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Storia dei ladri nel Regno d'Italia fatti, cifre e documenti

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CAPO XI

Processo nella Camera dei deputati contro l’ex-ministro Bastogi e l'ex-onorevole Susani

Fra gli eroi che più si segnalarono nella fabbrica del regno d’Italia e Pietro Bastogi, banchiere di Livorno ed ora conte in grazia della moderna democrazia. Costui fin dal 1833 trovavasi ascritto alla Giovine Italia ed era cassiere del comitato, come raccontò Mazzini ne’ suoi Scritti editi ed inediti, Milano,1862, volume III, pag. 315.

Alli 27 di aprile del 1859, Bastogi con parecchi altri eroi levossi contro il granduca di Toscana, fu deputato a quella rivoluzionaria assemblea, dichiarò l’esautorazione di que’ Lorenesi che l‘aveano cotanto beneficato, ed entrò in grande amicizia col conte di Cavour. Poi, annessa la Toscana al Piemonte, venne in Torino, e il 22 di marzo del 1861 fu nominato ministro delle finanze, portafoglio che tenne fino alli 3 di marzo 1862.

Caduto dal ministero, Bastogi pensò a servire il regno d‘Italia nelle strade ferrate, e stabili la Società delle ferrovie meridionali. Scrisse una lettera alla Camera dei deputati che tra gli applausi venne letta in quell'augusto Consesso alli 31 di luglio del 1862.

E fra le altre belle cose il Bastogi in quella lettera diceva le seguenti bellissime parole, che possono leggersi negli Alti ufficiali della Camera, N” 819, pag. 3178.

«Mi parve potesse giovare alla dignità ed agli interessi del nuovo regno d’Italia che anche una compagnia d’italiani si accingesse al concorso.»

La compagnia capitanata dal Bastogi si accinse non solo al concorso, ma anche all’opera, s’ebbe l’appalto delle meridionali, e lavorò di gran cuore. Ma da li a poco si vennero a scoprire certe maccatelle che diedero luogo ad una proposta fatta dal deputato Antonio Mordini nella tornata del 21 maggio 1864 per ricercare se mai nella Camera, rispetto alle ferrovie meridionali ci fossero stati corrotti e corruttori, ladri e ladroni.

L’inchiesta fu fatta e rivelò tutto quello che fu detto nella Camera alli 21 di luglio dello stesso anno 1864 principalmente contro Bastogi e Susani. I quali cessarono da quel momento d’essere deputati, e il Susani morì a Parigi, e il Bastogi nel 1868 fu rieletto, ma avendo più giudizio de’ suoi elettori rifiutò di tornare alla Camera.

Parlando di deputati il verbo rubare non è parlamentare. Il verbo parlamentare è mangiare, e fu usato dallo stesso deputato Susani il 4 d’agosto del 1862 quando appunto discutevasi la patriottica proposta di Pietro Bastogi.

Il ministro dei lavori pubblici, ch’era a que’ di Agostino Depretis, non sapeasi adagiare a quella proposta e diceva: «Noi abbiamo in Italia molte compagnie incomplete e fra queste vi è la Compagnia Vittorio Emanuele, e dopo la separazione della Savoia bisogna provvedere. Il deputato Susani interrompeva il ministro esclamando: La mangeremo. Ed il ministro: «La mangerete? Bisognerà vedere se si lascierà mangiare. È facile il dire: la mangeremo.» (Atti ufficiali, N" 838, pag. 3254).

Non so che Bastogi e Susani mangiassero la compagnia Vittorio Emanuele, ma qualche cosa mangiarono certamente, come risultava dell’inchiesta della Camera. E non andrò a cercare se oltre a questi ci sieno stati altri mangiatori, ma egli è omai manifesto che ci furono moltissimi mangiati.

E per citarne un esempio, quando il Bastogi di cui parliamo fu ministro del regno d’Italia, con legge del 17 luglio 1861 si fe’ licenziare a contrarre un prestito. Questo prestito dovea ascendere a 500 milioni, ma la povera Italia si addosso un debito di 714 milioni ed 833,800 lire, mentre in realtà non s'incassarono che L. 497,078,96414. Duecento diciasette milioni vennero mangiati parte in interessi, parte in commissioni, e di 497 milioni gli Italiani debbono pagare ogni anno d’interessi L. 35,744,190.

In quel prestito i banchieri mangiarono L. 2,820,000 di premio, e si sono pagate per interessi e commissioni a diverse case bancarie per somme anticipate al tesoro L. 961,102 79. In somma 217 milioni svaporarono in un prestito solo, come può vedersi negli Atti ufficiali della Camera, N. 803, pag. 3132 e seg.

Non voglio mica dire che si rubasse il becco d’un quattrino; dininguardi! Tutto fu fatto legalmente, onestamente, italianissimamente; ma è innegabile che contratti simili non si conoscevano prima che l’Italia fosse fatta, e dominasse la nuova economia politica.

Ora, poiché il filo del discorso mi conduce a parlare d’un furto avvenuto nella Camera dei deputati, ne discorrerò qui sotto, quantunque debba fare un salto dal 1864 al 1868.


CAPO XII.

Di un furto di documenti negli archivi della Camera dei deputati

Nel regno subalpino prima che l’Italia fosse, rubavasi come abbiam visto, in chiesa, e in tribunale; ma non s’era osato, ch’io sappia, rubare nella Camera stessa dei deputati. Lascio stare certi piccoli furti di penne, di carta, d’inchiostro, d’acqua zuccherata, di stampati e di Gazzette ufficiali che poi si vendevano ai droghieri per avvolgervi il pepe. Lascio anche stare di quei ladroncelli che abusavano della franchigia postale accordata agli onorevoli del Parlamento per mandare col mezzo della posta perfino qualche paio di calzoni! Lascio stare finalmente dei biglietti di favore sulle strade ferrate accordati ai rappresentanti del popolo, e che poi servirono talora a donne che si vestivano da deputati. Parlo solo di furti grandi, solenni, memorandi, che potessero avere, come dicono i legali, tratto di conseguenza,  né mi ricordo che nel regno subalpino ne avvenisse mai uno simile a quello che avvenne nel regno italiano.

Io accenno al furto scandaloso de’ documenti relativi all’inchiesta delle strade ferrate Meridionali. Quando questa inchiesta fu compiuta nel 1864 non si disse in pubblico tutto quello che era, perché anche gli onorevoli sanno che non conviene dir talvolta intera la verità, ed a tempo ed a luogo ricorrono essi pure alle tornate segrete.

Bisogna però che negli archivi della Camera si trovasse qualche cosa di serio e di prezioso, giacché di tratto in tratto v’erano onorevoli che andavano a domandare le carte dell’inchiesta sulle meridionali. Ma chi le avea in custodia stava con occhi ben aperti, e notava coloro che richiedevano quelle carte, ed esigevane la restituzione. Di tal guisa per quattr‘anni restarono sempre al loro posto.

Ma il custode principale dovette andar via, e in sua assenza avvenne il giuoco. Un bel giorno si vanno a cercare le carte relative a Bastogi, Susani e compagnia, e non si trovano più. Erano scomparse!

Il dottore Giovanni Lanza presidente della Camera si mise le mani ne’ capelli, ed ordinò che si rendesse conto di que’ documenti. Ne fu chiesta notizia al deputato A, e non ne sapea nulla. Interrogossi il deputato B, e nulla. Così di mano in mano i principali deputati alla loro volta s’interpellarono, e tutti stringevansi nelle spalle.

Allora il Lanza disperato ricorse al Procuratore del Re e gli disse: negli archivi della Camera, archivi segretissimi, fu commesso un furto di carte importanti. Da tre giorni io cerco il ladro e non lo trovo. Venite a vedere se voi foste più fortunato e potreste rinvenirlo.

E il Procuratore del Re andò negli uffizi della Camera a fare un’inchiesta fiscale coi relativi verbali ed interrogatorii. Qualche deputato si scandalizzò di vedere i cercatori di ladri compiere il loro uffizio nell’aula legislativa, e ne mosse querela in pubblica tornata.

Ma il presidente Lanza rispose raccontando per filo e per segno l’avvenuto, e notificando alla nazione italiana il furto delle carte avvenuto negli archivi. A quella notizia tutti si tacquero, ed il silenzio dura ancora oggidì.

Siccome gli stracci van sempre all’aria, cosi qualche giornale gettò il sospetto su di un povero impiegato inferiore, ch’era innocentissimo, e l’innocenza sua non tardo a risplendere agli occhi de' giudici.

I quali omai sembra che disperino di rinvenire o le carte, o il ladrone. E me ne duole all’anima, giacché un simile furto da materia ai maligni di perfidi discorsi. Essi pretendono che in quelle carte ci fossero di gravi rivelazioni, se no, dicono, non sarebbero state sottratte con tant’arte e con tanto studio.

Non si sa ben indicare il momento in cui fu commesso il latrocinio; ma pare che avvenisse quando fu rieletto deputato Pietro Bastogi. Di questa rielezione si menù gran rumore nella Camera e fuori, e tutti erano persuasi che avrebbe suscitato le stesse dispute che avvennero nella tornata delli 21 luglio 1864. Qualche deputato nemico al Bastogi volle prepararsi a fargli opposizione, e desiderando di rileggerei documenti della famosa inchiesta, ne fe’ domanda, ed allora si riconobbe che non esistevano più.

lo confesso di non essere molto versato nelle storie parlamentari, ma non so che in altri parlamenti sia mai successo un caso di questa specie, laonde il regno d’Italia potrà avere il primato in simili furti.

Raccomando però al presidente della Camera di stare bene in sugli avvisi, se no un giorno o l’altr0 gli rubano il campanello, ed anche il cappello, ed allora come farà a governare le dispute, e in momenti di gran rumore, a coprirsi la testa e sospendere le sedute?

La Camera dei deputati di Firenze era sorta sotto una stella veramente ladra, e, come v’ho raccontato più sopra nel capo VI, pag. 71, quello stesso architetto che la disegnò e l'apparecchio venne scoperto come ladro, condannato alla prigione, ed oggidì vi sconta ancora una parte della sua pena.

Dico una parte, giacché ottenne il favore dell‘amnistia accordata con reale decreto dei 31 gennaio 1867. E chi sa che il sig. Carlo Falconieri, uscito presto dalla prigione, non venga incaricato di preparare pei deputati italiani l’aula del Campidoglio!



Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea




















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