamente sui colpevoli del reato di brigantaggio presi con le armi alla mano, ma ben anche su quelli incolpati del reato di aver fatto parte dì una comitiva o banda armata che si proponesse di commettere crimini o delìtti scorrendo le strade o le campagne, e lasciando gli accusati di complicità o di ricettazione sotto la giurisdizione dei tribunali ordinari.

PRESIDENTE. Dunque i deputati Lovito e Mancini si associano all’emendamento Conforti...

(Segni di adesione).

CASTANGNOLA, relatore. Domando la parola per uno schiarimento.

PRESIDENTE. Ha la parola.

CASTAGNOLA, relatore. Ho chiesto la parola perché non si dica che né il Ministero, né la Commissione furono capaci di rispondere alla principale obbiezione che si è fatta valere dall’onorevole Conforti e dagli altri preopinanti, cioè che i tribunali militari sono assolutamente incompetenti, inabili a giudicare delle questioni di complicità.

Io credo conveniente di osservare per tutta risposta che nel Codice penale militare negli articoli 37 e 38 si parla dell’agente principale e' dei complici...

MANCINI. Sì, ma pei reati militari.

CASTAGNOLA, relatore. E perché nel Codice penale militare si parla della complicità? Appunto perché i militari debbono decidere questioni di complicità.

MANCINI. Ma nei reati militari.

PRESIDENTE. La prego di non interrompere.

CASTAGNOLA, relatore. Ebbene, osservate quali sono i reati militari, e vedrete quanto siano complicati, come fra i reati militari vi sia la calunnia, la diffamazione, il falso, la corruzione, la prevaricazione, il furto, insomma un’infinità di reati, che presentano elementi quanto mai intricati e complessi.

Quindi egli è evidente che la legge non ha mai supposto che i tribunali militari sieno incompetenti, inabili a giudicare delle questioni di complicità.

E tanto è vero che li avete riconosciuti competenti, che con una legge apposita avete eziandio deferito i complici pagani al giudizio dei tribunali militari relativamente alle diserzioni. (Segni di assenso)

PRESIDENTE. Essendo stata appoggiata la chiusura la metto a partito.

(E approvata).

La discussione è chiusa. Do lettura dell’emendamento dell’onorevole Conforti del tenore seguente:

«I componenti comitiva o banda armata di tre persone almeno, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti, saranno giudicati dai tribunali militari di cui è parola nel libro II, parte seconda del Codice penale militare, e con la procedura determinata dal capo terzo del detto libro.

«I complici saranno condannati dai tribunali ordinari.»

Resta inteso che i deputati Mancini e Levito si associano al medesimo.

Domando se questo emendamento è appoggiato.

(E appoggiato).

Essendo appoggiato lo metto ai voti.

(Non è approvato).

Verrebbe ora l'emendamento proposto dal deputato Tecchio, il quale consiste nell’aggiungere, dopo la parola complici le parole e ricettatori.

La Commissione ed il Ministero accettano quest’aggiunta; quindi la metto senz’altro ai voti.

(E approvata).

Metterò ora ai voti l'art, scolo del Ministero; verranno quindi in discussione gli emendamenti aggiuntivi proposti dagli onorevoli deputati Mancini, Melchiorre e Camerini.

Do lettura dell’articolo 2 coll’emendamento Tecchio:

«I componenti comitiva o banda armata di tre persone almeno, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini e delitti, ed i loro complici e ricettatori saranno giudicati dai tribunali militari di cui nel libro II, parte II del Codice penale militare e con la procedura ivi determinata.»

(La Camera approva).

Viene ora l’emendamento dell’onorevole deputato Mancini il quale consiste nell’aggiunta alla fine dell’articolo testé votato delle seguenti parole: «ammessi però alla difesa degli accusati anche i patrocinanti non militari.»

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione accetta.

MELCHIORRE. Domando la parola per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE.  Parli.

Melchiorre. Sull’obbietto cui si riferisce l’emendamento Mancini il signor presidente poc’anzi annunziava che altri tre emendamenti erano stati proposti; tra questi vi è pure il mio che esprime assolutamente la medesima idea a cui accenna l’onorevole deputato Mancini.

Io non so con quale ordine l’onorevole presidente intenda che lo svolgimento di questi emendamenti debba essere fatto...

PRESIDENTE. Secondo l’ordine cronologico.

Melchiorre. Ebbene, secondo l’ordine cronologico, io credo di essere stato il primo, imperocché ricordo al signor presidente, che ha una memoria freschissima...

PRESIDENTE. Perdoni, io li lessi nell’ordine che sono stati stampati, e le istruzioni da me date alla segreteria sono, che si stampino secondo l’ordine della presentazione.

MELCHIORRE. Non so come siano stati stampati prima gli altri.

Intendo assolutamente che il signor presidente mi restituisca il diritto che colla sua teorica metteva innanzi or ora.

MANCINI. Domando la parola su questa mozione d’ordine. (Movimenti)

PRESIDENTE. Scusi un momento. Non facciamo, li prego, discussioni di così poca importanza; credo non ci sarà difficoltà che parli prima l’uno che l’altro.

Del resto, ripeto, è mio sistema, sempre che non richiegga altrimenti l’ordine logico della discussione o delle proposte, di dar la parola agli autori degli emendamenti secondo la priorità della loro presentazione; e la segreteria, come dissi, ha incarico di farli stampare in quest’ordine; io poi, personalmente, non so, nò potrei ricordarmi sempre chi abbia presentato prima, e chi dopo, e ritengo presentato per primo quell’emendamento che veggo il primo stampato nel foglio distribuito.

MANCINI. Domando la parola su questa mozione per dare uno schiarimento.

PISANELLI,ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ha la parola il signor ministro.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Io spero che questa nobile gara possa essere troncata, affrettandomi a dichiarare che il Ministero accetta il concetto che innanzi ai tribunali si dia luogo anche agli avvocati patrocinanti.

La Commissione accetta puro quest’emendamento; essendo quindi tutti concordi, panni si potrebbe risparmiare un’inutile discussione, lasciandosi però la parola a coloro che volessero combattere l’emendamento.

MANCINI. L’onorevole guardasigilli non so perché voglia scorgere una nobile gara, dove io non disputo la parola all’onorevole Melchiorre, mentre accettando di accordo Ministero e Commissione il mio emendamento, più largo degli altri analoghi degli onorevoli Melchiorre, Camerini e De Filippo, non vi è più materia a discussione.

Ho creduto soltanto conveniente far osservare all’onorevole collega Melchiorre che la sua proposta è alquanto diversa dalla mia, perché più ristretta. Se ne’ tribunali militari che procedono veramente in tempo di guerra la legge obbliga a scegliere un difensore militare, ed anche tra i soli uffiziali presenti sul luogo, manifesto ne è il motivo nella impossibilità di avere sui campi di battaglia uomini di toga, e nell'impedimento che sarebbe creato allo spedito corso della giustizia, se fosse permesso richiederne l’assistenza.

Nei casi contemplati dalla presente legge cessando un tale motivo, io propongo che siano promiscuamente ammessi, come tuttodì ne’ tribunali militari in tempo di pace, e difensori militari e non militari, sì che non sia senza alcuna ragione negata la garenzia ed i! presidio che può tutelare l’innocenza ed impedire funesti errori.

La mia pertanto non è che un’ammessione anche dei difensori non militari; invece nella proposta dell’onorevole Melchiorre i difensori militari sembrerebbero esclusi, bramando egli che la nomina del difensore «sia fatta tra gli avvocati e patrocinatori presso le Corti d’assise e tribunali circondariali della provincia ove avranno sede i detti tribunali militari.»

Io pregherei l’onorevole Melchiorre, per semplificare questa discussione, di dichiarare se egli persiste in tale sua proposta, o se crede associarsi alla mia.

MELCHIORRE. Dopo le dichiarazioni esplicite e formali fatte dall’onorevole deputato Mancini io mi associo pienamente alla sua proposta.

PRESIDENTE. Dunque non rimarrebbe più che l’emendamento Camerini ossia la prima parte: «escluso ogni tribunale straordinario di guerra», poiché la seconda parte di questo emendamento è conforme a quella dell’onorevole Mancini; ma avverto che l’emendamento suddetto non potrebbe ora più aver luogo, dopo che la Camera ha votato l’articolo 2° del progetto ministeriale, e secondo cui appunto i tribunali straordinari sarebbero ammessi.

MACCHI. Io credo che anche la prima parte dell’emendamento sia ammessa dal Ministero; imperocché, se non ho male inteso, in principio di questa tornata, il signor ministro di grazia e giustizia seppe indurre la Commissione e la Camera ad adottare l’articolo formolato primitivamente dal Ministero, piuttosto che quello della Commissione, appunto per escludere l’intervento dì ogni tribunale straordinario di guerra.

Ciò essendo, io desisto dal fare altre parole e ben volentieri prendo atto delle dichiarazioni del signor ministro.

PISANELLI, ministro dì grazia e giustizia. Ho parlato, mi duole il dirlo al signor Macchi, in un senso precisamente contrario.

MACCHI. Siccome tante volte parla sotto voce, non ho inteso, e me ne spiace. In tal caso non farò lungo discorso, ma pregherò il signor presidente a mettere ai voti...

PRESIDENTE. Ripeto che non potrei mettere ai voti questa parte prima dell’emendamento Camerini; in quanto che il suo tenore già riesce escluso a senso dell’articolo 2° del Ministero; imperocché col dirsi, come in esso, che i colpevoli ivi indicati saranno giudicati dai tribunali militari, di cui nel libro II, parte n del Codice penale militare, rimane stabilito che tanto i tribunali ordinari quanto gli straordinari sono ammessi.

MACCHI. Domando la parola.

PRESIDENTE. Così la questione diventa affatto semplificata. Non si tratta ora più che dei due emendamenti Mancini e Melchiorre uniti insieme coll’emendamento Camerini nella parte tuttavia sussistente. Rimane perciò un solo emendamento da porsi ai voti, accettato altresì dal Ministero e dalla Commissione.

Chi approva pertanto l’aggiunta Mancini a cui si

sono associati tutti gli altri proponenti suddetti, è pregato d’alzarsi.

(E approvata).

Metto ai voti l’intero articolo cogli emendamenti approvati.

(La Camera approva).

DOMANDA DEE DEPUTATO BIXIO INTORNO ALLA
VOCE DELLA PERDITA DELLA FREGATA «RE D’ITALIA.»

PRESIDENTE. Prima di procedere oltre debbo dare lettura alla Camera e al signor ministro della marina di una lettera che ricevo in questo momento dall’onorevole Bixio:

«Vorrei indirizzare una interpellanza d’urgenza al ministro della marina relativamente alla notizia data in un telegramma dell’agenzia Stefani della perdita della fregata Re d'Italia nelle acque di Nuova York.»

Interrogo il signor ministro se e quando intende rispondere.

curia, ministro per la marineria. Subito.

PRESIDENTE. Il deputato Bixio ha la parola per  esporre la sua interpellanza.

BIXIO. È giunto pur ora un dispaccio che annunzia la perdita della fregata Re d'Italia.

Non si capisce precisamente se sia perduta interamente, e quale sia la sorte dell’equipaggio ch’era andato a prenderla: questo terrà in angoscia centinaia di famiglie, quindi se il signor ministro ha qualche notizia più esatta e tranquillante, io lo pregherei di volerla dare.

CUGIA, ministro per la marineria. Mi duole di non poter dare informazioni precise intorno al fatto che forma l’oggetto della interpellanza: il Governo non ebbe notizia di questo disastro se non dal dispaccio dell’agenzia Stefani, giunto questa mattina. Nè il nostro console, né il presidente della Commissione che andò per ricevere la fregata, mandarono alcun dispaccio al Governo; ciò i mi fa sperare che questo sia uno di quei dispacci non eccessivamente esatti, che qualche volta giungono da quei paesi.

Ma quand’anche qualche cosa di vero ci sia, esaminando bene il telegramma, apparisce subito che il caso non può essere di tanta gravità come la prima parte dice. .

In questa infatti è scritto che la fregata il Re d'Italia andò a picco...

Una voce. Andò a fondo.

CUGIA, ministro per la marineria... e poi soggiunge che si sta lavorando per rimetterla a galla.

In generale, quando un bastimento va a picco, si dice: l’equipaggio è salvo, o non è salvo, e qui non è menzionato l’equipaggio. Oltre a ciò se una fregata  come il Re d'Italia fosse andata a picco, non si potrebbe subito lavorare per trarla a galla, perché vi vogliono dei congegni e macchinismi tali, che richiederebbero molto tempo onde poter fare quest’operazione.

PETRUCCELLI. Domando la parola.

CUGIA, ministro per la marineria. Invece se non fosse andata a picco, ma avesse investito in qualche banco di sabbia, allora si capisco che si lavori immediatamente per rimetterla a galla per mezzo del rimorchio e alleggerendo il bastimento: per cui, esaminando la natura del dispaccio, si vede che c’è molta esagerazione.

Io ho immediatamente telegrafato in Inghilterra per avere il testo originale del dispaccio inglese, e per avere tutte le possibili notizie: ma finora non ebbi ancora risposta.

In quanto poi alle condizioni in cui si trovava allora la fregata, ecco quali sono. La Commissione che era stata incaricata di ricevere Il Re d'Italia, era venuta d’accordo in seguito a lunghissime trattative col signor Webb, che dovevano farsi le corse di prova. La prima doveva farsi dal signor Webb con equipaggio e bandiera americana, e l’ultima con marinai e bandiera italiana.

Il signor Webb dichiarò che egli non era in grado di fare la prova con marinai e bandiera americana, perché non poteva rispondere che, so la fregata fosse uscita dal porto di Nuova York con marinai americani, avesse potuto rientrarvi, e che molto pericolava a fare un viaggio negli Stati Uniti del Sud, com’è succeduto ad altri bastimenti di simil genere, come pure non era sicuro che andando con bandiera degli Stati Uniti fuori di Nuova York, non potesse essere attaccato dai pirati del Sud. Sta bene, disse la nostra Commissione, noi metteremo l’equipaggio italiano e la bandiera italiana a bordo del bastimento; perciò si dovette sottoscrivere un contratto in cui il signor Webb dichiarava che se per causa della cattiva costruzione il bastimento fosse ritornato avariato, questo sarebbe stato a carico suo, e non a carico del Governo italiano, il quale si prestò a dare prima del tempo il suo equipaggio, e la sua bandiera.

Ecco in che stato erano le cose riguardo alla fregata Re d'Italia al momento delle ultime lettere.

Io voglio sperare che ci sia stata una grande esagerazione, ma veramente non posso dare al momento alcuna notizia positiva (1).

PETRUCCELLI. Io voleva domandare precisamente al signor ministro se la fregata sarebbe perduta dal costruttore oppure dal Governo; ma dopo la dichiarazione che ha fatto il signor ministro, che la fregata non è ancora stata consegnata, si vede che la perdita, se ha luogo, va a carico del costruttore.

CUGIA, ministro per la marineria. Bisogna esaminare il contratto: esso dice ehe nelle corse di prova, quando si tratti d’incendio oppure di sfortuna di mare, ciò è a carico del Governo, e tutto ciò che riguarda la costruzione del bastimento è a carico del costruttore.

Supponendo, per esempio, che il bastimento si fosse

aperto per cattiva costruzione, ciò sarebbe a spesa del costruttore.

PRESIDENTE. L’incidente è terminato.

SI RIPRENDE EA DISCENSIONE DEE DISEGNO DI
EEGGE SEE BRIGANTAGGIO.

PRESIDENTE. Si ritorna all’ordine del giorno.

D’accordo col Ministero e colla Commissione la prima parte dell'articolo 3° direbbe cosi: «I colpevoli dei suddetti reati, i quali armata mano oppongano resistenza alla forza pubblica, saranno puniti colla fucilazione, o, se vi concorrono circostanze attenuanti, coi lavori forzati a vita.»

Chi approva questa prima parte dell’articolo 2° sorga.

(La Camera approva).

Viene la seconda parte alla quale l’onorevole Conforti ha proposto l’emendamento seguente: Coloro i quali scientemente e di libera volontà (l’emendamento consisterebbe in queste ultime parole) somministreranno ricovero, armi, munizioni, viveri, notizie ed aiuti d’ogni maniera saranno puniti colla pena del maximum dei lavori forzati a tempo, la quale potrà essere ridotta da uno a quattro gradi concorrendovi circostanze attenuanti.»

Il deputato Conforti ha facoltà di parlare per isvolgere il suo emendamento.

MASSARI. Signor presidente, faccio osservare che l’emendamento dell’onorevole Conforti versa intorno al 3° alinea e non intorno al 2°.

PRESIDENTE. Nello stampato si legge emendamento all'alinea dell'articolo 3°.

MASSARI. Voleva forse dire al 2° alinea dell’articolo 3°.

PRESIDENTE. Allora bisognerà riferire quest’emendamento all’articolo 4° della Commissione.

La proposta della Commissione è identica a quella del Ministero pei due primi capoversi dell’articolo, poscia segue l’articolo 4°; quindi si tratterebbe ora di votare 1’ articolo 3° per intero, poi quando saremo all’articolo 4“ daremo corso all’emendamento del deputato Conforti.

MANCINI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Parli.

(1) Veggasi la successiva informazione data dal ministro in questa stessa seduta a pagina 2671.

MANCINI. Se il signor presidente intende di mettere ai voti la seconda parte dell’articolo 3°, si compiaccia di non pregiudicare la questione intorno alla sede della terza parte di quest’articolo che leggesi nel progetto ministeriale, poiché, se fosse adottato l’emendamento da me proposto, in cui si accorda la facoltà di ricorrere per incompetenza od eccesso di potere, non soltanto a questi ultimi, cesserebbe il motivo per cui tale disposizione sarebbesi dalla Commissione collocata in un articolo a parte, cioè nel 4°, e potrebbesi lasciare l’articolo 3° tal quale era stato proposto dal Ministero.

PRESIDENTE. Si voterà con questa riserva.

Metto dunque ai voti l’intiero articolo 3° colla fattavi correzione.

Ne do nuovamente lettura:

Art. 3. I colpevoli dei suddetti reati, i quali armata mano oppongano resistenza alla forza pubblica saranno puniti colla fucilazione, o, se vi concorrono circostanze attenuanti, co’ lavori forzati a vita.

«A coloro che non oppongono resistenza sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze attenuanti il maximum dei lavori forzati a tempo, salvo le maggiori pene in cui fossero incorsi per altri reati.»

Salvo la riserva testé accennata, metto ai voti questo articolo.

(È approvato).

«Art. 4 della Commissione. I ricettatori e somministratori di armi, munizioni, viveri, notizie ed aiuti di ogni maniera saranno puniti colla pena del maximum dei lavori forzati a tempo, la quale potrà esseie ridotta da uno a quattro gradi concorrendovi circostanze attenuanti.

«Questi potranno ricorrere in nullità presso il tribunale supremo di guerra a causa d’incompetenza per ragione di materia nella forma tracciata dagli articoli 508 e seguenti del Codice penale militare.

«Il ricorso è ammissibile soltanto dopo la sentenza definitiva di condanna.»

Verrebbe ora l’emendamento proposto dall’onorevole Conforti del tenore seguente:

«Coloro i quali scientemente e di libera volontà somministreranno ricovero, armi, 'munizioni, viveri, notizie ed aiuti d’ogni maniera, saranno puniti con la pena del maximum dei lavori forzati a tempo, la quale potrà essere ridotta da uno a quattro gradi, concorrendovi circostanze attenuanti.»

Se l’onorevole Conforti intende svolgere il suo emendamento, ha la parola.

CONFORTI. Io credo che il Ministero e la Commissione non opporranno nessuna difficoltà ad accettare questo emendamento, imperocché nel modo in cui si trova espresso l’articolo 4°, ben è evidente che vi si parla unicamente del fatto materiale del ricovero, della somministrazione d’armi, di munizioni e di aiuti d’ogni maniera, ma non si parla né della scienza di coloro i quali danno il ricovero, poiché benissimo può accadere che si creda uno galantuomo, chi invece è un brigante; nò si parla della libera volontà, mentre si può essere costretti dalla forza.

Ora io non vedo ragione per cui in questa legge eccezionale non si debba dire ciò ch'è detto nella legge comune. Infatti quando si parla di complicità che cosa si dice? Si dice: sono complici coloro che hanno scientemente preparata, facilitata e consumata l'azione. Quando si parla della somministrazione di armi, si dice: coloro che hanno somministrato armi, sapendo che queste armi dovevano concorrere al reato.

Per conseguenza, io dico che allorquando ho presentato quell’emendamento non ho fatto che compiere il concetto, contemplando anche il fatto morale, che è un elemento necessario per costituire il reato.

Spero quindi che il Ministero e la Commissione non vorranno opporsi a questo mio emendamento.

PRESIDENTE. Pregherei la Commissione a dire se accetta o no quest’emendamento.

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione osserva che l’emendamento del deputato Conforti, il quale consiste, parmi, nelle parole scientemente e di libera volontà, è inutile, perché bisogna sempre interpretare le leggi coi principii che reggono la giurisprudenza penale.

Ma si può mai supporre che colui il quale alberga un brigante, non conoscendo la sua qualità, oppure colui che sotto una violenta pressione, la pressione di essere ucciso, gli apre la porta...

MANCINI. Domando la parola.

CASTAGNOLA, relatore... debba por questo essere inviato alle galere?

Parmi che questa sia una supposizione che assolutamente non è ammessibile. Se noi apriamo qualsiasi legge penale vediamo che si parla della pena a chi commette tale o tale azione.

CONFORTI. Domando la parola per uno schiarimento,

È forte! (Rumori)

PRESIDENTE. Non interrompano.

CASTAGNOLA, relatore. Io risponderò all’onorevole Conforti, quando spiegherà la sua parola forte. Finora di forte non ho inteso che la voce. (Bravo!)

Dunque io sostengo che secondo i principii inconcussi della giurisprudenza penale conformi ai dettami della giustizia universale, che non possono mai essere disconosciuti, non vi è mai reato a meno che non vi sia dolo. Quindi tutte le volte che manca il dolo, che non vi è volontà di delinquere, che uno agisce forzatamente o perché ignora le tali circostanze, non può essere colpevole: quindi io credo che sia soverchio, e non sia cosa per niente forte questa della Commissione il respingere, cioè, questo emendamento. Non è già perché non siamo d’accordo coll’onorevole Conforti sulle ragioni da esso esposte; anzi noi siamo tanto d’accordo che crediamo inutile l’inserire l’emendamento nella legge. (Segni d'approvazione)

MANCINI. L’onorevole relatore della Commissione crede inutile questo emendamento.

Osserverò primamente che una formola la quale in termini analoghi trovavasi soventi adoperata in molti articoli dei Codici penali di vari paesi d’Europa, e precisamente in quegli articoli in cui potrebbe sorgere alcun sospetto che il legislatore volesse riguardare il fatto materiale più che una partecipazione morale, come sufficiente a stabilire il reato, non può essere dichiarata assolutamente inutile in una legge eccezionale come questa.

Poiché il relatore, facendosi interprete dell’opinione della Commissione, nella sostanza è d’accordo coll’onorevole Conforti, non veggo la necessità di questa discussione di pura forma, non nuocendo al certo che s’introduca nella legge una formola non insolita, e che risponde d’altronde ad un comune concetto.

Dirò in secondo luogo che tutt’altri, meno l’onorevole relatore della Commissione che già fece parte della Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, avrebbe dovuto opporre la superfluità di quelle frasi, dappoiché io mi ricordo ancora, e con un sentimento che non qualificherò, che una delle proposte che si facevano da quella Commissione era di voler riguardare come colpevoli di reato e punibili con pene assai gravi coloro i quali, sotto l’impulso delle minaccio, del terrore e della morale violenza, avessero mandato ai briganti le somme domandate pe’ ricatti, tanto ne’ proponenti codesta statuizione predominava il concetto che si trattava di una legge di eccezione, di una legge che doveva surrogare alle regole dell’ordinaria legislazione dure ed imperiose eccezioni e deviazione dagli stessi principii di eterna morale e giustizia e della penale giurisprudenza.

Tali proposte precedenti, sulle quali finora non fu mai discusso e deliberato, persuadono potersi accogliere al certo senza inconvenienti, forse con qualche utile effetto, la proposta dell’onorevole Conforti.

Si aggiunga infine che le frasi proposte dall’onorevole Conforti non sono neanche una semplice indicazione di richiedersi la scienza ed il dolo nel reato, sostenendosi che ciò sarebbe superfluo. Invece delle sole parole: scientemente e volontariamente, si propone di dire: scientemente e di sua libera volontà. Questa formola è assai più efficace, perché impone il dovere a chi applicherà la legge di indagare scrupolosamente le cause de’ fatti di aiuto e di ricettazione, per non confondere co’ manutengoli e protettori de’ briganti il caso di chi, sebbene non materialmente coatto, avesse operato sotto l’influenza di una morale violenza, di un timore capace di esercitare un potente impulso sopra un uomo ragionevole; di chi non avendo il coraggio di affrontare un immediato e personale pericolo per sé e pe’ suoi, non abbia osato di negare asilo e di chiudere la porta a scellerata masnada che gli si fosse presentata dinanzi. L’aggiunzione di quelle parole farà comprendere che il legislatore richiede la libertà del volere, cioè una determinazione non prodotta da spavento, violenze anche morali e minacce.

Quindi io vengo ben volentieri in appoggio della proposta dell’onorevole Conforti, e prego la Camera di accoglierla.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di parlare.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. La Camera avrà potuto osservare che l’onorevole Conforti, l’onorevole Castagnola e l’onorevole Mancini, i quali hanno parlato in questa questione, sono d’accordo nel concetto fondamentale della legge. Certamente non ci sarà nessuno in questo Parlamento, non ci sarà nessun giudice, il quale voglia condannare come complice colui che non sapeva di ricettare un brigante, colui che vi fosse stato costretto da una forza maggiore. Non vi è, non vi può essere reato senza la volontà; non vi è, non vi può essere reato senza la libertà.

Quando dunque in questa legge si trova scritto:

«chiunque dia ricovero, chiunque somministri viveri e munizioni ai briganti, è punito come complice,» è naturalmente inteso che vi debba essere la scienza, che vi debba essere la volontà. Senza questa condizione non vi può essere complicità, non vi può essere reato.

Ma si è detto fin da principio che naturalmente non si poteva in questa legge eccezionale riprodurre tutte le disposizioni del diritto comune, le quali erano implicitamente sottointese.

Quindi tutti sono d’accordo intorno al concetto fondamentale.

Quanto a me io sono indifferente che si aggiunga o non si aggiunga la parola proposta dall’onorevole deputato Conforti.

PRESIDENTE. Il deputato Crispi ha facoltà di parlare.

CRISPI. Stando ai principii generali della scienza, l’onorevole Castagnola ha ragione, ma egli ha dimenticato che i reati dei quali si parla nella legge che disputiamo vanno ad essere giudicati da persone le quali non sono abbastanza famigliari alle materie giuridiche. Che pregiudizio potrebbe arrecare l’emendamento del deputato Conforti? Esso tutto al più sarebbe un pleonasmo il quale ha il vantaggio di togliere qualunque equivoco, giacché obbligherebbe i giudici militari a risolvere la questione intenzionale, allorché questa venisse proposta dagli avvocati.

Io ricorderò all’onorevole relatore della Commissione che quantunque nel diritto comune i teoremi da lui enunciati siano incontrovertibili e ricevano altresì applicazione nelle legislazioni speciali, nulladimeno nella legge sulla stampa del Belgio non fu creduto superfluo, parlandosi dei reati che si possono con quel mezzo commettere, di consacrarvisi in termini espliciti la dottrina dell’intenzione. Il che proverebbe come i pleonasmi non sono un difetto, quando valgono ad evitare errori che potrebbero riuscire fatali alla libertà dei cittadini.

Io mi sono trovato innanzi ai tribunali militari ed innanzi al tribunale supremo di guerra, e più volte mi sono accorto che le questioni giuridiche non sempre furono risolute secondo il diritto.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Secondo la sua opinione.

CRISPI. Non c’entra la mia opinione! Ci sono certe quistioni niente discutibili, perché furono trattate moltissime volte, e la giurisprudenza fu costante nel risolverle. Or bene, innanzi i tribunali militari mi accadde di vederle decise anche contro il diritto.

Quindi ripeto che, quand’anche l'emendamento Conforti sia un pleonasma, poiché tutti siamo d’accordo che il dolo sia uno degli elementi costitutivi del reato, che vuolsi...

Una voce. Non è dolo!

CRISPI... la cattiva intenzione, la volontà di ai gire... !

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. E la libertà.

CRISPI... ebbene, perché opporvi alla formula dell’onorevole Conforti, la quale è concepita in un modo così esplicito da evitare ogni inconveniente? Perché opporvi e non essere tutti d’accordo nell’accettarla?

CONFORTI. Domando la parola per un chiarimento.

PRESIDENTE. Scusi, sarebbe contro il regolamento. Però, se la Camera ha nulla in contrario, parli.

CONFORTI. Allorquando io proponeva quell’emendamento, credeva di rendere omaggio all’onorevole Castagnola, che fu l’autore di quel dettato.

Infatti, quando la Commissione parlamentare d’inchiesta presentò lo schema di legge sul brigantaggio, si esprimeva in questi termini:

«Tutti quelli che scientemente e di libera volontà somministreranno alle bande armate ed agli individui che le compongono, ed in ispecie agl’inscritti nelle liste, denaro, vitto, armi, munizioni,» eco., ecc.

Come va che l’onorevole Castagnola, che fu l’autore di questa legge, l’onorevole Castagnola, il quale reputava così necessario che si esprimessero queste parole: scientemente e di libera volontà, ora viene e dice che le medesime non sono più necessarie?

Io dirò due sole parole per dimostrare che sono necessarie.

CASTAGNOLA, relatore. Domando la parola per un fatto personale.

COMFORTI. Nella legge comune il legislatore si esprime sempre in questi termini: scientemente. E perché? Appunto perché non basta il solo fatto materiale a costituire il reato.

Ora qui si tratta di una legge eccezionale, per cui possono essere condannati gl’individui a pene gravissime da tribunali straordinari, a pene che non sono sancite dalla logge comune.

In questo stato di cose dovremo noi togliere da una legge eccezionale quelle parole, che furono espresse nella legge comune a difesa degli accusati? No certo. In una legge eccezionale bisogna che il linguaggio sia chiaro, preciso, formale.

D’altra parte, signori, quando io dico di libera volontà, l’onorevole Castagnola ben comprende, che qui non si tratta unicamente della forza maggiore, la quale obbliga un uomo a dar ricovero, armi, munizioni; ma si tratta anche d’un’altra forza, la quale può non essere tale da costringere materialmente, ma che farebbe solo una certa impressione sull’animo.

C’è una forza che non è assolutamente forza maggiore, ma che è forza pur sempre, e che diminuisce certamente l’imputabilità.

Per la qual cosa potendo accadere diverse di queste gradazioni, a poterle definire è necessario che la scienza e la libera volontà siano comprese nella legge. Senza che, anche l’onorevole Castagnola dice che queste parole esprimono un concetto vero.

Se esprimono un concetto vero, perché tante sollecitudini d’un laconismo che può riuscire funesto, trattandosi di giustizia che deve rendersi da tribunali militari?

Io credo adunque che le parole indicate nel mio emendamento debbono rimanere nella legge, come quelle che sono la garanzia degli accusati. .

PRESIDENTE. Persiste la Commissione nel suo rifiuto?

Voci. Sì! sì!

CASTAGNOLA, relatore. Io ho chiesto la parola unicamente per un fatto personale, e mi terrò strettamente nei limiti di esso.

Diceva l’onorevole Conforti che io fai l’autore della legge proposta dalla Commissione d’inchiesta.

Egli mi fa troppo onore. Io era membro di quella Commissione, io l’ho elaborata cogli altri; ma posso assicurare che vi erano delle disposizioni le quali non furono punto da me votate, ed i miei colleghi possono dire se ciò sia vero.

In quanto all’avere allora fatto parte di una Commissione la quale aveva proposto una dicitura, e l’averne adesso come membro di un’altra Commissione adottata un’altra, dirò che l’onorevole Conforti mi ha troppo dimostrato come sappiano i saggi mutare col variar dei tempi i loro consigli per non accettare in proposito dal medesimo verun rimprovero. (Si ride)

PRESIDENTE. Domando adunque se l’emendamento del deputato Conforti, il quale consiste nell’aggiungere alla proposta del Ministero e della Commissione le seguenti parole: scientemente e di Ibera volontà, è appoggiato.

(È appoggiato).

Lo metto a partito.

(Fatta prova e controprova, è adottato).

Ora metto ai voti la prima parte dell’articolo 4, emendato secondo il voto dato testé.

Questa sarebbe del tenore seguente:

«Coloro i quali scientemente, o di libera volontà somministreranno ricovero, armi, munizioni, viveri, notizie ed aiuti di ogni maniera, saranno puniti colla pena del maximum dei lavori forzati a tempo, la quale potrà essere ridotta da uno a quattro gradi concorrendovi circostanze attenuanti.»

Domando alla Commissione, se dopo l’adozione dell’emendamento suddetto accetta la redazione dell’articolo 2 in questi termini in cui l’ho letto.

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Lo metto adunque ai voti.

(È approvato. )

Si passa ora alla seconda parte dell’articolo.

MACCHI. Domando la parola.

PRESIDENTE. Permetta in prima ch’io dia lettura di questa seconda parte.

MACCHI. Io vorrei proporre un’aggiunta a questa parte che adesso venne votata dalla Camera, affinché non mi avvenga ancora di fare una proposta che poi mi si dica non potersi più accogliere, perché contraria agli articoli già votati, come è accaduto pur troppo or ora.

In questa prima parte dell’articolo i si parla di diminuzione di pena per coloro in cui concorrono delle circostanze attenuanti; mi pare dunque sia qui opportuno di aggiungere anche diminuzione di pena per coloro che spontaneamente si costituiranno.

MANCINI. Pregherei l’onorevole Macchi ad osservare che l’articolo che segue immediatamente contiene un’altra disposizione di diminuzione di pena in considerazione della presentazione volontaria.

Se il signor Macchi crederà fare delle proposte a questo riguardo, sembra possa farlo più opportunamente quando saremo alla votazione di quell'articolo.

MACCHI. Non ho difficoltà di aderire alla proposta dell’onorevole Mancini. Solo mi era fatto sollecito di proporre fin d’ora il mio emendamento, perché poc’anzi, come ho già osservato, mi venne interdetta la facoltà di fare delle proposte, dicendosi che l’articolo era già votalo.

PRESIDENTE. E il fatto stesso che glielo ha interdetto.

La seconda parte è così concepita:

«Questi potranno ricorrere in nullità presso il tribunale supremo di guerra a causa d’incompetenza per ragione di materia nella forma tracciata dagli articoli 508 e seguenti del Codice penale militare.

«Il ricorso è ammessibile soltanto dopo la sentenza definitiva di condanna.»

Qui viene l’emendamento dell’onorevole Mancini, il quale sarebbe così concepito:

«Ad eccezione dei colpevoli contemplati nella prima parte dell’articolo 3, gli altri condannati potranno ricorrere per incompetenza o per eccesso di potere alla Corte di cassazione, da cui la provincia dipende, nella forma stabilita dalle leggi sulla procedura penale ivi vigenti.

«Il ricorso potrà prodursi soltanto dopo la sentenza definitiva di condanna.»

Il deputato Mancini ha facoltà di parlare.

MANCINI. La mia proposta in parte è conforme ad altra nello stesso senso dell’onorevole Conforti; la sua è alquanto più limitata, ma il concetto che informa entrambe le proposte è identico.

DE FILIPPO. La  mia pure è identica.

MANCINI. Certamente, anche l’onorevole De Filippo è autore di una proposizione conforme. Svolgerò le ragioni di tali proposte.

Gioverà osservare innanzi tutto che l’ultimo alinea del mio emendamento conserva perfettamente quello della Commissione, cioè che il ricorso, comunque accordato solamente per incompetenza o per eccesso di potere, non potrà mai proporsi prima del dibattimento, ma soltanto dopo la sentenza definitiva di condanna.

La ragione di questa disposizione è di per sè evidente; si vuole evitare, soprattutto in giudizi di questa specie, che il ricorso addiventi un mezzo dilatorio; così questo pericolo è allontanato, la giustizia ha inevitabilmente il suo corso fino alla sentenza definitiva di condanna, ed allora soltanto che se il condannato creda di far valere il mezzo dell’incompetenza o dell’eccesso di potere, la proposta della Commissione e parimente la mia ciò permettono. Nondimeno corrono tre differenze tra la proposta della Commissione e l’emendamento che io ho l’onore di sottoporre alla deliberazione della Camera.

Prima di tutto quanto alle persone ammesse a ricorrere; in secondo luogo quanto all’estendere il ricorso anche al mezzo dell’eccesso dì potere, quantunque ciò possa parere implicitamente consentito, essendo l’eccesso di potere la massima e più radicale di tutte le competenze; in terzo luogo finalmente, quanto alla avto. ità presso la quale debbasi presentare il ricorso, poiché secondo la Commissione, sarebbe il tribunale supremo di guerra; secondo me invece e secondo gli onorevoli colleghi Conforti e De Filippo proponenti identici emendamenti, dovrebbe essere la Corte di cassazione.

Non credo necessario giustificare la proposta aggiunzione delle parole: eccesso di potere, non potendo esse logicamente e giuridicamente incontrare difficoltà.

Quanto alle persone che possono ricorrere, l’articolo 3 del progetto ministeriale enumerava tre classi di colpevoli: nella prima i componenti delle bande che armata mano opponessero resistenza alla forza pubblica; nella seconda quelli che si arrendessero senza opporre resistenza; nella terza finalmente i ricettatori e somministratori d’armi, munizioni, viveri, notizie ed aiuti di ogni maniera.

Quanto alle persone contemplate nella prima classe sembra ragionevole di non accordar loro il rimedio del ricorso, ancorché pretendano dolersi di cause gravi, come sarebbero l’incompetenza per ragion di materia o di eccesso di potere. La ragione ne è che trattandosi di individui presi armata mano, mentre opponevano resistenza all’esercito, e che la legge abbandona al rigore dell’ultimo supplizio, non si potrebbe far mancare l’esempio salutare e la prontezza della repressione; e d’altronde praticamente verrebbesi a rendere molto disagevole a’ corpi dell’esercito il continuare nella loro missione salvatrice, se dovessero nel loro cammino non solo arrestarsi per giudicare, ma dopo ciò trascinar dietro di loro una caterva di condannati che non mancherebbero di ricorrere in Cassazione.

Siamo dunque d’ accordo intorno a questa prima classe di condannati.

La Commissione consente con noi di accordare il ricorso ai condannati della terza classe. La quistione si aggira adunque su quelli della seconda. Son dessi gli individui che non oppongono resistenza armata mano, ma volontariamente si arrendono, o sono arrestati accidentalmente e trovansi imputati del reato di brigantaggio.

Ora io penso che una ragione morale ed una ragione politica debbono indurci a non negare a costoro il benefizio del ricorso, tostoché la Commissione riconosco la convenienza di introdurlo nell’economia di questa legge.

La ragione morale è in ciò riposta che appunto non avendo essi colla flagranza della resistenza fornito una prova materiale ed indubitata della competenza del tribunale militare che li giudica; ma questa competenza dovendo fondarsi sopra indagini, apprezzamenti ed investigazioni, quante volto i condannati sostengano che il loro fatto non è di quelli dalla legge contemplati, e quindi non è sufficiente titolo a porre in movimento la giurisdizione eccezionale della giustizia militare, non so scorgere motivi abbastanza gravi per negar loro lo sperimento di una eccezione di così suprema importanza.

Molto più, o signori, che i colpevoli di quella seconda classe non essendo dalla legge puniti colla pena estrema, come quelli della prima classe, ricorrano essi o non ricorrano, è sempre inevitabile che debbano venir tratti altrove dietro alla truppa. Manca perciò anche quella considerazione di pratica difficoltà che induce ad escludere il ricorso nel primo caso.

Vi ha poi una ragione politica per non ricusar loro questa facoltà di ricorrere contro le sentenze di condanna. La persuasione che gli sciagurati, i quali si arrendono volontariamente, o non prendono parte al conflitto, ottengono il vantaggio di sperimentare i rimedi e le garanzie del diritto comune, diverrà uno stimolo di più per prevenire o indebolire le resistenze alle operazioni militari confidate alla bravura del nostro instancabile esercito.

Credo adunque che l’articolo anziché escludere dal ricorso gli individui contemplati nella prima e nella seconda parte dell’articolo 3° dovrebbe così concepirsi: «Ad eccezione dei colpevoli contemplati nella prima parte dell’articolo 3°, gli altri condannati potranno ricorrere per incompetenza o per eccesso di potere.»

Rimane ora ad esaminarsi quale autorità di questo ricorso dovrebbe conoscere.

Due sistemi sono in uso circa i gravami contro le sentenze della giustizia militare nei vari paesi. In alcuni è affidato bensì ai consigli di guerra ed ai tribunali militari il conoscere e giudicare in merito dei reati militari, e nondimeno l’incompetenza e l’eccesso di potere, la stessa violazione della legge formano materia di un ricorso alla Corte di cassazione, supremo tribunale destinato a custodire nei giudizi di qualunque specie inviolata la legge. Questo è il sistema odierno del Belgio, uno dei paesi che meglio abbia compreso ed attuato le istituzioni libere: tale èra altresì, almeno quanto ai ricorsi per incompetenza ed eccesso di potere, il sistema dell’antico regno sardo, secondo il Codice militare del 1840; ed esso, a mia notizia, produsse i più soddisfacenti risultati fino al 1860. in che fu il novello Codice mandato in osservanza.

Non è questo il momento opportuno per una pro fonda discussione sulla scelta tra questo sistema e l’altro che affida l’esame di cotesti gravami ad un tribunale supremo speciale, cioè anche militare, come in Francia, ovvero misto, cioè composto di militari e di funzionari civili come è oggi in Italia: quando si presenterà l’occasione potrà più opportunamente dibattersi un argomento così importante, e forse non sarà difficile convincerci che un tribunale composto, come il nostro tribunale supremo di guerra, è un’istituzione assolutamente inconciliabile coi principii costituzionali.

Solamente tribunali, i cui giudici siano designati dalla sorte tra un ampio novero di eleggibili, come avviene per la scelta dei giurati; ovvero tribunali composti di membri inamovibili, costituzionalmente pos sono assicurare una garanzia seria ed efficace dell’amministrazione indipendente della giustizia.

Mancando l’uno e l’altro carattere in un tribunale supremo, composto di membri militari e civili, scelti dai solo arbitrio del ministro della guerra, rivocabili ogni mese, ogni giorno, a suo piacimento, ed anche surrogabili in certi determinati processi, mercé il pericoloso sistema de’ supplenti, o di nomine oltre il nu mero legale, io credo di appormi al vero, qualificando questo tribunale come inconciliabile coi veri principii costituzionali.

Ora però viene in esame una questione assai più semplice; trattasi di decidere, se con questa legge eccezionale, nell’atto che vogliamo per pochi mesi attribuire il giudizio di certi reati comuni a tribunali mili tari, per le straordinarie e transitorie circostanze che la Camera conosce, oltre al far ciò dobbiamo ancora necessariamente affidare allo stesso tribunale militare superiore il conoscere dei gravami per incompetenza o per eccesso di potere, cioè il riesame se la giurisdizione militare per avventura trasmodi od invada il campo della giurisdizione comune, anziché riserbarlo alla Corte di cassazione, cioè al supremo tribunale, che è il naturale custode dei limiti di tutte le giurisdizioni, ed a cui non ha guari, con legge dell’anno testé compiuto, noi stessi abbiamo commesso di decidere sovranamente in materia di conflitti anche fra altri supremi tribunali e tra le giurisdizioni militari e civili.

Non mi si opponga che dalle pronunciazioni dei tribunali militari in tempo di guerra in generale non si ammetta ricorso, e che da quelle dei tribunali militari in tempo di pace si ricorra secondo il Codice penale militare al tribunale supremo di guerra, non già alla Corte di cassazione.

Domando a me stesso qual è il motivo per cui nella procedura di guerra non si ammette mai il ricorso in Cassazione. Il motivo è chiaro; lo addita espressamente l’articolo 526 del Codice penale militare:

«Innanzi ai tribunali militari in tempo di guerra le regole di procedura stabilite per il tempo di pace si osserveranno solo per quanto sarà possibile.»

Egli è dunque evidente che se versate effettivamente nello stato di guerra e non già per lontana analogia o per disposizione di legge si voglia uno stato di pace in cui le condizioni della pubblica sicurezza sieno anormali assimilare ad uno stato di guerra; se veramente lottate con la invasione nemica; se sopra tutto l’esercito è fuori del territorio (ond’è che in virtù di un altro articolo del Codice penale militare appena esso rientri nel territorio dello Stato, cessa immediatamente la giurisdizione militare del tempo di guerra); in tutti questi casi è palese il motivo per cui non si può autorizzare alcun ricorso contro le sentenze dei tribunali militari. Ma perciò appunto, mancando questi casi, non essendovi un reale ed effettivo stato di guerra, ma soltanto un’applicazione delle giurisdizioni militari del tempo di guerra ad uno stato di pace, mentre l’esercito opera entro i confini del territorio nazionale per tutelare l’ordine interno, non concorrono quei motivi speciali per cui si nega contro le sentenze ogni ricorso; tanto ciò è vero che la medesima nostra Commissione entrò nel sistema di riconoscere che almeno per incompetenza o per eccesso di poteri in questi giudizi si potesse ricorrere. Similmente non può desumersi alcuna obbiezione da che la giurisdizione ad esaminare i gravami contro le sentenze dei tribunali militari, anche quando si ammettano, spetti al tribunale supremo di guerra.

È ovvio il rispondere che ciò dipende da due ragioni. Primamente da che, secondo il Codice penale militare, i tribunali militari non giudicano che di reati militari, ed in questi può credersi che il requisito delle tecniche cognizioni intorno a’ bisogni ed a’ doveri dell’esercito si trovi piuttosto nel tribunale supremo di guerra che nella Corte di cassazione. Ed in secondo luogo, da che per tutelare fortemente e mantenere ìa disciplina nell’esercito importa che nei giudizi che lo riguardano non si ammetta l’ingerenza d’autorità ancorché giudicatrici, estranee all’esercito medesimo, e che in conseguenza il tribunale supremo contenga pure uomini d’arme, esperti nelle cose di guerra.

Ma queste stesse ragioni, le quali potrebbero addursi per sostenere il sistema di un’alta Corte militare, come in Francia, o di un tribunale supremo di guerra, come il nostro, procedendo rispetto ai giudizi di reati e di persone militari non trovano la menoma applicazione nella presente legge. Qui si tratta non di reati militari contemplati nel Codice penale militare, ma di reati comuni; e si tratta di giudicare i briganti ed i loro complici, cioè persone estranee all’esercito, in modo che tutto ciò che possa riguardare la disciplina non può menomamente trovarsi interessato nella questione che ci occupa.

Pertanto cessando le ragioni che possono invocarsi per la giurisdizione del tribunale supremo di guerra a Conoscere dei ricorsi, e dubitandosi precisamente, se la giurisdizione militare non abbia ecceduto i limiti delle sue attribuzioni, oltre di quello che la legge e la natura del fatto comportassero, si riesce alla conclusione che

sola garanzia vera, seria, efficace sarà quella di riserbare alla Corte di cassazione la cognizione dei ricorsi contro le sentenze che saranno pronunziate nell’applicazione della legge attuale.

Concorre inoltre, o signori, un altro motivo tutto peculiare, perché ciò si debba adottare, onde evitare che tra le varie parti dello Stato vi sia difformità di sistema. Nelle provincie napoletane la legge sull’ordinamento giudiziario, nell’articolo 107, richiamato nella proposta dell’onorevole Conforti, attribuisce alla Corte di cassazione il pronunziare generalmente sopra tutti i ricorsi per incompetenza o per eccesso di potere contro le sentenze dei tribunali militari. Si dirà che quest’articolo fu poi nell’Italia superiore rivocato dal sopravvenuto Codice penale militare, che istituì il tribunale supremo di guerra, per essere stato pubblicato posteriormente, in forza del principio che le leggi posteriori derogano alle anteriori.

Ma per l’applicazione di questo medesimo principio, poiché sta in fatto che per lo contrario nelle provincie napoletane fu prima pubblicato il Codice penale militare sotto l’amministrazione del luogotenente generale Farmi e più tardi soltanto fu pubblicata la legge sull’ordinamento giudiziario che contiene l’articolo 107, ed appunto perché questi due atti legislativi sono di diversa data, non vi ha persona di buon senso che possa sostenere, non vi ha tribunale che possa giudicare doversi eseguire piuttosto la legge anteriore che la posteriore che alla prima ha evidentemente derogato. Per me dunque è verità d’intuitiva evidenza che sino a quando la legge sull’ordinamento giudiziario vigente nelle provincie napoletane non sia modificata, colà se le sentenze de’ tribunali militari vengano impugnate per semplice violazione di legge, il ricorso debbasi presentare al tribunale supremo di guerra; ma se poi s’impugnino per incompetenza o per eccesso di potere, spetta alla Corte di cassazione conoscere e pronunziare intorno a’ ricorsi.

Laonde mi sia permesso di esprimere l’alta mia maraviglia per un fatto che è stato accennato ne' giorni scorsi dall’onorevole Conforti. Egli ha detto che la Corte di cassazione di Napoli, a cui trovasi presentato qualche ricorso di questa natura, non ha potuto avere gli atti dei relativi processi dal Ministero della guerra, il quale li ha rifiutati.

Credo che il ministro della guerra abusivamente abbia ricusato di deferire ad una così legittima richiesta. Non conosco le cause di cui si tratta; ma certamente il giudicare delTammessibilità di un ricorso non può appartenere che a quel tribunale a cui si ricorre. Lo Statuto ha fatta l’autorità giudiziaria indipendente dal potere esecutivo.

Certamente se la questione presentasse dei dubbi, la Corte di cassazione, cui si ricorse, debbe giudicarne, né si può dubitare che il giudizio sarà legale, ponderato, imparziale. Potremmo mai tollerare che un’autorità politica o amministrativa qualunque, dal ministro in giù, potesse per via di fatto impedire il corso della giustizia presso qualsiasi autorità giudiziaria, e non lasciarla giudicare sulla propria competenza? Non credo dovermi estendere di vantaggio su questo dispiacevole incidente.

Riassumendo la mia proposta, conchiudo che non mi pare esservi difficoltà per quanto non la sola incompetenza, ma anche l’eccesso di potere debba dar luogo al ricorso in Cassazione; che il diritto a ricorrere in Cassazione debbasi riconoscere non solamente nelle persone indicate nella terza parte dell’articolo 3 (ora diventata prima parte dell’articolo 4), ma ben anche a quelle contemplate nella seconda parte dello stesso articolo 3, esclusi solamente gl’individui contemplati nella sua prima parte; e finalmente che avverso le sentenze di condanna pel reato comune di brigantaggio il ricorso per incompetenza o per eccesso di potere debbasi presentare non già al supremo tribunale di guerra, ma alla Corte di cassazione.

Quest’ultima proposta, comune a me ed agli egregi colleghi Conforti e De Filippo, dovrebbe tanto meno incontrar difficoltà, perché nello stesso Codice penale militare si ritiene, anche nei giudizi sopra materie e reati militari, possibile l'errore di diritto nelle decisioni del tribunale supremo di guerra; imperocché gli articoli 513 e seguenti, benché lascino unicamente dipender da beneplacito del ministro della giustizia o del ministro della guerra sottoporre tali decisioni a un ultimo riesame nell’interesse della legge, tuttavia in tal senso commettono siffatto riesame alla Corte di cassazione. Giovando evitare e prevenire questo tardivo rimedio allorché sarebbe poi inutile ed inefficace nell’interesse delle parti, io prego la Camera di volere adottare l’emendamento che d’accordo con gli onorevoli Conforti e De Filippo ho avuto l’onore di proporvi.

COMUNICAZIONI RELATIVE ALLA FREGATA «RE D'ITALIA.»

PRESIDENTE. Il signor ministro per la marineria ha la parola per fare una comunicazione.

CUGIA, ministro per la marineria. Sono lieto di annunciare alla Camera che un dispaccio testé giunto dal nostro rappresentante a Londra dice che fu errore di traduzione nel dispaccio, quando si disse che la fregata Re d’Italia andò a picco, che invece doveva intendersi che era andata a secco.

Inoltre soggiunge che andò a secco solo per pochi minuti, che non ebbe nessun guasto e proseguì il suo viaggio felicemente. (Vivi segni di soddisfazione. )

SI RIPRENDE LA DISCUSSIONE

DEL DISEGNO DI LEGGE SUL BRIGANTAGGIO.

PRESIDENTE. Onde semplificare la discussione chiederei agli onorevoli Conforti e De Filippo se vorrebbero unirsi all’emendamento dell’onorevole Mancini.

(2 deputati Conforti e De Filippo si associano alla proposta Mancini. )

Camera dei deputati — Discussioni — 2° Periodo. 334

Adunque tutto sta nell’emendamento Mancini.

Prego la Commissione ed il Ministero di dire il loro avviso in proposito.

castagnola, relatore. La Commissione persiste nella sua prima proposta.

Pisanelli, ministro di grazia e giustizia. La proposta dell’onorevole Mancini riguarda tre punti.

Col primo egli chiede che si allarghi il mezzo del ricorso dandosi luogo anche per eccesso di potere. Ma da questo suo concetto pare che egli stesso abbia receduto...

MANCINI. No! no!

Pisanelli, ministro di grazia e giustizia... riconoscendo che l’eccesso di potere è compreso nella incompetenza, in quanto che l’eccesso di potere è qualche cosa di più che l’incompetenza.

L’eccesso di potere costituisce una incompetenza radicale.

La seconda proposta dell’onorevole Mancini è che il ricorso si dia non solamente ai ricettatori ed a coloro che abbiano somministrato armi, notizie, munizioni, ma anche ai briganti i quali non fossero sorpresi colle armi alla mano.

Il terzo concetto infine è che il ricorso si debba portare alla Corte di cassazione, non al tribunale supremo di guerra.

In quanto al secondo concetto io credo che l’onorevole Mancini non avrà forse avvertito che coloro i quali, stati briganti, avendo corso la campagna, sono nondimeno sorpresi senza contrasto, spesse volte non differiscono in nulla per la loro condizione giuridica e morale da coloro i quali sono stati sorpresi colle armi alla mano.

Questa mattina è stato arrestato uno dei famosi briganti di Terra d’Otranto, Pizzicchicchio, che è stato sorpreso in una campagna, senza contrasto alcuno. Caruso stesso fu sorpreso in questo modo.

L’uno e l’altro avrebbero diritto al ricorso, mentre altri forse meno rei di costoro non vi avrebbero punto diritto.

Se il ricorso si appalesa utile, ciò non avviene quando si tratta di briganti che abbiano scorso per più o meno tempo le campagne colle armi alla mano, abbiano avuti scontri colle truppe e poi in un modo o nell’altro siano venuti in potere della giustizia, ma riesce utile per coloro intorno ai quali ci sia bisogno d’investigazioni accurate, siano necessarie indagini per accertare in qual modo essi siano venuti in aiuto dei briganti.

Ora evidentemente costoro sono indicati nel capoverso dell’articolo 4. Però io credo che sarebbe sufficientemente provveduto concedendosi il ricorso a costoro soltanto.

Vengo alla terza parte che è la più grave.

Signori, quando la Commissione d’inchiesta proponeva i tribunali di guerra, quando la Camera votava i tribunali di guerra, nessuno pensò, nessuno poteva pensare che contro le sentenze di questi tribunali vi fosse stato ricorso o reclamo ad una autorità qualunque, perché è naturale che i tribunali di guerra non ammettono ricorso, né reclamo, perché il Codice penale ha costituito i tribunali di guerra in modo da escludere ogni ricorso ed ogni reclamo.

Quando la Camera si rivolgeva al ministro della guerra e diceva: noi crediamo di aver bisogno per reprimere il brigantaggio dei tribunali di guerra, naturalmente com’essi erano dalla legge ordinati, così furono dal ministro di guerra costituiti, né la legge ammetteva ricorso o richiamo alcuno contro le sentenze dei tribunali di guerra.

Siamo venuti ora a riesaminare questa legge, abbiamo creduto di circondarla di maggiori guarentigie, ed abbiamo ammesso gli avvocati patrocinanti innanzi ai tribunali di guerra; abbiamo fatto un’eccezione, se ne chiede un’altra; la Commissione l’ha proposta, il Ministero l’ha accettata: e quest’altra consiste nello ammettere per incompetenza il ricorso contro le sentenze dei tribunali di guerra.

Non è senza esitanza, o signori, che il Ministero si è indotto ad accettare questo rimedio, perché in effetto esso contribuirà a snervare l’efficacia di questa giurisdizione straordinaria. Nondimeno può avverarsi che qualche errore fatale si insinui in siffatti giudici, segnatamente quando si tratta di complici, di coloro che somministrano armi, aiuti e munizioni ai briganti, ed è per scongiurare questo pericolo e venire in sussidio di una giustizia che può taluna volta parere reclamata dalla coscienza pubblica, che la Commissione ha proposto ed il Ministero ha accettato questo ricorso.

Ma questo ricorso sarà proposto innanzi al supremo tribunale di guerra, ovvero presso la Corte di cassazione?

L’onorevole Mancini ha elevato una questione che è veramente grave, ma egli stesso ha riconosciuto che non è questa la sede per una siffatta discussione, se, cioè, dovendosi ordinare la giurisdizione militare sia conveniente stabilire una suprema Corte di guerra, o non sia piuttosto consentaneo ad altri principii di civiltà e di diritto deferire il supremo giudizio delle sentenze dei tribunali alla Corte di cassazione, e siffatta questione è per ora fuori di luogo, essa potrà esaminarsi in altro tempo, quando ci occuperemo della riforma generale delle leggi.

Per ora noi abbiamo un Codice penale militare che è applicato indistintamente a tutto il regno, abbiamo tribunali militari di pace e di guerra, abbiamo un tribunale militare supremo.

Da siffatto ordinamento risulta che qualunque ricorso contro i tribunali militari, quando è ammesso dalla legge, non si può portare che innanzi al supremo tribunale di guerra.

L’esercito è uno, e importa che l’ordinamento tutto, che concerne l’esercito, non sia diversificato in nessun modo nelle varie provincie. Non sarebbe egli strano il vedere che nelle provincie napoletane dai tribunali di guerra si ricorresse alla Corte di cassazione, e che nelle provincie subalpine, nella Lombardia e nella Toscana, si dovesse ricorrere ad un tribunale diverso? Certamente ciò presenterebbe una tale anomalia, una tale contraddizione, che noi dobbiamo cansare ed evitare in ogni modo.

Egli è vero che nella legge organica giudiziaria pubblicata nelle provincie napolitane, ripetendosi un articolo che era già nella legge precedente, e certo, inavvertitamente, si stabilì che dalle sentenze dei tribunali di terra e di mare, per incompetenza o eccesso di potere, si potesse ricorrere in Cassazione; ma quest’articolo di legge può dar luogo a conflitto nell’applicazione, e non può servir di regola a noi legislatori, nel momento in cui stiamo per provvedere intorno ad un punto speciale, per vincolarci a decidere che il ricorso si debba dare alla Cassazione, e non già al tribunale supremo di guerra. Quell’articolo da una parte è più largo delle disposizioni contenute nel Codice penale militare, e da un’altra parte è più ristretto.

Secondo quell’articolo è dato il ricorso in tutti i casi in cui ci sia una sentenza di un tribunale militare, sia cioè che un tribunale militare abbia pronunciato in tempo di pace, sia che abbia pronunciato in tempo di guerra. Ma il ricorso è ristretto soltanto per motivo d’incompetenza o di eccesso di potere.

Per contrario, secondo il Codice penale militare, il ricorso contro la sentenza dei tribunali militari non è dato che solo quando essi pronunziano in tempo di pace, ma non è dato mai contro la sentenza del tribunale militare in tempo di guerra, e quando è conceduto il ricorso esso ha un’ampiezza maggiore di quella segnata nella legge organica napoletana; perché è ammesso il ricorso non solamente per incompetenza od eccesso di potere, ma per ogni violazione di legge, per nullità; sicché ove un giudice fosse chiamato a decidere quale delle due leggi dovesse applicare, da molte considerazioni potrebbe essere tratto forse in una, forse in un’altra sentenza.

Ad ogni modo, o signori, io dico, non è quest’articolo o le disposizioni di quest’articolo che possono imporci un’opinione sul punto che noi siamo chiamati a decidere; dobbiamo pensare a ciò: noi togliamo i tribunali di guerra, vogliamo che questi tribunali riescano al fine per cui sono instituiti, vogliamo che essi abbiano tutta quella forza e quel vigore che si ritrae dagli ordini militari.

Ora per raggiungere questo fine, se ammettiamo un ricorso, non dobbiamo distoglierlo e stornarlo dalle vie naturali nelle quali entrano tutti i ricorsi che, secondo il Codice penale militare, sono dati contro le sentenze dei tribunali militari.

Io ripeto, la disciplina militare, sia che riguardi i soldati, sia che riguardi gli ufficiali, sia che riguardi i tribunali di guerra, sia che riguardi tutta l’organizzazione dell'armata, non deve essere che una. Senza di che potrebbe avvenire, non senza scandali, che dal medesimo tribunale si ricorresse in una provincia ad un’autorità, ed in un’altra provincia si ricorresse ad un’autorità diversa.

In conseguenza il ministro ammette l’articolo pro posto dalla Commissione, col quale è stabilito il ricorso, ma lo ammette nei termini stessi coi quali la Commissione lo ha proposto.

PRESIDENTE. Domando alla Camera se l’emenda mento Mancini, Conforti e De Filippo è appoggiato.

(È appoggiato).

Essendo appoggiato, lo metto ai voti.

MANCINI. Domanderei la divisione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini propone la di visione.

Siccome il suo emendamento contiene tre concetti diversi, ossia tre variazioni al progetto in discussione; in primo luogo circa le persone ammesse a ricorrere; in secóndo luogo l’aggiunta delle parole od ec cesso di potere dopo le parole per incompetenza; in terzo luogo circa il tribunale a cui si dovrà ricorrere, proponendo la Cassazione,invece del supremo tribunale militare, cosi lo prego di dirmi s’egli intende che la votazione sia divisa secondo questi tre distinti concetti.

MANCINI. Consento.

PRESIDENTE. Dunque la prima votazione sarebbe così: «ad eccezione dei colpevoli contemplati nella prima parte dell’articolo 3, gli altri condannati po tranno ricorrere,» ecc.

Chi approva questa prima parte dell’emendamento si alzi.

(La Camera non approva).

Viene la seconda parte. Qui l’onorevole Mancini aggiunge: «o per eccesso di potere.» Si tratta dunque di deliberare se si debbano aggiungere alla proposta del Ministero e della Commissione le parole: per eccesso di potere.

Chi intende approvarlo sorga.

(Non è approvato).

Viene la terza parte, vale a dire: «la Corte di cassazione da cui il tribunale dipende.» Chi lo approva si alzi.

(Non è approvato).

Metto ora a partito l’articolo 4 del progetto del Ministero e della Commissione.

MACCHI. Domando la parola.

PRESIDENTE. Verrà il suo turno all'articolo 5, stia tranquillo. Non sarà pregiudicato il suo concetto.

L’emendamento Camerini si riferisce all’articolo 5. Lo stampato invero dice che questo emendamento è in surrogazione agli articoli 4 e 5; ma evidentemente il riferimento debbe limitarsi all’articolo 5; imperocché l’emendamento Camerini non ha nulla che fare coll’articolo 4.

MACCHI. Abbia la pazienza di esaminare bene e vedrà che la prima parte della proposta Camerini si riferisce ad una diminuzione di pena per coloro che si costituiranno volontariamente.

Ora, siccome l’articolo 4 riguarda quelli che si costituiscono volontariamente, e si accorda la diminuzione di un grado di pena, mi par questo il luogo di vedere se non sia il caso di accordare qualche maggiore diminuzione.

PRESIDENTE. Scusi: l’articolo che ora si tratta di votare è il 4° della Commissione; viene poi l’articolo 5, il quale dice così:

«Agli individui contemplati nei due articoli precedenti che si costituiranno volontariamente sarà accordata la diminuzione di un grado di pena.»

Ed a quest’articolo 5 viene l’emendamento Camerini, il quale lo modificherebbe.

MACCHI. Sta. bene.

PRESIDENTE. Metto dunque ai voti l’intiero art. 4.

(E approvato).

Art. 5. Agl’individui contemplati nei due articoli precedenti che si costituiranno volontariamente sarà accordata la diminuzione di un grado di pena.»

Ora viene l’emendamento del deputato Camerini così concepito:

«Agli individui contemplati nell’articolo 3, che si costituiranno volontariamente, sarà accordata la diminuzione di uno a tre gradi di pena.

«Se però fossero incorsi in altri reati portanti a pena eguale o maggiore di quella inflitta pel brigantaggio, la pena non potrà esser diminuita che di un grado per la presentazione volontaria.

«Agl’individui contemplati nell’articolo 4, oltre il benefizio delle attenuanti, secondo la latitudine in quell’articolo preveduta, sarà pure accordata la diminuzione di un grado di pena.»

Il deputato Macchi ha facoltà di svolgere quest’emendamento.

MACCHI. L’intenzione dell’onorevole Camerini, nel i proporre quest’emendamento è manifesta; è quella: cioè di procurare che cada in mano della giustizia quel maggior numero di briganti che sia possibile, piuttosto: di propria volontà che colla forza. E ciò, ben inteso, nell’interesse dell’umanità e della giustizia e non dei j briganti. Se fosse possibile ottenere che tutti i malfattori si costituissero spontanei in mano dell’autorità, senza ricorrere a mezzi violenti e sanguinosi, non sarebbe questo l'ideale che dovremmo vagheggiare? i Or bene, l’esperienza ha già dimostrato che le facilitazioni accordata coloro che si presentano volontariamente hanno eccitato molti a presentarsi, massime fra coloro che più giovani e inesperti si fecero briganti per! eccitamento e seduzione di altri più provetti nel maleficio. Son molti che probabilmente desisterebbero dalla mala via su cui furono sospinti, se trovassero il mezzo di cavarsela col minor danno possibile.

Per aprire l’adito a questi riscipiscenti, il legislatore apporta la diminuzione di un grado di pena a coloro che si presentano spontaneamente. Or mi pare che sarebbe più efficace l’accordare due o più gradi. I vantaggi che deriverebbero da questa facilitazione sono così evidenti, che non fa bisogno di aggiunger altre parole per indurre la Camera ad adottare il proposto emendamento.

MANCINI. Prendo la parola per appoggiare questo medesimo emendamento, le cui due ultime parti, se vogliasi semplificare l’articolo, potrebbero forse senza inconveniente essere trasandate.

Infatti nella seconda parte si dice che quante volte i colpevoli siano giudicati anche per altro reato diverso da quello di brigantaggio, la pena dovrà essere diminuita solamente di un grado a causa della presentazione volontaria.

Siccome autorizzando la diminuzione della pena da uno a tre gradi, si lascia in mano all’autorità, che giudica, il potere di discendere un grado solo o più gradi, non è rigorosamente necessaria quest’aggiunta affidandoci alla prudenza e saviezza del tribunale; anche perché la. diminuzione dovrà farsi sempre su quella maggior pena che corrisponderebbe alla qualità del reato.

Del pari nell’ultima parte dell’emendamento si accenna che insieme con questa diminuzione di pena debba concorrere anche quella nascente dal beneficio delle attenuanti; ma delle attenuanti si è già parlato nell’articolo precedente; laonde può riguardarsi questa terza parte dell’emendamento dell'onorevole Camerini come un chiarimento o ripetizione di un voto che la Camera ha già emesso.

Sembrami però giusto per lo meno di adottare in questi termini l’emendamento dell’onorevole Camerini:

«Agl’individui contemplati nei due articoli precedenti, che si costituiranno volontariamente, sarà accordata la diminuzione da uno a tre gradi di pena.»

E se mai la Camera non inclinasse a tanta larghezza, proporrei sussidiariamente che almeno si votasse la diminuzione di imo o due gradi dì pena.

La ragione si è che, siccome non si accorda propriamente un diritto a questa diminuzione di pena, ma si concede solo la facoltà a chi giudica di apprezzare le Speciali circostanze di ciascun caso e di proporzionare il grado di mitigazione a queste circostanze medesime che diedero luogo alla presentazione, tutto quello che può accrescere le speranze del malfattore che deve costituirsi volontariamente serve di utile stimolo a vincere la sua ritrosia, e mentre non disarma la giustizia, la quale sarà pur sempre nella potestà di limitarsi a un solo grado di diminuzione, e non due o tre, giova allo scopo della legge.

lo credo quindi che l’emendamento dell’onorevole Camerini meriti l’approvazione della Camera.

PRESIDENTE. L’onorevole Macchi accetta l’emendamento così redatto?

MACCHI. L’accetto.

PRESIDENTE. Ora pregherei la Commissione di dare il suo avviso sopra quest’emendamento Camerini, Macchi e Mancini.

MASSARI. Lo chiami Macchi e Mancini, perché non credo si possa proporre e votare per procura.

PRESIDENTE. Perdoni, fu presentato dall’onorevole Camerini, ne è egli l’autore; credo pertanto che, sebbene il signor Camerini sia assente, com’è per indisposizione di salute, si possa tuttavia tenerlo associato, quand’anche l’emendamento sia modificato.

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione crede sia miglior sistema quello che essa proponeva, cioè di adottare la diminuzione di pena d'un solo grado.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini chiede adunque che si ometta la seconda e terza parte dell’articolo in questione.

L’emendamento sarebbe pertanto redatto in questo modo:

«Agl’individui che si costituiranno volontariamente sarà accordata la diminuzione da uno a tre gradi di pena, o di uno a due.»

Questo poi sarebbe un sottoemendamento all’emendamento.

Domando anzitutto se questo emendamento è appoggiato.

PISANELLI, ministro di grazia e giustizia. Il Ministero si attiene alla proposta della Commissione.

MANCINI. Domando la parola per aggiungere uno schiarimento.

PRESIDENTE. Parli.

MANCINI. Rammento che nella legge precedente, della quale l’attuale legge si presenta come una semplice proroga, fu accordata la diminuzione di due gradi di pena a coloro che si presentassero volontariamente.

La Commissione potrebbe sembrare in contraddizione con sè stessa, se, mentre annunziava voler introdurre maggiori larghezze e temperamenti in questa seconda legge, ora li diminuisce e restringe,

E poiché la proposta, che non è mia, ma ci viene da un nostro onorevole collega assente, non è che la ripetizione di quella disposizione che pur votammo nella legge precedente, avrei ambito almeno l’onore di una risposta e di una confutazione dall’onorevole relatore, perché si sapesse sul fondamento di quali motivi s’intenda respingere la proposta dell’onorevole Camerini.

CASTAGNOLA, relatore. Compiacerò l’onorevole Mancini, ed osserverò al medesimo che non vi può essere nessuna contraddizione tra questa Commissione ed una Commissione precedente, perché ogni Commissione è risponsabile del fatto proprio. Dunque non veggo come possa l’onorevole Mancini imputarci di contraddizione.

Giacché vedo che siamo sempre sul terreno delle personalità mi permetterò di osservare che se noi confrontassimo il progetto di legge che egli presentava con tutte quelle modificazioni ch’egli propone, a dir il vero....

MANCINI. Domando la parola per un fatto personale.

CASTAGNOLA, relatore... vi troveremmo anche molte contraddizioni.

Ciò rispondo perché fu egli che trasse la questione sul terreno delle personalità....

ERCOLE. Al merito! al merito!

TORNATA DEL 9 GENNAIO

MASSARI. Ella non è il Presidente.

CASTAGNOLA, relatore. Passeremo anche a] merito, ma mi lascino anche rispondere a queste accuse.

PRESIDENTE. Prego di non interrompere il relatore, la discussione è abbastanza seria.

CASTAGNOLA, relatore. La legge anteriore accordava benissimo una diminuzione di pena per un tempo determinato, ma a coloro che si presentavano fra un dato termine (trenta giorni). Quale era lo scopo che la legge si proponeva? Era quello di dire ai briganti: badate, voi forse foste illusi, voi foste sobbillati dai Comitati borbonici.

Voi credete che Francesco II tornerà in trono, che forse vi farà, come altra volta, colonnelli o marescialli di campo.

Disilludetevi, dopo tre anni di aspettazione Francesco Il non ritorna e non ritornerà più mai.

Noi vi offriamo ancora un mezzo di poter sfuggire ad una pena severa, l’applicazione della quale potrebbe forse spingervi alla persistenza nel delitto; i tribunali vi applicheranno una pena molto leggiera. Voi avete ancora un mezzo di evitare l’estremo rigore della legge. Dunque si disse: per 30 giorni aspetteremo che questi briganti vengano; se dopo 30 giorni non vengono, si comincierà per loro una guerra a tutta oltranza, una guerra d’esterminio. Ed è ella cosa politica, dopo tanto tempo che cessarono queste disposizioni, venir di nuovo, per così dire, ad inginocchiarsi avanti ai briganti, e pregarli a costituirsi col promettere sempre diminuzione di pena a questi infami? (Bravo!) Io credo che il tempo della clemenza per loro è passato. Se essi vogliono presentarsi ancorché essi abbiano commesso reati gravissimi, siano infami quanto Caruso, quanto Crocco, noi diamo loro più di quello che meritano, cioè risparmiamo loro l’estremo supplizio; ma il continuare ad avere tanta indulgenza per loro, parlare sempre di diminuzione di pena, è una misura che io respingo assolutamente. (Voci numerose: Bene! Benissimo!)

PRESIDENTE. Metto ai voti...

MANCINI. Ho domandato la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. Ha la parola per un fatto personale.

MANCINI. Sono accusato di essere stato autore di un progetto di legge, per avventura più severo di quello proposto dalla Commissione d’inchiesta, ond’è desunto l’attuale.

È questa la prima volta, in cui un membro della Commissione d’inchiesta si è degnato di rammentarsi dell’esistenza di quel progetto di legge, già da me presentato da oltre un anno, dalla Camera preso in considerazione, e da quella Commissione poi condannato ad un profondo obblìo, per riproporne quasi intieramente la sostanza come opera sua propria, senza far cenno nella sua lunga relazione di quel mio atto di buon volere, come mi pare richiedessero gli usi parlamentari.

Dì quell’obblìo non mi dolsi mai, bastandomi la coscienza di aver cercato di fare il mio dovere, ed essendo per natura alienissimo da ogni vanità; ma dovrò perciò tollerare, che in questo momento, evocando il ricordo di quel mio progetto di legge, se ne faccia contro di me argomento di accusa e di biasimo? A me dunque sarà lecito rispondere: non posso arrossire di quel progetto, confrontandolo col vostro.

Quel progetto non conteneva le vostre misure preventive, che hanno fatto nelle provincie napoletane e siciliane la polizia padrona irresponsabile della libertà individuale di tutti i cittadini; non puniva come complici e fautori coloro che sotto la pressione di minacce o violenze soffrissero il danno dei ricatti, scambiando così le vittime coi colpevoli a dispetto delle elementari verità della scienza penale: non autorizzava le tante altre enormità ed abusi che la vostra legge rese possibili, e che hanno moralmente disorganizzato, mi si permetta questa, espressione, le infelicissime provincie meridionali, come mi riserbo dimostrarvi nella discussione degli articoli 8, 9 e 10 di questa legge.

Incoraggiare le volontarie presentazioni non è inginocchiarsi innanzi ai briganti, è operare da savio legislatore e da avveduto uomo politico; è mantenere il precipuo, quasi l’unico effetto benefico della presente legge e dell’anteriore.

Respingo pertanto la immeritata imputazione: fra noi giudicherà il paese

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Camerini e Mancini, cioè:

«Agl’individui contemplati nei due articoli precedenti, che si costituiranno volontariamente, sarà accordata la diminuzione di uno a tre gradi di pena.»

(Non è approvato).

Viene ora l’altro emendamento subordinato, vale a dire:

«Agl’individui contemplati nei due articoli precedenti, che si costituiranno volontariamente, sarà accordata la diminuzione di uno a due gradi di pena.»

(Non è approvato).

Metto ai voti l’articolo 5 così concepito:

«Agl’individui contemplati nei due precedenti articoli, che si costituiranno volontariamente, sarà accordata la diminuzione di un grado di pena.»

(È approvato).

«Art. 6. Il Governo del Re avrà facoltà d’istituire compagnie o frazioni di compagnie di volontari a piedi od a cavallo, decretarne i regolamenti, l’uniforme e l’armamento, nominarne gli ufficiali, bassi-ufficiali ed ordinarne lo scioglimento.

«I volontari avranno dallo Stato la diaria stabilita per i militi mobilizzati; il Governo però potrà accordare un soprassoldo il quale sarà a carico dello Stato.»

(È approvato).

«Art. 7. Quanto alle pensioni per cagioni di ferite o mutilazioni ricevute in servizio per la repressione del brigantaggio, ai volontari ed alle guardie nazionali saranno applicate le disposizioni degli articoli 3, 22, 27, 28, 38, 30 e 32 della legge sulle pensioni militari del 27 giugno 1850.

«Il Ministero della guerra, con apposito regolamento stabilirà le norme per accertare i fatti che danno luogo alle pensioni.»

TECCHIO. Bisogna dire ministro non Ministero.

massari. Giusto: qui si deve dire il ministro della guerra.

PRESIDENTE. Va bene.

Metto ai voti l’articolo 7.

(É approvato).

Or verrebbe un emendamento proposto dall’onorevole Bell azzi, cioè un articolo da aggiungersi dopo l’articolo 7 testé votato.

L’articolo dell’onorevole Bellazzi sarebbe così concepito:

«La disposizione dell’articolo precedente sarà estensibile anche a quelli tra gl’impiegati civili che riportassero ferite o mutilazioni, o incontrassero la morte in servizio per la repressione del brigantaggio.

«Il ministro dell’interno con apposito regolamento stabilirà le norme per accertare i fatti che danno luogo a tali pensioni.»

Il deputato Bellazzi ha facoltà di parlare.

BELLAZZI. Faccio osservare che non è presente il ministro dell’interno, il quale probabilmente avrà delle osservazioni a fare.

(Entra nella sala il ministro dell'interno).

Voci. A domani.

PRESIDENTE. Procuriamo di andare sino all’articolo 9; nella successiva tornata ci sarà materia ancora abbastanza di questa legge perché si faccia oggi quanto più cammino si può.

Pregherei pertanto l’onorevole Bellazzi, ora che il ministro dell’interno si trova presente, di svolgere il suo emendamento.

BELLAZZI. Nella legge del 15 agosto sul brigantaggio era avvenuta una grave omissione; il Governo lo confessa. Si è omesso d’estendere il beneficio dell’articolo 37 della legge sulle pensioni ai militari anche alle vedove dei morti combattendo contro il brigantaggio.

Il Governo e la Commissione si misero d’accordo e ripararono all’omissione coll'articolo 7. Sia lode all’uno e all’altra; ma non uno, bensì due erano i difetti per ciò che riguarda i pensionandi nella legge 15 agosto; si tolse il meno grave, si lasciò il più grave, quello di non estendere tutti i benefizi della legge militare anche agl’impiegati civili, i quali, posti in condizione analoga del soldato, del volontario, del milite della guardia nazionale, riportano ferite o mutilazioni, o cadono combattendo contro i briganti.

Quando il soldato regolare, quando il volontario, il milite della guardia nazionale e l’impiegato civile si trovano a fianco l’uno dell’altro coll’armi in pugno, lottanti contro l’armi assassine dei briganti, io li considero tutti come soldati difensori della causa nazionale. Per me ha lo stesso pregio il loro sangue, lo stesso valore l’olocausto che fanno della vita sull’altare della patria.

Perciò non vedendo alcuna ragione perché vi abbia ad essere una differenza di trattamento, a meno che la vita del cittadino abbia un valore maggiore o minore, secondo che egli vesta la nobile divisa del soldato, o l’altra non meno nobile dell’impiegato civile.

PERUZZI, ministro dell'interno. Chiedo di parlare.

BELLAZZI. Gioverà notare questa differenza di trattamento, onde alcuno non sorga a dire che al caso in questione si è provveduto colla nuova legge intorno alle pensioni degl’impiegati civili, nell’articolo 2, per il quale si consacra il diritto alla pensione a titolo di ferite, mutilazioni riportate per cagione di servizio. Sta bene. Ma nella stessa legge delle pensioni, all’articolo 19 viene subordinato questo diritto alla durata del servizio, imperocché si stabilisce la pensione in un terzo dello stipendio quando l’impiegato ha servito meno di anni venti, e nella metà quando ha servito più di venti anni.

Ora il diritto alla pensione in questa evenienza non iscaturisce dall'anzianità, ma dalla fisica inabilità derivante dal servizio stesso.

Una volta ammesso il diritto a pensione sulla base del fatto delle ferite, delle mutilazioni, senza riguardo alla durata del servizio, fa mestieri sottrarre l’impiegato civile dagli effetti per lui dannosissimi d’una contraddizione del legislatore.

Cogli effetti di questa contraddizione la legge militare non colpisce ii'soltato mutilato o ferito; si estenda dunque il beneficio della legge militare anche all’impiegato civile che soffre, combatte e muore per la patria.

Così l’Italia non sarà forse esposta al pericolo di essere contristata dallo spettacolo di suoi impiegati costretti a mendicare a frusto a frusto, di porta in porta un pane, rivolgersi alla carità privata, come avvenne del delegato di pubblica sicurezza in Avigliano (Conversazioni), perché li sfami, mentre non li sfama la nazione, per cui essi versano il sangue, facendosi mutilare nelle membra, acquistando una gloriosa impotenza di guadagnarsi il pane quotidiano.

Vi è un’altra differenza che deve essere tolta.

La stessa legge sulle pensioni agl’impiegati civili determina la pensione nei quattro quinti dello stipendio nel caso di cecità, di amputazione o di perdita dell’uso delle mani o dei piedi, sempre ben inteso per cagione di servizio.

Nella legge militare le medesime sventure danno il diritto al soldato del massimo della pensione nel caso della perdita di un membro, del massimo aumentato della metà nel caso della perdita di due membra. E perché una differenza di trattamento a danno del povero impiegato civile?

Avvi una terza differenza, quella che riguarda la prole del padre impiegato che muore coll’armi in pugno contro i briganti.

Quando si tratta del soldato, del volontario, del milite cittadino la legge benigna ai figli superstiti dona sussidii, apre generosamente le porte degli istituti di educazione militare, paga posti gratuiti nei collegi, convitti nazionali, nelle scuole agrarie e veterinarie, accorda dispense di tasse, schiude alle figlie sicuro asilo nei ritiri a spese dello Stato...

Quando invece si tratta del figlio d’un non militare nello stesso caso la legge diventa matrigna e respinge questo figlio lontano da questi benefizi.

10spero, o signori, che voi voterete quest’emendamento, spero che nessuno sorgerà a combatterlo in nome della economia, perché sarà assai raro il caso di sua applicazione, ma dovesse pure applicarsi per molti casi, io dico che sarebbe umiliare la nazione voler ragionare di economie, quando questi cittadini non fanno economia del proprio sangue per il paese.

11vostro voto favorevole rialzerà lo spirito degli impiegati civili delle provincie meridionali, principalmente dei delegati di pubblica sicurezza moralmente abbattuti e scoraggiati per ragioni che qui non voglio esporre. Risollevato lo spirito di quest’impiegati, il Governo troverà pronta, efficace l’esecuzione de’ suoi ordini per parte di essi, non già tormentati dal fantasma dell’incerto domani, rianimati a ben fare in ragione composta del beneficio della legge e della fiducia della nazione. D’altronde il vostro voto proverà che se siete da inesorabile necessità forzati a votare questa terribile legge, sapete pure nei punti ove occorre temperarla con provvedimenti voluti dalla giustizia e dalla carità nazionale.

PRESIDENTE. Pregherei il Ministero e la Commissione di dichiarare se accettano questa proposta dell’onorevole Bellazzi.

PERUZZI, ministro per l'interno. Il Ministero accetta con piacere questa proposta dell’onorevole Bellazzi, tanto più che la legge sulle pensioni nella quale vi è una disposizione di questo tenore non potrà probabilmente andar in vigore se non in un tempo prossimo a quello nel quale spirerà la legge che ora votiamo. Mi pare poi che questa proposta sia consentanea anche a quello che la Camera ha già deciso a proposito d’una legge speciale che votò per un delegato di pubblica sicurezza il quale fu ucciso a Bologna, quando quella città versava in tristi condizioni per la sicurezza pubblica; e consentanea pure ad un principio che avrà sede, spero, nella nuova legge sulle pensioni. Si tratta di provvedere ad eventualità le quali, benché possibili, non si verificheranno, io spero, in così breve lasso di tempo: tale provvedimento avrà sopratntto per effetto quello a cui l’onorevole Bellazzi saviamente accennava, di rialzare potentemente il morale degl’impiegati, e particolarmente di quelli di pubblica sicurezza, e di farli più facilmente affrontare i pericoli a cui dovranno esporsi nell’esercizio delle loro funzioni.

PRESIDENTE. La Commissione accetta?

CASTAGNOLA, relatore. Accetta.

PRESIDENTE. Metterò m voti quest’aggiunta che formerà l’articolo 8°.

(É approvata).

Voci. A domani! a domani!

TRATTATO COL BELGIO PEL RISCATTO DEE PEDAGGIO
SULLA SCHELDA — TRATTATO DI COMMERCIO
E NAVIGAZIONE COLL'INGHILTERRA E COLLA RUSSIA.

PRESIDENTE. Il ministro per gli affari esteri ha la parola.

VISCONTI-VENOSTA, ministro per gli affari esteri. Ho l'onore di presentare alla Camera un progetto di legge per dare esecuzione ad un trattato col Belgio pel riscatto del pedaggio sullo Schelda.

Ho l’onore a norma dell’articolo 58 dello Statuto di comunicare alla Camera un trattato di commercio e di navigazione coll’Inghilterra, e un trattato di commercio e di navigazione colla Russia.

PRESIDENTE. La Camera dà atto di queste comunicazioni che saranno stampate e distribuite negli uffici. La seduta è levata alle ore 5 1[2.

Ordine del giorno per la tornata di lunedì:

1° Seguito della discussione sul progetto di legge per la repressione del brigantaggio;

2° Interpellanza del deputato Bellazzi al ministro guardasigilli intorno a fatti riguardanti il vicario capitolare di Milano.

Discussione dei progetti di legge:

3° Pensioni degli impiegati civili;

4° Modificazioni al Codice penale militare;

5° Perequazione dell’imposta fondiaria.



Interpellanze sui fatti di Sicilia D'Ondes-Reggio






















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