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Il Mezzogiorno come colonia di sfruttamento: 

dal Muos al Tap passando per la “terra dei fuochi”

MUOS, TAP, biocidio sono nomi che, attualmente, rimettono il luce il ruolo di colonia da sfruttamento e di subordinazione che il Mezzogiorno ha svolto nell’ultimo secolo nei confronti dei Paesi più sviluppati del blocco capitalistico occidentale.

di Antonio Aventaggiato · 17 dicembre 2013

MUOS, TAP, biocidio sono nomi che, attualmente, rimettono il luce il ruolo di colonia da sfruttamento e di subordinazione che il Mezzogiorno ha svolto nell’ultimo secolo nei confronti dei Paesi più sviluppati del blocco capitalistico occidentale. Le regioni del Mezzogiorno italiano, come tutte le comunità a cui è imposto un ruolo subalterno nello scenario geopolitico internazionale, hanno dovuto e devono ancora privarsi, a favore di altri, di materie prime e risorse fondamentali per il proprio sviluppo: una tra queste è, ancora, il territorio. Il territorio del Mezzogiorno è continuamente oggetto delle mire espansionistiche delle potenze occidentali e del grande capitale che, in queste aree, ha la possibilità di esercitare la sua fortissima capacità di predazione per realizzare giganteschi profitti.

L’imminente realizzazione del MUOS a Niscemi, in Sicilia, rappresenta l’ennesima aggressione, garantita e protetta dalla classe dirigente italiana, effettuata dall’imperialismo statunitense nel cuore del Mediterraneo. Il MUOS è un sistema di telecomunicazioni satellitari e svolgerà un ruolo fondamentale nel rafforzamento dell’egemonia militare degli Stati Uniti d’America in Europa (e, di conseguenza, nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente). La Sicilia costituirà così uno snodo strategico per le politiche di spionaggio, di sorveglianza e di reazione a possibili attacchi. All’attuazione del progetto parteciperanno le due multinazionali statunitensi della guerra: Lockheed Martin e Northrop Grumman. In effetti l’Italia è, dopo la Germania, lo stato europeo dove più forte è la presenza militare nordamericana. Il Mezzogiorno, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, ha pagato un tributo carissimo all’espansione degli organismi USA e NATO. Nel Mezzogiorno, nel suo complesso, sono localizzate già circa cinquanta posizioni strategiche per la politica estera del blocco occidentale. Non a caso la base di Sigonella, in Sicilia, ha assunto, nelle ultime incursioni NATO nel Mediterraneo (come nel caso della Libia), un ruolo fondamentale.

A Napoli, invece, è localizzato il Comando delle forze aeree Usa per il Mediterraneo. Il progetto TAP e le vicende della cosiddetta Terra dei fuochi riaprono invece ferite lasciate in eredità dagli anni della Cassa del Mezzogiorno, gli anni della calata dall’alto del grande capitale, dell’industrializzazione senza sviluppo e delle cattedrali nel deserto (in riferimento ai giganteschi complessi industriali di Taranto, Bagnoli, Gela). TAP è l’abbreviazione di Trans-Adriatic Pipeline: il progetto, dal costo di realizzazione di circa 23 miliardi di euro, si propone la costruzione di un gasdotto che, dall’Azerbaigian, rifornisca l’Europa di metano.

L’approdo del gasdotto, che dopo il passaggio attraverso la Grecia e l’Albania giungerà in Italia, è previsto sulla costa orientale del Salento, territorio a forte vocazione agricola e turistica. Del progetto sono azioniste grandi multinazionali del settore energetico (la svedese Statoil, l’inglese British Petroleum, la francese Total), fortemente interessate a ridimensionare l’immenso potere contrattuale esercitato, a livello internazionale nel settore energetico, dalla Russia. E ritorna, quindi, sul Mezzogiorno, ad aleggiare lo spettro, già incontrato, del grande capitale che si abbatte sul territorio eludendo le criticità espresse dalle comunità locali, devasta e impone le condizioni per la creazione di profitti altissimi. Il Mezzogiorno sta diventando un serbatoio di gas per l’Europa del Nord, rimettendoci sia per la  contaminazione del proprio territorio sia per via dell’inquinamento; ma, soprattutto, rischia, ancora una volta, di cadere nella trappola dello sviluppo indotto che, in epoche recenti, rafforzò soltanto la situazione preesistente di sottosviluppo. Logica, quello dello sviluppo importato, che ha già fallito nel secondo dopoguerra quando le logiche liberiste, per sfuggire alla saturazione industriale dell’Europa centrale e del Triangolo Genova-Milano-Torino, localizzarono, proprio nel Mezzogiorno, complessi industriali ad alta intensità di capitale, a minima intensità di occupazione e  ad elevata capacità inquinante (non a caso Tullio D’Aponte parlò di colonizzazione per inquinamento).

Anche la cosiddetta Terra dei fuochi, d’altra parte, sintetizza perfettamente questa condizione di debolezza politica delle regioni del Mezzogiorno, costrette oggi, come quaranta o cinquanta anni fa, a sottostare alle logiche del grande capitalismo che, pur di non provvedere agli alti costi derivanti dalla produzione del proprio profitto, preferisce smaltire i propri rifiuti industriali sotterrandoli nelle terre espropriate alle comunità locali. Risulta, quindi, che i fattori responsabili della condizione di sottosviluppo del Mezzogiorno non siano congiunturali, ma, ancora oggi, strutturali e profondamente legati alle logiche del capitalismo.









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