Eleaml - Nuovi Eleatici




La rivoluzione napoletana del 1820-1821 tra "nazione napoletana" e "global liberalism" di Zenone di Elea

MANIFESTO

DELLAGIUNTA PROVVISORIA DI GOVERNO

AL PARLAMENTO NAZIONALE

PRESSO IL TRANI

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Come uomini rivestiti della pubblica autorità, e come depositari della confidenza del popolo, è nostro debito il rendere conto dell’uso, che abbiam fatto di quella, e del modo onde abbiamo a questa corrisposto. E quantunque potremmo crederci dispensati della necessità di farlo, per essere felicemente giunti a quel termine, ch’era la meta di tutti i voti, l’unione cioè della Rappresentanza Nazionale; pur tuttavolta non vogliamo, né farci scudo dell'evento, né fraudare la Nazione della notizia dello stato presente delle nostre cose. L’esposizione di questo dichiarirà molte delle operazioni da noi fatte ed additerà la continuazione e lo sviluppo di molte altre, che la Giunta non ha potuto perfezionare, tra per là brevità della sua durata, e per la. natura delle sue precarie, anzi momentanee funzioni.

Nell’adempiere a questo dovere noi ci troviamo purè nel caso di soddisfare alla pubblica curiosità. V’ha di molti, i quali risguardato avendo la Giunta come una provvisoria Rappresentanza del Popolo, hanno preteso, che dovessero esser publiche le nostre deliberazioni, e ci hanno accusato d’un misterioso segreto, quasiché avessimo voluto tenere le parti del Ministero, più che del popolo. Una tale accusa, figlia d’una impazienza, e d’un ardor giovanile non potea frastornare la Giunta da quel cammino, che le assegnava la prudenza ed il fine stesso della sua istituzione. Era questa malamente definita, allorché si qualificava di Rappresentanza Nazionale, dapodichè non solamente mancava del legittimo mandato, ma era altresì rivestita di facoltà non compatibili con quelle del Parlamento. La Giunta non era, se non una guarentia della promessa fatta dal Re. Doppia era la promessa che la Costituzione sarebbe stata mandata ad effetto: che nulla avrebbe il Governo operato contro al fine ed allo spirito della medesima. Adunque sì l’intento nostro, che l’interesse della Nazione richiedevano, che noi fossimo associati al Governo, e né conoscessimo l’andamento, onde impedire che quello deviasse dal novello suo sentiero. Or se avessimo voluto far publiche le nostre e sue operazioni se di queste avessimo voluto render giudice la moltitudine, invitandola alla discussione degli affari più gravi e dilicati dello Stato, avvertendo i nemici dell’ordine publico, o gl’invidiosi della nostra sorte politica, di tutti i pericoli che trono o a temere, o a prevedere se avessimo sparso un timore prematuro di tutti quegli avvenimenti, che la prudenza può prevenire, noi avremmo camminato a seconda delle agitazioni del popolo, o sia avremmo, o messo in pericolo il Governo, o almeno dato a questo il giusto motivo di riguardarci come gl’instrumenti dell’anarchia. La guarentia data dal Re era comune alla Nazione ed al Governo: assicurare a quella i diritti suoi a questo la dignità, la forza, ed il rispetto del popolo, erano i due sagri doveri della Giunta Provvisoria. A qualunque de’ due avesse ella mancato, avrebbe tradito la causa pubblica, e non godremmo ora della dolce soddisfazione di avere servato intatto, e rimesso nelle mani del Parlamento Nazionale quel deposito, che ricevemmo ne’ primi istanti del nostro politico cangiamento.

Ma noi stessi, testimonj della saviezza e della moderazione della Nazione, non possiamo né appropriarci la lode del felice andamento delle nostre cose,  né togliere alla generalità del popolo l’elogio d’aver voluto e saputo acquistare la libertà, e l’indipendenza civile. Noi soli possiamo dimostrare le asserzioni co’ documenti, e però la nostra testimonianza è il mezzo più efficace a smentire le voci calunniose, che l’invidia e l’interesse spargono contra di noi, e che penne venali fanno nel presente momento circolare per tutta Europa. Coloro i quali vogliono spiegare la nostra riforma politica per qualunque particolare avvenimento, scambiano manifestamente la causa per l’occasione. 11 di loro errore è volontario, e come tale, non meriterebbe l'onore della confutazione, se noi non avessimo l’interesse di arrestare i progressi, che può avere la seduzione.

Una fazione interna, o esterna che sia, può violentemente turbar la forma d’uno Stato, ma non soggiogare la volontà o l’opinione d’una nazione. Se il Governo non è sì forte per abbatterla, la Nazione istessa ripiglierà presto i suoi diritti, e restituirà le cose in quello stato, nel quale doveano per volontà generale essere conservate. Se gli argomenti non bastassero a dimostrare questa verità, la dimostrerebbe l'esperienza dell’Europa in generale, e di ciascuno de’ suoi Stati in particolare. Un partito per lungo tempo vincitore, ha rovesciato troni, e aiutato forme e leggi d’ogni Stato. I Governi, impotenti a resistergli, sono stati soccorsi da’ popoli che hanno rivendicato i loro diritti, ed hanno pruovato, essere la forza delle Nazioni maggiore di tutte le armate. Ma da quest’esempio non hanno i Gabinetti de’ Principi ricavalo un’ altra verità più {importante, dalla quale dipendeva la conservazione dell’ordina e della futura tranquillità interrotta una volta la forza dell’abito, che rendeva passive le Nazioni, attendevano esse da’ Sovrani quello, a cui pareva, avessero già da secoli rinunziato. L’abito regge i popoli, piucchè gl’individui per esso l’abuso si cangia in diritto per esso l’antichità si converte in un prestigio che tiene luogo di ragione, e perviene sino a nascondere l’origine e i principi delle cose. Ma nou sì tosto le Nazioni cominciano a leggere a traverso di questo velo, e paragonano se stesse colle altre, nasce il desiderio del bene, si ragiona, si discute, e si domanda.

L’Europa tutta ha deriso il progetto di coloro che hanno creduto potere ristabilire come scudo de’ Troni la massima, che le Nazioni eran date da Dio in patrimonio a Principi. Più saggi e moderati di loro, i popoli hanno vendicato l’onta fatta all’umanità, ed alla ragione, correggendo essi l’empia dottrina con un nuovo Codice Politico, che rende sicure le Nazioni de’ loro diritti, ed i Sovrani della loro inviolabilità. Tale essendo lo stato dell’universale opinione tale l'indole delle riforme politiche sinora volute ed eseguite da’.popoli, potrà dirsi esser questi i pensamenti d’una fazione, o d’una setta? Se può chiamarsi setta il consenso delle Nazioni, deesi allora invertire il significato de' vocaboli, e chiamar Nazioni il consesso de’ Ministri. L'esposizione dello stato nostro, e delle cagioni che hanno preparata questa memorabile riforma, additerà quali sono le vere cagioni che l'hanno prodotta; siccome i portamenti stessi della Nazione, diranno, se sien pochi coloro che l’hanno voluto, o se questi pochi sieno stati i primi a pronunziare una volontà già matura che il popolo era pronto a manifestare nella, prima occasione che gli si sarebbe presentate.

I Napoletani hanno due volte scosso il giogo degli stranieri e sono corsi incontro all’amato loro Re Ferdinando. Ma i Napoletani del 1800 non erano più quelli del 1798, né quelli del 1815, erano gli stessi del 1806. Erano stati anch’essi ammaestrati nella scuola delle politiche calamità, ed istruiti per l'esperienza, che ogni rivoluzione apre il campo a nuove passioni ed a nuovi bisogni. Costretti a correre per la carriera d’una gloria ad essi straniera, indipendenti di nome, e dipendenti di fatto, gustavano già da lungo tempo l'idea d’una forma civile, che ponesse un termine alle vicende loro. Tali erano le nostre disposizioni sul finir del decennio, quando fummo restituiti alla nostr'antica dinastia. La stanchezza de’ mali, l’aspetto della pace, e la speranza della minorazione de’ tributi, fecero per allora tacere le politiche agitazioni. Due cagioni ridestarono la pubblica opinione contro al Governo.

I Ministri destinati ad assumere le redini del Governo vennero ben prevenuti delle nostre nuove istituzioni, ma non vollero, o non poterono cangiare né lo spirito, né il sistema della nostra antica Monarchia, per lo quale tutto da’ Ministri partiva, ed a loro ritornava. A questo modo le formo stesse dell’interna amministrazione, sebbene apparentemente serbate, divennero meri instrumenti della volontà de’ Ministri. La sola opinione di costoro, o il favore, furono i titoli per meritare le pubbliche cariche. La qualità degl’impiegati fece cadere nel disprezzo l’amministrazione economica, e nell’aborrimento la giudiziaria. Lo spirito publico si estinse, e surse in suo luogo quello del Governo, che per lai mezzo separassi interamente dalla pubblica opinione.

Mentre così reggevasi la macchina dello Stato, credette il Governo, numericamente calcolando, che potesse il Regno sostenere quei carichi stessi, che avea già nel decennio sopportato, comechè nulla più rifluisse dal Tesoro alla Nazione. Il nostro commercio, rimesso sotto la dipendenza di tutte l’estere nazioni, produsse l’invilimento delle nostre derrate, e ci tolse il numerario la prosperità pubblica ed i miglioramenti dell’industria nazionale furono affatto dimenticati il Ministero dell’Interno destinato a promuovergli fu moralmente annullato i pubblici stabilimenti furono privati delle loro dotazioni, il Governo non si mostrò sollecito se non della sola Finanza; lo spirito publico disparve, ed in suo luogo nacquero la passiva obbedienza, ed un’ assoluta indifferenza per la causa pubblica.

Alla generale disposizione degli animi, unissi anche quella dell’Esercito. Retto da uno straniero con disciplina e scettro boreale, tutto faceasi per rendergli penoso il servizio, e nulla per nutrire i principi nobili che caratterizzano oggi le armate. La coscrizione, legge dura sotto ogni governo assoluto-, parve finché più insopportabile sotto questo militare comando. l’armata in somma arse di desiderio di scuotere il giogo che sopra di lei esercitava un uomo né stimato, né amato.

In tale stato di cose si pensò di creare una forza interna nelle Provincie 4 composta di proprietarj, i quali sentivano piucchè gli altri il peso del sistema oppressore dei tributi. Queste furono le milizie, le quali con' cepirono le prime il progetto di liberare la loro patria dal despotismo ministeriale. Cittadini puri,impegnati a conservare l'ordine, proprietarj armati e disciplinati, i quali conoscevano la loro forza, studiavan costoro il momento, in cui potessero innalzare il grido della Costituzione. La Capitale attendeva dalle provincie la riforma salutare de’ mali del Regno. Il governo solo non conosceva il pericolo, da cui era minacciato, e nulla faceva per allontanarlo. Il progetto divenne maturo allorché ciascuno si accorse della volontà universale. Piccoli ma frequenti turbamenti ora in un distretto, ora in un altro prenunziavano già una generale manifestazione, quando pochi uomini fecero sentire il grido di piva il Re e la Costituzione. Le milizie gli protessero colla loro forza; l'armata di linea sorrise alla loro generosa idea; i Ministri riconobbero la loro impotenza; il Capitan Generale fuggì d’innanzi all’Esercito, di cui egli stesso sapeva non godere la confidenza. Questa è la storia della nostra riforma, della quale non fanno parte tutti i piccoli avvenimenti, che la seguirono. In niun momento, né in verun angolo del Regno il popolo ha dimenticato l’amore ed il rispetto pel Re; niun delitto ha macchiato il candore di questa rivoluzione, unica nella storia; che anzi tutte le private passioni si sono, taciute. Le provincie sono state tranquille, le strade sicure, gli uomini perseguitati dalla giustizia, che per la debolezza dell’autorità mettevansi per l’addietro in istato di guerra col Governo, sonosi creduti obligati per la forza di un tacito precetto della Nazione a rientrare nelle loro case, anche col pericolo della loro individuale sicurezza. Qualche leggiero oscillamento comunicossi alle provincie dalla Capitale, la cui massa, straniera alla rivoluzione, fu più facile a cedere agli artifizi di procurati agitatori. Ma la sola forza della persuasione ha prevenuto ogni disordine, e nel breve spazio di ottanta giorni una Nazione, che non avea mai conosciuto elezioni popolari, ha nominato tranquillamente, ed ha fatto radunare il suo primo Parlamento. Coloro i quali attribuiscono questa riforma di famiglia, piucchè di Nazione, a cause occulte e criminose, vogliono di proposito calunniarci. Noi non dobbiamo temergli, perciocché un popolo, il quale sa a questo modo volere, sa pure sostenere la sua volontà. Questa è la prima e la più incoraggiante assicurazione, che la Giunta presenta al Parlamento Nazionale.

Il Decreto de’ io di Luglio, col quale fu creata la Giunta Provvisoria di Governo, fu una fedele imitazione di quello fatto a Madrid a’ 9 di Marzo di quest’anno. S. A. R. il Vicario Generale ha fatto a se stesso un dovere di seguire in tutti i suoi atti l’esempio della Spagna, perciocché nell’esempio era riposta la principal guarentia, ch’egli potea dare della lealtà delle promesse sue, e del suo Augusto Genitore. Con quel Decreto il Re promise consultar la Giunta in tutti gli atti del Governo, e pubblicar questi d’accordo colla-medesima. Comechè noi non avessimo presenti gli atti della Giunta di Spagna, pure l'analogia delle circostanze ci ha fatto abbattere nelle medesime discussioni. Non per disputarci prerogative di potere o d’influenza, ma perchè non ci mancassero i mezzi di adempiere a’ doveri che ci erano imposti, fummo più volte nella necessità di discutere quali fossero la natura delle nostre facoltà, e i limiti di esse.

Fu da prima creduto che la Giunta fosse semplicemente consultiva, ed alcuni de’ Ministri il sostennero, non per volontà di schivare il suo giudizio,  ma pel desiderio di conservare l’indipendenza e la dignità del Governo. Una tale interpretazione era manifestamente contraria alla lettera del decreto, ed all’indole delle funzioni della Giunta. Consultar tutto colla Giunta, e nulla pubblicare senza l’accordo della medesima, abbracciava la deliberazione e l’esecuzione. Se altrimenti si fosse fatto, sarebbe dipeso dalla volontà de’ Ministri l’eseguire la Costituzione, o il predisporre le cose in un senso contrario a quello della Nazione, di cui la Giunta dovea essere l’interprete. Noi avremmo in questo caso veduto consumati i fatti, prima di potere contro ai medesimi rimostrare; saremmo stati incerti e dubbiosi noi stessi delle intenzioni e dell’andamento del Governo, ed avremmo abbandonato a' Ministri il giudizio della causa pubblica. Qualunque fosse la confidenza che noi riponevamo in loro, la quistione versar dovea circa la cosa, e non le persone. A noi era affidata la tutela di questa causa non meno per l'espressa determinazione del Re, che per la presunta volontà della Nazione. Laonde noi rimostrammo tanto contro l'erronea interpretazione del Decreto, quanto contra ogni fatto particolare, che risguardasse l’interesse generale dello Stato, intorno al quale non era stata la Giunta consultata (1).

Noi dobbiamo confessare che S. A. R., desiderosa di prevenire tali discussioni, ridusse a sistema di Governo la massima, che noi desideravamo vedere stabilita, e fece che i Ministri deliberassero colla Giunta delle cose gravi, prima che queste fossero presentate alla sua risoluzione (2). Cessate le discussioni intorno alla forma, noi dobbiamo altresì dichiarare, che uno è stato il consiglio, ed una la volontà, la quale ha diretto gli affari della Nazione. La discussione ha rischiarato sempre la verità. Sovente ancora i Ministri hanno scelto la Giunta per arbitro delle loro diverse opinioni, per modo che il Consiglio del Governo ha presentato la figura di un consiglio di famiglia, animato dal medesimo spirito, e da un comune interesse.

La prima di tutte le cure della Giunta è stata il mandare ad effetto la Costituzione, facendo sollecitamente convocare il Parlamento Nazionale. Il primo, e più importante atto, che Fera commesso, e dovea tutti gli altri precedere, era il Giuramento di S. M. e de’ Principi della Famiglia. Istallata nel giorno 12, la Giunta pregò, in quel momento stesso, il Re, perchè si compiacesse destinare il giorno dell'augusta cerimonia (3). La pronta risposta di S. M. annunziò il desiderio ch'Ella avea di dare questo nuovo pegno del suo amore per la Nazione. Il giuramento fu dato la mattina de’ 13 (4), che prenunzio il fausto giorno dell’apertura del Parlamento. La figura veneranda del Re, le sue paterne espressioni, e la commozione colla quale i Principi augurarono al Re la felicità e la gloria del suo popolo non possono essere descritte, ma sono quelle stesse che noi abbiamo veduto e udito nel memorabile giorno del 1. di Ottobre. Dopo quest’atto solenne, la Giunta intese a proporre gli ordini, pel giuramento di tutti i publici uffiziali, sì civili che militari, per lo nuovo titolo del Re, negli atti pubblici, e pel decreto di con vocazione del Parlamento (5). Quantunque la Giunta desiderasse accelerare tale convocazione il più che fosse possibile, pur tutta volta la distanza che dovea necessariamente serbarsi tra le une e le altre elezioni, ed il calcolo del tempo necessario all’arrivo degli ordini, ed alla venuta de’ Deputati nella Capitale, non permisero che fissasse un giorno più breve. l’esperienza ha dimostrato, che i termini fissati sarebbero stati troppo brevi, se la saviezza, lo zelo, e l'amor dell' ordine non fosse stato lo stesso in tutti i punti del Regno. Così il Decreto, come le Istruzioni non sono se non la copia di quel che fu scritto in Ispagna, tranne alcune poche modificazioni, necessarie allo stato ed alle circostanze del Regno nostro. Di queste, altre risguardauo la forma, altre la materia stessa dell’elezioni.


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Quanto alle prime, mancava tra noi, come in Ispagna, la Deputazione Permanente, alla quale la Costituzione dà la cura dell’elezioni. Per supplire ad una tale mancanza furono per la prima convocazione create Giunte preparatorie, delle quali il principale ufizio era il fare un’ interina suddivisione del territorio delle Provincie che mancavano d’una regolare divisione. Altra incombenza delle giunte preparatorie fu il fare circolare gli ordini per le elezioni, onde queste si facessero, ne’ giorni determinati, e cogl’intervalli stabiliti dalla Costituzione. Comechè tali Giunte fossero presso di noi superflue per lo primo oggetto, pure noi credemmo utile il valercene per lo secondo. Entrando queste disposizioni nel numero di quelle che la necessità esige, e sono rimesse alla prudenza del Governo, noi credemmo doverle alquanto ampliare, onde sanare l’opinione di molti, i quali temevano, che avesse il Governo influito per mezzo degl’intendenti nella scelta de’ deputati. Adunque non solamente fu da noi proposta la nomina delle Giunte Preparatorie, ma fu giudicato utile il farle presedere da Delegali speciali, scelti fra’ cittadini, che godessero di una maggior fiducia della popolazione del capo luogo (6). Similmente dovendosi in difetto della Deputazione permanente del Parlamento destinare una pubblica autorità, alla quale dovessero i deputati presentarsi al loro arrivo, onde fare registrare i rispettivi nomi; essendosi in Ispagna destinato, con Decreto del dì 7 di Marzo, il Segretario di Stato del Governo interno, credemmo noi esser letterale 1’applicazione di questa disposizione al Segretario di Stato, Ministro degli Affari Interni (7).

Quanto poi alla materia dell’elezioni, niun’altra modificazione fu fatta alle Istruzioni, fuorché quella relativa alla formola del mandato di procura. Non potendo aver luogo. il divieto, che nell’ordinaria formola dell' art. 100 della Costituzione è fatto ai Deputati, di nulla modificare; ed essendo per l'opposto il nostro primo Parlamento rivestito della facoltà di proporre le modificazioni, che giudicherà convenienti alle circostanze del Regno, noi sostituimmo questa facoltà a quel divieto. E dapoichè il vocabolo modificazione avea aperto il cuore di alcuni alla speranza, che il Parlamento avrebbe potuto mutare per sino i principi fondamentali della Costituzione, giudicammo necessario alla conservazione di questa sagra carta, il determinare il senso della parola, mercé il contrapposto: senza variare le basi (8). Tranne l'esposte modificazioni, le quali erano dettate, o dalla necessità, o dall’espressa volontà della Nazione costituente, la Giunta di Governo ha costantemente rifiutato interloquire sopra tutti i dubbj, che le sono stati proposti intorno alla capacità degli Elettori, o degli eletti. Imperciocché ha ella tenuto, esser questa una facoltà data dalla Costituzione alle Giunte Parrocchiali, alle elettorali, o al Parlamento stesso (9). Noi abbiamo osservato con somma soddisfazione» che tali quistioni, o perchè giudicate superflue, o perchè rettamente decise, non hanno per nulla arrestato il corso regolare delle elezioni.

Essendo l’interna amministrazione del Regno stabilita sopra basi affatto diverse dalla Spagnuola, e mancando tra noi molti di quegli uffizj che la Costituzione presuppone come necessarj, ha la Giunta osservato costantemente la regola di risguardare come ancor viventi tutte le Autorità, le leggi e le consuetudini della Monarchia, tranne il. caso solo in cui fossero in un’aperta contraddizione co’ principi e collo spirito della nuova Costituzione. Per siffatto motivo, avendo S. M. dichiarato la Giunta Provvisoria di Governo l'unico suo consiglio, noi credemmo doversi dichiarare estinto l’antico consiglio di stato, e però aboliti i soldi, che erano a’ suoi componenti assegnati (10).

Per una contraria ragione, che non pertanto dipende da’ medesimi principi, la Giunta Provvisoria di Governo propose, che nel giorno immediato all’elezione de’ Deputati, dovessero gli elettori provinciali passare alla nomina delle rispettive deputazioni Provinciali. E dapoichè la convocazione degli antichi Consigli provinciali sarebbesi scontrata con quella del Parlamento Nazionale, e le Deputazioni avrebbero assorbito tutte le facoltà de’ Consigli, però propose la Giunta, che dovessero questi corpi dichiararsi aboliti, e sottentrate in luogo loro le Deputazioni (11). A questo modo l’amministrazione Provinciale è passata dalle antiche alle nuove mani senza discapito delle sue ordinarie funzioni, ed il Parlamento Nazionale è stato liberato dalla necessità, o di ricorrere ad una nuova convocazione delle Giunte Elettorali, o di rimettere. ad un altro anno l'esecuzione di questa importante parte della Costituzione.

Finalmente la Giunta ha creduto, che più degli elementi materiali fosse necessario preparare i morali, ed in tale veduta si è dal primo principio delle sue sessioni studiata di formare lo spirito del popolo e d’indir rizzarlo alla cognizione de’ veri principj sociali. l’istruzione verbale, se anche potesse, supporsi affidata a persone di uguale merito o capacità, non è mai uniforme, né può essere ripetuta si spesso, che renda familiari al popolo le nozioni de’ suoi doveri civili. Ma quali sono d'ordinario gl’istruttori del popolo? Ci sia permesso il tacere d’uno de’ principali vizj delle nostre passate istituzioni, per non offendere l’intero ceto delle persone, alle quali l’istruzione primaria è stata affidata. Certamente la dottrina civile de’ popoli liberi forma parte della morale, e dee, come questa, essere certa, universale, ed uniforme. Laonde pensò la Giunta, che ima delle prime opere da farsi, fosse un catechismo civile derivato da' puri principj della ragione, e proprio ad imprimere negli animi i più volgari un’idea semplice e chiara de’ doveri dell’uomo e del cittadino. Avremmo noi desiderato avanzare di qualche grado, se fosse stato possibile, nell’istruzione del popolo, prima della convocazione dei Parlamento, e profittare del momento, che l’ardore del nuovo stato, e i saggi portamenti di tutte le parti della Nazione sembravano indicare, come il più proprio alla fruttificazione di questo germe. Adoperammo in questo lavoro uno de’ giovani i più distinti per ingegno, e per istruzione; e dopo averlo discusso ed approvato, ne proponemmo la pubblicazione e l’uso in tutte le scuole primarie, nelle parrocchie, ne’ luoghi di pubblica educazione, e negli stessi studj privati i quali fossero sotto la vigilanza della Publica Istruzione (12). Questa è una delle poche proposizioni della Giunta, alle quali il Governo non ha ancora risposto, il perchè sarà cura del Parlamento il sollecitare la determinazione di S. M. o il perfezionare il nostro progetto.

Noi accompagniamo l’esposizione di tutto quel che è stato fatto per l’adempimento della Costituzione co’ documenti che debbono essere conservati nell’archivio del Parlamento Nazionale. V’ha in primo luogo gli autografi de’ giuramenti prestati, nelle mani della Giunta, da S. M., e da’ Principi della Real Famiglia, che noi abbiamo gelosamente custodito come la pietra angolare del nostro novello edilizio. V’ha in secondo luogo gli atti dei giuramenti prestati da tutti gl’impiegati, sì nell’Interno, che all'Estero  (13). Il Parlamento vedrà se altri né manchino, potrà richiedergli a’ rispettivi Ministeri di Stato;, onde il suo Archivio abbia la serie completa di tutti documenti che legar debbono da generazione predente e le future all'osservanza del nostro nuovo Patto sociale.

La nuova delta Costituzione data dal Re fu con gioja accolta in tutta la Sicilia di pur l’opinione era uniforme a quella di Napoli. Erano state colà introdotte tutte le forme della nostri civile amministrazione, e rendute comuni; quell’Isola tutte le nostre leggi. Ma distinguendosi: in Sicilia, come in Napoli, le forme, dallo Spirito che le animava, si amava la cosa, e si odiavano le persone degli esecutori. Il personale degl’impiegati era cattivo; la finanza era, onerosa; il commercio era stato distrutto. Laonde un reggimento costituzionale, non poteva non piacere a’ Siciliani. Ma di questa uniformità di disposizioni e di sentimenti de' due popoli fu eccezione la Città di Palermo, il di cui popolo agitato forse e sedotto si abbandonò alla licenza. L’atto benefico del Re in vece d’ispirargli l’amore e la riconoscenza, prestò motivo a maggiori pretensioni delle quali gli autori stessi non misurarono i progressi e le conseguenze. Poco mancò, che l’annunzio della ribellione di Palermo non turbasse la calma di Napoli. I racconti esagerati de’ cattivi trattamenti fatti a' Napolitani ispirarono in alcuni il desiderio delle rappresaglie, e molta vociferazione del popolo faceva temere la vendetta.

Bastò un affisso a calmare l’effervescenza. I Siciliani nostri fratelli furono rispettati.

Dovessi intanto ricondurre all’ordine i Palermitani. S. A. R. credette di se più degno il tentarlo colla sua sola voce, il perchè fu spedito a Palermo il  Capri, non con altre armi, se non con un Proclama, pieno di voci paterne per tutti coloro che avevano dimenticato tutti i doveri di cittadini e di sudditi. Ma la dilicatezza del Principe Vicario non fu gustata dalla moltitudine. Trovavasi questa accresciuta di tutto il considerevole numero de’ delinquenti di ogni specie a’ quali era stata data la libertà. I Rappresentanti niella città promisero di spedire in Napoli una Deputazione a S. A. R., il che fu eseguito pochi giorni appresso Intanto mentre cotesta Deputazione recavasi in Napoli per esporre lo stato della loro patria, i Palermitani spedivano agenti per tutta l’isola, ed armavano corpi di uomini facinorosi, che col terrore e con false speranze andavano seducendo le altre città, onde si unissero alla causa di Palermo. Alla Deputazione fu permesso l’entrare in Napoli, dopoché ebbe ella indirizzalo a S. A. R. le proteste della sua obbedienza e fedeltà. Sebbene il Principe Vicario non potesse né dovesse riceverla, fu non pertanto ospitalmente accolta, e le fu da’ Ministri suggerito l’emenda di tutti gli atti di disobbedienza e di anarchia ne' quali i loro commettenti persisteano. Fu detto loro che dovessero restituire i soldati ti del Re, disarmati e fatti prigionieri; che dovessero ritornare sotto l'autorità de' Magistrati Regj e mettersi nello stato di esporre le ragioni e i bisogni loro. I Deputati convenivano della giustizia di queste osservazioni, ma allegavano la difficoltà di calmare il furore della moltitudine. Per meglio riuscirvi domandarono che alcuni di loro potessero tornare a Palermo,; rimanendo qui gli altri; e fecero sperare che quel popolo si sarebbe sottomesso alle condizioni preliminari che si richiedevano. Fu loro accordata la chiesta permissione, ma i messi colà spediti ritornarono a; Napoli nello stato medesimo, in cui erano da prima vernati. L'indipendenza della Sicilia era la domanda de’ loro Committenti, per impetrare la quale negoziavano in Napoli, e guerreggiavano in Sicilia. Do stato dell’isola diveniva ogni giorno peggiore; l’anarchia era divenuti quasi generale nelle Valli di Palermo, e di Caltanissetta; le scorrerie de' Palermitani infestavano tutti gli altri paesi dell’Isola e minacciavano Catania e Messina. Catania trovò in se stessa i mezzi onde reprimere l’aggressione. I suoi cittadini armati arrestarono co’ loro sforzi generosi i movimenti della sedizione, e si distinsero per l’amore dell'ordine, vero 'indizio della morale civiltà de’ popoli. Le altre Valli e Città fedeli al Re ed alla causa comune imploravano soccorsi, e si chiamavan tradite pel ritardo di questi. Tal era lo stato delle cose, allorché S. A. R. Ordino alla Giunta di proporre mezzi efficaci, ond'estirpare l’anarchia in Sicilia, e ridurre la città di Palermo all’obbedienza ed all’ordine. Continue  e molte furono le nostre deliberazioni, a cagione delle diverse notizie che giornalmente, sopravvenivano, e che parea facessero cangiare lo stato dalle cose. Ripugnava la Giunta dal proporre una guerra tra popoli fratelli, e lusinga vasi che procedendo innanzi l’elezioni de’ Deputati al Parlamento nella maggior parte dell’isola, si potesse col voto legale della Nazione reprimere l’ardimento e lo scisma de’ Palermitani; il perchè propose da prima che si spedissero piccioli soccorsi, atti a stabilire colonne mobili per l’interno dell’isola, ed a sostenere i corpi volontari, dell’isola stessa, che si rinforzassero le guarnigioni delle piazze marittime, e si conservasse e ristabilisse l’ordine in tutta il littorale della Sicilia, mercé l'aiuto delle flottiglie della Marina Reale (14)

Mi questi espedienti cessarono di parere efficaci alla Giunta, tostochè ebbe notizia che l’elezioni erano interrotte per le scorrerie de’ Palermitani, e che la lentezza de’ soccorsi avrebbe fatto interamente perdere il buono spirito, dal quale la generalità era animata. Allora fu che risolvette dovere, rimandarsi i deputati della città di Palermo; adoperarsi la forza di mare e di terra per reprimere, le aggressioni dei Palermitani proteggere le,città fedeli della Sicilia; rimuovere gl’impiegati Palermitani, ch'erano mal sofferti nel resto della Sicilia; destinarsi un generale Napolitano,  al comando di quel corpo d’armata  (15). Mentre queste disposizioni si eseguivano, i deputati di Palermo fecero per mezzo di alcuni altri Siciliani dimoranti in Napoli, preintendere esser facile il ravvedimento della loro città, se se le fosse fatta sperare l’indipendenza del proprio Parlamento, fermi restando tutti gli altri vincoli di unione nella persona del Re, e di comunione quanto ai pesi che sarebbero stati giudicati di un comune interesse. Fu dunque sottoposto a nuova deliberazione la questione, se convenisse sperimentare per una via più breve la riconciliazione de’ Palermitani. La Giunta credette non doversi rinunziare a questo mezzo; mentre gli altri si preparavano però autorizzata da S. A. si fece intendere a’ deputati che se i loro voti fossero uniformi a quelli del rimanente dell’isola, il Governo non si sarebbe ad essi opposto; colla condizione, che la città di Palermo restituisse i prigionieri e ritornasse all’obbedienza del Re. Per conseguente fu ordinato loro che partissero, ed insinuato che prevenissero si passi del Tenente Generale. Florestano Pepe soffrendogli la restituzione de’ prigionieri, e dichiarandosi pronti  ad eseguire tutte le disposizioni che avrebbe egli giudicato necessarie al ristabilimento dell’ordine (16).

I Deputati mostraronsi soddisfatti di tale introduzione, ma implorarono di nuovo la permissione di spedire in Sicilia una parte di loro, rimanendo qui gli altri, il che fa accordato da S. A, R. Assicurarono che i Palermitani avrebbero rispettosamente impetrato da S.M., quello che qui erasj fatto loro intendere come possibile, e fecero sperare che per primo atto di obbedienza sarebbero stati spediti a Napoli tutti i soldati prigionieri (17).

Le istruzioni che servir doveano di normali Generale furono dal Ministro degli Affari Interni proposte alla Giunta & d’accordo con essa risolute. coll'articolo primo di queste erasi detto, che dietro la prima manifestazione fatta a Deputati, dovesse Palermo restituire tutti i prigionieri, e rientrare nell’ordine. Domandava il Ministro, nel caso che Palermo si ricusasse a questa condizione, se si dovesse adoperare la forza. La Giunta rispose, che quando la città di Palermo si ricusasse alle, ragionevoli condizioni che l'erano, state imposte, dovesse il Generale far uso delle forze militari messe a sua disposizione che dovesse parimenti reprimere l’anarchia, ristabilire l’ordine, attaccare le colonne mobili degl’insorgenti, sostenere i paesi fedeli, unendo sempre le insinuazioni a’ mezzi ripressivi.

Domandò in secondo luogo il Ministro se gli espedienti di rigore proposti dalla Giunta nelle sue precedenti deliberazioni, e tra questi le commissioni militari, dovessero o no aver luogo. Rispose la Giunta che se Palermo avesse accettato le condizioni propostele, sarebbe cessata di fatto la necessità di tali mezzi; laddove se il Generale fosse costretto a far uso della forza, s’intendessero a lui concesse nel territorio occupata dall’Armata, ed al luogotenente del Regno nel rimanente dell’Isola tutte le facoltà necessarie a conservare e ristabilire l’ordine.

Domandò in terzo luogo, se il sequestro de’ beni che i Palermitani posseggono nel resto dell’isola, dovesse o no eseguirsi. Rispose la Giunta che la difficoltà era risoluta dalla stessa distinzione fatta per l’antecedente quesito, cioè dalla volontaria sottomissione, o dalla resistenza de’ Palermitani.

Domandò in quarto luogo, se dovesse il Generale accordare amnistia. La Giunta rispose che dovesse necessariamente accordarla, se Palermo si fosse volontariamente renduta obbediente; e fosse in sua facoltà il farlo, se mai fosse costretto a valersi della forza.

Domandò in quinto luogo, quale fosse il modo, onde assicurarsi, se il voto della città di Palermo,  fosse o no uniforme a quello del resto dell’isola. La Giunta rispose che il Generale Comandante ed il Luogotenente del Regno dovessero raccoglie rio nel, modo il più sicuro e pronto, dandone però conto a S. A. R., che avrebbe loro comunicato le sue ulteriori determinazioni.

Domandò per ultimo se dovesse il Generale mescolarsi di negoziazioni politiche. La Giunta rispose che dovess’egli essere l'unico organo di tutte le negoziazioni, e che a’ Deputati di Palermo si direbbe doversi essi unicamente a lui indirizzare (18).

Partì la spedizione, partì poco dopo una parte dei Deputati. Niuna risposta o domanda hanno costoro indirizzato a S. A. R., o a’ Ministri. Il Generai Pepe è giunto alla testa dell’armata innanzi Termini, e si disponeva dopo il giorno 21 di Settembre a marciare sopra Palermo. Si è a lui presentato in Termini il Principe di Villafranca, e dopo altre domande di dilazioni prima rifiutate, ha chiesto che si rallentasse di qualche giorno la marcia delle Truppe, onde persuadere la moltitudine di Palermo tuttora indocile. Sembra dagli ultimi suoi rapporti, che i Palermitani fermi nel progetto di dar la legge alla Sicilia, non abbiano pur anco eseguito alcuna delle condizioni di sopra espresse. Hanno essi presentato al General Pepe la formale domanda dell’indipendenza, sottoscritta da’ Procuratori di dugento comuni, i quali, formerebbero la maggioranza della popolazione se costasse delle facoltà di coloro che l’hanno sottoscritta. Hanno inoltre presentato, redatte in iscritto, le proposizioni fette qui verbalmente dalle Giunta a’ Deputati di Palermo. Hanno sostenuto che tra' modi convenuti, ond’esplorare il voto del Popolo Siciliano era quello della sottoscrizione di tanti comuni, quanti formassero il maggior numero della popolazione. Il General Pepe ha rilevato l’illegale espressione del voto de’ comuni, fatti rappresentare da uomini raccolti in Palermo, ma ha creduto scorgere una contraddizione tra le sue istruzioni, e le risposte della Giunta. Ha domandato inoltre qual modo dovess’egli tenere per consultare il voto della fazione, attesa la distanza, che lo separa dal Luogotenente del Regno. Consultati noi intorno a tali dubhj, abbiamo smentito le risposte scritte, che i Deputati hanno pubblicato in Palermo, perciocché non solamente non fu mai fatta menzione di sottoscrizioni di comuni; ma il Governo riservò a se espressamente questa dilicata indagine dietro le notizie che avrebbe avuto dal Generai comandante e dal luogotenente del Regno di Sicilia.

E quanto al modo, ond’esplorare ora un tal voto, la Giunta avendo considerato che la Città di Palermo non aveva adempiuto ad alcuna delle condizioni preliminari impostele che trovandosi già radunato il Parlamento, e fatta F elezione della maggior parte de’ Deputati della Sicilia di là dal Faro sarebbe stato illegale il voto, in qualunque altro modo espresso, fu d’avviso doversi rispondere al Tenente Generale Pepe, che quando da Palermo parteciperà essersi quella Città restituita all’obbedienza del Re, si sarebbe determinato il modo, onde conoscere la;volontà generale della Sicilia (19).

In tale stato di cose, dovendosi avere come sicuro il successo della spedizione di Sicilia, è dolce cosa per la Giunta l’uscire dalle sue funzioni colla speranza d’essere riuscita nel fine che ha sempre avuto, di evitare una guerra fraterni, di rimetterei la sorte di quella bella ed importante parte della Monarchia al libero e legale giudizio della Rappresentanza dell’uno e dell’altro Popolo. Possa la nuova della Volontaria sommessione di Palermo accrescere là gioia pubblica, e servire di auspizio a quella felicità, che tutti ci ripromettiamo dalla saviezza del Parlamento Nazionale!

L’esposizione che noi potremmo fare dello stato delle nostre relazioni estere, non sarebbe sì minuta ed esalta, che quella sarà data al Parlamento dal Ministro degli Affari Esteri. Avendo non pertanto, sin dal primo esercizio delle nostre funzioni avuto in mira il prevenire gli effetti della malignità, e i pretesti che avrebbe forse cercato l'interesse politico delle altre Nazioni, noi crediamo non dovere tacere la nostra opinione intorno alle cagioni del fermento, che la riforma politica di Napoli ha eccitato in Europa e, circa la probabilità de’ pericoli de’ quali siamo minacciati.

La Giunta non mancò di volgere gli occhi all’Estero sin dal primo de' suoi consessi (20). Sentimmo che alcuni de’ nostri Ministri Esteri erano più cari alle Corti, presso le quali risedevano, che alla Nazione, della quale erano i Rappresentanti. Dubitavamo, che avvezzi costoro a risguardare la Nazione nella persona del Sovrano, e l’interesse della sovranità nel potere assoluto, sarebbero stati forse i più fieri persecutori della Riforma., e non avrebbero mancato di dipingerla co’ coloro i più odiosi. Sapevamo finalmente che costoro avevano per interesse e per abito professato i principi di quella oligarchia politica, che crede potere colla1 sola forza delle armi costrignere l’opinione delle Nazioni. Prescindendo da queste presunzioni che i loro portamenti hanno poi giustificato una ragione semplice ed a tutti parlante suggeriva ch’essi sin allora Rappresentanti d’un Re padrone, non potessero esserlo di un Re, Padre ed amico de’ suoi popoli. Supponendogli anche prevenuti da pregiudizi, ma dilicati uomini,non avrebbero di buon grado cangiato figura agli occhi del mondo politico, ed avrebbero avuto ritegno di comparire nelle Corti come protettori de’ patti sociali. Attenendoci dunque a questa sola ragione e seguendo l'esempio di quello, che in simili circostanze era stato praticato in Spagna, noi domandammo a S. A. R., che tutti gli Ambasciatori e Ministri presso le Corti Estere fossero richiamati, senza discapito de' loro soldi ed onori.


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Prevedendo nello stesso tempo che questa disposizione non avrebbe impedito ch'essi dessero dei nostri avvenimenti una sinistra prevenzione, pregammo Sua Maestà, che con suo lettere autografe partecipasse a’ Sovrani di Europa la riforma politica di Napoli, la concordia che regnava nella Nazione e lo stato de' bisogni del suo Regno, che aveano venduto necessario un tal rimedio. Entrambe le proposizioni della Giunta furono accolte, e i nuovi Ministri partirono apportatori delle lettere del Re. Ma l’audacia de' vecchi ministri ha infranto lutti i legami di quell’obbedienza, ch’essi vorrebbero affatto passiva ne’ popoli. L'ipocrisia e la calunnia hanno loro somministrate le ragioni, onde coonestate lo stato di resistenza nel quale si sono messi verso il Re e la Nazione. Gli Ambasciatori di Napoli e Vienna ed a Parigi hanno ricusato di prestare giuramento alla Costituzione, hanno protestato contro agli atti del Re, che hanno detto non esser ‘libero, ed hanno contravvenuto all’ordine che imponeva loro l’abbandonare Le rispettive Residenze. Il Re, penetrato da sì ingiuriosi portamenti, gli ha privati de’ soldi, e d’ogni onorifica qualità. Ciò non pertanto, perduta avendo la Rappresentanza di diritto, l’hanno essi ritenuta di fatto. Spogliati della qualità di Ministri, hanno voluto rinunziare anche a quella di cittadini, e di sudditi, o congiurano contro alla pace ed alla sicurezza della loro patria. Questa è la sorgente di tutte le calunnie che si sono publicate e si pubblicano contro di noi. I nostri nuovi Ministri, per opera loro non sono stati ricevuti per essi un’annata ha occupato le rive del Pò. Ciò non pertanto, è ancora incerto se la loro voce sia bastevole a sedurre i Gabinetti dei Principi e a indurgli a farci guerra. Qual sarebbe la ragione di questa guerra? Contrastare forse a’ Re ed alle Nazioni il diritte di dettar leggi a loro: stesse? Ma a qual pericolo non si esporrebbero gli aggressori se essi proclamassero innanzi a tutta l'Europa la massima che l’indipendenza è solamente de’ popoli che possono dar la legge e non riceverla? E qual è l’Imperio che potendo darla oggi, sia sicuro di non riceverla dimane? Direbbero forse di voler soccorrere il Re? Ma il Re è unito alla Nazione. È stato egli il primo che ha sciolto i legami del Governo assoluto, preferendo quelli: di una monarchia Costituzionale. È stato egli che volontariamente ha giurato innanzi a Dio di osservare la nuova forma, politica, del suo Regno. Vorrebbero forse proporci una forma politica più che un’altra? Tanto è contrastare il diritto, quanto una parte di esso. E perchè mai questa transazione non è stata proposta alla Spagna? Forse perchè la sua posizione, ed il numero de’ suoi abitanti avrebbero penduto quella guerra più dubbiosa? La giustizia dunque sta dalia pane di colui che può essere impunemente oppressore? L’Europa è già troppo colta, e l’opinione de’ popoli è troppo forte, perchè possano questi principi stabilirsi come basi del Diritto publico delle Nazioni.

Ma quale sarebbe il successo della Guerra? Noi non la temiamo, ed il solo dubbio d’uno sfavorevole evento dovrebbe fare antivedere i pericoli ai quali andrebbe incontro l’aggressore. Fosse anche l'esito di quella favorevole a’ nostri nemici, quali conseguenze non né risulterebbero per l'equilibrio politico dell' Europa, se l’Italia tutta fosse cancellata dal ruolo delle Nazioni?

Noi siamo persuasi, che la guerra ci obbligherebbe a molti e penosi sagrifizj, ma non dubitiamo de’ trionfi, che i nostri nemici ci preparerebbero. Ciò non ostante dobbiamo preferire l'edificare piuttosto nella pace, che nelle calamità della guerra. Se la giustizia della nostra causa non basta a liberarci dal dubbio della guerra, rimuoviamo ancora i pretesti. Con questa veduta, la Giunta animata dalla infinita confidenza, che ha sempre riposto nel nobile e magnanimo carattere del Re, supplicò S. M. d’indirizzare un Manifesto a tutte le Potenze di Europa, per lo quale annunziasse la determinazione di voler sostenere i diritti suoi e della Nazione, e protestasse contro ad ogni atto lesivo della sua indipendenza (21). Questa petizione presentata negli ultimi giorni delle nostre funzioni, non è stata forse ancora presentata alla deliberazione del Re. Il Parlamento destinato a perfezionare e raddrizzare le cose da noi preparate, solleciterà forse dalla bontà del Re la solenne dichiarazione, richiesta da noi, come un rimedio necessario a smentire le perfide macchinazioni di coloro che vivono pel favor delle Corti, e non per la loro patria. Lo stesso Parlamento vedrà, se debbano i delitti di costoro rimanere impuniti.

l’incerto stato delle relazioni estere, dee necessariamente influire sopra quello della Guerra. Il Dipartimento stesso antivedimento che mosse la Giunta a domandare la nomina di nuovi Ministri presso le Corti estere, le suggerì, sin da’ primi giorni della sua unione, la necessità di riordinare l’armata di linea, e di estendere a tutto il Regnò la formazione delle milizie (22). Conviene distinguere due periodi, e riferire a ciascuno di questi le disposizioni date per la nostra difesa. Nel primo di questi, cioè quando ignoravasi ancora il contegno che avrebbero preso le Potenze estere, la Giunta operò per soia precauzione. Nel secondo, allora quando la guerra parve non solamente possibile, ma probabile, la Giunta si condusse come se avesse il nemico alle porte.

Noi avremmo desiderato poter andare incontro alla pace ed alla prosperità del Regno, piucchè alla guerra, onde preparare al Parlamento i dati necessari alla riforma dello stato militare e delle Finanze. Ma le circostanze ci hanno trasportato in opposta parte. Il determinare la quantità delle forze di terra e di mare è una delle principali facoltà del Parlamento Nazionale. Ma per ordinare e disciplinare l'esercito facea d’uopo stabilirne una pianta, e risguardare questo come lo stato militare permanente. Questa operazione non impediva, che il Parlamento potesse ampliarla o ridurla, il che fu anche espresso nel decreto proposto dal Ministro della Guerra e dalla Giunta discusso. Il numero dell’esercito, comprese tutte le sue differenti arme, fu fissato a uomini  (23). L’antico esercito era sprovveduto di vestiario; l’economia de’ corpi era abbandonato al disordine le armi mandavano; le fabbriche militari erano quasi inoperose. Senza arrestarci alla minuta esposizione di tutti i particolari provvedimenti la lettura delle nostre deliberazioni (24) ed il rapporto del Ministro della Guerra metteranno in comparazione lo stato antico ed il presente.

La Giunta ha seguito interamente l’idea della divisione della forza pubblica, proposta dal Ministro della Guerra, ed ha applaudito a’ progetti di questo illustre militare, ma distinguendo lo stato ordinario dal momentaneo, ha riservato la cura del primo alla saviezza del Parlamento, ed ha abbracciato per ora i soli mezzi, che potevano mettere il Regno in uno stato di valida difesa.

Tre sono le operazioni che ci hanno messo nello stato di acquistare una giusta confidenza nelle nostre forze, e che sendo state secondate dallo zelo ed entusiasmo che anima la Nazione, ci fanno guardare con indifferenza tutti gli sforzi che potranno fare coloro che si vorranno dichiarare nostri nemici. Il  principal merito di queste, noi dobbiamo pubblicamente confessarlo, è dovuto al Generale in Capo D. Guglielmo Pepe.

Innumerevoli sono i diritti ch’egli ha acquistato alla gloria ed alla riconoscenza della. Nazione: ha salvato il Trono e la Patria allorché ha indirizzato il movimento generale del popolo ad una nobile e salutare riforma; gli ha salvati una seconda volta facendosi solo garante della promessa Costituzione; ha coronato in fine le sue virtù, militari mostrandosi il più modesto cittadino, allorché ottenuto il comun voto ha deposto a piè del Trono il comando.

A richiesta del Generale in Capo, la Giunta propose doversi richiamare, o per meglio dire invitare di nuovo alle bandiere i veterani congedali. Allorché quest’espediente fu proposto, si credette, che si sarebbero avuti otto o dieci mila uomini, i quali avrebbero servito a riempire i quadri dell’armata di linea (25). Non è stato alcuno de’ congedati, che non sia corso al grido della patria minacciata, per modo, che i depositi destinati non sono stati capaci a ricevergli. Questo primo espediente ha dato all’armata di linea più di 3oooo uomini, e la farà forte di 60000 combattenti, pronti ad aspettare il nemico alle frontiere. A richiesta dello stesso Generale in Capo la Giunta sin da' primi giorni delle sue funzioni propose che i Battaglioni delle Milizie Provinciali fossero messi tutti sul piede di quelli di Principato Ulteriore e di Capitanata. (26). Siffatta disposizione animata nell’esecuzione dallo spirito di quello stesso Generale che creò e disciplinò i due Battaglioni di modello, è stata eseguita con una celerità tale, che sono oggi quasi tutti armati e vestiti. Son queste le belle truppe che hanno decorato là città nel giorno dell’apertura del Parlamento, che hanno conservato l'ordine e la tranquillità nelle Provincie, e che hanno voluto pure concorrere alla gloria, di pacificar la Sicilia. Le sole milizie presentano una forza di 80000 uomini di truppe leggiere invincibili, per la qualità de’ cittadini, che le compongono, per lo spiritò che le anima, e per lo terreno che difendono. Avrebbe la Giunta desiderato di mettere in esecuzione il progetto dell’armamento permanente, proposto dal Ministro della Guerra, ma trovò nella stessa perfezione di quello, e nella proporzione di tutte le sue parti un ostacolo per adottarlo come un armamento straordinario di guerra. Preferì dunque in grazia delle circostanze quello proposto dal Generale in capo (27). Per esso è stato ordinato levarsi in ogni Provincia una legione d’uomini di 21 a 40 anni, che non sono chiamati a fare parte né dell’armata di linea, né delle milizie. La formazione di queste legioni, divise in battaglioni, e compagnie, e distribuite per distretti e circondar} dovea esser pronta pel dì 20 Settembre. Lo spirito pubblico non ha avuto bisogno di eccitamenti, perciocché non è stato all’esecuzione necessario altro tempo, fuorché quello indispensabile alla formazione de’ Ruoli. Il concorso volontario de' giovani l’ha anche di molto abbreviato. A questo modo il Regno ha acquistato 120000 legionarj che sosterranno e coadiuveranno le milizie e l’armata in ogni punto del suo territorio  e dovunque il bisogno gli chiamerà.

Noi abbiamo adempiuto al nostro intento, presentando al Parlamento la Nazione in uno stato tale di difesa, che niun apparato di forze nemiche potrà smuovere il suo coraggio. Per tutto il rimanente abbiamo riservato al giudizio del Parlamenta quello ch’è stabile e definitivo. Se le necessità e le circostanze dello Stato non ci hanno permesso di alleviare il Tesoro dell’enorme peso dello stato militare, abbiam cercato almeno di non aggravarlo. Noi abbiamo sopratutto procurato d’imprimere nell’animo dei militari una differenza caratteristica che passa tra ’l vecchio ed il nuovo ordine. di cose. Le ricompense, i gradi, gli onori debbono in un Governo libero essere accordati al. servizio; laddove in un governo assoluto sono d’ordinario concessi alle persone. Gli ascensi militari sono in quello più lenti e regolari; in questo più facili e disuguali. Ma qual è l’uomo che non preferisce una testimonianza pubblica ad una privata? La nostra armata no ha dato un esempio luminoso,II. Generale in capo avea proposto diversi gradi militari e parecchi distintivi d’onore per molti di coloro che hanno cooperalo alla felice riforma del Regno, e che col pericolo della propria persona hanno salvato lo Stato dal naufragio, del quale era minacciato-, ma non sì tosto i premiatisi avvidero, essere questa distinzione spiacevole a’ loro compagni d’arme, rinunziarono alle ricompense ottenute (28). Niuno volle esser vinto dall’esempio dell’egregio Tenente Morelli, che il primo aveva dato pruova di questo eroico disinteresse. Dopo questi esempj vide la Giunta, che non era nobile sagrifizio il quale non potesse domandarsi ad uomini di tanta dilicatezza. Le parve ancora che ogni promozione militare, in quelle circostanze accordata, avrebbe potuto eccitare lo spirito di emulazione e di rivalità, così tra gl’individui, come trai corpi dell’armata e che più importante e più utile sarebbe stato il persuadere tutti, esser quello il tempo di meritare e non di disputare gli ascensi. A queste considerazioni si aggiunsero quelle dell’economia del Tesoro, e del rispetto per le determinazioni del Parlamento, che avrebbe potuto non approvare quello stato militare, che noi stessi riguardavamo come provvisorio. Per tutte queste considerazioni insieme prese, noi applicammo agl’impieghi militari quella stessa legge, che avevamo sin dal cominciamento delle nostre sessioni proposto per tutti i rami di civile amministrazione, cioè che rimanesse sospesa la facoltà di accordare impieghi, soldi e pensioni insino alla convocazione del Parlamento, e che i posti vacanti si esercitassero da interini, e per modo di semplici commissioni  (29). Niun’altra legge è stata di questa più. utile a ristabilire la disciplina militare, e ad insinuare nell’animo di tutti quello spirito di moderazione, che è l'anima di tutte le virtù civili.

Le nostre Finanze sono nel presente momento ligie de’ bisogni del Dipartimento della Guerra, siccome questo è dipendente da quello delle estere Relazioni. Altra volta questa catena è stata volontaria  ed è nata da quei bisogni fattizj che i Governi assoluti soglionsi creare, uscendo dallo stato loro naturale oggi è necessario, perchè la nostra conservazione c’impone per l’ultima volta sacrifizj, che ci prepareranno la pace, e con essa l’indipendenza, e la moderazione delle passioni politiche. La Monarchia delle Sicilie; che ne' primi anni del nostro amato Re era contenta della somma di quattro milioni e mezzo all’anno, non trovava nel 1806 il suo bisognevole nella somma di circa nove milioni. Questo Stato medesimo con un esercito assai minore dell’antico, ed in uno stato di perfetta pace non potea più nel 1820 far fronte a’ suoi bisogni con una massa di tributi e di rendile di venti milioni all’anno. Tal’è la posizione delle Finanze, che dobbiamo menare innanzi pel resto di quest’anno, senza, contare i sagrifizj maggiori, a’ quali potrebbe la guerra obbligarci.

La Giunta presentì che il cambiamento dell’ordine politico del Regno: avrebbe prodotto una considerevole diminuzione nelle rendite pubbliche,'e fu sollecita di conoscerne la quantità precisa, onde prevenire a tempo il maggiore di tutti i pericoli, che avrebbe potuto minacciare la sicurezza del suo stato politico. E però cominciò le sue sessioni col domandare al nuovo Ministro, delle Finanze la situazione del Tesoro, ed il calcolo presunto delle diminuzioni, che avrebbe sofferto l’introito preventivamente calcolato nello stato discusso di questo corrente anno (30). Andò ella più oltre, desiderando conoscere dallo stato stesso delle cose i mezzi, e le difficoltà di provvedere al bisogno, pregò S; A. R. di nominare. dal seno stesso della Giunta una Commissione di Finanze, la quale assistesse il Ministro nella formazione dello stato discusso di questo secondo semestre  (31). Questa proposizione non fu dettata da alcuna diffidenza, dapoichè la qualità del Ministro che ha felicemente retto questo ramo, avrebbe renduto un tal  sentimento non solamente ingiusto, ma ingiurioso nacque sì bene dal principio che la Giunta avea sposalo di concorrere direttamente a quello, da cui dipendeva essenzialmente l'andamento del Governo, e di assumerne tutta la responsabilità avanti alla Nazione, ed al Re. Con questo mezzo la Giunta potè facilmente assicurarsi che esisteva un voto originario nello stato preventivo dell’anno 1820, nascente dalla cattiva economia per l’addietro tenuta, di pagare cioè gli esiti dell’ultimo mese dell'anno precedente co’ primi introiti del seguente. Una tale posposizione non comprendeva già la sola duodecima parte de’ pesi dell’anno, ma i bimestrali altresì e i semestrali, de’ quali la scadenza verifìcavasi in Dicembre di ciascun anno. Vide anche la Giunta, che un’ altra parte di voto nasceva dalla speranza d’introiti eventuali, i quali si calcolavano, come ordinariamente interviene, in una quantità maggiore della vera.


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Più gravi di queste sono le cagioni sopravvenute per effetto del cambiamento politico. Noi non parleremo delle accidentali ma delle permanenti. Per accidentali debbono intendersi quelle, che dipendevano dal ritardo del pagamento de’ tributi, e specialmente della contribuzione fondiaria. Dopo brevi speranze di diminuzioni la Nazione tutta ha compreso la necessità di riporre le speranze nella saviezza del Parlamento, e di non negare gli alimenti alla vita dello Stato. Dopo poche settimane, la percezione ha ripigliato il suo ordinario corso, non per l'effetto della coazione, ma della persuasione. Permanenti dunque chiamiamo le diminuzioni intervenute per la riduzione del dazio del sale, per la minorazione degl’introiti di tutti i dazj indiretti, e per la perdita delle rendite della Sicilia. Tutte queste ragioni insieme unite lasciano un voto di sei milioni nel secondo semestre dell’anno corrente.

La Giunta è convenuta col Ministro che il primo e principal mezzo onde far fronte in sì breve tempo ad un bisogno cotanto grave, è il sostenere il credito publico. Tre mezzi sono stati adoperati, onde riuscire in questo intento, e trovare gli espedienti da ripianare il voto. 1. Non solamente si sono confermate le leggi preesistenti per le vendite degl’immobili dello Stato,e per l’affrancazione de’ censi  (32) ma si sono esposti venali, con condizioni più facili tutti i beni delle due Amministrazioni de’ beai riservati, e de’ reintegrati allo Stato (33). 2. Si è messa alla disposizione del Ministro il capitale di un milione di effetti pubblici, appartenenti allo Stato  (34).

Si è ordinata la formazione d’una nuova cassa di sconto, a carico di particolari azionar}, onde sostenere il credito de’ nostri effetti publici, ristabilire la confidenza, e mettere il tesoro nello stato di ritirare i capitali, che. in quella aveva impiegato (35). l’effetto di tutte queste disposizioni non è stato quale sarebbe in un tempo di pace e di confidenza ma ba messo la Finanza nello stato di far fronte onorevolmente a’ gravi bisogni de’ quali è caricata. Sarà opera del Parlamento Nazionale il consolidarle; sarà conseguenza della fiducia che la sua saviezza ispira, il risulta mento, che da quelle ci augurammo.

Coll’esposizione della parte che abbiam preso agli espedienti delle Finanze, noi non intendiamo diminuir la lode che è dovuta al Ministro. I mezzi ci sono stati da lui suggeriti; egli ha saputo fargli valere per far fronte a bisogni di gran lunga maggiori. Con un volo effettivo nello stato discusso dell' anno, e con un altro voto momentaneo per la mancanza della percezione, sono stati esattamente pagati tutti i pesi ordinar} dello Stato; si è equipaggiato ed armato l'esercito si sono soddisfatte le spese straordinarie dei nuovi agenti diplomatici, spediti all'Estero si è adempiuto alle obbligazioni contratte nel congresso di Vienna col Duca di Leichtenberg si è sostenuta la Sicilia e le spedizioni militari di mare e di terra, colà fatte si è sostenuto in fine il credito publico. Una mano attiva e vigorosa ha rimesso in piedi un edilizio, che la vetustà, e la scossa del cambiamento politico faceano credere crollante.

Un quadro dello stato pubblico del Regno, non lascia luogo a’ provvedimenti particolari, i quali sono l'opera dell’ordinaria amministrazione. I bisogni di questa saranno presentati al Parlamento nel Rapporto del Ministro. Tutto quello che di più importante potea farsi nel Governo interno del Regno, era il sollecitare la convocazione dei Parlamento, ed il mettere in esecuzione le leggi, le quali dovevano assicurare a’ cittadini l’esercizio de’ loro diritti politici. E però la legge intorno alla libertà della stampa è stata una delle prime cure della Giunta. Lunghe furono le discussioni alle quali diede luogo prima il progetto e poi l’esecuzione del Decreto de’ 26 di Luglio  (36). Le discussioni furono prolungate da’ dispareri de’ Ministri de’ quali alcuni proponevano misure preventive, onde il Governo potesse in tempo riparare all'abuso altri sole misure repressive, nel che accordavansi coll’opinione della Giunta. S. A. R. non rimase estranea alla discussione, e rimise alla Giunta alcune sue osservazioni, le quali partivano dal principio che niuna misura preventiva dovesse limitare la facoltà di pubblicare le proprie idee, e tendevano solamente a dimostrare la necessità di una repressione efficace, nel caso che di questa facoltà si abusasse. Le carte dunque della Giunta presenteranno alla posterità il raro documento d’un principe saggio, che non teme la libertà del parlare e dello scrivere, e l’incoraggia, persuaso che debbano i Sovrani meritare, e non costrignere il voto delle Nazioni. La Giunta facendo plauso a’ principi di S. A. R. si prefisse di stabilire col Decreto de’ 26 di Luglio le seguenti massime:

1.Non può esistere libertà di stampa con misure preventive.

2.Qualunque pericolo potesse nascere dall’abuso, sarebbe minore di quello che s’incontrerebbe intercettando la parola tra le labbra del-cittadino-

3.I delitti che si commettono colla stampa non sono diversi da quelli che possono commettere con qualunque altro mezzo di comunicazione, e però debbono essere puniti e non prevenuti..

L’estimazione di questi delitti dipendendo dall’opinione, dee la libertà degl’imputati essere difesa con tutte le precauzioni necessarie a rimuovere il sospetto della prevenzione, o della prevaricazione, e però è necessario il giudizio d’un Giurì, imparziale ed indipendente dall’influenza del Governo.

Combinando gli esposti principi colle istituzioni bielle Giunte Protettrici, delle quali la Spagna avea dato l’esempio, la Giunta propose il Decreto de’ 26’ di Luglio, come una legge provvisoria insino alle nuove determinazioni del Parlamento Nazionale. Non credette derogare a questi principi ammettendo una misura preventiva di revisione pe’ soli scritti che vengono dall’estero, dapoichè tale restrizione ferisce non il cittadino, ma l' estero, non l’autore, ma Io speculatore. Del rimanente, dee questa modificazione essere risguardata, come una legge relativa alle circostanze del tempo in cui fu scritta, e però dettata dalla prudenza. Come tale potrà una legge statile e permanente non attenderla, e consacrare senza eccezioni il principio, che i delitti commessi col mezzo della stampa debbon essere puniti e non prevenuti.

Tranne un solo cangiamento fatto nella Publica Amministrazione, che è la creazione delle Deputazioni Provinciali, il Governo interno del Regno è stato menato innanzi colle leggi e co’ Regolamenti che si trovavano in vigore. Lo stato suo è languente ed attende vita dalle salutari determinazioni del Parlamento, e dall’attività del Ministro, che lo ha già una volta creato. In tale stato di cose l'operazione più importante che potea farsi era l'arrestare il disordine, ed il non preparare maggiori difficoltà alla riforma. Del Ministro dell’Interno fu la prima proposizione, che non si provvedessero definitivamente gl’impieghi e i soldi vacanti. La Giunta non solamente l’accolse ma l'estese, a tutti gli altri Dipartimenti del Governo. (37).

Spera la Giunta che il Ministro richiami specialmente l'attenzione del Parlamento ad un oggetto, che sebbene fosse stato de’ primi ad esserle presentato, pure non ha potuto formar materia delle sue deliberazioni. Questo è lo stato del nostro commercio marittimo (38).I torti che gli sono stati fatti dopo l’anno i8i5 hanno prodotto l’invilimento delle nostre derrate, hanno scoraggiato l'agricoltura, ed hanno messo fuori proporzione le imposte prediali ed il valore attuale delle terre.

.La sola parte di. questo dipartimento, alla quale ha IX. la. Giunta prestato la sua cooperazione, è stata la Marina, riforma de’ contratti di appalto, che si trovavano conchiusi prima del cangiamento dd Governo. I contratti erano rovinosi, e fatti senza le solennità richieste dalle leggi dello Stato. Nella marina, come nella guerra, e ne’ publici stabilimenti le forniture sono state la materia della speculazione di pochi monopolisti. Il nuovo Ministro ha apprestato a questo male quel rimedio di cui Io stato delle cose era capace, ed ha in generale procurato di dare al suo ramo quello, di che era più bisognoso, l'ordine cioè e la' severità dell’Amministrazione. Noi potremmo dire assai meno di quello che dirà certamente il Rapporto del Ministro al Parlamento  (39).

Tutte le proposizioni che la Giunta ha fatto, per rispetto al Dipartimento della Giustizia e della Publica sicurezza sono state a lei indicate dallo stato giornaliero della Capitale, e dal bisogno delle Provincie. Avremmo noi desiderato che una legge immediata al cangiamento del Governo avesse dichiarato permanenti tutte le leggi anteriori sì preventive che punitive e che fosse stata eccitata la vigilanza de’ Magistrati contro tutti i reati contrarj all’ordine publico. Ma questa proposizione risguardata sotto l’aspetto del diritto, piucchè della forza morale, che conveniva restituire alle leggi, fu messa in discussione, e fu dopo molti giorni accolla in un modo poco atto a produrre l’effetto, che noi ci auguravamo (40). Mentre questo ci suggeriva l’aspetto della Capitale, lo stato delle Provincie ci chiamava ad opposte considerazioni. Non mai le Provincie sono state tanto aliene dal disordine e dal delitto, quanto dal mese di Luglio a questa parte.

Le casse pubbliche sono state rispettate, anche ne’ brevi momenti d’interruzione che v’è stata nella corrispondenza della Capitale, colle provincie vicine le strade sono state sicure i delitti sono cessati; gli uomini perseguitati dalla giustizia sono rientrati nelle loro case; la vendetta tra gli offensori e gli offesi ha taciuto. Tali portamenti degni d’un popolo che volendo riformare il Governo, ha cominciato dal riformare se stesso, meritavano una reciprocazione per parte dell’autorità publica. Conveniva secondarlo, e non irritarlo, rimettendolo con atti violenti sul cammino del delitto e della Vendetta. La Giunta dunque propose in vista di tali fatti, l’abolizione di tutte le Commissioni militari, e delle Corti speciali, com e contrarie a’ principi della Costituzione, e come superflui nell’attuale stato d’ordine e di tranquillità  (41). Questa prima proposizione fu accolta senza alcuna opposizione.

Le stesse ragioni indussero la Giunta a proporre uri indulto pe’ rei asseriti, salve l’eccezioni di delitti atroci. Fu questa la proposizione che parve offensiva a’ buoni cittadini, ed indulgente a’ facinorosi. La Giunta lodò la purità di coloro che volevano l’eterna persecuzione del delitto, ma risguardando la quistione sotto l’aspetto della salute pubblica insistette sulla sua domanda, e né ottenne dà S. A. R. l’adesione  (42). Noi riproviamo del pari che ogni altro l’abuso delle abolizioni fatte nel Regno, e le risguardiamo come la cagione che ha riprodotto i delitti, ed ha corrotto la morale del popolo desideriamo che sia proscritta questa falsa indulgenza, che abbandona gli offesi per proteggere gli offensori; ma tra ’l disordine e l'ordire de’ essere segnato un termine dove finisca il primo, o d’onde cominci il secondo. Dopo tanto abuso di abolizioni e di amnistie non potea spiegarsi il rigore nel momento in cui i delinquenti e i buoni stringendosi con novelli nodi si faceano incontrò alla legge per prometterle che avrebbero d’oggi innanzi vivuto sotto la di lei comune tutela. Il nuovo patto sociale nel quale tutti hanno giurato, ed a cui tutti hanno cooperato sia il termine delle transazioni.

Tranne questa sola indulgenza contro a’ rei assenti, nel numero de’ quali erano molti illegalmente perseguitati, la Giunta ha procurato dal suo canto di dare all’amministrazione della Giustizia indipendenza e vigore. Le azioni penali sono state dichiarate pubbliche (43): sono stati dati a tutte le autorità i mezzi onde reprimere gli attentati contro all’ordine pubblico  (44): è stato riordinato e messo in attività il corpo della Gendarmeria Reale, ch’è stato per l’addietro sì benemerito dell’ordine e dell’interna tranquillità del Regno (45).

Noi avremmo desiderato di rendere all’amministrazione della Giustizia un servizio più importante, e questo è la riforma del suo personale. Niun’altra parte ha inteso le funeste conseguenze dell’arbitrio e del favore quanto la nomina de’ Magistrati. Avremmo desiderato o verificare le querele del pubblico, o smentirle con documenti, onde restituire la fiducia a coloro che entrano nel santuario della Giustizia. Il Ministro di questo ramo né avea fatto la proposizione (46). Ma la breve durata delle nostre funzioni ci ha impedito l’entrare in un esame spinoso, che d’altronde la Costituzione riserva al giudizio più maturo del Consiglio di Stato. Gli attuali magistrali non sono perpetui, e corre tuttavia il periodo del di loro esperimento. La giustizia di S. M. rischiarata da’ lumi del suo Consiglio, e dalla nota severità del Ministro potrà restituire all’ordine giudiziario i due principali pregi, l’illibatezza e la sapienza.

Signori Deputati. L’ultimo atto delle nostre deliberazioni contiene la disposizione, che sieno passate a voi gli originali volami delle nostre deliberazioni, e della nostra corrispondenza. La Divina Provvidenza ha secondato i nostri voti e ci ha concesso il potere rimettere nelle vostre mani il sagro deposito della libertà della Nostra Patria. Niun’ altra Nazione ha saputo, come noi, acquistarla con minori sagrifizj, né con maggiore virtù. Noi la sosterremo, protetti dal Re, difesi dal braccio di 300,000 cittadini, assistiti dal vostro consiglio, e dall’invincibile forza della concordia e dell’unanime voto della Nazione.

Napoli il dì 2 di Ottobre 1820.

Cav. Melchiorre Delfico.

Ten. Gen. Parisi.

Davide Winspeare.

Giacinto Martucci.

Diodato Vescovo di Cassano.

Giacinto Troysi.

Bar. Felice Parrilli.

Colona. Ferdinando Visconti.

Colonn. Giovanni Russo.

Angelo Abatemarco.

Carlo Forquet.


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(1) Sessione de' 15 Luglio della sera.

de' 17 Luglio della sera.

de' 22 Luglio della sera.

de' 25 Luglio del mattino.

de' 25 Luglio della sera.

de' 14 di Agosto della sera.

(2) Di spaccio de’ 19 di Agosto.

(3) Sess.  de' 12 Luglio del mattino.

(4) Sess. de' 13 la sera.

(5) Sess.  de’ 13 Luglio della sera.

de' 16 di Luglio del mattino.

de' 28 di Luglio del mattino. 

de' 14 di Luglio della sera. 

de' 15 del mattino.

de' 18 della sera.

(6) Sess. della sera de’ 18 di Luglio.

(7) Sess. della sera de’ 18 di Luglio.

de' 5 di Settembre del mattino.

(8) Sess. de’ 18 di Luglio della sera.

(9) Sess. de’ 6 di Agosto la sera. 

de’  9 di Agosto la sera. 

de’ 10 di Agosto del mattino.

(10) Sess. de' 5 di Agosto del mattino.

(11) Sess. de' 29 di Luglio del mattino. 

(12) Sess.  de' 10 di agosto la sera.

(13) Sess.  de' 24 Luglio della sera.

degli 11 di agosto della sera.

de' 3o di Settembre della sera.

(14) Sess. .de' 16 Agosto la sera.

Volume de’ processi verbali riservati.

(15) Sess.  de 24 di Agosto del mattino.

de' 25 di Agosto del mattino.

de' 26 di Agosto la sera.

Volumede processi verbali riservati.

(16) Sess.  de 28 di Agosto la sera. Vol. de proc. Verb. riservati.

(17) Sess.  del 1 Settembre del mattino, e della sera. Vol. de' proc.Verbali riservati,

(18) Sess. de’ 3o dì Agosto del mattino.

(19) Sess. de’ 28 Settembrela sera.

(20) Sess.  de' 13 di Luglio la sera.

(21) Sess.  de' 14 Settembre la sera.

(22) Sess. de' 13 di Luglio la sera.

(23) Sess. del dì 9 di Agosto la sera.

(24) Sess. de' 27 di Luglio la sera.

de' 7 di Agosto del mattino.

de' 24 di Agosto del mattino.

de' 4 di Settembre la sera.

(25) Sess.  del 1 di Settembre la sera.

de' 2 del mattino.

de’ 12 dì Settembre del mattino.

de' 3o di Settembre la sera

(26) Sess.  de 24 di Luglio del mattino.

de’ 27 di Luglio la sera.

(27) Sess.  del 1 Settembre della sera.

de’ 5 dì Settembre del mattino.

(28) Sess.  de’ 4 di Agosto del mattino. 

(29) Sess.  de 14 di Agosto del mattino.

(30) Sess.  de' 16 di Luglio del mattino.

(31) Sess.  de 16 di Luglio del mattino.

de' 21 di Luglio della sera.

de' 29 di Luglio della sera.

(32) Sess. de’ 21 di Luglio della sera. 

(33) Sess.  de’ 17 di Agosto del mattino.

(34) Sess.  de 17 di Agosto del mattino. Vol. de proc. Verb. riservati.

(35) Sess. de 21 di Agosto del mattino.

(36) Sess. de' 18 di Luglio del mattino.

de' 14 Lugliodel mattino.

degli 8 di Agosto del mattino.

de’ 21 di Agosto del mattino.

de’ 24 di Agosto del mattino.

de’ 24 di Agosto della sera.

de’ 26 di Agosto della sera.

de’ 5 di Settembre del mattino.

(37) Sess. del di di Luglio del mattino.

(38) Sess.  del di n di Luglio del mattino.

Memoria della Camera Consultiva di Commercio.

(39) Sess. de’ 3o di Agosto del mattino.

de’ 20 di Settembre della sera.

de’ 26 di Settembre della sera.

(40) Sess. de’ 13 di Luglio la sera.

de’ 21 di Luglio del mattino.

de’ 22 di Luglio del mattino.

(41) Sess. de’ 20 di Luglio del mattina. 

(42) Sess. de’ 20 di Luglio del mattina. 

de’ 29 di Luglio del mattino.

de' 29 di Luglio della sera.

degli8 di Agosto della sera. 

(43) Sess. de' 4 di Agosto la sera.

(44) Sess. de’ 3 di Agosto la sera, 

de' 5 di Agosto la sera. 

degli 8 di Agosto del mattina. 

degli 11 di Agosto del mattino.

de’ 12 di Agosto del mattino.

de’ 24 di Agosto la sera.

(45) Sess. del1 di Settembre.

(46) Sess. del dì12 di Agosto.





Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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