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GIUSEPPE PITRÈ

USI E COSTUMI CREDENZE E PREGIUDIZI

DEL POPOLO SICILIANO

VOLUME SECONDO

G. BARBERA EDITORE

FIRENZE

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

Luglio 2016

I. La Mafia.

S’è scritto tanto sulla Mafia da quasi ventanni in qua, e tante e tante se ne son dette intorno alla sua origine, che se tutto si volesse mettere insieme, ci sarebbe da fare la più curiosa collezione di opuscoli e la più amena raccolta di pensieri: opuscoli e pensieri che dimostrerebbero come la piena conoscenza dell’argomento non sia la prima dote di certi politicanti e statisti d’oggi dì.

Mafia è voce francese, inglese, araba e che so io; nacque o fu importata per significare una pianta palermitana o della Sicilia occidentale, che può chiamarsi camorra, malandrineria, brigantaggio, come meglio piace.

E qui descrizioni minute di questa pianta, dissertazioni etnografiche sulla sua natura e sul suo terreno propizio, notizie particolareggiate degli uomini che la coltivano, accenni de’ misteriosi loro statuti e via discorrendo.

Un prefetto la disse un’associazione organata e potente, con capi ed adepti come la massoneria; altri la crede una specie di partito politico anonimo, autorevole; altri definisce i mafiosi come oziosi, i quali non avendo mestiere di sorta, intendono vivere ed arricchire col delitto .

Abbarbagliato da tanta luce di scienza, io lascio le descrizioni più o meno dottrinali (e dovrei dire cervellotiche) e mi attengo al1 modesto mio compito di raccoglitore illustrando i fatti da me osservati e notati nelle ricerche di quest’argomento. Se ne risulta una mafia diversa da quella che s’è data ad intendere o s’è creata da giornalisti e da pubblicisti d’occasione , la colpa non è mia.

La voce mafia (con una, e non già con due effe, come si scrive fuori Sicilia) è tutt’altro che nuova e recente: e se nessun vocabolarista anteriore al Traina — il primo e forse il solo che la registri  — la riferisce, ciò non può autorizzare nessuno a ritenerla posteriore al 1860, come molti han presunto. 1 nostri vocabolari, formati in gran parte su’ poeti siciliani, non danno se non la più piccola parte della lingua popolare; e basta dire che parecchie migliaia di voci, di sinonimi e di frasi e modi proverbiali della presente opera nessuno di essi le riporta. Se mafia derivi o abbia parentela col toscano maffia miseria, o col francese maufe o meffier, non mi preme di vedere qui. Io son pago di affermare la esistenza della nostra voce nel primo sessantennio di questo secolo in un rione di Palermo, il Borgo, che fino a vent’anni addietro fiacea parte per se stesso, e si reputava, qual’era topograficamente, diviso dalla città . E al Borgo la voce mafia coi suoi derivati valse e vale sempre bellezza, graziosità, perfezione, eccellenza nel suo genere. Una ragazza bellina, che apparisca a noi cosciente di esser tale, che sia ben assettata (zizza), e nell’insieme abbia un non so che di superiore e di elevato, ha della mafia, ed è mafiusa, mafiusedda. Una casetta di popolani ben messa, pulita, ordinata, e che piaccia, è una casa mafiuscdda, ammafiata, come e anche ’nticchiuta. Un oggetto di uso domestico, di qualità così buona che s’imponga alla vista, è mafiusu: e quante volte non abbiami tutti sentito gridare per le vie frutta, stoviglie mafiusi, e perfino le scope: Haju scupi d’a mafia! Haju chiddi mafiosi veru!...

All’idea di bellezza la voce mafia unisce quella di superiorità e di valentia nel miglior significato della parola e, discorrendo di uomo, qualche cosa di più: coscienza d’esser uomo, sicurtà d’animo e, in eccesso di questa, baldezza, ma non mai braveria in cattivo senso, non mai arroganza, non mai tracotanza.

L’uomo di mafia o mafiusu inteso in questo senso naturale e proprio non dovrebbe metter paura a nessuno, perchè pochi quanto lui sono creanzati e rispettosi.

Ma disgraziatamente dopo il 1860 le cose hanno mutato aspetto, e la voce mafiusu per molti non ha più il significato originario e primitivo.

L’anno 1863 un artista drammatico palermitano, Giuseppe Rizzotto, in compagnia d’un signor Mosca, scrisse e cominciò a rappresentare egli stesso alcune scene della vita delle Grandi Prigioni di Palermo, alle quali diè il titolo: I Mafiusi di la Vicaria. Quelle scene ritraevano con vivezza di caratteri e di tinte le abitudini, i costumi, il parlare dei camorristi di Palermo, e piacquero tanto che ben cinquantaquattro volte furono recitate sui nostri teatri. Le componevano allora soli due atti: ma il Rizzotto, allargando il1 concetto, ve ne aggiunse un primo ed un quarto come per protasi ed epilogo, e le intitolò senz’altro: I Mafiusi. Poche commedie ebbero tanta fortuna quanta ne trovò questa in Italia, dove nel corso di ventitré anni conta più di duemila rappresentazioni date in molti teatri delle province meridionali, oltre a trentaquattro repliche in Roma (1884), ad una versione napoléntana e ad un’altra italiana in tre atti del Rizzotto stesso . Ora il nome e le opere di questi nuovi mafiusi son diventati popolarissimi e noti a qualunque classe di persone fino ai giornalisti, agli uomini politici, al governo.

Entrata per tal modo nella lingua parlata d’Italia, la voce mafia sta a dinotare uno stato di cose che avea altro nome (vi fu chi disse che non avea nome). Esso divenne sinonimo di brigantaggio, di camorra, di malandrinaggio, senza esser nessuna delle tre cose o stato Idi cose, poiché il brigantaggio è una lotta aperta con le leggi sociali, la camorra un guadagno illecito sulle transazioni economiche, il malandrinaggio è speciale di gente volgare e comunissima, rotta al vizio e che agisce «opra gente di poca levatura .

Ma se non è nessuna di queste tre cose, con le quali comunemente si identifica, qualcosa dev’essere. Che è mai dunque?

Che cosa sia, io non so dire; perchè nel significato che questa parola è venuta oramai a prendere nel linguaggio officiale d’Italia è quasi impossibile il definirla. Si metta insieme e si confonda un po’ di sicurtà di animo, di baldanza, di braveria, di valentia, di prepotenza e si avrà qualche cosa che arieggia la mafia, senza però costituirla.

La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti. Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino; e se nella nuova fortuna toccata alla parola la qualità di mafioso è stata applicata al ladro ed al malandrino, ciò è perchè il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragionare sul valore della parola, né s’è curato di sapere che nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafioso è semplicemente un uomo coraggioso e valente, che non porta mosca sul naso; nel qual senso Tesser mafioso è necessario, anzi indispensabile. La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individuale, “unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto di interessi e di idee”; donde la insofferenza della superiorità e, peggio ancora, della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso, non ricorre alla Giustizia, non si rimette alla Legge; se lo facesse, darebbe prova di debolezza, e offenderebbe l’omertà, che ritiene schifiusu, o ’nfami chi per aver ragione si richiama al magistrato.

Egli sa farsi ragione personalmente da sé, e quando non ne ha la forza (nun si fida), lo fa col mezzo di altri de’ medesimi pensamenti, del medesimo sentire di lui.

Anche senza conoscere la persona di cui si serve ed a cui si affida, il solo muover degli occhi e delle labbra, mezza parola basta perchè egli si faccia intendere, e possa andar sicuro della riparazione dell'offesa o, per lo meno, della rivincita.

Chi non ha la forza o l’abilità di farsi giustizia da sé  e ricorre ad un altro o ad altri ne’ quali riconosce forza e coraggio (cci abbasta l’arma), il che si dice jarisi la cosca, è un vigliacco, un carugnuni; perchè, che cosa è un uomo senza forza e senza coraggio?

La mafia ha una gradazione secondo l’ambiente che la circonda, le persone tra le quali si sviluppa, i fatti pe’ quali si muove. La differenza deriva quasi sempre dalla condizione di cittadino o di campagnuolo, dallo stare in una provincia o in un’altra. Uscirei dai limiti di questo capitolo, se io volessi descrivere codeste differenze, le quali abbracciano molta parte della vita sociale e domestica ; e, dopo descrittele, mi troverei obbligato a studio più largo, esteso anche alla camorra cd al malandrinaggio, che io mi son proposto di lasciar da parte.

E’ chiaro, dopo tutto questo, il triste ufficio la cui è stata condannata la voce mafia; la quale era fino a ieri espressione d’una cosa buona e innocente, ed ora è obbligata a rappresentare cose cattive. Essa ha seguito la sorte delle voci italiane baratteria, tresca,, assassino, malandrino, brigante, le quali dal significare cose originariamente buone in sé, finirono col significarne altre nocive alla società.
























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