di Aldo Servidio (pag. 176)
Non si può ignorare, infatti, che lo stesso debutto dell’Unità coincise con uno scandalo di proporzioni che è poco definire colossali e che coinvolse - proprio per motivi di bassa cassa - tutti (ma proprio tutti) i “padri della Patria”.
Vale la pena ricordarne i passaggi essenziali, perché si tratta di un “affare” del valore potenziale di 1,5 miliardi di lire oro del tempo (qualche cosa come 150mila miliardi di oggi).
Come si è già ricordato, Ferdinando II qualche anno prima di morire (e subito dopo essere scampato all’attentato del sergente borbonico albanese/calabrese Agesilao Milano) aveva deciso la realizzazione di due grandi direttrici ferroviarie: la Brindisi/Pescara e la Reggio Calabria/Roma, di cui esistevano già alcune tratte.
Le risorse finanziarie (che - come si è già ricordato - furono molto utili al generale Garibaldi quando le trovò ben ordinate nei cassetti erariali del Banco di Napoli) erano già state reperite per la parte necessaria a coprire l’avvio dell’opera così come erano già stati realizzati i progetti esecutivi attraverso un concorso, a bando internazionale, vinto dalla famiglia di imprenditori francesi Talabot.
Sparite le risorse, erano restati i progetti pronti e le non meno pronte necessità sia tecniche che, soprattutto, sociali: un po’ di lavori pubblici sono sempre il miglior toccasana per assicurarsi il consenso della piazza.
Garibaldi non perdette tempo: ignorando i vincitori della gara internazionale (e forse dovendoli ignorare per evitare che questi reclamassero anche il rispetto delle condizioni finanziarie previste dal bando e che - per la parte aurea - non sarebbero state più rispettabili dal generale) e per favorire soluzioni “sicuramente nazionali”, convocò tal Pietro Augusto Adami, fresco della italianità acquisita dalla Toscana e banchiere di antica professione, e lo incaricò di costruire le Ferrovie del sud.
La convocazione, per vero, non fu spontanea ma fece seguito all’accredito - direttamente esibito dall’Adami - delle sue benemerenze come “finanziatore della spedizione dei Mille”.
Apriti, cielo! Un altro pretendente alla costruzione delle ferrovie meridionali come riferisce e documenta V. Di Dario in 'Oh mia Patria! Un inviato speciale nel primo anno d'Italia’, 1990 - aveva seguito la strada (di accredito) niente meno che di G. Mazzini per raggiungere lo scopo. Tal Adriano Lemmi (anch’egli banchiere e cognato dell’Adami) aveva finanziato la spedizione di Carlo Pisacane e, su questa base, si procacciò una raccomandazione di G. Mazzini che così motivò il suo intervento in favore del Lemmi: “...dove altri farebbe suo prò d'ogni frutto d’impresa, egli (il Lemmi, ndr) mira a fondare la Cassa (non è un refuso, la C è proprio maiuscola nell’originale) del partito e non la sua".
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