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TORNATA DELL’11 GENNAIO 1864

PRESIDENZA DEL COMMENDATORE CASSINIS, PRESIDENTE.


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Nella puntata “Il tempo e la storia Brigantaggio: una guerra italiana” andata in onda prima in aprile 2014 e poi nel settembre 2014, un medievalista come  Barbero viene spacciato come esperto del brigantaggio.

Paradossi, mistificazioni e scarsa cultura storica dell’informazione italiana.

Fra l’altro, nella puntata si riporta un filmato di Giorgio Bocca del 1970, nel quale si parla delle dimissioni di venti deputati a causa della repressione del brigantaggio.

Una falsità assoluta, basta leggere gli atti parlamentari.

Alcuni deputati, oltre allo stesso Garibaldi, si dimisero agli inizi del 1864, ma nel resoconto della seduta non si accenna a motivi inerenti il brigantaggio, se non indirettamente per Cairoli, a proposito del quale si scrive:

“L’onorevole Cairoli, deputato del collegio di Brivio, con lettera di Pavia del 31 scorso dicembre, rassegna le sue demissioni.

I motivi ne sono sostanzialmente i seguenti:

1° Il voto del 10 dicembre;

2° Il giudizio che ne ha portato l’opinione pubblica, e le funeste conseguenze che per suo avviso produsse il voto medesimo, quali la continuazione dell’arbitrio nelle provincie meridionali, la perturbazione delle coscienze, e dell’accordo necessario all’adempimento del comune mandato. (Bisbigli).”

Invitiamo i nostri lettori e i naviganti a soffermarsi sul lungo intervento di Pasquale Staninslao Mancini dell’11 gennaio 1864 che si batte per far cancellare dalla legge alcune parti, fra cui la richiesta di modifica dell’espressione “sospetti manutengoli” in “manutengoli”. Da leggere anche l’intervento del piemontese Brofferio del 12 gennaio 1864 che vota contro la legge sul brigantaggio in quanto viola il diritto alla difesa, diritto che in nessuno stato d’Europa, nemmeno nei momenti più bui, venne mai conculcato.

Il voto del 10 dicembre a cui si rinvia nella lettera di Cairoli è quello relativo alla interpellanza sui fatti di Sicilia da parte del deputato D’Ondes-Reggio che potete trovare nel nostro sito, atti parlamentari della Camera dei Deputati dal 5 dicembre 1863 al 10 dicembre 1863.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Zenone di Elea – 9 Ottobre 2014


SOMMARIO. Atti diversi. = Congedi. — Annunzio d'interpellanza del deputato Petruccelli sulla politica estera, assentita dal presidente del Consiglio Minghetti. = Relazione sui disegni di legge per la costruzione di bagni marittimi a Cagliari e ad Alghero. == Annunzio d’interpellanza del deputato Sineo circa la soppressione delle tesorerie di circondario, e adesione dello stesso ministro. = Presentazione di un decreto di nomina del regio commissario, Magliani, per la proposta di legge sulle pensioni degli impiegati civili. = Informazioni del ministro Minghetti, circa l'incendio al Ministero delle finanze. — Seguito della discussione del disegno di legge per la repressione del brigantaggioIncidente sull’ordine della votazione degli articoliPreposizione soppressiva del deputato Mancini, degli articoli 9 e 10 relativi all'arresto preventivo ed al domicilio coatto inflitto ai manutengoli. = Relazione sul disegno di legge per l’anticipazione di un milione di lire alla provincia di Basilicata per opere stradali. = Proposizione del deputato Lovito per la soppressione degli articoli suddettiDiscorso del ministro per l’interno Peruzzi in sostegno dì quegli articoliLa soppressione non è ammessaEmendamento del deputato Mancini, combattuto dal relatore Castagnola, e dal ministro per l'interno, e appoggiato dal deputato D'OndesReggioÈ rigettato — Emendamento del deputato Camerini, ritiratoEmendamento del deputato Conforti, rigettatoEmendamento del deputato Melchiorre, ritiratoEmendamento dei deputati Chìaves e Tecchio Approvazione della seconda parte dell'articolo 9, emendato.

La seduta è aperta alle ore 1 1{2 pomeridiane.

MASSARI, segretario, dà lettura del processo verbale dell’ultima tornata, che è approvato: indi espone il sunto delle seguenti petizioni:

9639. La Giunta municipale di Cavaglio d’Agogna ricorre per Jo. stesso oggetto di cui nella petizione numero 9637.

9640. Cent’ottantuno proprietari di Nizza Monferrato fanno adesione alla petizione sporta da quel Consiglio comunale contro il proposto conguaglio dell’imposta fondiaria.

9641. Nicola Gastaldi, maggiore di fanteria in ritiro, rinnova la petizione numero 7859, colla quale egli reclamava il pagamento di somme da lui spese in missioni affidategli dal cessato Governo della Sicilia.

9642. Il Consiglio provinciale di Catania ricorre al Parlamento perché quella provincia sia reintegrata nella percezione dei proventi delle barriere che stanno nella linea della strada provinciale tra Leonforte e Ponte Micussale.

ATTI DIVERSI.

PRESIDENTE. Hanno presentato i seguenti omaggi:

Il ministro dell’istruzione pubblica — Fascicolo 17° dell’Illustrazione del Duomo di Monreale, una copia;

Il professore dottore nelle leggi e scienze naturali, Calegari Massimiliano, da Modena — Progetto della istituzione presso le Università del regno di un’accademia di esercizio pei pubblici dibattimenti, copie venti.

PRESIDENTE. Il deputato Scarabelli chiede un congedo di dodici giorni per bisogni di salute e di affari.

Il deputato Tonello per ragioni di indisposta salute chiede un congedo di otto giorni.

Il deputato Fabricatore costretto per urgenti affari di famiglia a rimanersi tuttavia a Napoli, chiede un congedo di quindici giorni.

Il deputato Prosperi per urgenti affari di famiglia chiede un congedo di giorni venti.

(Questi congedi sono accordati).

ANNUNZIO D'INTERPELLANZA DEE DEPUTATO PETRUCCELLI SULLA POLITICA ESTERA.

PRESIDENTE. L’onorevole Petruccelli scrive, come la Camera consentisse, ed il presidente del Consiglio dei ministri, a che gli onorevoli Miceli e La Porta facessero interpellanza sulla politica estera in occasione della discussione sul bilancio degli esteri.

Che i signori Miceli e La Porta non facendo più parte del Parlamento, intenderebbe di muovere esso medesimo queste interpellanze.

Interrogo l’onorevole presidente del Consiglio dei ministri se non ha nulla in contrario a che l’onorevole Petruccelli sia l’interpellante in luogo dei signori Miceli e La Porta che per le date dimissioni cessarono di essere deputati.

MINGHETTI, presidente del Consiglio, ministro delle finanze. Per parte del Ministero non vi può essere ostacolo a questa surrogazione.

Quando il bilancio passivo ordinario degli esteri verrà alla Camera, sarà quella occasione all’onorevole Petruccelli di svolgere le proprie idee.

RELAZIONE SEI DISEGNI DI LEGGE
SUI LAGNI MARITTIMI DI CAGLIARI ED ALGHERO.

PRESIDENTE. L’onorevole deputato Macchi ha la parola per presentare relazioni.

MACCHI, relatore. Presento alla Camera il rapporto delle due Commissioni incaricate di esaminare i due progetti di legge, l’uno per ampliare il bagno marittimo presso Cagliari, l’altro per costruirne uno nuovo presso Alghero. '

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

(Si procede all'appello nominale, il quale è interrotto. )

ANNUNZIO D’INTERPELLANZA DEL DEPUTATO SINEO 
SULLA SOPPRESSIONE DELLE TESORERIE DI CIRCONDARIO.

PRESIDENTE. Scrive l’onorevole Sineo che desidererebbe interpellare il signor ministro delle finanze intorno al modo con cui intende provvedere ai pregiudizi che risentono le finanze ed i privati per effetto della soppressione delle tesorerie di circondario.

Prego il ministro di dichiarare se intende di rispondere a queste interpellanze, e dove sì, qual giorno sceglierebbe.

MINGHETTI, ministro per le finanze. Io non ho alcuna difficoltà di rispondere all’interpellanza dell’onorevole SINEO. Se lunedì prossimo non sarà ancora venuto in campo il bilancio delle finanze, al quale benissimo si riferisce questa interpellanza, io sarò pronto a rispondere separatamente.

PRESIDENTE. Resta dunque inteso per lunedì prossimo nel caso che non sia ancora in discussione il bilancio delle finanze.

NOMINA DEL COMMENDATORE MAGLIANI A COMMISSARIO REGIO PEL DISEGNO 
DI LEGGE SULLE PENSIONI DEGLI IMPIEGATI CIVILI.

MINGHETTI, ministro per le finanze. Ho l’onore di presentare alla Camera un decreto di Sua Maestà col quale è nominato il commendatore Magliani, segretario generale della Corto dei conti, regio commissario per le pensioni degl’impiegati civili. Egli è quello che sostenne già il progetto al Senato, e inoltre può darsi che io sia obbligato a trovarmi assente per la discussione sulla ricchezza mobile al Senato.

PRESIDENTE. Si dà atto al signor ministro della presentazione di questo decreto.

INCENDIO NEL PALAZZO DEL MINISTERO DELLE FINANZE.

MINGHETTI, ministro per le finanze. A questo proposito io non ho d’uopo di ricordare alla Camera le molte ragioni che richieggono la pronta discussione e votazione di questa legge sulle pensioni la quale è veramente essenziale all’ordinamento dell'amministrazione: Levarie ragioni sono già state esposte altra volta: ma ne aggiungerò anche un’altra materiale e minore, ma però di qualche considerazione, ed ò che, siccome una parte degl’impiegati della divisione delle pensioni passerebbe alla Corte dei conti, questo faciliterebbe ancora molto alcuni accomodamenti che sono necessari in seguito all’incendio che questa notte stessa è scoppiato al Ministero delle finanze.

MACCHI. Ed ha portato gravi danni?

MINGHETTI, ministro delle finanze. Quest’incendio poteva essere molto grave, ma fortunatamente non ha prodotto alcuna conseguenza che possa nuocere al servizio pubblico. Lo zelo e l’attività con cui si sono prestati i pompieri, i carabinieri, le truppe, le guardie e tutti quelli che sono accorsi poterono impedire che l’incendio si propagasse: non vi fu di bruciato che un magazzino dove era deposito di stamp---ati, e questi non hanno alcuna influenza al pubblico servizio; l’officina di legatura dei libri, una parte della biblioteca delle finanze, ed anche questo non ha alcuna conseguenza all’andamento dell’amministrazione; finalmente alcune camere della divisione contabilità in cui vi erano carte relative a conti arretrati, i quali hanno il loro duplicato o alla Corte dei conti, od al Tesoro, o presso altri uffici.

Pertanto l’incendio che poteva essere gravissimo, fu fortunatamente represso ne’ suoi principi!, e il male che ha prodotto non può compromettere il servizio pubblico.

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DEL DISEGNO DI LEGGE 

PER LA REPRESSIONE DEL BRIGANTAGGIO.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge per la repressione del brigantaggio.

Rammenta la Camera come si fossero votati i primi sette articoli del progetto della Commissione; come si fosse inoltre approvato un articolo proposto dall’onorevole Bellazzi dopo l’articolo 7; il quale articolo proposto dal signor Bellazzi verrebbe ad essere l’8° della legge.

Cadrebbe ora in discussione pertanto l’articolo 8” del progetto della Commissione del tenore seguente:

«Avranno vigore pur le disposizioni seguenti fino al 30 aprile 1864 in quelle tra le provincie napoletane e siciliane, che venissero designate con decreto reale.»

Se la Commissione non ha nulla in contrario e la Camera assente, io proporrei che si discutessero prima gli articoli 9 e 10 poiché l’articolo 8 non essendo che un proemio dei mentovati articoli 8 e 9 esso diverrebbe caduco ove per avventura fosse adottata la soppressione dei medesimi.

Quindi si comincierà a discutere sugli articoli 9 e 10.

ma ss ahi. Scusi, l’articolo 9 diventa l’articolo 10 in seguito all’adozione dell’articolo proposto dal deputato Beilazzi.

presidente Ella ha ragione, diventa decimo, ma io l’ho chiamato nono, onde conservare, con maggior chiarezza della discussione, il numero sotto cui l’articolo si trova stampato, e sottoposto così agli occhi di tutti.

MANCINI. Domando la parola per una mozione d’ordine.

Mi permetto di osservare che esistendo una mia proposta di soppressione degli articoli 8, 9 e 10 questa proposta non può essere discussa che in occasione dell’articolo 8.

Il signor presidente accennò all’opportunità di far precedere la discussione degli articoli 9 e 10, onde esaminare se dovessero introdurvisi gli emendamenti presentati dai vari membri della Camera; ma sembrami indispensabile discutere preliminarmente in occasione dell’articolo 8 la più radicale proposta soppressiva.

PRESIDENTE. Scusi l’onorevole Mancini, l’articolo 8 dice così: «avranno vigore pure le disposizioni seguenti,» cioè, ecc.

Se non ne seguisse nessuna di queste disposizioni, vale a dire se gli articoli 9 e 10 fossero soppressi, allora l’articolo 8, com’ella vede, diverrebbe senza oggetto; perciò persisterei a che, senza pregiudicare a nulla, si procedesse prima alla discussione degli articoli 9 e 10.

SINEO. Domando la parola per una mozione d’ordine.

Io ho proposto un emendamento che avrebbe il carattere di aggiuntivo.

Credo che il suo posto sarebbe all’articolo 9 e immediatamente dopo quello che fu votato avanti ieri. Ma se la Camera mi riserva la facoltà di proporre questo emendamento lasciando in sospeso la sua decisione circa il sito in cui dovrà essere collocato, io non insisterò per ora, e aspetterò che sia esaurita la discussione intorno al progetto della Commissione.

PRESIDENTE. Faccio avvertire all’onorevole Sineo che egli ha presentato un emendamento all’articolo 9; io lo pregherei di dire s’egli intenda, come pare, che sia aggiunto subito dopo gli otto articoli di già approvati; in tal caso io ne aprirei la discussione immediatamente, e così prima di venire a quella degli articoli del progetto, e gli darei perciò la parola sin d’ora per isvolgerlo.

SINEO. Precisamente; la mia proposta dovrebbe costituire l’articolo 9 dopo gli otto già votati. Verrebbe subito dopo la proposta del deputato Bellazzi. Ma essa non pregiudica le questioni successive; non ci sarebbe dunque nessun inconveniente se la Camera credesse di passare alla discussione d’altri articoli, purché mi sia riservata la facoltà di sviluppare poi la mia proposta e sia libero alla Camera di discuterla e di adottarla.

D'ONDES-REGGIO. Signor presidente, il mio emenmento sulla difesa è evidentemente subordinato all’emendamento dell’onorevole Mancini; al quale superfluo è il dire che consento pienamente, che anzi avrei io proposto se egli già non l’avesse fatto. Temendo che affatto l’abolizione delle Giunte non sia decretata, ho proposto l’emendamento sulle difese. Quindi chiaro è che l’emendamento di Mancini debba discutersi prima del mio.

Chieggo poi che, se io debbo svolgere il mio emendamento, sia presente il ministro di giustizia; a lui precipuamente debbo rivolgermi; obbietto di somma giustizia io propugnerò.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia fu da me fatto chiamare e credo che giungerà quanto prima.

Do lettura pertanto, colle riserve che abbiamo accennato sull’articolo 9, del progetto della Commissione:

«Il Governo avrà facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di due anni, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette secondo la designazione del Codice penale, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli, dietro parere conforme di una Giunta composta del prefetto, del presidente del tribunale di circondario, del capoluogo della provincia, del regio procuratore presso il tribunale medesimo e di due consiglieri provinciali scelti dai primi tre.

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati e potrà ordinarne preventivamente l’arresto.»

Di questo articolo 9 è proposta la soppressione dagli onorevoli deputati Lovito, Lazzaro, Mancini e Basile.

L’onorevole Lovito ha la parola per isviluppare, se lo erede, la sua proposizione.

MANCINI. Domando la parola.

Io era iscritto prima dell’onorevole Lovito. Tuttavia non intendo parlar prima, e gli cedo volontieri la parola.

LOVITO. Al contrario, io pregherei l’onorevole. Mancini di voler pigliar lui la parola.

MANCINI. Signori, la legge che è in discussione contiene un doppio ordine di disposizioni. Le prime di carattere repressivo, hanno formato oggetto della disamina e delle deliberazioni della Camera, e dobbiamo essere intimamente persuasi di avere con esse provveduto a tutte le necessità dell’ordine pubblico, sia per la qualità delle pene minacciate, sia per aver confidato il giudizio non solo degli autori principali, non solo dei complici, ma ben anche di quei ricettatori e fautori nei quali mancassero i veri caratteri della complicità, non ai giurati, non alla coscienza del paese, ma ai tribunali di eccezione, i quali non possono essere certamente sospetti di mite rilassatezza.

Io confido nella giustizia dei tribunali militari, ma la Camera deve essere meco convinta che gl’incolpati non saranno puniti fuorché quando vi siano prove atte ad ingenerare la persuasione di qualsivoglia giudice imparziale ed anche severo, che cioè se essi abbiano favorito il brigantaggio con aiuti, notizie, soccorsi, corrispondenze; con asilo, con qualsivoglia specie di atti che possono costituire queste persone manutengoli, esse oramai non isfuggiranno alla meritata pena.

Aggiungerò di più che per farsi luogo a questi giudizi si comincia dall’arrestare, e l’arresto potrà ordinarsi ed eseguirsi da tutte quelle autorità che ne hanno il diritto.

Abbiamo dunque l’arresto preventivo seguito da un giudizio, ed abbiamo un giudizio affidato ad una magistratura senza il menomo dubbio rigorosa e severa.

A questo punto io non posso dubitare che non siasi ampiamente provveduto alle pubbliche necessità, né credere che vi sia necessità di altre disposizioni non conformi ai principii che devono reggere un Governo liberale come il nostro, cioè delle disposizioni della seconda parte della legge, aventi un carattere preventivo delle quali il Ministero e la Commissione vi propongono l’accettazione.

Io non ho votato questi articoli, né anche quando fu adottata dalla Camera la legge anteriore; ho dunque la coscienza tranquilla, senza scrupoli, né rimorsi intorno alle conseguenze prodotte dall’applicazione di codeste disposizioni. Ho sempre avuto diffidenza di leggi di questa natura, le quali alle guarentigie della discussione legale delle prove, e della costituzionale inamovibilità dei magistrati sostituiscono la discrezione dell’uomo, la volontà, l’arbitrio.

Io non intendo di accusare le intenzioni né del ministro che principalmente ha tenuto mano all’esecuzione di questa legge, né di molti de’ suoi dipendenti; in tutta buona fede essi hanno potuto desiderare che non si cadesse in errore, né si esorbitasse dal vero scopo cui il Parlamento mirava nell’accordare al Governo insoliti e straordinari poteri. Mi basta però che in fatto lo stesso onorevole ministro ed i migliori tra i suoi dipendenti sono stati costretti a dichiarare che errori hanno avuto luogo nell’esecuzione di questa parte della legge, e la Commissione della Camera ha dovuto riconoscere che fino ad un certo punto erano inevitabili.

Io sostengo perciò che, rispetto a queste disposizioni, la legge è intrinsecamente cattiva, ed importante la negazione degli ordini costituzionali; datela ad eseguire anche agli angeli, produrrà pur sempre quei rovinosi effetti che ha generato nelle provincie meridionali.

Pertanto io mi propongo di dimostrare che questi tre articoli non debbono essere conservati, dopo che essi hanno esercitato la loro azione durante quattro mesi, e possono ancora esercitarla per l’avvenire per altri due mesi, qualora la Camera non abroghi ad un tempo la legge anteriore del 15 agosto. Dopo sei mesi nei quali il Governo sia stato armato di questi poteri ed arbitri; sconfinati, se in questo periodo di tempo non avrà raggiunto lo scopo col conseguimento dei desiderati risultamenti, sarà evidente che inutile ed inefficace siasi sperimentato questo rimedio medesimo; né si dovrà perseverare in una cura chiarita impotente a condurre alla bramata guarigione.

Permettete, o signori, che io dichiari di parlare con cognizione de’ fatti e con profondo convincimento, perché ho avuto l’opportunità di trattenermi in Napoli per circa un mese, e quindi d’interrogare sopra gli effetti di questa legge numerose classi di persone, specialmente influenti e devote ai nuovi ordini politici che presentemente reggono la nostra patria.

Ciò che mi ha colpito si è che, mentre sopra le altre parti di questa legge, intorno alla giurisdizione dei tribunali militari, intorno ad altri provvedimenti, le opinioni erano difformi; quanto alle disposizioni preventive racchiuse in questi tre articoli era mirabile l’unanimità del pubblico giudizio, né vi era un sol uomo di cuore e di mente il quale non si affrettasse a qualificare la loro adozione come un deplorabile errore, ed a riconoscere che la legge ha dato pessimi frutti!

Certamente, o signori, io mi aspetto che il ministro dell’interno venga a dirci che egli ha consultato certe autorità, e che queste autorità tutte d’accordo opinano che debbansi mantenere nel Governo questi poteri straordinari.

Ma pria di tutto le autorità inferiori, tranne i casi non comuni d’un’indipendenza assai elevata di carattere ed in questioni radicali di principii, facilmente inclinano ad opinare in quel senso in cui veggono abbondare il loro superiore.

In secondo luogo, qual maraviglia che, interrogando un prefetto, se egli creda di poter meglio adempiere la sua missione quando sia armato di poteri e facoltà straordinarie, e per mantenere l’ordine pubblico, non debba risolvere il malagevole problema di rispettare le formalità della legge, egli risponda parergli opportuna la continuazione dell’esercizio di que’ poteri straordinari? Di ciò non ho punto né poco meraviglia, e sono anzi sorpreso come l’onorevole ministro dell’interno, e, credo, anche l’onorevole ministro guardasigilli, in un loro discorso, pronunziato alcuni giorni addietro, abbiano invocata l’opinione espressa da questi funzionari come un’autorità che potesse imporsi al voto della Camera.

Io sono convinto, o signori, che se invece s’interrogassero tutti gli organi schietti e sinceri della pubblica opinione, i Consigli provinciali, i Consigli comunali, specialmente de’ comuni che furono teatro di più numerosi arresti, e quindi dei deplorabili errori prodotti nell’esecuzione di questa legge; se finalmente s’interrogassero i molti uomini sapienti e devoti all’ordine presente di cose, che non prendono parte alla vita politica, ma da una sfera più elevata e serena possono giudicare imparzialmente dello stato dello spirito pubblico, e delle conseguenze che questi provvedimenti producono ed esercitano nell’indirizzo del medesimo, io sono convinto che se ne avrebbe una concorde risposta, la quale consiglierebbe il Parlamento ed il Governo a non perseverare in questa via, a ritenere sei mesi di esercizio di questi poteri straordinari più che sufficienti, al di là anzi del necessario.

Del resto, o signori, io credo che per voi costituisca pure una malleveria del vero stato dell’opinione generale il vedere un eminente magistrato come l’onorevole Conforti, che per ragione del suo ufficio ha dovuto rimanere più lungamente di me nelle provincie napoletane nel tempo in cui questa legge veniva applicata, e che è stato il relatore della legge allorché la prima volta fu votata, il vederlo oggi venire con quella schietta convinzione che onora lo schietto amico della giustizia e del bene pubblico, a dichiararsi convinto che questa legge ha fatto il suo tempo, che sarebbe un’imprudenza, un pericolo, un pubblico danno prorogarne in questa parte la durata; e il vedere ad un tempo che io stesso con eguale convincimento di vivo cuore mi associo ad una tale dichiarazione. E impossibile che la nostra modestia ci faccia rassegnare a veder poste le nostre opinioni e testimonianze al disotto del valore di quelle di un certo numero di prefetti avvezzi a dipendere più o meno ciecamente dal signor ministro. La Camera certamente non può dubitare del nostro interesse al ripristinamento dell'ordine pubblico nel napoletano; ci esporremmo volentieri a maggiori sacrifizi, perché quelle provincia potessero entrare in condizioni normali ed elevarsi al grado di sicurezza e di prosperità delle altre più felici provincie italiane, in guisa da rispondere alle calunnie sparse in Europa intorno alla pretesa loro degradazione sociale e politica. Ma vogliamo che lo scopo si raggiunga con mezzi degni della civiltà, con l’azione della giustizia dei paese, con pene legittimamente inflitte, non mai con un sistema fecondo di gravissimi ed inevitabili errori, col lusso degli arbitri!, con una scandalosa riproduzione del vecchio dispotismo borbonico.

Non vi sembrino gravi, o signori, queste ultime parole: le ho usate a disegno, perché raffigurano esattamente ciò che si sta operando nelle provincie napolitane, ed ivi le ho trovate nella bocca di moltissimi.

Il compianto conte di Cavour, capo illustre del partito conservatore liberale in Italia, dichiarò sovente da quella tribuna che il Governo italiano non doveva con vergognosa imitazione governare Napoli e la Sicilia con gli stessi iniqui mezzi adoperati dai Borboni, e che avevano meritato di essere dall’opinione di tutta Europa giustamente condannati ed infamati.

Ritornare a quei mezzi era, secondo lui, fare indirettamente un’apologia retrospettiva del Governo borbonico; era dargli ragione, era proclamare il mezzodì d’Italia degno di quel Governo e di nessun altro Governo, era meritare i rimproveri stessi che principalmente si applicavano al Governo dei Borboni, cioè, che la sicurezza delle persone era divenuta una vuota parola, essendo posta in balìa dell’onnipotenza della polizia.

Il sistema borbonico e l’attuale, posti a confronto, offrono luminosi e tristi caratteri di somiglianza.

Il Governo borbonico aveva ripieno il regno di un gran numero di attendibili: voi sapete ciò che fossero questi attendibili. Erano individui sospetti in faccia al Governo. E quel Governo aveva ragione di sospettare in quegli attendibili, profondi nemici, implacabili avversari della dinastia e dell’assoluto reggimento. Ebbene, come li trattava? Ordinariamente li sottoponeva ad una sorveglianza rigorosa ed intollerabile della polizia, e li confinava in un domicilio coatto. Giova tuttavia rammentare che questo domicilio coatto d’ordinario era assegnato o nello stesso comune natio o a poca distanza, ed in casi molto rari in una provincia limitrofa, sì che questi individui erano allontanati il meno possibile da quella località dove la loro presenza poteva a quel Governo sembrare pericolosa. Oggi invece, grazie agli allargati confini territoriali dello Stato cosa facciamo noi dei nostri attendibili? Noi li releghiamo in provincie lontane dell’Italia, certamente fuori dei confini dell’antico reame delle Due Sicilie, alcuni anche nelle isole, come nell’isola dell’Elba ed in altre isolette infelicissime.

Tale è la sorte che noi abbiamo riserbata a questi che potremmo parimenti chiamare attendibili: non ve n’è alcuno il quale si trovi a domicilio coatto entro i confini del proprio comune o in comune limitrofo.

Inoltre, o signori, sotto il Governo passato quello che veramente pesava ed incresceva di più si era la frequenza e la facilità degli arresti. Il numero degli arrestati sotto il Governo borbonico è enorme, e noi ora, o signori, non. siamo ritornati a questo medesimo errore aggravandolo?

Allorché la prima volta votammo questi articoli di legge (ed in ciò faccio appello alla lealtà del Ministero ed alla memoria dei miei onorevoli colleghi), noi punto non pensammo, né ebbimo l’intendimento di autorizzare il Governo ad eseguire col mezzo delle Giunte arresti in massa di persone sospette. Fu nostro pensiero autorizzarlo unicamente e semplicemente a ricercare alcune persone appartenenti a certe categorie sospette come manutengoli, ovvero camorristi, la cui presenza si reputasse pericolosa nelle provincie meridionali, in certe date località, ed a traslocarle assegnando loro un’altra temporanea residenza. Nessuno sollevò né anche il dubbio, nessuno immaginò il pericolo che si trattasse di dare al Governo la facoltà di imprigionare senza processo qualunque cittadino.

Ebbene, o signori, nel modo d’esecuzione di questi articoli della legge, il Ministero che pose ogni studio a non parlar chiaro nel momento della discussione della legge, dopo che fu promulgata si fece lecito, a mio avviso, di sistematicamente violarla e conculcarla, per via d’inammessibili interpretazioni e induzioni, adoperando un ragionamento, contro il quale tutti i precedenti legislativi e lo stesso buon senso protestavano.

Come se il confine in luogo determinato non fosse una pena contemplata nei Codici penali il Ministero fece questo strano ragionamento: per tradurre le persone nel luogo loro destinato a confine, bisogna cominciare dall’impadronirsi delle persone stesse ed arrestarle: poiché dunque il Parlamento ha autorizzato il Governo ad assegnare un domicilio coatto, sarà lecito di argomentare per induzione che in modo implicito ha anche permesso di arrestare.

Una volta adottato questo metodo d’induzione, e tolta così l’essenziale differenza che passa tra l’imprigionamento e la semplice destinazione di un luogo determinato per libera dimora, si è continuato a ragionare in questa guisa:

Se l’imprigionamento è autorizzato onde assicurare che gl'indiziati o denunziati non fuggano, l’arresto potrà ordinarsi preventivamente, appena l’indizio o la denunzia abbia designata una persona sospetta all’attenzione del Governo; e dipenderà interamente dalla prudenza del Governo stesso estendere anche sopra larga scala il numero di tali arresti preventivi. Nè importa poi che gl’individui sospetti rimangano imprigionati lunghi mesi, e protestandosi innocenti reclamino invano un giudizio, perché non hanno diritto ad essere sottoposti a giudizio. E se chiedano che almeno la Giunta pronunzi definitivamente sul loro conto, la Giunta noi potrà finché il prefetto non abbia assunte le informazioni e compiuta l’istruzione; e così stuoli d’infelici, strappati alle loro famiglie, gettati nel fondo delle prigioni, non trovano sulla terra alcuna autorità, sia amministrativa, sia giudiziaria, a cui possano levar la voce domandando che si faccia, la luce della verità, e che loro sia impartita giustizia! (Conversazioni al banco dei ministri)

Veggo con rammarico il ministro dell’interno seguire questa discussione con grande distrazione, come se si trattasse di argomento poco importante. Permetta che richiami almeno per qualche momento la sua attenzione sopra una interpellanza che vado a dirigergli: l’ascolti acciò sia in grado di categoricamente rispondermi.

Io lo prego di presentare alla Camera un prospetto il quale completi l’elenco che la Commissione ha stimato opportuno dì stampare accanto alla sua relazione. La Commissione in quell’elenco ci ha ben fatto sapere il numero degli individui giudicati dai tribunali militari come autori o complici e fautori del brigantaggio: ma ci ha lasciato ignorare, perché probabilmente il ministro lo ha lasciato ignorare a lei stessa, il numero preciso, le qualità, le classificazioni dei cittadini che vennero sottoposti all’inquisizione delle Giunte provinciali, nonché di tutte quelle che in esecuzione della legge del 15 agosto giustamente o ingiustamente sottoposte o no al giudizio delle Giunte furono, o si trovano tuttora attualmente imprigionate, ed i motivi degli arresti.

Il Parlamento ed il paese hanno il diritto di conoscere dalla lealtà del ministro, e sotto la sua responsabilità, mercé la comunicazione del domandato quadro statistico, se siano vere od esagerate le cifre di sette od otto mila cittadini, i quali sarebbero stati nelle provincie meridionali in questi pochi mesi imprigionati, nell’esercizio di una potestà discrezionale ed arbitraria, sopra apparenze più o meno fallaci, sopra apprezzamenti individuali di funzionari, spesso arrischiati, non di rado assurdi o apertamente contrari al testo ed allo spirito della legge, per l’esecuzione degli articoli stessi che ora trovansi in discussione.

Io confido che il ministro soddisferà questo desiderio, che non è il mio soltanto; dappoiché al contrario queste voci esagerate non sarebbero che solennemente confermate dalla sua inescusabile reticenza.

E ciò basti quanto al numero ed all’estesa misura degli arresti.

Finalmente, o signori, si rimproverava al Governo caduto delle provincie meridionali, che tutti gli altri poteri dello Stato, non escluso il potere giudiziario, finissero per subire al disopra di loro un potere quasi supremo, invisibile, predominante tutti gli altri, che disponeva irresistibile ed irresponsabile della libertà delle persone e confiscava i più sacri diritti dei cittadini, o questo era il potere della polizia.

Ebbene, o signori, la condizione odierna delle provincie napolitano, pel modo in cui questa legge venne eseguita, poco manca che non sia divenuta identica. Posso assicurare la Camera che specialmente in alcune provincie quasi non vi è famiglia, la quale non tremi dell’onnipotenza dell’autorità di polizia, de’ suoi errori ed abusi; ed anche quando non esistano cause di giusto timore, si è tornato alla vecchia abitudine delle diffidenze e delle precauzioni servili, dell’adulazione cortigiana verso i prefetti ed i favoriti del giorno, ed infine è tale in que’ luoghi il contegno delle persone che si è obbligato a dimandare a sé stesso, se e come abbiano potuto obbliare i cittadini di quelle provincie di vivere ormai sotto un regime di libertà, sotto le guarentigie della Costituzione, sotto lo scettro del migliore dei Re, di Vittorio Emanuele; e non più sotto le sevizie dell’antica polizia, e nei luttuosi tempi dei Borboni. È un fatto che tutti temono, dappoiché dove non vi sono discussioni, né giudizi; dove può perderti un nemico, una privata vendetta, una tenebrosa trama, un errore, una calunnia sobbillata all’orecchio di un prefetto, di un funzionario di sicurezza pubblica, di un brigadiere de’ carabinieri, qual’è la coscienza pura che possa riposare imperturbata e tranquilla? E chi potrebbe più accorgersi di vivere in paese libero, all’ombra della protezione delle leggi e delle guarentigie costituzionali?

Io credo dunque, che noi continuando ad armare il Governo, di un potere straordinario così pericoloso,  non solo non renderemo utile servizio al Governo stesso, non solo lo ridurremo odioso a quelle popolazioni, anziché farlo riguardare, come noi vorremmo e come tutti dovremmo desiderare, un potere tutelare, protettore dei diritti e restauratore della civile sicurezza; ma al contrario in quelle provincie scaveremo un abisso senza fondo, nel quale precipiterà in discredito irreparabile la stessa monarchia costituzionale col corteggio delle sue più auguste e venerate istituzioni.

Signori, sotto un altro punto di vista ancora si giustifica la proposta di soppressione di questi articoli nell’attuale progetto di legge. Essi hanno niente di comune con una legge sul brigantaggio. Quando già negli articoli precedenti abbiamo stabilito, che autori e complici, e ricettatori e fautori, cioè manutengoli del brigantaggio, possono essere arrestati, e debbono dai tribunali militari venir giudicati, e severamente puniti, io domando a me stesso: qual necessità! rimanga ancora di aggiungere articoli, il primo dei quali comincia col dichiarare che non solo nelle provincie infestate dal brigantaggio, ma generalmente in qualunque altra delle provincie napoletane o siciliane, che piacesse al Governo di designare con un decreto reale, il Governo viene munito di questi straordinari poteri? Che significa ciò? E manifesto che non è già: una parte della legge sul brigantaggio, che ora si tratta di discutere; ma è materia del tutto estranea. Però il Ministero, conoscendo che il Parlamento ed il paese sono animati da nobile gara di zelo e di abnegazione per accettare ogni provvedimento inteso alla medela di questa sanguinosa piaga del brigantaggio, si studia di coprire di questo mantello la domanda di poteri straordinari da esercitarsi per uno scopo affatto diverso, e profitta di questa occasione per far votare disposizioni e provvedimenti di pubblica sicurezza, che altrimenti senza questo passaporto mendace un Parlamento costituzionale non sarebbe certamente propenso ad approvare.

Così è noto che in Sicilia il brigantaggio non esiste; e pure, una legge, che riguarda il brigantaggio, contiene l’adozione identica di queste disposizioni tanto per le provincie napoletane che per le siciliane. Spogliata la legge di questa larva ingannatrice; restituita in questa parte al vero suo scopo e carattere; la Camera deciderà se quei poteri straordinari giustamente si domandino, e se possano concedersi.

Ora io scenderò ad analizzare le categorie di persone a cui si vorrebbe applicato l’articolo 9; e dimostrerò che il Codice penale e la legge di pubblica sicurezza contengono tutte le sanzioni necessarie acciò la sicurezza di quelle provincie sia tutelata.

Queste categorie di persone sono primieramente gli oziosi, i vagabondi e le persone sospette contemplato nel Codice penale. Per queste adunque non avete bisogno di una legge eccezionale per guarentire la pubblica sicurezza in tutta l’Italia. Altrettanto dimostrerò or ora dei camorristi.

Rimane adunque unicamente la nuova categoria creata da quella legge de' sospetti manutengoli del brigantaggio.

Or io credo di aver dimostrato che logicamente si dovrebbe restringere l’applicazione di questo articolo alle provincie infestate dal brigantaggio per rinvenirvi la categoria di questi sospetti manutengoli.

Perché dunque il Ministero propugna l’adozione di queste disposizioni per tutte quelle provincie che piacerà al Governo di designare con un decreto reale? In tal modo si accredita l’opinione che sotto la fallace apparenza della persecuzione del brigantaggio si vuole avere in mano la facoltà di arrestare o mandare al domicilio coatto ogni specie di persone al Governo sospette.

Il ministro dell'interno non potrà negare; e se egli lo contraddirà, per quanto io mi proponga di non discendere a fatti particolari in questa discussione, vi sarò costretto, mio malgrado, che nonostante le circolari, alcune delle quali hanno data tardiva, in seguito ad errori deplorabili che si erano verificati, tanto in Sicilia che nelle provincie continentali numerosi esempi occorsero, in cui i provvedimenti eccezionali dell’arresto e dell’invio al domicilio coatto furono applicati fuori delle categorie anzidette, ma a distinti patrioti, ad uomini i quali avevano renduto alla rivoluzione servizi insigni, ad uomini tali che fu veramente una dolorosa sorpresa da non potersi esprimere per intere popolazioni, testimoni de’ loro meriti e sacrifizi, l’averli veduti caduti in sospetto al Governo e messi in prigione co’ malfattori!! Sospetti di che? Sospetti manutengoli.

Gran Dio! La coscienza pubblica, il senso comune, la notorietà locale protestavano esser questa una menzogna, una codarda calunnia: dunque eravi altro motivo segreto ed affatto diverso, per cui costoro erano stati imprigionati. Porse alcun atto di opposizione o d’indipendenza, forse la professione di opinioni che per avventura possiamo noi tutti qui non approvare, ma che non erano un delitto.

PERUZZI, ministro per l'interno. Nego assolutamente.

MANCINI. Io spero che l’onorevole ministro, il quale mi oppone una vaga denegazione, non negherà che è generale e quotidiana la confessione da parte degli stessi funzionari governativi, ed io aspetto di udirla ripetere da lui medesimo, che errori di questa natura si sono commessi nell’esecuzione della legge.

Tutta la questione ora si riduce a sapere se tali errori furono molti o pochi; per me ho le provo che furono frequenti e scandalosi.

Del resto, fossero anche non molto numerosi, io domando se una legge, la quale nella sua interpretazione ed esecuzione può generare e genera somiglianti pericoli, non sia una legge, solo per ciò, condannata dalla morale e dalla coscienza a cessare al più presto di aver vigore.

Signori, io vorrei sperimentare se i miei egregi colleghi delle altre provincie italiane del settentrione e del centro sarebbero disposti a consentire al Ministero, fosse anche per una sola settimana, somiglianti poteri straordinari per l’Emilia, per la provincia Bolognese, che pure non di rado versò in gravi e difficili condizioni di sicurezza pubblica, per la Sardegna.

Troppo conosco il loro geloso affetto alle garanzie costituzionali, il loro patriottismo e zelo di libertà, sì che mi pare già di vederli a levarsi in massa e votare contro una proposizione di tal sorta, non sapendo tollerare l’applicazione di disposizioni simiglianti nei loro paesi.

E perché dunque la maggioranza di questa Assemblea le adottò, e il Ministero le chiede di adottarle ancora?

Io ve lo dirò.

Pur troppo tra la maggioranza della Camera ed il Ministero si è venuto tacitamente formando una specie di fatale compromesso.

Il Ministero le dice: lasciatemi ancora continuare nelle provincie napoletane e siciliane il vecchio sistema, lasciatemi governare quei popoli come li governavano i Borboni, quanto alla sicurezza pubblica; questo esempio resterà circoscritto come un fatto locale, e non vi chiedo di estenderlo al resto d'Italia, dove, come già versando altre provincie in condizioni difficilissime, non si è mai osato di concedere ed esercitare poteri straordinari di tal fatta, così anche per l’avvenire mi porto mallevadore che mai non si farà.

Ma, signori, una grave, osservazione non dovrebbe sfuggirci. I ministri, così diportandosi e mantenendo un regime illiberale ed eccezionale soltanto nelle provincie meridionali, non vengono a dare il più fatale dei colpi all’unità politica dello Stato? Non sono essi che, mentre da un lato mostrano desiderio di unificare il paese nelle leggi e nelle istituzioni, in realtà, laddove queste istituzioni dovrebbero appunto proteggere la libertà, essere forte presidio e garanzia dei diritti degl’individui, essi spezzano in due punti l’Italia, ne assoggettano una a leggi speciali, ad un regime particolare che non ha nome, che non è la Costituzione, né la libertà, che è l’impero del buon piacere, dell’arbitrio; riserbando i tesori della libertà, i diritti e le prerogative che l’accompagnano, solamente per l’altra metà?

Questo è un abituare le due parti d’Italia a vivere e reggersi disgiunte in ciò che v’ha di più essenziale nella vita civile e politica, è la negazione dell’unità italiana, alla quale ci si domanda di consentire nel chiedersi la proroga di quel regime eccezionale per le sole provincie meridionali!

D’altronde, chi non vede i danni morali e politici gravissimi che questo sistema deve inevitabilmente produrre? Io non so, o signori, se quando i prefetti delle provincie napolitane e siciliane si saranno abituati a governare con tal sistema, ad avere a loro disposizione l’esercizio di tanto potere, e non già per due, per quattro mesi soltanto, ma per un tempo ancor più lungo, non finiranno pur troppo per rendersi per sempre impotenti a governare, altrimenti, quelle popolazioni.

Il ritorno alla libertà, al regime normale costerà più tardi uno sforzo immenso; incontrerà ostacoli pressoché insuperabili.

Io credo che questa sarà la luttuosa eredità che lascierà dietro di sé la presente amministrazione per opera di questa legge, la quale ha fatto spargere tante lacrime a famiglie onorate, ed ha gettato in quelle contrade un amaro sconforto nel cuore di tutti gli amici della patria e della libertà.

Che diremo poi dell’opinione dell’Europa?

Finché il conte di Cavour stette su quei banchi, tutti i giorni egli veniva a rammentarci l’obbligo che noi avevamo di opporre una solenne e quotidiana confutazione ai nemici dell’italica unità, i quali si sforzavano di far credere all’Europa che le provincie del mezzogiorno d’Italia fossero sotto la pressione della forza. Quali sono, così ragionar soleva il grande uomo di Stato, le leggi che ivi noi manteniamo? Sono le leggi comuni; lo Statuto con tutte le sue franchigie; l’ordine pubblico non è protetto che dall’azione ordinaria de’ Codici e de’ tribunali comuni; se pure fatti criminosi, per avventura, in alcune località abbondassero, se vi è il triste retaggio lasciato dietro di sé da un Governo che era la negazione di Dio, sono i giurati napoletani e siciliani, cioè la coscienza e la moralità dominante della maggioranza del paese, che ne fanno giustizia.

Vedete, nel mezzogiorno d’Italia non abbiamo Commissioni militari, non tribunali straordinari, non leggi eccezionali. Ed egli costantemente propugnava questa grande verità, che bisognava ridurre allo stato normale quelle provincie col mezzo della libertà, e non colla violenza delle leggi eccezionali; e credo che furono queste le ultime parole pronunziate sul suo letto di morte, quasi sacro legato lasciato ai suoi successori, e che i suoi odierni successori deplorabilmente obbliarono.

Durante il Ministero Ricasoli né anche provvedimenti straordinari furono adottati. Successe il Ministero Rattazzi, il quale (è giustizia il riconoscerlo) solo in un giorno di straordinario pericolo della patria proclamò lo stato d’assedio: eppure le conseguenze prodotte da quell’atto furono così disastrose, così gravi disordini ne derivarono, dei quali io medesimo fui testimone oculare in quei paesi, che sebbene io avessi fatto parte per alcuni giorni di quell’amministrazione, e separandomene, avessi sempre col mio voto continuato a dimostrarle la mia fiducia, pure in quei luttuosi giorni sotto l’impressione delle tristi conseguenze prodotte da quello stato d’assedio non trovai nella mia coscienza la forza di continuargli il mio appoggio.

Come dunque potrei oggidì condurmi diversamente, sia con l’amministrazione attuale, sia con qualunque altra, la quale persistesse nel programma di sostituire | all’unica Italia, sogno ed affetto e culto della nostra } vita, le due Italie del nord e del sud, con doppia forma e sistema di Governo? Quando io penso che ciascuno di noi ha dovuto, secondo le proprie forze, concorrere con tanti personali sacrifizi ad innalzare questo maraviglioso edifizio del regno d’Italia che oggi è la maraviglia dell’incredula Europa, mi sento invaso da indicibile tristezza e da profondo sconforto, considerando che i miei dodici anni di esilio, che le condanne di morte o alle galere borboniche, che meco affrontarono tanti miei generosi colleghi ed una schiera infinita di patriotti delle provincie meridionali, possano avere per risultato di nuovamente ridurre in quelle provincie la sicurezza ed i più sacri diritti de’ cittadini senza le garanzie costituzionali, ed in balìa dell’arbitrio governativo quasi come nei tempi infelici del regime borbonico!

L’onorevole guardasigilli ha detto, né io gli contraddico, che gli attendibili ed i perseguitati sotto i Borboni si chiamavano Poerio, Crispi, ed i nomi di altri illustri uomini; oggi si chiamano Crocco, Nico-Nanco ed altra simile spregevole genìa. Ma allora io rispondo: riserbate la vostra severità, le vostre misure eccezionali per uomini cosiffatti, cioè pei soli briganti o complici dei briganti; e per essi avete tribunali, avete pene severissime nella legge; che volete di più, o signori?

Però gli arresti preventivi ed il domicilio coatto non minacciano i briganti, ed i colpevoli di reati di competenza de’ tribunali militari: sono una vasta rete invisibile, in cui può rimaner preso qualunque onesto e reputato cittadino. Intatti è egli vero o no? (ed anche su ciò desidero precise spiegazioni dal ministro dell’interno), che distinti gentiluomini e proprietari forniti di doviziose fortune nelle provincie napoletane e nella Sicilia gemono in questo momento nelle carceri, i quali domandano ad alta voce invano di essere giudicati, domandano che si dia loro un tribunale qualunque, dinanzi al quale possano chiarire la loro innocenza?

Sotto il rapporto adunque della trista impressione che deve fare in Europa questo regime eccezionale, non è conveniente continuare un tal sistema; imperocché quante volte noi verremo dicendo che le provincie meridionali d’Italia amano l’unità d’Italia e sono concordi con noi nel desiderarla e sostenerla, si avrà sempre ragione di opporci che non siamo capaci di governarle altrimenti che con provvedimenti straordinari ed eccezionali, con misure preventive che debbono necessariamente spingere in quelle popolazioni il terrore e lo sgomento, e sopprimere la libera manifestazione della pubblica opinione.

Fu accennato da uno dei ministri, ed anche nella sua relazione dalla Commissione, che la migliore apologia di questi provvedimenti da me oppugnati sta nei risultamenti che si sono ottenuti per essere considerevolmente scemato il brigantaggio.

Io non entrerò ad esaminare qual parte d’influenza su questi risultamenti abbia avuto l’efficacia dell’azione militare, l’invito alle volontarie presentazioni, l’applicazione di pene severe per tutti i colpevoli del reato di brigantaggio.

Io non dubito che queste parti della legge abbiano prodotto vantaggiosi effetti; ma ciò che finora non venne dimostrato si è, ohe queste migliaia d’arresti di cittadini, e la profusione delle misure di domicilio coatto assegnato a numerosi individui, abbiano veramente contribuito a diminuire il flagello del brigantaggio.

Per altro io credo che ministri e Commissione si facciano una singolare illusione. La discussione di questa legge ha luogo nel cuore dell’inverno; ora, io rammento che anche senza questa legge, senza gli arresti preventivi, senza le Giunte e le destinazioni di domicilio coatto, nell’inverno scorso, in questa medesima stagione, il brigantaggio non dava quasi più segno di vita; e se rammenteremo anche l’altro inverno anteriore dal 1861 al 1862, ci accorgeremo essere questo un fenomeno periodicamente ricorrente, il quale si spiega per tutt’altro che per l’azione della legge, e pel miglioramento delle condizioni della pubblica sicurezza. Staremo a vedere, allorché ritornerà la primavera; e sapremo a quell’epoca quali siano le reali conseguenze prodotte da questa legge. Stupisco d’altronde come si venga a proporre di prorogare la legge soltanto fino all’arrivo della primavera, all’aprile 1864: non è questa una rivelazione che lo scopo della legge è ben altro che quello di distruggere il brigantaggio; e che in quell’epoca sotto la minaccia di una nuova esplosione del flagello desolatore nella novella primavera, si spera che si potrà trovare la Camera propensa a votare ancora di nuovo una prorogazione ulteriore di queste misure? Le quali così, invece di essere una fugace e transitoria sospensione delle ordinarie garantie, diverrebbero la vita normale ed abituale di quelle infelici provincie.

Ora debbo consacrare qualche breve osservazione alla composizione delle Giunte, dappoiché mi si potrebbe rispondere: voi abusate della parola arbitrio: non è il Ministero che pronunzia, né il prefetto; essi non scelgono i membri delle Giunte: è la legge stessa che le compone, ciascuna di cinque membri; ed in esse sono rappresentati il potere esecutivo, la magistratura, ed i Consigli provinciali, imperocché due membri di questi ultimi ne fanno parte.

Signori, una prima considerazione. Qual’è l’attribuzione che voi date anzitutto a queste Giunte?

È un’attribuzione così equivoca, così difficile ad esercitarsi, che membro di una di tali Giunte io mi sentirei singolarmente impacciato ad adottare un criterio ragionevole per l’esercizio di queste funzioni.

Si dice alle Giunte: ricercate quali sono gli oziosi, i vagabondi, le persone sospette secondo il Codice penale. Questo compito è chiaro ed agevole: ma io credo che se il Ministero ci comunicherà il chiesto elenco, non troveremo in esso molti individui appartenenti a queste categorie.

Le Giunte sono poscia incaricate di ricercare e porre nelle liste i camorristi. Anche rispetto ad essi, le Giunte non ebbero molto da fare, perché già prima ancora dell’emanazione di questa legge i camorristi si trovavano per la maggior parte assicurati e reclusi.

Nondimeno riguardo a costoro è opportuno aggiungere qualche parola.

Ciò che si è praticato per la repressione dei camorristi, è la miglior prova del vezzo che si venne introducendo di ricorrere con compiacenza a misure eccezionali, anche dove provvedeva a sufficienza la legge comune.

Il nostro Codice penale non ha forse negli articoli 426 e seguenti contemplato precisamente le associazioni criminose, sotto la quale disposizione è impossibile che non siano compresi i camorristi?

I camorristi sono appunto membri di un'associazione di malfattori, i quali si propongono di esercitare soverchierie e violenze, minacciando le persone ed estorquendo le altrui sostanze, con la intelligenza di doversi ripartire con certe norme l’illecito prodotto della loro malvagità, secondo i vari gradi d’influenza nella società criminosa.

Or il citato articolo e gli altri successivi del Codice penale raffigurano precisamente questo caso; ed io conosco magistrati di molto merito, che non incontrano la menoma difficoltà a riconoscere l’applicabilità delle severe disposizioni di questi articoli ai camorristi, i quali perciò avrebbero potuto e potrebbero assoggettarsi ai tribunali ordinari, anziché farne oggetto di misure eccezionali.

Rimangono adunque i così detti sospetti manutengoli. Ma qui mi sia permesso di domandare: un membro della Giunta in qual modo può decidere se un individuo sia sospetto? Si fosse almeno adoperata la espressione stessa dell’articolo 442 del Codice penale: diffamati come sospetti manutengoli. Sempre però è da supporre che esistano prove più o meno convincenti di certi favori, aiuti, facilitazioni al brigantaggio; e siccome queste facilità e soccorsi debbono essere fatti materiali o morali dovrebbero riguardarsi suscettivi di una prova. (Conversazioni. )

Ma noi abbiamo decretato una legge, la quale non ha riscontro che nella più immorale ed infame delle leggi della rivoluzione francese, nella così detta legge dei sospetti del 1793.

Infatti secondo il testo letterale della nostra legge non decretiamo che le Giunte colpiscano i manutengoli, vogliamo che colpiscano anche i sospetti di essere tali. Ma chi dice sospetto, esprime un giudizio puramente subbiettivo, un dubbio dello spirito sopra un fatto, la cui esistenza rimane tuttavia incerta.

Dunque basterà che un prefetto, ed anche un’autorità inferiore, un delegato di pubblica sicurezza, un brigadiere dei carabinieri, nudrisca e manifesti il sospetto che un individuo possa essere manutengolo, perché un membro rigoroso di qualche Giunta, che voglia attenersi strettamente alle attribuzioni che questa legge gli ha affidate, debba piegare il capo; e poscia che la legge si contenta dell’esistenza di questo sospetto per mettere in movimento la giurisdizione della Giunta, debba condannare al domicilio coatto persone, il cui torto, forse unico, si è di essere cadute in sospetto, non si dice né anche a chi, mentre il sospetto è pur sempre un giudizio forse fallace, spesso anche il prodotto della calunnia, di private inimicizie o di particolari interessi?

L’essere scritto nella legge, che basta il semplice sospetto che taluno sia manutengolo, perché gli si possa applicare il domicilio coatto, agli occhi miei costituisce una disposizione così ingiusta, così contraria ai principii del diritto e della morale, che io mi sento impaziente di cancellare una frase somigliante da una legge del regno d’Italia.

Almeno, o signori, nella stesse legge francese dei sospetti del 17 settembre 1793 non dicevasi solamente che: si potevano punire i sospetti: in essa si faceva una specifica enumerazione dei caratteri (e molti erano gravissimi) dai quali derivasse il collocamento di un cittadino nella lista dei sospetti; e richiedevasi la prova che la loro condotta, i loro atti, le loro relazioni di! mostrassero che cospiravano contro l’ordine di cose esistente, o che si fossero loro rifiutate certe prove di civismo; dimodoché almeno secondo il testo di quella legge erasi pensato a diminuire l’arbitrio.

Nè vogliate, o signori, dimenticare che anche i so| spetti della legge francese non erano designati dal potere esecutivo, ma da Giunte o Comitati di sorveglianza, organizzati (né più, né meno delle nostre Giunte) in ogni arrondissement, nei quali l’elemento elettivo era altresì largamente rappresentato. Ed in altro articolo di quella legge era statuita la garanzia di non potersi ordinare l’arresto di alcun cittadino come sospetto, se non dietro una deliberazione presa almeno da sette membri del Comitato, mentre per la nostra legge è sufficiente il concorso del voto di soli tre; e quando tre soli membri intervengano all’adunanza, bastano due soli voti a costituire la decisione della maggioranza.

Laonde, o signori, non mi pare davvero una garantia l'essersi collocata accanto a’ prefetti codesta Giunta.

In tutti i tempi nessun Governo riserbò direttamente ed esclusivamente al potere centrale designare i suoi nemici.

Sarà almeno una garantia il modo di composizione di queste Giunte?

Per me è lo stesso che i membri delle Giunte siano nominati, se si vuole, anche dai Consigli provinciali: malgrado ciò, io credo che non riusciremo a creare veruna seria garantia sotto il punto di vista di resistenza agli errori governativi, alle prevenzioni dell'autorità di polizia.

Invero, che volete che possa rispondere ad un prefetto il presidente di un tribunale in simili materie?

Il prefetto dirà: ecco le mie informazioni: il delegato di pubblica sicurezza, i carabinieri, altre autorità inferiori, forse qualche cittadino che sarà reputato zelante della cosa pubblica, e che può essere un mendace delatore, assicurano che il tale è sospettato di essere manutengolo.

Ora, il presidente del tribunale non ha proprie notizie, non ha mezzi di corrispondenza per verificare se i fatti siano, o no veri; ed in tale incertezza ed impotenza è impossibile che si metta in opposizione col prefetto che rappresenta il Governo, e neghi di prestar fede alle sue parole, alle sue informazioni, alle solenni dichiarazioni di non poter rispondere della sicurezza della provincia, se quell’individuo non ne sia allontanato.

E se un magistrato scrupoloso volesse pure chiedere da sé nuove informazioni; non ne verrebbero eternati i procedimenti presso le Giunte, mentre gl’infelici sottoposti al loro giudizio languirebbero nella notte delle prigioni?

In peggior condizione ancora si troveranno i due membri del Consiglio provinciale; comunque, talora essi, ancorché scelti da’ prefetti tra le loro creature, hanno sentito il dovere di protestare che alcuni cittadini personalmente a loro noti, non meritavano quelle misure eccezionali e la diffidenza del Governo. Se non che la maggioranza governativa della Giunta rese vana ed impotente una tale protesta.

Ecco a che si riduce nel concreto questa decantata garantia. Sì che, quando volesse continuarsi a mantenere in vigore la legge, io quasi preferirei la soppressione delle Giunte; e vorrei che il prefetto rispondesse egli solo; che assumesse una responsabilità vera, seria, efficace il ministro stesso di tutti gli arresti che si fanno.

Ciò sarebbe forse preferibile ad una responsabilità apparente, illusoria, divisa con funzionari mancanti dei mezzi di assicurarsi della verità dei fatti, e con una impotente minoranza.

Io non intendo di prolungare questa discussione col: discendere a fatti particolari. Signori, se dovessi di| scendervi, avrei a trattenervi ancora lungamente con racconti che farebbero raccapricciare anime oneste; ma non voglio scandali, né mai la mia voce ne ha provocati in quest’assemblea.

Aggiungerò soltanto un’ultima considerazione, la quale m’induce a negare la continuazione di questi poteri; ed è che abbiamo ancora due mesi innanzi di noi, durante i quali questi poteri trovansi già accordati; voi rammentate come ciò avvenne senza discussione in uno di quei felici quarti d’ora in cui i ministri ottengono dalla Camera la votazione di qualunque legge, anche la più importante, negli ultimi momenti che precedono la proroga o la chiusura della Sessione. Ma, poiché questo è accaduto, domando a voi, signori, se possiate citarmi esempio di alcuna Assemblea politica che abbia votato leggi eccezionali, non già in presenza del bisogno attuale, ma colla previsione che dovrà la legge applicarsi dopo altri due mesi, cioè supponendo condizioni e bisogni che non si sa se fra due mesi esisteranno ancora, mentre allora, se la necessità ne sorgesse, potrebbe in pochi giorni votarsi il relativo provvedimento.

Per ora il Ministero è armato di questi poteri, e non ha bisogno di altro sino a che la legge precedente non venga rivocata.

D’altronde, se io desidero il mutamento del sistema di governo e non de’ ministri, se non bramo che essi lascino il loro seggio; tuttavia le cose politiche d’Europa versano in tale incertezza, che nessuno può assi curare quali avvenimenti sopravverranno da qui a due mesi.

Singolar cosa pertanto che un deputato dovesse dare il suo voto per armare del potere formidabile di arrestare qualunque cittadino delle provincie meridionali d’Italia forse una nuova amministrazione oggi ignota, un’amministrazione che nessuno sa di quali persone sarebbe composta.

La maggioranza della Camera può aver fiducia nei membri dell’amministrazione attuale; ma potrebbe ciecamente e con anticipato voto esprimerla verso qualunque altra futura amministrazione? E qui stimo superfluo dichiarare, o signori, che la mia proposta di soppressione non è dettata da diffidenza verso il Ministero; che il mio non è un discorso di opposizione; chi l’interpretasse in tal senso, sarebbe nell’errore.

Ho votato quasi sempre coll’amministrazione attuale; ma conservo la libertà e l’indipendenza del mio voto nelle questioni gravi, in cui ciò che il Ministero opera o domanda mi paia contrario allo Statuto, contrario al sano indirizzo politico ed ai principii di un partito conservatore, liberale, progressivo ed intelligente dell’avvenire, al quale mi glorio di appartenere, contrario ai doveri della mia coscienza verso la nazione e verso i miei elettori.

Acconsentirà la Camera alla soppressione da me proposta? A me basta di non aver fallito al debito mio. I miei concittadini del mezzogiorno d’Italia renderanno giustizia a me ed a quanti aderiranno alla mia proposta, la quale, ove fosse accolta, nelle provincie meridionali verrebbe salutata (ne son certo) come la restituzione della libertà e dello Statuto, e pegno di ossequio e di riconoscenza verso il Parlamento ed il Governo, farebbe sparire un abisso che disgraziatamente in questo momento il Ministero mantiene aperto tra esso e le provincie meridionali, e che non si chiuderà finché desse saranno mantenute sotto il regime eccezionale ed arbitrario, divise perciò politicamente dal resto dell’Italia, col vano nome della Costituzione non rispettata, fuori l’impero del diritto comune, prive dell’alito fecondo della libertà.

RELAZIONE SUL DISEGNO DI LEGGE PER ANTICIPAZIONE
DI UN MILIONE DI LIRE ALLA PROVINCIA DI BASILICATA.

MASSARI, relatore. Ho l’onore di presentare alla Camera la relazione della Commissione incaricata dell’esame del progetto di legge per anticipazione a farsi dall’erario nazionale d’un milione di lire erogabile in opere di strade nella Basilicata.

Siccome questo disegno di legge versa intorno ad argomento assai urgente, e si riferisce anche in modo evidente al ristabilimento della sicurezza pubblica in Basilicata in modo da essere un complemento della legge che la Camera ora sta discutendo, così a nome della Commissione la prego di voler determinare che questo progetto di legge venga posto all’ordine del giorno immediatamente dopo la presente discussione.

PERUZZI, ministro per l'interno. Associo le mie raccomandazioni a quelle della Commissione.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita, e quindi posta in discussione dopo esaurito l’attuale ordine del giorno.

Voci. No! no!

MASSARI, relatore. Dopo la legge attuale, signor PRESIDENTE.

Voci. Si! si!

SI RIPRENDE LA DISCUSSIONE DEL PROGETTO
DI LEGGE SUL BRIGANTAGGIO.

LOVITO. Dopo quanto venne detto, ed in modo così largo e completo, com’è suo solito, dall’onorevole Mancini, alle cui idee pienamente mi associo, la Camera comprenderà che resta poco a dire sulla materia. Farò dunque brevissime osservazioni.

E prima di tutto mi occorre dichiarare alla Camera eh’ io al rispetto di questa legge mi trovo in una condizione affatto singolare; di aver, cioè, fatto parte di quella Commissione la quale era incaricata di riferire alla Camera sulla legge proposta dalla Commissione d’inchiesta, e di aver votato conseguentemente per il! principio il quale è espresso nell’articolo 9 della legge presente. Sì, o signori, bisogna avere il coraggio delle proprie convinzioni, e se queste riconosconsi erronee, avere il coraggio di sconfessarle.

Io mi trovo altresì di essere di una provincia la quale oggi disgraziatamente è la più infestata dal brigantaggio tra tutte le altre provincie napoletane.

Voglio conchiudere da ciò che qualora io fossi convinto che dall’applicazione dell’articolo 5, il quale è riprodotto pressoché testualmente nel presente articolo 9, qualche vantaggio si fosse ricavato nella Basilicata soprattutto, ove fu con troppo lusso applicato, io non esiterei a votare l’articolo stesso. Ma io ho la convinzione contraria; l’applicazione di quell’articolo non ha fatto che arrecare confusione maggiore, e ciò tanto per ragione di principii quanto per ragione delle condizioni effettive e reali di quelle popolazioni.

Mi spiegherò in poche parole.

L’articolo 9 piglia di mira per il domicilio coatto gli oziosi, i vagabondi, i camorristi e i sospetti manutengoli.

Ora noi vediamo che per le prime due categorie di persone è provveduto a sufficienza dal Codice penale. Restano dunque i camorristi e i sospetti manutengoli.

Camorrista è una parola molto elastica. Io m’appello a quanti qui in mezzo a noi studiarono su questa parola se essi me la sanno precisamente definire. E in questa parte mi pare che si sia inutilmente distillato il cervello l’onorevole Mancini per trovarne una definizione nel Codice penale.

Io credo ch’egli non sia nel vero quando cita l’articolo del Codice il quale riflette un’associazione di malfattori intesi a estorquire e fare simili altre cose per vedere tra questi compresi i camorristi, perché vi può essere il caso che vi siano delle persone che facciano i camorristi per conto individuale ed anche indipendentemente da ogni idea di associazione.

Stante adunque la elasticità di questa parola non è a maravigliare se di essa siasi enormemente abusato estendendola ad ufficiali dell’amministrazione riputatissimi, a gente onesta, e non solo a gente di questo o di quel partito, come poc’anzi vi ha detto l’onorevole Mancini, ma a persone di nessun colore, a proprietari tranquilli, onesti ed assolutamente inattaccabili per tutti gli aspetti.

Restano dunque le parole sospetti manutengoli.

Manutengolo è anche, a mio avviso, una parola generica. La parola manutengolo per come sventuratamente fu intesa ed applicata fin qui comprende e chi per prave intenzioni, per fini di lucro, di guadagnare parte del bottino dei briganti reca loro di mezzi di sussistenza o munizioni d’ogni maniera, e coloro i quali subiscono la pressione dei briganti e forzati prestano soccorso e denari. Questa seconda categoria di persone può comprendere, anzi comprende della gente perfettamente onesta; se dunque si procede con la definizione comune di manutengolo contro i primi e contro i secondi, la confusione arriva ed il manutengolo vero che si vede colpito e collocato a fianco di un uomo onesto resta tranquillo, ed a ragione, ché un arresto alla cieca è mancante di base, ed egli sarà liberato oggi o domani dalla mano istessa che libererà un gentiluomo colpito, ripeto, dalla stessa misura.

Io reputo dannosa ed inutile questa misura perché credo che dev’essere studio del Governo interrompere le relazioni che i primi, vale a dire, coloro che sono determinatamente manutengoli, hanno coi briganti, ed io in altra occasione aveva l'onore di esporre alla Camera quali fossero i mezzi di distruggere queste relazioni, perché è una grande misura di prevenzione (e l’articolo 9 non costituisce altro che una misura di prevenzione), è una grande misura di prevenzione quella che intende a tagliare il campo dove può manifestarsi la spinta del male, misura migliore certo di quella che intende a distruggere l’autore possibile, l’autore in potenza, sospetto solo del male.

Questo è un falso principio d’amministrazione tristamente provato alla stregua della pratica, e conseguentemente io per me lo ripudio assolutamente.

Per quello poi che riguarda le persone le quali potrebbero essere dichiarate manutengoli, mentre esse sono onestissime, mi trovo ancora d’aver detto con quali mezzi si tolga la cooperazione de’ paurosi, di quelli che si trovano tra i due scogli della distruzione della proprietà o d’una transazione forzata co’ briganti. Per quelle ragioni che ebbi l’onore in allora di esporre, quest’altra parte ancora della legge è inutile. Ma essa oltre a ciò è nociva, poiché bisogna sapere in che condizioni si trovano le popolazioni dell’Italia meridionale. L’onorevole Conforti vi diceva pochi giorni sono come vi possano essere moltissime occasioni in cui un onest’uomo che tiene proprietà, beni, industrie in campagna, si trova soggetto a pagare ricatti, a transigere per qualche centinaio il possibile danno di migliaia di ducati, ed a fare cose per le quali egli può essere dichiarato manutengolo.

Di questo, o signori, noi ne abbiamo esempi lamentevolissimi e numerosissimi, soprattutto nella provincia di Basilicata, ed il ministro non l’ignora. Per lo che io spero dall’onorevole Peruzzi, il quale conosce come in quella provincia molti e gravissimi errori furono commessi dalle autorità che ne tennero finora il Governo, io spero, diceva, che le traccie di quegli errori sieno tosto cancellate, e che torti commessi a danno di onestissimi cittadini siano tosto riparati.

Ma qui mi sì potrebbe rispondere: l’inconveniente, il quale si desume dal difetto d’un’autorità, non è valevole ad attaccare una legge. No, o signori, la legge non è una cosa astratta, essa è un principio applicato alle condizioni di fatto del paese in cui vige. Io vi dirò, dunque, e mostrerò che le condizioni di fatto attuali delle provincie meridionali sono tali che la legge è inattuabile: e ciò scuserà fino ad un certo punto le autorità.

Nelle provincie napolitane, di massima generale, in ciascun paese vi sono due partiti che si schierano sotto due cognomi, si disputano l’influenza locale, spesso la prepotenza e l’abuso, i quali in occasione della rivoluzione assunsero forma politica; ma di politico spesso non hanno l’essenza né l’uno né l’altro.

Ora le informazioni le quali pervengono sia al prefetto, sia alla Giunta, la quale ha minori mezzi di sapere la verità, a che cosa si risolvono? Si risolvono comunemente alle sole informazioni delle autorità locali, alle quali ciecamente si presta fede, non solo perché non se ne hanno altre, ma anche per ragione di far presto, perché naturalmente le autorità superiori che mancano raramente del troppo zelo, vogliono far presto, come vuole l’urgenza del fine che dettava la legge. Quindi i primi rapporti che arrivano da un carabiniere qualsiasi, da un delegato o da un sindaco, sono quelli che decidono del camorrista o del manutengolo, e dell’arresto conseguente. E questi rapporti, quando provengono dai sindaci, son pur essi improntati d’una tinta di parte di cui essi son certo componenti. Ma quando provengono dal delegato o dal carabiniere, la cosa si passa un po’ diversa. Queste autorità, come giungono in un paese (sono ordinariamente anche nuove all’uffizio), sono circondate da coloro che più si piegano, da chi sa più far di cappello, da chi meglio sa insinuarsi nell’animo altrui, da gente insomma che non è la migliore, che d’ordinario anzi è la parte più bassa d’un partito privato. Ebbene, allora come ognuno ha un lato debole, ancorché autorità, per quella via, esplorata anticipatamente dal delatore gratuito, le opinioni s’infiltrano su le cose e su le persone, ed i rapporti son fatti in conseguenza per far dichiarare manutengoli i nemici personali e privati d’un Tizio o di un Sempronio, tuttoché onestissimi, come molti nella mia provincia che sono da me personalmente conosciuti.

In appoggio di quanto ho detto avrei dei fatti; ma sono dell’opinione anch’io del deputato Mancini, non voglio fare scandali per citarli, anche perché sarebbero moltissimi. Spero solo che la Camera ne resti convinta, perché a me occorre far le riflessioni stesse accennate dall’onorevole Mancini.

Nel prospetto statistico che fa seguito alla presente legge si legge bensì il numero dei presentati, dei giudicati o degli assoluti dai tribunali militari, ma non quello degli arrestati come sospetti. L’onorevole ministro dell’interno, per un lodevole sentimento di circospezione, ha creduto di non comunicare quella cifra che forse era ben lunga.

Io dirò, o signori, non citerò, come già sopra ho detto, nessun fatto, perché sono troppi, e nella via dei nomi non ci voglio entrare; può saltar su il prò, il contro, ma non potrò astenermi dal rammentarne uno e recentissimo.

Ferdinando Bianchi, il quale ha appartenuto alla nobile eletta dei mille, ed è un nome conosciutissimo; da molti dei nostri colleghi e dagli uomini dell’amministrazione, si trova d’avere due fratelli che convivono insieme e quindi si presume che abbiano opinioni conformi, dei quali uno si trova arrestato come manutengolo ed uno sequestrato dai briganti. Conciliate questo fatto con l’articolo, e votatelo, se vi piace. Io che lo respingo, dirò anzi ch’esso, lungi dal giovare alla tranquillità delle provincie meridionali, finirà per turbarla maggiormente: e quando il momento arriverà che le truppe saranno di là richiamate per gli ulteriori destini del paese, si troverà creato tale un cumulo di odii e di I vendette private, che il brigantaggio delle campagne cederà il posto alla guerra civile nei paesi.

Era questo ciò che pensava di questa misura ed ho creduto mio dovere di dirlo francamente alla Camera.

PRESIDENTE. Il ministro per gli affari dell’interno ha facoltà di parlare.

PERUZZI, ministro per l'interno. Signori, al punto in cui è giunta la discussione, io non intratterrò la Camera lungamente, come per avventura dovrei farlo, se volessi ribattere tutte quante le obbiezioni che in questa ed in altre occasioni vennero mosse contro gli articoli sui quali verte ora il dibattimento. Nelle condizioni attuali di questa legge, di fronte al voto che la Camera ha emesso prima di separarsi, io credo che potrebbe parere piuttosto accademica che pratica una lunga orazione che io facessi intorno a quest’argomento. Io mi limiterò dunque a spiegare il più brevemente possibile i motivi per i quali il Ministero stima conveniente il mantenimento dell’articolo che ora cade in esame, e recisamente si dichiara avverso alla proposta di soppressione, stata presentata da alcuni onorevoli deputati.

Ma prima d’inoltrarmi nella giustificazione di quest’opinione del Governo, io debbo dare una risposta ad alcune interpellanze dell’onorevole deputato Camerini, acciò l’onorevole Macchi, vigile sentinella da lui posta presso di me, non mi richiami all’adempimento di un dovere, cui non ho nessunissima intenzione di mancare.

L’onorevole Camerini, se non isbaglio (e pregherò l’onorevole suo mandatario di correggermi se qualche cosa dimenticassi), l’onorevole Camerini, mi pare che dopo avere esposto come la legge fosse messa innanzi, perché circostanze eccezionali, conseguenze della rivoluzione, delle intestine discordie e di errori governativi, facevano sentire il bisogno di un mezzo di transizione, per ritornare per sempre ad un regime di impero assoluto ed esclusivo della legge; mi pare che parlasse degli arresti preventivi, domandasse quali misure il Governo avesse adottate in proposito, quali disposizioni avesse date per l’esecuzione della legge sul brigantaggio; ed osservò come questi provvedimenti (ed in ciò era concorde con altri oratori) fossero stati adottati per ragioni politiche, piuttosto che per lo scopo per il quale erano stati dalla legge sanciti: dicendo infine che a prova di ciò egli osservava come nella provincia d’Aquila i circondari i più lontani dalla frontiera pontificia fossero stati quelli dove la legge era stata più largamente applicata. E con questo egli intendeva chiarire, come piuttosto per fini politici che per fini di repressione e di prevenzione contro il brigantaggio fosse stata quella legge applicata.

Ora io debbo osservare alla Camera come a proposito degli arresti preventivi, io già abbia anticipatamente risposto in un’altra discussione, la quale ora fa un mese si chiuse con un memorabile voto della maggioranza; imperocché vi sovverrete, o signori, come allora io osservassi, ed altri miei colleghi parimente osservassero, che il Ministero armato delle due leggi per una più efficace repressione della renitenza ed una più valevole repressione del brigantaggio e del malandrinaggio, ritenne che lo spirito di quelle leggi dovesse portarlo a far sì che coloro i quali da queste disposizioni erano per essere colpiti fossero ridotti prontamente in potere dell’autorità chiamata ad applicarle. Imperocché senza di ciò si corresse il rischio di vedere le leggi riuscire ad un effetto diametralmente opposto a quello che si prefiggevano. Ed infatti se si fossero lasciati affatto liberi i numerosi individui che pur si conosceva dover andar soggetti a queste disposizioni, se si fossero lasciati nei loro domicili essi avrebbero ben presto preso la via dei boschi e sarebbero andati ad accrescere le file dei briganti. E questo pur troppo accadde in qualche provincia, dove l’opera dell’autorità non fu abbastanza vigile e solerte.

Io diedi lettura alla Camera in quella occasione di una circolare indirizzata a vari prefetti delle provincie meridionali, nella quale esplicitamente era detto quello che, o signori, io vi dissi in quest’aula, come in questa parte il Ministero avesse creduto d’interpretare lo spirito della legge e di assumere sopra di sé una risponsabilità che credeva necessaria perché lo scopo della legge fosse conseguito.

E qui io ricorderò come nell’anno scorso lo stato di assedio essendo stato nelle provincie delle quali ora ci occupiamo promulgato per un disgraziato motivo politico, venne in mente di giovarsi di quei provvedimenti straordinari per ristabilire la pubblica sicurezza e per colpire individui che l'esperienza di due anni aveva ornai dimostrato non essere possibile colpire colle disposizioni legislative ordinarie. Se non che il modo nel quale quello stato d’assedio fu decretato e quindi tolto, e le condizioni nelle quali il Governo si trovava allora, non permisero che dietro a questo stato d’assedio rimanesse niente altro che un fatto, quello cioè dell’imprigionamento di un certo numero di individui che colle leggi ordinarie non era possibile per la massima parte di colpire.

Ora, venuto il nuovo Ministero al potere in queste condizioni, che doveva egli fare? Egli avrebbe dovuto, e questo era il suo pensiero, proporre alla Camera una legge per provvedere a questi individui. Ma contemporaneamente sorse il progetto di una Commissione d’inchiesta, ed allora il Ministero ritenne che si dovesse aspettare per unire quei provvedimenti che intendeva adottare in proposito a quelli che dall’inchiesta sarebbero stati chiariti necessari. Se non che, il Ministero, conoscendo come la pubblica opinione si dimostrasse assolutamente contraria all’escarcerazione di una gran parte di questi individui, e grandemente la temesse, come gli risultò da informazioni non dubbie, istituì delle Commissioni composte presso a poco come le Giunte attuali, coll’incarico di esaminare le condizioni di questi individui, ed ordinò l’escarcerazione di tutti quelli per i quali non furono trovate gravi ragioni, particolarmente di camorrismo, per essere colpiti dalle disposizioni della legge che si proponeva di aggiungere a quella ordinaria di pubblica sicurezza. Ed appena infatti la nuova legge venne promulgata, il Ministero fu sollecito di ordinare che questi individui venissero sottoposti alle Giunte, e ad essi è stato applicato l’articolo 5 di questa legge.

Il Ministero intende avere preso intorno ai medesimi una responsabilità che esplicitamente confessa, e ne attende il giudizio della Camera quando essa credesse doverlo nuovamente pronunciare anche dopo il voto che ho testé rammentato.

A tutti i deputati delle provincie meridionali io faccio qui appello, come a molti di loro ho già in particolare domandato, se l’operato del Ministero sarebbe stato approvato qualora avesse messo in libertà immediatamente tutti gli individui arrestati alla cessazione dello stato d’assedio.

Un voto negativo, o signori, voi siete liberi di darlo, e questo voto negativo mi colpirà come ministro (Con calore), ma come uomo, nella mia coscienza sarò tranquillo, e sarò sempre nella credenza di aver fatto il dover mio, di aver assunto una responsabilità che era nei voti della pubblica opinione e della maggioranza del paese. (Bravo! Bene! a destra e al centro)

Ma questi mali che pur troppo si lamentavano allora, questi mali cui completamente non si potè riparare collo stato d'assedio, come diceva testé, continuavano a verificarsi, in guisa che con una circolare del gennaio dell’anno scorso il Ministero dovette invitare i prefetti delle provincie meridionali a fare liste di tutti coloro che cooperavano allo sviluppo ed al mantenimento del brigantaggio; e per compiere quest’operazione il Governo invitò quei funzionari a giovarsi delle Commissioni locali che aveva istituite in tutte le provincie per uno scopo diverso, ma che pure aveva qualche analogia, per lo scopo di preparare gli elementi per la distribuzione dei denari raccolti colla sottoscrizione nazionale pei danneggiati dal brigantaggio.

Questi allistamenti furono fatti, ed esistevano quando la legge prima proposta dalla Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, e quindi da noi votata nell’agosto dell’anno scorso, ha dovuto essere applicata.

Ora, o signori, il Ministero credette che individui che erano notoriamente riconosciuti per aver favorito il brigantaggio, e come contemplati nell’articolo 5 della legge del 15 agosto, dovessero essere tradotti nelle mani della giustizia per essere immediatamente sottoposti al parere delle Giunte. Ed in ciò, o signori, il Ministero si sarebbe aspettato dall’onorevole Mancini meno che da qualunque altro di essere redarguito, imperocché io ricordo come in questa lubrica strada, come egli ha detto, il primo passo fosse fatto dall’onorevole deputato Mancini stesso, imperocché la prima proposta di legge...

MANCINI. Domando la parola per un fatto personale. (Mormorio)

PERUZZI, ministro per l'interno. La parola non è mia. Non ho fatto che ripetere quella sfuggita all’onorevole Mancini.

Dico ohe il primo passo è stato fatto dall’onorevole deputato Mancini, imperocché la prima legge che sia comparsa in quest’Assemblea lasciava non solo la facoltà del domicilio coatto rispetto agli individui notati in liste formate da Giunte provinciali, ma dava quella di ucciderli a tutti quanti i cittadini! (Ohi)

Voci. È vero! è verissimo!

PERUZZI, ministro per l'interno. Ed ora, o signori, veniamo all’accusa di avere non già, come l’onorevole deputato Camerini diceva, e come l’onorevole deputato Lovito ripeteva, applicato questa legge per errore a coloro che potessero essere invisi per cause politiche, ma veniamo all’accusa molto più grave lanciata dal l’onorevole deputato Mancini, di avere pensatamente fatto sì che mercé questi articoli si scontino nobili atti d’indipendenza da generosi patrioti. Io, signori, vi dichiaro altissimamente che ben può darsi che degli uomini i quali hanno servito la causa nazionale siano oggi compresi fra questi individui cui è stato applicato l’articolo 5, come ve ne sono fra individui cui sono stati applicati gli altri articoli della stessa legge, come ve ne sono e ve ne saranno fra quelli a cui tutti quanti gli articoli dei Codici ordinari furono o saranno applicati; imperocché io non mi so che l’avere in un dato momento contribuito al trionfo della causa nazionale possa costituire alcuno in una condizione eccezionale. Noi vediamo pur troppo ogni giorno come in mezzo ai più generosi soldati della libertà, della nazionalità e dell’indipendenza s’infiltrino dei mestatori che la disonorano.

Noi abbiamo veduto, o signori, un Crocco aver fatto parte delle valorose falangi, che guidate da Garibaldi, liberarono le provincie meridionali, e noi vediamo purtroppo anche in questo momento individui già infiltratisi nelle file dei liberali italiani, fatti giusto e meritato segno alla riprovazione ed all’orrore di tutta l’Europa. (Segni generali di approvazione) Dunque lasciamo questo argomento di supporre che noi facciamo per secondi fini quello in che possiamo errare, ma che tutti facciano più o meno bene sì, ma tutti nello scopo di liberare quelle provincie dal brigantaggio e dal malandrinaggio: imperocché io l’ho detto in molte circostanze ed ora lo ripeto, che nessuno, sia che appartenga all’una od all’altra estremità dell’Assemblea, o segga nel centro, può mai volere che il brigantaggio infesti le provincie napoletane e che il malandrinaggio contristi le provincie siciliane.

LOVITO. Non l’ho detto questo.

PERUZZI, ministro per l'interno. Non l’ha detto lei, l’ha detto l’onorevole Mancini.

MANCINI. Ma domando scusa... (Interruzione)

PRESIDENTE. Non interrompano, non è regolare, non è parlamentare di interrompere gli oratori ad ogni momento.

PERUZZI, ministro per l'interno. Dunque io dico, o signori, che io ammetto che errori possono esservene stati nella esecuzione di questa legge, come ve ne sa ranno sempre nell’esecuzione di provvedimenti eccezionali e di misure preventive, come ve ne sono pur troppo nella esecuzione dei Codici meglio fatti, quando anche siano affidati ai tribunali i meglio ordinati ed agli uomini i più dotti.

Nell’applicazione di questa legge poi si fu indubbiamente esposti ad una maggior quantità di errori, perché fa d’uopo ricordare, o signori, quali fossero le condizioni nelle quali versavano le provincie meridionali quando essa fu promulgata ed applicata, quando l’onorevole Mancini dovette superare quegli scrupoli di legalità che altamente lo onorano e venire a proporre quella legge che per molto attenuata fu proposta da una Commissione dove sedevano onorevoli e distinti giureconsulti e provati cittadini appartenenti a tutti i lati di questa Camera: ah! doveva l’onorevole Mancini, dovevano i membri della Commissione d’inchiesta essere ben compresi della gravità della situazione.

E se allora si fosse loro opposto che vi sarebbero stati inconvenienti nell’applicazione di simili disposizioni, ed errori irrimediabili, perché si trattava di dare, secondo la proposta dell’onorevole Mancini, ad ogni cittadino il diritto di uccidere certuni, sol perché stati messi nelle liste dalle Giunte provinciali; se a fronte della possibilità di questi errori noi avessimo dubitato della convenienza di adottare siffatti provvedimenti essi ci avrebbero con profondo convincimento risposto: Ecché? Volete voi temere errori che possono essere commessi da cittadini di provata fede politica, da funzionari che godono la fiducia del Governo, da consiglieri provinciali che hanno la fiducia del corpo elettorale? Volete porre a confronto errori che possono commettersi in buona fede da valentuomini siffatti con una condizione di cose nella quale il domicilio che voi forzate i vostri funzionari a rispettare è continuamente violato dai malfattori? Quando la vita, che voi date unicamente a cittadini onorati la facoltà di togliere, secondo l’articolo da me poc’anzi citato, è continuamente minacciata dai briganti, dai più infami malfattori?

Allora, o signori, la scelta non sarebbe stata dubbia come noi fu nell’animo degli onorevoli deputati che proposero quelle disposizioni.

Dippiù, parliamoci francamente, e, per quanto dura, diciamo tutta intera la verità: eravamo noi forse allora in condizioni tali che le leggi invocate, le guarentigie scritte nei Codici e nello Statuto fossero sempre una verità?

Signori, io devo dirlo, e tutti lo sapete, e molte discussioni che hanno avuto luogo a diversi intervalli in questa Camera ne fanno fede, non erano mai stati una verità, e non potevano esserlo, imperocché quando la vita, il domicilio, le sostanze dei cittadini erano tutti i giorni sotto la minaccia, sotto il colpo di audaci malfattori, era naturale che la difesa dovesse prendere gli stessi mezzi dell’offesa: e questi erano stati presi da tutti i partiti, anche quando gli uomini della parte più avanzata reggevano quelle provincie, erano stati presi i provvedimenti più energici, forse i più energici fra quelli che sono stati sinora adottati. Dirò di più, forse soverchiamente energici, imperocché nell’origine di questo flagello non ne furono ultima cagione gli eccessi commessi in alcune provincie del regno nel calmare certe reazioni; del che non faccio adesso un biasimo, imperocché capisco quali siano gli impegni degli uomini i quali seggono al timone dello Stato all’indomani d’una rivoluzione.

Ora, o signori, anche i più terribili avversari di questa legge, tutti vi hanno confessato che a misure repressive irremediabili essa ha per lo meno sostituito misure preventive e repressive rimediabili. E questo è di già un gran passo che noi abbiamo fatto; ma vi ha di più: a delle misure prese fuori della legge, sotto la responsabilità personale dei funzionari che governano questa o quella parte del territorio del regno, abbiamo sostituito delle misure sancite da una legge: ed anche questo è un immenso progresso, tanto che al di fuori di ciò che spetta agli arresti preventivi, nel momento nel quale si trattava d’applicare complessivamente la legge a delle categorie di persone già chiaramente designate, e d’impedire che la legge sortisse un effetto diametralmente opposto a quello che era nel suo spirito e nei nuovi intendimenti, al di fuori di questo, io affermo non esservi stato che la pura applicazione della legge, e fatta, come l’onorevole Castagnola aveva giorni sono la bontà di affermare, fatta collo spirito di attenuarne, per quanto fosse possibile, i risultati. Ed infatti, o signori, in alcune provincie meno infestate dal brigantaggio, e noto la provincia d’Aquila, cui alludeva l’onorevole Camerini, gli arresti sono stati fatti generalmente dopo un parere sommario delle Giunte, come vuole oggi la disposizione del progetto della Commissione, tanto che, per esempio, nel circondario d’Aquila sopra 130, se non isbaglio, arrestati, la Giunta ha dato il parere favorevole per tutti fuorché per tre. In alcune provincie dove, pur troppo, sul principio per le condizioni tristissime nelle quali si trovavano erano stati fatti degli arresti assai tumultuariamente, dopo le disposizioni date dal Ministero in una circolare, di cui leggeva una parte, credo, l’onorevole relatore della Commissione, cessò questo sistema, alcuni degli agenti di pubblica sicurezza furono rimossi, altri diversamente puniti pel modo col quale avevano applicato la legge, e l’applicazione della medesima si svolse in un modo regolare e conforme allo spirito nel quale era dettata.

In quanto a quello che l’onorevole Camerini diceva dell’essere stata nella provincia d’Aquila applicata la legge piuttosto per ragione politica contro i borbonici di quello che per ragioni del brigantaggio, potrei a quest’accusa contrapporre le accuse che da altri deputati sono state fatte, cioè che la legge sia stata applicata contro i liberali, e in conseguenza per amore dei retrivi; ma non mi varrò di quest’argomento, imperocché la legge è stata applicata ed ai liberali ed ai retrivi ed agli indifferenti secondo che è stato creduto che o liberali, o retrivi fossero compresi nelle categorie da questa legge contemplate. Se più spesso sarà stata applicata ai borbonici che ai liberali, ed in questo convengo coll’onorevole Camerini, egli è ben naturale che questo sia accaduto particolarmente nella provincia di Aquila. Infatti la provincia d’Aquila è situata come tutti sanno sulla frontiera di Roma, e nella provincia d’Aquila il brigantaggio è sempre venuto dal territorio romano. Nè posso consentire coll’onorevole Camerini quando dice che dalla provincia degli Abruzzi non è quasi mai entrata una banda di briganti, essendo quasi tutte entrate queste bande dalla frontiera di Terra di Lavoro; me ne appello alla Commissione d'inchiesta, me ne appello ad una memoria assai recente, l’ultima delle bande considerevoli che nel nostro territorio entrarono dal territorio pontificio fu la banda dello Stramenga, la quale per l’appunto è entrata per la frontiera degli Abruzzi.

Ma v’ha di più: la vicinanza degli Abruzzi a Roma e le numerose relazioni che gli individui di quella provincia hanno sul territorio pontificio fanno sì che quando il brigantaggio è sparito dagli Abruzzi, spesso non è sparito per essere stato distrutto, bensì per essersi rifugiato a Roma ad aspettare occasioni più favorevoli; queste occasioni, lo riconosco, si sono da alcun tempo presentate assai più raramente mercé la più solerte vigilanza stata esercitata sulla frontiera e dalle truppe francesi e dalle truppe nazionali; ma non è per ciò men vero che le corrispondenze vi sono, che i comitati negli Abruzzi vi sono; e fra le carte che sono state sequestrate ad alcuni di questi ingiustamente colpiti, come dicono alcuni degli onorevoli nostri contraddittori, si sono rinvenute prove manifeste di corrispondenze fra i comitati borbonici e i briganti, onde chiaramente si vede come molti di questi borbonici favoriscano il brigantaggio, il quale senza essere assolutamente politico, è però una delle armi delle quali il partito retrivo si vale contro la nostra esistenza nazionale.

Non è dunque assolutamente così difficile, come a prima vista può parere, quando si tratta di borbonici, che l’onorevole Camerini ed io, quantunque in contraddizione, ci possiamo poi trovare d’accordo; imperocché può darsi benissimo che l’onorevole Camerini ignori, relativamente a certi individui quei fatti che li hanno fatti ritenere per complici del brigantaggio, ed io, se al pari di lui li ignorassi avrei con lui consentito, come qualche volta è accaduto, nel non approvare i pareri affermativi delle Giunte rispetto a taluni individui per i quali aveva veduto solamente la qualità di borbonico, di cospiratore contro l’ordine di cose attualmente esistente, senza vedere la sua connessione col brigantaggio.

E in vero, signori, nelle condizioni nelle quali si trovano alcune delle provincie meridionali, non è sempre, come diceva poc’anzi, cosa facile il separare le qualità contemplate nell’articolo 5 della legge 15 agosto da certe condizioni politiche, e se io dividessi le opinioni manifestate molto brillantemente dall’onorevole deputato Petruccelli, non avrei per avventura avuta molta fatica a giustificare un’applicazione di questa legge, applicazione che avrei tosto dovuto fare se avessi diviso, ripeto, le sue teorie.

Imperocché egli vi diceva che non avrebbe trovato strano che la maggioranza l’applicasse alla minoranza d’oggi, come la minoranza d’oggi, diventata maggioranza, l’applicasse alla maggioranza d’oggi divenuta minoranza.

E secondo questa teoria io avrei dovuto farne l’applicazione, essendo pregio dell’opera applicarla pei primi (Si ride): ma in verità, o signori, io sono completamente estraneo a questa idea, imperocché ho fede che pazientemente noi perverremo per mezzo della libertà a completare l’educazione politica e l’essere nazionale della nostra Italia. E per questo, o signori, che, spingendo fino allo scrupolo questa separazione che il Ministero ha voluto sempre tenere fra quello che era strettamente connesso colla camorra e col brigantaggio e quello che poteva essere preso come un atto politico, io, dopo avervi lungamente meditato, e sebbene avesse molti dati per ritenere la possibilità di applicare questa legge ad una certa camorra che esiste in una parte della stampa napoletana, vera e propria camorra, credo tuttavia ohe la si dovesse perseguitare unicamente per le vie ordinarie, dinanzi ai tribunali e non ho voluto dare quest’arma ai partiti avversi per giovarsene contro una legge la quale io credeva necessario si conservasse per un certo tempo, onde raggiungere lo scopo che noi ci eravamo proposto.

Ora, o signori, io credo che si versi in un grandissimo errore, come diceva poc’anzi, quando si vuol combattere o con argomenti giuridici, o con argomenti politici una logge la quale non è una legge penale, né una legge politica: qui si tratta unicamente, o signori, di stabilire delle misure preventive, qui si tratta unicamente di armare il potere esecutivo di quei mezzi che sono giudicati necessari per ridurre alcune provincie dello Stato in condizioni tali che possano le leggi ordinarie funzionarvi come nelle altre: ora, che le provincie napoletane e siciliane non si siano trovate sinora in queste condizioni, ampiamente è stato dimostrato molte volte, e che quando quelle provincie non si trovino in queste condizioni, quando si vogliano ridurre in queste condizioni occorrano delle facoltà e delle misure eccezionali, questo è quello, o signori, che le istorie di tutti i popoli ci dimostrano. Ed aggiungerò, che quando poi queste misure eccezionali e preventive si vogliano snaturare, e si vogliano applicare con quegli stessi caratteri legali coi quali si applicano le leggi ordinarie, allora io credo, o signori, che meglio giovi abbandonarle (Segni dì adesione), perché esse cessano di avere qualsivoglia ufficio proprio e speciale.

E stato detto, o signori, e qui io porrò termine al mio dire, che la Costituzione inglese è una Costituzione perfetta, la quale corrisponde veramente ai bisogni di quel paese: ora sapete quale è stato uno dei pregi maggiori di questa Costituzione, secondo che leggo in uno dei dotti suoi commentatori, lord Brougbam? Io ho voluto trascrivere le sue parole, imperocché mi sembrano molto appropriate al caso nostro: lord Brougham ci dice nella sua storia e svolgimento della Costituzione inglese:

«Abbiamo considerato finora la Costituzione inglese nella sua struttura e ne’ suoi procedimenti in tempi ordinari; ma i suoi ammiratori ne commendano anche, ed a giusto titolo, la capacità ch’essa ha di adattarsi a tutte le circostanze. Così i più importanti diritti sono stati talvolta sospesi o soggetti a restrizioni tanto grandi da essere equivalenti ad una totale sospensione. Il diritto delle pubbliche adunanze (public meetings) cessò affatto durante la maggior parte della guerra, che finì con la pace di Amiens. Questo diritto fu anche sospeso per pochi mesi nel 1820.

La legge dell’Habeas corpus ebbe spesso restrizioni di varia natura in forza di poteri eccezionali conferiti ai magistrati.

«Il provvedimento spesso adottato durante il regno di Guglielmo III, di nuovo ai tempi di Giorgio I, e poscia sotto Giorgio III, conferiva al Governo la facoltà d'imprigionare o detenere persone sospette di disegni proditorii o sedizioni senza sottoporle a giudizio.»

Io in conseguenza, o signori, vi esorto quanto so e posso a mantenere queste disposizioni per il tempo che il presente progetto di legge assegnerebbe. Nè valga a rimuovervi da ciò un argomento più specioso che vero dell’onorevole deputato Mancini, contro il quale argomento io credo di dovervi raccomandare di mettervi in guardia.

L’onorevole deputato Mancini vi diceva: ed a che volete voi votare queste disposizioni, quando voi questo voto non sapete a chi lo date, imperocché sarebbe fra due mesi soltanto che il vostro voto avrebbe effetto, quando cioè la legge del 15 agosto testé prorogata a tutto febbraio colla legge del 22 dicembre sarà spirata?

Ma, signori, l’onorevole deputato Mancini forse ha dimenticato che cosa la Camera intendesse di fare, quando, a proposta, credo, dell’onorevole deputato Lovito e di altri, prorogò per due mesi la legge del 15 agosto.

La Camera allora intese di prorogare quella legge per dar agio a discutere pacatamente e ponderatamente la legge che ora stiamo per votare...

LOVITO. Domando la parola.

PERUZZI, ministro per l'interno... ma restò ben inteso e l’onorevole deputato Lovito, me ne rammento, lo dichiarò esplicitamente, restò ben inteso che quella legge dovesse cessare di aver vigore tostoché la legge, di cui si sospendeva la discussione, fosse stata promulgata. Infatti, o signori, sarebbe, mi si permetta la parola, ridicolo che due leggi contemporaneamente vigessero per un mese o per un mese e mezzo sopra la stessa materia.

In conseguenza, o signori, torno a caldamente raccomandarvi la reiezione di tutte le proposte di soppressione degli articoli che ora sono in discussione, (Segni di approvazione)

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mancini e Lovito hanno domandata la parola per un fatto personale.

Se credono di parlare, do loro la parola. Raccomando però di stare al tatto personale.

MANCINI. Il signor ministro dell’interno, mentre trattavasi di discutere una mia proposta di soppressione di alcuni articoli di questa legge contenenti provvedimenti preventivi, ha creduto di combatterla, dirigendomi un’imputazione, la quale, per lo meno, potrebbe farmi passare per inconseguente.

Egli ha detto: «sulla lubrica via di questi provvedimenti il primo passo è stato fatto dallo stesso deputato Mancini, colla presentazione del suo progetto di legge sul brigantaggio.»

Da queste parole mi è forza riconoscere che quel progetto di legge non ha mai meritato l’onore di richiamare l’attenzione del ministro dell’interno.

Egli non lo ha mai letto; è questo il meno che io possa dire.

Dappoiché, siccome in esso non vi è disposizione alcuna, non vi è sillaba in cui si accenni ad armare il Governo di poteri di questa specie, per autorizzare né molte, né poche misure preventive contro la libertà individuale de’ cittadini, non so vedere la giustizia ed opportunità della strana imputazione che mi venne fatta, e debbo a buon diritto respingerla.

Mi pare che l’accusa d’inconseguenza potrebbe ritorcersi piuttosto verso uomini, i quali un anno fa si struggevano in idillii di tenerezza per la legalità e per le garanzie costituzionali, quando le dicevano violate nel mezzodì d’Italia dalla precedente amministrazione con lo stato d’assedio, ed ora che sono al potere, come si traggono a stento sui trampoli, e danno chiare prove di saper essi tanto meno governare l’Italia colla libertà e lo Statuto. (Bravo! a sinistra)

LOVITO. Io voleva rispondere unicamente al signor ministro dell’interno, il quale suppose che noi argomentando contro l’articolo 9 per gli effetti prodotti dall’applicazione dell’articolo 5 della legge Pica, noi avessimo voluto attaccare le sue intenzioni. Noi le riconosciamo buonissime; in presenza di fatti però che hanno contrarie qualità, e che pur sono innegabili, se abbiamo ricordato anche degli argomenti sull’applicazione dell’articolo 5 della legge Pica, certamente non abbiamo inteso di attaccare le intenzioni conosciute del ministro.

PERUZZI, ministro per l'interno. Non dico di lei.

LOVITO. Non potrei poi accettare l’onore che il signor ministro vuol farmi dichiarandomi autore della proroga della legga Pica per due mesi. Quando vidi che la discussione era per essere strozzata sur una legge ch’io intendeva combattere, tra il termine che spirava della legge Pica, che spirava di diritto con l’anno, ma che col tatto sarebbe mantenuta in vigore dal Governo; non potendo scegliere che tra due mali, io preferii il minore che intravedevo necessario nel fatto. Ma Dio mi guardi dall’aver pensato giammai alla proroga per due mesi d’una legge, di cui la riproduzione io intendeva combattere in una discussione che non volli strozzata, e dalla quale sperava venisse soppresso fra gli altri l’articolo 9 attualmente in esame.

PRESIDENTE. Onde la discussione sull’articolo presente, e la votazione relativa procedano ordinate, io credo opportuno di esporre alla Camera il metodo che intenderei di seguire.

Prima di tutto si metterebbe a partito la soppressione dell’articolo, proposta, come accennai, da vari deputati. Ove la medesima non fosse accolta, allora si discuterebbe l’emendamento subordinato proposto dall’onorevole Mancini consistente in un articolo, ch’egli intenderebbe di surrogare agli articoli 8, 9 e 10 del progetto della Commissione.

Ove poi esso pure fosse respinto, in questo caso si verrebbe alla discussione del primo periodo del progetto, e dei vari emendamenti che vi si riferiscono. Dopo ciò si verrebbe alla discussione del secondo periodo dello stesso articolo e del pari dei vari emendamenti che vi si riferiscono. Nella discussione e nella votazione dei singoli emendamenti si seguirà, secondo occorra, talora l’ordine delle singole proposizioni come stanno collocate nel progetto, a cui si riferiscono, talora l’ordine segnato dalla maggiore o minore larghezza degli emendamenti rispetto alle proposizioni medesime.

Domando anzitutto se la proposta soppressiva dell’articolo 9 è appoggiata.

(È appoggiata).

Essendo appoggiata, la metto a partito.

Chi intende approvarla si alzi.

(Non è approvata).

Do ora lettura dell’articolo subordinato dell’onorevole Mancini.

«Art. 8. In quelle tra le provincie napolitano e siciliane, che venissero designate con decreto reale, una Giunta presieduta dal prefetto e composta del presidente del tribunale di circondario del capoluogo della provincia, del procuratore del Re presso il tribunale medesimo, e di due consiglieri provinciali scelti dal Consiglio della provincia, e quando esso non sia riunito dalla Deputazione provinciale, assunte le informazioni opportune, e sentiti personalmente i denunziati, potrà assegnare un domicilio coatto, per un tempo non maggiore di un anno, agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, designate nel Codice penale, ai camorristi ed ai manutengoli del brigantaggio.

«Non potrà ordinarsi il loro arresto, che posteriormente alla deliberazione della Giunta, e per la semplice sua esecuzione.

«Gl’individui sottoposti al domicilio coatto potranno reclamare contro il provvedimento della Giunta innanzi al tribunale del circondario del proprio domicilio, il quale procedendo con le forme de’ giudizi correzionali, dietro pubblico dibattimento, confermerà o rivocherà il provvedimento, e potrà anche ridurre la durata del confino.»

Il deputato Mancini ha la parola per isviluppare la sua proposta.

MANCINI. Il mio emendamento restringe in unico articolo i tre articoli 8, 9 e 10 del progetto della Commissione. Acciò la Camera riconosca immediatamente quali sono le modificazioni che negli articoli della Commissione da me si. propongono, le enumererò breve mente.

La prima di queste modificazioni riguarda il modo di composizione delle Giunte e la forma della scelta dei due consiglieri provinciali che debbono farne parte. La Commissione proporrebbe che fossero scelti dagli altri tre membri governativi della Giunta stessa: ma, fuori del prefetto, il quale deve conoscerei membri del i Consiglio provinciale e la loro idoneità ed attitudine, non veggo quali cognizioni sufficienti possano avere un i presidente del tribunale ed il procuratore del re per fere una scelta conveniente ed appropriata. Se la garanzia del loro intervento nella Giunta de riva dal considerarli come organi indipendenti dell’opinione pubblica della provincia, non la si distrugga,  corrompendo la delegazione nella sua origine, e per mettendo che la scelta sia fatta dai membri governativi della Giunta sopra que’ consiglieri che saranno più ciecamente devoti al Governo ed al prefetto. Siccome però sembrami scorgere nella Commissione qualche propensione ad assentire, se non cado in errore, che la delegazione di questi due consiglieri venga fatta dallo stesso Consiglio, ed allorché questo non sia riunito dalla deputazione provinciale, intorno alla proposta di questa prima modificazione non aggiungerò altre parole.

La seconda modificazione è quella di ridurre la durata del domicilio coatto, secondo questa legge, ad un solo anno. Questa proposta è di grande importanza, giacché, se non altro, dal momento in cui noi permettiamo che un’autorità amministrativa, senza le vere forme di un giudizio, senza pubblico dibattimento, senza appello, senza le guarentigie, le quali sono necessarie per la ricerca della verità, applichi una vera pena, una pena correzionale scritta nel nostro Codice penale, per la quale nei giudizi ordinari si ammettono tanti rimedi e gravami sino alla Corte di cassazione, facciamo almeno che nella durata del castigo non si eccedano i limiti della rigorosa necessità.

Ora siccome è nostro desiderio e fondata speranza, che da qui a due anni le condizioni delle provincie meridionali abbiano sensibilmente a migliorare, possiamo senza inconvenienti restringere ad un anno solo la durata del domicilio coatto.

Che cosa si teme? Che allo spirare di quest’anno possano ancora sussistere le stesse dolorose condizioni, o forse anche aggravarsi? Ebbene, si avrà sempre il tempo di prolungare, quando se ne scorgesse il bisogno, questi provvedi menti eccezionali, nella stessa guisa in cui oggi si pro roga la legge del 15 agosto.

Ma per ora cotali provvedimenti restringansi pure ad un sol anno; ed io prego i ministri di condiscendervi per facilitare l’adozione di queste disposizioni di legge, che mi pare essere loro tanto a cuore.

Vengono ora le altre due modificazioni, che mi sembrano sostanziali, e che respinte, renderebbero agli occhi miei di nessuna importanza anche le altre.

La Commissione ha proposto che la Giunta dovrà assumere le informazioni opportune contro i denunziati e sentirli personalmente, e potrà ordinarne preventivamente l’arresto. Io propongo invece che non potrà dalle Giunte ordinarsi il loro arresto, se non posteriormente alle deliberazioni delle Giunte medesime, e per la semplice sua esecuzione.

L'onorevole ministro dell’interno ha testé detto che in alcune provincia questo sistema, benché non imposto dalla legge, siasi di fatto seguitato, ed egli accennò precisamente alla provincia di Aquila; e non ha soggiunto che questo sistema avesse tagliato i nervi all’autorità del Governo, e l’avesse posta nell’impossibilità di provvedere alle esigenze della pubblica sicurezza. Qual difficoltà potrebbesi adunque opporre ad estenderne l’applicazione?

E qui imporla osservare che, distinguendo il passato dall’avvenire, nel primo periodo il Ministero illegalmente, a mio avviso, ha ordinato tutti gli arresti senza neanco averne avuto l’autorizzazione del Parlamento, senza che la legge del 15 agosto ciò permettesse.

Il Governo pretese che, durante il domicilio coatto, potendo l’individuo assoggettato al medesimo prendere la fuga, la facoltà d’infliggere il domicilio coatto comprendesse virtualmente anche la facoltà di arrestare e ciò che è più di arrestare preventivamente!

Come! È forse cosa nuova l’applicazione di un confino, di un domicilio coatto? E ben scritto nel Codice penale, cioè nella legge comune che agl’individui assoggettati a simile restrizione non si possa togliere la libertà ed adottare come provvedimento preliminare e come mezzo ad assicurare l’esecuzione della pena, un danno peggiore e più grave della pena stessa; ma che prima debbasi loro intimare di adempire in un dato termine quel precetto; e solo, allorché trascorra questo termine senza che volontariamente eseguiscasi la ingiunzione, possono essere arrestati e condotti colla forza nel luogo ad essi assegnato.

Nondimeno, o signori, io vado tant’oltre da contentarmi che nessuna intimazione si faccia all’individuo che deve essere sottoposto al domicilio coatto; ammetto che ognun di essi possa senz’altro essere arrestato e trasportato al luogo del domicilio. Ma almeno facciamo che ciò si esegua solamente allorché la Giunta ha già definitivamente deliberato. Se la Giunta ha già preso cognizione dell’affare, delle pruove, delle discolpe ed ha condannato al domicilio coatto, ormai non rimane che il solo pericolo ch’essa abbia errato ed abbia colpito un innocente.

Ma invece nel sistema contrario, mantenendo, cioè, che anche prima di essersi dalla Giunta deliberato che un individuo meriti di essere sottoposto al domicilio coatto, possa ordinarne l’arresto preventivo, si avranno ben anche quegli inconvenienti dolorosi e gravissimi, a cui ho già accennato nel mio discorso, e si vedranno arrestati, costretti a languire nelle prigioni per un tempo indefinito, mentre s’investigherà e s’istruirà sulle prove e sulle presentate giustificazioni e discolpe.

Io dunque posso al più acconsentire all’arresto di quegli individui, che debbono certamente essere trasportati a domicilio coatto, ma soltanto dopo la condanna della Giunta, non mai preventivamente, e quando è ancora incerto se la Giunta finirà per condannare o per assolvere.

Signori, esistono al giorno d’oggi degli arrestati fino dai primi giorni in cui la legge fu promulgata.

Si è reclamato; si sono domandate opportune informazioni; si intrapresero indagini, le risposte non vennero, e si fanno attendere da mesi; e cittadini di distinte famiglie, prima ancora che si deliberi definitivamente sul loro destino, soffrono intanto penosa e prolungata prigionia!

Perché continuare in questo sistema? Volete conservare le Giunte, l’invio al domicilio coatto, ed anche l’arresto come un preliminare al forzato trasporto dei confinati? Ma almeno aspettate che la Giunta riconosca e pronunci che l’individuo sospettato merita di essere sottoposto alla misura del domicilio coatto; e solo in quel momento autorizzatene pure l’arresto.

Rimane a parlare dell’ultima modificazione che da me si propone, cioè la garanzia di riserbare a’ condannati amministrativamente dalle Giunte la facoltà di un volontario reclamo, non sospensivo, ma semplicemente devolutivo, all’autorità giudiziaria.

L’onorevole ministro colla sua finezza d’ingegno par quasi avere scagliata anticipatamente una specie di censura su questa proposta, allorché ha detto: se volesse tentarsi di richiamare le misure eccezionali alle norme e garanzie del diritto comune, e di ridurle sotto l’impero della legalità, meglio sarebbe abbandonarle.

Ma osserverò che io non propongo d’impedire all’amministrazione di procedere a quegli atti che essa creda necessari alla tutela della sicurezza pubblica.

Io lascio che la Giunta istruisca e pronunci senza ostacolo di sorta, e non oppongo verun ostacolo alla pronta esecuzione del suo provvedimento, qualunque ei sia, di arresto e trasporto al domicilio coatto. Che si vuole di più? Lo scopo della sicurezza pubblica con ciò è raggiunto.

Ma un individuo che ha piegata la fronte ad eseguire una dura condanna, inflitta senza pubblicità di giudizio, senza discussione, senza esame di testimoni, senza appello, senza garanzia alcuna, dovrà dunque rimanere irreparabilmente segnalato alla pubblica riprovazione, stigmatizzato coll’orribile nota di fautore del brigantaggio, il che significa nemico della patria, assassino del proprio paese senza concedergli di poter reclamare all’autorità giudiziaria, per fornire le prove positive ed eloquenti della propria innocenza, per dileguare fallaci apparenze, per rettificare storti giudizi, per purgarsi innanzi alla società di una macchia disonorante, di un anatema spaventevole? Ecco quello che io domando.

Un tal postumo reclamo sarà sempre un freno al l'amministrazione perché curi di non cadere in errore. Le Giunte stesse raddoppieranno di vigilanza e solerzia, perché, sebbene le loro deliberazioni avranno esecuzione immediata, se per avventura un patriota benemerito della causa nazionale si trovi colpito sotto l'apparenza di manutengolo; se si appone un simile sospetto ad un innocente, costui ha ancora un mezzo che la legge gli riserba di giustificare l’innocenza sua e di far riconoscere la leggerezza ed erroneità dell’eseguita de liberazione.

A quest’ultima mia proposta ho udito opporre essere talvolta impossibile il provare che un individuo sia sospetto manutengolo; qualunque mezzo vogliate adoperare, si dice, rimane infruttuoso, la prova assolutamente vi sfugge.

Confesso di non avere mai saputo comprendere il valore di questa obbiezione. La comprenderei, se fosse statuito innanzi a’ nostri tribunali un sistema di prove legali, al quale si contrapponesse la deliberazione della Giunta i cui membri invece giudicassero come giurati, col semplice criterio morale. Ma la Dio mercé il sistema delle prove e di procedimento ordinari innanzi ai tribunali consiste anch’esso nell’uso del solo criterio morale; basta che i giudici si convincano della reità, per poter applicare le pene.

Ora io domando: quali elementi di prova avete presentato alla Giunta per indurla a ritenere che un individuo fosse manutengolo? Saranno per lo meno informazioni e rapporti di autorità, che narrano ed attestano fatti a di lui carico. Ebbene: o supponete possibile che le Giunte condannino a sproposito senza me niuna dimostrazione di reità, ad arbitrio del prefetto rappresentante del potere esecutivo, ed in tal caso il vostro favorito sistema per vostra stessa confessione è degno della più severa riprovazione; o credete che le Giunte coscienziosamente esaminino e decidano dietro informazioni e prove, ed allora come potrete temere che questi medesimi rapporti ed elementi probanti, posti sotto gli occhi de’ tribunali, non valgano del pari a giustificare le deliberazioni delle Giunte, ed a far respingere mal fondati reclami? Voi avete arrestato l’individuo sospetto, lo avete tolto di mezzo dalla società libera, cui reputavasi pericolosa la di lui presenza; lo avete trasportato nel luogo del domicilio coatto; sarebbe dopo ciò crudeltà, ingiustizia, spettacolo indegno di tempi e paesi civili, lasciar quest’uomo sotto il peso delle colpe appostegli, negargli di poter lavare l’onta sua e della propria famiglia giustificando che a suo riguardo la Giunta sia caduta in errore, escludere la possibilità d’ogni sua riabilitazione morale al cospetto de’ propri concittadini! Le Giunte non sono infallibili come non sono infallibili i tribunali; rispetto a questi, il sistema dell’appello appunto presuppone i loro errori, e la frequenza di essi. Non può dunque negarsi affatto un qualche riesame del deliberato dalle Giunte, di cui trattasi nella legge attuale.

Non mi resta pertanto che pregare l’onorevole signor presidente di voler porre ai voti separatamente le cinque modificazioni che sono l’oggetto delle mie proposizioni.

CASTAGNOLA, relatore. Domando la parola.

PRESIDENTE. Parli.

CASTAGNOLA, relatore. Quattro, come disse l’onorevole preopinante, sono gli emendamenti ch’egli propone nell’articolo 8° di sostituire alle diverse disposizioni proposte dalla Commissione e dal Governo.

Dirò relativamente a questi il parere della Commissione.

La prima modificazione consisterebbe nel dire che i due consiglieri provinciali a vece di essere scelti dagli altri membri, siccome proponeva la Commissione, fossero scelti dal Consiglio provinciale o dalla deputazione provinciale.

La Giunta non fa opposizione a questa proposta, e se ho da dire la mia opinione individuale, si è la stessa conforme a quella che esternava come membro della Commissione d’inchiesta parlamentare. Debbo ricordarmi che precisamente la nostra proposta era analoga a questa; e mi ricordo ancora che allorché si discuteva il progetto di legge concernente alcune misure di sicurezza pubblica da attivarsi in Sicilia, il ministro dell’interno accettò questa modificazione suggerita nel Senato. Non so quali siano oggi le intenzioni del Ministero, ma in quanto alla Commissione è indifferente che si adotti pure l’emendamento Mancini.

Il secondo emendamento consisterebbe nel restringere il domicilio coatto alla durata di un anno invece di due, come propose il Governo ed assentì la Commissione.

Veramente a questo riguardo è più competente, io credo, il Ministero che non la Commissione a proporre il proprio avviso, perché la Commissione in questo si affidò molto alle dichiarazioni che le fece il ministro dell’interno.

Il ministro dell’interno ebbe anche la bontà di comunicarmi tutti gli avvisi dei prefetti, e posso dire che tutti quanti i prefetti, tutti i ventidue prefetti delle provincie napolitane e siciliane sono, se non tutti almeno quasi tutti unanimi in questo, che la durata del domicilio coatto ad un anno solo sia misura inefficace, perché dicono: in un anno è impossibile che sieno state rotte quelle criminose e sospette relazioni che avevano prima le persone astrette al domicilio coatto; se ritornano presto in paese infocati dello spirito di vendetta sarà poco l’effetto che si otterrà da questa misura; converrebbe quindi portare questo domicilio a due anni.

Dal momento che questo è l’avviso dei 22 prefetti (e non si può supporre che tutte quante queste persone non sieno illuminate, che sieno assolutamente persone le quali non veggano se non cogli occhi del ministro, come è stato accennato in questa discussione), la Commissione non accetterebbe questo secondo emendamento proposto dall’onorevole Mancini o, per meglio dire, persisterebbe nella sua opinione.

Vengo al terzo emendamento.

Il terzo emendamento consisterebbe nel dire che «non potrà ordinarsi l’arresto che posteriormente alla deliberazione della Giunta, e per la semplice sua esecuzione.»

Non ho bene inteso quale fosse l’intendimento dell’onorevole Mancini; può darsi quindi che noi ci troviamo concordi o che ci troviamo discordi. La Commissione vuole che non si possa arrestare nessuno se la Giunta non lo ordini; in quanto a questo siamo d’accordo.

Onde meglio tradurre questo suo concetto nella legge la Commissione propone che si aggiunga una parola all’allinea dell’articolo 5, il quale rimarrebbe quindi così concepito:

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati, e potrà sola ordinarne preventivamente l’arresto.»

Il Ministero convenne in quest’aggiunta.

Non so se questa modificazione sia tale che raggiunga lo scopo dell’onorevole Mancini; ma posso dire che la Commissione sta salda in questo, che nessuno, assolutamente nessuno, se non la Giunta, possa avere questa facoltà di ordinare preventivamente l’arresto, onde inviare al domicilio coatto. Non acconsente poi a che prima si notifichi la presa misura all’individuo che ne è colpito, e che solo lo si faccia arrestare dopo, in caso d’inobbedienza, per una ragione che disse il ministro dell’interno, cioè che in alcune provineie questo sarebbe lo stesso che spingerlo a darsi alla campagna, o per meglio dire ad ingrossare le bande brigantesche.

MANCINI. Chiedo di parlare per uno schiarimento.

CASTAGNOLA, relatore. Porse saremo in ciò d’accordo coll’onorevole Mancini.

Vengo ora al quarto emendamento che è il più grave di tutti.

Dispiace alla Commissione di non potere accettare quest’emendamento dell’onorevole Mancini.

Con ciò non ha in animo la stessa di togliere una garanzia a coloro che fossero colpiti dal provvedimento del domicilio coatto, ma bensì di renderne meno dura la loro posizione.

Se adottassimo l’emendamento dell’onorevole Mancini, che ne verrebbe? Ne verrebbe, almeno a mio parere, che d’una semplice misura di polizia che non può gettare una macchia su chi n’è l’oggetto, se ne farebbe un provvedimento giuridico, si darebbe al fatto l’autorità d’una cosa giudicata, se ne farebbe una sentenza, e così si renderebbe di gran lunga peggiore la condizione di coloro che venissero mandati a domicilio coatto.

Fintantoché una Giunta sopra informazioni prese, e dopo avere inteso unicamente il denunziato, l’invia per misura di sicurezza pubblica in un domicilio diverso, si può sempre dire che questo temperamento è consigliato dalle supreme necessità della patria; non essendovi stato un regolare dibattimento, non si può dire che l’uomo così colpito sia un infame, sia meno onesto; si può solo dire che le apparenze stavano contro di lui. Ma, se fate intervenire i tribunali; se volete attenervi alle forme che si seguitano pei giudizi correzionali, ogni volta che un tribunale avrà confermato l’operato della Giunta, l’uomo assoggettato a tale pena sarà colpito da una sentenza di condanna, si potrà dire che venne condannato a domicilio coatto come manutengolo.

Non voglio però, signori, che, per così dire, costoro sieno abbandonati all’arbitrio di chicchessia e manchino di guarentigie. Io osservo che la guarentigia sta appunto in ciò che si tratta di un semplice temperamento di polizia e che perciò non vi sia cosa giudicata.

Ed invero, ancorché uno si trovasse a domicilio coatto, quando venisse provata la sua innocenza, quando si riconoscesse l’errore della Giunta, ove venisse chiarito, per esempio, ch’egli fu accusato sopra falsi rapporti di un’autorità, io non dubito che il ministro dell’interno si affretterebbe a rivocare quella de terminazione.

Non diamo adunque a questa misura l’aspetto di una sentenza; manteniamoci, per così dire, nelle sfere degli atti amministrativi, e perciò rivocabili; non andiamo nelle sfere degli atti giudiziari.

Per questi motivi questo emendamento non potrebbe essere dalla Commissione accettato.

MANCINI. Ho domandato la parola per uno schiarimento.

PRESIDENTE. Prima di darle la parola credo opportuno di fare un’avvertenza.

Avrà notato la Camera come l’onorevole Mancini quando propone il suo articolo 8, intende che con esso cessino non solo gli articoli 8 e 9, ma altresì il 10° del progetto. Bisognerebbe quindi che la Commissione spiegasse pure il suo avviso a tale riguardo.

In secondo luogo è a ritenersi che le modificazioni proposte all’articolo 8 dall’onorevole Mancini sarebbero quattro e non cinque.

MANCINI. No: ve ne ha anche un’altra che ho dimenticata; la soppressione della parola sospetti. Non so se la Commissione ne abbia parlato; intendo brevemente dichiarare il mio concetto.

CASTAGNOLA, relatore. No.

PRESIDENTE. Dopo le osservazioni testé fatte dal signor relatore pregherei l’onorevole Mancini di dar qualche spiegazione su quella parte del suo emendamento che costituisce il secondo periodo, vale a dire:

«Non potrà ordinarsi il loro arresto che posteriormente alla deliberazione della Giunta e per la semplice sua esecuzione.»

Per ciò, e per quell’altro schiarimento a cui accennava l’onorevole Mancini, gli do la parola.

MANCINI. Sono pronto a dare i chiesti schiarimenti.

PRESIDENTE. Scusi; ora domanderei prima quale sia l’intenzione della Commissione.

CASTAGNOLA, relatore. Parò notare che rimarrebbe una lacuna. La Commissione ha parlato in genere sui merito degli emendamenti: in quanto alla forma del dettato preferirebbe la sua.

Senonché osserverò che già v’è una questione che è più che di forma. La legge provvede per coloro che violano il domicilio coatto, e si dice, in questo caso, che sono puniti dai tribunali ordinari del luogo. Colla proposta Mancini questa disposizione verrebbe a sparire, locchè non si crede conveniente, giacché allora la disposizione della quale ora ci stiamo occupando verrebbe a mancare di sanzione.

MANCINI. Ebbene, allora l’articolo io potrebbe rimanere.

PRESIDENTE. Appunto per questo avevo interrogato la Commissione.

L’onorevole Mancini ha la parola per dare alcune spiegazioni.

MANCINI. Quanto agli arresti che l’onorevole relatore della Commissione osservava non poter essere ordinati che con deliberazione delle Giunte, noi siamo d’accordo, dimodoché non v’è alcuna discrepanza fra la mia proposta e quella della Commissione.

La differenza rimane solo in ciò, che io prevedo poter le Giunte emettere una serie di deliberazioni preparatorie d’istruzione, deliberazioni colle quali, udito precisamente l’individuo sospetto, la Giunta sente il bisogno di prescrivere la verificazione delle circostanze da lui addotte a propria discolpa. Ebbene, io dico: finché la Giunta non è sicura di aver sotto la sua mano un individuo che merita il domicilio coatto, sopratutto se quest’individuo offrì le prove della sua innocenza ed è in corso la investigazione relativa, non credo che la Giunta possa cominciare per deliberarne l’arresto. La Giunta ordinerà, dopo la sua deliberazione definitiva, l’applicazione del domicilio coatto.

Questa deliberazione è segreta, ed io non intendo certamente che la Giunta mandi prima richiamare l’individuo e gli comunichi che egli è già sottoposto al domicilio coatto, lo che implicherebbe la possibilità che l’imputato si desse alla fuga ed andasse ad ingrossare le file dei briganti: ma io mi limito a domandare che la Giunta esaurisca prima il suo lavoro, pervenga a persuadersi di essere giusto applicare il domicilio coatto ad un determinato individuo; quando essa abbia ciò pronunziato, allora solamente, e per la esecuzione di questa deliberazione, l’individuo potrà essere arrestato.

Dunque vi ha una differenza tra la proposta della Commissione e la mia, riposta in ciò che, mentre entrambi ammettiamo che solo la Giunta possa ordinare l’arresto, questo arresto, secondo la Commissione, può essere preventivo; secondo me non può essere che posteriore, e solamente allo scopo della materiale esecuzione della deliberazione della Giunta.

Quanto all’ultimo emendamento l’onorevole relatore ha richiamata la mia attenzione sul maggior danno che si verrebbe in certi casi a produrre, secondo lui, con questa proposta a quegli individui medesimi i quali reclamassero davanti ai tribunali.

Io però non prendo sul serio questo argomento. Prima di tutto, quando io veggo applicata una repressione che nel Codice penale è una pena correzionale, credo che non possa farsi un giuoco di parole; al certo si tratta di una pena correzionale, inflitta senza le garanzie e senza le forme che pur la legge richiederebbe perché un cittadino potesse esservi sottoposto.

D’altronde, o signori, io non propongo che di necessità i tribunali abbiano a riesaminare le deliberazioni delle Giunte. E un semplice sperimento facoltativo che io intendo riservare all’individuo sottoposto al domicilio coatto; coloro i quali hanno ragione di temere maggior danno dalla pubblicità di un giudizio, certamente non invocheranno l’esercizio di questa facoltà utilissima per gl’innocenti.

PRESIDENTE. Io l’avevo pregato di restringere la sua risposta a dichiarare se accetta o non accetta la modificazione a questo riguardo propostale dalla Commissione, cioè la prego di dire se quella parola sola soddisfi abbastanza al suo concetto.

MANCINI. Ho già prima risposto a quanto il signor presidente domanda; ma forse il rumore che si fa nella Camera non ha permesso che le mie parole giungessero sino al banco della presidenza. Io ho detto essere noi tutti d’accordo che solo la Giunta può ordinare l’arresto; ma corre sempre tra il sistema della Commissione e il mio questa differenza, che per me non si autorizza la Giunta ad ordinare un arresto preventivo, ma può soltanto ordinarlo posteriormente, cioè quando abbia deliberato di applicare il domicilio coatto.

PRESIDENTE. Dunque ella persiste nella sua proposta. Resta ancora che mi risponda se rinuncia a far comprendere ora l’articolo 10 nel suo emendamento.

MANCINI. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Siamo intesi.

MANCINI. Rimane infine nell’analisi del mio emendamento un’ultima modificazione, che mi era sfuggita, la soppressione della parla sospetti. Di questa farò un solo cenno.

Dove si dice nel progetto, potersi applicare il domicilio coatto «agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette designate nel Codice penale, ai camorristi ed ai sospetti manutengoli,» io ho proposto sostituirsi queste parole: ed ai manutengoli.

La ragione di questa proposta sta in ciò, che la parola manutengoli è bensì più larga, e più generica...

PRESIDENTE. Se intende dare qualche spiegazione sulla parola sospetti, ossia sulla soppressione di questa parola, che si trova invece del progetto della Commissione, poiché accenna, che se ne era dimenticato, io le darò la parola.

Voci. Basta! basta!

PRESIDENTE. Scusi la Camera, faremo più presto così.

MANCINI. Diceva dunque che la parola manutengoli è una parola più vaga, più elastica, se si vuole, di quella di complici del brigantaggio, di ricettatori, di provveditori di viveri, di armi e di munizioni, e qualifica veramente anche alcune persone alle quali non si possa propriamente imputare un fatto che le costituisca (nella realtà e non già nel semplice sospetto, nella persuasione di alcun individuo o di un’autorità), che le costituisca manutengoli del brigantaggio.

La parola sospetti manutengoli è un insulto ai principii di giustizia e di penalità.

Cancelliamo, signori, questa deplorabile parola sospetti dalla legge; non permettiamo che sia perciò denominata la legge dei sospetti, lo non credo che il sospetto sia un delitto, e tanto meno un criterio dell’altrui reità.

PRESIDENTE. Dunque non accetta.

Voci. Ai voti! ai voti!

CASTAGNOLA, relatore. Chiedo di parlare. (Rumori. )

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

CASTAGNOLA, relatore. Siccome la Commissione non ha risposto sulle persone sospette, io faccio osservare che le persone sospette, secondo il Codice penale sono gli oziosi, i vagabondi, i mendicanti validi, coloro che sono diffamati per crimini, per delitti, e segnatamente per grassazioni, sottrazioni, frodi e truffe, e coloro che sono sottoposti alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza. Allorquando si riconosce che una provincia si trova in uno stato anormale per la pubblica sicurezza, sembra alla vostra Commissione che le persone contemplate nell’articolo 447 del Codice penale non debbano sfuggire alle disposizioni di questa legge.

PERUZZI, ministro per l’interno. A me pare che quanto si ammette dal Codice penale sia logico che venga ammesso anche da questa legge, essendo logico di aggiungere anche la parola sospetto a manutengolo, dacché per questa legge appunto ai reati pei quali si può essere diffamati, secondo il Codice, si aggiungono gli altri reati, come di somministrazioni di viveri, eco. ecc. , che costituiscono il manutengolo, parola che per me non è più elastica, checché ne dica l’onorevole Mancini, di dette espressioni. Nel dire dunque sospetto manutengolo, si dice diffamato come manutengolo, che è quanto dire sospetto secondo il Codice penale.

MANCINI. Domando la parola. (Oh! ohi)

PRESIDENTE. Ritiene dunque la Camera che l’emendamento Mancini contiene cinque modificazioni al progetto della Commissione.

Queste cinque modificazioni sarebbero:

Primo, la soppressione della parola sospetti che sta nel progetto della Commissione.

La seconda modificazione riguarderebbe il modo di nominare i consiglieri provinciali. E qui la Commissione, come la Camera ha testé udito per bocca del suo relatore, consente.

La terza modificazione riguarderebbe la durata del domicilio coatto, in quanto che l’onorevole Mancini lo vorrebbe ridotto ad un anno, laddove il progetto lo fissa a due anni.

La quarta modificazione vorrebbe l’arresto posteriore e non il preventivo.

La quinta modificazione riguarda il reclamo contro i provvedimenti della Giunta ai tribunali di circondario.

Queste sono le cinque modificazioni agli articoli; così però che le differenze sarebbero ora ridotte a quattro, perché una di quelle modificazioni sarebbe dalla Commissione consentita.

Voci. No! no! E quale?

PRESIDENTE. Quella riguardante il modo di nominare i consiglieri; l’onorevole relatore dichiarò, se ho bene inteso, che accettava questa modificazione.

MASSARI. Domando la parola.

PRESIDENTE. Parli.

MASSARI. Se ella mi permette, dirò che l’onorevole mio amico deputato Castagnola ha espresso in questa occasione la sua opinione individuale, anziché quella della Commissione. La Commissione persiste nel rigettare l’emendamento Mancini per una semplice ragione, perché essa crede che possa darsi il caso in cui i Consigli provinciali rifiutino di eleggere i due componenti la Giunta, e allora non si sa che cosa succederebbe.

PERUZZI, ministro per l'interno. Domando la parola.

PRESIDENTE. Parli.

PERUZZI, ministro per l'interno... unicamente per dichiarare che il Ministero accettò questa modificazione della Commissione già introdotta dal Senato, avanti di averne fatta l’esperienza netta. Adesso il Ministero ritiene che vi sieno due inconvenienti a dare la scelta di questi consiglieri provinciali ai Consigli della provincia.

Prima di tutto, per una legge che non deve durare ormai più di tre mesi dal momento che sarà promulgata, bisognerà fare convocazioni straordinarie dei Consigli provinciali, il che in molte di quelle provincia sarebbe difficilissimo; oppure bisognerà far nominare questi membri dalle deputazioni provinciali, col pericolo che non accettino il mandato, e quindi passeremo il tempo in accordature prima d’incominciare a suonare. Per conseguenza, io credo che praticamente sia inutile il mettere questa disposizione.

Ma poi, c’è ancora un altro motivo per cui il Ministero pregherebbe la Camera di rigettare tutto intero l’emendamento Mancini, ed è che, mentre i consiglieri provinciali hanno generalmente portato moltissimo zelo, moltissima solerzia ed intelligenza nel disbrigo delle loro funzioni, ho dovuto osservare che in quei casi fortunatamente non frequenti, nei quali il criterio poi litico aveva predominato alquanto sopra il criterio desunto dalla legge, generalmente questo è accaduto piuttosto per effetto del voto dei consiglieri provinciali, che del voto dei magistrati. E credo che ciò diverrebbe anche più frequente se i consiglieri, invece di essere scelti o dai prefetti, o dai magistrati che sono nella Giunta, fossero scelti dal Consiglio provinciale. Imperocché la Camera non disconverrà meco di questo, che il criterio che domina nelle elezioni provinciali è un criterio che non ha nessunissima relazione colle funzioni che sono demandate alle Giunte da questa legge.

E noi potremmo vedere quello che anche in oggi nelle amministrazioni non si può dissimulare che accade, e che è desiderabile non avvenga più, quando l’Italia sarà regolarmente costituita, cioè che non sempre il criterio amministrativo predomina, ma spesso il criterio politico. Quindi noi potremmo rischiare di avere in alcune provincie dei consiglieri provinciali eletti da una maggioranza che la pensa in un modo e in altre da una maggioranza che la pensa in modo diverso. Io credo che così invece di togliere il carattere politico che tanto teme l’onorevole Mancini in questo articolo, invece di aumentare le garanzie, noi aumenteremmo questo carattere politico e diminuiremmo queste garanzie.

D’ONDES-REGGIO. Chiedo di parlare.

PERUZZI, ministro per l'interno. Io faccio queste osservazioni perché credo che ne verrebbe un peggioramento alla legge. Per altro io non do a questa parte dell'emendamento dell’onorevole Mancini l’importanza che do alle altre parti, imperocché, mentre le altre parti io credo che altererebbero la sostanza della legge, quanto a questa parte io dichiaro che individualmente non la potrei approvare, che pregherei la Camera a non approvarla, ma che non la considero come una cosa sostanziale, quando per altro si provveda a che, mercé questa disposizione, non si renda ineseguìbile l’articolo.

PRESIDENTE. Il deputato D’Ondes-Reggio ha facoltà di parlare.

D’ONDES-REGGIO. Farò brevissime osservazioni su quanto ha detto l’onorevole ministro dell’interno.

Io comprendo che, non essendovi i Consigli provinciali adunati, vi sia difficoltà nella scelta, ma io rammento, come nel primo progetto fosse detto che, quando non vi erano i Consigli provinciali, sceglieva la Giunta provinciale: ed io trovo che questa, la quale è permanente, può benissimo fare tale scelta.

Se poi questa scelta non si vuole che venga fatta neppure dalla Giunta provinciale, ma solo dal prefetto e da magistrati, allora che significa ciò? Il  ministro ha detto: «parliamoci chiaro» ed io parlo chiaro, e dico che significa che la scelta si vuole fatta dal solo prefetto... .

MASSARI, ed altri. No! no!

D’ONDES-REGGIO. Sissignori, dal solo prefetto perché il procuratore del Re, l’ho già detto altra volta, è persona tutta dipendente dal Governo (Rumori), amovibile, di un grado inferiore al prefetto, e che non può dire diversamente dal prefetto, altrimenti il procuratore sarà destituito. (Segni di dissenso — Rumori)

E quanto al presidente del tribunale, esso è inamovibile, è vero, ma sempre sotto la minaccia del Governo della traslocazione, e quando verrà il mio emendamento noterò come si cominci a minacciare ai presidenti la traslocazione.

Dunque la garanzia che si diceva esservi quando si discusse il progetto primanente, esservi cioè due consiglieri provinciali che sono scelti dal Consiglio provinciale, oppure dalla Giunta, non dipendenti del Governo, è levata di mezzo.

Aggiungo di più che si tratta di legge di sospetti; perciò si tratta in massima parte di dover valutare la moralità delle persone che si vogliono colpire.

Ora, o signori, tanto il prefetto, quanto il procuratore del Re ed il presidente, anche con delle buone intenzioni, non essendo ordinariamente del luogo, possono difficilmente conoscere la moralità delle persone che si vogliono colpite dalla Giunta, e se ci sono individui che possano conoscerla sono appunto i consiglieri provinciali abitatori del luogo.

Dunque, o signori, questa che sembra una modificazione di pochissimo momento introdotta dalla Giunta, e su cui ora persiste il Ministero, leva quell’ombra di guarentigia che per avventura avvi nel progetto di legge, ed invece di migliorarlo lo peggiora.

Io non ho alcuna fiducia anche nei consiglieri scelti dal Consiglio provinciale perché restano in minoranza, ma, se non altro, illumineranno un po’ la coscienza dei prefetti e degli altri funzionari.

Quindi prego la Camera ad adottare l'emendamento dell’onorevole Mancini, che per altro, torno a dire, è conforme al primo progetto, e quindi spero che fra i consiglieri provinciali si troverà qualche uomo di coscienza, il quale non sia servile al volere del prefetto e degli altri due componenti la Giunta.

PERUZZI, ministro per l'interno. Domando la parola per protestare altissimamente contro quest’asserzione dell’onorevole D’Ondes-Reggio, che io l’invito a dimostrare.

D’ONDES-REGGIO. Voi non dimostrate nulla: io torno ad osservare quel che ho detto.

PERUZZI, ministro per l'interno. Io insisto in quanto che non credo che vi siano stati atti di servilità prestata, né domandata, e respingo assolutamente queste parole, inquantoché sono certo che nell’esercitare questo ufficio tutti i funzionari sono stati compresi della necessità di adempierlo per uno scopo di pubblica sicurezza. Lo ripeto di bel nuovo, che se ci fu alcun che di politico è stato piuttosto per parte di qualche consigliere provinciale che non per parte dei funzionari governativi; e questo è naturalissimo, e quindi ciò dico non per infliggere a chicchessia la menoma censura, ma per solo amore della verità.

PRESIDENTE. Domando alla Camera se l’emendamento del deputato Mancini è appoggiato.

(E appoggiato).

Leggerò l’emendamento Mancini in cinque distinte parti in quanto egli ne chiese la divisione, e le porrò ai voti.

«In quelle tra le provincie napoletane e siciliane, che venissero designate con decreto reale, una Giunta presieduta dal prefetto e composta del presidente del tribunale di circondario del capoluogo della provincia, del procuratore del Re presso il tribunale medesimo, e di due consiglieri provinciali scelti dal Consiglio della provincia.»

Chi approva questa proposizione è pregato di alzarsi.

(Non è approvata).

«E quando esso non sia riunito, dalla deputazione provinciale, assunte le informazioni opportune, e sentiti personalmente i denunziati, potrà assegnare un domicilio coatto, per un tempo non maggiore di un anno.»

Chi approva questa seconda proposta sorga.

(Non è approvata).

«Agli oziosi, aivagabondi, alle persone sospette, designate nel Codice penale, ai camorristi ed ai manutengoli del brigantaggio.»

Qui è da notarsi la soppressione della parola sospetti preposta nell’articolo a manutengoli.

Chi approva questa proposta è pregato d’alzarsi.

(Non è approvata).

«Non potrà ordinarsi il loro arresto, che posteriormente alla deliberazione della Giunta, e per la semplice sua esecuzione.»

(Non è approvata).

«Gl’individui sottoposti al domicilio coatto potranno reclamare contro il provvedimento della Giunta innanzi al tribunale del circondario del proprio domicilio, il quale procedendo con le forme dei giudizi correzionali, dietro pubblico dibattimento, confermerà o rivocherà il provvedimento, e potrà anche ridurre la durata del confine.»

(Non è approvata).

Verrebbe ora l’emendamento del deputato Camerini sostenuto dall’onorevole Macchi.

MACCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Parli.

MACCHI. Desideroso di semplificare e di abbreviare questa discussione, io non ho difficoltà di ritirare questo emendamento {Bene!), e lo faccio tanto più inquantoché vedo che alcuno dei provvedimenti con esso proposti vennero già dalla C'amera adottati con precedenti votazioni ed altri pur troppo da essa respinti. Perciò lo ritiro.

PRESIDENTE. Sarebbe ora il caso degli emendamenti parziali che si riferiscono all’articolo in discussione.

Anzitutto vi è l’emendamento dell’onorevole Cannavina così concepito:

«Il Governo avrà facoltà di assegnare per un tempo non maggiore d’un anno un domicilio coatto ai sospetti manutengoli, dietro parere conforme,» ecc.

Ma siccome questa proposta sarebbe già stata respinta col rigetto dell’emendamento Mancini, non è più quindi il caso d’occuparsene.

L’onorevole Basile mi dichiarò di rinunciare al suo emendamento; così pure l’onorevole Macchi rispetto all’emendamento Camerini; perciò non vi sarebbero più emendamenti sulla prima parte dell’articolo 9 del progetto della Commissione.

Non essendovi altre osservazioni, pongo pertanto ai voti questa prima parte dell’articolo 9.

(È approvata).

Vengono ora gli emendamenti riguardanti la seconda parte.

Il primo sarebbe quello, come più largo, dell’onorevole Conforti del tenore seguente:

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati, ed ove le discolpe non sieno sufficienti, potrà ordinarne l’arresto. Contro coloro di cui si ragiona nell’articolo 9, nessuna autorità fuori della Giunta avrà facoltà di ordinarne l’arresto.»

La parola è all’onorevole Conforti per isviluppare il suo emendamento.

CONFORTI. Io faccio una modificazione a questo emendamento che ora sarebbe nei seguenti termini:

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati, ed ove le discolpe non sieno sufficienti, potrà ordinarne l’arresto, ove non sia stato preventivamente ordinato. Contro coloro di cui si ragiona nell’articolo 9, nessuna autorità fuori della Giunta avrà facoltà di ordinarne l’arresto.»

L’idea del mio emendamento consiste in questo, che la Giunta debba sentire personalmente l’incolpato, e dove le sue risposte non valgano a distruggere la prevenzione a suo carico, possa ordinarne l’arresto ove non l’abbia ordinato preventivamente.

Ma la cosa principale è che la sola Giunta abbia il diritto di spedire il mandato d’arresto. Anche la legge Pica stabilisce che la sola Giunta sia competente a spedire questi mandati d’arresto, tuttavia nell’esecuzione è accaduto che fossero spediti anche da altre autorità.

Indi la conseguenza che talvolta si spedissero con molta precipitazione. Questa è la ragione per la quale io domando che la sola Giunta abbia il diritto di spedire il mandato d’arresto contro coloro che non hanno potuto presentare discolpe sufficienti a provare la loro innocenza.

PERUZZI, ministro per l'interno. Domando la parola.

Vi è una differenza sostanziale tra l’emendamento Conforti e quello della Commissione accettato dal Ministero, nonché coll’emendamento Chiaves, che non ho parimente difficoltà di accettare, pel quale si richiede il preavviso della Giunta.

L’emendamento Conforti prima di tutto parla dell’arresto preventivo implicitamente e quasi di straforo. Poi parla di confermare l’arresto, mentre non si tratta punto di questo; l’arresto non è una pena, può esser solo una necessità; deve essere pronunciato sol tanto dalla Giunta, su questo siamo tutti d’accordo, ed infine: «Dietro un parere sommario di questa Giunta,» ed anche questo è evidente, perché se la Giunta deve dire di sì o di no quando si tratta di pronunciare un arresto, è evidente che questo si o no lo deve dire con un parere sommario. Di più questo arresto non deve essere altro che transitorio, e non deve essere se non che per quell’individuo che sarebbe pericoloso di lasciar libero. Il confermare l’arresto snaturerebbe l’indole di questa disposizione.

Dell’arresto se ne deve far a meno tutte le volte che si può, ed il domicilio coatto deve durare fino a quando è ordinato, e quando non c’è altra legge. Di questo domicilio coatto, signori, non ci facciamo un’idea di versa da quello che è effettivamente; imperocché il domicilio coatto è unicamente la designazione di un luogo, dove, salvo quelle regole a cui sono soggetti i sorvegliati dalla polizia, può l’individuo stare libera mente. Per verità vi sono dei domiciliati coatti a Milano, a Livorno, a Novara, ed in altre città e luoghi. I domiciliati coatti sono liberi, salvo quelle soggezioni che la polizia crede di dover dare, affinché non violino le prescrizioni stabilite al loro riguardo.

Quindi pregherei l’onorevole Conforti a ritirare, se crede, il suo emendamento; in caso diverso pregherei la Camera a non accettarlo sostituendo il progetto della Commissione o quello dell’onorevole Chiaves. In quanto a me sono indifferente.

PRESIDENTE. Ritiene dunque la Camera che l'onorevole Conforti avrebbe così modificato il suo emendamento: «La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunciati, ed ove le discolpe non sieno sufficienti, potrà ordinarne l’arresto, dove non sia stato preventivamente ordinato.» La Commissione vorrebbe dire il suo parere in proposito?

CASTAGNO!,A, relatore. La Commissione si unisce alle osservazioni del ministro.

PRESIDENTE. Domando se questo emendamento sia appoggiato.

(È appoggiato).

Lo metto ai voti.

(Non è approvato).

Verrebbe ora un emendamento del deputato Melchiorre del seguente tenore: «Il Governo avrà facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di due anni un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette secondo la designazione del Codice penale, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli, dietro parere conforme di una Giunta composta del prefetto, del presidente del tribunale di circondario del capoluogo della provincia, del regio procuratore presso il tribunale medesimo e di due consiglieri provinciali, scelti dal Consiglio della provincia, od in diletto dalla deputazione provinciale e dal maggiore della Guardia nazionale, o da chi lo rimpiazza legalmente in tali funzioni nella suddetta città capoluogo.

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati e potrà ordinarne preventivamente l’arresto. In caso di parità, sarà sempre prevalente il parere favorevole all’indiziato e denunziato.»

Vuol parlare?

MELCHIORRE. La Camera è stanca...

Voci. Parli!

MELCHIORRE. Se la Camera m’invita per complimento a parlare, io credo che non possa profittarne, perché ella è stanca delle lunghe ed animate disputazioni che ebbero luogo, quindi non vorrei che la sua cortesia si traducesse in una dispiacente e penosa discussione...

PRESIDENTE. Parli; la Camera oggi è deliberata, parmi, di finire questa legge.

MELCHIORRE. Apprendo dall’onorevole presidente che la Camera abbia preso impegno di compiere in questa seduta... (Rumori. )

Varie voci. Ma parli! parli!

MELCHIORRE. Dico dunque che io, addottrinato in questo punto di ciò che sino a questo momento ho ignorato, mi permetto di dire brevi parole intorno al mio emendamento, perché la Camera apprezzi le osservazioni che mi spinsero a farlo, non già perché io sia persuaso che nel momento la mia voce possa giungere gradita... (Rumori d'impazienza. )

PRESIDENTE. Lo prego di parlare sul merito, altrimenti non termineremo mai.

Una voce. Venga al sodo!

MELCHIORRE. Ma io sviluppo i miei argomenti... (Rumori. )

Anche senza essere avvertito dall'onorevole che mi domandava poco fa di venire al sodo, sono abituato ad essere breve. (Ilarità prolungata)

Il mio emendamento adunque comprende tre parti. La prima riguarda la composizione della Giunta la quale è incaricata, secondo lo schema di legge, di dare le disposizioni pel domicilio coatto; la seconda parte riguarda l’introduzione di un nuovo elemento in questa Giunta; la terza ha per iscopo di far sì che quante volte i componenti questa Giunta fossero nel numero di sei, la parità fosse sempre risolta a favore dell’imputato. La prima parte versa sul modo come dovrebbero essere scelti i consiglieri provinciali che debbono far parte della Giunta o Commissione d’esame preventivo. E siccome il mio emendamento, in. questa parte che è diretta a far sì che i consiglieri provinciali fossero eletti dal Consiglio della provincia o della deputazione provinciale, quando il Consiglio stesso non fosse in seduta ordinaria o straordinaria, è stato già respinto, attesoché faceva già parte dell'emendamento Mancini, però mi penso che sia inutile ogni altra parola per raccomandarlo all’attenzione della Camera.

La seconda parte riflette l’introduzione in questa Commissione del maggiore della guardia nazionale o di ehi lo rimpiazza legalmente nelle sue funzioni nel capoluogo della provincia. Ma poiché io son sicuro che anche questo emendamento sarà avversato dall’onorevole Commissione e dal Ministero, ilo ritiro, e non istarò ad intrattenere ulteriormente su di esso la Camera.

Infine io che sono uso essere sodo e che spesse volte mi pregio di essere logico, rinuncio ancora alla terza parte del mio emendamento, vedendo bene come sia questo un momento in cui ogni eloquenza, ogni facondia farebbe cattiva prova, per non essere la Camera disposta a continuare la sua benevola attenzione sopra siffatto tema.

PRESIDENTE. Dunque lo ritira.

Rimarrebbe l’emendamento Chiaves così concepito:

«All’arresto delle persone contemplate dall’articolo 9, dovrà sempre precedere un parere sommario della Giunta.»

L’onorevole Chiaves ha la parola per isvilupparlo.

CHIAVES. Io avevo pensato in sulle prime, quando udii la Commissione ad aggiungere la parola sola all’alinea di questo articolo, per cui si veniva a dire che alla Giunta sola spettava ordinare l’arresto preventivo, aveva pensato, dico, se per avventura non occorreva che ritirassi il mio emendamento. Ma ho poi veduto che la parola sóla proposta dalla Commissione produce forse un male maggiore in questo senso che sembrerebbe detrarre dalla giurisdizione ordinaria quelle persone le quali sono contemplate nello stesso articolo 9, e le quali hanno altresì che fare col Codice penale. Non vorrei che, intendendo noi provvedere meglio alla sicurezza pubblica in quei paesi venissimo invece a metterla in maggiori pericoli. Quindi io non mi associo alla dizione della Commissione e mantengo il mio emendamento. Poche parole mi basteranno per isviìupparlo.

Questo mio emendamento non fa che formolare ciò che già si praticò nelle provincie meridionali da parecchi prefetti i quali sempre fecero precedere un sommario parere della Giunta all’ordine di arresto preventivo.

Essi probabilmente furono colpiti da quest’idea che il poter essere ognuno arrestato preventivamente, senza qualsiasi formalità d’informazioni, veniva ad abolire la libertà individuale, e ogni uomo intemerato poteva essere soggetto ad arresto preventivo. Trattandosi invece del caso previsto dai mio emendamento, siamo solo in tema di restrizione della libertà individuale; e nella restrizione della libertà individuale, quando un’informazione deve precedere, è sempre questa una guarentigia per colui il quale non ha nulla a rimproverarsi.

Io quindi, avuto riguardo a ciò che già si è utilmente praticato ed alle dichiarazioni stesse del signor ministro dell’interno e di altri oratori, mantengo il mio emendamento, e prego la Camera a volerlo accettare.

PERUZZI, ministro dell'interno. Io ho già dichiarato che era dispostissimo ad accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Chiaves, e mi rimetto per questo alla Commissione.

CASTAGNOLA, relatore. Io credo veramente che l’inconveniente cui accennava l’onorevole Chiaves non possa sussistere, perché quando si dice che la Commissiono sola può ordinare preventivamente l’arresto, s’intende all’effetto di cui nell’articolo 9.

CHIAVES. Gli oziosi ed i vagabondi!

CASTAGNOLA, relatore. Va benissimo, gli oziosi e vagabondi; ma per farli comparire personalmente davanti alla Giunta e quindi inviarli a domicilio coatto.

Con ciò non s’ intende che siano sospese menomamente quelle attribuzioni che competono alla polizia giudiziaria, per cui potrà continuare ad arrestare le persone sospette e deferirle ai tribunali.

Questo io dico unicamente a difesa della proposta della Commissione; ma siccome l'emendamento proposto dall’onorevole Chiaves per altra via mena direttamente alla stessa conclusione, non vi è così motivo per insistere a dimostrare la convenienza di adottare piuttosto l’una che l’altra,

MANCINI. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. MANCINI. Io mi permetto di osservare che l’emendamento dell’onorevole Chiaves, nei termini in cui è concepito, non può menare alle identiche conseguenze che la proposta della Commissione si prefiggeva.

L’onorevole relatore fece avvertire che, secondo il sistema della Commissione, l’autorità di ordinare l’arresto appartiene alla Giunta. Se è così, la Giunta non può dare un parere. Non è il ministro dell’interno, il prefetto, un’autorità qualsiasi dì pubblica sicurezza che ordini l’arresto sopra parere della Giunta; è unicamente una deliberazione regolare della Giunta che lo può ordinare, il che costituisce almeno un’ombra di garanzia.

L’onorevole Chiaves mi dirà che anche nell’intendimento suo il parere della Giunta, che deve necessariamente precedere, debb’essere un parere nel senso di potersi procedere all’arresto. Suppongo che così egli pensi, ma nei precisi termini del suo emendamento ciò non è scritto; cosicché una volta che siasi chiesto ed ottenuto un parere sommario della Giunta, in qualunque senso questo parere siasi emesso, il ministro o il prefetto sarebbero licenziati dalla legge ad ordinare l’arresto.

Questo, ripeto, non credo che sia nell’intenzione dell’onorevole Chiaves, e pure risulterebbe dalla formola del suo emendamento.

Però, sono d’avviso che la proposta dell’onorevole Chiaves avrebbe il vantaggio di obbligare la Giunta a motivare la sua deliberazione.

Quindi io proporrei un sott’emendamento, il quale sarebbe di mantenere la proposta della Commissione con questa semplice aggiunta: «La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati, e potrà ordinarne preventivamente l’arresto con deliberazione motivata.»

Del resto, se si volesse trasferire al potere esecutivo la facoltà di ordinare gli arresti, riducendo l’attribuzione delle Giunte ad emettere in proposito pareri semplicemente consultivi, in tal caso chiederei che venisse respinta siffatta proposta.

PRESIDENTE. Il deputato Chiaves accetta egli questo sottoemendamento proposto dal deputato Mancini?

CHIAVES. Veramente io non posso accettare il sottoemendamento dell’onorevole Mancini, perché nelle idee che hanno motivato questa proposta al mio emendamento non ci entra quella di far precedere all’arresto una vera istruzione, la quale consiste nell’audizione personale del denunciato e nella esposizione della sua discolpa.

Il sommario parere di cui è parola tende solo ad impedire che le informazioni comincino solo ad essere prese dopo l’arresto; mentre d’altro canto non vorrei un’istruzione preventiva tale che mettesse il colpevole in grado di sottrarsi troppo facilmente all’arresto.

È ben inteso poi che il parere in discorso consistendo piuttosto nella deliberazione stessa della Giunta che deve ordinare l’arresto, io non poteva altrimenti. proporlo che in questo senso, cioè di un parere sommario che conchiudesse per lo arresto del denunziato.

PRESIDENTE. E il signor relatore accetta la proposta Mancini?

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione aveva dichiarato che veramente non si sarebbe opposta alla proposta Chiaves, quantunque la credesse per avventura soverchia, ma, rileggendo la proposta, trovo che essa è cosi concepita:

«Si sostituisca il seguente alinea all’alinea dell’articolo 9 della Commissione.»

Ma allora in sostanza si viene a togliere una guarenzia che venne proposta dal Ministero e che fu accettata dalla Commissione, ed alla quale essa non crede conveniente di rinunciare, e che consiste in questo che J si sentano personalmente % denunziati.

Quindi se l’onorevole Chiaves acconsente ad inserire nel suo emendamento questa guarentigia del sentire personalmente i denunciati, la Commissione lo accetta; nel caso contrario invece lo respinge, perché non crede conveniente, dopo tutto quello che si è detto in questa lunghissima discussione, di nuove garanzie da aggiungersi, di fare poi così improvvisamente sparire questa che è la più importante.

PRESIDENTE. Vi sono dunque tre proposte: quella dell’onorevole Chiaves, quella della Commissione e quella dell’onorevole Mancini, il quale accetterebbe la proposta della Commissione, aggiungendovi soltanto con deliberazione motivata.

Domando se l’emendamento del deputato Chiaves è appoggiato.

CHIAVES. Scusi, sono stato interpellato, vorrei dare una spiegazione.

Io forse mi sono male espresso nella mia proposta dicendo all’alinea dell’articolo 9; io doveva dire alle ultime parole dell’articolo 9, poiché necessariamente non ho voluto togliere con ciò che la Giunta dovesse prendere le informazioni e sentire personalmente ì denunziati dopo l’arresto.

PERUZZI, ministro per l'interno. Se si volessero mettere d’accordo tutti, ed anche l’onorevole Mancini, mi pare che si potrebbe formolare l’ultimo alinea in questi termini:

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire personalmente i denunziati, e potrà sola ordinarne preventivamente l’arresto con parere sommario,» come dice l’onorevole Chiaves.

CASTAGNOLA, relatore. Dopo aver emesso un parere sommario.

MANCINI. Invece della parola parere, sembrami doversi adoperare le altre deliberazione motivata. L’autorità che ordina l’arresto, delibera; si dà parere consultivo ad altre autorità, non a sé stesse.

TECCHIO. «Con deliberazione sommaria.»

PRESIDENTE. La Commissione persiste nella parola sola?

CASTAGNOLA, relatore. Siamo d’accordo col ministro di accettare la sua dicitura.

PRESIDENTE. Quanto è dire la seguente: «La Giunta dovrà esaminare le informazioni opportune, sentire personalmente i denunciati, e potrà sola ordinarne preventivamente l’arresto mediante deliberazione sommaria.»

Allora, se tutti sono d’accordo, metto ai voti questa seconda parte.

Interrogo però l’onorevole D’Ondes-Reggio se acconsente che si ponga ai voti cotesta parte dell’articolo 9; s’egli non la crede pregiudicata, la sua proposta verrebbe poi dopo, ossia come emendamento aggiuntivo.

D’ONDES-REGGIO. Senza dubbio, si discuterà dopo. Legga però l’emendamento.

PRESIDENTE. Dunque si può mettere ai voti questa seconda parte.

D’ONDES-REGGIO. Signor presidente, siccome si tratta di cosa importante, io la pregherei di leggere l'emendamento.

PRESIDENTE. La Commissiono, il ministro e i proponenti sarebbero d’accordo che la seconda parte dell’articolo 9 dicesse così:

«La Giunta dovrà esaminare le informazioni opportune, sentire personalmente i denunciati, e potrà sola ordinarne preventivamente l’arresto mediante deliberazione sommariamente motivata.

Va bene?

Voci. Sì! sì!

D’ONDES-REGGIO. Si legga il mio emendamento.

CASTAGNOLA, relatore. Prima obesi entri nell’emendamento D’Ondes-Reggio, converrebbe forse terminare questo incidente, ed io dirò in proposito, se l’onorevole D’Ondes-Reggio il permette, una sola parola.

Vi è ancora un po’ di divergenza circa la parola sola, se cioè la medesima si debba inserire o lasciare.

Io credo che essa non guasti ed anzi dia una guarentigia; però dichiaro che sono pronto ad abbandonarla, ove il signor ministro dell’interno ci dichiari qui solennemente che nessuno fuorché la Giunta potrà ordinare gli arresti per mandare qualcheduno 8, 1 domicilio; coatto.

In questo caso, prendendo atto della dichiarazione, parmi che tutto sarebbe finito.

PERUZZI, ministro per l’interno. Io preferisco che la; parola sola si metta nella legge restando inteso che! questo è solamente per gli effetti del domicilio coatto

TECCHIO, Quando si aggiunga la frase anche per gli effetti del domicilio coatto potrà stare nell’articolo! la voce sola là dove è posta dalla Commissione. Ma se non si aggiungesse quella frase, evidentemente la voce sola toglierebbe ai giudici istruttori e ad ogni altra autorità giudiziaria il diritto di ordinare! l’arresto delle persone indicate in questo articolo, e specialmente dei camorristi, anche nei casi, in cui secondo le leggi ordinarie lo potrebbero, ed anzi lo dovrebbero ordinare.

Dunque o si tolga la voce sola oppure vi si aggiungano le parole per gli effetti di quest'articolo.

(Benissimo!)

PRESIDENTE. Invito adunque la Commissione a dichiarare la sua intenzione.

CASTAGNOLA, relatore. La Commissione accetta l’emendamento Tecchio.

PRESIDENTE. Ma esso è un’alternativa; quale delle due accetta la Commissione?:

CASTAGNOLA, relatore. In questa rapidità di proposte io non posso sentir sempre il parere della Commissione; quindi francamente esterno la mia sola opinione.

Io tengo a che si scriva nella legge la parola sola, perché la credo un’opportuna guarentigia. Andiamo da cinque o sei giorni dicendo che daremo delle garanzie, ed io credo che dobbiamo volerle efficacemente.

Ma allora, dice l’onorevole Tecchio, se volete ottenere questo scopo, aggiungete queste altre parole: all'effetto di cui nel presente articolo.

Io potrei forse riguardarle come non necessarie, ma siccome non è la prima volta che se ne accettano di soverchio per meglio dimostrare lo scopo, non sono alieno dall’accettarle.

Sento che i miei colleghi pure le accettano. (Sì! Sì!)

TECCHIO. Si dica così:

«... E potrà sola, per gli effetti di quest’articolo, ordinarne preventivamente l’arresto, mediante deliberazione sommaria.»

PRESIDENTE. Interrogo il Ministero e la Commissione se intendono che si dica: deliberazione sommaria ovvero: sommariamente deliberata.

PERUZZI, ministro per l'interno. Si dica: deliberazione sommaria.

Voci dal banco della Commissione. Sì! sì! (Vivi segni d'impazienza)

SINEO. Domando la parola. (Rumori)

Mi si permetta una sola osservazione. Il primo dovere del legislatore è di usare un linguaggio che sia inteso da tutti. Io domando quale sia il senso di queste parole: deliberazione sommaria. Sarà essa motivata o no? È questa l’interrogazione alla quale dobbiamo rispondere adeguatamente.

Voci. Sì, sarà motivata.

SINEO. Se la volete motivata, ditelo chiaramente. Quando voi scrivete nella legge: deliberazione sommaria, non si sa se la vogliate motivata o non motivata.

Io insisto perché si dichiari che la deliberazione debba essere motivata.

Propongo quindi che alle parole: deliberazione sommaria, si sostituiscano le seguenti: deliberazione motivata sommariamente.

PRESIDENTE. Pare che l’osservazione stata fatta dall’onorevole Sineo sia giusta; domando quindi alla Commissione se l’accetta.

CASTAGNOLA, relatore. Sì, l’accetta.

PRESIDENTE. Resta ora l’emendamento D’Ondes-Reggio.

D’ONDES-REGGIO. Il mio emendamento non riguarda l’arresto preventivo, riguarda il giudicio definitivo che porta la Giunta, ed anche ove si proceda a questo giudicio definitivo in modo sommario, ondeché col votare quest’emendamento non viene ad essere escluso il mio, col quale chiedo che la Giunta dovrà sentire gl’imputati, i difensori da loro scelti ed i testimoni da loro indicati, in guisa che si potrà dire al più che in quest’emendamento è compreso che si debba sentire gl’imputati, ma non certamente quei difensori e quei testimoni: quindi il mio emendamento resta, e versa sopra un’importantissima materia quale è appunto quella della difesa degli imputati prima di essere condannati.

PRESIDENTE. Allora quest’emendamento verrà dopo. Metto dunque ai voti l’ultima parte dell’articolo 9 nei seguenti termini:

«La Giunta dovrà assumere le informazioni opportune, sentire i denunciati, e potrà sola ordinarne preventivamente l’arresto per gli effetti di quest’articolo, mediante deliberazione sommariamente motivata.»

(È approvata).

Verrebbe ora l’aggiunta D’Ondes così espressa:

«La Giunta dovrà sentire gli imputati, i difensori da loro scelti, ed i testimoni da loro indicati.»

D’ONDES-REGGIO. Signori, naturalmente questa è una materia che io debbo svolgere se non lungamente, ma con una certa estensione; io sono sempre stato obbediente alla Camera, non ho ricusato mai di parlare. La pregherei adunque di concedermi di svolgere questo mio emendamento nella seduta di domani.

Io credo che dovrò impiegare almeno una mezz’ora di tempo: naturalmente il guardasigilli dovrà rispondere, il relatore della Commissione pure; si tratta di una materia importantissima, quindi prego la Camera di rimandarne la discussione a domani.

Voci. Parli!

Altre voci. A domani! a domani!

D’ONDES-REGGIO. Parlerò domani.

La seduta è levata alle ore 5 3/4.

Ordine del giorno per la tornata di domani:

1° Seguito della discussione sul progetto di legge per la repressione del brigantaggio;

2° Interpellanza del deputato Bellazzi al ministro guardasigilli intorno a fatti riguardanti il vicario capitolare di Milano.

Discussione dei progetti di legge:

3° Anticipazione di un milione di lire da erogarsi in opere stradali nella provincia di Basilicata;

4° Pensioni degli impiegati civili;

5° Modificazioni al Codice penale militare;

6° Perequazione dell’imposta fondiaria.



Interpellanze sui fatti di Sicilia D'Ondes-Reggio



















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