Eleaml - Nuovi Eleatici


LA QUESTIONE DELLE BANCHE ED IL SERVIZIO DI TESORERIA

PER ACHILLE PLEBANO E ADOLFO SANGUINETTI

FIRENZE - REGIA TIPOGRAFIA.

1869

(2)

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

CAPITOLO NONO

Sommarlo. — Il passaggio del servizio di Tesoreria alla Banca — Cenni storici di tale questione in Italia — Progetti del conte di Cavour — Progetto del ministro Manna — Progetto del ministro Sella — Progetto attuale — Principali disposizioni di esso — Cenni di alcuni dei vantaggi che da tale progetto derivano.

XLVIII.

La questione se si debba o non affidare il servizio di Tesoreria alla Banca nazionale, s'agita in Italia da 18 anni. Chi primo la sollevò, fu il conte Cavour, il quale, per ben tre Tolte, nel 1851, nel 1852 e nel 1853, presentava a tale uopo al Parlamento subalpino un progetto di legge.

Il primo progetto, presentato alla Camera elettiva il 24 maggio 1851, conteneva le seguenti disposizioni, vale a dire:

1° Aumento del capitale della Banca da 8 a 16 milioni.

2° Corso legale ai biglietti della Banca nelle transazioni fra il governo ed i privati ed i privati fra.

3° Obbligo alla Banca di instituire due nuove succursali, nelle città di Nizza e Vercelli.

4° Assunzione per parte della Banca, senza corrispettivo dello funzioni di cassiere dello Stato, con obbligo di fare gratuitamente il giro dei fondi dello Stato dall’una all’altra città, ove la Banca avesse sedi e succursali.

5° Obbligo nella Banca di assumere, a richiesta del Governo, anche il servizio del debito pubblico.

Quali motivi hanno consigliato al conte di Cavour la presentazione di quel progetto di legge? Eccoli sommariamente accennati. Il piccolo Piemonte, che, con impari forze, aveva osato affrontare una grande potenza militare, che aveva lottato per due anni, ora con prospera ora con avversa sorte, per liberare la Lombardia e la Venezia dalla straniera soggezione, il piccolo Piemonte aveva dovuto sottostare a gravissimi sacrifizi.

Le sue casse che, per la lunga pace onde aveva goduto e la parsimonia dei suoi governanti—parsimonia, a dir vero, che spesso confinava colla grettezza— rigurgitavano di oro e di argento, si trovarono vuote in pochi mesi, per le spese della guerra del 1848. Allora si dovette ricorrere — come ricorrono tutti i governi in tempi di crisi — ad operazioni di credito; s’impose al paese un prestito obbligatorio, si chiesero denari ai capitalisti esteri, si cercò aiuto da tutte le parti. Tra gli spedienti ai quali si ricorse, vi fu pur quello di un imprestito di 20 milioni da farsi dalla Banca. Ma siccome la Banca, costituita, come era, con un capitale di appena 4 milioni, non avrebbe potuto imprestare al Governo la somma richiesta, fu necessario dare ai suoi biglietti il corso forzoso.

Il corso forzoso, non ebbe, a dir vero, disastrose conseguenze. L’aggio dell’oro non fu mai eccessivo, perché da una parte l'emissione fu prudentemente regolata e dall’altra la popolazione aveva fiducia nella Banca e soprattuto la coscienza della propria forza, la fede nel proprio avvenire.

Terminata la guerra colla infausta giornata di Novara, gli animi non si composero a calma. Ci fu dapprima la rivolta di Genova, poi una Camera che poco s’accordava col ministero; ed intanto i debiti non si pagavano, il disavanzo s’aumentava, tutto era incertezza e la diffidenza cominciava a farsi strada.

Per le finanze trascorsero inutilmente il 1849 ed il 1850. È solo nel 1851 che si adottarono efficaci provvedimenti per rimediare al dissesto finanziario che andava facendosi ogni giorno maggiore.

Dopo che si ebbe provveduto ad aumentare le entrate, si pensò a far cessare il corso forzoso. La prima condizione per ritornare alla convertibilità dei biglietti, era naturalmente quella di restituire alla Banca i 20 milioni onde era creditrice verso lo Stato, ed il Governo si mise in grado di soddisfare a tale suo debito coll'emissione di speciali obbligazioni.

Ma ciò non bastava; col corso forzoso la circolazione fiduciaria si era grandemente estesa; quello cessando, come era stabilito, pel 15 ottobre 1851, questa doveva necessariamente essere ridotta in assai più limitati confini.

E quindi il commercio non solo non avrebbe più potuto attingere alla Banca in quella larga misura che soleva durante il corso forzoso, ma, per di più, avrebbe dovuto pagare un più alto sconto. La conseguenza di tutto ciò sarebbe stata questa, che mentre da una parte si dovevano chiedere nuovi sacrifizi al paese, dall’altra parte la produzione si sarebbe rallentata, lo svolgimento della pubblica ricchezza avrebbe sostato, ed il paese non sarebbe stato in grado di rispondere all'appello del Governo.

Era quindi dovere del Governo di ricorrere a quei provvedimenti che l’esperienza di altri popoli dimostrò acconci ad ovviare ai mali che si temevano; era, insomma, dovere del Governo di operare in modo che il commercio potesse anche in avvenire trovare nella Banca il necessario aiuto.

La prima idea che si affacciava al grande uomo di Stato che allora reggeva la pubblica finanza, fu quella di invitare la Banca ad aumentare il suo capitale. Ma l’aumento del capitale non bastava; bisognava sopratutto cercare di ottenere che il biglietto non affluisse troppo rapidamente al cambio nel momento in cui il corso obbligatorio fosse per cessare.

Per combattere questa tendenza, e riescire a mantenere una circolazione di 40 milioni, che pareva possibile, il conte di Cavour proponeva appunto di accordare ai biglietti della Banca il corso legale in tutta la sua estensione.

Il corso legale tornava certo utile alla Banca; ma non tornava meno utile allo Stato. La Banca, quando fosse riuscita, a mantenere una circolazione di 40 milioni, avrebbe fatto un buon affare; ma ciò non solo non tornava di pregiudizio al paese, ma concorreva anzi a svolgerne la ricchezza.

Il corso legale, osservava allora il conte Cavour, riunisce ad un tempo i vantaggi della circolazione del metallo e quelli della circolazione cartacea.

L’assunzione poi per parte della Banca del servizio della tesoreria generale, nel concetto del conte Cavour, era considerato piuttosto come un onere che come un vantaggio; onere che si imponeva alla Banca come il corrispettivo dei favori speciali e della protezione che le si accordava.

Il progetto del conte Cavour trovava lieta accoglienza nella Commissione della Camera elettiva. Il corso legale veniva ad unanimità, meno un voto, approvato dalla Commissione, la quale però ne voleva ridotta la durata a 15 anni.

La Commissione accettava pure il passaggio del servizio della tesoreria generale alla Banca nazionale; e lo accettava — come faceva giustamente osservare — perché lo considerava come un fattore della circolazione cartacea. — «Il corso legale — diceva infatti la Commissione — riesce ne’suoi effetti a supplire in parte anche ad un maggior numero di succursali, nel senso che procura un facile sfogo ai bigliettia comodo dei contribuenti o debitori dello Stato. »

Ma apertasi la discussione al 1° luglio 1851, il progetto incontrava dai vari banchi della Camera una vivissima opposizione.

Gli argomenti che vennero svolti dagli oppositori, sono sostanzialmente questi:

Il progetto sancisce un privilegio per la Banca.

Non è cosa prudente allargare la circolazione della carta, imperocché quando sopravvenga una crisi, tanto maggiori no saranno le rovine, quanto sarà maggiore la circolazione fiduciaria.

Vi è perfino a dubitare, si diceva, se sia utile la circolazione della carta. E questo dubbio ha il suo motivo di esistere in ciò, che sono appunto i paesi dove è più antico e più esteso l’uso della carta, che vanno più soggetti a crisi economiche.

Il corso legale è una violenza; perché vincola la libertà, attaccala proprietà, impone la fiducia, quando la fiducia non esiste. 0 la Banca ha credito, ed il corso legale è inutile; o non ha credito, ed il corso legale, imponendolo, violenta la libertà dei cittadini e ne viola la proprietà, perché li costringe ad accettare carta, invece del denaro loro dovuto.

Il pericolo delle crisi s’aumenta col corso legale, perché esso esclude la concorrenza, fa del credito un monopolio, del. quale facilmente si abusa; e produce, come ultima conseguenza, l’esportazione del numerario.

Nelle crisi politiche è dannoso il sistema d’una Banca privilegiata; perohè tutti affollandosi ai cambio dei biglietti, spesso il cambio diventa impossibile. Indi la necessità del corso forzoso. Il cambio dei biglietti, con due sole succursali, non essendo agevole, eccita l’aggiotaggio a favore dei grossi capitalisti.

È errore il credere che il progetto valga ad estendere il credito. Il credito vive di libertà e di fiducia; il monopolio è l’ostacolo principale allo svolgersi del credito.

Il ribasso dello sconto si può soltanto ottenere colla concorrenza. Questa tolta di mezzo, il saggio dello sconto dipenderà dalla volontà della Banca; la quale naturalmente ha interesse di tenerlo alto il più che sia possibile per guadagnare di più.

XLIX.

Questi sostanzialmente furono gli argomenti sviluppati da coloro che combatterono il progetto. Se l’assalto fu vivo, non pieno viva fu la difesa; la quale fu principalmente sostenuta dal conte Cavour con tanta varietà di argomenti, con tante assennate osservazioni, che la vittoria non sarebbe stata dubbia, se meno vive fossero state le prevenzioni contro la Banca, e meno radicato il pregiudizio della tirannia del capitale ed altri errori economici.

Conseguenza dell’azione di una grande Banca, si diceva dal conte Cavour e dai sostenitori del progetto, è l’uniformità ed il ribasso dello sconto.

Potrebbesi non far differenza tra grandi e piccole Banche, quando si tratti di Banche di deposito e di sconto. Ma tra grandi e piccole Banche, vi ha un’essenziale differenza, quando, oltre allo sconto ed all'anticipazione, abbiano anche la facoltà dell'emissione.

All’aggiotaggio si dà vita colla pluralità delle Banche di emissione, non colla Banca unica; imperocché la circolazione restando, per ognuna di esse, limitata ad un piccolo centro, non vi ha più possibilità di cambio, quando il biglietto per una causa qualunque esca dalla sua naturale periferia. — Ne sorgerà quindi la necessità dei cambia valute e con questi l’aggiotaggio. — Colla Banca unica, invece, il biglietto circola per tutto lo Stato, è convertibile a volontà nei centri più importanti, ha maggiore solidità e garanzia.

Avvenendo perturbazioni economiche, una Banca di circolazione su larghe basi ha, sulle piccole Banche, questo vantaggio, che può facilmente procurarsi numerario all’estero per superare o rendere meno disastrosa la crisi.

Quanto alla Banca, rispetto al Governo, giova notare che essa è utile allo Stato direttamente quando sconta i suoi Buoni; lo è indirettamente, quando sussidia capitalisti che fanno operazioni con esso.

Una grande Banca di credito costituisce un’arma potente in momenti difficili.

Rigettando il progetto, non si ottiene perciò che sorgano le piccole Banche.

Il corso legale è utile alla Banca nei periodi di transizioni e nei momenti di crisi, perché rende minore l’affluenza al cambio e dà maggiore tempo alla Banca per provvedere.

Nei tempi normali il corso legale non ha che pochissima o nessuna influenza. Esso non ha gli inconvenienti che gli furono attribuiti, ma presenta molti e reali vantaggi. Rende più semplice, più economica, più regolare la circolazione in tutte le parti dello Stato; rende disponibile una massa di metalli preziosi; ed evita in molti casi, quando le crisi non si presentino con troppa intensità, la necessità di ricorrere al corso forzato; perché se la crisi non è grave, basta il corso legale per impedire l’afflusso troppo repentino dei biglietti al cambio.

Il monopolio, anche senza il corso legale, la Banca lo avrà pur sempre di fatto; perché, nelle condizioni del paese e del credito, non possono sorgere altri stabilimenti di circolazione che le possano fare seria concorrenza.

L’esportazione del denaro, quando non sia determinata da nna troppo eccessiva prevalenza della importazione sulla esportazione, non è un danno, ma un vantaggio; perché costituisce una speculazione che non sarebbe possibile senza la circolazione della carta.

Nè può affermarsi esista troppa difficoltà pel cambio, perché nei piccoli comuni i biglietti si possono versare nelle casse governative in pagamento delle imposte.

Ma ad onta di queste gravissime considerazioni sotto splendida forma esposte dal conte Cavour, la opposizione al progetto non aveva punto rimesso della sua tenacità, tanto che non era infondato il timore potesse essere rigettato.

Allora il conte Cavour, nell’impossibilità di far trionfare intere le sue idee, pensò che meglio era accontentarsi intanto del poco che poteva ottenersi; e in tale scopo propose che, abbandonando il progetto, si votasse un unico articolo per dare il corso legale ai biglietti della Banca, soltanto fino al termine dell’anno.

In questa proposta spiccava netto il pensiero del conte Cavour; e questo pensiero era di poter passare dal corso obbligatorio alla convertibilità dei biglietti senza scosse, senza perturbazioni, senza che sorgesse alcuno di quegli accidenti che rendono talvolta il rimedio peggiore del male.

Ma tanto vivaci, quantunque 'però non tanto generalizzate, erano allora, come sono adesso, le prevenzioni contro la Banca, tanti erano pure i pregiudizi intorno al capitale, si spingeva tanto oltre l’amore platonico ad una libertà astratta, che le concessioni del conte Cavour a poco valsero. La sua nuova proposta non 'pareva avesse ad incontrare miglior fortuna dell’intero progetto.

Si era fortunatamente vicini alla metà di luglio; i banchi della Camera cominciavano a diradarsi; il numero legale dei deputati più non esisteva; la Camera dovette necessariamente prorogarsi. — Poco stante fu chiusa la sessione, e non si parlò più, per quell’anno, del tanto combattuto progetto.

Ma il conte Cavour, tra le altre sue qualità, aveva pure quella della tenacità, che derivava in lui dalla larghezza delle vedute, dalla profondità delle idee. Vedeva più lungi di quello che vedessero gli altri. Educato alla scuola inglese, egli ben sapeva che, né per gli individui, né per gli Stati, vi ha potenza senza prosperità materiale, e che per acquistare forza e potenza, bisogna svolgere tutte le attività onde un popolo è dotato, e fecondarne tutte le ricchezze. La sua vasta mente presentiva già fin d’allora le lotte che sarebbero state iniziate dal Piemonte per la redenzione d’Italia. In tutti i modi cercava di adoperarsi per avviare il suo paese sul sentiero del progresso morale, intellettuale ed economico; lo voleva preparato ad ogni evento, ad ogni contingenza che potesse sorgere. La estensione del credito, i capitali a buon mercato, erano per il conte Cavour le condizioni prime della pubblica prosperità. Cercava tutti i modi di favorire il commercio bancario, siccome quello che, riunendo e rendendo produttivi i capitali sparsi quà e là, facilita le transazioni, aiuta la produzione, aumenta la pubblica ricchezza.

Il progetto del 1851 era stato moralmente respinto dalla Camera; l’opposizione era sorta da tutti i banchi, da destra, da sinistra, dal centro. Erano molti gli avversi; pochi i favorevoli. Ma il conte di Cavour, che aveva fede nelle sue idee, ritornò alla carica nel 1852, ripresentando, ma alquanto modificato, alla Camera elettiva il progetto del 1851.

Le modificazioni introdotte in quel progetto, erano le seguenti: vale a dire che il corso legale non dovesse avere che la durata di 10 anni; che il cambio dei biglietti in numerario, e viceversa, si dovesse anche fare dalle tesorerie provinciali, che la Banca dovesse fornire dei fondi occorrenti; che il cambio dei biglietti di lire 1000 potesse essere differito di 5 giorni nelle succursali; che uguale differimento dovesse ammettersi per il cambio dei biglietti da lire 1,000 e 500 nelle tesorerie; che la Banca, quando le due succursali da instituirsi fossero attive, dovesse instituirne delle altre in altre città; e che in fine dovesse, a richiesta, anticipare al Governo 5 milioni al 3 per 0[Q su deposito di rendita dello Stato o di Buoni del Tesoro.

Restavano affidate alla Banca, come erasi disposto nel progetto del 1851, le funzioni di cassiere centrale del Governo.

Gli oppositori al progetto del 1851 avevano obbiettato che dando il corso legale ai biglietti della Banca, mentre essa non aveva jhe le due sedi di Torino e di Genova, il cambio dei biglietti sarebbe stato non solo difficile, ma illusorio. Ed ecco che il conte Cavour propone nel nuovo progetto che il cambio si operasse dalle Tesorerie, le quali esistevano allora in tutti i capi luoghi di provincia e di circondario.

Il progetto di legge non era stato accolto troppo favorevolmente dalla Camera elettiva. Ad ogni modo fu nominata la Commissione, che s’accinse a studiarlo.

Ma intanto accadeva un fatto, il quale, quantunque di facile spiegazione, era però alquanto strano. Contro la potenza della Banca nazionale si gridava allora come si grida adesso, ma con questa differenza, che allora i nemici od avversari della Banca erano in cosi ristretto numero, erano cosi poco autorevoli, che la loro voce era poco ascoltata, i loro consigli poco accetti.

L’autorità del conte Cavour, quantunque fosse ancora ben lungi dall’avere quelle proporzioni che ebbe in seguito, tuttavia cominciava già a farsi sentire nel paese. Nel ministro delle finanze e dell’agricoltura si cominciava a presentire il grand’uomo.

Per impedire che il progetto del conte Cavour approdasse, si ricorse ad un intrigo bancario. 0 fosse avidità di lucro, o fosse invidia ed inimicizia verso la Banca, o l’una o l’altra cosa insieme, fatto sta che alcuni speculatori si unirono, e progettarono l’istituzione d’una nuova Banca, con un capitale di 16 milioni, senza punto pretendere il corso legale ed il servizio di tesoreria.

La proposta pareva seria, perché tra i proponenti si trovavano alcune rispettate case bancarie di Torino e di Genova, le quali, giova dirlo a loro onore, avevano dato la loro firma credendo di concorrere ad una seria intrapresa, senza pur sospettare di poter essere gli strumenti di manovre di borsa.

Intanto il conte Cavour, che si trovava in divergenza su alcune questioni coi suoi colleghi, rassegnava le sue dimissioni, e veniva nominato ministro delle finanze il conte Cibrario il quale ebbe lunghe trattative coi sedicenti fondatori della nuova Banca che avrebbe assunto la denominazione di Sarda.

Si trattò a lungo, con era difficile il mettersi d’accordo, già lo si era, e più non mancava che di firmare la convenzione da presentarsi al Parlamento. Ma, arrivati a questo punto, ecco che i fondatori della nuova Banca ritirano la loro domanda; e la ritirano senza averne un motivo... o se pure ne avevano uno, era questo che non credevano più opportuna la fondazione della Banca Sarda.

Naturalmente tra il giorno della presentazione della domanda e quella del ritiro, molti fatti erano avvenuti, molte speculazioni avevano potuto aver luogo, molte fortune avevano potuto sorgere od aumentarsi; il tiro, insomma, era fatto; lo scopo si era conseguito; ed il governo si trovava nuovamente di fronte alla Banca nazionale.

Come già dicemmo, reggeva le Finanze dello Stato l’onorevole Cibrario, che s’era acquistato fama di valoroso scrittore non solo di cose letterarie ma eziandio di economiche. Ma il Cibrario, quantunque di ingegno facile e versatile, nudrito di forti studi, abile amministratore da alcun tempo di una delle principali aziende dello Stato, non era tuttavia un economista nello stretto significato della parola. Le questioni economiche e bancarie le conosceva piuttosto storicamente che praticamente, od appena quel tanto ne sapeva che è possibile a chi volge la sua mente a studi diversi e disparati.

Onde è che né poteva essere invogliato, né forse si sentiva il coraggio di affrontare in Parlamento una questione tanto grave e difficile come quella che si collegava al progetto del conte Cavour.

Per dirla in breve, insomma, le nuove trattative colla Banca nazionale si apersero su una base più ristretta. Non si parlò più del corso legale e del servizio di tesoreria, ma solamente di parziali modificazioni agli Statuti della Banca, con aumento del suo capitale.

Il progetto che allora fu discusso e votato dal Parlamento, diventò legge dello Stato sotto la data dell’11 luglio 1852.

Questa legge portava che il capitale della Banca nazionale fosse aumentato da 8 a 32 milioni; che fossero stabilite entro un anno due succursali, 1 una in Nizza, l’altra in Vercelli; che una terza succursale fosse stabilita in altra Città, quando gli utili delle prime due avessero coperto le spese; che la Banca dovesse fare anticipazioni allo Stato sino a 15 milioni contro deposito di rendita pubblica o di Buoni del Tesoro all’interesse del 3 p. 0|o; o che, infine, potesse concorrere all’erezione di casse di sconto per un capitale non maggiore di due milioni.

Era sotto un certo aspetto il progetto del conte Cavour, meno però i due punti più importanti, vale a dire il corso legale ed il servizio di tesoreria.

L.

Il conte Cavour non tardava a riassumere il potere, por non lasciarlo più sé non per breve tempo all'epoca della pace di Villafranca. Sua prima cura fu di occuparsi nuovamente delle quistioni bancarie; ed il 7 maggio 1853 presentava alla Camera elettiva un nuovo progetto di legge, col quale si affidava alla Banca il servizio della Tesoreria generale, il servizio della Cassa dei depositi e dei prestiti, le si dava la facoltà di ricevere in garanzia d’effetti a due firme le dichiarazioni di merci allogate in pubblici depositi, e le si imponeva l’obbligo di concorrere per un capitale di 500 mila lire alla creazione di una Banca di circolazione e di sconto in Sardegna.

In questo nuovo progetto più non si parlava di corso legale, ma però il Governo si assumeva un obbligo che per la Banca avrebbe avuto, press’a poco, gli stessi effetti del corso legale; l’obbligo, vale a dire, di far cangiare dai suoi tesorieri i biglietti della Banca in numerario e viceversa.

In questi progetti, scopo del conte Cavour fu sempre questo, di sostituire alla moneta metallica la carta fiduciaria, di allargare la circolazione della Banca per modo che potesse maggiormente aiutare lo sviluppo dei commerci e delle industrie.

E qui torna in acconcio una osservazione.

Le finanze dello Stato di Sardegna, quantunque non fossero cosi squilibrate come quelle del Regno d’Italia, non erano tuttavia e non furono mai in condizioni normali. H bilancio si chiudeva sempre con disavanzi più o meno sensibili, ai quali si faceva fronte con operazioni di credito. L’aumentare i pubblici balzelli era una inesorabile necessità; ed il Governo subalpino non si peritava di aumentare le imposte esistenti e di crearne delle nuove. Il conte Cavour era fisso in questo pensiero, che le imposte non diventano veramente produttive se non si aumenta la produzione, se non si accrescono le transazioni. E quindi se da una parte imponeva al paese nuovi sacrifizi, si adoperava dall’altra nel dar vita a nuove industrie, nell’aprire nuove vie e nuovi sbocchi al commercio, e sopratutto poi ad infondere nel paese l’amore al lavoro. Ammiratore dell’Inghilterra e dei suoi ordinamenti, esso ben sapeva che il commercio e le industrie non possono prosperare se non hanno abbondanti capitali.

Scopo precipuo delle Banche essendo appunto di riunire, per fecondarli, i capitali che altrimenti resterebbero infruttuosi nei forzieri dei privati, il conte Cavour reputava essere non solo utile ma indispensabile il promuovere la creazione di Banche e di istituti di credito.

La Banca nazionale doveva essere, per lui, la leva per sollevare il credito del paese e dare vigoroso impulso allo svolgersi della pubblica ricchezza. Il corso legale dei biglietti doveva a sua volta dare alla Banca viemaggiore solidità e potenza. Egli è perciò che per ben due volte il corso legale fu dal conte Cavour proposto, e fu solo quando comprese che non avrebbe potuto sortir vincitore dalla lotta contro il pregiudizio, che egli ne abbandonava il pensiero.

Gli effetti però del provvedimento che ip luogo del corso legale egli proponeva non sarebbero stati molto diversi. Dal momento che il cambio dei biglietti in numerario fosse stato agevole — e sarebbe stato agevole, in quanto che le tesorerie esistevano anche nei capiluogo di circondario — evidentemente il biglietto avrebbe surrogato con facilità nelle ordinarie transazioni la moneta metallica. Il biglietto di Banca, insomma, si sarebbe diffuso in tutti i comuni, non avrebbe più sollevate diffidenze, sarebbe entrato in breve volgere di tempo nelle abitudini delle popolazioni; e lo scopo che il conte Cavour si proponeva col corso legale, sarebbe stato ugualmente raggiunto.

Il progetto del 1853 non incontrava più nella Camera l'opposizione che incontrato avevano i progetti del 1851 e 1852.

La Commissione, della quale era relatore l’onorevole Lanza, ne proponeva l'adozione, la Camera lo discuteva in due sedute e lo approvava a grande maggioranza.

Ma l'opposizione sorgeva fierissima in altro recinto, nel Senato del Segno. L’ufficio centrale del Senato, del quale era relatore quell’eletto ingegno che fu il Giulio, ne proponeva irremissibilmente il rigetto.

La discussione incominciava il 14 novembre 1853, e continuava nelle sedute del 15 e del 18 dello stesso mese. Il Giulio e gli altri oppositori della legge avanzavano i soliti argomenti.

La libertà, essi dicevano, anche quando si tratti del commercio bancario, è migliore del monopolio; l’azione spontanea dei privati è migliore dell’ingerenza governativa. Coi favori che le si accordano, la Banca tende a diventare Banca unica; ora dalla Banca unica si sdrucciola facilmente nella Banca privilegiata; e dalla Banca privilegiata nella Banca di Stato.

Banca privilegiata e Banca di Stato, sono due cose piene di danni e di pericoli.

Con nuove concessioni di favore alla Banca nazionale, si rende impossibile la creazione di Banche locali; si rende impossibile la concorrenza; si rende impossibile la diminuzione dello sconto, ed i capitali a buon mercato.

Per diffondere il credito, per abituare le popolazioni a servirsi dei biglietti, anziché della moneta metallica, sono più efficaci le Banche locali, che non la Banca unica.

Una più stretta unione tra la Banca ed il Governo può far commettere errori a questo ed a quella, e trascinarli ambedue al di là del loro dovere.

Alle arringhe, certo eloquenti, degli oppositori, rispondeva con evidenza di argomentazioni il conte Cavour. La Banca nazionale, egli diceva, costituita con un capitale di 32 milioni, è in condizione di far fronte ai bisogni economici del paese.

Non può sperarsi o temersi sorga un altro stabilimento che possa farle concorrenza.

Sul terreno pratico, siamo nelle stesse condizioni che se si fosse concesso alla Banca nazionale un semiprivilegio, che se le avessimo dato l’affidamento o la promessa di non concedere ad altra società di stabilirsi sopra basi ugualmente larghe. Inutile quindi discutere la questione della pluralità o della unicità delle Banche di circolazione.

Data una Banca potente, come abbiamo noi, dobbiamo cercare di trarne il maggior utile possibile. La Banca e lo Stato si rendono un servizio reciprocò; la prima assumendo le funzioni di cassiere generale, il secondo facilitando alla Banca per mezzo dei tesorieri il cambio dei biglietti.

Ivantaggi pel Governo sono due: uno secondario, ed è la economia che ottiene dall’essersi tolto il carico della tesoreria generale; l’altro importantissimo, ed è quello di accelerare molto la circolaeiotie dei biglietti e del numerario, e di aumentare Vattività economica nelle parti più vicine come nelle più lontane dai grandi centri dove finora è in gran parte concentrata.

Nei tempi ordinari, e più negli straordinari, le Banche sono di potentissimo aiuto ai Governi. E qui il conte Cavour veniva enumerando i vantaggi che dalla loro Banca, l’Inghilterra, la Germania, l’Austria ed il Piemonte avevano ottenuti.

Le Banche molteplici, egli diceva, non possono non essere impotenti ed il Governo non può sperare da esse, in momenti di crisi, efficaci soccorsi.

Per evitare le crisi, non vi hanno che due mezzi: alzare lo sconto e importare numerario dall’estero. Al primo mezzo possono ricorrere tanto le piccole Banche quanto le grandi; il secondo non può abbracciarsi che dalle ultime.

Il conte Cavour, in quella memorabile discussione, fu profondo, sottile, eloquente. Spiegò tutte le risorse del vasto ingegno. Si mostrò profondo conoscitore delle questioni bancarie e della storia economica di tutti i paesi.

Rispose a tutte le obbiezioni, combatté tutte le argomentazioni degli avversari, pose i fatti economici sotto la loro vera luce. Pareva che finalmente le sue idee dovessero trionfare; avvegnaché gii articoli del progetto siano stati adottati ad uno ad uno. Ma il naufragio lo aspettava quando già credeva di avere toccata la riva. Allo scrutinio secreto il progetto aveva in favore 28 voti, contro 32. Era rigettato per la terza volta.

Per parecchi anni la questione, che il conte Cavour, con rara costanza, aveva tentato inutilmente di risolvere, fu posta in disparte. Più nessuno ebbe ad occuparsene.

LI.

Sorto nel 1861, per una mirabile cospirazione di straordinari eventi, il Regno d’Italia, acquietatesi alquanto le politiche disquisizioni, accintosi il Governo ed il Parlamento a riordinare la pubblica amministrazione, a risolvere quei problemi economici e finanziari che la necessità delle cose rendeva più urgenti, veniva nuovamente a galla la questione della Banca, e con essa quella del servizio di tesoreria.

Il 3 agosto 1863 il Manna, ministro d’agricoltura e commercio, presentava al Senato del Regno il progetto di legge per l’approvazione degli Statuti della Banca d'Italia.

Nello Statuto il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca veniva consacrato in principio; imperocché si imponeva ad essa l’obbligo di assumere il servizio stesso alle condizioni che sarebbero state determinate da apposita legge.

Questa speciale disposizione veniva, quasi senza discussione, dal Senato acconsentita.

Approvati dal Senato del Regno, gli Statuti per la Banca d’Italia venivano presentati il 18 aprile 1864 alla Camera dei deputati. Il Broglio era nominato relatore della Commissione, e presentava alla Camera il suo lavoro l'11 luglio.

Il principio ohe, rispetto al servizio di tesoreria, veniva dal progetto ministeriale consacrato, era mantenuto nel progetto della Commissione, ma con qualche variazione di forma.

La stagione era troppo innoltrata, e troppo gravi le questioni che al progetto si collegavano, perché fosse possibile di sperare potesse la Camera accingersi a discuterlo.

Il Parlamento veniva prorogato; né era riconvocato che verso la fine di ottobre per discutere la Convenzione di settembre per lo sgombro delle truppe francesi da Roma, e per il trasporto della Capitale a Firenze.

Nelle agitate discussioni che sulla Convenzione di settembre ebbero luogo, il progetto del Manna si trovò naturalmente posto in dimenticanza.

Il progetto sulla Banca d'Italia veniva finalmente dal Senato del Regno approvato nel 1865.

Il 3° alinea dell’art. 4 dello Statuto per l’istituzione della Banca, suonava cosi: «assumerà (la Banca) gratuitamente il servizio delle tesorerie, a misura che le verrà affidato dal Governo, e può, ai patti da stabilirsi, assumere la percezione delle imposte.»

Il progetto stesso veniva dal Sella presentato alla Camera elettiva il 19 dicembre 1865.

Intanto, come già avemmo altrove occasione di rammentare, con decreto reale del 29 giugno 1865 il capitale della Banca nazionale italiana era stato portato da 40 a 100 milioni; e l’amministrazione centrale di essa traslocata da Torino a Firenze.

L’art. 8 del rammentato decreto era cosi concepito: «La Banca è tenuta ad assumere il servizio della Tesoreria a misura che le verrà affidato. Questo servizio sarà fatto gratuitamente, sempre che i biglietti della Banca nazionale siano ricevuti in tutte le casse dello Stato poste nei luoghi ove è una sede od una succursale della Banca, ed in tutte le altre casse dello Stato poste nelle provincie nelle quali l'ufficio di Tesoreria è affidato alla Banca. A richiesta del Governo, e mediante un equo compenso, è tenuta ad aprire soscrizioni di rendita pubblica e provvedere recapiti commerciali su piazze estere.»

La questione era troncata: il principio era sancito. Non bì trattava più che di attuarlo a poco a poco.

Il 23 ottobre dello stesso anno, il Sella addiveniva colla Banca nazionale alla stipulazione d’una convenzione, approvata con decreto reale dello stesso giorno, da presentarsi al Parlamento per essere convertito in legge.

Questa convenzione disponeva che la Banca nazionale dovesse assumere e fare gratuitamente, a cominciale dal 1° gennaio 1866, il servizio delle tesorerie dello Stato, compreso quello del Debito pubblico, della Cassa ecclesiastica, e della Cassa dei depositi e dei prestiti.

Era nella convenzione stessa stabilito che i contabili dello Stato dovessero ricevere come danaro contante i biglietti della Banca che venissero offerti in pagamento nell'interesse dello Stato; il che, in altri termini, voleva dire che ai biglietti della Banca era dato il corso legale limitatamente ai pagamenti che si dovessero fare nelle casse governative. E ciò doveva certamente contribuire ad allargare la circolazione della Banca, perché, come facemmo già osservare altrove, dal momento che i biglietti si sarebbero dovuti necessariamente ricevere dai contabili del Governo, doveva d’assai scemare quella ripugnanza, che è d’altronde naturale a tutti i popoli non abbastanza iniziati nel meccanismo del credito, ad accettare, come danaro sonante, i biglietti della Banca.

Quale esito abbia avuto la convenzione del Sella, nessuno è che ignori. Il Sella persuaso, come era, della incontestata bontà, tanto rispetto al Governo, quanto rispetto al paese, della convenzione stipulata colla Banca, non presumeva avesse ad incontrare troppo serie e troppo vive opposizioni. Non tardava a presentarla al Senato del Regno, ma intanto aveva fatto o stava facendo le occorrenti disposizioni, affinché la convenzione avesse ad essere attuata col 1 del 1866.

Forse potava accadere, ed anzi sarebbe accaduto di certo, che la convenzione dovesse attuarsi prima che avesse potuto essere dal Parlamento approvata.

Da coloro ai quali troppo non andava a versi che la questione fosse pregiudicata con un fatto compiuto, fu interpellato il ministro se, non intervenendo, prima che l'anno scadesse, l'approvazione del Parlamento, la convenzione sarebbe stata ciò non ostante eseguita. Parve al Sella che, stando il' progetto davanti all’altro ramo del Parlamento, o non si dovesse prendere alcuna deliberazione, o soprassedere alquanto dal prenderla. I suoi sforzi a nulla valsero; dietro proposta dell’on. Valerio fu votato un ordine del giorno col quale s'invitava il Ministero a non dare principio all’esecuzione del patto, se prima il Parlamento non l’avesse approvato.

Il Sella cadeva sotto quell’ordine del giorno; e per una strana combinazione gli succedeva nel Ministero delle finanze l'onorevole Scialoja, il quale, nella sua qualità di relatore dell’ufficio centrale del Senato, aveva caldeggiato e proposto, a nome dell’ufficio stesso, l’adozione della convenzione colla Banca; convenzione che veniva dal Senato approvata nel successivo mese di febbraio, dopo breve discussione, con 71 voti favorevoli contro 31.

Non tardava il progetto ad essere presentato alla Camera elettiva. — Una larga messe di altri importanti progetti già le stava davanti; gli animi cominciavano ad essere preoccupati dagli eventi che sovrastavano; non ebbe campo la Commissione di riferire sul progetto, né la Camera di discuterlo.

D’allora in poi, fino cioè al 1868, più non si parlò né di Banca né di tesoreria. La questione giacque sepolta negli archivi della Camera.

LII.

Cambray-Digny, nella sua prima esposizione finanziaria, esternava il proposito di risollevare la tanto dibattuta questione del servizio di tesoreria da affidarsi alla Banca; proposta che concretava poscia nella prima delle convenzioni presentate alla Camera elettiva il 24 maggio 1869.

Le principali disposizioni della nuova convenzione sono le seguenti:

La Banca eserciterà gratuitamente il servizio di tesoreria dal primo gennaio 1870, ed in ogni caso non più tardi del giorno in cui le saranno rimborsati i 378 milioni onde è creditrice verso lo Stato.

Dovrà versare nelle casse dello Stato, a garanzia della sua gestione, 100 milioni di lire, all'interesse del 5 per 0|0; e si procurerà tale somma portando il suo capitale a 200 milioni.

Il Governo si obbliga di mantenere un fondo di cassa, pel disimpegno del servizio, non inferiore a 40 milioni di lire.

La Banca è autorizzata a concorrere per una somma che non ecceda il decimo del suo capitale, all’istituzione di casse di sconto ed a prender parte alla formazione di una nuova società per la vendita dei beni demaniali, od all’ingrandimento della società attuale.

Essa dovrà ripigliare il cambio de suoi biglietti in valuta metallica sei mesi dopo che abbia ricevuto il pagamento del suo credito, e togliere dalla circolazione i biglietti di piccolo taglio non autorizzati dai suoi statuti.

I biglietti della Banca godranno del favore del corso legale per le riscossioni ed i pagamenti che si fanno dalle pubbliche amministrazioni.

Infine coll’art. 25, è riservata la facoltà al Governo di affidare il servizio di tesoreria per 15 provincie, ed alle condizioni alle quali lo assumerebbe la Banca, al Banco di Napoli.

Tali sono le principali clausole della convenzione presentata dal ministro delle finanze.

Prima di entrare nel merito di questa convenzione e di farci ad esaminare le obbiezioni che le furono mosse, un’importante avvertenza è d’uopo fare: la questione del servizio di tesoreria si trova collegata col piano finanziario che l’on. ministro delle finanze esponeva alla Camera elettiva nella seduta del 20 e del 21 aprile 1869, e più specialmente connessa colla cessazione del corso forzoso dei biglietti della Banca, che preoccupa giustamente Governo e paese.

La questione assunse perciò assai più ampie proporzioni che prima non avesse; onde è che considerandola soltanto o dal punto di vista dell’economia,

o della maggiore regolarità che si potrebbe ottenere nel servizio di contabilità, si farebbe uno studio incompleto e non adeguato alla gravità delle condizioni nelle quali versiamo.

Il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca è veramente utile allo Stato ed al paese? Quali sono i vantaggi che se ne possono sperare?

La Banca anzitutto fa gratuitamente non solo il servizio di tesoreria ma s’incarica eziandio di quello del debito pubblico e delle casse dei depositi e prestiti; ciò vuol dire che saranno tolte dal bilancio dello Stato le spese che vi sono stanziate per tali servizi; si avrà, insomma, una egregia economia.

A quanto ammonterà questa economia? Ecco alcune cifre.

La sola spesa che concerne puramente il servizio di tesoreria e che potrà essere dal. bilancio eliminata, ammonta in cifra tonda ad 895 mila lire. Quella per il servizio del debito pubblico e della cassa dei depositi e dei prestiti, ascende pure a qualche centinaia di migliaia di lire. H risparmio oltrepasserà già per queste due sole partite il milione.

Col passaggio delle tesorerie alla Banca, potrà evidentemente diminuirsi anche il personale dell' amministrazione centrale, perché non si avrà più da esercitare una sorveglianza sui tesorieri, non si avranno più da tenere in evidenza tante contabilità speciali e fare tutti quei conti che sono ora necessari.

Il personale che ora adempie al servizio di tesoreria, pesa anche sul bilancio per le pensioni; in quantoché è cosa incontestata che la ritenuta che si opera sugli stipendi degl’impiegati è d’assai inferiore al carico che lo Stato si assume corrispondendo loro la pensione.

Anche da ciò deriverà una nuova economia di qualche importanza.

La Banca ha inoltre obbligo di fare a suo rischio e pericolo il giro dei fondi; ha obbligo di eseguire gratuitamente l’esazione delle cambiali o di altri titoli dello Stato pagabili sulle diverse piazze ove esiste una sua sede o succursale, e di acquistarne all’estero o per l’estero quando occorra nell’interesse dell’erario. Queste speciali operazioni farebbero risparmiare non meno di 200 a 300 mila lire.

Nè basta ancora. Le deficienze dei tesorieri costituiscono una spesa non indifferente. Dal 1861 a tutto il 30 aprile 1869, esse sono salite a lire 7,798,243 25 (1).

Di questa enorme somma, furono incassate lire 5,243,695 16; lire 1,775,858 85, sono di probabile esazione; e le rimanenti, ossia lire 778,689 24 sono una perdita vera ed effettiva, perché non v’è speranza alcuna di poterle riscuotere.

Noi non vogliamo indagare se la somma di lire 1,775,858 85 che ci è data come di probabile esazione, sia poi interamente riscuotibile. Lo è certo al giorno d’oggi; ma i valori od i beni sui quali si fa calcolo, o possono perdere di valore, o possono essere contestati, od in altro modo sfuggire; onde è che una parte della somma, ora data come di probabile esazione, finirà assai probabilmente per andare in aumento delle perdite del Tesoro.

Non vogliamo nemmeno indagare a qual cifra possano arrivare gli interessi delle somme onde il Tesoro è creditore; interessi, i quali costituiscono a loro volta un’ altra perdita reale. Riteniamo come perdita vera, tutto calcolato, la somma di 1 milione e 200 mila lire. Questa somma ci dà una media annuale di oltre 120 mila lire. Vera perdita, o per meglio dire, vera e reale spesa per il Tesoro.

Addizionando le economie che si otterrebbero e le perdite che si eviterebbero, facendo passare il servizio di tesoreria alla Banca, ci accosteremo ai 2 milioni.

Lo Scialoja calcolava che per il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca si potevano risparmiare 700 mila lire per il servizio di tesoreria propriamente detto, e di più altri due milioni per la soppressione delle direzioni e delle agenzie del Tesoro, e degli uffizi di riscontro (2). In tutto due milioni e 700 mila lire. Se noi ci tenemmo in più ristretti limiti, la ragione sta in ciò solo, che l’amministrazione esterna del Tesoro ebbe già a subire qualche riforma che ne fece scemare la spesa.

(1) Pubblichiamo nell’appendice lo stato generale di queste deficienze.

(2) Atti del Senato del Segno. Sessione 1865-66 a c. 85.

Vero è che, per qualche anno, continueranno a pesare sul bilancio dello Stato la spesa occorrente per le pensioni e gli assegni di disponibilità agli impiegati delle tesorerie; il che vuol dire che per i primi anni l’economia sarà minore di quella che indicammo. Ma in un dato periodo di tempo essa raggiungerà il limite che le assegnammo.

Si dirà — e fu detto da taluno — che l’avvenire della nostra finanza non dipenderà da un risparmio di uno o due milioni. Ciò è perfettamente vero, pur troppo; ma non perciò si devono trasandare le economie, per quanto piccole siano; e non lo devono essere, perché anche colle piccole economie, si formano le grosse somme; e perché i contribuenti hanno diritto di pretendere che il loro denaro sia parcamente speso, e non si facciano assolutamente spese che possano in qualche modo essere risparmiate o non abbiano un’utilità incontestata. Eppoi una economia di due milioni è proprio tanto piccola da disprezzarsi? Abbiamo molte tasse che gettano assai meno o poco di più; eppure tornano, non diremo gravose, ma certo non tanto accette ai contribuenti.

Nessuno può adunque contestare che il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca sia, sotto questo punto di vista, assai vantaggioso allo Stato.

Il passaggio alla Banca del servizio di tesoreria rende più evidente, più regolare, più spedita la contabilità dello Stato, e facilita immensamente l’attuazione della nuova legge che alla contabilità stessa deve dare migliore assetto. La contabilità delle tesorerie, al pari di quelle di tutte le pubbliche amministrazioni, era ed è retta attualmente da norme tutt’altro che semplici e chiare. Nel fare queste osservazioni intendiamo semplicemente di constatare un fatto, non di muovere un’accusa; diremmo di più, ed è che la conoscenza, per quanto poca sia, che abbiamo dei pubblici affari e delle cose amministrative, ci permette di affermare, che tutte le amministrazioni, tutti gli impiegati s’adoperarono come meglio seppero a togliere gli inconvenienti di ogni maniera, a superare le innumerevoli difficoltà, a rimuovere gli infiniti ostacoli che si opposero finora ad una regolare scrittura delle entrate e delle spese; inconvenienti,

difficoltà ed ostacoli che sono la necessaria conseguenza di un ordinamento, che, per la pressura delle cose, si dovette toccare e ritoccare, e riformare un po’ qua un po’ là, come si farebbe d’un abito sdruscito di cui non si possa ancora far getto.

Il disordine e la confusione che s’hanno a lamentare in alcune parti della nostra contabilità, sarebbero ancora maggiori, se per parte di tanti egregi funzionari e di tanti eletti ingegni non si fosse fatto prova di pazienza, di abnegazione, e di amore al lavoro, non sempre, sventuratamente, quanto sarebbe giusto, dal pubblico apprezzato.

Checchè ne sia, a riordinare la contabilità dello Stato si è pensato colla legge che deve attuarsi col 10 del venturo anno. Non bene s’apporrebbe però chi credesse che l’attuazione di quella legge sia cosa piana e facile. Nessuna legge forse, come questa, per la materia che concerne, è irta di tante difficoltà. La difficoltà di ordinare una contabilità vasta e complicata come è quella dello Stato, non consiste tanto nel determinare i principii generali ai quali quest’ordinamento deve ispirarsi, quanto nel modo di attuarli, nel modo, insomma, di tradurli in pratiche disposizioni.

Il problema dell’attuazione della legge sulla contabilità — non ci peritiamo di affermarlo — è problema assai arduo a renderlo facile, a dare la sicurezza che la sua attuazione non fallisca, il passaggio della Tesoreria alla Banca nazionale sarà d’immenso giovamento.

Il giro dei fondi dall’una all’altra Tesoreria, per far fronte alle esigenze del servizio, non è cosa di poco momento, non è affare che riohiegga poche cure e piccola spesa. Basta gettare lo sguardo sulle situazioni del Tesoro per farsi un’idea della ingente somma di fondi cosi detti somministra, che per una gran parte sono quelli appunto che si inviano materialmente dalle tesorerie dove la riscossione sovrasta ai pagamenti, a quelle nelle quali i pagamenti sovrastano alle riscossioni.

Questo giro di fondi, continuo, incessante, si eseguisce spesso con materiale trasporto di numerario; il che non solo trae seco una spesa e complica la contabilità, ma non va dia giunto da pericoli che si possono facilmente immaginare.

La Banca nazionale, assumendo l’esercizio della tesoreria, può, assai più agevolmente dello Stato, provvedere al giro dei fondi.

Riunendo in sè le operazioni del tesoro e quelle proprie alla sua istituzione, potrà spessissimo evitare il trasporto materiale di numerario, sopperendo, in molte località, alle spese dello Stato coi fondi propri, come coi fondi dello Stato potrà, in determinati luoghi, eseguire operazioni bancarie in più larga scala di quello che dal proprio fondo di cassa le sia permesso.

Ed al postutto, quando la occorre di far passare numerario dall’uno all’altro luogo, potrà sempre servirsi, come si servono ordinariamente le Banche, di altri mezzi speciali, come i biglietti all’ordine. Nò a questi mezzi potrebbe ricorrere il Governo, senza esporsi a gravi rischi, senza incorrere in una grave responsabilità.

Ebbene, anche del giro dei fondi può lo Stato scaricarsi, affidando alla Banca il servizio di tesoreria; e se ne scarica risparmiando, da una parte, le spese che la somministrazione dei fondi richiede, ed evitando, dall’altra, i pericoli che l’operazione stessa trae seco.

CAPITOLO DECIMO

SOMMARIO. — La convenzione colla Banca è collegata colla soluzione del problema finanziario — Cenni intorno alla situazione finanziaria ed ai provvedimenti proposti dal ministro delle finanze — necessità di temperamenti nel passaggio del corso forzato alla circolazione metallica — Confronto tra il progetto attuale e quelli che lo precedettero — Obbiezioni t)anni della divisione del servizio di tesoreria pericoli di affidare il servizio di tesoreria alla Banca La garanzia dei 100 milioni è reale — Il fondo di cassa — Cenni di altre disposizioni della convenzione ed esame di altre obbiezioni — Conclusione.

LIII.

Ma oltre ai vantaggi finanziari e d’ordine generale che fin qui menzionammo, ben altri ancora d’ordine economico ne presenta la convenzione colla Banca. Sarebbe inutile il dissimularlo: nel passaggio del servizio di tesoreria alla Banca noi vediamo il mezzo di avviarci più celeremente verso quel sistema di circolazione fiduciaria che non è possibile, per ora, di abbandonare senza andare incontro ai più gravi pericoli. Si tratta di diffondere per quanto è possibile il biglietto di Banca per ottenere nella più ampia misura i vantaggi che dalla sostituzione della carta al metallo possono aversi, ma senza esporre a continua oscillazione, a perenne incertezza lo strumento degli scambii.

Il servizio di tesoreria affidato alla Banca accrescerà, non è dubbio, l’azione di questa, ma l’accrescerà con tutti quei vantaggi pel Governo e per l’economia del paese, che da una grande istituzione di credito fortemente organizzata, dalla unità inalterabile della circolazione fiduciaria possono ottenersi.

Non rientreremo però in quest’ordine di idee che abbastanza ampiamente svolgemmo in altre parti di questo lavoro. Ciò che ora importa esaminare è la convenzione dal punto di vista delle attuali nostre condizioni finanziarie, per vedere se e fino a qual punto possa essa contribuire alla soluzione del problema finanziario. Imperocché non giova dimenticare che la convenzione colla Banca, non debbe solo aver per effetto, nel concetto di chi la propose, l’economia di una egregia somma, ed un migliore assetto della contabilità dello Stato, ma quello ben più importante, di contribuire a farci uscire una volta dagli imbarazzi finanziari. Insomma la convenzione colla Banca altro non è che una parte, e certo non la meno importante, di un complesso di provvedimenti intesi a farci conseguire il pareggio, a risolvere la questione finanziaria.

Non ci faremo a ricordare la nostra storia finanziaria dal 1860 in poi, ad investigare tutto quanto si fece per ricondurre in migliori condizioni le finanze dello Stato; ma non sarà un fuor d’opera l’accennare brevemente le principali cause dell’attuale stato di cose.

Redenti quasi miracolosamente dalla tirannia indigena e straniera, ricomposti a nazione libera ed indipendente, quando era quasi follia sperarlo, ci siamo trovati, tra per le spese che le guerre e gli interni rivolgimenti ci hanno costato, tra per le imposte poco produttive che esistevano, tra per quelle che i governi provvisori, senza pensare al poi, abolirono con un tratto di penna, ci siamo trovati in questa poco invidiabile condizione, che le pubbliche spese eccedevano d’assai le entrate.

Nè lo sbilancio era la peggior cosa che ci sovrastasse. I cessati governi non si erano data cura alcuna, o ben poca nel promuovere lo svolgimento della ricchezza; non si era pensato, o ben poco, ad aprire nuove vie di comunicazione, a migliorare le esistenti, a rendere più praticabili i porti, a rimuovere insomma gli ostacoli d’ogni maniera che s’opponevano allo svolgersi dei commerci e delle industrie.

Tutto si era lasciato in abbandono, e talvolta per deliberato proposito, perché l’abbiettezza, la corruzione, l’ignoranza e la miseria delle popolazioni erano ritenute, e non a torto, come sicura base di tirannico governo.

Era dovere, ed anche interesse, del Governo nazionale di accingersi a riparare prestamente i mali del passato, a dirozzare le menti, a spandere 1 istruzione, a far sentire i benefici influssi del nuovo regime. Onde è che le spese vennero d'anno in anno sempre crescendo, senza che, d’altra parte, vuoi per la situazione economica del paese, vuoi per considerazioni di un ordine più elevato, si potesse pensare ad aumentare in eguale misura le entrate.

Non vuolsi tacere che commettemmo pure errori non pochi e ci pascemmo di non poche illusioni.

Abbiamo errato profondendo tesori in lavori di problematica utilità, ponendo mano a costruzioni di ferrovie non necessarie né utili, incoraggiando con premi e con garanzie speculazioni di dubbia riuscita, non risecando per tempo dal bilancio quelle spese che non rivestivano il carattere d’interesse generale, non assestando bene da principio le imposte, non riordinando più razionalmente le pubbliche amministrazioni, dando troppo ascolto agli interessi di campanile, volendo soccorrere a tutte le sventure, premiare tutte le virtù, accogliere tutte le preghiere; e in una parola, spendendo troppo e troppo male.

Ci siamo pasciuti di illusioni, confidando troppo nelle ricchezze onde l’Italia si credeva dotata, nella fertilità dei nostri campi, nella inesauribilità delle nostre miniere e delle nostre foreste; reputando che il naturale incremento della pubblica prosperità fosse per rendere cosi produttivi i dazi indiretti, da bastare a coprire in un dato periodo di tempo l’eccedenza delle spese; e soprattutto poi ci illudemmo credendo che, sortiti da una lunga e secolare servitù, potessimo da un giorno all’altro spogliarci di quella fatale veste di Nesso che 6i chiama ignavia o dolce far niente.

I dissesti economici, le imposte che non gettarono sempre quanto si prevedeva, le spese alle quali dovemmo sottostare per i lavori pubblici, quelle della guerra del 1866, ed un po’ anche gli errori e le illusioni, ci condussero a questo punto, di trovarci aggravati da un debito enorme, accasciati sotto un'enorme disavanzo, col credito depresso e colla fiducia scemata.

La situazione non era certo ridente; era necessario procedere colla massima energia a restaurare le finanze; e la restaurazione cominciò realmente nel 1868 colle modificazioni alle imposte dirette ed a quelle sugli affari, colla tassa sul macinato, colle economie che si ottennero in diversi rami della pubblica amministrazione e coll'operazione sui tabacchi che ci mise in grado di coprire le deficienze del passato.

Il 1867 ci lasciava un disavanzo, non tenuto conto delle risorse straordinarie come quelle dei beni ecclesiastici, di 220 milioni. Uguale disavanzo ci presentava il 1868.

Ora, invece, il disavanzo, se non è scomparso, fu diminuito sensibilmente. Anche non calcolando le risorse straordinarie, non sarà maggiore di 100 milioni.

Ridotto in questi limiti, non cessa però il disavanzo di essere un pericolo; non potremmo lasciarlo continuare per parecchi anni, senza rendere frustranei i saorifizi imposti nel 1868 al paese, senza trovarci nuovamente al punto da cui pigliammo le mosse.

Ma non è solo al disavanzo, cui dobbiamo rivolgere le nostre cure: abbiamo da abolire il corso forzoso, il quale non è un male meno pericoloso, né meno funesto del disavanzo.

Ecco, adunque, i due termini del problema, disavanzo e corso forzoso; i quali sono l'effetto della stessa causa, che vai quanto dire delle poco prospere condizioni economiche del paese. Non si può far scomparire il disavanzo senza abolire il corso forzoso; né togliere questo se quello non scompare.

Il problema che dobbiamo risolvere è complesso, finanziario ed economico nello stesso tempo. Recingersi a guarire soltanto l'uno o l'altro dei due mali, è opera vana, che finirebbe per logorare la vitalità del paese e per avviarci a sicura rovina.

Per riuscire a togliere il disavanzo non ci sono che tre vie, od aumentare l’entrata, o diminuire la spesa, o fare l’una e l'altra cosa insieme.

Aumentare d’un tratto l'entrata in modo che raggiunga la spesa, o diminuire la spesa in modo che scenda al livello dell'entrata, è più facile dirlo che farlo.

Bisogna, se vuolsi non fare opera vana, ridurre prima di tutto le spese nei più stretti limiti possibili, e poi di tanto aumentare le entrate di quanto sia necessario perché si possa raggiungere il pareggio.

È da questo punto di vista che parti il ministro delle finanze per tracciare il suo piano finanziario. Le spese intangibili, egli disse, si possono calcolare per una lunga serio d'anni, siccome quello che non subiscono altra variazione che quella derivante dagli ammortamenti e dai relativi interessi.

Le spese ordinarie si possono facilmente ridurre a 360 milioni, ottenendo una nuova economia di 18 a 20 milioni.

Le spese straordinarie possono e debbono limitarsi a 60 milioni.

Si può adunque determinare quale può e debbe essere per una serie d'anni la spesa annua.

Quanto alle entrate, quantunque questa determinazione sia più difficile, non è però impossibile. Dal riordinamento dell’imposta fondiaria, mediante la formazione d’un catasto, il cui progetto di legge fu presentato alla Camera, si può ottenere un maggior prodotto di 10 milioni a cominciare dal 1874.

Altri 10 milioni si possono ricavare dal dazio consumo a cominciare dal 1871, introducendovi quelle modificazioni, che l’esperienza ha dimostrate necessarie.

Le imposte indirette presentano costantemente in complesso un aumento, il quale per il 1868 è stato di 32 milioni. Il ministro però non si ripromette da questo progressivo aumento che 17 milioni, al netto delle diminuzioni che possono verificarsi in altri cespiti.

Il ministro calcola pure, che, trascorsi due o tre anni, le entrate straordinarie possano scemare a 20 milioni.

Tenendo conto di questi aumenti nelle entrate e delle diminuzioni nelle spese — aumenti e diminuzioni che non sono punto esagerati — il Cambray-Digny ritiene che il pareggio tra le entrate e le spese si raggiunga tra il 1875 ed il 1876 (1).

I disavanzi a tutto il 1869 sono coperti colle operazioni di credito che si fecero e coi Buoni del Tesoro.

(1) Esposizione finanziaria fatta alle Camera dei deputati nella sedata dal 21 maggio 1869.

Ma dal 1870 al 1876 il bilancio si chiuderà sempre con un disavanzo, il quale naturalmente va decrescendo d’anno in anno.

A questo disavanzo bisogna far fronte con operazioni di credito; come del pari bisogna con operazioni di credito procurarsi i danari per pagare il debito che lo Stato ha contratto colla Banca, se vuoisi far cessare il corso forzoso.

Ecco cifra per cifra le somme che è necessità procacciarsi in un modo o nell’altro.

»È

Debito colla Banca 378 milioni
Disavanzo del 1870 94
Disavanzi degli anni successivi 196
In totale L. 290
che l’on. ministro spinge a 300
Si ha adunque una prima somma di 678 milioni
A questa somma egli aggiunge 50
ritenendo sia conveniente scemare da 300 a 250 milioni la circolazione dei buoni del Tesoro.
adunque necessaria una somma di 728 milioni

la quale naturalmente s’aumenta ancora di qualche cosa appunto per le operazioni di credito che la somma stessa ci devono procurare. Il ministro delle finanze, insomma, calcola che siano necessarii 790 milioni per porci in grado di togliere il corso forzoso e coprire i futuri disavanzi.

Le operazioni proposte dall’on. conte Cambray-Digny sono tre, vale a dire:

1° Un operazione sui beni

ecclesiastici che getti

300 milioni
2° Un imprestito di 100
da ottenersi dai due stabilimenti

di credito  che devono assumere

il servizio di tesoreria

Da riportarsi 400 milioni
Riporto 400 milioni
3° Un prestito forzoso, pagabile nello spazio

di 4 anni, per

300
L. 700 milioni
Questa somma però deve aumentarsi del deposito che dovrebbe fare in 10 milioni la Società per la vendita dei beni demaniali; di 24 milioni che, come avremo occasione di spiegare, si risparmiano sul fondo di cassa; di altri 60 milioni per i rimborsi. delle anticipazioni fatte dal Tesoro alle Società ferroviarie; in totale di 94
Sicché in tutto si avrebbero 794 milioni

che superano la somma reputata necessaria a coprire i futuri disavanzi e ad estinguere il debito che si ha colla Banca.

LIV.

Data cosi una succinta idea del piano dell'on. ministro delle finanze, vediamo ora quale parte in esso abbia la convenzione per affidare alla Banca nazionale ed al Banco di Napoli il servizio di tesoreria.

Questi due stabilimenti di credito versano nelle casse dello Stato, in garanzia della loro gestione, 100 milioni, all’interesse del 5 per 0|0. Questa somma costituisce appena l'ottava parte di quella che, come vedemmo, ci occorre. Non sarebbe adunque un gran che.

Ma. non bisogna dissimularsi una cosa; ed è che qualunque operazione finanziaria si faccia, il termometro, per cosi dire, che determina le condizioni, alle quali un’operazione finanziaria può compiersi, sarà sempre il corso della rendita consolidata.

Per concertare operazioni di finanza occorre certo non poca abilità per parte del ministro; ma questa abilità consiste nella scelta della base sulla quale l’operazione deve aggirarsi, nella scelta di case bancarie solide ed accreditate che le assumino  nel preparare il terreno acconcio a farle riescire, nelle modalità del loro meccanismo, nella determinazione delle epoche più propizie per l’emissione dei titoli, nel predisporre i mezzi per far fronte ai pesi che ne derivano allo Stato, nel protrarne l'ammortamento, quando non si tratti di rendite perpetue, ad epoche tali che si abbiano o possano avere i mezzi pecuniari per farvi fronte. Ma nessun ministro, per quanto abile sta, per quanto sia acuto osservatore e grande la sua influenza, riescirà mai ad avere danari ad un saggio minore di quello che è indicato dal corso della rendita consolidata, appunto perché essa è il termometro del credito dello Stato, la stregua alla quale gli altri valori pubblici si commisurano.

Fintanto, adunque, che la nostra rendita consolidata sarà negoziata a 56, sarebbe sogno di mente inferma il credere che lo Stato possa trovare denari ad un interesse minore del 9 per 00.

Per i 100 milipni che sarebbero dati in garanzia dagli stabilimenti che assumono il servizio di tesoreria, non si pagherebbe che l’interesse del 5 per 0|0 che vai quanto dire 5 milioni all’anno. Volendoci procurare la stessa somma in altro modo, dovremmo pagare annualmente per lo meno 9 milioni. C’è un risparmio certo di 4 milioni.

Gli avversari della convenzione non meneranno buono questo calcolo; anzi ne fanno uno affatto opposto, col quale vogliono dimostrare che i 100 milioni sono dati allo Stato a condizioni onerosissime. Di ciò discorreremo più avanti, e porremo in rilievo la fallacia delle loro argomentazioni.

Qui, intanto, dobbiamo dire che se la convenzione colla Banca, nel piano finanziario del ministro delle finanze, non dovesse avere altro resultato che questo di procurarci 100 milioni ad un modico interesse, potrebbe anche non approvarsi, senza che la riuscita del piano potesse essere compromessa.

L’imprestito di 100 milioni è la parte meno importante della convenzione; lo scopo che si vuole con essa raggiungere è ben altro e ben più essenziale.

Noi già dicemmo che il problema finanziario consta di due termini, il disavanzo ed' il corso forzoso; e che questi due termini s’intrecciano così tra loro che sono a vicenda causa ed effetto.

Dicemmo pure in qual modo il disavanzo si possa far scomparire; ed in qual modo il ministro delle finanze intenda di procurarsi le somme per restituire alla Banca i 378 milioni onde è creditrice verso lo Stato.

Ma la estinzione del mutuo della Banca, è la sola condizione che si richiede per abolire il corso forzoso? Legalmente parlando, lo Stato, restituendo alla Banca le somme che gli imprestò, potrebbe costringerla a ripigliare i suoi pagamenti in danaro.

Ma potrebbe il Governo non tener conto delle condizioni economiche del paese, dello stato artificiale di cose creato appunto dal corso forzoso, ed imporre alla Banca il cambio immediato dei suoi biglietti senza preoccuparsi delle conseguenze che questo fatto potrebbe avere e senza predisporre quei provvedimenti che l’esperienza suggerisce e che mai da nessuno furono pretermessi?

Che possa ciò fare, nessun dubbio; che abbia convenienza a farlo, noi lo neghiamo recisamente.

Quali siano state le cause del corso forzoso abbiamo indicato in altra parte di questo lavoro; né crediamo necessario ripeterlo. Tali cause del resto si riassumono in poche parole: lo sbilancio commerciale, il dissesto delle pubbliche finanze, la guerra, allora imminente, contro una grande potenza militare, il ribasso a gran carriera dei nostri valori, il loro repentino ed affannoso ritorno dalle piazze estere, il ritiro dei depositi dai pubblici stabilimenti, il panico degli uni, le speculazioni degli altri, tutto ha contribuito a regalarci il corso forzoso.

Per conseguenza di esso ed in breve tempo quello sbilancio commerciale che al principio del 1866 si era manifestato, quella momentanea deficienza di numerario che in quell’epoca ebbe a lamentarsi, e per riparare alla quale fu necessità appunto ricorrere alla circolazione della carta, si fece maggiore e per cosi dire costante.

Il metallo che con attivo movimento già tendeva ad emigrare da noi, scomparve del tutto; sicché, come altrove notammo, fummo costretti di creare biglietti anche per le più minute contrattazioni, ad onta dei precetti della scienza.

È egli possibile sperare che basti decretare la cessazione del corso forzoso perché tale stato di cose cambi dall’oggi al dimani, perché il metallo riprenda la via dell’Italia od esca istantaneamente dai suoi nascondigli? — No, ciò non è possibile; l’esperienza lo ha mille volte dimostrato; cessato il corso forzoso, per virtù delle leggi economiche che regolano nel mondo il movimento monetario, l’equilibrio in esso si ristabilisce per l’Italia; ma le leggi naturali agendo lentamente ed a gradi, quell’equilibrio non potrà necessariamente ristabilirsi che a poco a poco.

Intanto che cosa avverrebbe se, non tenendo conto di ciò, da un giorno all’altro si pretendesse sostituire nella circolazione il metallo alla carta? — Come colui che liberato oggi soltanto dalla febbre, sintomo della terribile malattia dalla quale fu portato in punto di morte, s’esporrebbe a grave pericolo di quasi sicura ricaduta, ove pretendesse, abbandonata ogni precauzione, fare tutto ciò che faceva nei giorni della più fiorente salute; — cosi avverrebbe a noi se avvicinandosi il giorno in cui il malanno del corso forzoso potremo vedere scomparso, non pensassimo alla convalescenza; e come se nulla fosse stato, credessimo potere d’un tratto trovarci in condizioni normali.

Cessato il corso forzoso, immediatamente, istantaneamente rifluiranno al cambio i numerosi biglietti che ora circolano forzatamente. Per far fronte alle domande di cambio, la Banca dovrà necessariamente restringere il giro dei suoi affari, ritirare e grandemente limitare gli aiuti che prima accordava, troncare a mezzo molte speranze, difficoltare molte intraprese, turbare molti interessi, cagionare in una parola profondi sconcerti nel movimento economico del paese.

Ciò è tanto evidente che non abbisogna di essere lungamente dimostrato. Tutti i paesi che il male della circolazione forzata della carta dovettero subire, quando si trovarono in grado di abolirla, ben si guardarono dal brusco e rapido passaggio alla circolazione metallica, e sempre riconobbero la necessità di un periodo abbastanza lungo di convalescenza, la necessità di qualche temperamento che soccorresse alla azione lenta e graduale delle leggi di natura.

Quali siano i temperamenti più opportuni per impedire che il passaggio dal corso forzato della carta alla convertibilità produca gli inconvenienti che sono a temersi, non è così difficile indicare. Si tratta di far in modo che cessando il corso forzato si eviti il troppo precipitato concorso al cambio, che è ciò che gli inglesi chiamano propriamente run. Si tratta, insomma, di ottenere che la circolazione del biglietto si restringa il meno che sia possibile.

Ora per conseguire in modo sicuro questo scopo sono utili e diremo anzi indispensabili due cose; il conferimento del corso legale ai biglietti, ed il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca. Tali provvedimenti si completano fra di loro a vicenda, tendono allo stesso scopo er porteranno alla stessa conseguenza. Si otterrà con essi che la circolazione della carta si mantenga in abbastanza larga misura perché la Banca non sia d’un tratto costretta a limitare troppo strettamente i suoi aiuti al commercio e fare sorgere così nuove e più gravi cause di dissesti e di rovine.

Intanto col corso legale conferito ai biglietti, col maneggio dei fondi dello Stato affidato alla Banca, la popolazione a poco a poco viemeglio si abituerebbe all’uso della carta, il biglietto penetrerebbe in ogni anche più remota parte del Regno; e quella circolazione più estesa che si cercò come mezzo di transizione tra il corso forzato ed il metallo, diverrebbe situazione ordinaria, recando tutti i vantaggi che del biglietto solidamente stabilito sono la conseguenza.

I provvedimenti ai quali accenniamo non sono una scoperta fatta in Italia; essi furono con immenso vantaggio adottati in molti paesi; nel Belgio, nell’Olanda e nell’Inghilterra.

Il Belgio si trovava nel 1850 in condizioni, per alcuni rispetti, non molto dissimili dalle nostre. Aveva il corso forzoso da far cessare; aveva diversi stabilimenti di emissione; aveva nel servizio di tesoreria tanto disordine e tanta confusione, che come affermava la Corte dei Conti, la stessa Tesoreria non possedeva gli elementi necessari per constatare con certezza la situazione del suo cassiere (1), che era la Società Generale.

Noi già dicemmo in qual modo e per quali ragioni sia stata tolta nel 1850 la facoltà d’emissione alla Società Generale, ed alla Banca Belga, e come sia stata creata, come unico stabilimento d’emissione, la Banca Nazionale.

La Società Generale, spogliata della facoltà dell’emissione e ridotta alla più naturale sua missione di aiutare il commercio e la industria, non poteva più conservare il servizio di Tesoreria; e quindi, mentre la riforma bancaria si stabiliva, si pensava pure ai riordinamento del servizio di Tesoreria. Tutti i sistemi possibili furono a tal riguardo esaminati e discussi, di tutti si dibatterono i pregi ed i difetti (2).

Ma alla fine fu necessità riconoscere che nessun sistema presentava cosi grandi vantaggi e cosi impercettibili inconvenienti, quanto quello di far cassiere dello Stato la nuova Banca d’emissione che si trattava di creare.

E tale fu il sistema seguito. A quali condizioni ebbe la Banca il servizio della Tesoreria?—Lo accenneremo in poche parole. Fu stabilito che la Banca dovesse avere un agenzia nel capoluogo di ogni circoscrizione giudiziaria, ed in quelle altre località che il Governo giudicasse conveniente nell'interesse del Tesoro.

Il Governo si obbligò di corrispondere alla Banca una indennità annua di 200 mila lire, che nel 1856 fu scemata della metà, ed abolita poi nel 1860.

(1) Rapporto della Corte dei Conti del Belgio sul conto definitivo dell’esercizio 1849. A carte 15.

(2) Relazione che precede il progetto di legge intorno al servizio di Tesoreria, presentato alla Camera elettiva, dal ministro delle finanze, Frère-Orban, il 24 dicembre 1849.

A titolo di garanzia per la gestione della Banca è disposto che gli Agenti di essa debbano essere nominati dal Re, e scelti fra due candidati da presentarsi dal Consiglio d’amministrazione della Banca; oltre a ciò il privilegio e l’ipoteca legale sui beni della Banca, come è stabilito per gli altri contabili dello Stato, è accordato al Governo (1).

La Banca dei Paesi Bassi è da molto tempo incaricata del servizio di Tesoreria in Amsterdam.

Colla legge del 1863 si è fatto un passo più avanti. L’art. 10 di essa si esprime nei seguenti termini:

«La Banca dei Paesi Bassi continua ad incaricarsi gratuitamente delle funzioni di agente del Tesoro dello Stato ad Amsterdam.

«Essa potrà del pari essere incaricata delle funzioni gratuite di cassiere dello Stato a Rotterdam ed in tutte le località ove stabilisca una sede.

«Per l’uno e l’altro titolo è responsabile verso il Ministero delle finanze ed ha l’obbligo di rendere i conti alla Corte generale dei Conti.

«La legge determinerà se ed a quali condizioni la Banca sarà incaricata del servizio generale del Tesoro dello Stato in tutto il Regno. »

Ma questa determinazione non essendo mai stata fatta, la Banca non esercitò le funzioni di cassiere dello Stato che nella città di Amsterdam, la quale però per le riscossioni ed i pagamenti che si fanno nell’interesse e per conto del Governo è la più importante città del Regno.

Le operazioni di Tesoreria nei rapporti fra il Governo e la Banca si eseguiscono in questo modo.

La Banca fa gratuitamente il servizio dei depositi e del conto corrente al Tesoro, Questi fa versare alla Banca le somme che si riscuotono dai suoi Ricevitori generali, quelle che si ritraggono dalla vendita delle derrate coloniali, e per dirlo in una parola, tutte le sue entrate.

(1) Pubblichiamo nell’appendice la legge che affidò alla Banca nazionale del Belgio il servizio di Tesoreria. Le modificazioni introdotte successivamente nella legge stessa non hanno importanza.

Il Governo poi dispone delle somme depositate alla Banca, in vari modi, ossia:

1° Con checks, ossia mandati di pagamento all’ordine della Banca;

2 Con mandati di pagamento a favore di determinate persone;

3° Con cambiali e traile accettate dal ministro delle finanze, e domiciliate presso la Banca.

Si è discusso a lungo nell’Olanda, se si dovesse affidare alla Banca anche il servizio del Debito pubblico. Non si venne finora ad alcuna conclusione.

Giova però notare che il servizio del Debito pubblico, pel modo con cui procede, è fatto, se non in tutto, in parte dalla Banca.

Quando il pagamento degli interessi della rendita pubblica eccede un dato minimo, il Governo emette mandati sulla Banca, la quale, avendo in conto corrente i fondi a ciò sufficienti, li soddisfa immediatamente.

Un altro incarico fu pure affidato alla Banca. Allorché il Governo smonetò l’oro, emise per 10 milioni di fiorini cosi detti biglietti di moneta, rimborsabili a vista ed al portatore, ma col corso obbligatorio. Si tratta in sostanza di una vera carta moneta, ma convertibile, la quale, per ciò appunto, si mantenne sempre alla pari.

Ora la Banca si è assunto l’obbligo di fare il cambio in Amsterdam di questi biglietti. Con ciò però non si deroga punto al principio di non accordare alcun credito al Governo, principio che nei rapporti tra la Banca e l’Erario può in Olanda considerarsi come essenziale. Infatti la somma di spettanza dell’Erario depositata alla Banca supera sempre, e di gran lunga, i pagamenti che la Banca deve fare per lo Stato. E con tanto rigore in ciò essa procede, che nello situazioni settimanali dal conto corrente attivo del Governo detrae l’ammontare dei biglietti di moneta esistenti nel suo portafogli.

L’Inghilterra faceva un passo di più del Belgio e dell’Olanda, perché colla legge del 1834 non solo affidava alla sua Banca il servizio di tesoreria, ma dava ai biglietti di essa il corso legale (legal tender) in tutta l’estensione della parola.

Il che fece si che la circolazione cartacea s’è estesa a tutte le località del Regno Unito; per modo che, non ostante i suoi estesissimi commerci, le basta una circolazione metallica di appena 800 milioni di lire italiane (1).

Non abbiamo, a vero dire, su questo argomento nulla da imitare dagli altri popoli, perché troviamo che fin dal 1816 lo Stato d’Italia più importante per estensione e per popolazione, affidava ad un istituto di credito la gestione dei denari dello Stato.

«In vero il Medici, scrive il deputato Nisco (2), allo scopo di metter termine a quella miseranda condizione di scompiglio, in cui ora con gli speciosi stratagemmi delle spese di riscossione e di ordine del proprio capo ci troviamo nuovamente caduti per opera di. coloro che da un lustro reggono il timone delle nostre finanze, centralizzò nella Tesoreria generale ogni entrata ed ogni uscita, e costituì il Banco qual gran serbatoio e controllo del pubblico denaro. Tutti gl’introiti delle diverse percezioni dello Stato vuoi dirette, vuoi indirette, si doveano da’ respettivi agenti della riscossione immediatamente e senza la minima ritenuta per qualsiasi titolo versare presso i ricevitori generali di ciascuna provincia, i qua’ i a lor volta ne eseguivano il versamento mediante loro appoderati nella Tesoreria centrale. Però la Tesoreria medesima che tutt’i fondi delle pubbliche entrate riuniva, non poteva questi materialmente ricevere, anzi per l’articolo 26 del regolamento del 1823 era vietato al Tesoriere generale introitare alcuna somma in numerario, il quale doveva essere direttamente a forma dell’art. 30 del medesimo regolamento, versato dagli appoderati de’ Ricevitori generali al Cassiere maggiore del Banco, che ne prendeva nota a credito della Tesoreria generale su apposita madrefede e ne dava contemporanea partecipazione al Tesoriere generale ed al Controllore generale. Le fedi di credito poi spedite per pagamenti dovevano essere del pari accreditate sotto la stessa madre fede del Tesoriere generale, girandole questi al Cassiere del Banco incaricato per farne introito, senza che il detto Tesoriere ne potesse altrimenti disporre sotto la responsabilità del Banco.

(1) Pubblichiamo nell’appendice la legge che regola in Inghilterra il servizio di Tesoreria.

(2) Il Banco di Napoli — Lettere di Nicola Nisco, deputato al Parlamento nazionale. — Napoli, Tip. del Giornale di Napoli, gennaio, 1866.

Nè d’indole diversa era il metodo stabilito per la uscita de’ fondi. Tutti i pagamenti a carico dello Stato per gli esiti si del ramo civile, che del ramo militare si dovevano eseguire su i versamenti che il Tesoriere generale a misura de’ ruoli e de’ mandati rilasciati dallo scrivano di Nazione e verificati e vidimati dal Controlloro generale, faceva al Pagatore generale per mezzo di polizze e ordinativi al Banco, onde, sotto la responsabilità del Banco medesimo, i correlativi fondi della propria madrefede passassero in quella della Pagatoria generale, che anche per polizze compiva gli effettivi pagamenti.

Cosi per cotesto intreccio di servizio finanziario e bancario la disposizione nella ragione degl’incassi e de' pagamenti rimaneva tutto affatto distinta dalla esecuzione, ed a vicenda si controllavano: in guisa che, mentre da un lato da’ registri della Tesoreria e della scrivania di Razione, che si formavano esattamente sui bilanci fissati in ciascun anno per ciascun dipartimento della pubblica Amministrazione, si poteva ad ogni ora avere un quadro completo delle somme esatte e delle esigibili e di quelle erogata ed ancora da erogarsi per ogni capitolo del bilancio, non che per ogni articolo ed anche per ogni individuo, dall’altro lato la madrefede della Tesoreria generale e quella della Pagateria generale tenute dal Banco erano i libri maestri di tutta l’attività e passività effettiva erariale, i quali nella chiusura dèlie operazioni giornaliere, fatta da’ rispettivi cassieri, presentavano quotidianamente la reale situazione di Cassa.

Senza dubbio secondo siffatto sistema non era possibile che gli amministratori del pubblico danaro potessero distrarre alcuna somma di entrata od uscita, o che i mandati emessi per una spesa fossero invertiti ad uso diverso. Similmente era impossibile il caso di ridurre la contabilità dello Stato nella condizione di caotica incertezza alla fine di ogni gestione finanziaria, siccome deplorabilmente è avvenuto dopo che invece di generalizzare, però semplificando ed anche modificando, un tal sistema napoletano in tutto il riordinato nuovo regno, si è voluto sostituirvi quello che ci fa trovare al punto che oltre il 1860 ignoriamo l’uso fatto delle pubbliche entrate, e de’ miliardi spesi per l’esercito per la marina non ci restano che gli elenchi de’ buonconti.

XV.

Nella relazione della Commissione della Camera dei deputati che sulle convenzioni finanziarie fu incaricata di riferire, furono fatte alla convenzione colla Banca non poche obbiezioni. Diremo anzi che in questa convenzione non fu assolutamente trovato nulla di buono e di tollerabile. Al dire della Commissione, i più gravi interessi del paese furono sacrificati all’avidità della Banca nazionale; lo Stato le fu dato, mani e piedi legati, in assoluta balìa. A noi dolse, e dorrà certamente a tutte le persone assennate, il vedere un ingegno cosi prepotente come quello del Ferrara, uno scrittore che tiene un cosi alto posto nella schiera degli economisti, che è una gloria, più che italiana, europea, farsi l’eco di ire partigiane, lanciare accuse immeritate, trattare con tanto disdegno cosi gravi questioni come quelle che alla convenzione colla Banca si connettono; e, con un sovrumano sforzo d’ingegno, affaticarsi a dimostrare pessimo ciò che, se non è ottimo, è certamente buono. Il Ferrara, che, in tempi difficili, dovette contro sua voglia assidersi sul banco del dolore del ministero, che potè vedere da vicino le difficoltà che i problemi finanziari presentano; che, per propria esperienza, potè conoscere come degli uomini del potere siano troppo spesso sconosciute le rette intenzioni ed incriminati anche i più lodevoli atti, avrebbe dovuto, ci pare, usare più temperanza verso un suo successore, che pur fece qualche cosa per il restauro delle pubbliche finanze.

La convenzione colla Banca non sarà perfetta; qualche punto di essa può non essere abbastanza chiaro; qualche speciale condizione può essere, con vantaggio dello Stato, modificata; ma che assolutamente nulla vi sia di buono, che la parte che vi si fece la Banca sia leonina, sono cose che nessuno, per poco giudichi spassionatamente e non sia acciecato da ire di parte, potrà ammettere.

Ed a persuadersi di ciò basterebbe un semplice confronta fra l'attuale convenzione ed i precedenti progetti presentati dal conte Cavour e dal Sella per affidare alla Banca il servizio di tesoreria.

Col primo progetto presentato dal conte Cavour al Parlamento subalpino nella seduta del 21 maggio 1851 si dava il corso legale ai biglietti della Banca, in tutta l’estensione della parola, e le si affidava il servizio della tesoreria generale, con che lo assumesse gratuitamente ed operasse pure gratuitamente il giro dei fondi tra le città dove avesse una sede o succursale. Le si imponeva pure l'obbligo di assumere il servizio del debito pubblico alle condizioni e mediante i compensi da stabilirsi per legge.

Non le si chiedeva alcun altro favore, non le si imponeva alcun altro aggravio, non le si domandava alcuna garanzia.

Ma giova ripeterlo, allora il conte Cavour si proponeva con quel progetto quest’unico scopo, di estendere le operazioni della Banca e di allargare la circolazione cartacea.

Il nuovo progetto che il conte di Cavour presentava alla Camera elettiva nella seduta del 19 marzo 1852, limitava il corso legale a 10 anni; imponeva alla Banca di assumere gratuitamente il servizio della tesoreria generale ed il giro dei fondi, come era proposto col progetto del 1851; incaricava le tesorerie di operare il cambio dei biglietti per conto della Banca, e di più sanciva per la Banca l'obbligo di fare anticipazioni al Tesoro dello Stato fino alla somma di 5 milioni contro deposito di fondi pubblici e di Buoni del Tesoro, all'interesse del 3 per 0|0. Anche in questo progetto non si imponeva alla Banca garanzia di sorta per assicurare lo Stato del maneggio dei suoi fondi.

Non vi hanno sostanziali differenze fra il progetto del 1851 e quello del 1852. Se non che in quest’ultimo: 1° si limitava il corso legale alla durata di 10 anni; 2° non si imponeva più l’obbligo eventuale alla Banca di assumere il servizio del debito pubblico; 3° da una parte il Governo si obbligava di far operare il cambio dei biglietti dai suoi tesorieri, e dall’altra la Banca doveva fare allo Stato un prestito eventuale fino a 5 milioni di lire all’interesse del 3 per 0|0.

Nel progetto che sullo stesso argomento il conte Cavour presentava alla Camera nella seduta del 7 maggio 1853, non si parlava più del corso legale; si dava alla Banca il servizio della tesoreria generale e della cassa dei depositi e dei prestiti, e si manteneva l'obbligo nei tesorieri di operare il cambio dei biglietti. Si imponevano alla Banca altri oneri, come quello di concorrere per un capitale di 500,000 lire alla creazione d’una Banca nell’Isola di Sardegna, e le si concedeva qualche altro vantaggio, come quello di ricevere, in garanzia d’effetti a due firme, le dichiarazioni (warrants) di merci depositate in pubblici magazzeni (docks). Sorgeva per la prima volta in questo progetto un simulacro di garanzia per lo Stato, ed era che la nomina del direttore-capo della Banca doveva essere sottoposta alla approvazione del ministro delle finanze; e che il direttore stesso potesse essere revocato, su istanza del ministro delle finanze, dalla Corte dei Conti.

Colla convenzione del 23 ottobre 1865, approvata con decreto reale dello stesso giorno, ma che non ebbe punto esecuzione, la Banca assumeva gratuitamente il servizio di tesoreria, compreso il servizio del debito pubblico, ritenendo a suo [benefizio quella parte della rendita pubblica che cadesse in prescrizione. Non le si dava il corso legale, ma si imponeva ai contabili dello Stato l’obbligo di ricevere come numerario i biglietti che venissero loro offerti in pagamento nell’interesse dello Stato. D’altra parte nessuna garanzia le si chiedeva per il servizio di tesoreria.

Colla convenzione finalmente del 24 maggio 1868, la Banca assumerebbe gratuitamente il servizio di tesoreria, la esazione di cambiali od altri titoli di credito spettanti al Governo, e farebbe il giro dei fondi; il Governo darebbe il corso legale ai suoi biglietti per le esazioni che si fanno ed i pagamenti che si eseguiscono dalle casse governative, e riceverebbe in garanzia 100 milioni all’interesse del 5 p. 0|0.

Non sarà inopportuno di qui avvertire che le condizioni finanziarie del Regno Subalpino nel 1851, nel 1852 e nel 1853» e del Regno d’Italia nel 1865, erano migliori di quelle nella quali versiamo ora.

A persuadercene basta porci sott'occhio il corso della rendita consolidata che è il termometro del credito d’un paese.

Anche nel 1851, è vero, si era di fronte al corso forzoso; ma allora il corso forzoso era stato determinato unicamente dai bisogni del pubblico erario per far fronte alle spese della guerra nel 1849, e non dalle condizioni economi he del paese

Prima che il conte Cavour presentasse il suo progetto, si era già provveduto al modo di estinguere il debito di 20 milioni che il Governo aveva verso la Banca (1), e si era fissata l’epoca in cui il corso forzoso dei biglietti doveva cessare.

Il progetto del conte Cavour, come già dicemmo, aveva per iscopo di mettere la Banca in condizione di ripigliare il cambio, senza che fosse obbligata di restringere troppo la sua circolazione. Il servizio di tesoreria ed il corso legale erano, per il conte Cavour, due provvedimenti intesi ad impedire che, nel passare dal corso forzoso alla convertibilità, sorgessero perturbazioni economiche.

Nel 1852 e nel 1853, il conte di Cavour insistendo nelle sue idee, voleva dare una energica spinta allo sviluppo degli affari; voleva mettere il paese in condizione di potere sopportare i nuovi pesi che Passetto della pubblica finanza rendeva inevitabili.

(1) Con decreto reale del 7 settembre 1848 si era dato corso forzoso ai biglietti della Banca di Genova, e le si era imposto di imprestare al Governo 20 milioni.

Con decreto reale del 14 ottobre 1849, le due Banche di Genova e di Torino furono fuse in una Banca unica col titolo di Banca Nazionale.

Colla legge del 9 luglio 1850 furono fissate in modo definitivo le condizioni d’esistenza della Banca Nazionale, e fu autorizzato il Governo ad emettere una terza serie di obbligazioni dello Stato per rimborsare la Banca del suo credito.

Infine colla legge del 5 giugno 1851 fu stabilito che il corso forzoso dovesse cessare col 15 ottobre dello stesso anno, e fu determinato il modo dell’emissione delle obbligarmi da crearsi a tale scopo.

Il Sella, che, in fatto di questioni bancarie, ha calcato le traccio del grande Statista, si propose di attuare nel 1865 ciò che il conte Cavour si era invano affaticato a far trionfare nel 1852 e nel 1853.

Ma anche nel 1865 la questione finanziaria non si presentava sotto cosi grave aspetto come ora si presenta; perché se nel 1865 esisteva un disavanzo di 200 a 220 milioni, non si aveva però il corso forzoso dei biglietti.

Se allora era conveniente allargare la circolazione della carta fiduciaria, ora, per le ragioni discorse, è più necessario ancora, diremo anzi indispensabile.

Eppure, se confrontiamo senza passione i progetti del conte Cavour e del Sella colla convenzione del 24 maggio, non possiamo negare che, con quest’ultima, si ottennero vantaggi che allora sarebbe stato follia sperare.

Non vogliamo negare che se la Banca ha accordati ora maggiori vantaggi, si deve attribuire alla posizione che il corso forzoso le ha fatto, ai lucri che le ha procurato. Ma se il corso forzoso ha giovato immensamente alla Banca, sarebbe, più che altro, stoltizia, se lo Stato non se ne volesse avvantaggiare; se non volesse approfittare delle condizioni fatte alla Banca per ottenerne efficaci aiuti nei suoi imbarazzi finanziari.

LVI.

Ciò premesso, passiamo ora ad esaminare le obbiezioni che alla convenzione vennero fatte dalla Commissione parlamentare e da altri.

La prima obbiezione che si muove non manca certo di gravità. Il servizio di tesoreria, dicono gli avversari della convenzione, non può scindersi; esso richiede unità di conti e di cassa, vuole essere tenuto nella maggiore evidenza possibile e colla massima regolarità. Ciò appunto si voleva conseguire affidandolo ad una Banca. Se ora lo si divide fra la Banca nazionale ed il Banco di Napoli, questi vantaggi spariscono.

Al conte Cavour, allorché tentò di risolvere la quistione, non venne neppur in mente di dividerlo fra la Banca nazionale e la Banca di Savoia. L’Inghilterra, il Belgio, i Paesi Bassi lo affidarono ad una Banca sola.

L’obbiezione — poco gioverebbe il nasconderlo — è grave. Noi crediamo che sarebbe stato e sarebbe conveniente — e questa deve essere pur stata l’opinione dell’onorevole Cambray-Digny— affidare il servizio di tesoreria alla sola Banca nazionale; perché il dividerlo tra due Banche non può non produrre degli sconci. Non si ha più l’unità di servizio e di cassa; non si ha più un conto solo; il giro dei fondi tra l’una e l’altra città non è più tanto facile. Oltre a ciò altre difficoltà derivano dal carattere speciale del Banco di Napoli, che è un instituto generis, né carne né pesce, senza capitale disponibile, la cui gestione non è sorvegliata e diretta da quell’Argo dai cento occhi, che è l’interesse particolare. Non lo neghiamo, adunque, l’obbiezione è grave.

Ma facciamoci per un momento ad investigare i motivi che hanno spinto il ministro a dare una parte del servizio di tesoreria al Banco di Napoli. Questi motivi, è facile il comprenderlo, consistono in ciò solo, che l’amore di campanile è ancora troppo vivo e troppo potente in Italia. Non appena si seppe che il Governo aveva aperte trattative colla Banca nazionale per affidarle il servizio di tesoreria, la commozione negli animi dei napoletani si è fatto viva, grande, universale. Non vi fu più distinzione tra partiti e tra classi, tutti furono unanimi nel deplorare il fatto, nel ritenere che il servizio di tesoreria affidato alla Banca fosse la più grave sciagura che potesse colpire quell’inclita città. Ed anche ciò si spiega. Il Banco è per i napoletani il nec plus ultra delle istituzioni di credito. Sorto in epoca remota, quando le istituzioni bancarie erano poco conosciute, quando il credito era poco diffuso, il Banco di Napoli aveva reso alle popolazioni ed al Governo importanti servizi. Oltre a ciò il Banco di Napoli, come osservammo a suo luogo, aveva ed ha forse di fatto ancora non pochi privilegi che facilitano le transazioni, e non ultimo questo, che si potevano vendere e comprare beni immobili con una semplice girata di una madrefede, senza l’intervento di un notaio, senza la stipulazione d’un contratto.

I napoletani amavano il loro Banco, come l’arca santa del credito; e lo amano ancora, e lo difendono, quantunque l'esperienza abbia dimostrato che più non risponde né può rispondere a tutte le esigenze dei nuovi tempi e dei nuovi costumi.

Ora di questo stato di cose, si doveva o non si doveva tener conto? Gli uomini bisogna considerarli, non come dovrebbero essere, ma come sono realmente, coi loro vizi, colle loro virtù, colle loro debolezze, colle credenze loro e colle loro abitudini; si deve tener conto di tutti gl’interessi, anche quando siano troppo spinti; è necessità perfino rispettare i pregiudizi, pur cercando di sradicarli dagli animi.

Il Governo non poteva non tener conto dello stato degli animi nelle provincie meridionali; perché alle cause del malcontento, non diciamo se fondate od infondate, sene sarebbe aggiunta un’altra, della quale i partiti ostili avrebbero saputo trarre profitto.

Per quanto ostica possa sembrare, non vogliamo tacere un altra osservazione. Se del servizio di Tesoreria non si fosse fatto parte al Banco di Napoli, poteva nudrirsi la fiducia che il passaggio di esso alla Banca sarebbe stato approvato dal Parlamento? Per nudrire una si folle speranza, avrebbe abbisognato non conoscere le esigenze parlamentari, e poi aver dimenticato che il Regno d’Italia non conta ancora 10 anni di vita; e che quindi alla fusione politica non potè ancora tener dietro la fusione degli interessi.

Si potrebbe dire — ed anzi fu detto da un autorevole giornale (1) — che se non era possibile di affidare alla sola Banca nazionale il servizio di Tesoreria, era miglior partito lasciare che lo Stato continuasse ad esercitarlo direttamente come pel passato.

L’osservazione sembra giusta ed assennata; e lo sarebbe; realmente, se, col passaggio del servizio di tesoreria alla Banca, non si volesse conseguire che uno scopo amministrativo. Ma noi già dicemmo che la questione è strettamente collegata coll’abolizione del corso forzoso dei biglietti; e che il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca è uno dei più efficaci e dei più potenti mezzi per arrivarvi senza scosse e senza perturbazioni economiche.

(1) Veggasi il giornale l’Opinione del 29 maggio 1869.

Si era di fronte a due mali; o non pensare per ora ad affidare il servizio di tesoreria alla Banca nazionale, o farne parte anche al Banco di Napoli. Tra i due mali bisognava scegliere il minore: ed il minore, immensamente minore, era il secondo; imperocché la divisione del servizio di tesoreria non arrecherà al postutto che qualche maggiore scritturazione, che la necessità di aver a fare con due stabilimenti, anziché con un solo, e di tener due conti invece di uno solo. Ma intanto lo scopo primo e più importante, quello di incamminarci all’abolizione dei corso forzoso, si conseguirebbe ugualmente. Non vi era, adunque, da esitare; ed il ministro non esitò.

Se il Parlamento crederà di poter dare il servizio di tesoreria alla sola Banca nazionale, tanto meglio; noi, e con noi tutti coloro che desiderano veder risolto le questioni economiche senza preoccupazioni di interessi regionali, faremo plauso al suo voto.

LVII.

Secondo alcuni è pericoloso affidare alla Banca il servizio di tesoreria mentre dura il corso forzoso. E la Commissione parlamentare, facendo un passo più in là, afferma che, dinanzi ai corso forzoso, l’idea di convertire in tesoriere del pubblico erario quello stesso istituto da cui promana la carta investita del privilegio dell’inconvertibilità, acquista cosi assurde sembianze, che non si saprebbe escogitarne la spiegazione, se non se ne vedesse palpabilmente l’origine nell’interesse medesimo della Banca.

La Commissione parlamentare ragiona in questo modo: le dichiarazioni e le proteste dei partigiani della Banca di volere l’abolizione del corso forzoso, non bisogna pigliarle alla lettera; il favore del corso forzoso è troppo segnalato e fecondo per la Banca, perché essa possa piegarsi a rinunciarvi;

solo in un caso, come l’esperienza insegna, il desiderio per parte di essa di veder abolito il corso forzoso, potrebbe essere sincero, ed è quando le sue casse rigurgitassero di danaro; ma in tale fortunata circostanza non si trova e non si troverà così presto la Banca; lontanissima quindi deve essere dal desiderare la sollecita abolizione del corso forzato. L’accetterebbe però volentieri, quando le si accordassero vantaggi superiori a quelli che il corso forzoso le procura. Tale è il caso della recente convenzione; la quale, concedendo alla Banca il corso legale, un pingue e gratuito reddito, una proroga anticipata del suo privilegio, ed una solenne conferma di tutti i suoi monopolii, ci farebbe acquistare il corso libero a patti cosi onerosi, da renderlo una calamità peggiore di quella che vogliamo evitare. Il servizio di tesoreria affidato alla Banca mentre il corso forzoso dura, equivale a voler creare nel Governo il bisogno di rendersi solidale in tutti i ripieghi a cui i partigiani della Banca si appiglierebbero, per non lasciarla privare dei benefizi che l’inconvertibilità le assicura.

Abbiamo fedelmente riassunto, adoperando quasi le stesse parole e le stesse frasi, il ragionamento col quale la Commissione intende ' dimostrare che l’affidare il servizio di tesoreria alla Banca, durante il corso forzoso, è cosa pericolosa e perciò da evitarsi.

Noi non vogliamo indagare quali siano le intenzioni della Banca; se essa desideri che il corso forzoso duri o cessi; perché delle intenzioni è difficile e pericoloso giudicare.

Non vogliamo nemmeno soffermarci a rilevare la evidente ‘contraddizione che il ragionamento della Commissione include; contraddizione che in ciò consiste, che si afferma dapprima che la Banca accetterebbe volentieri l’abolizione del corso forzoso quando ottenga il corso legale e gli altri vantaggi che la convenzione le procura, e si termina conchiudendo che, passandole ora il servizio di tesoreria, si creerebbe pel Governo il bisogno di rendersi solidale dei ripieghi ai quali i partigiani della Banca si appiglierebbero per non lasciarla privare della inconvertibilità.

Ma quello che vogliamo e dobbiamo porre in rilievo è questo: che alcun pericolo non fu segnalato, che della sua possibilità nessuna prova, nessun indizio fu addotto.

Vero pericolo vi sarebbe, quando, passandole il servizio di tesoreria durante il corso forzoso, potesse estendere le sue operazioni, allargare la sua circolazione; o, venendo meno alla sua abituale prudenza, si lasciasse trascinare in speculazioni aleatorie ed avventate. Ma chi ignora che la circolazione cartacea della Banca non può eccedere il limite di 750 milioni stabilito dalla legge del 3 settembre 1868? 0 si vorrà forse dire che i 100 milioni non sono una garanzia sufficiente? Ma allora l'obbiezione avrebbe lo stesso valore tanto nel caso che duri quanto in quello in cui cessi il corso forzoso. È ben vero che in altra parte della sua relazione la Commissione osserva che nessuna controllazione efficace gli agenti governativi hanno mai esercitata sulla riserva metallica della Banca, né sul vero e preciso ammontare della carta emessa; e che, se la legge del limite è davvero osservata, si potrebbe anche impunemente non osservarla. L’argomento prova troppo, e perciò appunto prova nulla; nè, pare a noi, che la possibilità della violazione d’una legge, quando non s’abbia motivo di supporla o temerla, possa essere addotta come valida ragione e sostegno d’una tesi.

Oppure si teme che i pericoli possano esistere, come potrebbe dedursi dai ragionamenti della Commissione, nei rapporti troppo stretti che correrebbero tra il Governo e la Banca? Il passaggio del servizio di tesoreria, per chi ben osservi, non allarga gran cosa questi rapporti. Essi esistono da lungo tempo e sono la conseguenza ineluttabile del dissesto delle finanze.

Il pericolo consisterà per avventura nella natura delle operazioni della Banca, e nella poca sicurezza che presentano? Ma coloro che si mostrano atterriti da questi pericoli, non lamentano forse la potenza della Banca? Non le rimproverano forse la solidità e l’estensione del suo credito, sino a temere possa schiacciare gli altri stabilimenti di credito ed impedire ne sorgano dei nuovi?

Si disse ancora — ed a ciò la Commissione ha consacrato ben cinque pagine — che la garanzia dei 100 milioni è più apparente che reale, anzi effimera, simulata, un’ audace derisione; che questi 100 milioni non sono già un vero imprestito, ma la trasformazione d’un imprestito antico; che è eccessivo, addirittura esorbitante l’interesse del 5 per 0[q che corrisponderebbe il Governo.

Queste obbiezioni ne formano sostanzialmente una sola, perché hanno un unico punto di partenza.

Vediamo anzitutto quale è la posizione attuale della Banca verso il Tesoro dello Stato.

Il credito della Banca si compone di tre partite distinte.

La prima è di 250 milioni, ed è portata dal decreto del 1° Maggio 1866 col quale fu dato ai biglietti della Banca il corso obbligatorio.

La seconda, di 28 milioni, fu aggiunta ai 250 milioni, allorché, fattasi l’annessione delle provincie venete, fu ad esse esteso il corso coatto.

La terza finalmente è di 100, che furono dalla Banca anticipati su deposito di 150 milioni nominali di obbligazioni dell’asse ecclesiastico, dietro convenzione che porta la data del 12 ottobre 1867.

Le prime due partite sono ad un tempo causa ed effetto del corso forzoso; o, per meglio dire, il corrispettivo del servizio che si rese alla Banca dispensandola dal cambio dei suoi biglietti.

La terza partita deriva da una convenzione affatto speciale, liberamente dibattuta ed accettata.

È vero però che la Banca non avrebbe potuto fare tale anticipazione, se i suoi biglietti non avessero avuto corso obbligatorio; imperocché uno stabilimento costituito con 100 milioni di capitale, non può evidentemente fare al Governo, né ad altri, una anticipazione di 100 milioni. Il che vuol dire che questa anticipazione, ha bensì correlazione col corso forzoso, ma non ne è punto una conseguenza.

Ed invero le due prime partite devono essere rimborsate colla cessazione del corso forzoso; il rimborso della terza deve seguire nei modi ed alle epoche che furono stabilite nella convenzione del 9 e 12 ottobre 1867, indipendentemente dalla durata o dalla cessazione del corso coatto.

Le due prime partite, adunque, e la terza non hanno un identico carattere e non corre tra di esse altra relazione se non questa, che tutte e tre furono possibili in conseguenza della inconvertibilità dei biglietti.

Premesse queste brevi considerazioni, indispensabili al nostro assunto, passiamo ora ad esaminare se la garanzia dei 100 milioni sia quella macchiavellica finzione e derisione, con cui Governo e Banca cercarono di trarre in inganno, il Parlamento ed il paese.

La convenzione del 24 maggio 1869 stabilisce all’articolo 3 che a garanzia del Governo per il servizio di tesoreria la Banca verserà nelle casse dello Stato la somma di 100 milioni di lire per rimanervi fino a che la Banca sarà incaricata taleservizio; e che d’altra parte non potrà ripetere la somma dei 100 milioni della quale è creditrice per la convenzione del 12 ottobre 1867, se non dopo il versamento predetto.

Ora, si dice, la Banca verserà i 100 milioni di garanzia, e subito dopo chiederà il rimborso dei 100 milioni che anticipò sulle obbligazioni ecclesiastiche. E questa operazione, s’aggiunge, non si effettuerà nemmeno materialmente, ma con un semplice scambio di lettere; che vai quanto dire che il Governo da una parte dichiarerà con lettera di aver ricevuto i 100 milioni, e dall’altra parte la Banca rilascerà una dichiarazione dalla quale risulti che fu rimborsata dal suo credito di 100 milioni. 0, tutto al più, quando si vogliano almeno salvare le apparenze, le due partite si salderanno con una passeggiata di un fascio di biglietti, i quali avranno la degnazione di andare a fare una visita al ministro delle finanze per ritornare subito nei forzieri della Banca.

Ecco adunque, si dice dalla Commissione parlamentare, che i 100 milioni di garanzia non sono già un vero imprestito, ma la trasformazione d’un imprestito antico, con questa differenza, che per l’anticipazione dei 100 milioni sulle obbligazioni ecclesiastiche si corrisponde alla Banca un interesse di 9|10 per cento, ossia 900,000 lire all’anno; mentre pei 100 milioni dati in garanzia per il servizio di tesoreria, si corrisponde alla Banca l’interesse del 5 per cento, ossia 5 milioni all’anno.

— Questa trasformazione d’un imprestito costerà pertanto allo Stato una maggiore spesa di 4 milioni e 100 mila lire!

Il ragionamento pare tirato a fil di logica; se non che furono sbagliate le premesse.

Anzitutto è da osservare che l’anticipazione dei 100 milioni su obbligazioni dell’asse ecclesiastico, è un imprestito a termine, la cui scadenza non è tanta remota, e che, si affidi o non si affidi il servizio di tesoreria alla Banca nazionale, si dovrà estinguere.

La convenzione del 9 e 12 ottobre 1867 stabiliva che la Banca dovesse rimborsarsi dei 100 milioni col ricavo della vendita delle obbligazioni ecclesiastiche dopo che tale vendita avesse raggiunto 100 milioni di capitale nominale. In altre parole, il prezzo di vendita dei primi 100 milioni nominali delle obbligazioni si sarebbe versato nelle casse dello Stato; il ricavo delle successive vendite sarebbe rimasto nelle casse della Banca in estinzione dell’anticipazione da essa fatta.

E qui giova ricordare un’ altra circostanza, ed è che con una convenzione di poco posteriore, il Governo si è obbligato di fornire alla Banca la riserva metallica corrispondente ai 100 milioni (1); onde è che, sostanzialmente, questi 100 milioni vennero creati con un giro di torchio.

La vendita delle obbligazioni ecclesiastiche ha raggiunto i 100 milioni nominali prima ancora che scadesse il 1868; sicché per la Banca era già incominciato il rimborso dei 100 milioni per una somma che eccedeva i 13 milioni.

Le necessità dello Stato non acconsentendo che si lasciasse continuare il rimborso, intervenne in aprile 1869 un nuovo patto, in virtù del quale il rimborso di cui è questione venne alquanto dilazionato.

(1) Veggasi il discorso Balla circolazione cartacea pronunciato dal ministro delle finanze alla Camera dei Deputati nella tornata del 5 marzo 1868.

Si stabili, insomma, che la Banca avrebbe reintegrato la 6omma dei 100 milioni, restituendo i 13 milioni già esatti, e che il rimborso avrebbe cominciato ad effettuarsi dopo che si fossero esitati 250 milioni nominali di obbligazioni, ed in ogni caso non più tardi del 30 giugno 1870.

Dal che appare che il nuovo imprestito che la Banca farebbe sotto forma di garanzia non è punto una trasformazione od una dilazione al rimborso della anticipazione della quale abbiamo discorso; perché questa, come già osservammo, è rimborsabile ad un’ epoca determinata, mentre il nuovo imprestito non è a scadenza fissa, e deve durare quanto dura nella Banca il servizio di Tesoreria.

C’è di più ancora. L’imprestito fatto dalla Banca sulle obbligazioni ecclesiastiche ha immobilizzato 150 milioni nominali delle obbligazioni stesse. Questo valore non diventa disponibile per lo Stato se non quando il debito colla Banca sarà estinto. 0, se cosi vuolsi, di questo valore, effettuata che ne sia la vendita, non entrerà nelle casse dello Stato che la parte che ecceda 100 milioni effettivi. Ora supposto per un momento, come pretende la Commissione parlamentare, che il nuovo imprestito sia una trasformazione dell’anticipazione sulle obbligazioni ecclesiastiche, questa trasformazione renderebbe disponibile per il Tesoro un valore nominalo di 150 milioni, corrispondenti a circa 127 milioni effettivi.

Oltre di che giova notare che i 100 milioni delle obbligazioni ecclesiastiche sono un valore che appena rimborsato scompare per la Banca; perché l’art. 3° del progetto di legge per l’approvazione delle convenzioni finanziarie stabilisce che, effettuato tale rimborso, la circolazione della Banca potrà diminuirsi 4i altrettanto. Il Governo le darà i 100 milioni; ma d’altra parte scemerà il limite della circolazione da 750 a 650 milioni.

Ma supponiamo per un momento che il nuovo imprestito altro non sia che la trasformazione d’un altro imprestito antico; od anche, se cosi vuolsi, la dilazione al pagamento d’un imprestito che sta per iscadere. Ma ciò vuol dir forse che lo Stato non avrà la garanzia dei 100 milioni? Che importa che questi milioni siano già nelle sue casse?

Se non che la Commissione parlamentare finisce per negare che i due imprestiti si compensino; perché i 100 milioni dalla Banca anticipati allo Stato sulle obbligazioni ecclesiastiche, non sono un debito cosi maturo, per cui il compenso possa supporsi. In verità che non ci aspettavamo che la Giunta parlamentare dopo essersi fermata a scherzare con tanta compiacenza sulla  gita e sul ritorno, e sulla passeggiata del fascio di biglietti, venisse poi con un allegazione cosi recisa a distruggere quanto aveva precedentemente affermato. Se l’anticipazione dei 100 milioni su obbligazioni ecclesiastiche non è un debito maturo — e che maturo non sia, noi già dimostrammo — evidentemente il nuovo imprestito dei 100 milioni di garanzia, non può essere una trasformazione del primo, non può con quello compensarsi. Nè, come potrebbe dedursi dalle argomentazioni della Commissione, il patto che regola l’anticipazione dei 100 milioni sulle obbligazioni ecclesiastiche, è, o può dirsi menomamente infirmato dalla convenzione pel passaggio alla Banca del servizio di tesoreria. Quel patto resta inalterato, intangibile, non subisce modificazione alcuna, né di forma, né di sostanza.

Checché si faccia, checché si dica, si ricorra pure a tutte le sottigliezze immaginabili, a tutte le più arruffate combinazioni aritmetiche, a tutti gli artifizi oratorii, ma il fatto della garanzia non può essere negato, a meno che negar non si voglia la luce del sole.

Dopo di ciò tornerebbe quasi inutile il ribattere l'altra obbiezione, che l’interesse del 5 per 00 sulla garanzia dei 100 milioni sia troppo grasso per la Banca, troppo oneroso per lo Stato. È vero che l’anticipazione fatta dalla Banca su deposito di obbligazioni ecclesiastiche non costa allo Stato per interessi che una somma annua di lire 900 mila; ma la riserva metallica per quest’anticipazione fu rimessa alla Banca dallo Stato; onde è che alla Banca i 100 milioni non costarono che la spesa della carta e della tiratura; mentre i 100 nuovi milioni dovranno essere sborsati dagli azionisti.

Come può dirsi, d’altra parte, che l’interesse del 5 per 100 sia oneroso, quando la rendita è al 56, e dà perciò un interesse di circa il 9 per 0|0?

Come può dirsi che la Banca, o, per parlare più precisamente, gli azionisti siano stati troppo esigenti, mentre impiegando altrimenti i 100 milioni che danno allo Stato, avrebbero potuto farli fruttare almeno il 10 per 0|0?

A persuaderci che non vi fu esorbitanza per parte della Banca, basterà un semplice calcolo, che è alla portata di tutti.

La Banca, per il 1868, ha distribuito agli azionisti un utile del 22 50 per 0|0. Supponiamo per un momento che questo utile abbia a mantenersi inalterato per l’avvenire.

Se la Banca raddoppia il suo capitale portandolo da 100 a 200 milioni; se, come è stabilito dalla convenzione, i 100 milioni d’aumento saranno versati nelle casse dello Stato; se per questi 100 milioni lo Stato non corrisponde che l’interesse del 5 per 0|0; è evidente che gli azionisti, mentre per ogni 100 lire di capitale avrebbero avuto un utile di lire 22 50; — per ogni lire 200, invece, l’utile non sarebbe che di lire 27 50. Se l’aumento del capitale non fosse avvenuto, il saggio dell’interesse sarebbe stato del 22 50 per 100; in seguito al raddoppiamento del capitale, il saggio dell’interesse scemerà a lire 13 75 per 100.

Ecco in qual modo influisce sui guadagni della Banca l’imprestito che essa fa al Governo. E questo calcolo, cosi evidente nella sua semplicità, vale almeno i calcoli trascendentali della Commissione parlamentare.

Se non che — strano a dirsi, ma pur vero — la Commissione parlamentare, che da nulla rifugge, si è proposto nientemeno di dimostrare che anche l’aumento del capitale nulla ha di serio, che è puramente nominale e fittizio, una nuova finzione, insomma, un’altra audace derisione. «L’art. 5 della convenzione, dice la Commissione parlamentare, accenna ad un caso nel quale il Governo potrà autorizzare la Banca ricondurre il suo capitale a 100 milioni, rimborsando agli azionisti gli altri 100 milioni. Quale è mai questo caso? L’articolo si esprime cosi: quando avvenisse il rimborso di 100 milioni. — Ora sono due i rimborsi di 100 milioni che vediamo accennati negli articoli anteriori; e la Giunta ha trovato difficile il poter definire con sicurezza quale sia quello a cui nell’art. 5 si alluda.

«Logicamente, continua la Commissione, parrebbe doversi intendere il rimborso dei 100 milioni depositati come garanzia; ma a questa interpretazione il testo medesimo dell’articolo evidentemente si oppone. Imperocché, mentre erasi detto, nell’art. 3, che la cauzione non sarà rimborsabile se non quando cessi il servizio di tesoreria, l’art. 5 parla, invece, d’un rimborso che avvenga in pendenza della concessione. Ora, in pendenza della concessione, la garanzia non può essere restituita. Sembra dunque ben chiaro che qui si alluda, non già ai 100 milioni depositati dalla Banca, ma bensì a quelli che lo Stato potrebbe pagare alla Banca, a quelli che si dicono dovuti per la convenzione del 12 ottobre 1867. »

Ed in tal modo ragionando, la Commissione conchiude, che nello stesso modo che «una passeggiata di biglietti sarà bastata per distruggere la realtà della guarentigia, cosi uno scambio di lettere, fra il direttore della Banca ed il ministro, basterà a distruggere la realtà del capitale raddoppiato. »

E ciò, come afferma la Commissione, sarebbe ad evidenza dimostrato da altre due circostanze. — La prima circostanza è questa, che il nuovo capitale non debbe versarsi ad un tratto dagli azionisti, ma in quote rateate; la seconda è che, nell’art. 6 si sarebbe dichiarato, contrariamente alla logica e ad ogni buona regola di prudenza amministrativa e bancaria, che la Banca non è tenuta a far corrispondere all’aumento del capitale un proporzionale aumento nel fondo di riserva.

Che dalla disamina accurata della convenzione di cui si tratta possano sorgere dei dubbi, è cosa che non vogliamo contestare; ma quello che a noi pare poco logico sistema è che i dubbi che possono sorgere vengano contro la logica risolti; e molto meno poi ci pare tollerabile od ammissibile che non sorgendo naturalmente di per so stessi, si facciano sorgere scontorcendo il naturale e logico significato delle parole, delle frasi, dei periodi.

Il dubbio a cui la Commissione accenna, e che noi volemmo colle sue stesse parole riferire, non ha alcuna ragione di esistere, non ha pur l’ombra d’un fondamento.

È scaturito dalla fervida fantasia, o, per meglio dire, dalla trascendentale sottigliezza del vivace ingegno del relatore.

La ragione del dubbio per la Commissione parlamentare, consiste in una espressione dell’art. 5 della convenzione.

Quale è mai questa espressione? Eccola: «quando in pendenza della concessione della Banca avvenisse il caso di rimborso dei cento milioni, il Governo del Re potrà autorizzare la Banca a ricondurre il suo capitale a cento milioni...».

Ora la Commissione ha creduto o mostrato credere che le parole — in pendenza della concessione della Banca — dovessero significare, invece, in pendenza della concessione del servizio di tesoreria. E cosi non solo sorgeva un dubbio, ma nna contraddizione; dubbio e contraddizione che la Commissione a sua volta doveva risolvere con una contraddizione cosi palpabile, cosi evidente, cosi strana, che, a vero dire, non abbisogna di altre parole per essere dimostrata.

Nè maggior valore hanno gli altri argomenti coi quali volle la Commissione confortare il suo ragionamento. Come si potrebbe ragionevolmente pretendere che gli azionisti versassero ad un tratto, e non a rate, l’aumento del capitale? O si crede forse che 100 milioni siano una cosi piccola somma, che si possa da un gruppo di individui — quand’anche questo gruppo sia formato dagli azionisti della Banca nazionale — versare da un momento all’altro? E quando mai si è veduto imporre ad nna società il raddoppiamento del suo capitale, e pretendere che questo raddoppiamento si faccia in un sol giorno, anzi ad una data ora? E, d’altra parte, come poteva il Governo imporre l’obbligo alla Banca di accrescere il suo fondo di riserva in proporzione dell’aumento del capitale? Quale è mai lo scopo del fondo di riserva se non quello di mettere la Banca in condizione di coprire le perdite eventuali che intaccassero il suo capitale? E come mai poteva il Governo ammettere il dubbio che i 100 milioni che la Banca gli presta in garanzia del servizio di tesoreria, potessero correre qualche pericolo, potesse la Banca perderne nna parte? Sarebbe, invero, stata una ben curiosa cosa che il Governo, nell’atto stesso che contraeva un imprestito, avesse dichiarato di dubitare della sua solvibilità.

LVIII.

Per dimostrare che la garanzia dei 100 milioni è insufficiente e che eccessivo è l’interesse che per essa corrispondo lo Stato, si ricorre ad un altra ben strana argomentazione.

Gli avversari della convenzione affermano che la garanzia che deve versare la Banca non sarà già di 100 milioni, ma appena di 60; perché all’art. 8 della convenzione è stabilito che il fondo di cassa non dovrà mai essere inferiore a 40 milioni. Se da 100 si sottrae 40, resta 60; questi 60 milioni frutteranno alla Banca 5 milioni, che vai quanto dire l'8 33 0|0. Da una parte adunque la garanzia non è sufficiente; e non lo è perché lo stesso ministro ha riconosciuto che dovrebbe esser di 100 milioni; dall’altra parte nessuno vorrà negare che l’interesse dell’8 33 0|0 non sia esorbitante.

Perché il ragionamento fosse vero, sarebbe necessario che si fosse dimostrato come è possibile fare un servizio qualunque di pagamenti senza un fondo di cassa. E ciò è proprio quello che credette poter affermare la Commissione parlamentare. Ecco le parole stesse della relazione:

«Bisogna, infatti, ricordarsi che la Banca, costituendosi a cassiere dello Stato, noi fa che sotto la condizione di dover sempre tenere in sue mani un’eccedenza considerevole, della quale lo Stato non possa menomamente disporre. Condizione insolita in un cassiere; giacché, se qualche cosa di simile è uso di pattuire, sarebbe precisamente l’inverso; l’obbligazione cioè nel cassiere di approntare qualche somma del proprio, per sopperire a spese delle quali si manifesti improvviso bisogno nel momento in cui la cassa sia vuota.

Non sappiamo veramente in quali tempi, in quali circostanze, presso quali popoli la Commissione parlamentare abbia trovata l’usanza di obbligare i cassieri a far fronte del proprio alle speso delle quali si manifesti improvviso bisogno; si potrebbe, se fosse lecito,

domandare ai membri della Commissione se sarebbero disposti ad accettare le funzioni di cassiere a simili condizioni, massime poi quando si tratti delle casse dello Stato,, che, da un momento all'altro, possono essere richieste del pagamento di qualche milione.

Il fatto, invece, è ben diverso; nessun servizio di cassa, sia per i privati, sia per il Governo, può essere eseguito, se non si ha costantemente disponibile un fondo tale che basti a tutte le emergenze.

I più accurati calcoli hanno dimostrato che il servizio di tesoreria, esercitato dallo Stato, richiede un fondo di cassa non minore certo di 00 a 64 milioni. Le tesorerie, limitate ai soli capiluoghi di provincia, sono 68, e 69 colla tesoreria centrale, senza calcolare le casse per il servizio del Debito pubblico a dei depositi e prestiti.

Or bene, per quanto si riesca a semplicizzare il più che sia possibile il servizio di tesoreria, non sarà tuttavia possibile che le tesorerie possano adempiere al loro ufficio se non hanno in media un fondo di cassa di almeno di 900 mila lire, che darebbero in complesso 64 milioni in cifra tonda.

L’esperienza poi, che è la gran maestra di tutti, ci insegna che il fondo di cassa è sempre superiore a tal somma. Ed in fatti nei 1868, come emerge dal prospetto che inseriamo in fine del volume, ha sempre ecceduto i 100 milioni.

Ora che cosa significa stabilire per la Banca il fondo di cassa in soli 40 milioni? Significa che per lo Stato si rendono disponibili 60 milioni se partiamo dall'attuale condizione di cose, o dai 20 ai 24 milioni, quando si riuscisse, col riordinamento della contabilità, a scemare il fondo di cassa al minimo, che vai quanto dire a 60 o 64 milioni.

E di questo fatto teneva conto il ministro delle finanze, allorché nella sua ultima esposizione finanziaria calcolava corno maggiore entrata la somma di 24 milioni che è ap punto la differenza fra il fondo di cassa di 64 milioni, minimo, indispensabile quando il servizio di tesoreria sia fatto dalla Stato, e quello stabilito per la Banca in 40 milioni.

Occorre appena fare osservare che la ragione di questa differenza sta in ciò, che nella stessa guisa che l’unione di due forze ne aumenta 1 intensità, cosi l’unione di due casse richiede in complesso una somma minore di quella che sarebbe per entrambe necessaria se funzionassero separatamente.

Da questo fatto intanto due conseguenze derivano. La prima è che la necessità di un fondo di cassa qualsiasi non scema punto la garanzia dei 100 milioni; perché questo fondo di cassa — contrariamente a quanto pretende la Commissione parlamentare — non diventa punto disponibile per la Banca, non può essa servirsene per le sue operazioni, non può farlo fruttare, bisogna che lo tenga materialmente nelle sue casse per provvedere alle esigenze del servizio. La seconda conseguenza, rispetto allo Stato, è questa che, ai 100 milioni che la Banca versa nelle casse del Governo, bisogna aggiungere i 24 che si risparmiano sul fondo di cassa; onde è che, sostanzialmente, lo Stato, col passaggio del servizio di tesoreria alla Banca, avrà disponibili 124 milioni, pei quali non dovrà corrispondere che un interesse di 5 milioni, che danno un ragguaglio del 4,03 per 0[Q.

Coll'obbiezione che abbiamo testé combattuto ha stretta attinenza un altra, che importa qui ricordare.

La Banca deve tenere per i fondi dello Stato due conti; l’uno è detto conto corrente di debito e credito verso il Tesoro; l’altro è chiamato conto definitivo di debito e credito rispetto allo Stato.

Il conto corrente deve essere giornalmente chiuso; il conto definitivo, che è quello che deve presentarsi alla Corte dei Conti, non si chiude che in fin d’anno.

La necessità dei due conti è evidente; ambedue hanno uno scopo speciale. Il conto corrente è indispensabile per poter sorvegliare la gestione dei fondi dello Stato; come è indispensabile il conto definitivo per la liquidazione, in fin d’anno, delle partite di dare e di avere. Del conto definitivo non occorre parlare. Ha sul conto corrente dobbiamo fermarci alquanto per ribattere un obbiezione che vien fatta.

Nel conto corrente, si dice, le somme dalla Banca incassato non le vengono addebitate se non il giorno successivo a quello in cui perviene notizia del loro incasso alla sede del Governo. D’altra parte le somme per le quali viene spedito ordine di pagamento, vengono accreditate alla Banca il giorno stesso in cui l’ordine le viene trasmesso, se si tratti di pagamenti a vista. Ora, massime per le provincie più distanti, la notizia dei versamenti fatti dalle casse governative alla Banca impiegherà un non breve tempo a pervenire alla Capitale. Dai cbo deriva che per tutto il tempo a ciò necessario la Banca avrà disponibili egregie somme. I mandati di pagamento, quantunque pagabili a vista, pare non sono sempre riscossi immediatamente. Anche da qaesto lato, adunque, la Banca avrà a sua disposizione delle somme considerevoli.

Per dirla in poche parole, si avrà questo fatto, che mentre dal conto corrente il fondo di cassa risulterà, ad esempio, di 40 milioni, sarà, invece, di 45 o 50.

La differenza fra il fondo di cassa resultante dal conto corrente, ed il fondo di cassa reale, sarà un benefizio per la Banca, perché questa differenza, poco su poco giù, mantenendosi sempre costante, potrà la Banca di essa servirsi per le sue operazioni.

L’obbiezione, come si vede, deriva dal presupposto, che del fondo di cassa possa la Banca trar partito per le sue operazioni; che questo fondo di cassa possa essere destinato ad altro uso che quello non sia del servizio di tesoreria.

Quello che dicemmo rispetto al fondo di cassa distrugge la sottile obbiezione che riportammo. La convenzione stabilisce un minimum per il fondo di cassa, appunto perché questo minimum è riconosciuto indispensabile per il servizio di tesoreria. Siccome il minimum non è un maximum, cosi evidentemente accadrà spesso che il fondo di cassa ecceda i 40 milioni. Ma da ciò deriva forse che potrà la Banca servirsi del 'fondo di cassa eccedente i 40 milioni? Come potrebbe servirsene, mentre, da un momento all’altro, può ricevere tanti ordini di pagamento da esaurire l’intero fondo di cassa?

Perché, lo si noti bene, la convenzione non deve già intendersi nel senso che il fondo di cassa non possa discendere al disotto del minimum, ma che il Governo, quando questo fatto accada, debba reintegrarlo.

Ammettiamo, adunque, che pel modo con cui il conto corrente deve tenersi, il fondo di cassa può eccedere il minimum; e lo eccederà spessissimo anche perché, dal momento che la Banca ha il servizio di tesoreria, dovrà raccogliere, meno in casi eccezionali, come è previsto dall’art. 13 della convenzione (1), i versamenti dei contabili dello Stato. Ma noi neghiamo che dal fondo di cassa, qualunque esso sia, possa e voglia la Banca disporre per le sue operazioni. E non pud disporne, perché è destinato ad un servizio speciale; al quale altrimenti non potrebbe più, in dati momenti, far fronte.

La importanza del conto corrente, da chiudersi giorno per giorno, nessuno vorrà certamente negare. Questo conto corrente è per lo Stato una solida garanzia; perché è solo mercé di esso che si potrà esercitare sulla gestione della Banca una efficace sorveglianza. Come sarebbe mai possibile tenere questo conto in modo diverso da quello nella convenzione stabilito? Come si potrebbero portare a debito della Banca i danari che le furono versati dai contabili dello Stato, prima che questi versamenti siano conosciuti alla sede del Governo? Come si potrebbe, d’altra parte, aspettare che i pagamenti siano effettuati, per portarli a credito della Banca?

Non è necessario essere molto versati nell’arte della ragioneria, per rendersi persuasi che non è possibile tenere un conto corrente giorno per giorno se non nel modo ideato.

Qualunque altro sistema si voglia adottare, condurrebbe alla confusione ed al caos. Nè Banca né Governo potrebbero vederci chiaro, se non in fine d’anno; non sarebbe più possibile alcuna sorveglianza; si giuocherebbe a gatta cieca; e le conseguenze potrebbero essere dolorose tanto per la Banca quanto per il Governo.

(1) L'art. 13 suona così: Il ministro delle finanze avrà facoltà d'ordinare che somme determinate non siano versate alla Banca, ma tenuto in riserva nella cassa del Tesoro nei modi da determinarsi col Regolamento.

Il che era necessario si prevedesse, perché in date circostanze, come in occasione di operazioni finanziarie, i fondi dello Stato potrebbero sorpassare di gran lunga i 100 milioni di garanzia forniti dalla Banca.

Se non che il conto corrente, da tenersi nel modo che indicammo, non è punto un’idea pellegrina che si trovi nella convenzione del 24 maggio 1869; imperocché la convenzione Sella, del 1865, disponeva dovesse precisamente tenersi nelle stesse ed identiche forme. Scorgere in ciò, come vi scorse la Commissione parlamentare, «una prova della cura che la Banca ha messo ad escogitare tutti i modi possibili per rendere smisurata la cifra delle giacenze affidate alla sua custodia e abbandonate all’arbitrio delle sue speculazioni,» è spingere, pare a noi, oltre i limiti del ragionevole la facile arte della critica.

Di non dissimile natura è un’altra obbiezione dalla Commissione opposta. Essa dichiara inopportuno, anzi riprovevole, il patto per cui, ad ogni scadenza di rendita pubblica, la Banca dovrà ricevere dieci giorni prima della scadenza stessa i 3a di quella somma che fu pagata nello Stato per il servizio della rendita nel semestre anteriore, ed il rimanente dal Governo provvedersi secondo il bisogno ed in modo che le anticipazioni occorrenti precedano l’esaurimento degli ultimi fondi anticipati.

t Provvedere in modo che alla scadenza della rendita i fondi non manchino, si dice nella relazione, è cosa necessaria e giusta; ma appartiene al Governo il pensarvi e la Banca non aveva alcun diritto di imporre un’anticipazione di 10 giorni. Niente altro che il calcolo del suo vantaggio potè determinarla a farne un’espressa condizione. »

Eppure la Commissione non avrebbe dovuto dimenticare quali siano le evidenti ragioni per le quali già nello stesso progetto-Sella, tale anticipazione era stata stipulata, e non di 10 giorni, come ora, ma di 15.

Ecco che cosa diceva l’onorevole Scialoja nel riferire sul ora accennato progetto al Senato del Regno sul finire del 1865.

«Quando si considera che le nostre rendite si pagano su tutta la superficie del Regno, che la Banca deve anticipatamente in tutte le sue sedi e succursali fare una certa provvista di danaro, la quale possa eventualmente rispondere al montare degli interessi, che i privati, i quali non si contentano di ritenere in biglietti, possono reclamare subito il pagamento in contanti; si comprende come l’anticipazione di 15 giorni dei due terzi degl’interessi di una rendita, risponda equamente al tempo richiesto pel movimento dei fondi.

Ond’è che se negli effetti indiretti di questo movimento vi è di che compensarne la spesa, non può temersi che la somma anticipata sia troppo larga o che resti troppo lungo tempo oziosa per dare stimolo ad operazioni poco ponderate. Nei primi giorni di ci asciai semestre sogliono pagarsi a’ privati creditori codesti due terzi degl’interessi. Pel resto si suole attendere: ed il regolamento testé citato dà facoltà al Governo di compiere in seguito la somministrazione alla Banca dell’altro terzo del montare della rendita, purché ciò avvenga prima che sia esaurita la somma anticipata. »

Non sarà fuor di luogo l’aggiungere che pel pagamento della rendita all’estero, al Rothschild si fa la provvista di fondi in anticipazione di 15 giorni, e non solo di una parte della somma necessaria, ma del totale.

Egli è che siffatta condizione è, per cosi dire, di diritto comune e solo a chi abbia bisogno di trovare a qualunque costo argomenti di censura, può venire in mente di disapprovarla.

LIX.

Alla Banca, dicono gli avversari della convenzione, tutti i vantaggi; al Governo le beffe ed i danni. Il corso forzoso fu una gravissima sciagura per il paese. Ebbene, questa sciagura la si vuole far durare ancora per sei mesi dopo che la Banca sarà stata soddisfatta delle somme che imprestò allo Stato.

È vero, l’art. 20 della convenzione stabilisce che la Banca ripiglierà il cambio in numerario dei suoi biglietti entro il termine di sei mesi dopo che avrà ricevuto il pagamento dei 278 milioni. Questa disposizione non torna punto onerosa allo Stato ed al paese, per la semplicissima ragione che l'aggio sull’oro scompare non appena si sappia che ad un dato momento sarà ripigliato il cambio di biglietti. Scomparendo l'aggio, la circolazione cartacea non è più dannosa, non ha più inconvenienti. Il biglietto alla pari è oro sonante, né più né meno.

L’esperienza però c'insegna che alla cessazione del corso forzoso i possessori dei biglietti s’affollano agli sportelli della Banca, non già perché temano di non poter spendere il biglietto di 20 lire per lo stesso valore del napoleone d'oro, ma per quest’altra ragione, che

…...............quel metallo

Portentoso onnipossente

soddisfa più l’udito ed appaga più la vista, che non il biglietto di Banca, divenuto giustamente uggioso per lo scapito del suo valore.

Ma la corsa al cambio ha funeste conseguenze che si possono facilmente immaginare; è d’uopo pertanto rallentarla il più che si possa, ed oltre a ciò è d’uopo considerare che, col ritorno alla convertibilità dei biglietti, la circolazione della Banca si restringe e diminuiscono i suoi affari. Ora bisogna dar tempo alla Banca di restringere il suo portafoglio a poco a poco, perché una troppa rapida realizzazione produce sconcerti e crea imbarazzi a tutti.

Ritardando di sei mesi il cambio, questi mali si evitano, senza che il paese, d’altra parte, ne abbia menomamente a soffrire.

Ma le obbiezioni non s’arrestano a queste che accennammo; ve ne hanno delle altre d’un indole affatto bancaria ed economica.

Coll'art. 7 del decreto del 29 giugno 1865 la Banca è obbligata a fare al Governo, su deposito di rendita e di Buoni del Tesoro, anticipazioni fino a concorrenza dei 2|5 del capitale versato all’interesse del 3 per 0|0. Ora, si dice, la Banca deve portare il suo capitale a 200 milioni; per l’art. 7 della convenzione, l’obbligo di fare anticipazioni al Governo resta limitato ai primi 100 milioni, ossia a 40 milioni.

Coloro dai quali questa obbiezione viene mossa, non hanno avvertito che i 100 milioni d’aumento del capitale della Banca, sono quei 100 milioni che essa deve versare nelle casse dello Stato in garanzia della sua gestione. Questo aumento di capitale non approfitta alle operazioni della Banca, è un capitale morto per lei.

Come si potrebbe pretendere che ad esso si estenda l’obbligo dell’anticipazione e del fondo di riserva? La futilità di osservazioni di questa specie è tanto evidente, che quasi quasi ci viene scrupolo a rilevarle.

Oltre tutti gli altri infiniti vantaggi assicurati alla Banca, essa, dice la Commissione, diviene mediatore obbligato in tutte le occasionali operazioni bancarie che possano occorrere alla finanza.

L’art. 12 della Convenzione dice: «la Banca sarà tenuta ad eseguire gratuitamente, a richiesta del Governo, la esazione delle cambiali o di altri titoli di credito spettanti allo Stato e pagabili sulle diverse piazze ove esiste una sede o succursale della Banca, e l’acquisto di cambiali sull’estero, quando non sia impegnata la sua responsabilità. Sarà inoltre tenuta a ricevere gratuitamente sottoscrizioni a Buoni del Tesoro entro i limiti fissati dal ministro delle finanze. »

E la Commissione, lasciando nella penna o non valutando la parola gratuitamente, riesce facilmente a dimostrare che sotto forma di obbligo imposto si è accordato alla Banca un novello favore.

Poiché però per le operazioni bancarie che al Governo occorrono deve esso, come qualunque privato, pagare un diritto di commissione; poiché con questa convenzione la Banca nazionale farà tali operazioni gratuitamente, chi non vede le cose attraverso il prisma della passione, deve conchiudere che il patto in questione è un vantaggio per l’Erario. Ed è un vantaggio che anche la convenzione del 1865 aveva avuto cura di stabilire.

Ma, si dice, con esso intanto la Banca, estendendo infinitamente la 6ua azione sul danaro pubblico, farà dei lauti guadagni; se è un giogo quello che con tale patto le si volle imporre, è un giogo tutto d’oro.

Ma sia pure; noi vogliamo, almeno sino ad un certo punto, ammettere che col maneggio delle cambiali ed altri simili titoli di spettanza del Governo, la Banca abbia mezzo di fare qualche guadagno.

Ma che perciò? Il guadagno della Banca esclude forse il vantaggio pel Governo di avere un banchiere gratuito? Non è dunque l’interesse dell'Erario che, avversando la convenzione, si vuole difendere, ma è la prosperità della Banca che si vuole combattere.

LX.

La Banca, al dire di taluni, coll'art. 27 della convenzione, si è procurato il mezzo di soffocare tra le sue spire il Banco di Napoli, quando assuma il servizio di tesoreria per le 11 provincie che gli furono riservate. Quest’articolo stabilisce che il mercoledì ed il sabato di ogni settimana la Banca nazionale ed il Banco devono riscontrare rispettivamente le fedi di credito ed i biglietti incassati; e che l’istituto che ne avrà meno passerà all’altro i titoli fiduciari di quest’ultimo, e riceverà in cambio altrettanta somma in titoli fiduciari di propria emissione.

Spieghiamoci con un esempio:

La sede della Banca nazionale di Napoli, avrà, poniamo, incassato per 10 milioni di fedi di credito del Banco. Il Banco, a sua volta, avrà incassato 12 milioni di biglietti della Banca nazionale. In questo caso, la Banca nazionale, secondo l'articolo 27, restituisce al Banco di Napoli i 10 milioni delle sue fedi; ed il Banco le darà in cambio 10 milioni di biglietti della Banca.

Può avvenire il caso opposto; vale a dire che il Banco abbia per 10 milioni di biglietti della Banca, e che la Banca abbia per 12 milioni di fedi di credito del Banco. Allora quest’ultimo muove il primo passo; porta alla Banca i 10 milioni di biglietti di questa, e riceve in restituzione un identica somma in proprie fedi.

In questa operazione non c’ è altro che scambio di valori; i due istituti faranno del loro meglio per rimettere in circolazione i proprii valori, salvo a fare un nuovo scambio quando questi valori sieno rientrati nelle casse dell’uno o dell'altro.

Forse che, come si pretende, con questo scambio di valori, la Banca nazionale, perché più potente del Banco, potrà riuscire a mettere quest'ultimo in imbarazzo?

L’obbiezione sarebbe, fino ad un certo punto, vera, se lo scambio dovesse farsi in numerario. L'istituto più potente potrebbe radunare molta carta dell'altro istituto, e poi por tarla d’un tratto al cambio. Ma lo scambio ha luogo tra carta e carta, e solo fino a concorrenza della carta posseduta dall’istituto che ne ha meno. La condizione quindi della quale discorriamo potrebbe anzi dirsi favorevole al Banco di Napoli, perché il cambio in numerario non può aver luogo che per l’eccedenza di biglietti che uno dei due istituti possegga in confronto dell’altro.

Che la disposizione dell’articolo 27 della convenzione non includa alcun pericolo per il Banco, si farà maggiormente palese se si consideri che essa, sostanzialmente, altro non è che una superfetazione; perché il cambio dei biglietti, cessato che sia il corso forzoso, è obbligatorio; e né il Banco potrebbe rifiutarsi di cambiare le sue fedi, né la Banca i suoi biglietti.

E se possibile fosse che l’istituto più potente, radunando grande quantità di carta dell’istituto più debole, riuscisse a mettere quest’ultimo in pericolo, ciò sarebbe più facilmente a temersi quando la accennata disposizione non esistesse.

La Banca dall’art. 16 della convenzione è autorizzata a concorrere, fino al decimo del suo capitale, alla creazione di casse di sconto, tanto per società in accomandita, che per società anonime.

Con questa disposizione si attua il voto manifestato dal Congresso delle Camere di Commercio e dalla stessa Commissione parlamentare d’inchiesta nel dottissimo suo lavoro, molte parti del quale già avemmo occasione di esaminare.

Il Congresso delle Camere di Commercio, che ebbe luogo in Firenze nel 1867, nella sua adunanza del 5 ottobre, dopo avere riconosciuto, col relatore Luzzatti, essere necessità che la Banca nazionale venisse nel suo statuto autorizzata a promuovere ed aiutare la costituzione di Banchi cointeressati, di Banche di sconto, di deposito, delle unioni di credito, che movendosi liberamente nella loro orbita, senza dipendere da essa, attingessero largamente alla fonte del suo credito, adottava la seguente deliberazione:

«Il Congresso, rimovendo per ora la soluzione del quesito proposto quanto all’unità od alla moltiplioità delle Banche di emissione, anche nella particolare considerazione delle condizioni anormali del credito in cui si trova il paese, per cagione del corso forzoso, domanda al Governo una legge che determini le condizioni sotto le quali si possano costituire le Banche di deposito, di sconto e di tutte quelle altre forme del credito che, all’infuori della emissione, giovano al commercio ed alle industrie (1). »

E la Commissione d’inchiesta così ebbe ad esprimersi a questo riguardo:

Ma perché veramente il credito in Italia diventi accessibile a tutti, non basta per certo la Banca nazionale colle sue numerose e spesso inutili Succursali.

In Francia si sono interposti utilmente, tra la Banca e i commercianti, i manifattori, gli agricoltori stessi, alcuni Banchi di sconto, i quali assai giovarono a mettere a parte del credito anche luoghi e persone che ne rimanevano privi; anzi si istituirono anche dei secondi Banchi di garanzia, perché essi facendo fede ai primi, siccome questi alla Banca, facilitassero il conseguimento del credito.

Se la Banca nazionale, in causa dei suoi stretti ed a lei si produttivi legami collo Stato, ha saputo fin qui occupare da sola il posto di altri istituti di credito, senza potere però sostituirsi ad essi per quei vantaggi che sono proprii soltanto d’istituti locali ed accessibili a tutti, potrebbe nondimeno concorrere essa medesima alla fon dazione di tali istituti. Non si accenna né un fatto nuovo, né un desiderio. Un esempio se ne ha nel Belgio, in quei Banchi compartecipi (comptoirs cointéresses), che, per opera stessa della Banca, sorgono qua e là dovunque; e il desiderio ne fu vivamente espresso tra noi anche da ultimo nel Congresso delle Camere di Commercio. Quando e dove per difetto di ospitale non possa facilmente costituirsi una Banca a sè, ecco alcuni commercianti, manifattori, agricoltori, di una qualsiasi terra la più modesta, riunirsi insieme e farsi essi mallevadori alla Banca, con una cauzione reale, e coll'obbligarsi verso la Banca tutti insieme.

(1) Congresso delle Camere di Commercio del regno. — Prima sessione. Firenze. — Atti ufficiali.

Quel credito che sarebbe negato dalla Banca, sia pure ai più onesti e più laboriosi, solamente perché non possono offrire tutte le condizioni che essa prescrive, ecco la Banca concederlo, dacché si sono interposti quelli che godono la sua fiducia. Essi poi, nel mentre così rendono agevole il credito della Banca, partecipano, in una certa proporzione, degli stessi sconti che hanno reso possibili: sono veramente Banchi compartecipi. Non più sarebbe meritato il rimprovero della Banca nazionale di essere divenuta la dominatrice e l’arbitra del credito, allorché col favorire e promuovere questi istituti, in relazione con essa, ma indipendenti, ella avesse (come espressamente si è detto nel Congresso delle Camere di Commercio) provvisto ad una delle più urgenti necessità del paese.

A questa necessità provvede l’articolo della convenzione che abbiamo ricordato. Nulla abbiamo quindi mestieri di aggiungere per mostrarne la ragione e dimostrare infondato l’appunto che si muove alla convenzione per avere autorizzata la Banca a concorrere alla creazione di questi istituti secondari così reclamati dalla pubblica opinione.

Un’altra facoltà fu data alla Banca coll’art. 18, ed è di concorrere alla formazione d’una società anonima per la vendita dei beni demaniali.

Veramente il concorrere in siffatte operazioni non si concilia col carattere speciale della Banca. Ma giova non dimenticare che non è questa una facoltà continuativa, ma determinata, per un caso speciale, che è spiegata dalle condizioni finanziarie ed economiche del paese; e la quale, al postutto, fu accordata esclusivamente nell’interesse dell’Erario.

Si lamenta infine, da taluno, che sia stata prorogata al 1900 la durata della concessione della Banca.

Questa proroga non ci pare abbia molta importanza. Non crediamo nemmeno sia un grande favore per la Banca, perché intorno ad essa si collegano oramai tanti interessi, che, se anche la concessione terminasse domani, a nessuno potrebbe venire in mente che fosse, non diremo conveniente, ma possibile non rinnovarla.

D’altra parte dal momento che, come già dimostrammo, il sistema dell’unità dell’emissione è perfettamente razionale ed indispensabile ai bisogni d’un paese, prevalse quasi presso tutti i popoli d’Europa, e deve prevalere, checché se ne dica, anche in Italia, noi non troviamo alcun inconveniente nell’essersi fin d’ora proposta la proroga della durata della Banca.

Con tutte le osservazioni che siamo venuti esponendo noi abbiamo inteso ed intendiamo unicamente di difendere i principii generali che nella convenzione pel servizio di tesoreria si trovano concretati, al modo stesso con cui nella Banca nazionale italiana noi volemmo difendere il principio dell’unità da essa rappresentato.

Se, del resto, nella convenzione pel passaggio del servizio di tesoreria alla Banca vi sono modificazioni da fare, miglioramenti da introdurre, non saremo noi certo che sorgeremo a combatterli; perocché noi, da nessuna passione agitati, solo anima il desiderio di vedere risolta a favore del paese una gravissima questione, attuando nell’argomento della Banca e della tesoreria il pensiero che con tanta insistenza fu dal sommo Cavour propugnato.

Ed è appunto alla indiscutibile autorità del conte di Cavour che in principal modo le considerazioni nostre si appoggiano.

Se non che, intorno alle idee del conte di Cavour nell’argomento del quale discorriamo fu ora elevalo un qualche dubbio. L’onorevole Ferrara, nella relazione che avemmo occasione di esaminare, dichiara poter asserire che le opinioni del conte Cavour rispetto alla Banca ebbero a subire una sensibile modificazione.

Noi abbiamo per l’onorevole Ferrara il più profondo rispetto, ma dubitiamo seriamente che egli, in questa circostanza, trascinato dalla foga delle sue idee, siasi lasciato indurre a vedere in altri ciò che non era che il riflesso dei pensieri propri. Sarebbe, per parlare francamente, necessario un ben chiaro documento per ammettere che Cavour abbia potuto ripudiare idee che colle parole e coi fatti ha propugnato per tutta la sua vita.

Noi abbiamo consultato più d’uno degli uomini politici che furono sino agli ultimi tempi in continuo contatto col conte Cavour; ma nessuno ebbe ad accorgersi od aver anche semplicemente un indizio del cambiamento di idee segnalato dall’onorevole Ferrara.

Persistiamo quindi a ritenere che i principii svolti in questo nostro volume sono i principii e le idee del grande Statista sull’argomento delle Banche e sul servizio di tesoreria.

CONCLUSIONE

___________________

Giunti a questo punto del nostro lavoro, noi dovremmo ora riassumere i principii e le idee che siamo venuti esponendo per presentare in sintesi alcune generali conclusioni. Ma, a dir vero, non lo crediamo necessario. Coloro che ebbero la pazienza di seguirci fin qui attraverso questa rapida esposizione di pensieri e di fatti, hanno potuto perfettamente comprendere quali siano le verità che noi abbiamo tentato di dimostrare nell’arduo tema che abbiamo discusso.

Queste verità del resto si riassumono in assai brevi concetti:

1° La questione delle Banche non è questione di libertà o di monopolio, ma piuttosto questione di servizio pubblico o di servizio privato; in altri termini, non è questione di togliere agli individui un diritto che naturalmente nel movimento economico sociale loro s’appartenga, ma è questione di lasciare nella sfera dell’azione collettiva, ciò che per natura delle cose all’azione collettiva appartiene.

2° Il biglietto di Banca, sebbene considerandolo in se stesso e nella sua origine non possa dirsi moneta, agisce nella circolazione come vera e propria moneta;

3° L’unità di emissione è necessaria al pari dell’unità del sistema monetario e di quello dei pesi e delle misure;

4° Il biglietto di Banca non costituisce il credito, ma è una utile sostituzione di un istrumento che costa pochissimo, e quasi potrebbe dirsi costar nulla, ad un istrumento che costa moltissimo;

5° L’unità d’emissione non restringe il credito, non lo accentra; ma anzi, dando al movimento fiduciario maggiore stabilità, maggior sicurezza, evitando le crisi che dal biglietto imprudentemente maneggiato possono facilmente sorgere, è allo sviluppo del credito favorevolissima;

6° L’unità di emissione è il sistema al quale si attengono, o si avviano tutte le principali nazioni del mondo;

7° Il credito in Italia è lungi dall’essere sviluppato quanto sarebbe desiderabile e necessario; ma ciò dipendo non dal meccanismo con cui il credito è organizzato, ma piuttosto dalla ristretta produzione, che non può lasciar luogo a larghi risparmi;

8° Del resto anche in Italia di fatto tutto tende all’unità di emissione affidata alla Banca nazionale italiana. Le eccezioni che ancora esistono non possono non sparire a poco a poco, perché o non sono fondate sulla natura delle istituzioni che le rappresentano, o sono contrarie alla volontà manifestata dai più diretti interessati;

9° Contribuiranno a tale scopo il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca ed il conferimento del corso legale ai biglietti di essa;

10° Questi due provvedimenti proposti colle migliori garanzie e coi maggiori vantaggi che possano ottenersi, sono indispensabili per provvedere alla situazione finanziaria del paese ed alla soppressione del corso forzato; e quindi dovranno essere finalmente accettati, come prima d’ora e con grande vantaggio furono accolti da molti altri fra i più civili e prosperi paesi d’Europa.

Se il lettore avrà onorato di qual elio attenzione le pagine che precedono, non avrà difficoltà a riconoscere che tutte le proposizioni ora riassunte trovano in loro appoggio non inconsiderevoli ragioni, e sopratutto abbondante raccolta di fatti.

APPENDICE


1° — Discorsi parlamentari pronunciati dal conte Cavour intorno alla questione delle Banche ed al passaggio del servizio di tesoreria alla Banca nazionale.

2° — Principali atti legislativi concernenti il sistema bancario francese.

3° — Leggi che regolano in Inghilterra il servizio di tesoreria e l'emissione dei biglietti di Banca.

4° — Leggi del Belgio sulla Banca e sul servizio di tesoreria.

5° — Progetti presentati al Parlamento subalpino ed al lamento italiano, intorno alla Banca ed al servizio di tesoreria.

6° — Prospetti relativi al servizio di tesoreria.

DISCORSI PARLAMENTARI

PRONUNCIATI DAL CONTE CAVOUR

DEL PARLAMENTO SUBALPINO

Intorno

ALLA QUESTIONE DELLE BANCHE

ED AL PASSAGGIO DEL SERVIZIO DI TESORERIA

ALLA BANCA NAZIONALE

DISCORSO del 1° luglio 1851 alla Camera elettiva

Cavour, ministro di marina, d'agricoltura e commercio e delle finanze. Credo mio debito, aprendosi la discussione generale, di far conoscere quali sieno stati i motivi che indussero il Ministero a proporre questo progetto di legge, e quali siano quelli che lo muovono a mantenere la sua proposta e ad invitare la Camera a volerla favorevolmente accogliere.

Forse taluno si sarà maravigliato che essa venisse presentata sul finire della Sessione; e veramente io non esito a dire che sarebbe stato desiderabile che fosse stata fatta in epoca meno inoltrata, onde avesse potuto subire forse un più lungo e più maturo esame. Ma un motivo gravissimo indusse l'attuale ministro delle finanze, tostoché assunse siffatto portafoglio, ad occuparsi delle modificazioni da introdursi negli statuti della Banca nazionale, ed a presentarle immediatamente all'approvazione del Parlamento, e il motivo è questo: era indispensabile pel ministro di provvedere senza indugio a ciò che la Banca riassumesse il pagamento in numerario, acciocché cessasse il corso forzato dei biglietti.

Ciò era stabilito in forza della legge sancita dal Parlamento nella scorsa Sessione; ciò era conforme e ai desideri unanimi del paese, ed ai veri interessi economici dello Stato.

Conveniva quindi provvedere al ritorno dello stato normale della Banca. Per questo il Ministero propose al Parlamento di permettergli l’alienazione di obbligazioni per mezzo di sottoscrizioni, e di pagare in un periodo di tre mesi il residuo debito alla Banca. Ma mentre con questo pagamento si soddisfaceva all’obbligo legale contratto dal Governo verso la Banca, e si poteva con ragione costringere quest’ultima a riassumere il pagamento in numerario, non si poteva nascondere che il ritorno del pagamento in numerario avrebbe portata una certa perturbazione nelle operazioni commerciali del paese, avrebbe, se non fosse stato accompagnato da alcun’altra disposizione, posta la Banca nella necessita di restringere di molto la cerchia delle sue operazioni.

E per vero egli è evidente che, se non si adotta questo progetto di legge, o qualunque altra disposizione, o definitiva o transitoria; se la Banca deve al 15 ottobre riassumere il pagamento in ispecie, senza che il suo capitale sia aumentato, senza che i suoi biglietti abbiano corso legale, è evidente, dico, che la Banca dovrà restringere eccessivamente la sua circolazione, dovrà sin dal mese di settembre provvedere acciocché, all'epoca in cui dovrà riassumere il pagamento in ispecie, possa ridurre, per quanto è possibile, il suo passivo, cioè la sua circolazione. Questa è una verità incontrastabile.

Il Ministero, onde questa crisi fosse il meno possibile funesta, determinò dapprima che il passaggio dallo stato anormale allo stato normale avesse luogo nel mese di ottobre, epoca dell’anno in cui credo che i bisogni del commercio siano meno forti. Di fatti i bisogni per le filande hanno assolutamente cessato, una gran parte del danaro anticipato ai filandieri è rientrato nelle casse dei banchieri, i bisogni si fanno meno sentire che alla fine dell’anno; quindi io credo che l’epoca stata scelta sia la più favorevole dell’anno.

Nulladimeno sarebbe impossibile che la Banca restringesse le sue operazioni di molti milioni, come sarebbe costretta. a farlo, se non si adottasse qualche disposizione o transitoria o permanente, senza che questo portasse una grave perturbazione. Il paese si è avvezzato a far assegno sull’aiuto della Banca, sul concorso delle sue operazioni abituali; la cassa della Banca è per molti una succursale della cassa propria, e quindi è evidente che quando essa non si trovi più in grado di procurare quei sussidi al commercio, questo ne dovrà di molto soffrire.

Egli è quindi in vista di quel passaggio dal corso forzato al corso volontario, in vista di quel termine che non si poteva, né si doveva protrarre, che il Ministero ha stimato di dovere senza indugi sottoporre alla Camera quelle misure rispetto alla Banca, che, a suo credere, dovevano aver per effetto di rendere meno sensibile, ed anzi di far sparire gli effetti di quel passaggio.

Dopo aver spiegato i motivi che hanno indotto il Ministero a proporre questa legge alla fine della Sessione, esaminerò la questione nel suo complesso.

Io credo fermamente che uno Stato il quale voglia raggiungere un alto grado di prosperità materiale, e vedere svolti con tutta la maggior attività i suoi mezzi di produzione, deve avere un grande stabilimento di ere 1 Ito, e IV empio di tutte le nazioni più grandi ce lo prova.

Io penso che se l'Inghilterra non avesse avuto l’aiuto della sua Banca nazionale, i suoi progressi sarebbero stati molto più lenti di quello che furono; epperciò vi è un motivo speciale, un motivo che io prego la Camera di voler prendere in seria considerazione.

Una Banca deve regolare le sue operazioni in modo da potere in tutte le circostanze sempre soddistare i proprii impegni.

Una Banca in istato normale, cioè quando ha l’obbligo e l’obbligo stretto di cambiare i biglietti col numerario, deve regolare le sue operazioni in modo che essa possa sempre operare questo cambio con facilità. Nei tempi normali questa obbligazione non è grave per la Banca.

Una Banca che è stabilita sopra salde basi, che è costretta a mantenere una certa regola nelle sua operazioni, a seguire dei principi! di prudenza, questa Banca vede la sua circolazione estentersi naturalmente a seconda dei bisogni del paese, e non deve darsi gran fastidio di quella necessità che le è dalla legge imposta. Ma accadono nella vita dei popoli delle circostanze clic portano la perturbazione nel sistema economico, e specialmente nella circolazione monetaria. Queste circostanze possono essere di diversa natura: o sono gli effetti di grandi sconvolgimenti politici, oppure sono puramente economiche o commerciali.

Rispetto alla prima, io credo che non vi è norma di prudenza che vi possa provvedere. Quando un paese sarà travagliato da una gran crisi politica, allora la Banca sarà sempre costretta ad avere ricorso a mezzi straordinari. Non vi è stabilimento al mondo fondato sopra basi più solide di quelle su cui è fondata la Banca di Francia; non vi è stabilimento più prudente, dirò anzi più peritoso di questo; eppure a fronte della gran crisi del 1848, la Banca di Francia ha dovuto ricorrere anch’essa al Governo ond’essere dispensata dal rimborso dei biglietti di Banca;

fu quindi questa dispensa che salvò in certo qual modo l’economia interna del paese. Ma queste crisi sono però rare, sono avvenimenti che non si riproducono e non dovrebbero riprodursi che dopo lunghi intervalli, mentre sono pure avvenimenti cui la prudenza umana non può prevedere.

Non occorre quindi occuparci di ciò, perché, ripeto, qualunque misura di prudenza che si volesse adottare, sarebbe perfettamente inutile ed inefficace in quelle straordinarie contingenze.

Vi sono però delle perturbazioni economiche che si riproducono, direi, quasi regolarmente, perché sono la conseguenza di casi naturali. Queste perturbazioni nella circolazione sono quelle che nascono per quegli avvenimenti che influiscono temporariamente su quello che io chiamerò bilancio del commercio, quando per una circostanza o per un gran fatto economico uno Stato si trova nella necessità di contrarre dei debiti o di acquistare all’estero una quantità di derrate maggiore di quella che acquista ordinariamente, oppure quando, acquistando la stessa quantità di derrate all’estero, si trova privo di una parte dei mezzi coi quali abitualmente paga queste derrate che trae dall’estero, dal che risultando uno squilibrio nella circolazione, allora lo Stato è obbligato di saldare i suoi debiti in parte con numerario. Quando ciò avviene in un paese il quale abbia una circolazione di carta, ne nasce una certa perturbazione, per cui il commercio avendo bisogno di numerario per saldare i suoi debiti, si rivolge necessariamente a coloro che sono i gran ritentori del numerario, cioè alle Banche.

Questa domanda di numerario fatta alle Banche, le costringe a restringere soverchiamente la loro circolazione, e ne nasce una crisi che porta seco gravi inconvenienti. Se in quel paese vi è uno stabilimento sopra larghissime basi, questa perturbazione è meno grave, e ciò per due motivi: primieramente perché esso può sopperire ai bisogni di numerario senza che per ciò la sua posizione venga ad essere alterata, e senza che i portatori dei biglietti concepiscano un timore sulla solvibilità della Banca; in secondo luogo, perché una Banca potente ha delle relazioni all’estero, il suo credito è conosciuto oltre il paese, e le è facile di procurarsi quel numerario di che ha bisogno per a tempo, ciò che non potrebbe fare una Banca di minor conto.

Io dico dunque essersi sommamente a desiderarsi che vi sia nel paese una forte istituzione di credito, e l’esempio, lo ripeto, delle nazioni le più innanzi nel progresso lo dimostra incontrastabilmente.

A ciò mi si opporrà forse l’esempio dell’America, in cui la Banca di Filadelfia fece mala prova; ma io osserverò anzitutto che questa Banca, che prima si chiamava, credo, Banca nazionale e poi fu detta Banca di Filadelfia, mentre era stabilita sopra larghissime basi, mentre aveva ottenuto sommi favori dal Governo, non aveva contratto nessuna obbligazione col medesimo, e questo non aveva veruna azione sulla sua amministrazione.

Farò inoltre osservare che gli statuti di quella Banca erano così larghi, che era in sua facoltà di fare qualunque operazione commerciale, e non era ristretta, come debbono essere le Banche bene ordinate, alle semplici operazioni di anticipazioni e di sconto. Finché la Banca di Filadelfia si mantenne nelle attribuzioni proprie delle Banche, rese molti servizi, e credo che tutti gli storici americani riconoscono che il ritorno del credito dopo le guerre che avevano scosso quasi tutte le istituzioni di credito americane, siasi dovuto all’azione benefica della Banca di Filade. lfia che per alcuni anni fu ottimamente amministrata. Ma questa Banca fatta assolutamente indipendente dal Governo, divenne strumento alle brame dei capitalisti ambiziosi che ne assunsero la direzione, ed invece di restringersi alle operazioni bancarie, tentò perfino il monopolio sovra tutti i cotoni dell’America, e finì miseramente con uno dei più grandi fallimenti che abbiano afflitto il mondo economico.

Ma lasciando in disparte questo esempio, noi vediamo come le istituzioni di credito siano tornate utili; e se tornano utili nei tempi ordinari, credo che nei tempi straordinari tornino utilissime. Ce lo ha dimostrato l’esempio di questi ultimi anni. Tutti sanno di quale efficace aiuto sia stata la Banca d’Inghilterra al Governo inglese; io non so se Pitt, con tutto il suo genio, avrebbe potuto mantenere la lotta contro Napoleone se non avesse avuto il sussidio della Banca.

La Banca di Francia ha pur reso grandissimi servizi al suo Governo; e pur troppo, a nostre spese, abbiamo imparato di quanto aiuto la Banca di Vienna sia stata al Governo austriaco. Non si potrebbe ottenere lo stesso sussidio dall’istituzione del credito, se invece di uno stabilimento alquanto potente ve ne fosse una gran quantità di deboli; questo è evidente.

Io credo che se da noi nell’anno 1848 invece di una sola Banca ve ne fossero state tre o quattro, con un capitale del terzo o del quarto di quello della Banca di. Genova, il Governo non avrebbe potuto valersene come se ne valse con grandissimo suo vantaggio.

Io so che contro le grandi istituzioni di credito esistono molte prevenzioni (non voglio dire pregiudizi): ei teme con queste di elevare, dirò cosi, una potenza rivale del Governo nello Stato; ma io ritengo che quando gli statuti della Banca sono chiaramente definiti» quando la legge dà al Governo la facoltà d’intervenire in tutte le operazioni, e gli dà un’azione di sindacato e di sorveglianza, questo non sia da temersi. E in verità io non vedo che gli esempi storici ci dimostrino che vi sia stata sovente questa lotta tra le istituzioni di credito e i Governi.

Il solo esempio è quello della Banca americana; ma, lo ripeto, la Banca americana era assolutamente indipendente; il Governo aveva preso l’impegno di consegnare a lei i fondi eie aveva disponibili, ma non aveva nessuna azione diretta sulla sua amministrazione; non nominava né il direttore, né i commissari, e non poteva restringere in alcun modo le operazioni di questa Banca.

Noi scorgiamo invece che la Banca d’Inghilterra, la quale sino ad un certo punto è sicuramente indipendente dal Governo, nulladimeno è sempre stata in ottima relazione con questo, e gli prestò sempre il suo sussidio, sia che il ministero appartenesse al partito tory, che al partito wighs.

Lo stesso si può dire della Banca di Francia, la quale si mostrò pronta a sussidiare il Governo vii Luigi Filippo, come quello della repubblica, o si mantenne del pari in buone relazioni coi finanzieri di questa, come Garnier-Pagés, che con Humman e con Lacave-Laplagne.

Nè mi è avviso che l’Austria possa lamentarsi della Banca.

Con uno statuto ristrettivo, è evidente che la Banca non può in verun modo emanciparsi, né esercitare alcun'altra azione, tranne quella che è dalla legge statuita, e conseguentemente non yi è alcun motivo per cui possa stabilirsi un antagonismo col Governo.

Da ultimo, taluni stimano che stabilendo una Banca sopra basi un pò larghe, si renda impossibile la creazione di Banche minori, o massimamente di Banche locali.

Questo, a parer mio, è un gravissimo errore. Io credo anzi che non si possa fondare una Banca locale o d’ordine minore, se non v’è nel paese stesso uno stabilimento di credito di qualche considerazione.

In un paese ove esiste un grande stabilimento di credito riesce molto meno difficile il creare stabilimenti di un ordine secondario, con che la legge si mostri men severa verso detti stabilimenti. Egli è evidente che se, per esempio, il Parlamento fosse disposto a permettere ad uno stabilimento in una data località,

oppure che ha una missione speciale di crediti, di stabilirsi con condizioni meno sfavorevoli, meno ristrette di quelle della Banca centrale; se, per esempio, si permette a questi stabilimenti di scontare della carta a sole due firme; se loro si concede di emettere carta di minor valore di quella della Banca centrale, questi si fonderanno con molto maggiore facilità, e mercè

10 stabilimento centrale potranno estendere di molto le loro operazioni.

Questo si verifica iu Inghilterra, ed io sono d’avviso che senza il

sussidio che la Banca d’Inghilterra ha sempre accordato alle Banche locali, la massima parte di esse non potrebbe sussistere. Didatti la più gran parte delle operazioni delle Banche locali consiste nello scontare carta a due firme, e di mandare poi questa carta a due firme, alle quali si aggiunge la firma della Banca locale, alla Banca

Londra, che la seunta e loro somministra i mezzi di condurre innanzi le operazioni; poiché se queste Banche non avessero nessun centro a cui rivolgersi, le loro operazioni sarebbero talmente ristrette che non si potrebbero riconoscere veramente giovevoli. Io sono temente convinto di questa verità, che certamente non avrei giammai prestato il mio assenso alle persone che si diressero a me on le ottenere la concessione di stabilire una Banca ad Annecy, se non avessi avuto la certezza clic questa Banca, stante la vicinanza di Ginevra, avrebbe sempre potuto ad ogni occorrenza far scontare la sua carta presso le Banche e i capitalisti di Ginevra. Io credo fermamente che se la Banca di Savoia fosse lasciata alle proprie sue risorse, se non avesse il sussidio delle Banche ginevrine, o quello della Banca nazionale subalpina, quello stabilimento, il quale deve, a mio credere, rendere larghissimi servizi alla Savoia, ricscirebbo invece di poca o nessuna utilità.

Dico adunque che una Banca stabilita sopra larghe basi, lungi dall’essere nociva alle Banche minori, è loro molto favorevole.

Alcuni, senza negare questa verità, pensano che questa Banca centrale, direttrice in parte delle operazioni di credito, abbia da essere fondata dal Governo stesso, e che non abbia soltanto da avere il nome di nazionale, ma debba esserlo realmente, cioè fatta con capitali, con fondi al Governo appartenenti. Io credo essere questo un gravissimo errore, e che il Governo non debba, non possa dirigere, né avere un’ingerenza troppo grande in una Banca di circolazione e di sconto. Le operazioni di una Banca di circolazione e di sconto sono delicatissime; conviene in certo modo regolare la misura del credito dalle circostanze economiche,

le quali sono variabili da un giorno all’altro; bisogna misurare la larghezza del credito e dalle condizioni presenti e dalle future. Si richiede perciò una grande pratica degli affari, grande abilità, ed in certo modo un allontanamento completo dalle preoccupazioni politiche. Io penso quindi che una Banca governativa sarebbe sempre poco ben diretta, poiché nel regolare queste operazioni si richiede assolutamente che chi è preposto a ciò non abbia nessuna prevenzione né per quello, né per questo. Bisogna che le operazioni siano combinate nell’interesse della Banca e del commercio in generale, e non per favorire ora questo, ora quel partito politico. Ora, vi sarebbe molto a temere, quando fosse una Banca puramente governativa, quando i suoi direttori fossero agenti diretti del Governo, che le operazioni non fossero dirette unicamente da considerazioni economiche. I ministri sono uomini, ed è impossibile lo spogliarsi assolutamente di ogni simpatia, di ogni predisposizione in favore di coloro che professano le medesime opinioni, di coloro coi quali si hanno comuni i sentimenti e che combattono nelle medesime file. Quindi io sono d’opinione che quando una Banca fosse diretta da un ministro, o dagli agenti del ministro, sarebbe una Banca che darebbe poca soddisfazione al pubblico, che inspirerebbe pochissima fiducia al commercio ed al paese.

Ed infatti noi non vediamo, almeno non credo esservi esempio di una Banca di circolazione e di sconto puramente nazionale nel modo ora detto. I Governi hanno in certi casi favorito lo stabilimento di alcune Banche con somministrare dei fondi; in altri casi hanno presa una parte più diretta nello stabilimento di grandi istituzioni di credito, ma queste istituzioni, quantunque abbiano pur esse il nome di Banca, sono fondate su principii assolutamente diversi.

Perciò che riflette questi stabilimenti, sia che si chiamino Banche territoriaU od agrarie, ovvero fondiarie, o con qualsiasi altro nome, io son lontano dal professare la medesima opinione. Io penso che il Governo possa, e in certe circostanze debba prendere una parte attivissima nella fondazione, ed anche, se si vuole, nella direzione delle Banche territoriali.

L’inconveniente che io indicava per ciò che riflette le Banche di circolazione e di sconto, non regge per quanto riflette le Banche territoriali. In queste le operazioni sono più semplici, richiedono bensì una grande regolarità, ma non hanno bisogno di quei criterio, di quell’acume commerciale, di cui v’ha tanto bisogno per 1$ operazioni di circolazione e di sconto.

Una Banca territoriale non è che un modo di rendere il credito individuale dei proprietari collettivo, di far si che una carta, la quale, essendo appoggiata sopra una ipoteca speciale, sopra un dato fondo, si collocherebbe difficilmente, avendo per ipoteca il complesso della Banca o degli affigliati della Banca, abbia lo stesso prezzo delle cartelle del debito pubblico, e talvolta un prezzo maggiore. Queste operazioni sono semplicissime; possono essere, e qualche volta lo sono, con molto vantaggio della società, dal Governo dirette.

Dico dunque che se per ciò che riflette le Banche territoriali si può con fondamento sostenere opportuno l’intervento del Governo, non si ha a dir lo stesso per ciò che riflette le Banche di circolazione.

Ciò essendo, se era necessario il promuovere nel paese una grande istituzione di credito, se questa istituzione non si doveva creare per mezzo del Governo, come mai si poteva raggiungere lo scopo? Non vi erano che due mezzi: o fondare una nuova Banca, o cercare di ampliare quella esistente.

Per fondare una nuova Banca s’incontravano molti ostacoli; non tanto però quello di radunare dei capitali. Io sono d’avviso che se non esistesse ancora una Banca, e la cosa fosse tuttavia vergine, non sarebbe poi molto difficile il radunare 16 ed anche 20 milioni per costituire una gran Banca nazionale; ma io credo che sarebbe molto difficile di ciò fare in concorrenza di quella esistente.

La Banca esistente ha per sè il benefizio della priorità, ha per sò il vantaggio di avere per amministratori e per interessati quasi tutti coloro che nel nostro paese si occupano del commercio bancario. Non basta per una Banca di avere dei danari per aver credito ed influenza, ma bisogna altresì che sia diretta da coloro che hanno nel commercio bancario una maggior influenza.

Ora, o signori, in tutti i paesi il numero delle persone che si dedicano a quello che costituisce veramente il commercio bancario è ristrettissimo. Per commercio bancario io ho indicato quello che si restringe al movimento dei fondi da un paese ad un altro, sia direttamente, sia col mezzo delle cambiali. Ebbene, signori, questo numero è ristrettissimo. Io non credo che a Torino vi possano essere più di quattro o cinque case che facciano veramente il commercio bancario; ve ne sarà un maggior numero a Genova, ma nemmeno colà questo numero è eccessivo, poiché non credo che ve ne siano più di quattordici o quindici che si possano dire vere case bancarie.

A Londra il numero ne è ristrettissimo relativamente a quello dei negozianti, in generale non potendo eccedere il numero di cento. Ora quasi tutti coloro che fanno il commercio delle cambiali sono interessati in questa Banca, e sarebbe difficile che intervenissero altri capitalisti a fare concorrenza a questi che hanno nelle mani gran parte del movimento dei fondi.

Allontanata quindi la possibilità di stabilire una Banca più larga di quella che esiste, bisognava vedere che cosa fosse necessario per ottenere che la Banca attuale aumentasse il suo capitale in modo da porlo in armonia coi bisogni attuali del paese.

Io credo che una Banca con 16 milioni possa corrispondere ai bisogni presenti. Sono però d’avviso che, se ie forze produttrici del paese vanno oltre sviluppandosi, come è da sperare, anche questo capitale sarà presto riconosciuto insufficiente; ma per ora io lo credo assolutamente bastevole.

Dunque era necessario offrire qualche vantaggio a questa Banca, onde indurla ad aumentare il suo capitale.

Qui mi si dirà: che difficoltà incontravate per aumentare il capitile della Banca? La ragione è semplicissima. Di tutte le operazioni possibili, quella da cui rifuggono maggiormente gli azionisti di una Banca si è l’aumento del capitale; perché è evidente che il profitto non cresce in ragione dell’aumento del capitale. Egli è evidente che se la Banca rimanesse solo con un capitale di 8 milioni, essa potrebbe impiegare tutti i suoi fondi disponibili, mantenendo lo sconto più elevato.

Si supponga che con 8 milioni possa mantenere in circolazione 16 o 20 milioni, essa manterrà il suo sconto più elevato, perché è sicura dell’impiego di questi 20 milioni.

Dunque io suppongo che per poter impiegare questi 20 milioni sia necessario che essa fissi il suo sconto al 4 per cento. Se questa Banca invece di 8 milioni porta il suo capitale a 16, e quindi invece di mantenere in circolazione 20 milioni possa mantenerne 36 a 40, egli è evidente che, per impiegarli, la Banca sarà costretta a diminuire il suo sconto, quindi non potendo fare operazioni commerciali e non potendo acquistare fondi pubblici se non nel limite ristretto dei suoi fondi di riserva, si troverà necessariamente nella condizione di non aver altro impiego pe’ suoi fondi fuorché nello sconto stesso. Dunque la Banca deve proporzionare lo conto alle domande ed ai bisogni del paese, e quando essa ha una quantità di fondi maggiore delle domande, abbassa lo sconto; quando invece le domande superano i fondi disponibili, allora lo rialza.

Quindi è evidente che il benefizio della Banca non cresce in proporzione del suo capitale, ed una Banca con 16 milioni non otterrà probabilmente un. profitto doppio di una Banca che ne abbia soltanto otto.

Però vi sono, anche sotto il punto di vista delle Banche stesse, dei motivi onde consigliarle ad aumentare il loro capitale, e sono motivi di prudenza non che di previdenza quanto all’avvenire. Quindi io penso che gli azionisti della Banca nazionale dovevano già essere predisposti ad aumentare questo loro capitale. Tuttavia, se non vi fosse stato %verun corrispettivo, io dubito assai se avrebbero acconsentito a quest’aumento; e ciò posso argomentarlo da che ho incontrata non poca difficoltà nel far accettare il presente progetto da molti membri del Consiglio d’amministrazione; anzi, posso dire che se il Consiglio d’amministrazione di Torino vi aderì quasi senza difficoltà, il Consiglio di Genova non vi prestò il suo assenso se non quando ebbi a dichiarargli che, se rifiutava questo progetto, il Governo sarebbe stato costretto a cercare e a promuovere lo stabilimento di una altra istituzione di credito. Fu pertanto solo allora che il Consiglio di Genova accettò le basi di questa transazione. Il favore che il Governo sarebbe disposto ad accordare alla Banca è quello di dare ai suoi biglietti corso legale.

Qui sta il punto più delicato ed importante della questione. Prego pertanto la Camera a volermi accordare qualche attenzione.

Non è mestieri che io faccia avvertire l’immensa differenza che passa tra il corso legale e il corso forzato. Ognun sa che in questo ciascuno è obbligato a prendere in pagamento i biglietti senza aver mezzi sicuri di cambiare questi biglietti contro del numerario; col corso legale invece i particolari individui sono bensì obbligati a ricevere in carta il prezzo del loro avere, ma hanno il mezzo di ottenerne il cambio immediato in numerario, cosicché si può dire che il corso legale non fa che ritardare il cambio dei biglietti in numerario. Quindi non si saprebbe vedere quali gravi inconvenienti possa avere questo valore legale dato ai biglietti per coloro che abitano nelle città dove la Banca ha le sue sedi, oppure dove ha stabilito succursali.

Egli è evidente che, in tempi ordinari, il valore legale non ha, si può dire, inconvenienti, perché non può dirsi inconveniente l’obbligo di andare dalle loro case alla Banca per procurarsi il valore metallico. Vi potrebbe essere inconveniente per coloro che non abitano in quelle città dove la Banca ha la sua sede od una succursale, e che quindi non hanno un mezzo sicuro di procurarsi immediatamente il cambio dei biglietti contro il numerario.

Farò tuttavia avvertire alla Camera che questo inconveniente è più. apparente che reale. Il Governo, l’erario, essendo obbligato di ricevere in pagamento i biglietti della Banca, e quest’obbligo non avendo alcun inconveniente per lui, perché il Governo può sempre far venire i biglietti senza costo alla capitale ed a Genova e nelle altre città dove la Banca ha sede, e quindi procurarsi del numerario, ne viene che in tutte le provincie vi hanno domande continue, perenni, di biglietti, perché pur troppo il Governo è sempre perennemente nella condizione di chiedere dei denari, e queste domande fanno si che i biglietti non iscapiteranno in provincia.

Il Governo avrà interesse che i suoi averi siano pagati piuttosto in biglietti che in numerario, poiché essendo noto che da quasi tutte le provincie una parte dei tributi si versa od alla capitale, od alla città di Genova, dve maggiori sono le spese dello Stato, egli è evidente che il Governo avrà interesse che nelle casse dello Stato delle provincie vi entrino biglietti anziché numerario, perché potrà con minore spesa, anzi senza spesa alcuna, far viaggiare questi biglietti dalle provincie alla capitale o a Genova, che non far viaggiare del numerario. Io dico quindi che questa richiesta continua per parte del Governo dei biglietti farà si che nelle provincie le più lontane questo non possa avere alcun inconveniente, e quando poi si manifestassero inconvenienti, io credo che sarebbero facilmente rimediabili, riordinando il servizio delle tesorerie.

Ma, signori, ci sarebbe grave inconveniente, se tutta la circolazione attuale fosse una circolazione metallica, cioè se fosse una circolazione uniforme in tutte le provincie dello Stato; ma voi sapete meglio di me (e i deputati che abitano le provincie le più lontane dalla capitale non mi disdiranno certamente) che la nostra circolazione si fa molto irregolarmente, cioè per mezzo di monete le quali non hanno un valor legale, oppure si smerciano abitualmente a un corso abusivo.

Farmi di non andar errato col dire che i due terzi, i tre quarti della circolazione delle provincie si fa, per le somme di qualche considerazione, in oro. Io ho qualche conoscenza, per esempio, del mercato di Vercelli, e so che su dieci contratti nove si fanno pagabili in oro, e non è se non nelle circostanze in cui è ù’ uopo procacciarsi del danaro per andare a pagare l'esattore che si fanno contratti in iscudi; ed io ritengo che quello che dico per la provincia di Vercelli sussista ancora di più e per le provincie d’oltre Sesia, e per quelle della destra del Po da Alessandria alla frontiera.

Io dico quindi che la circolazione che noi vogliamo introdurre, e che si è già introdotti, della carta, non si sostituisce ad una moneta regolare, ma bensì ad una moneta abusiva. Io stimo quindi che anche nei siti più lontani dal centro, dove il cambio è obbligatorio non si avrà mai lo scapito che si soffre al presente per le monete abusive.

Non v’è certamente un negoziante a Torino che faccia affari in provincia, il quale ogni anno non porti una somma notevole sopra i suoi libri sotto la categoria Perdita sulle monete. Similmente tutti gli agricoltori che tengono con cura i loro registri debbono pare al finire dell’anno porre nella categoria Avarie ed avanzi il Disagio valute.

Se noi invece a quest’oro abusivo sostituiamo della carta, non vi sarà più veruno scapito, oppure quella perdita che occorrerà per il trasporto del numerario dalla capitale alle provincie sarà minima.

Non v’ha dubbio dunque che, col sostituire all’oro abusivo la carta, la circolazione si renderà molto più solida e regolare.

Si potrebbe aggiungere la considerazione che si può muovere contro la circolazione dell’oro per effetto del possibile accrescimento di quel metallo.

Sebbene io porti ferma convinzione che sia probabilissimo uno svilimento del medesimo, tuttavia, siccome sarei tratto fuori dall’argomento che mi son proposto di trattare se io prendessi ad esporre ora le ragioni che mi muovono ad emettere quest’opinione, io lascio in disparte l’anzidetta considerazione. Farò solo osservare che da dne anni l’oro presso di noi è diminuito dell’uno o dell’uno e mezzo per cento, che quindi lo scapito dell’oro è stato maggiore di quello che non sia stato in media lo scapito dei biglietti, e che perciò la circolazione in oro ha prodotto maggiori inconvenienti che non la circolazione in biglietti, e questo è tanto vero che nel nostro paese comincia a manifestarsi in generale una preferenza per la circolazione dei biglietti.

Gran parte delle compre di bozzoli in quest’anno, se mal non mi appongo, sono state effettuate con biglietti; ed io so che molte case di Torino che negli altri anni mandavano sempre del numerario ai «loro corrispondenti, in quest’anno ricevettero numerose richieste di biglietti. Egli è quindi evidente che questa circolazione può sostituirsi senza inconveniente alla circolazione attuale, e che anzi deve produrre un effetto benefico alla classe più numerosa, giacché mi conviene ancora avvertire che questo corso abusivo delle monete torna di vantaggio agli speculatori delle piccole città e di danno ai produttori, massime agli agricoltori.

L’agricoltore è quasi sempre vittima di questo commercio, poiché egli è obbligato di negoziare prima, la derrata, quindi la moneta: è costretto a ricevere una moneta abusiva, e non può, o non ha mezzi, e sovente neanco i lumi necessari per fare pesare queste monete; quindi accade ogni giorno che soffra scapiti notevolissimi a cagione di monete che non hanno il peso legale, e che qualche volta si dovrebbero porre fuori di corso. Quanto ai biglietti, ciò non può accadere; la circolazione si fa in modo regolare e non vi può essere discussione: il biglietto ha un valore fisso, il suo peso è sempre lo stesso, quindi da questo lato la circolazione è molto più sicura, e la sicurezza della circolazione torna massimamente a vantaggio dei meno illuminati, quindi torna a vantaggio delle classi più numerose.

Si oppongono al sistema del corso legale i pericoli a cui può condurre; si teme che questo corso legale dia troppo impulso alla circolazione, e faccia sì che la Banca possa estendere oltre i limiti dalla prudenza richiesti la sua circolazione. Io ritengo questi timori per affatto infondati. La circolazione si regola non dai desiderii della Banca, ma dai veri bisogni. Un paese, per esempio, ha bisogno di una certa somma per effettuare i suoi cambi abitualmente; più di questa somma una Banca non può tenere in circolazione. Egli è un errore grandissimo il credere che 6ia in facoltà d’una Banca lo stabilire i limiti della sua circolazione. Vediamo ogni giorno che le Banche sono impotenti a superare i limiti fissati dai bisogni del paese.

Vediamo, per esempio, che la Banca d’Inghilterra, la quale è quella che è forse regolata con maggiore abilità,. non ha potuto da due anni, abbenché abbia ridotto successivamente il suo sconto, non ha mai potuto avere in circolazione la somma che i suoi statuti gli permettevano, poiché, se non erro, in questo momento quella Banca potrebbe avere in circolazione, in virtù del suo statuto, dai sette agli otto milioni sterlini di più di quello che ha effettivamente; eppure essa avrebbe interesse a che questi biglietti fossero in circolazione, perché così accrescerebbe i suoi guadagni; ma le è impossibile il farlo, perché sarebbe, in certo modo costretta a ritirare alla sera quello che metterebbe in circolazione la mattina.

Non parlo della Banca di Francia, la quale in questo momento ci dà il singolare spettacolo di una Banca che ha un fondo in numerario di gran lunga superiore all’ammontare della sua circolazione. Io sono persuaso che la Banca di Francia potrebbe senza dubbio aumentarlo se fosse meno timida, se fosse, come penso, più illuminata;

ma la Banca di Francia non vuole uscire dalle tradizioni del passato e segue sempre la via che ha battuta. Essa crede che il principale suo dovere sia di mantenersi provveduta contro ogni evento, e quindi non fa nulla per aumentare la sua circolazione. Ma quand’anche adottasse un altro sistema, per esempio, il sistema inglese, e diminuisse lo sconto dal 4 al 3 e dal 3 al 2, io non credo perciò che giungerebbe mai ad avere in circolazione tanti biglietti quanto i suoi statuti le consentono, poiché adesso potrebbe avere in circolazione, se non erro, un miliardo ed ottocento milioni. Questa somma sicuramente non la potrebbe avere in circolazione, ma assai agevolmente settecento od ottocento milioni, invece di non averne che cinquecento venti; dico adunque che il corso legale non influisce essenzialmente nei tempi normali sull’ammontare della circolazione. Di fatti in tempi normali il corso legale esiste di fatto; nei tempi ordinari, quando una istituzione di credito ha esistito qualche anno, nessuno rifiuta la sua carta, anzi la carta ha la preferenza sul metallo, giacche la carta è più facile a trasportare, più comoda e dà minor disturbo.

(U deputato Farina Paolo profferisce qualche parola a bassa voce).

Non lo crede il signor Farina?

Ebbene, io sono d’altra opinione. Io credo che l’esempio dell’Inghilterra dove esiste il corso legale lo provi ad evidenza. Quando vi si è adottato il corso legale, non è di molto aumentata la circolazione, ed io invoco l’opinione di quelli che abitavano l’Inghilterra prima che nel 1833 si stabilisse il corso legale, e loro dimando se il biglietto non aveva lo stesso valore dello ghinee sia a Londra, sia nelle provincie: nessuno faceva difficoltà a ricevere della carta invece delle ghinee. Il corso legale non ha influenza che nei momenti di crisi economica; non ha poi nessuna influenza nei momenti di crisi politica, perché, lo ripeto, nelle crisi politiche non vi è nessuna precauzione, nessuna misura che valga a mantenere la circolazione della carta.

Quando il pubblico teine per la stabilità dello Stato, della societànon vi è né corso legale, né prudenza dello stabilimento che valga a far mantenere i biglietti in circolazione; se il cambio è obbliga, torio, tutti vanno a cercare delle monete per sotterrarle o per andarsene; quindi io escludo, ripeto, questa circostanza, perché è inutile il prevederla, non potendosi ad essa provvedere. Ma nei momenti di crisi economica, nei momenti in cui si manifesta un bisogno di numerario per fare delle operazioni commerciali, io credo che il corso legale sia di una grande utilità:

la Banca sa che per far fronte alle operazioni quotidiane abituali del paese, una certa quantità di biglietti si richiederà sempre, e che questi biglietti rimarranno in circolazione, qualunque sia il bisogno di numerario; quindi la Banca non è costretta in quelle circostanze di ricorrere a mezzi cosi estremi per evitare la crisi. Io dico dunque che il corso legale ha il vantaggio di assicurare la circolazione, di mantenere in circolazione una data quantità di biglietti in momenti in cui è più desiderabile che i biglietti non affluiscano tutti assieme alla Banca. Il corso legale, mentre non può aumentare la circolazione in tempi di prosperità, ha per effetto di rendere meno pericolose le crisi nei tempi difficili; io penso quindi che il corso legale, senza costituire un vantaggio abituale per le Banche, conferisce loro, una molto maggior solidità fornisce loro una garanzia contro i pericoli a cui esse sono esposte.

Il corso legale pertanto, se può essere favorevole alle Banche a cui esso si concedo, è nello stesso tempo favorevolissimo al paese.

Nel consentire quindi a dare ai biglietti della Banca nazionale il corso legale, io sono certo che si faccia nello 6tesso tempo e cosa utile alla Banca e cosa utile per assicurare l’opinione degli azionisti e per aumentare il credito dei portatori dei biglietti della Banca, anziché questa abbia ad aumentare abitualmente la sua circolazione; ma nello stesso tempo io ritengo che si faccia una disposizione utilissima per il nostro sistema economico, perché, ciò mediante, sarà meno esposto alle perturbazioni che si vedono sovente accadere negli altri paesi. In compenso del corso legale si sono imposti alla Banca alcuni oneri, il primo de’ quali si è quello di stabilire due succursali. Egli è evidente che queste succursali saranno una sorgente di spesa e non di benefizio per la Banca, mentre egli è molto difficile che una succursale possa sopperire alle proprie spese.

Io non voglio qui calcolare a che possa ammontare questo sacrifizio, ma sicuramente questa sarà una spesa per la Banca, mentre tornerà di non lieve utilità alle località nelle quali la succursale sarà stabilita, e specialmente alla città di Nizza, la quale per essa potrà essere compensata de’ privilegi perduti e di quelli che dovrà perdere. Difficilmente uno stabilimento di credito si sarebbe elevato da sé nella città di Nizza. Una succursale potrà colà dare una grande attività al commercio.

Si è pure imposto alla Banca l’obbligo di fare il servizio di tesoriere dello Stato; ed io opino che, ove si venga a mandare ad effetto la riforma amministrativa ed a sopprimere, per esempio le tesorerie d’azienda,

sarà molto utile di avere uno stabilimento che possa facilitare le operazioni di cassa. Sicuramente se si sopprimessero le tesorerie d’azienda senza ampliare di molto le tesorerie generali, il servizio, com’è ordinato, si troverebbe assolutamente incagliato; ma in ciò la Banca potrà aiutare di molto la riforma in discorso.

Finalmente si è stabilito che la Banca dovrebbe, quando ne fosse richiesta, assumere il servizio del debito pubblico. Questa è una questione avvenire, perché richiede di essere studiata e maturata, onde poter essere mandata ad effetto. Io stimo che sarebbe possibile l’incaricare la Banca di questo servizio, e di procurare con ciò non lieve economia allo Stato.

La Banca d’Inghilterra fa tutto il servizio di quell’immenso debito pubblico con piena soddisfazione del paese e con grandissimo vantaggio del Governo. Tale sistema si potrebbe altresì attuare da noi con non poco utile, ma non era possibile lo stabilire le condizioni di questo servizio, perché, lo ripeto, è una questione grave eh3 doveva essere studiata ne’ suoi particolari, mentre non avevamo degli elementi sufficienti né nel Governo, né nella Banca per determinare le condizioni dietro le quali questo servizio doveva essere intrapreso.

Io confido d’aver giustificato l’attuale misura e di aver dimostrato che il Ministero non poteva indugiare in ciò, e che il merito di questa misura sta massimamente nell’opportunità e nel far si che il capitale della Banca si aumenti e che i suoi biglietti abbiano corso legale appunto quando dovrà riassumere il pagamento in ispecie. Io mi conforto d’aver dimostrato che gl’inconvenienti che questa misura può avere sono di poca mole, mentrechè i vantaggi sono grandissimi. Ed ho ferma fiducia che il nostro paese progredirà rapidamente nella via del progresso intellettuale, politico e materiale; ma io penso che tutto ciò che riguarda massimamente il progresso economico e materiale, abbia bisogno di essere stimolato alquanto mercé istituzioni speciali, e son d’avviso che questo stimolo lo riceverà dall’ampliazione della Banca nazionale.

Tali sono le considerazioni che ho ravvisato essere mio debito di sottoporre alla Camera in appoggio del progetto di legge in discussione.

DISCORSO del 4 luglio 1851 alla Camera elettiva

Dopo la seduta di ieri, io veramente mi sentiva molto sfiduciato nel vedere questa legge attaccata da ogni lato, attaccata dalla sinistra, dalla destra, dal centro e di fronte con una poderosa artiglieria d’infoglio di documenti e di citazioni da sgomentare quasi i più. arditi.

Io mi trovava veramente nella posizione d’un generale circondato da ogni parte dal nemico; e per uscire da questa situazione io avrei avuto mestieri di tutta l’energia e di tutta l’abilità del mio collega il ministro della guerra (1). (Risa) Ma quest’oggi almeno mi consola il suono di alcune voci amiche.

L’onorevole mio amico, il relatore della Commissione (2), non si scorò per l’accoglimento fatto a questa legge, e l’ha validamente propugnata; finalmente l’onorevole lesti, cui pure mi permetterò di chiamare mio amico (Ilarità), si è fatto a sostenere il progetto colle ragioni le più vere, colle ragioni politiche.

La missione mia quindi riesce più facile; tuttavia io debbo invocare l’indulgenza della Camera onde essa mi permetta di esaminare la questione nei suoi primordi, e stabilire in certo modo il punto dove sta la difficoltà. Prima d’ogni cosa mi permetterò di osservare agli onorevoli oratori (3) che hanno combattuta questa legge con tanta copia di erudizione e con tanta facondia, che essi, a parer mio, hanno alquanto confusa la questione invece di rischiararla. Io cercherò nel modo più piano possibile di ristabilirla ne’ suoi termini, e mi rimetterò quindi con tutta fiducia al giudizio della Camera.

La gran questione, come avvertirono gli onorevoli relatore e deputato Iosti, sta in questo: volete voi una grande istituzione di credito, o credete più opportuno di aspettare che sorgano nel paese varie minori istituzioni di credito? Questo rimette in campo la questione delle grandi e delle piccole Banche, ed io esaminerò questi due sistemi che ancora sono distinti dal sistema di privilegio, al quale alludeva l’onorevole deputato Chiarie, facendone argomento di gravi rimproveri contro di me.

(1) Il generale Alfonso La Marmora.

(2) Il deputato Luigi Torelli.

(3) I deputati Lorenzo Valerio, FaraForni, Paolo Farina, Barbavara, Bottone e Chiarie.

Le Banche moderne, quelle che sono stabilite sul continente, esercitano una triplice missione, cioè di deposito, di circolazione e di sconto, e sotto questi tre aspetti rendono notevoli servizi alla società.

Come Banche di deposito esse valgano a render operosi dei fondi che giacerebbero senza di esse inerti nelle casse, negli scrigni dei capitalisti, ed egli è evidente che dove non esiste una Banca di deposito, tutti i negozianti tengono presso di biro una certa somma infruttuosa per far fronte ai bisogni eventuali; dove all’incontro havvi una Banca che gode del credito universale, i capitalisti versano nelle casse della Banca questi fondi inoperosi, e la Banca di questi fondi può trar partito, e quindi come Banche di deposito hanno il vantaggio di render fruttiferi dei capitali che rimarrebbero inoperosi.

Come Banche di circolazione hanno quest’altro vantaggio, che si è di sostituire entro un certo limite un istromento che costa nulla ad un istromento molto costoso, cioè della carta' alla moneta. La moneta è un istromento della circolazione, è una macchina necessaria onde si compia il gran fenomeno della produzione e della distribuzione. Quando invece ad una macchina così costosa potete sostituire una macchina che non costa niente, vi è un profitto netto; così se, mercè gli stabilimenti delle Banche e delle altre istituzioni accessorie di credito, l’Iughilterra può operare una quantità di transazioni economiche, forse il doppio della quantità delle transazioni economiche che si operano in Francia, e con una quantità di 'monete metalliche, che non è che la terza parte forse della moneta metallica che esiste in Francia, vi è un’economia di parecchi miliardi, e questi miliardi che la Francia è obbligata d’impiegare per la sua circolazione, l’Inghilterra ha potuto dedicarli ad aumentare i suoi mezzi di produzione, a far strade ferrate, v'a stabilire officine, a svolgere il suo sistema economico: questa è una verità triviale, che deve trovarsi in tutti gli elementi di economia politica. Finalmente, come Banche di sconto, hanno il grande vantaggio di facilitare le operazioni di credito, di far sì che lo sconto si pratichi sopra una scala uniforme, e sopra una larghissima scala. Come stabilimento di sconto, esse hanno per effetto di favorire specialmente i minori capitalisti, e questo è evidente.

Dove non vi è una Banca, vi sono dei capitalisti che scontano più o meno: nei paesi meno inciviliti non vi sono che gli ebrei che «contano; nei paesi un po’ più progrediti in civiltà, vi sono anche altre case bancarie che praticano lo sconto, se si vuole, con modi un po’ più larghi, ma finalmente non vi è paese al mondo dove non esistano dei privati che scontino sopra una scala più o meno larga.

Una Banca ha per primo effetto di fare concorrenza a questi privati che scontano, anzi ha un duplice effetto: primo, cioè, di stabilire l’uniformità dello sconto; in secondo luogo di abbassare la misura del medesimo.

Il primo effetto si è di stabilire l’uniformità nella misura dello sconto. Didatti è regola generale di tutte le Banche che vi sia una sola ragione di sconto, e non si possa far differenza in ordine alle cambiali, a seconda della maggiore o minore solidità delle firme che sono sovra di esse. Questa è una conseguenza pratica, imperocché si Stabilisce un’eguaglianza nella misura dell’interesse, cosicché la prima casa di Torino pagherà la stessa ragione d’interesse a cui sarà soggetto il più piccolo bottegaio che sia ammesso allo sconto.

Che poi la misura dello sconto debba diminuire, ciò è evidente, perché vi è un gran capitalista che scende sul mercato, e non può dedicare i suoi capitali se non allo sconto. Dico che non può dedicare i suoi capitali se non allo sconto, perché lo sconto debb’essere la principale operazione delle Banche, ed io biasimerei tutti gli statuti di Banche in cui si permettesse che queste potessero con facilità sviare i loro capitali da queste operazioni.

Io dico dunque che la Banca ha per effetto di rendere uniforme lo sconto e di abbassarlo. Ciò stando, io domando: chi viene a soffrirne? Sono i capitalisti maggiori, quelli che facevano quelle operazioni di Banca. Di fatti noi vediamo che queste istituzioni sonò poco ben accolte dai principali capitalisti, dai primari banchieri. La poca mia esperienza mi ha dimostrato che lo stabilimento di una Banca fu sempre osteggiato dai principali banchieri. È noto, per esempio, che i più facoltosi banchieri della città di Genova fecero e fanno tuttora la guerra alla Banca; è noto che i più ardenti nemici di questa legge noi seggono sui banchi della sinistra; ma che i più gagliardi suoi osteggiatori sono i grossi scrigni della città di Genova, (. sensazione ), ed è evidente che questi banchieri, questi ricchi capitalisti hanno un grandissimo interesse a che la Banca non aumenti il suo capitale e che non s’allarghi la sfera delle sue operazioni e non faccia loro una grande concorrenza.

Fra le primarie case di Torino (lo dico senza intendere di muovere ora un rimprovero) l’idea d’istituire una Banca incontrò pochissimo favore, e fu ritardata per molti anni appunto perché la riconoscevano contraria ai loro interessi. Io dunque affermo che questa Banca, come stabilimento di sconto, produce un effetto assolutamente opposto a quello a cui accennava il deputato Iosti;

non ha per effetto di aumentare la ricchezza di chi è già opulento, ma bensì di diminuire i profitti di chi è già possessore di ragguardevoli capitali.

Prenderò ora ad esame i due sistemi di Banca, quello, cioè, delle Banche piccole, e quello delle Banche di maggiore considerazione, sotto questi tre aspetti, cioè: di Banca di deposito, di Banca di circolazione, di Banca di sconto.

Come Banca di deposito, lo dico schiettamente, non veggo gran diversità fra i due sistemi.

Se una Banca è bene amministrata, se ha un capitale discreto, essa ispirerà la fiducia delle persone che sono più immediatamente in relazione colla Banca, e l'ammontare dei depositi non dipenderà dalla larghezza del capitale.

Da un lato le Banche piccole, numerose, presentano un vantaggio; da un altro forse uno svantaggio rispetto alle grandi Banche. Le Banche piccole, se vi esiste fra esse concorrenza (suppongo che il sistema della moltiplicità delle Banche sia applicato), non v’ha dubbio che saranno più sollecite, più operose, forse più facili nel fare le operazioni di sconto; e qui io riconosco forse un vantaggio nel sistema delle piccole su quello delle grandi Banche; ma dall’altro lato vi è un pericolo.

Queste Banche si trovano a fronte di capitalisti che possono da sò soli far loro una viva concorrenza, che possono obbligarle a subire certe condizioni. Una Banca, per esempio, che non abbia che due milioni di capitale, si troverà a fronte di capitalisti che da soli hanno un eguale capitale, che hanno forse un credito uguale a quello della Banca.

In tale condizione adunque la Banca sarà forse costretta a venire a patti con questi capitalisti, e, se non erro, io credo ciò sia avvenuto in una città d’Italia non lontana da nostri Stati, in Livorno. La Banca di Livorno non ha un capitale molto cospicuo; ad essa erano estranee le prime case della città di Livorno, e quando cominciò a scontare, le principali case livornesi si misero in ostilità colla Banca, perché questa aveva soverchiamente ridotto il suo sconto: l’invitarono a rialzarlo; la Banca ricusò, ed allora i capitalisti accumularono una grande quantità di biglietti, di carte di sconto, e ad un dato giorno si presentarono colle loro carte da scontare, e costrinsero la Banca a venir a patti con loro. Questo è un inconveniente di cui bisogna tener conto. Comunque sia, rispetto allo sconto, ripeto, vi è vantaggio nelle piccole e vi è svantaggio nel sistema delle grandi Banche.

Quanto poi alla circolazione, che è la questione più difficile, la più delicata in fatto di sistema bancario, io credo che sia innegabile che la circolazione riesca più solida, meno esposta ad oscillazioni gravi quando le Banche sono fondate su basi più larghe.

Io credo che in un paese di qualche estensione sia opportuno che vi sia una carta la quale circoli non solo localmente, ma circoli in tutto lo Stato. Ora, onde una carta (dico carta i biglietti di Banca) possa avere credito in tutto uno Stato di qualche estensione, è necessario che sia emessa da una Banca il cui credito, la cui fama si estenda a tutto lo Stato.

E qui, quantunque le comunicazioni ora siansi fatte molto più rapide e molto più frequenti, è evidente che il credito locale è ben diverso dal credito generale; che la carta d’una Banca istituita in una città, sebbene diretta dalle persone le più cospicue di quella, inspirerà poca fiducia nelle altre città estranee alla prima, perché sono ignote quelle persone alla massa dei negozianti che fanno circolare la carta, perché ne sono ignorati gli statuti ed è ignorata l’istituzione. Ma vi ha di più: in fatto di circolazione una Banca su larghe basi avrà un notevole vantaggio sopra una quantità di piccole Banche, quando avverrà il caso di perturbazioni economiche. E qui non parlo di perturbazioni politiche, parlo di quelle perturbazioni economiche che si producono per qualche fatto economico, che influisca sul commercio interno od esterno. Ogni nazione che fa un commercio abituale coll’estero, che è obbligata a trarre dall’estero una certa quantità di mercanzia, e che ne vende all’estero una certa quantità, si trova esposta a tali perturbazioni economiche che variano i rapporti del paese coll’estero. Ho detto che queste perturbazioni possono derivare o da bisogni maggiori di merci estere o da maggior quantità di merci che si mandi all’estero. Quando ciò accade, ne avviene che il paese si trova in debito coll’estero, debito momentaneo, ma straordinario, il quale non può essere pagato se non con esportazione di numerario.

L’onorevole deputato Farina ci diceva: ma a che ci parlate di trasporto di numerario all’estero? Noi non facciamo mai altro che portar danari all’estero. Ma taceva che se noi esportiamo del numerario, noi ne importiamo pur anche. Se esportassimo sempre numerario, siccome non abbiamo né le miniere dei monti Urali, né quelle della California, come neppure quelle del Messico e del Chili (risa diadesione), evidentemente in pochi anni noi non avremmo più uno scudo od un marengo d’oro.

Egli è manifesto che, se, per esempio, dalla città di Genova si esporta ogni anno una quantità cospicua di numerario, dalla città di Lione se ne importa ogni anno, in media, una quantità a un dipresso eguale.

Questa è una verità evidente; ma possono arrivare delle circostanze straordinarie: supponete una fallita raccolta di cereali, come nel 1836, in cui siamo stati costretti d’importare, oltre il solito, un milione e duecento mila ettolitri di cereali; supponete che noi abbiamo un debito straordinario da pagare all’estero, e suppongasi da un tempo una fallita raccolta di bozzoli o di seta, noi restiamo privi di quel mezzo col quale noi pagavamo il debito all’estero, ed in questa circostanza nasce un gran bisogno di numerario per pagare questo debito, si eccita una perturbazione economica; in questo caso i negozianti, i banchieri, la cui occupazione si è di saldare i debiti del paese coll’estero, cercano in ogni maniera di procurarsi dei biglietti onde andare alla Banca a cambiarli in contanti. In questo caso è evidente che un grande stabilimento avrà maggior facilità per resistere a questa crisi transitoria, che non uno stabilimento minorè; e questo è confermato dall’esperienza delle più grandi nazioni.

L’Inghilterra fu esposta a crisi economiche per cagioni identiche alle teste accennate, e queste succedettero, se non erro, nel 1838 o 1839, per causa del fallito raccolto del grano, essendo stata costretta a farne incetta speditamente in paesi coi quali non aveva molte relazioni commerciali; fu mestieri mandare nei paesi del Nord una quantità cospicua di numerario, a tal segno che i negozianti che fanno il commercio coll’estero esaurirono talmente il fondo in numerario della Banca d’Inghilterra, ch’essa fu ridotta, se non erro, un giorno a non aver più che due milioni di sterlini in cassa. Che cosa fece allora la Banca d’Inghilterra? Fece un imprestito colla Banca di Francia di 50 o 60 milioni, e lo fece con tutta facilità. Notate inoltre che tanta è la fiducia del pubblico inglese nella solidità della Banca d’Inghilterra, che alle cause prodotte dalla perturbazione economica non vennero ad aggiungersi le cause prodotte da un timor panico. Nel 1839 nessuno concepì il menomo dubbio sulla solidità della Banca inglese, e quindi nessuno si presentò alla Banca per cambiare i biglietti da essa emessi. Per questo lo stato di crisi in cui si trovò la Banca d’Inghilterra (stato veramente di crisi, come ho detto, perché non aveva più di due milioni di sterlini in cassa, mentre aveva una circolazione di 20 o 22 milioni) era prodotto dai cause estranee alla fiducia generale.

Ma se un caso identico si fosse prodotto nello stesso paese, e se invece di avere una Banca con un capitale di 14 milioni di sterlini, che colla riserva sale a 18 milioni, vi fossero state in Londra venti o trenta Banche con 500 o 600 mila lire sterline, credete voi che la sfiducia non si sarebbe aggiunta alle altre cause per far presentare i biglietti al cambio? Alcuni non lo credono, ma io penso che tutti coloro che hanno qualche esperienza nelle quistioni bancarie non ne dubiteranno.

Infatti, noi vediamo che quando queste crisi succedettero in Inghilterra, delle Banche, che relativamente si trovavano in una condizione egualmente solida quanto la Banca d’Inghilterra, cioè avevano un attivo in proporzione del loro passivo, ed un credito largo quanto quello della Banca inglese, si trovarono esposte a ciò che gl’inglesi chiamano running, cioè ad una corsa del pubblico per far cambiare i suoi biglietti contro numerario. Io dico dunque che, rispetto alla circolazione, non vi è dubbio che vi sia un gran vantaggio che nel paese esista una larga istituzione bancaria; quindi io credo d’avere paragonato i due sistemi con molta schiettezza, e senza cercare di far prevalere l’uno sopra l’altro. Alcuni spiriti assoluti saranno forse d’opinione di adottare l’uno a preferenza dell’altro di questi sistemi, e di spingerlo agli estremi, sino al punto di aver una Banca unica privilegiata, oppure di avere un’infinità di piccole Banche.

Ebbene, o signori, io respingo egualmente tanto l’uno che l’altro dei due sistemi, e se qualcheduno proponesse qui alla Camera il sistema di una Banca unica e privilegiata, quando anche questa Banca dovesse essere fondata sopra una base doppia e tripla di quella che io credo bastevole al bisogno del paese, cioè con un capitale di 40 o 50 milioni, io respingerei una tale proposta. Io ho fede nello spirito di libertà e di concorrenza quanto l’onorevole deputato Chiarie, e mi ricordo dell’opinione da me espressa in occasione della discussione della tariffa, e del trattato, e della Banca di Savoia, e credo di avere dato in quell’occasione una prova pratica del mio amore per le Banche locali.

Mi rincresco di non vedere qui preeente il deputato Carquet, il quale, credo, non mi smentirebbe quando io dicessi che ho qualche poco contribuito alla leg?e che diede vita alla Banca di Annecy. Io ho cercato di combinarne gli statuti in modo che essa potesse svolgersi e prosperare anche a fronte d’una Banca maggiore.

Io dico adunque che ad onta dei vantaggi che ho esposti e che io riconosco nel sistema delle grandi Banche, ove mi si proponesse di stabilire una Banca unica e privilegiata, io la respingerei assolutamente; ma sono però convinto che si possono benissimo conciliare i due sistemi, e fare che siavi un grande stabilimento di credito, il quale, in certo modo, regoli la circolazione in maniera che sia il pendolo, il regolo della macchina economica, e contemporaneamente sianvi istituzioni minori di credito.

All’appoggio di questa mia opinione ho, lo ripeto, l’esempio dell’Inghilterra. In Inghilterra vi sono un’infinità di Banche minori, ve n’ò un’infinità in Iscozia; e tutte sono, rispetto alla Banca d’Inghilterra, nella stessa condizione che sarebbero le nostre Banche locali rispetto alla Banca nazionale.

Gli onorevoli oratori che hanno parlato sanno benissimo che anche il legal tender è stato esteso alla Scozia, e che quindi le Banche di Scozia sono nella stessa condizione delle Banche inglesi. Eppure questo non ha impedito lo stabilimento di Banche anche molto larghe. La Banca reale di Scozia ha un capitale di 2 milioni di sterlini.

Chiarie. Le Banche di Scozia erano stabilite prima che si concedesse il privilegio alla Banca di Londra, in forza della legge del 1708.

Cavour. Va benissimo ma la prosperità di questa non ha impedito quella delle altre; le altre sono minori; quando un paese di 2 milioni di abitanti ne ha già una di 2 milioni di lire sterline, un’altra di 500 mila lire sterline è già un progresso. A Liverpool la Banca commerciale ha un capitale di un milione di lire sterline, e vi è in Inghilterra un’infinità di altre Banche locali con un capitale assai cospicuo.

Io credo che il sistema americano avrebbe dato molto miglior frutto se fosse stato combinato nel modo del sistema inglese, quantunque io sia ben lungi dal negare i benefizi del primo di questi due sistemi. Ha il sistema americano ha prodotto dei disastri economici e finanziari di un’immensa portata, disastri che sarebbonsi evitati se vi fosse stata una Banca centrale, la quale avesse temperato l’azione (mi si conceda il dirlo) disordinata di tutte queste Banche locali.

La Banca degli Stati Uniti rese dei grandi servizi dopo il 1816, e non già dopo che si è messa in urto col Governo, appunto perché essa non seppe limitarsi alle operazioni bancarie, ma volle, fra altre speculazioni commerciali, speculare sui cotoni, stabilire delle succursali in tutte le parti dell’America, ingerirsi nelle cose politiche. Quella Banca abusò, insomma, e perché abusò?

Perché il potere centrale, perché il Congresso non si era negli statuti della Banca riservalo un modo diretto d'azione; il Governo, secondo quegli statuti, non aveva commissari che potessero sospendere le sue operazioni, che potessero vegliare alla rigorosa osservazione de’ suoi statuti. Se la Banca americana avesse avuto questo, forse non avrebbe trasmodato come fece, e non sarebbe nata quella commozione finanziaria che tornò cosi fatale.

Vi dirò ora quali furono gli effetti del sistema americano; imperocché, quando si vuole imitare una cosa, è mestieri di conoscerne le conseguenze.

Io citerò un autore, il quale ha, a parer mio, maggior riputazione nel mondo economico che non il signor Coquelin, voglio dire il signor Mac Culloch, che in Inghilterra è riputato come il primo economista.

Prima di dare lettura di un brano di quest’autore, premetto che lo trovo molto ardito.

Esso cosi si esprime (traduco dal testo inglese):

«Se un Comitato d’uomini abili fosse stato scelto per immaginare un sistema che potesse tentar il pubblico ad imbarcarsi nelle più assurde intraprese, e ad essere più agevolmente ingannato, non crediamo che sarebbe possibile d’immaginare alcunché di più efficace delle Banche americane. »

Di fatti nel rapporto del segretario della tesoreria degli Stati Uniti per l’anno 1841, si riferisce che, nel decennio dal 1830 al 1810, centocinquanta Banche fallirono per un capitale di 45 milioni di dollari, e che nel 1841 (che fu l'anno in cui la crisi imperversò maggiormente) e nel 1842 i fallimenti ascesero all’ingentissima somma di 132 milioni di dollari. Il sistema americano, adunque, così com'è costituito e privo del soccorso d’una Banca centrale, condusse in dodici anni al fallimento oltre a trecento Banche rappresentanti un capitale di quasi un miliardo. Questa è una di quelle grandi catastrofi finanziarie di cui non si ha altro esempio nella storia. Io sono pertanto d'avviso che anche il sistema americano non va scevro dei suoi grandissimi inconvenienti, e che debbasi fra questi varii sistemi sceglierne uno di mezzo, quale sarebbe quello di una Banca centrale, forte, potente, senza escludere lo stabilimento di altre Banche minori con maggiori privilegi. Io non avrei difficoltà alcuna di accettare che le Banche secondarie, le Banche la cui circolazione è limitata, fossero autorizzate a portare al minimum possibile il valore dei biglietti.

Se a Torino, se a Genova od in altra città di provincia si volesse istituire una Banca con un capitale di un milione, io sarei il primo a chiedere al Parlamento di permetterle di emettere dei biglietti da 50 ed anche da 25 lire; cosi avviserei di concederle maggiore larghezza nella condizione dello sconto, nella condizione dell’anticipazione, e forse non sarei lontano dall’autorizzare anche per essa il credito personale giusta l’uso della Scozia. Insomma io non sarei alieno dall’accordare tutte quelle facilità che permettessero a quelle Banche di operare in una sfera meno ristretta.

Esaminate le Banche rispetto al pubblico, rispetto al commercio, rimane ancora a svolgere un lato della questione, la situazione delle Banche a riguardo dei Governi.

L’onorevole deputato Farina in molte parti del suo discorso ripeté che egli considerava il sistema bancario tanto più perfetto quanto più la Banca era dal Governo indipendente, e che il Governo procederebbe più regolarmente quando fosse meno sicuro di trovare nella Banca un appoggio, e soggiunse che egli si opponeva a questa unione, a questo connubio, anche in vista di non isvegliare nel Governo l’amore degli imprestiti.

Tutte queste ragioni sarebbero di gran peso se fossimo in uno stato normale, se le nostre casse fossero piene, se non avessimo bisogno del credito, o se potessimo soddisfare a questo bisogno molto facilmente. Se ciò fosse, sinceramente lo dico, approverei le dottrine del deputato Farina, e in questa parte dichiaro che approvo il Governo americano. Per sua buona ventura quel Governo non ha quasi debito pubblico; ne ha fatto uno non ha guari per la gnerra col Messico, ma è cosa da poco rispetto agl’immensi suoi proventi.

Asproni. Gli Stati uniti d'America non hanno debito pubblico. Il conto del Tesoro dà un eccedenza di 15 milioni di dollari.

Cavour. Quel Governo ha un’entrata che supera di molto le sue spese e quindi egli per buona sorte si trova assolutamente nella condizione in cui la dottrina del signor Farina può applicarsi. Se io fossi membro del Congresso americano, non così facilmente darei al Governo il mezzo di valersi del credito, poiché del credito non ne ha bisogno.

Ma pur troppo noi non siamo in questa condizione, noi non abbiamo bisogno di essere sollecitati a fare dei debiti; pur troppo non abbiamo altro a pensare che al modo di pagarli ride). I debiti sono fatti, quindi il pericolo che teme il signor deputato Farina non esiste affatto.

Ho detto che avevamo dei debiti, o che bisognava pensare a pagarli.

Nel discorso che ho fatto sul sistema finanziario del Governo, ho esposto come per le grandi operazioni per portare a termine le strade ferrate, si dovesse fare un imprestito all’estero, e come per alcuni bisogni fosse opportuno avere ricorso al credito interno. Il credito interno si appoggia in gran parte sull’aiuto che dà la Banca e direttamente ed indirettamente al Governo; direttamente, quando ci fa delle anticipazioni sopra deposito di cedole, oppure scontando dei Buoni. del tesoro, a norma della facoltà conceduta dal Parlamento; indirettamente, quando è larga di sussidi ai capitalisti che fanno operazioni col Governo.

È noto a tutti che se le sottoscrizioni nel nostro paese hanno sempre avuto esito felice, questo si debbe in gran parte all’appoggio che prestò la Banca; che se la Banca non avesse consentito anticipazioni in questi ultimi quindici giorni, le sottoscrizioni ultimamente apeitesi per la vendita delle diciottomila obbligazioni non si sarebbero elevate a trentatrè milioni, e questa è tale una verità, che nessuno vorrà contrastare, e che può valere a dimostrare che un grande stabilimento di questo genere può essere di efficace aiuto al Governo. Io non voglio negare che un complesso di piccoli stabilimenti, in tempi normali, possono pure essere di sussidio al Governo; egli è evidente che ove vi fossero varie Banche, ciascun capitalista si rivolgerebbe a quella colla quale è in relazione, e troverebbe anche in queste un appoggio; ma se i tempi si facessero difficili, se veramente il Governo avesse bisogno di cercare nella Banca dei mezzi straordinari, potrebbe egli trovarli egualmente in un complesso di piccole Banche, come in una Banca potente? Io stimo, o signori, che la risposta non possa essere dubbia. Egli è evidente che in tempi difficili, in tempi in cui il credito è scosso, le piccole Banche sarebbero nell’impossibilità di sussidiare il Governo; quando invece una Banca potente, una Banca che racchiuda dei capitali cospicui, che sia amministrata dalle persone che ispirano maggior credito ai capitalisti del paese e dell’estero, quella Banca può prestare un validissimo sussidio al Governo. E la storia lo prova. Non ripeterò quanto ha detto l’onorevole deputato Torelli, non ricorderò quale sia stato il potentissimo aiuto che la Banca d’Inghilterra diede al Governo. Pitt ebbe più volte a dichiarare che senza la Banca non avrebbe potuto sostenere quella lotta da gigante che sostenne con Napoleone: ma ricorderò di nuovo il recente fatto della Banca di Vienna. Io sono convinto fermamente che se la Banca di Vienna non avesse esistito, se invece di avere un potentissimo capitale, vi fossero esistite varie piccole Banche credo fermamente, dico, che l’impero austriaco sarebbe caduto.

Aspironi. Se avesse avuto Ma simpatia dei popoli all’Impero soggetti, non avrebbe avuto bisogno degli aiuti della Banca. Eppoi...

Cavour. A quelli che lamentano questo servizio della Banca di Vienna dirò: imparate almeno da coloro che considerate come vostri nemici; mettetevi in condizione di poterli combattere con eguali armi; non rimanete, rispetto a loro, disarmati od inferiori.

Vengo a quanto è successo nel proprio nostro paese. Se nei 1848 invece di una sola Banca, la quale sicuramente non aveva un gran capitale, ma godeva di molta confidenza, avessimo avuto tre o quattro Banche, come mai il Governo avrebbe potuto...

(Il deputato Paolo Farina fa segni negativi).

Il signor Farina mi risponderà, e avrò piacere nel sentire la sua risposta se riesce a dissipare questo grave dubbio che non ho potuto risolvere, quantunque da due giorni stia meditando una soluzione... Come mai, io diceva, avrebbe potuto fare il Governo, non potendo dare il corso forzato a tutti i biglietti perché ne sarebbe nata una confusione di Babilonia?

È già un gran male quando vi hanno biglietti con corso forzato, quando vi è l’agente principale della circolazione (cioè il biglietto) che è sottoposto a continue variazioni rispetto al numerario: ma se invece d’un agente di circolazione sottoposto a fluttuazione ve ne fossero varii, vi sarebbe uno sconcerto inevitabile nel sistema economico.

Io dico dunque che quando vi fossero state due o tre Banche, io non so in verità che cosa avrebbe fatto il Governo.

Taluno forse esclamerà a questo punto: ebbene! tanto meglio; i biglietti non avrebbero avuto corso forzato ed il Governo avrebbe cercato altri mezzi.

Signori, con tutta schiettezza io debbo confessarlo (e forse questa mia schiettezza parrà imprudente per parte di un ministro di finanze, ), io debbo confessare che se il paese si trovasse in analoghe circostanze a quelle del 1848, non vi sarebbe e non vi potrebbe essere altro mezzo di quello per far fronte ai bisogni di quella sorta.

Di fatti, quando si è in istato di guerra si abbisogna di ritirare dall’estero e armi e merci di cui si difetta in queste circostanze nell’interno; quando avete d’uopo di pagare quelle merci, quelle derrate e quelle armi che ricavate dall’estero e dovete pagarle con scudi, non potete dare i vostri titoli di credito all’estero, perché in tempo di guerra non hanno nessun valore.

Epperciò per poter ritirare dalla circolazione questi scudi, onde pagare i vostri debiti all'etero, bisogna sostituirvi qualche cosa, perché se lasciaste il paese senza mezzi di circolazione, il movimento economico si arresterebbe, produrrebbe una crisi tremenda. A questo danaro che voi mandate all’estero voi sostituite della carta; quindi nei momenti di crisi il corso forzato ha un doppio vantaggio: ha quello di procurare al Governo dei mezzi che non potrebbe ottenere dal credito in copia bastevole, ha il vantaggio di rendere libera una quantità di numerario notevole di cui il Governo ha bisogno per procacciarsi all’estero i mezzi per far la guerra. Questo mi pare evidente.

Quando il ministro inglese autorizzò la Banca a sospendere i suoi pagamenti, ciò fece per potersi valere dell’oro della Banca medesima per sussidiare gli eserciti che aveva nel continente, perché non poteva a questi eserciti mandare dei tre per cento consolidati. I capitalisti del continente non li avrebbero ricevuti. Bisognava dunque mandare delle buone ghinee, le quali si ritiravano dalla circolazione e si sostituivano con biglietti.

È questo che ha fatto la Banca di Vienna, ed il numerario che essa ha potate procurarsi lo ha dato al Governo, il quale in tal modo si procurò i mezzi di continuare la guerra.

Io dico dunque che nelle circostanze straordinarie gli è impossibile che il Governo non si valga della Banca onde alimentare la circolazione e lasciare libera una grande quantità di numerario pei bisogni della guerra. Una verità che è evidente, almeno ai miei cochi, si è questa: che una grande forza di credito costituisce l’arma la più potente nei momenti difficili.

Ma, o signori, voglio ammettere che io cada in gravissimo errore, e sia allucinato dalla bancocrazia e sedotto dall’idea di veder costituito un larghissimo stabilimento bancario; e qui io scendo dal campo delle teorie e vengo alla pratica. Credete voi, o signori, che questo complesso di piccole Banche verrebbe a stabilirsi? Credete voi, o signori, che rigettando questa legge, si stabilirà un’altra Banca con 8 milioni di capitale? In verità per me non lo posso supporre, e m’ingannerò forse, ma questa operazione per me la reputo impossibile. Siccome io non ne posso dimostrare matematicamente l'impossibilità, dirò solo che non lo credo probabile, come realmente non è cosa probabile che in un avvenire prossimo si stabilisca a Torino o a Genova una Banca rivale a quella ora esistente.

Già ebbi ad avvertire l'altro giorno che questo stabilimento possiede un discreto capitale, ed ha il vantaggio di essere diretto da persone che esercitano nna grande influenza sul commercio bancario; imperocché per nna Banca si richiedono due cose: primieramente i capitali, e in secondo luogo, persone che abbiano un’ influenza sul commercio bancario.

Ora, a fronte di questi vantaggi io porto ferma opinione che nel rigettare questa legge voi non determinerete una concorrenza alla Banca attuale, e che invece voi manterrete alla Banca un monopolio sopra basi più ristrette, ma con conseguenze più funeste al commercio ed all’industria: e conseguentemente io son di parere che coloro che combattevano il progetto del Ministero, perché nell’animo loro credevano che il sistema delle Banche molteplici sia da preferirsi, devono subordinare il loro voto alla possibilità che sorgano Banche a far concorrenza all’attuale. Ora io dichiaro francamente che se prima di presentare questa legge avessi veduta una probabilità qualunque dello stabilimento di un’altra Banca di circolazione e di sconto, avrei forse soprasseduto a dar passo a questa proposizione; ma io ho la convinzione che, se non è possibile (il che forse è troppo), per lo meno è pochissimo probabile per un dato tempo, per esempio, prima di venti anni, si stabilisca fra noi una Banca con un capitale abbastanza cospicuo da poter fare una reale concorrenza alla Banca nazionale. Se ciò accade, che cosa arriverà? Ne arriverà che la Banca attuale guadagnerà in proporzione più di quanto guadagnerebbe se raddoppiasse il suo capitale, che ne scapiterebbero tutti coloro che hanno bisogno della Banca, che oi guadagneranno ancor di più i capitalisti che fanno concorrenza alla Banca, e i quali sono i più determinati, se non i più aperti avversari di questa legge.

Credo con questi ragionamenti di aver semplificata di molto la questione.

Ciò fatto, debbo rispondere all’onorevole deputato Iosti.

Egli vorrebbe che si stabilisse una Banca governativa, cioè che il Governo fondasse una Banca e l’amministrasse direttamente.

Iosti. Una Banca che abbia una amministrazione indipendente.

Cavour. Se è un’amministrazione indipendente, non è più l’amministrazione del Governo; bisogna che vi sia qualcheduno, che vi sia il Parlamento, il Governo (e sotto il nome Governo non intendo il solo potere esecutivo, ma tutti i poteri politici), che nomini, se volete, un commissario e tre direttori, i quali formerebbero un commissariato governativo. Io suppongo che tale sarebbe l’idea dell’onorevole deputato Iosti.

Iosti. Non è, questo che io intendo. Se il sig. ministro vuole che io gli abbia a rispondere subito.

Cavour. Risponda pure.

Presidente. Poiché il sig. ministro assente gli dò la parola.

losti. Io non vedo difficoltà, poiché nelle opere pie ed in molte altre amministrazioni, troviamo già esempi di queste amministrazioni indipendenti, di queste personalità morali indipendenti dal Governo.

La mia opinione, il mio sistema sarebbe che il danaro, il deposito della Banca, fosse danaro dello Stato, e che l'amministrazione della Banca fosse indipendente dal Governo quantunque da questo sorvegliata. Come poi e da chi nominata, non credo sia d'uopo parlare.

Cavour. Bisognerebbe che fossero rotto la sorveglianza del Governo e che il Governo esercitasse una qualche. influenza su queste persone che non sarebbero nominate dagl'interessati, le quali avrebbero un mandato sottoposto al controllo di qualcheduno, al controllo di un potere politico.

Ora io dico che ciò sarà impossibile fin tanto che vi saranno partiti politici.

Quando questi più non esisteranno, quando in un avvenire più o meno lontano i nostri posteri li avranno fatti sparire, e vi sarà una unione, una concordia e fratellanza universale, né vi sarà più alcun divario fra i bianchi, i neri e i rossi, ciò potrà forse effettuarsi senza che siano a lamentarsi inconvenienti; ma sinché vi esistono partiti e divisioni, io non capisco un sistema qualunque in cui l'influenza politica non abbia a farsi sentire.

Io non dubito di asserire che in questo caso i partiti (e per partito intendo anche quello che governa) avrebbero un'arma talmente potente che dovremmo andar difilati alla bancocrazia.

lesti. È ciò che io voglio (ilarità).

Cavour. Io credo dunque che siffatta idea non possa porsi in atto.

Ho asserito nella tornata di ieri e ripeto oggi che vi è un sistema di Banche nel quale lo Stato può molto utilmente intervenire. Queste sono le Banche agrarie. Se fosse possibile, io vorrei applicare ciò alla Sardegna. Forse incontrerei a tal riguardo l'opposizione del deputato Asproni.

Asproni. Se vi sarà privilegio o violenza, sì.

Cavour. Non monta: bramerei di fare questo bene anche contro la sua intenzione (ilarità). In cotesti stabilimenti quasi nulla è lasciato all’arbitrio, e vi sono delle norme da cui gli amministratori non possono dipartirsi. Qui si tratta di anticipare sino alla metà del valore del fondo e non si apprezza il credito personale, ma solo una cosa reale.

Il Governo può a parer mio, molto utilmente intervenire quando il paese non ha mezzi bastevoli in danaro per creare questi stabilimenti: allora essi devono promuoversi direttamente anche col suo intervento pecuniario. Ma, lo ripeto» per le Banche di sconto, in cui si tratta continuamente di apprezzare il valore personale, è impossibile il lasciarle alle mani di chi anche involontariamente può avere delle tendenze politiche. Ciò essendo, rimaneva allontanata l’idea di una Banca governativa.

Due sistemi vi erano a seguirsi: o creare una Banca con un capitale maggiore di quello che ha la Banca nazionale, od allargare le basi della Banca nazionale medesima. Il primo non sarebbe stato né opportuno, né forse molto possibile; mentre io opino che avrei incontrato non lievi difficoltà a riunire una società d’azionisti per costituire una Banca rivale e molto più considerevole della Banca nazionale.

Era meno difficile l’indurre la Banca nazionale ad allargare il suo capitale; ma, ripeto, neppur questa era gran fatto disposta a questa transazione. Gli azionisti ragionavano in questo modo: finché saremo soli, trarremo molto maggior profitto con un capitale di 8 milioni, che non eon un capitale di 16. Con 16 milioni compiremo, egli è vero, un maggior numero di operazioni di quello che di presente ne possiamo fare con un capitale di 8; ma egli è evidente che onde attendere a questo maggior numero di operazioni bisognerà annuire a condizioni più favorevoli per attrarre gli speculatori, bisognerà scemare le nostre esigenze e ridurre finalmente gl’interessi dello sconto. Noi abbiamo visto che quando la Banca è stata nella scorsa Legislatura con nna legge forse molto provvida obbligata a diminuire la sua circolazione, ha potuto aumentare l’interesse dello sconto dal 3 Va al 4 per cento, senza per ciò diminuire l’affluenza delle paesone che si presentavano ad essa Banca; e quindi ne venne che la Banca con una minore quantità di biglietti in circolazione realizzò gli stessi benefizi.

Chiarie, (interrompendo). Col corso forzato.

Cavour. Più ancora quando vi è il corso volontario.

Quando vi è il corso volontario la Banca non ha che un mezzo di operazione, mentre allontana l’idea dell’acquisto di fondi pubblici, perché, ripeto, sarebbe supporre che il Ministero e la Banca si coalizzassero per violare, non la lettera, ma lo spirito dello statuto.

Egli è evidente, o signori, che lo statuto non ha voluto che la Banca impiegasse nell’acquisto di fondi pubblici che una piccola parte del suo capitale, e se un Ministero dunque, valendosi della facoltà che gli dà quest’articolo, le permettesse d’impiegare la massima parte del suo capitale in acquisto di fondi pubblici, violerebbe lo spirito dello statuto. I soli mezzi che ha la Banca di emettere i suoi biglietti sono questi: o di scontare o di fare anticipazioni.

Io suppongo che la Banca abbia 8 milioni da emettere: se vi è una ricerca assidua, potrà mantenere il 5 per cento; ma se invece può e lo stato del mercato gli permette di tenere in circolazione 12 milioni e voglia emetterli, bisognerà, per farlo, che diminuisca lo sconto; bisognerà che faccia si che molte persone le quali non si dirigevano alla Banca perché lo sconto era troppo elevato, si accostino a quelle operazioni dalle quali prima rifuggivano. Ciò è quanto si fa ogni giorno in Inghilterra. Voi vedete che quella Banca, la quale certamente è una delle meglio amministrate, varia ogni due mesi la tassa dello sconto; la varia ogniqualvolta succede un cambiamento nel sistema economico, e ciò fa per dare alla sua circolazione uno sviluppo più largo che sia possibile.

Sul principio di quest’anno, se non erro, la Banca d’Inghilterra ridusse la tassa dello sconto fino al 2 per cento, appunto perché vedeva che, tenendolo più elevato, la circolazione diminuiva. Io dico adunque che la Banca attuale, se non si crea una Banca rivale, coi suoi 8 milioni farà, in proporzione, un benefizio molto più largo che se fosse costretta a raddoppiare il suo capitale. Non dico che farà lo stesso benefizio, no, ma dico che lo farà in proporzione. Questa mi pare una cosa di tutta evidenza. Per ottenere dunque che la Banca acconsentisse a questo allargamento di capitali, io ho creduto che si potesse concedere a’ suoi biglietti il corso legale.

A questo punto io tocco alla parte più spinosa, quella che ha suscitato delle tempeste per tutti i lati dell’orizzonte; e, poiché la discussione è molto inoltrata, e che molti oratori ebbero ad esprimersi su questo punto, dirò francamente che reputo che il valore di queste parole corso legale si sia esagerato e in bene ed in male. Mentre gli uni considerano il corso legale come un favore straordinario e come un vantaggio incomparabile, gli altri invece vedono in questo corso legale ogni sorta di funeste conseguenze. E gli uni e gli altri sono, a parer mio, nell’errore. A dir vero, il corso legale, rispetto alla Banca, non sarà utile che nel periodo di transizione per abituare il nostro pubblico a valersi dei biglietti.

Dopo due anni che questo corso legale vi sia o non vi sia, io penso che la circolazione non si muterebbe della somma di qualche centinaio di mila lire. Ho detto che il corso legale poteva essere utile, e lo ripeto, nei momenti di crisi, perché in questi essendo d’uopo che una parte della carta rimanga in circolazione per gli assoluti bisogni della circolazione medesima, il corso legale diminuisce la tendenza di presentarsi in massa alla Banca pei cambiamenti; ma se parliamo degli azionisti, dello speculatore; se l’azionista facesse entrare nei suoi calcoli la possibilità di una crisi che costringesse la Banca a liquidare, che la mettesse in condizioni critiche, sicuramente le azioni non sarebbero al di sopra del pari; l’azionista, nelle sue speculazioni, la probabilità di crisi non la contempla; basa i suoi calcoli sui benefizi probabili in tempi normali, e pei tempi normali questo valore legale non può avere che pochissima o nessuna influenza. Può averla pel momento della transizione. E diffatti, se voi esaminate la circolazione della Banca d’Inghilterra dopo il corso legale e la circolazione della stessa Banca prima del corso legale, voi vedrete che questo non ha aumentata la circolazione. Al giorno d’oggi (non ho qui i giornali inglesi) la circolazione della Banca d’Inghilterra non giunge a 20 milioni sterlini; è salita più volte a 22,24, e nei tempi di maggiori bisogni, quando vi era il corso forzato, ammontò a 30; dopo corso forzato credo che non abbia mai superato i 26; ma per molti anni fu al di sopra di 20 milioni: si può quindi ritenere che il corso legale, pei tempi normali, non ha nessuna influenza.

Ma mi si dice: perché allora proporre questo corso legale? Panni che per fare questo vi siano molti motivi, poiché, mentre io non iscorgo in questo corso legale nessun inconveniente, vi ravviso però molti vantaggi. Anzitutto la circolazione mediante il corso legale si farà in modo più semplice, più economico e più regolare in tutte le parti dello Stato, e poscia riescirebbe vantaggiosa, come dissi, questa misura in un momento di crisi, perché diminuirebbe l’afflusso dei biglietti alla Banca, quando si ristabilisce il corso forzato, mentre giova ritenere che se vi fosse una crisi politica saremmo costretti, a qualunque parte della Camera appartenessero i membri del Mini stero in quell’epoca, saremmo costretti a fare come hanno fatto i nostri predecessori, ristabilire, cioè, il corso forzato.

Or bene, in questo caso il passo sarebbe meno difficile, urterebbe meno le abitudini nazionali, porterebbe meno funeste conseguenze.

Ecco il perché io pensai di dover acconsentire al corso legale, avuto pure il debito riguardo alla circostanza che questa concessione poteva avere molta influenza sull’animo degli azionisti. In quanto a me, se mi trovassi ancora azionista alla Banca, non avrei dato ud gran peso a questa concessione, ma avrei accettato molto più. volontieri, nel mio particolare interesse d’azionista, un consiglio che mi si dava da alcuni membri della sinistra, i quali mi dicevano: proponete di diminuire il minimum dei biglietti; questo ve lo conce diamo. Ebbene, o signori, io mi opporrei virilmente al concedere la diminuzione del minimum dei biglietti ad una Banca che fosse costituita su di una base larga.

Nella mia qualità di ministro io reputerei sicuramente nocivo al nostro sistema economico che una Banca, per esempio, di sedici milioni, potesse emettere dei biglietti da 50, da 25 lire; ma se fossi azionista, io muterei per ben dieci volte il corso legale per ottenere una diminuzione del minimum dei biglietti, e ciò per una semplicissima ragione: se voi diminuite il minimum allargato immediatamente la circolazione, perché i biglietti si sostituirebbero al numerario in una infinità di transazioni per le quali la carta non è ancora e non può essere in uso. Epperciò nell’interesse degli azionisti della Banca era assai più conveniente l’offrire loro la diminuzione del minimum dei biglietti, la qual concessione forse non avrebbe suscitata tutta questa tempesta che si sollevò contro la proposta ministeriale. Ma questo, o signori, io non l’ho fatto, e se altri lo facesse, mi vi opporrei virilmente, perché troverei questa misura dannosa e pericolosa, come quella che porrebbe la nostra circolazione sopra basi non abbastanza solide, e ci esporrebbe, ad ogni menoma crisi, a perturbazioni gravissime.

Alcuni dicono: non è tanto per il corso legale che combattiamo questa proposta, quanto perché il corso legale concede il monopolio a questa Banca. Ma, o signori, se gli azionisti della Banca nazionale volessero raddoppiare il capitale della medesima, ciò che penso che lo statuto loro accordi, e se loro non l'accordasse, la Camera sicuramente non lo negherebbe...

Bartolini. Glielo dà lo Statuto.

Cavourse raddoppiasse il suo capitale, credete voi che per lungo tempo non avrebbe il monopolio?

Nello stato attuale delle cose, come potete sperare che nel nostro paese si stabiliscano due Banche con 16 milioni di capitale? Questo non è assolutamente probabile.

Quindi avrà sempre il monopolio; perché se l’onorevole deputato Chiarie intende con ciò dire che non vi sarà che una gran Banca, io dico schiettamente che non se ne stabilirà un’altra; ma se la Banca nazionale ha l’energia di raddoppiare il suo capitale anche rigettata la legge, io sono sicuro che sinché le circostanze economiche e politiche del paese non muteranno, non verrà a stabilirsi un’altra Banca con un capitale oltre i 16 milioni; quindi il corso legale non cambia in nulla le condizioni della Banca rispetto alle altre Banche nasciture, condizioni che si possono dire talmente colossali per rapporto a noi, che impedirebbero lo stabilimento di una Banca rivale, d’eguale potenza e di analoghi mezzi.

Vede dunque l’onorevole deputato Chiarie che l’argomento da lui posto in campo contro il corso legale fondato sopra l’idea del privilegio non può sussistere, poiché il privilegio, lo ripeto, è una conseguenza della potenza stessa della Banca nazionale in caso che raddoppiasse il suo capitale.

Tengo ora alle altre obbiezioni fatte contro questo corso legale. L’onorevole deputato Farina l’ha combattuto istoricamente; e qui debbo confessare, a mio torto, che nella relazione che premisi a questa legge ho commesso un errore, dicendo che fu sir Robert Feel che oppose il corso legale in Inghilterra, mentre questa proposta venne realmente da lord Althorp. L’onorevole Farina cadeva però anche alla sua volta in errore, quando asseriva che lord Althorp era cancelliere nel Ministero Grey. Egli fu uno dei membri del Parlamento inglese che cooperarono maggiormente per l’adozione del bill della riforma della Banca. Lord Althorp fu il ministro più liberale che abbia governato l’Inghilterra dal cominciare di questo secolo in poi.

Ma se Robert Peel dieci anni dopo presentò un progetto di legge per far rinnovare il privilegio, poteva farlo, perché nella concessione del privilegio era stabilito che dopo dieci anni il Governo, previo affidamento di un anno, poteva rinnovare questo privilegio e la legge sulla Banca. Sir Robert Peel introdusse molte modificazioni all’atto di lord Althorp, ma non pensò a menomamente mutare il legul io quindi credo che siccome egli aveva cambiate molte delle condizioni e concessioni fatte, se un’esperienza decennale lo avesse convinto degli inconvenienti del legai, non gli mancava certo né il coraggio, né l’energia di proporne la soppressione.

Sir Robert Peel, che seguiva nel 1833 la bandiera conservatrice e protezionista, nel 1843 e 1844 si avviava a grandi passi verso il sistema delle riforme e della libertà commerciale, e non volle quindi tornare indietro su quello che era ed è ancora dai migliori economisti dell’Inghilterra considerato come un vero progresso.

Non ho avuto il tempo di andar a cercare le discussioni che ebbero luogo in quell'occasione nel Parlamento inglese, non ne vidi che un sunto, dal quale mi risulterebbe che la questione del corso legale allora non fu nemmeno combattuta.

Farina Paolo. SI, fu combattuta.

Cavour. Se fu combattuta, è una ragione di più per credere che non fa una svista di sir Robert Peel il mantenerlo; ed io posso dunque dire che il legai tender è l’espressione dell’opinione di lord Althorp, il più franco e liberale dei ministri inglesi, e di Robert Peel, il primo degli uomini di Stato della Gran Bretagna.

Io mi appoggio tanto più francamente sulla legge del 1844, in quanto, lo dico schiettamente, io non approvo questa legge inglese, essendosi con essa andato oltre il segno cbe, secondo il mio avviso, la ragione stabiliva, poiché fu ostile per le Banche locali, e riuscì a limitare la circolazione e ad impedire la creazione di nuove Banche.

L'Inghilterra con quella legge, a parer mio, andò troppo oltre nella via della centralizzazione bancaria. Quello che poi è un fatto sono le vivissime discussioni a cui ha dato luogo, e dà luogo di continuo, il sistema bancario, perché in Inghilterra vi sono molte scuole diverse: vi è la famosa scuola di Birmingham, che vorrebbe sostituire assolutamente la carta al numerario; vi è un’altra scuola che vorrebbe restringere e far iscomparire la carta; in tutte queste scuole, in tutte queste polemiche non ho mai visto questa questione essere oggetto di grave controversia.

Un’opera di fresco data alla luce in Inghilterra su questa materia, e che gode di gran riputazione, quella di Stuart-Mill, nel parlare delle Banche, encomia piuttosto queste disposizioni, e non v’ha alcuna critica contro di esse.

Debbo pur dire che ultimamente la Francia stessa, che in fatto d’innovazioni economiche è la nazione più conservatrice d’Europa (altrettanto è rivoluzionaria in politica, altrettanto è conservatrice in fatto di sistema economico), la Francia stessa, ripeto, nelle sue Banche coloniali ha introdotto il legai tender. Per dir vero, tal cosa mi ha recato stupore, ed ha dissipato ogni timore rispetto a siffatta introduzione. Ed infatti, quando ho posto mente che i ministri francesi, i quali non vogliono aderire a veruna innovazione nel sistema economico, non rifiutarono quella che ho ora accennata rispetto alle Banche coloniali, non esito a dirlo, ogni timore d'inconvenienza è sparito dal mio pensiero.

Parmi dunque d’avere chiarito che gli argomenti storici stanno in favore di questa disposizione.

Si può indicare qualche autore inglese che l’ha censurata, ma si noti che l’Inghilterra è un paese di libertà, dove si manifestano ad ogni tratto le opinioni più contrarie e disparate, di guisa che non è a stupirsi che anche uomini di vaglia abbiano combattuta un’opinione che generalmente è sostenuta. Se noi dovessimo dar credenza a tutto quello che si riferisce sull’opinione pubblica in Inghilterra, noi cadremmo spesse fiate in gravissimo errore.

In un’importante discussione ch'ebbe luogo nell’Assemblea francese, il signor Thiers ha asserito che in Inghilterra tutti lamentavano la riforma daziaria. Ora ciò è assolutamente contrario al vero. Sono i tories, coi quali andò a pranzo il signor Thiers, che lamentano questa riforma (viva ilarità), ma l’immensa maggioranza della nazione è ad essa favorevole. Nella stessa guisa perciò io dico che ponno esservi alcuni che lamentino il legai tender, ma che la massa dell’Inghilterra è ad esso favorevole.

Si è detto che il legai tender è contrario al diritto naturale ed al diritto di proprietà.

Per provare tale assunto si posero innanzi gl’inconvenienti del «orso forzato della carta monetata: ma, o signori, io vi prego di riflettere esservi una differenza notevolissima tra il corso legale ed il corso forzato.

Se avete in animo di combattere il corso legale, combattetelo; avrete forse ottime ragioni ad addurre in sostegno del vostro assunto; ma per una certa qual analogia che esiste tra le parole legale e forzato non venite ad imputare al corso legale tutti gl’inconvenienti del corso forzato.

(Il deputato Lanza dice alcune parole non intese).

Nella tornata di ieri gli onorevoli deputati Farina e Bottone ci hanno rappresentato un quadro doloroso delle conseguenze degli abusi a cui può dar luogo il corso forzato della carta monetata.

Riguardo al corso forzato, quando la carta non è convertita in numerario, questa finalmente non viene ad avere nessun valore, ed io mi unisco agli onorevoli preopinanti per condannare l’istituzione di una carta non convertibile in numerario, qualora questa misura non sia comandata da un’assoluta necessità; ma, lo ripeto, il corso legale non ha nessuna analogia col corso forzato; ché anzi io stimo che il corso legale, o moneta legale, come vuolsi appellare dall’onore vole deputato Lanza, renda meno probabile il passaggio al corso forzato.

Io combatto le obbiezioni di coloro che dicono: il potere esecutivo potrà, senza che il Parlamento v’intervenga, dare il corso forzato alla moneta legale.

Questo evidentemente non si può fare che con un abuso di potere, e se voi supponete che il Governo possa abusare del potere per operare questa illegalità, dovete anche supporre che possa farlo per passare dal corso assolutamente libero al corso forzato.

Io allontano adunque questa ipotesi che ho udito ripetere fuori del Parlamento. Bimango sopra il terreno legale, e dico che sarà pià difficile il passaggio dal corso ordinario al corso forzato quando non esiste il corso legale.

Ogniqualvolta una Banca condotta dietro norme prudenti, per circostanze indipendenti dalla volontà de’ suoi amministratori, per circostanze gravissime, si troverà nella condizione o di dover sospendere le sue operazioni, o di chiedere il corso forzato, io credo che qualunque Governo le accorderà sempre questa facoltà. Ho per me l’esempio di tutte le nazioni più civilizzate d’Europa. Non solo il corso forzato fu dato ai biglietti della Banca di Francia dal Governo provvisorio, perché la Francia era in una rivoluzione politica; non solo fu accordato dal nostro Governo, perché noi eravamo in uno stato di guerra, ma fu concesso pure dal Governo del Belgio alle sue Banche, perché senza il corso forzato queste Banche, le quali non potevano certo essere in istato di fallimento, poiché si trovavano in condizione normale, avrebbero dovuto però cessare le loro operazioni e liquidare; ed il Governo del Belgio ha stimato che fosse minore inconveniente lo stabilire il corso forzato dei biglietti piuttosto che vedere questi stabilimenti sospendere le loro operazioni.

Io non dubito quindi d’affermare che quando una circostanza gravissima mette una Banca nell’impossibilità di continuare le sue operazioni, tutti i Governi acconsentiranno ad accordarle questo favore.

E non sono in ciò secondato dai soli esempi dei Governi del continente europeo, ma ho anche quello degli Stati Uniti. In America era tale l’antipatia che si provava pel corso forzato, il quale aveva prodotto innumerevoli disastri nella prima guerra dell’indipendenza, che s’introdusse nella Costituzione federale un articolo col quale si vietò a tutti gli Stati di accordare il corso forzato ai biglietti delle Banche private, e si proibì di sospendere l’obbligo di rimborsare in numerario; eppure quando arrivò la crisi del 1839, la metà degli Stati dispensarono le loro Banche, temporariamente, dal pagare in numerario, e l’articolo della Costituzione non fu eseguito, ed il Governo centrale non ebbe il coraggio, o non credette opportuno di far eseguire quell’articolo di legge, siccome avrebbe potuto, anche a dispetto della deliberazione dei singoli Stati.

Ciò vi prova, o signori, che vi sono delle circostanze tali in cui è una necessità assoluta il dare il corso forzato. Ora io credo che Tesservi il corso legale, senza rendere impossibile questa circostanza, l’allontani. Io ho già avvertito che quando vi è il corso legale, anche nei momenti di crisi, vi è una certa quantità di carta che rimane neoessariamente in circolazione pei bisogni della circolazione stessa, perché quegli che sa di poter spendere fra due giorni il suo biglietto non si dà Tincomodo di andarlo a cambiare, sebbene abbia qualche sospetto sull’avvenire.

Sostengo adunque che col diminuire l’afflusso dei biglietti alla Banca in quei momenti di crisi, si allontana la necessità di ricorrere ad un mezzo molto più violento, molto più dannoso. Se poi la crisi è grave, se è una crisi sociale, una crisi politica, allora non vi è mezzo qualsiasi che impedisca l’afflusso alla Banca, che eviti la necessità di ricorrere ai mezzo estremo del corso obbligatorio; ma nelle crisi ordinarie io reputo che questa misura giovi molto ad impedire alle Banche di essere in quella fatale necessità di sospendere le loro operazioni e di ricorrere al momentaneo corso forzato.

Parai di aver dimostrato che era opportuno che si preferisse il sistema di una gran Banca non privilegiata, non investita di un monopolio assoluto, ma coll’obbligo di moderare, di regolare in certo modo la circolazione, e di poter essere in istato di somministrare un valido e potente appoggio al Governo nei momenti difficili; io credo di aver dimostrato che ove anche questa ipotesi non fosse fondata, e fosse da adottarsi il sistema delle Banche minori e molteplici, non vi era probabilità che queste Banche creassero una rivalità per la Banca nazionale; ho dimostrato che il solo mezzo per ottenere un'importante Banca si era quello di determinare la Banca nazionale a raddoppiare il suo capitale; ho dimostrato che il mezzo più opportuno per determinarla a raddoppiare il suo capitale era di accordarle il corso legale; ho dimostrato finalmente che questo corso legale non aveva gravi inconvenienti. Non aggiungo altre cose, e soltanto mi limito a rispondere ancora a coloro che hanno cercato di determinare la Camera a respingere la legge come se l’istituzione di una Banca su larghe basi dovesse indebolire l’azione del Governo, o, dirò meglio, l’azione del paese quando giungessero momenti difficili.

Io ripeto con tutta schiettezza che se vi ha un motivo più che un altro che mi ha determinato a persistere in questa risoluzione a malgrado dell’opposizione incontrata su quasi tutti i banchi della Camera, egli è perché ho l’intima e profonda convinzione ohe l'istituzione di una potente Banca riuscirebbe indispensabile al paese nel caso in cui si verificassero le ipotesi a cui accennava.

Io non voglio sollevare il velo dell'avvenire, io non so se queste ipotesi si realizzeranno; ma quando il paese versasse in condizioni difficili, quando avesse bisogno di riunire tutti i mezzi possibili per compiere la sua missione, io lamenterei altamente che coloro i quali in quelle circostanze fossero chiamati a dirigere gli affari non potessero far calcolo sopra i potentissimi mezzi che loro somministrerebbe l’istituzione che io vi domando di creare; io, in questo caso, desidererei ardentemente di ingannarmi; io farei voti che allora coloro che mi combattono con maggiore insistenza, con maggior veemenza, o con maggior passione, non fossero i primi a conoscere che io aveva altamente ragione, e che io qui non combatteva per gl'interessi di una società privata, ma che sosteneva i veri, i reali interessi del paese. (Bravo! Bene! da molti banchi).

__________________________-

DISCORSO del 5 luglio 1851

 alla Camera elettiva.

Io convengo anzi tutto che fra gli opponenti al progetto di legge, l’onorevole Pescatore si è quello che meno si discosta dall’idea del Ministero. Se mal non mi oppongo, se ho ben compreso i principii che informano il suo sistema, molto grande non sarebbe in ultima. analisi la distanza che separa dal suo il concetto ministeriale.

L’onorevole preopinante ha schiettamente confessato, e mi pare che l’abbia dichiarato a più. riprese, che egli desiderava lo stabilimento di una cospicua Banca nel paese, ed ha dichiarato che vedrebbe molto volentieri una Banca con 16 milioni stabilirsi fra di noi, avversando solamente il sistema del Ministero, come male atto al conseguimento di questo scopo, accusandolo d’inconvenienti economici, d’inconvenienti finanziari, d’inconvenienti politici, d’inconvenienti nei tempi normali, d’inconvenienti nei tempi di crisi, qualificandolo insomma una specie di vaso di Pandora, e suggerendoci invece, come facilissimo, un altro mezzo per raggiungere quello stesso fine.

Osservò egli (e qui comincio dal finire del suo discorso), come possiamo noi raggiungere lo scopo di costringere la Banca nazionale a raddoppiare il suo capitale concedendole altri favori, che non quelli proposti al Parlamento dal Ministero, e qui io sono ancora perfettamente d’accordo con lui. Se il Parlamento modifica la legge e invece dell’articolo terzo ne adotta un altro nel quale sia detto che la Banca nazionale è autorizzata ad emettere dei biglietti di cinquanta lire, io stimo che in tal caso la questione è sciolta di sua natura; la Banca nazionale accetterà, ed accetterà molto volentieri, questa modificazione, e rinunzierà al corso legale: l’ho detto ieri e lo ripeto oggi. Ma prego la Camera e l’onorevole preopinante di voler notare che questa misura produrrebbe appunto la massima parte degl’inconvenienti economici che il signor deputato Pescatore indicava nella sua elaborata orazione.

L’onorevole preopinante, fra i molti argomenti di cui si valeva contro il sistema del corso legale, citava come uno dei principali il seguente, cioè, che col corso legale la Banca potrà estendere oltre i limiti naturali la circolazione nei tempi normali, e che quando poi vi saranno bisogni straordinari accagionati da circostanze economiche, o politiche, la Banca non si troverà più in condizione di poter sovvenire a questi bisogni straordinari, onde poter far fronte a queste circostanze eccezionali, che nelle crisi economiche si sente un forte bisogno di numerario, e che se colla circolazione straordinaria si è fatto sparire il numerario, la Banca non può più sovvenire ai bisogni cagionati dalle crisi economiche, e che lo stesso si deve dire per le crisi politiche.

Ma, signori, la circolazione si estenderebbe assai più se il minimum dei biglietti fosse diminuito; mentre è chiaro che un limite alquanto elevato trattiene in una certa sfera circoscritta la circolazione de’ biglietti; a mano a mano che voi diminuite l’ammontare del biglietto minimo, la sfera in cui l’azione della carta può esercitarsi si allarga, non in una proporzione, che dirò aritmetica, ma in proporzione geometrica. L’esperienza ha ciò dimostrato in tutti i tempi, e lo dimostrò ancora recentemente in Francia.

La Francia ha diminuito il minimo dei biglietti da 500 a 250 lire, e da 250 a 100 lire; ora quasi tutti quelli che si occupano di questioni economiche considerano l’effetto di questa diminuzione equivalente ad un aumento di circolazione della carta di quasi 200 milioni, e per parte mia dichiaro che non istimo questi calcoli come esagerati.

Ognuno di voi, o signori, rifletta alla quantità di transazioni che i operano oltre le 100 lire e a quelle che si operano dalle 50 alle 100, e vedrà che non è esagerata asserzione il dire che la riduzione de' biglietti darebbe alla circolazione un impulso senza comparazione maggiore di quello del corso legale, ed allora si verificherebbe l'inconveniente che ha indioato l’onorevole deputato Pescatore, di diminuire soverchiamente la quantità del numerario che resterebbe nel paese.

Io sono fautore di una circolazione di carta, io desidero di vederla estesa quanto eia possibile, ma non voglio una circolazione unicamente di carta; desidero che nel paese vi rimanga sempre sotto la carta uno strato metallico, onde la circolazione della carta riposi sopra una base solida.

Ora, il sistema dell’onorevole deputato Pescatore, quello cioè di diminuire il minimum dei biglietti, avrebbe un effetto contrario; ci condurrebbe a tutti gl’inconvenienti che egli, mi permetta di dirlo coll’epiteto stesso che fu da lui prodigato molto spesso, e di cui. io mi servirò più moderatamente, ci condurrebbe, dico, a quegl’inconvenienti che erroneamente egli attribuiva al corso legale dei biglietti.

Parmi adunque di poter affermare che noi siamo d’accordo nello scopo, ma che differiamo quanto ai mezzi. Io ripeto che il mezzo da lui indicato ci condurrebbe a tutti gl’inconvenienti ch’egli credeva poter attribuire al sistema proposto dal Ministero.

Esaminerò ora rapidamente tutti gli appunti stati fatti dall’onorevole preopinante al progetto ministeriale.

Egli accennava come questo progetto fosse concepito in modo che il corso legale potesse essere dalla Banca ottenuto senza l’aumento del capitale. Questo non era certo nell’intenzione né del Ministero, né della Commissione, e immagino che l’articolo primo rettamente interpretato e posto a confronto coll’articolo ultimo non possa lasoiar dubbio a questo riguardo. Tanto poi l’esposizione dei motivi del Ministero, quanto la relazione della Commissione, non lasoiano dubbio di sorta a riguardo dell’intenzione del Ministero e della Commissione.

Quando però l’onorevole preopinante (ohe nella sua qualità di professore di leggi s’intende molto meglio di me delle interpretazioni legali) credesse scorgere che vi fosse il menomo dubbio, io accetterei un emendamento che avesse per effetto di farlo sparire interamente.

Pescatore. Sarà facile d’intendersi.

Cavour. Accetto anticipatamente il suo consiglio, la sua proposta. Passando da quest’obbiezione, che sicuramente poteva dirsi con fondamento una critica contro il progetto di legge, all'obbiezione di massima, dirò che mi parve che l’onorevole preopinante tentasse di provare che l'attuale sistema renderebbe assolutamente impossibile la creazione di Banche provinciali, ed egli infatti diceva: voi potete bensì stabilire Banche di sconto, non mai Banche di circolazione, perché la Banca nazionale riempirà il paese di biglietti, e farà si che non vi sia più luogo per le emissioni delle Banche locali.

Io osserverò che la Banca nazionale può emettere quanti biglietti essa vuole, avendo la facoltà di cambiare i biglietti a presentazione; ma non può mantenere in circolazione un numero maggiore di quello necessario pei bisogni della circolazione medesima, e di quella circolazione sulla quale essa esercita la sua influenza, mentre essa non può trovar sfogo a questi biglietti se non scontando o facendo delle anticipazioni. Ciò essendo, altri stabilimenti fondati o in località dove la Banca non ha alcuna delle sue sedi, oppure aventi una destinazione speciale riflettente un minor numero di industrie, potranno essi pure fare delle operazioni di sconto ed a volontà.

Noi vediamo che nei paesi dove vi sono queste Banche privilegiate, come in Inghilterra e nel Belgio, se ne stabiliscono anche delle altre, le quali, quantunque non siano Banche di circolazione, fanno però importanti affari semplicemente come Banche di deposito e come Banche di sconto; né scorgo il perché questo non potrebbe avvenire egualmente nel nostro paese, e non si potrebbe accanto ad una gran Banca stabilirne anche una minore, la quale avrebbe la sua clientela nella stessa guisa che si vedono tuttodì banchieri minori operare in commercio accanto ad un banchiere di mezzi molto cospicui. Tuttavia, se a queste Banche minori non si accordasse nessun favore, la concorrenza sarebbe più difficile, sintantoché i bisogni del credito non fossero maggiori di quello che lo sono attualmente.

E per verità, attualmente una Banca con 16 milioni soddisfa ai bisogni del commercio; epperciò sarebbe indurre in errore la Camera, se le dicessi che un’altra Banca può sorgere accanto a questa; ma se i bisogni aumentano, è mia opinione che s’instituirebbero con utilità altre Banche. A queste, come ho detto l’altro giorno, farei due concessioni: quella di scontare della carta a due firme, e quella di emettere biglietti di minor valore.

In quanto alla prima, non è di nessun valore; con essa si assimila la Banca ad una Banca privata, e si fa si che una Banca di circolazione e di depositi sia in grado di fare delle operazioni identiche a quelle che fa un banchiere privato; e si accorda ad una società anonima, a cui avete dato un privilegio (e l'emettere carta in circolazione è sempre privilegio), la stessa facoltà di cui fruisce un banchiere ordinario, quella cioè di scontare una cambiale, la quale è sempre una carta a due firme: quindi l'autorizzazione di scontare cambiali a due firme suona come facoltà illimitata di scontare qualunque cambiale.

Questo è pure un privilegio: ma il maggiore di questi privilegi sarebbe quello di poter emettere biglietti di Banca di un piccolo valore: tale facoltà è importantissima, e si può concedere a questi stabilimenti senza correre gran pericolo, poiché essi essendo naturalmente circoscritti dalla poca estensione del loro capitale, è evidente che la circolazione loro dovrà essere ristretta in certi limiti e non potrà produrre una tale diminuzione del numerario, che valga a rendere meno solido il complesso del nostro edifizio economico. Io dico dunque che non sussiste l’obbiezione dell’onorevole deputato Pescatore.

Egli ci dava una singolare teoria delle speculazioni, e ci diceva; perché il biglietto sta in circolazione...

Pescatore. Perché il commercio ne ha bisogno come strumento di cambio.

Cavour. Ma se questo è vero, e lo riconoscono tutti...

Pescatore. Ha però detto che è singolare...

Cavour. Non è singolare l’asserzione, ma lo è la conseguenza che l’onorevole preopinante ne traeva.

I biglietti delle Banche secondarie non saranno essi strumenti di cambio? Quando le Banche secondarie siano solide e condotte da persone che nella loro sfera godano di una considerazione relativamente eguale a quella che hanno coloro che dirigono la Banca nazionale in una sfera maggiore, questo biglietto circolerà con eguale facilità, massime poi quando questo biglietto avrà il vantaggio di poter essere di valor minore.

L’onorevole Pescatore crede (e prego la Camera di avvertire questo punto, perché qui sta forse tutta la differenza tra il signor Pescatore e me), egli crede che il carattere di moneta legale abbia ad accrescere straordinariamente la circolazione; egli dice che se la carta a valor legale starà in circolazione come 3 (poneva questa cifra ipoteticamente, ed ipoteticamente anch’io la ripeto), se non ha corso legale starà in circolazione come 2, quindi la circolazione della carta starà come 3 a 2.

Ecco l’argomento del signor Pescatore. Ora, come io già detto, io vado persuaso che il carattere di valore legale non produrrà questa conseguenza sulla circolazione della carta. Quando un paese ha contratta per poco l’abitudine della moneta di carta in tempi normali,, la carta circola con eguale facilità che se avesse il carattere legale. Io qui non ho altro mezzo di mostrare questa verità che invocando l'esperienza.

Io non solo non andrò a cercare i miei esempi nell’Asia o nella Turchia, ma neppure nell’Inghilterra. Io li prenderò in Francia, e in Francia, oltre all’essersi accordato al biglietto, dopo la rivoluzione del 1848, il carattere di moneta legale, gli fu attribuito il corso forzato, come la Camera ricorderà.

In quella circostanza la Banca non abusò di questa facoltà, ché all’incontro restrinse la sua circolazione nei limiti i più ristretti, adoprandosi attivamente per mantenere l’equilibrio fra il numerario ed Ì biglietti, e conducendosi insomma cosi saviamente, che il pubblico continuò ad avere nello stabilimento della Banca di Francia la confidenza la più illimitata, quantunque il suo biglietto avesse corso forzato.

Tornata la calma nel paese, si tolse alla Banca di Francia, sulla sua stessa richiesta, questo privilegio; eppure la circolazione non diminuì. Questo prova che quando vi esiste la fiducia in uno stabilimento, non solo il corso legale, ma il corso forzato non esercita una grande influenza sull’ammontare della circolazione,

Ma qui mi e forza di ricorrere di nuovo agli esempi dell’Inghilterra. lo ricordo all’onorevole deputato Pescatore che al giorno d’oggi la circolazione della Banca d’Inghilterra è minore di quella che lo sia stata nella media dei dieci anni che hanno preceduto lo stabilimento del corso legale.

L’onorevole deputato Pescatore osservò che la legge del 1844 ha limitata la circolazione nel Pegno Unito.

Questo è incontestabile. La legge del 1844 stabilisce che la Banca d’Inghilterra non possa avere una quantità di biglietti che superi il numerario effettivo che è in cassa di oltre quattordici milioni sterlini. Ora, al giorno d’oggi, quella Banca ha 14 milioni e poche centinaia di mila lire sterline in cassa, e perciò potrebbe legalmente porre in circolazione 28 milioni sterlini; nullameno non ha in circolazione che 20 milioni sterlini, e non credo neppure giunga a tal somma. (Un deputalo fa segni di diniego).

La Banca d’Inghilterra in questo momento sconta al 3 per cento; essa ha la facoltà di scontare dei buoni dello scacchiere sin che vuole.

La Banca d’Inghilterra sa che, se emette biglietti quando il paese è già (mi si ‘permetta l’espressione chimica) saturato di carta, ciò che emette da una mano rientra dall’altra. Epperoiò, siccome essa è molto prudente e bene amministrata, non cerca di spingere troppo oltre la circolazione.

Io ripeto che la moneta legale non può esercitare abitualmente una grande influenza sull’ammontare della circolazione, ma può avere un’ influenza transitoria.

Ove si avesse a passare rapidamente dal corso obbligatorio al corso libero, forse tra due mesi od un anno la circolazione si farebbe più ristretta di quello che lo sarebbe se non vi fosse ancor rimasta quella specie di antipatia che deve produrre il corso forzato, massime quando la popolazione è poco avvezza all’uso della carta.

Io credo che nell’epoca della transizione, e qualche tempo dopo, la moneta legale eserciterebbe una vera e salutare influenza sulla circolazione.

Dal lato poi della Banca, io penso che tale concessione non possa conferirle che un vantaggio momentaneo e transitorio, cioè di renderle molto più facile il passaggio dal corso forzato all’epoca in cui dovrà pagare i suoi biglietti in denaro.

Esaminata questa prima serie di argomenti, verrò alla seconda, forse più importante della prima.

L’onorevole deputato Pescatore disse: io voglio un grande stabilimento: ed è questa pur la mia opinione, ma lo voglio libero, che non abbia privilegio di sorta.

Pescatore. Ho detto che non l'avversava.

Cavour. Sembravami che avesse detto: io lo voglio. Ma sia pure cosi: ei non l’avversa.

Pescatore. Non l’avverso se libero.

Cavour. Accetto anche questo; ei non l’avversa, dunque, come forte Banca, se libera; ma l’oppugna ove se le voglia accordare un privilegio.

Ammessa questa differenza, ammesso che, ove sia libera, la Banca possa rendere veri servigi allo Stato, riesca utile al commercio, sia giusta con tutti, non fautrice infine di nessun monopolio, e che all’incontro, ove goda di un privilegio qualunque, abbia ad abusare della sua posizione, ad opprimere i piccoli, a favorire i grandi, ad esercitare sul Governo una funesta influenza, ammesso tutto questo, dico, veniamo ad esaminare l’essenza della quistione.

La Banca dovrà la sua influenza non solamente alla circostanza che la sua moneta abbia il carattere legale, ma ancora all'esser» essa sola.

Crede il deputato Pescatore che la Banca avrebbe un immenso potere sul commercio, sull'industria e sulle persone in rapporto colla medesima se, avendo il privilegio del corso legale, non fosse sola? Io non lo credo, e sono invece persuaso che, quando anche la sua carta non avesse il corso legale, ma eh’ essa rimanesse il solo grande stabilimento di credito come lo è ora, e avesse un capitale di 16 milioni, sono persuaso, ripeto, che potrebbe, se fosse animata dai sentimenti che l’onorevole preopinante ideava in ipotesi, favorir» gli uni piuttosto che gli altri, ricusare di fare affari con altri salvo che con alcuni favoriti, ricusare d’ammettere allo sconto le piccole carte, e mantenere infine alta la tassa dello sconto.

Il privilegio risulterebbe dall’essere dessa sola, dal non avere concorrenza. Ora io chieggo alla Camera se havvi alcuno il quale reputi che, ove la Banca nazionale raddoppiasse il suo capitale, fosse probabile, dirò anzi possibile, che si stabilisse per ora accanto ad essa un altro stabilimento capace di farle concorrenza. Io in verità non lo credo.

Se fosse vero quanto dice l’onorevole deputato Pescatore, se il monopolio dipendesse dall’aumento di capitale, in questo caso egli dovrebbe combattere non solo il corso legale, ma ancora l’aumento del capitale; dovrebbe desiderare che si creassero nuove Banche, ed avversare conseguentemente l’ampliazione del cap tale della Banca nazionale, giacchi, lo ripeto, ove essa avesse il coraggio di raddoppiare il suo capitale, potrebbe essere certa che per molti anni nessuna compagnia privata verrebbe a farle la benché menoma concorrenza. Ma i egli possibile che la Banca, aumentando il suo capitale, abbia i mezzi e l’interesse di esercitare la sua influenza nel modo indicato dall’onorevole deputato Pescatore? Che essa possa restringere la sfera de’ suoi affari in limiti ristretti? Che possa ricusare la piccola carta, e mantenere a suo piacere il tasso dello sconto? Io dico di no. La Banca ha interesse di fare il maggior numero di affari possibile, di mantenere in circolazione più carta che si può; ciò è evidente. La Banca ha più interesse di mettere e mantenere 40 milioni in circolazione, scontando delle cambiali al 3 per cento, che d’avere 25 milioni in circolazione, quando anche lo sconto fosse del 4 per cento; mentre è evidente che nel primo caso guadagnerà maggiormente che nel secondo.

Ora, se la Banca ha un largo capitale, ed in virtù di questo largo capitale può aumentare di molte la massa della carta che è in circolazione, sarà costretta a cercare d’ampliare le sue operazioni, e per poterle ampliare sarà d’uopo che faccia affari col maggior numero di persone che può, che riceva lo sconto del pari delle grosse come delle piccole cambiali, e finalmente che diminuisca la ragione, il tasso dello sconto medesimo.

Forse l’onorevole deputato Pescatore voleva far allusione allo stato attuale delle cose, quando accennò che la Banca nazionale non fa affari con un gran numero di persone. Io stimo al contrario che essa non abbia mai ricusato d’operare con qualunque negoziante che sia stabilito regolarmente, nei limiti del suo credito; ma convien avvertire che noi siamo ancora poco avvezzi ad operazioni di credito, e che il nostro piccolo commercio ha una grande antipatia a sottoscrivere cambiali. Questa è una cosa cognita a tutti coloro che sono in mezzo agli affari, cioè che le persone le più regolari amano meglio sottostare a condizioni gravose, che sottoscrivere una lettera di cambio: vi è un pregiudizio nel piccolo commercio nell’apporre il proprio nome sotto una carta. Questo si può verificare; non si ha che a chiedere ad una delle grandi case di Torino che trattano coi negozianti delle provincie e della capitale, ed essa vi dirà che finora non ha ancora potuto indurre, anche mercé dei sacrifizi, a sottoscrivere delle cambiali; e questo non è straordinario. Prima dello stabilimento della Banca, le cambiali non servivano a nulla; le case le più ricche, i capitalisti i più potenti, almeno nella città di Torino, non potevano far scontare le loro cambiali. A Genova la cosa era diversa: vi erano già dei banchieri che facevano lo sconto, vi era anche la Banca di deposito, e quindi anche la Banca di sconto, ma a Torino questa non esisteva: un negoziante che si fosse rivolto ad un altro onde farsi scontare una cambiale Bulla piazza, avrebbe perduto il suo credito, avrebbe fatto nascere il sospetto di essere in cattive condizioni; il commercio quindi era costretto di ricorrere al credito, e si rivolgeva direttamente ad alcune case che scontavano, ma usurariamente, non sopra cambiali, ma sopra biglietti, e non certo all’interesse della Banca, ma ad un interesse di gran lunga maggiore.

Naturalmente questo pregiudizio, che è il risultato di uno stato di cose che ha durato per più secoli, non si può vincere immediatamente; si richiede un certo spazio di tempo onde il piccolo commercio contragga l’abitudine di sottoscrivere delle cambiali; ma non è colpa della Banca se essa non ha finora fatto suo prò di questo stabilimento;

è colpa, ripeto, dei piccoli commercianti, che non hanno ancora saputo valersi del credito, e di questo stabilimento.

Pescatore. Per questo bastano pochi milioni.

Cavour. L’onorevole deputato Pescatore afferma che per questo bastano pochi milioni; per me io dichiaro che ho molta miglior opinione del mio paese, e che lo reputo suscettibile di ricevere commercialmente un impulso grandissimo.

Esso possiede tutti gli elementi perohè il commercio e l’industria vi fioriscano, e già scorgiamo ogni giorno estendersi la sfera delle intraprese mercantili, e quindi non esito ad affermare che in poco tempo il capitale di 8 milioni non potrà bastare ai bisogni dell’industria e del paese.

I nostri industriali, che sinora si ricusarono a valersi del credito, che per un certo sentimento, dirò, quasi aristocratico, ripugnano a far sottoscrivere o accettare cambiali, ora che lo stimolo della concorrenza estera li spinge, sapranno anch’essi valersi di questo potente mezzo, e per poco che la nostra industria voglia rivolgersi al credito bancario, i mezzi di una Banca di 8 milioni saranno presto esauriti.

Finalmente il deputato Pescatore ha combattuto l’attuale progetto perché esso facilita di troppo il passaggio dei biglietti dal corso legale al corso coattivo.

II Ministero aveva detto che uno dei vantaggi di questo sistema era di rendere meno penoso il passaggio dal corso legale al corso forzato; egli invece trova che esso, non che meno penoso, lo rende anzi troppo facile, e ciò in una guisa non desiderabile. Egli fonda il suo argomento su ciò, che, come egli dice, in tutti i sistemi costituzionali, ma forse nel nostro più che negli altri.

Pescatore. In tutti egualmente.

Cavour. Si verificano casi in cui il potere esecutivo assume il potere legislativo, e poi viene al Parlamento a chiedere un bill e l'indennità.

Ora, secondo lui, il Governo avrebbe maggior facilità a sospendere il cambio dei biglietti, se vi fosse già la moneta legale.

In verità io non vedo alcuna differenza in questo: è una violazione della legge tanto in un caso come nell’altro. Se il Governo s’immagina di essere autorizzato a violare la legge, può credere l’onorevole preopinante che egli muoverebbe i suoi passi con tante cautele? Una volta che per motivi fondati sia uscito dalla legalità, non credo che vi sia più questa difficoltà di fare qualche passo di più.

Comunque sia però, anche su ciò avrei un mezzo di tranquillare l’onorevole preopinante: io sono disposto a fargli tutte le concessioni che egli desidera. Se si stima che il corso legale renda più facile il passaggio al corso forzato, si potrebbe dire che i biglietti avranno corso legale sinché la Banca continui a cambiarli contro numerario.

Questo à quanto esiste nella legge inglese: non vi è una grande innovazione. Ma siccome non voglio indurre in errore l’onorevole depotato Pescatore, lo avverto che, se arrivasse quel caso estremo, in cui fosse necessario di fare un atto d’usurpazione (usurpazione forse benefica), esonerando la Banca dal cambiare i suoi biglietti contro numerario, io non guarentisco che quei ministri che si troveranno in tale emergenza non cambieranno poi anche queste disposizioni che io propongo onde tranquillare l’immaginazione dell’onorevole preopinante.

In verità io non posso comprendere come sia poi difficile per un potere (essendo costretto dalla necessità) di ricorrere ad un mezzo che io non esito a dire estremo mezzo, a cui non ai deve ricorrere se non quando vi è una necessità a cui è impossibile il provvedere altrimenti.

Io in questo caso non esiterei a ricorrere a quella misura che crederei la più opportuna, e non sarei trattenuto dalla circostanza dell’esservi o no il corso legale: e qui ancora mi scusi il deputato Pescatore se io mi permetto di riscontrare la storia dei nostri tempi, perché io vi trovo che i nostri biglietti non avevano corso legale prima del 1848, e che ciò non ostante in quell’epoca appunto il potere esecutivo, armato per altro della sanzione del potere legislativo, astretto dal bisogno, fece passare i nostri biglietti al corso coattivo.

In Francia, dopo la rivoluzione del 1848, il Governo provvisorio non esitò ad accordare il corso forzato ai biglietti della Banca di Francia, quantunque questi non avessero mai dapprima avuto il corso legale.

Nel Belgio non esisteva corso legale, eppure dopo la rivoluzione del 1848 si resero obbligatorii i biglietti di Banca. In Inghilterra si rese pure obbligatorio il corso dei biglietti, quantunque prima non esistesse nemmeno il corso legale.

Negli Stati Uniti dell’America molti Stati (quelli dell’Ohio, della Pennsylvania, ed altri di cui non mi ricordo il nome) furono costretti a dispensare le Banche locali dal rimborsare i loro biglietti, quantunque non vi fosse prima il corso legale dei medesimi.

Dunque, signori, che vi sia o non vi sia corso legale, ciò non in finisce per nulla sulle determinazioni del Governo, quando le circo stanze sono tali da rendere necessaria questa misura del corso coattivo.

Io desidero che le circostanze non siano mai tali che il Parlamento debba a ciò ricorrere; ma quando esse si avverassero, se il Parlamento fosse riunito, io ho abbastanza fede nel suo patriottismo per essere certo che egli, chinando il capo a questa necessità, darebbe queste disposizioni; e quando il Parlamento non fosse riunito, o non fosse possibile convocarlo in tempo utile, e l’urgenza fosse cosi stringente da richiedere un simile provvedimento, io, se avessi ancora la disgrazia di essere ministro, dichiaro francamente che non avrei difficoltà ad assumermi la risponsabilità di stabilire il corso forzato, sia che i biglietti avessero o. non avessero il carattere di moneta legale. Forse questo atto farebbe che la sentenza che pronuncia ora l'onorevole Pescatore come legislatore, allora come giudice sarebbe più severa, ma io lo dichiaro anticipatamente: non temerei di affrontare la severità del suo giudizio.

Ma, egli dice, vi & una gran differenza tra il dare il corso forzato a dei biglietti che sono ricevuti volontariamente, e darlo a dei biglietti che avete costretto a riceverli.

Qui, lo ripeto, mi pare che vi sia, se non sofisma, almeno esagerazione. Quando la Banca è obbligata a cambiare a presentazione i suoi biglietti, egli è evidente che nessuno è costretto a tenerli; si possono ricevere al mattino e cambiarli in moneta sonante alla sera: e perciò non si può dire che col corso legale si costringa ogni individuo ad avere dei biglietti, perché solo quelli che si ricevono nella giornata si è costretti a tenerli al più per un giorno.

Pescatore. E quelle persone che si trovano all’estremità dello Stato?

Cavour. Queste, al più, invece di un giorno avranno ad attendere per quarantotto ore; quindi vede l’onorevole deputato Pescatore come si restringa la sua obbiezione.

Io non vado più oltre, e quando ciò non fosse, quando veramente tutti i biglietti fossero nelle mani di tutti, io dico che sarebbe ingiusto che la misura del corso coattivo non colpisse ogni cittadino, mentre questa misura del corso coattivo non può essere, lo ripeto, se non couseguenza dell’estremo bisogno della patria; e quando la patria è in tali contingenze, è giusto che tutti concorrano a soddisfare a questi bisogni; quindi respingo l’obbiezione dell’onorevole deputato Pescatore, obbiezione fondata sull’immoralità;

dico anzi che sarebbe cosa sommamente immorale il fare altrimenti, poiché è cosa equa e ragionevole il far concorrere tatti i cittadini quando le misure si prendono a vantaggio di tutti.

Finalmente l’onorevole mio avversario, che prese l’ultimo a par lire, diceva che questa Banca privilegiata non potrebbe e non vorrebbe soccorrere al Governo. Rispondo che la Banca avendo un capitale maggiore, potrà essere di sussidio al Governo in qualunque caso, e che ciò farà poiché vi avrà un vantaggio.

Io non faccio delle frasi clamorose; e certo non m’immagino che la Banca abbia a soccorrere lo Stato per filantropia, ma lo soccorrerà per ritrarne profitto. Le transazioni col Governo in tempi normali portano alla Banca un mezzo facilissimo, efficace, per impiegare i suoi capitali; in tempi anormali le transazioni tra il Governo e la Banca si fanno nei modi che indicava l’onorevole Pescatore, in quei modi più o meno urbani e gentili, mentre la storia non ci dà esempio di una Banca che in tempi difficili, in tempi anormali, abbia resistito ad un Governo, anche qualora questi non avesse la simpatia dei direttori della Banca. La storia contemporanea c’insegna come i direttori della Banca in Francia del 1848 non avessero alcuna simpatia per LedruRollin, Garnier-Pagès e gli altri membri del Governo provvisorio. Eppure, la settimana dopo la rivoluzione di febbraio, i direttori della Banca mettevano a disposizione di LedruRollin e di Garnier-Pagès tutti i mezzi del loro stabilimento.

Non tema adunque l’onorevole Pescatore per la circostanza in cui uomini meno simpatici alla Banca vengano al potere, imperocché non è da porsi in dubbio che questa si mostrerebbe molto arrendevole.

Io ripeto dunque che, dando il corso forzato ai biglietti, si esce dalla legalità, ma con questo mezzo talvolta si salva il paese, e che non sarebbe a biasimarsi un Governo che per tal causa escisse dalla legalità.

Per queste considerazioni non dirò che ho dimostrato, come ha detto l’onorevole Pescatore...  (ilarità) io non ho l’autorità della cattedra...  (nuova e viva ilarità), dirò solo che mi lusingo di avere in gran parte, se non distrutte, almeno affievolite le obbiezioni de’ deputato Pescatore; e d’avere dimostrato che, se si desidera una Banca potente, tutte le difficoltà che esso muoveva contro la disposizione del Ministero rimarrebbero ancora quando si facesse sparire l’articolo relativo al corso legale, e si potesse con altro mezzo arrivare a raddoppiare il capitale della Banca.

La questione si riduce a poche parole: si vuole o non si vuole un grande stabilimento di credito?

Se si vuole, potete accordargli la facoltà del corso legale, perché questo è il movente il più opportuno al conseguimento del vostro scopo; se questo grande stabilimento non si vuole, allora negategli il corso legale, negategli tutti i favori che potrebbero indurlo ad aumentare il suo capitale, ed inoltre fate invito al Ministero di porre in opera la sua influenza, onde impedire che la Banca attuale allarghi la sfera delle sue operazioni. Questa è la conseguenza, a mio avviso, che puossi dedurre dal discorso dell’onorevole deputato Pescatore.

Volete o non volete questo grande stabilimento di credito? Io lo ripeto: porto intima convinzione che questo stabilimento sia necessario al commercio, all’industria ed al Governo, e credo che sia necessario in vista delle eventualità tanto della pace, quanto della guerra.

Invito adunque, per quanto so e posso, la Camera a dare al Governo i mezzi onde mandare ad effetto quest’idea, approvando il progetto da lui proposto.

Se la Camera sarà per respingerlo, il Ministero chinerà la fronte, mantenendo però ferma quest’opinione.

____________________________

DISCORSO del 11 novembre 1853


al Senato del Regno.

Signori senatori, mi duole di dover esordire questa seconda parte della Sessione, sorgendo a combattere le conclusioni dell’ufficio centrale, avendo in ispecie per organo l’egregio senatore Giulio, uno dei membri più distinti di questa assemblea. Tuttavia nutrendo ferma convinzione essere l’attuale progetto di legge altamente richiesto dalla necessità presente delle nostre condizioni, io entrerò con coraggio nell’arringo, poiché sono chiamato ad incontrarvi un cosi potente avversario.

Le instituzioni di credito sono di data recentissima tra noi: nullameno in pochi anni hanno preso tanto e tale sviluppo, che il nostro paese può dal lato del credito agevolmente sopportare il paragone di altre nazioni che ci avevano in ciò preceduti.

Nell’esordire nella carriera del credito, il Governo del re non inalberò nna decisa bandiera, non adottò un principio assoluto.

Voi sapete, o signori, che in fatto di Banca vi sono due scuole: l’una riconosce il principio della libertà illimitata delle Banche; l'altra vuole restringere questo principio, e spinge talvolta la restrizione fino al punto di concedere ad un solo stabilimento la facoltà di emettere carta di circolazione. Nel principio, ripeto, il Governo non si pronunziò né per l'uno né per l'altro sistema: fu approvata l’erezione in Genova di una Banca di circolazione, di deposito, di sconto, senza concedere alla medesima nessun speciale privilegio. Pochi anni dopo fu conceduta l’erezione in questa città di uno stabilimento analogo. Venne poi sancita con legge la fusione di questi duo stabilimenti sotto il nome di Banca nazionale.

Una Banca con un capitale di 8 milioni, quantunque offerisse tutte le garanzie di credito per ispirare piena fiducia al pubblico ed agli esteri capitalisti, non era poi cosi al punto di rendere, se non impossibile, almeno difficile la concorrenza; ma nell’anno ora trascorso nell'ultima Sessione, si diede un passo più avanti, si autorizzò, cioè, la Banca nazionale ad acorescere i suoi capitali da 16 a 32 milioni (1). Questa concessione tuttavolta non fu gratuita; si impose alla Banca un corrispettivo deU'acoordatale facoltà, le si impose l’obbligo di tenere sempre a disposizione del Governo la somma di 15 milioni, e l'obbligo eziandio di stabilire due succursali, una a Vercelli e l’altra a Nizza.

Con questa legge, o signori, sicuramente non si è proclamato un nuovo principio: ma io credo che di fatti si abbia voluto stabilire che non vi sarebbe nello Stato se non che un grande stabilimento di circolazione.

Questa verità fu, mi pare, in parte apprezzata dall’agregio relatore, il quale riconosce essere molto difficile che un nuovo stabilimento di circolazione possa sorgere a fronte di quello già esistente. Ed in vero io penso che egli mal non si apponga; anzi andrò più oltre, e dirò essere non solo difficile ma quasi impossibile che capitalisti ragionevoli intendano, nelle attuali circostanze, allo stabilimento di un Banco di circolazione a fronte di quello accennato.

Io proverò questo assunto con alcune cifre che non saranno contestate. Quello che costituisce il beneficio di una Banca di circolazione è di certo l’ammontare della circolazione medesima.

(1) È occorso nel testo ufficiale un errore di stampa, perché il capitale della Banca colla legge dell’11 loglio 1852 fa aumentato da 8 a 82 milioni.

Una Banca che si fosse ridotta a scontare col proprio capitale, non ricaverebbe che un tenuissimo interesse dai propri fondi, giaoché non potrebbe scontare ad un tasso maggiore del corrente; e da questo prodottosi dovrebbe dedurre l’ammontare delle spese che sono sempre assai ri levanti per un grande stabilimento. Dico adunque che una Banca di circolazione non si stabilirà senza avere, non dico la certezza, ma almeno la fondata speranza di poter mantenere una circolazione maggiore del suo capitale. Ora, o signori, noi abbiamo nel paese una Banca che ha un capitale di 32 milioni; 16 già versati,8 da sborsarsi fra pochi giorni, altri 8 da versarsi in un’epoca indeterminata se la legge è rigettata, da sborsarsi in epoca determinata se la legge venisse a ricevere la vostra sanzione.

Ma, o signori, una Banca con 32 milioni di capitale può facilmente, per ciò che riflette la garanzia che essa offre al pubblico, avere una circolazione, se non tripla, almeno doppia del capitale medesimo. Di fatti la Banca starebbe non solo ne’ limiti del suo statuto, ma in quelli eziandio della massima prudenza se, avendo 32 milioni di capitale, ne mantenesse 64 di circolazione. Ma, o signori, l’ammontare della circolazione di una Banca non dipende dalla volontà della Banca stessa; bensì unicamente dai bisogni economici del paese. Non si può mantenere una circolazione eccessiva in numerario, e ancor meno una circolazione eccessiva di carta: questa è una verità riconosciuta da tutti i cultori delle scienze economiche. Dico adunque che la Banca potrebbe ragionevolmente, prudentemente esitare per 64 milioni di biglietti; ma io credo fermamente che essa non riuscirebbe, qualunque fossero i suoi sforzi, a mantenerli in circolazione: perciò io cito i fatti attuali.

La Banca per provvedere ai bisogni del commercio ha allargato di molto i suoi sconti nei mesi scorsi. Per poter fare queste operazioni fece incetta di capitali all’estero, e ciò nullameno qon le riuscì mai di avere più di 40 milioni in circolazione: che anzi, quando per mezzo straordinario raggiungeva questa oifra, si vedeva operarsi un moto reale di regresso, e la circolazione essere ricondotta da 36 a 38 milioni. Questa cifra può parere troppo tenue; eppure noi vediamo negli altri paesi, dove l’istituzione di credito è molto maggiore, la circolazione non essere in ragione di gran lunga maggiore di quello che lo sia da questa cifra indicata; infatti nell’Inghilterra, dove l’uso del credito è penetrato in tutte le classi della società, dove là Banca ha un’esistenza bisecolare, dove vi hanno molte Banche private, dove un’infinità ne conta la Scozia

e non poche l’Irlanda, la circolazione supera di poco i 30 milioni sterlini; cioè 750 milioni. Se dunque la Banca d'Inghilterra e le altre non giungono a mantenere una circolazione che superi i 750 milioni, sarebbe un’esagerazione il credere che l’istituzione di credito presso noi potesse avere più di 60 milioni in circolazione.

Io credo che non mi sarà contestato che l’ammontare degli affari in Inghilterra sia dieci volte maggiore dell'ammontare dei nostri; epperciò non è esagerato il dire che la circolazione presso noi non possa superare il decimo della circolazione inglese. In Francia poi vediamo che la Banca, favorita in ogni modo dal Governo, avendo succursali in più di venti città dell’impero, giunse con mala pena ad avere una circolazione di 600 milioni.

Il quadro che porta il Moniteur di questa mattina fa ascendere, se non erro, la circolazione a 633 milioni; e la Camera osserverà come in questi ultimi tempi, appunto a ragione dell’aumento dello sconto, la Banca di Francia fu più larga nelle sue operazioni, epperciò la circolazione fu maggiore che non fosse in tempi passati: cosi in tutta la Francia la massima circolazione cui può raggiungere la Banca essendo solo di 600 milioni, egli è razionale il credere che la massima circolazione nel nostro paese abbia anche solo da essere di 60 milioni.

Ciò essendo, è chiaro che la Banca nazionale con un capitale di 32 milioni è in grado di somministrare a tutti i bisogni economici del paese.

Il timore poi che si possa fondare da capitalisti un altro stabilimento di credito, io lo credo infondato: 1°, perché giungerebbe dopo la Banca nazionale; 2°, perché difficilmente avrebbe un capitale cosi cospicuo da poter reggere alla concorrenza. Egli è dunque incontrastabile che per ora la legge votata nell’anno scorso assicura la Banca nazionale contro la rivalità di uno stabilimento capace a farle seria concorrenza. Ma l’onorevole relatore dice: fidatevi al genio della concorrenza: chi sa che cosa potranno fare altre Banche: creeranno nuovi affari, troveranno mezzo di aumentare questa circolazione, e, se non ora, nell’avvenire.

Io non contesto la parte dell’argomento che si riferisce all’avvenire; è possibile che fra 50, fra 20 anni, la circolazione nel nostro paese abbia da crescere cosi che possa sopportare (mi servirò di questa frase) una circolazione maggiore; ma per ora, lo ripeto, nuovi stabilimenti non giungerebbero ad aumentarla. Potranno spingere, e spingere in modo anomalo alla speculazione: potranno creare un maggior numero di affari, ma non già aumentare in modo stabile una maggiore circolazione.

Le migliaia di Banche che esistono in America non hanno mai conseguito lo scopo di aumentare gran fatto la circolazione della carta americana: quindi, io lo ripeto, noi ci troviamo a fronte di uno stabilimento il quale non ha da temere seria concorrenza. Dal lato pratico siamo nella stessa condizione, che se avessimo concesso alla Banca nazionale un semiprivilegio, le avessimo dato l'affidamento di non concedere ad altra società di stabilirsi sopra basi ugualmente larghe. Ciò essendo, cosa doveva fare il Governo? Era inutile il prendere ad esame la grande questione della libertà delle Banche o della loro restrizione, del privilegio o della libertà d’azione. Questa questione era di fatto sciolta.

Mi pare che quello che vi era di più razionale fosse di trovare modo di trarre tutto il vantaggio possibile da questo stato di cose.

Non creda il Senato che io lamenti la legge colla quale la Banca nazionale fu autorizzata a portare il suo capitale a 32 milioni.

Prima di chiudere questo mio discorso io esaminerò la questione sollevata dall’egregio relatore, e paragonerò il sistema delle piccole con quello delle grandi Banche. Ma per ora, dico, il Governo non aveva da preoccuparsi di questa questione che era stata sciolta. Egli si trovava a fronte di un grande stabilimento, e però doveva cercare di trarne tutti i vantaggi possibili; egli è perciò che venne in pensiero di conchiudere una convenzione colla Banca nazionale, in virtù della quale essa fosse incaricata del servizio di Tesoreria generale, imponendole in corrispettivo di questa specie di privilegio di fatto alcuni oneri. In che consiste la convenzione? Da un lato la Banca si obbliga ad esercitare le funzioni di Tesoreria generale: dall’altro il Governo le concede la sola facilitazione di far operare il cambio dei biglietti in tutte le Tesorerie dello Stato.

Ma, o signori, questa seconda condizione può parere a prima giunta favorevole alla Banca: non nego che la Banca ne ritrarrà qualche benefìzio, ma esso non è senza corrispettivo. Evidentemente la Banca per provvedere al cambio de’ biglietti in tutte le Tesorerie dello Stato, dovrà mantenere iu ciascuna di esse una quantità considerevole di numerario: essa quindi sarà costretta a due cose; la prima ad avere un fondo in numerario maggiore di quello che le sarebbe bastato, ove non esistesse questa condizione; la seconda di far viaggiare spesse volte il numerario da una parte all’altra dello Stato. Ma, mi si dirà; qual è il benefizio che il Governo ritrae da questa convenzione?

Il primo è quello di essersi levato il carico di mantenere la Tesoreria generale, e di realizzare cosi un’economia; né qui disputerò sulla cifra, se l’economia cioè sia più di 20, di 40, di 50 mila lire; io confesso schiettamente che questa è una considerazione affatto secondaria; ne faccio cenno onde nulla dimenticare. Il secondo vantaggio che arreca, e che agli occhi miei è di gran lunga maggiore, è quello di accelerare di molto la circolazione dei biglietti e del numerario in tutto lo Stato, di aumentare l’attività economica nelle parti più vicine come nelle più lontane dei gran centri dove finora è in gran parte concentrata.

Io credo, o signori, che facendosi generale l’uso dei biglietti di Banca, verrà poi anche generale l’uso del credito, e quindi si aumenterà l’attività economica su tutta la superficie del paese; questo a’ miei occhi è d’una immensa importanza, perché se vogliamo che il nostro paese raggiunga quel grado di prosperità a cui è chiamato, se vogliamo che possa venire in condizioni tali da poter sopportare i pesi dei quali l’abbiamo caricato, bisogna che le risorse tutte di esso si svolgano, né solo quelle che si trovano nei gran centri, dove sono maggiori i lumi, dove maggiore è la spinta agli affari, ma nelle parti tutte dello Stato.

Il nostro paese, meno la terraferma, è in tali condizioni che tutte le provincie, nissuna forse eccettuata, sono suscettibili di vedere di gran lunga aumentate la loro forze produttrici, di vedere una grande attività economica; ma è necessario che in esse penetrino e il credito e tutte quelle istituzioni che gli danno largo sviluppo.

L’onorevole relatore dice: ma questo si otterrebbe del pari da società private e libere che stabilissero Banche anche nelle città secondarie dello Stato. Io faccio avviso ch’egli qui si faccia illusione: non credo che per molto tempo gli abitanti delle provincie siano in condizione di stabilire nel proprio paese delle Banche di circolazione e di sconto. Ma, dirà forse l’onorevole relatore, si è stabilita una Banca in Savoia: io gli risponderò esser ciò vero; ma è vero egualmente che questa istituzione durò molte fatiche, incontrò gravi difficoltà e se non fosse stato in certo modo sorretta dal Governo, difficilmente avrebbe potuto raggiungere quello stato di floridezza in cui essa si trova.

D’altra parte la Savoia, per le condizioni topografiche in cui si trovava, non poteva, o almeno difficilmente avrebbe potuto, profittare dello stabilimento della Banca nazionale. Era necessario che essa avesse uno stabilimento suo proprio; come egualmente bisogna che la Sardegna uno pure ne abbia di credito a lei speciale.

Ma per le nostre provincie continentali io credo che sarebbe follia, follia assolata, lo sperare lo stabilimento in alcuna di esse di nna Banca di circolazione.

Addurrò, a sostegno di questa mia opinione, quanto accadde rispetto alle succursali.

Noi abbiamo imposto alla Banca l'obbligo di stabilire due succursali: essa lo accettò come un corrispettivo delle facoltà che le si facevano, ma vi si oppose una tal quale resistenza perché era convinta che queste succursali le darebbero tenuissimi benefizii; l'esperienza finora prova che essa non aveva torto.

Nella succursale di Vercelli si sono fatti alcuni affari; ma quella di Nizza, che parrebbe aver maggiore importanza perché città marittima, finora rimase pressoché oziosa.

Quest’esempio ci fa manifesto che per ora sarebbe vana speranza l'aspettare che istituzioni di credito sorgessero spontanee nelle città di provincia, laddove abbiamo argomento a credere che ove questa legge venga attuata, la Banca sarà costretta ad aumentare le sue succursali, e ciò per un motivo semplicissimo: nna delle cagioni che aumenta le spese della Banca si è gli impiegati numerosi che deve avere, e più ancora il movimento continuo dei fondi: con questa legge dovrà in ogni ipotesi sopportare il movimento dei fondi dal centro, dove ha la sua sede principale, all’estremità dei capoluoghi di provincia; quindi non si opporrà più allo stabilimento delle succursali la spesa del personale a cui deve la Banca provvedere quando procede a simili stabilimenti; sarà più facile che si addivenga a que sta creazione quando non avrà a suo carico che una metà delle spese che ora deve sopportare per intiero.

Io dico adunque che con questa legge noi provvediamo assai più ai bisogni delle provincie che non si sarebbe provvisto quando, non esistendovi nna Banca cosi potente come la Banca nazionale, il Governo avesse voluto affidarsi intieramente al principi» dell’assoluta libertà bancaria.

Il Ministero poi veniva mosso a trattare colla Banca per ottenere lo stabilimento di una Banca di circolazione in Sardegna; e ciò fu l’argomento del secondo progetto di legge, a cui si riferisce pure questa relazione.

Qui debbo ringraziare l’egregio relatore che si mostrò un po’ meno ostile a questa seconda idea.

Il Governo crede, e crede fermamente, che non si possa operare progresso economico reale nell’isola, se ivi non si stabiliscono istituzioni di credito: crede ohe, lasciata a sò stessa, per ora la Sardegna non potrebbe sopperire a questo bisogno, né giungere all’erezione di una Banca

La necessità di questo stabilimento non è sentita, almeno io lo debbo pensare, giacché mentre i Sardi sono sovente, e con ragione, molto tenaci sostenitori degli interessi della loro isola, quando questa legge fu discussa in un altro recinto, non ebbi la soddisfazione di vedere un solo deputato della Sardegna sorgere a sostenerla; ma per non essere sentito questo bisogno, io non credo meno essere egli reale, urgente. Io sono d’avviso che uno stabilimento bancario in Sardegna possa relativamente, dopo poco tempo, rendere maggiori servizi, che non li rende sul continente. Appunto perché, in Sardegna, le transazioni commerciali sono molto difficili, appunto perché non vi è ancora l’abitudine del credito, è necessario lo stabilire una Banca che faccia conoscere queste operazioni, che le renda facili, che le renda profittevoli.

Quando i Sardi avranno provato il benefizio della Banca, quando un proprietario avrà provato che, vendendo il suo grano a credito ad un negoziante che lo paga con una tratta pagabile a 3 o 4 mesi (la qual tratta può essere scontata alla Banca), e che facendo questa operazione vende i suoi prodotti al 10 o al 15 per cento più di quello che sia obbligato a venderli in ora, quando infine è stretto dal bisogno del denaro, vedrete che anche i Sardi, che sono popoli molto intelligenti, in poco tempo si educheranno alle operazioni bancarie.

Convinto come era il Ministero dell’importanza dello stabilimento della Banca in Sardegna, convinto dell’impossibilità di far sorgere questo stabilimento per mezzo delle forze spontanee dell’isola, egli ha dato un’immensa importanza al concorso della Banca nazionale in tale instituzione: questo concorso egli lo reputava utile per due rispetti; primo, per la parte pecuniaria, cioè per i capitali che la Banca nazionale avrebbe impiegato nell’erezione della Banca sarda; secondo, per la condotta dello stesso stabilimento.

Non v’ha dubbio che la Banca di Sardegna, trovandosi in certo modo Banca filiale della Banca nazionale, avrebbe avuto nei suoi primordii ad incontrare molto minori difficoltà, che se fosse sorto uno stabilimento affatto indipendente: la Banca nazionale avrebbe aumentata la sua forza morale e l’avrebbe anche soccorsa coi suor capitali.

Ripeto, quando la Banca nazionale avrà un capitale di 32 milioni, questo capitale sarà per molti anni superiore ai bisogni dell’interno: provvederà luminosamente ai bisogni delle provincie, e quindi, quando occorresse, potrebbe soccorrere a quelli della Sardegna.

Ore il Senato rigettasse il progetto di legge, evidentemente questo voto trarrebbe seco la reiezione della seconda legge, farebbe sparire la speranza di veder sorgere nell’isola uno stabilimento di credito; epperciò, o signori, io vi prego, io vi supplico di volere por mente a queste importantissime considerazioni. Ma, o signori, a queste considerazioni se ne aggiunge una molto più grave, anzi, lo dirò schiettamente, la più grave. Con questa convenzione si è voluto in certa guisa riunire gli interessi della Banca con quelli del Governo, si è voluto fare in modo che la Banca fosse moralmente costretta a soccorrere in ogni circostanza il Governo, si & voluto, dirò cosi, legare la sorte della Banca con quella dello Stato.

Mi si obbietterà che lo sono già, e che lo Stato non può soffrire senza che la Banca soffra; ma ciò è in certi limiti. Se la Banca fosse assolutamente indipendente dal Governo, questo potrebbe trovarsi in circostanze difficilissime, senza che essa fosse poi nella necessità di mettere a disposizione del Governo tutte le sue risorse. Una crisi finanziaria governativa diminuirebbe l'ammontare degli affari della Banca, ridurrebbe i suoi benefizi certamente, ma non l’impegnerebbe in modo assoluto. Invece la Banca diventata in certa maniera agente del Governo, le Bue sorti si trovano confuse con quelle del Governo stesso e gli procacciano, io credo, un grande anniento di forza.

Nei tempi ordinari, e più ancora negli straordinari, le Banche sono state di un potentissimo aiuto a molti Governi. Io tengo per fermo che Guglielmo Pitt non avrebbe potuto sostenere la lotta di gigante ch'egli sostenne contro la repubblica e quindi contro l’impero francese, se non avesse avuto l’aiuto della Banca d'Inghilterra; e, per nostra mftla sorte, io credo che la Banca di Vienna sia entrata per molta parte nei felici risultati che ottenne l’Austria nella guerra del 1849.

Se questi due stabilimenti non avessero esistito, o non fossero stati stretti col Governo con vincoli tali da non poter essere spezzati, io ho l’intimo convincimento che l'Inghilterra prima della pace d’Amiens avrebbe fatto bancarotta, e lo stesso sarebbe arrivato all’Austria nel 1849.

Ma senza andare cercando esempi altrove, io ricorderò i fatti che si sono verificati nel nostro paese.

Egli è indubitato che se nel 1848 il Governo non avesse costretto la Banca di Genova a venire in suo aiuto, il Governo non avrebbe potuto superare le difficoltà finanziarie che si incontravano allora. Se dunque la Banca di Genova, ristretta al solo capitale di 4 milioni, potò rendere tali servizi al Governo, io non dubito che uno stabilimento con un capitale di 32 milioni sarà nel caso di dargli ben altri sussidi.

Ha, mi dirà l’onorevole senatore Giulio, poiché la Banca di Genova, che non era tesoriera generale, ha reso questi servizi, perché volete, onde ottenere lo stesso intento, fare la. Banca nazionale tesoriera generale? Io non ricorderò tutte le circostanze che concorsero a condurre la Banca di Genova a fare quell'ufficio nel 1848; ma osservo che se il Governo ottenne allora quel concorso, non sarebbe ugualmente certo di ottenerlo in altro caso se la Banca non fosse legata con esso. Dirò di piò, che sono intimamente persuaso che il Governo non avrebbe trovato nella Banca nessun appoggio se vi fossero state parecchie Banche autorizzate di circolazione, ed avrebbe dovuto rinunziare alla speranza di essere da una Banca sovvenuto. Se io giungessi a far penetrare nei vostri animi questa mia convinzione, io non dubiterei della buona riuscita di questo progetto, poiché a fronte dei benefizi che io veggo possibili in casi difficili, gli inconvenienti indicati dall’egregio relatore e quelli che per avventura potesse non avere ancora rinvenuti nel primo esame che fece della legge, sarebbero poco. Io vi prego, adunque, o signori, di ben ponderare questa considerazione politica, considerazione che nelle attuali circostanze acquista sicuramente una grandissima gravità.

Ma finora non ho parlato che dei benefizi che il Governo, il Ministero aspetta dalla legge. Alcuno forse, più indulgente del relatore, concederà che questa legge ha qualche cosa di buono: ma dirà; voi dimenticate gli inconvenienti; il primo è quello di porre il Governo nella dipendenza della Banca; e in fatti voi col farla tesoriera generale, costringete il Governo a lasciare a libera disposizione della Banca tutti i suoi fondi. Questo, signori, è un errore che nasce forse dalla non bastantemente retta interpretazione della parola tesoriera generale.

Nel nostro sistema, o signori, abbiamo, è vero, un tesoriere generale, il quale riassume tutta la contabilità, e a nome del quale, in modo fittizio, tanto si paga e tanto si riscuote; ma infatti i pagamenti, le riscossioni, ri fanno dei tesorieri provinciali:

nel nostro sistema finanziario, che non fa in nulla in questa parte variato dall’ultima riforma dell’amministrazione centrale, tutti i contabili debbono versare i fondi nelle casse delle tesorerie provinciali: nessun contabile può versare nella tesoreria generale, salvo che versi per conto di un contabile terzo: ma allora ritira una quitanza per conto di un tesoriere provinciale.

Legalmente, tutti i pagamenti debbono operarsi nelle tesorerie provinciali: non vi è bisogno di un ordine per far versare da contabili nelle tesorerie provinciali: è la legge che loro impone quest’obbligo: ma i fondi una volta versati nelle tesorerie provinciali, non possono uscirne per passare in altra tesoreria e nella tesoreria generale, se non in seguito ad ordine preciso del ministro delle finanze. Pel passato, ed oggi ancora, era dato a nome del ministro dall’Ispettore generale dell’erario, che sarà, a far tempo dal 1° gennaio, surrogato dal direttore del tesoro, a nome del ministro medesimo, cosicché il Senato vede che tutti i fondi debbono andare nelle tesorerie provinciali.

Per facilitarne il servizio, per provvedere a molte spese, in ora si fanno versare dalle tesorerie provinciali nella tesoreria generale, che poi paga la tesoreria d’azienda; ma, lo ripeto, questo si fa ad arbitrio del ministro. Quindi quando noi abbiamo investito la Banca della qualità di tesoriere generale, non abbiamo preso l’impegno di far concorrere nella sua cassa nemmeno uno sondo. Non dico che non si farà; dichiaro anzi apertamente che se la legge fosse votata, ed io dovessi farla eseguire, lascierò correre naturalmente i fondi nelle casse della Banca, perché cosi vengono ad aumentare quella massa che poi si spande per mezzo dello sconto, delle anticipazioni in tutto lo Stato; e in tal modo, invece di rimanere infruttiferi nella cassa della tesoreria, fertilizzano tutta la superficie economica dello Stato. Ma ove la Banca desse motivo, non dico di sospetto, ma di minimo lamento, il ministro delle finanze sospenderebbe i versamenti nella tesoreria generale, e farebbe fare tutti i pagamenti dalle tesorerie provinciali direttamente, e la Banca avrebbe il peso del servizio della tesoreria generale senza il benefizio del conto corrente governativo.

Mi pare quindi che in ciò il sistema nostro è molte più. vantaggioso al Governo che non lo sia il sistema inglese o belga. Il Senato sa che nel Belgio ed in Inghilterra le Banche esercitano non solo le funzioni di tesorerie generali, ma di tesorerie speciali. In Inghilterra tutti i contabili delle dogane, delle contribuzioni indirette versano direttamente e non per ordine del cancelliere dello scacchiere, ma in virtù di una legge.

Nel Belgio è lo stesso. Ivi la Banca nazionale surroga, 'non solo le tesorerie generali, ma tutti i tesorieri, dimodoché nel Belgio non vi sono tesorerie. Nel sistema belga si che si può dire che il Governo è costretto ad affidare i suoi fondi fino all’ultimo centesimo alla Banca nazionale; sicché se in quei paesi si sono imposti alle Banche alcuni oneri, le si è dato l’immenso vantaggio di poter disporre di tutti i fondi del Governo.

Voi vedete, o signori, che nel nostro sistema il Governo è assai più indipendente della Banca, il patto è molto più favorevole al Governo che non lo sia alla Banca; onde mi meraviglio un poco che nella relazione il sistema sia stato indicato come cosa eccessiva facendo un favore cosi grave alla Banca, mentre, lo ripeto, il favore è di gran lunga inferiore a quello che vien fatto alle Banche d’Inghilterra e del Belgio.

Ma un altro inconveniente indicato dall’onorevole relatore si è questo. Egli dice: voi rendete le crisi più facili ammettendo il cambio a tutte le tesorerie, e, in caso di crisi, le perdite più gravi. Il fluido metallico sgorgando da un’infinità d’orifizi, se ile andrà via più presto che se non uscisse che dalle sedi principali e da alcune succursali.

Contro questo pericolo ci rassicura prima di tutto l’ingente capitale della Banca. Una Banca con un capitale di 32 milioni pel nostro paese, per le sole provincie di terraferma, per una popolazione non maggiore di 3 milioni e mezzo, è un fondo larghissimo, un fondo che può sopperire a tutti i bisogni ordinari.

Ma, dirà l’onorevole relatore, può nascere una crisi. Io rispondo con tutta schiettezza: se sarà uoa crisi ordinaria, una crisi commerciale, allora la Banca potrà facilmente superai la perché (ed è un argomento che mi riservo di trattare) una gran Banca nelle crisi ordinarie non solo dispone delle risorse interne, ma può facilmente procurarsene all’estero; imperciocché con un capitale di 32 milioni, quando anche arrivasse una crisi promossa da alcune circostanze economiche, troverebbe facilmente soccorso presso gli stabilimenti e capitalisti esteri.

Dunque allorché una crisi è ordinaria, non mi spaventa quand’anche il cambio sia aperto presso tutte le tesorerie. Se poi sorgesse una di quelle crisi politiche che si estendono a tutta l’Europa, come per esempio quella del 1848, allora, o signori, non vi sono né piccole né grandi Banche, né Banche concentrate, né Banche diffuse né Banche facenti funzioni di tesorerie generali, né Banche indipendenti: si farebbe quello che si è fatto nel 1848, non solo presso noi, non solo nei paesi esposti a vicende politiche, ma anche in quei paesi che furono dalle faccende preservati come il Belgio: sarebbe cioè necessità di dare il corso forzato ai biglietti.

Io dico dunque che questo timore non ha solido fondamento: che anzi quella facilità di circolazione che daranno alla Banca i biglietti, la facoltà di essere cambiati in tutte le tesorerie, farà si che, in tempi di crisi, minori biglietti verranno al cambio, dico della crisi di prima specie, (contro la seconda ho dichiarato apertamente non esservi rimedio): e ciò perché le crisi commerciali più gravi provengono o per speculazione eccessiva o per bisogni straordinari di incette all’estero, cioè quando vi è gran bisogno di spedire numerario all'estero e quando il debito del paese all’estero si accresce. Ora, o signori, chi sono i debitori all'estero? Sono que’ negozianti che fanno il commercio coll'estero, e che si trovano nei grandi centri; ecco ciò che produce il ritiro del numerario: non sono i privati i quali cambiano un biglietto di mille lire per spendere gli scudi che ricevono; la diminuzione del numerario proviene dalle operazioni che debbono fare i banchieri per soddisfare il debito all'estero; non è dalle succursali che escono gli scudi, ma dalle città principali.

In quest'anno la Banca ha dovuto spedire all’estero non so quanti milioni di sondi; cambiò per quasi un milione alla settimana: ebbene, io sono certo che su questo milione, 950 mila lire furono cambiate dai negozianti aventi relazioni coll’estero. Ora questi, lo ripeto, non si trovano che nei grandi centri, non si trovano che a forino e a Genova, quindi nelle crisi ordinarie avrete un cambio notevole nelle grandi città, e sarà nullo nelle piccole, poiché in queste dove non si hanno relazioni coll’estero, non vi è motivo per cambio, ed il biglietto continuerà a correre. Egli è per questo ch'io ho ferma opinione che la circolazione estendendosi in tutte le provincia, mercé la facoltà del cambio, renderà meno grave quell'oscillazione inevitabile in un paese che ha molte relazioni commerciali all’estero.

Ma il principale obbietto che si fa a questa legge, quello che, a dire il vero, ha ai miei occhi maggiore gravità (gravità che io sono lontano dal disconoscere), obbietto che fu molto opportunamente citato dall’egregio signor relatore, si è che con questa legge voi pregiudicate il principio di libertà delle Banche, di cui l’onorevole relatore si dichiara propugnatore deciso.

Io non imprenderò avanti a voi, o signori, a trattare diffusamente: questa questione che ha fatto argomento di tante e cosi lunghe e cosi varie discussioni; io mi restringerò ad accennarvi alcuni fatti, alcuni argomenti che mi paiono avere un grande peso, ed ai quali forse non avrà badato l’onorevole relatore.

Prima di tutte io osserverò, questa questione non essere stata sciolta in modo assoluto né dagli scrittori, né dagli uomini di Stato. Vediamo e scrittori insigni, e uomini di Stato dissidenti; i finanzieri d’abilità conosciuta professare quali una dottrina, quali un’altra.

Il sistema della libertà delle Banche esiste in quasi tutte le parti d’America, od almeno nella sua parte più commerciale.

Il principio della restrizione esiste nella massima parte dei paesi europei. Ora, o signori, vi prego di porre mente a questo argomento.

In Inghilterra il principio della restrizione esisteva dal primordio dello stabilimento delle Banche di circolazione: venne però allargato nell’anno 1825, anno nel quale con legge fu permesso lo stabilimento del John stok Banks.

Accanto all'Inghilterra, nella Scozia, esisteva il principio della libertà delle Banche; quindi gl’inglesi avevano sott’occhio i due sistemi; gli uomini di Stato di quel paese avevano sott’occhio il sistema della libertà in Iscozia, e quello della restrizione quasi assoluta esistente prima del 1825, e quindi della libertà, dirò, temperata, dal 1825 in poi.

Ebbene, nel 1844 che cosa si fece? Cosa fece allora l'insigne uomo di Stato, il finanziere il cui nome sarà un’autorità per r cultori delle scienze economiche? Cosa fece sir Robert Peel? Quale sistema fra i due prescelse egli? Prescelse quello delle restrizioni. Il Senato sa che coll’atto del 1844 non si distrussero le Banche esistenti, le Banche private, ma si proibì lo stabilimento di nuove Banche e si limitò la circolazione di tutte le Banche esistenti in Inghilterra. Non si toccò lo stato delle cose nella Scozia, ma però in Inghilterra si fece un passo indietro: si tornò verso il principio della restrizione delle Banche.

Io credo che questa sia un’autorità di molto peso; si tratta del popolo il più commerciante del mondo: del popolo governato, senza far torto a nessuno, da ministri insigni: si tratta di un atto fatto dal primo uomo di Stato che l’Inghilterra abbia avuto dopo la morte di Guglielmo Pitt. Ma invocherò ancora un altro esempio, quelle del Belgio. Nel Belgio non esisteva in modo assoluto né l’uno, né

l’altro sistema: tuttavia poco a poco, e sotto il governo degli Olandesi, e quindi nei primi anni del governo di Leopoldo, vi si erano instituiti varii stabilimenti di credito.

Il primo fu la società generale con un capitale nientemeno che di 60 milioni. Poi la Banca belga; poi, se non erro, una Banca ad Anversa, un’altra a Gand, eco.

Arrivati al 1848, tutti questi stabilimenti fecero mala prova: l’avevano già fatta prima, d’altronde: la concorrenza di queste istituzioni di credito non procurò al Belgio nessun benefizio; e dopo la crisi del 1848 cosa fece il governo belga? Andò egli avanti nel sistema della libertà delle Banche? No signori: ritornò indietro, stabili una Banca nazionale, l’investi di un privilegio che, dichiaro schiettamente, non vorrei dare alla Banca nazionale, poiché fece della Banca il cassiere di tutti i fondi dello Stato.

Pose negli scrigni della Banca fino all’ultimo scudo al Governo appartenente: e questo fu fatto da un uomo finanziere, in fama di grandissima abilità, dal signor Frère-Orban, da un uomo, che, qualunque sia il giudizio che si possa portare sulle sue opinioni politiche,. non si potrà negare essere il finanziere più abile che abbia prodotto il Belgio finora.

Dico dunque che questi due esempi sono gravissimi.

Mi si opporrà, come fece e come farà l’onorevole relatore, l’esempio dell’America; ebbene io dico schiettamente che è appunto l’esempio dell’America quello il quale mi fa propendere specialmente per l’altro sistema. Io non farò la storia delle Banche americane, ma tutti coloro che hanno tenuto dietro ai fatti che si sono succeduti colà attribuiscono le commozioni commerciali alle Banche.

Si noti che io qui intendo parlare dell’America considerata nel suo complesso, non considerata in piccole frazioni, non la Rochelande, né il Kentuky: considerata come tale nel suo assieme economico, essa è il paese delle grandi crisi, delle grandi commozioni commerciali, e, ciò malgrado, delle risorse impareggiabili che racchiude in sò.

Gli autori americani negano che oiò si debba attribuire alle Banche: ma per contro tutti gli autori inglesi portano quest’opinione. Nullameno io non professo su questo punto opinioni intieramente assolute; io non credo che si possa dire in modo generale che si abbia da bandire il principio della libertà delle Banche, oppure che si abbia da bandire quello che non si debba mai arrivare ad un grande stabilimento bancario; io vi dirò schiettamente qual è su questo punto la mia opinione; io credo fermamente che in quei paesi i quali non hanno grandi relazioni coll’estero, che per la loro condizione non possono cadere in gravi difficoltà economiche, credo, dico, che in tali paesi il Governo non abbia mai bisogno dell'aiuto dell’istituzione della Banca di credito; io credo che per essi il principio della libertà delle Banche sia da preferirsi all’altro,

e se io fossi scozzese, del Connecticut, o del Rochelande, propenderei coll’onorevole relatore pel sistema della libertà bancaria.

Ha ho egualmente ferma credenza che nei paesi in cui vi sono relazioni immense coll’estero, in cui gli stabilimenti di credito possono su queste relazioni avere nna grandissima influenza, e in cui il Governo è costretto a ricorrere di quando in quando al sussidio delle Banche, debba assolutamente preferirsi il sistema delle grandi istituzioni.

Comincerò dalla seconda parte, che è quella dei Governi, e vi dimostrerò l'inconveniente del sistema delle piccole Banche anche nelle loro relazioni con que’ Governi i quali non hanno bisogno del sussidio delle Banche. I Governi, in tempi regolari, quando non escono da crisi finanziarie, debbono avere sempre nelle loro casse dei fondi per poter far fronte ai bisogni correnti, ed io penso sia un principio di un buon finanziere, quando esiste nna Banca nazionale in relazione col Governo, che i danari, invece di giacere inoperosi nelle casse, siano versati nelle casse della Banca, e quindi dalla Banca posti in circolazione.

Che questo sia un grande benefizio, anche l’onorevole signor relatore non lo contesterà. Non so se l’Inghilterra si troverebbe molto bene se i 10 milioni di lire sterline che di quando in quando sono nella Banca d’Inghilterra, si trovassero invece o alla torre di Londra, o nelle sacristie di Whitehall. Io credo che il paese non se ne troverebbe bene; d’altra parte ne abbiamo un esempio, quello dell’America, che vi è stato citato, in virtù della moltiplicità delle Banche. Colà il Governo non può affidare i suoi fondi a nessuna Banca: sarebbe un’ingiustizia ed un favore, ed anche questo farebbe correre pericolo allo Stato: quindi vi fu nna legge passata dal Congresso degli Stati Uniti che pose alle finanze l’obbligo di mantenere ne’ suoi scrigni tutti i fondi, e di mantenerli in sondi, in oro.

Il Governo americano è nella dolorosa condizione di avere un bilancio che, invece di saldarsi con deficit, presenta un avanzo molto cospicuo, e questo avanzo si è ripetuto per più anni; esso trovasi nella dolorosa condizione di tollerare nelle sue casse 150 milioni di lire, e di averli in oro!

Questa sottrazione di 30 milioni annui di dollari in oro dalla circolazione, è considerata da tutti i partiti in America, e dai whigs, e dai radicali bianchi, e dai radicali neri, come un inconveniente, grandissimo, al quale il Governo non può rimediare perché non ha mezzi di porre questo numerario in circolazione.

Ed è mio fermo avviso che sia questa una causa della crisi attuale che travaglia l'America, perché con tutte le sue Banche, al giorno che parliamo, lo sconto si trova al 16 per cento alla Nuova Orleans; ed io credo che uno dei motivi di questa elevazione straordinaria dello sconto sia appunto la stagnazione della circolazione di 30 milioni di dollari; inconveniente che non si produce né in Francia, né in Inghilterra, qualunque sia la floridezza del tesoro pubblico; giacché come io accennava poc’anzi, anche in Inghilterra la Banca ha un conto corrente col Governo di una somma maggiore di quella di 30 milioni, e credo che sia pervenuto sino a 10 milioni di sterlini, cioè 250 milioni.

Ecco dunque uno dei gravissimi inconvenienti del sistema della moltiplicità delle Banche rispetto ai Governi. Questo inconveniente non si trova nella Scozia, perché il Governo inglese ha una grande Banca che gli serve da cassiere, che riceve i fondi e li mette in circolazione, e le Banche cosi possono fare assai bene le loro operazioni.

Lo spirito poi delle grandi Banche si manifesta specialmente in quei paesi i quali si trovano in relazione continua coll’estero, e che possono esercitare sopra di esse una grandissima influenza.

Come io già accennava, le crisi commerciali le più pericolose sono promosse per effetto di speculazioni troppo spinte, o per necessità di straordinari acquisti all’estero; il debito della nazione, rispetto all’estero, si vede rapidamente aumentare, e quindi sorge la necessità d’esportare una grande quantità di numerario, cosi che poi si può dire che l’esportazione del numerario è l’ultimo motivo della crisi.

Per impedire quest’esportazione gli stabilimenti di credito non hanno che due mezzi: il primo è di rialzare lo sconto, il secondo è di trovar modo di far venire del numerario mediante il credito del quale gli stabilimenti godono all’estero.

Io opino che gli stabilimenti ben diretti abbiano prima di ogni cosa ad impiegare il primo mezzo, e quando vedono avvicinarsi una crisi, debbono aumentare lo sconto. Ma io credo altresì che, ove non s’impiegasse in certe circostanze l’altro mezzo, la crisi continuerebbe ad aumentare finché lo sconto fosse innalzato ad un tasso esorbitante.

Ora, io non nego che, sia che vi siano molte Banche, sia che ve ne sia una sola, possono tutte applicare il primo rimedio, quello cioè  dell'aumento dello sconto; ma il secondo rimedio, quello dell’importazione del numerario dall’estero, non può essere applicato che dai grandi stabilimenti; e ne abbiamo la prova dai fatti accaduti negli scorsi anni in Europa ed in America, dai fatti attuali.

Vi ebbe una grande crisi in Inghilterra (non ricordo più bene l’anno), e quella Banca tolse ad imprestito 50 milioni da quella di Francia. Credete voi che se invece della Banca d’Inghilterra con un capitale di 14 milioni sterlini, vi fossero stati 10,20,30,50 Banche in Inghilterra, avrebbero trovati 50 milioni a Parigi? No certamente.

Pochi anni dopo accadde il contrario; vi fu crisi in Francia. La Banca di Francia trovò del danaro, trovò 50 o 60 milioni presso l’imperatore di Russia. Credete voi che se invece della Banca di Francia, di uno stabilimento con 110 milioni di capitale, vi fosse stata un’infinità di piccole Banche, queste avrebbero ottenuto danaro dall’imperatore di Russia? No, signori!

Finalmente veniamo a noi. La nostra Banca, rispetto agli affari che tratta, è in condizione per lo meno solida quanto le Banche di Francia e d’Inghilterra; ebbene, in una circostanza difficile ha trovato e trova tuttora danaro all’estero. Il Senato sa, e lo può vedere nel conto reso dalla Banca, come essa, l’anno scorso, abbia fatto venire persino 10 milioni di numerario in una volta; sul suo credito ha trovato case estere che le hanno prestato 10 milioni. E credete voi che, se invece di una Banca con 16 milioni di capitale, vi fossero state dieci Banche di uno o di due milioni, avrebbero trovato dieci milioni all’estero? Questa è una vera illusione. E poi vedete in America, quel paese classico del sistema bancario; v’è in questo momento una crisi spaventevole, e lo sconto è al 16 per cento, mentre a Londra, quantunque sia cresciuto, è solo al 5 1[2. Perciò egli è evidente che sarebbe un’ottima operazione bancaria di togliere ad imprestito denari a Londra, di pagare il 5 1(2 per cento, oltre la commissione ed il trasporto del danaro, per andarlo a scontare sulla piazza di Nuova York al 12 ed al 16 per cento.

Quando tutte le spese potessero poi costare il 3, il 4 sarebbe il maximum; al 5 1|2, che è la tassa del danaro a Londra, si aggiunga il 3, fa l’8 1|2; vi sarebbe ancora un margine del 6 per cento: eppure le Banche non trovano nessun danaro. Questo vi prova, e vi prova potentemente, che per provvedere ai bisogni delle crisi, prodotte da sconcerti nelle relazioni coll’estero, il sistema delle Banche potenti e forti è di gran lunga a preferirsi al sistema delle piccole Banche.

Nè si dica che il sistema delle piccole Banche possa accrescere la circolazione; ché anzi, massime nei tempi di crisi, entrerà assai più nel pubblico la diffidenza, se vi è molta carta in circolazione, se vi sono cosi piccoli stabilimenti, che non se ve n’è nno solo.

Lo dimostrerò col giornale che ho ricevuto ieri, ove si descrive lo stato di circolazione del numerario a Nuova York. Lo ripeto, non posso prendere ad esempio le Banche che sono in paesi agricoli, che non hanno relazioni coll’estero: farò il paragone fra quello che si fa presso noi con quello che si fa a Nuova York.

Il 22 ottobre le Banche di Nuova York avevano in cassa (vi prego di notare le cifre) 10 milioni di dollari e 9 milioni in circolazione. Yoi vedete dunque che queste Banche non erano quasi più Banche di circolazione. Quando il numerario che è in cassa è uguale a quello in circolazione della carta, io non vedo che beneficio facciano come Banche di circolazione: sostituiscono il comodo della carta ai dollari; ma come Banche di circolazione non producono benefizio alcuno, e si restringono all’uffizio di Banche di deposito.

Ma mentre noi vogliamo in certo modo ristretta la facoltà di stabilire Banche di circolazione, in quanto alle Banche di deposito noi abbiamo con tutte le nostre forze cercato di promuoverne lo. stabilimento a Torino, Genova e Ciamberì, ed in molti altri luoghi e vi saremmo sempre disposti e favorevoli.

Yoi vedete quindi, o signori, che se il sistema della libertà delle Banche può dare ottimo risultato in certe località, in località, direi, in certo modo secondarie, ove queste Banche non si trovano in relazione necessaria col Governo, ove non hanno ad esercitare nessuna influenza sulle relazioni del paese coll’estero, queste Banche molteplici non possono assolutamente reggere al confronto, quando si tratti di grandi centri, quando trattisi di stabilimenti chiamati a regolare le relazioni del paese coll’estero e facilitare le operazioni del Governo. Ma comunque sia, o signori, finirò come ho principiato. Ora lo abbiamo questo sistema delle grandi Banche, e quand’anche fosse stato un errore il promuoverle, non si può tornare indietro. Se voi non adottate questa legge, cosa accadrà? Accadrà che avrete tutti i pretesi inconvenienti del sistema attuale e non avrete i benefizi supposti del sistema delle molteplici Banche, e non trarrete alcuno di quei vantaggi che può presentarvi la grande Banca e in tempi ordinari e in tempi straordinari di crisi.

Mi pare quindi, o signori, che non può più essere dubbio in ora ciò che debbasi fare; panni non poter esser dubbia la convenienza di dar l'approvazione a questo progetto di legge.

Io non entrerò nell’esame dei singoli articoli, per due motivi. Il primo cioè: siccome l’ufficio centrale propone la reiezione assoluta, senza pietà, di tutta la legge, ove il Senato consentisse in questa sentenza, sarebbe inutile la discussione degli ‘articoli. In secondo luogo, perché, a motivo del ritardo che questa legge ha sofferto, ed in seguito fors’anche alle osservazioni fatte dalla minoranza dell'ufficio centrale, siccome sarà necessario forse d'introdurre qualche emendamento negli articoli medesimi, io crederei più opportuno che fosse decisa la questione di principio, questione che può decidersi dall’onorevole presidente proponendo al Senato di passare alla discussione degli articoli, ed ove, come nutro la speranza, il Senato emettesse un voto favorevole e si passasse alla discussione degli articoli, allora io lo pregherei di voler rimandare la legge all’ufficio centrale onde poter concertare col medesimo queste modificazioni, di cui alcune sono indispensabili e necessarie all’esecuzione della legge, in ispecie quella che si riferisce all’epoca nella quale il servizio della tesoreria generale sarà affidato alla Banca.

Sarebbe impossibile in ora affidare questo servizio pel 1 dell’anno prossimo. Inoltre per quegli emendamenti che il Ministero non à lontano di apportarvi a suggerimento dell’ufficio centrale (nel caso, ripeto, di un voto favorevole) al suo ritorno desidererei di entrare ne' particolari di essa, ove ciò credessi necessario.

______________________________

DISCORSO del 15 novembre 1853

Al Senato del Regno.

L’onorevole relatore esordiva nella sua dotta orazione ricordando come le dottrine di libertà, applicate alle scienze economiche, riuscissero più grate al cuore di tutti gli uomini illuminati e soggiungeva che questo indizio del onore era dalla mente confermato, dalla scienza certificato.

Certamente non sarò io che contraddirò queste generose parole.

Credo di aver dato in parecchie circostanze ripetute prove al Senato di quanto io fossi tenace delle libere dottrine delle scienze economiche. Ma, o signori, non bisogna abusare delle parole.

La parola libertà, applicata alle operazioni ordinarie di commercio, può e deve ricevere l’applicazione la pi& larga possibile. Ma vi sono certe operazioni economiche ohe, per l’indole loro, non possono essere lasciate in assolato arbitrio del pubblico.

Vi sono molte funzioni che debbono e possono essere dal Governo esercitate: a cagione d’esempio, l'uffizio del trasporto delle corrispondenze e lettere. Io credo che i fautori pii decisi della libertà non abbiano mai proposto di far sottentrare l’azione privata all’azione governativa in questo ramo, che direi pure d’industria e di trasporto.

Nella costruzione delle strade ferrate, nessuno pure ha ammesso la libertà assoluta. Nemmeno gli Americani, io credo, hanno mai proclamato la libertà di costruire strade ferrate. Ora, o signori, le operazioni bancarie, quelle almeno che si riferiscono alle Banche di circolazione, sono di natura specialissima, non sono di natura semplicemente commerciale.

I grandi stabilimenti bancarii ordinariamente fanno tre specie di operazioni, cioè: ricevono denari in deposito, fanno sconti e mettono carta in circolazione.

Rispetto alle due prime operazioni, desse sono strettamente commerciali, e si possono fare, come si fanno talvolta, sopra scale vastissime da semplici privati. Esistono in Inghilterra persone che fanno l’operazione degli sconti e dei depositi sopra immense scale. Esistono pure presso noi, nella città di Genova. Ma l’operazione di mettere carta in circolazione pagabile a vista, alla quale il Governo dà in certo modo un valore legale col punire di pene severe, eccezionali, i contraffattori, alla quale il Governo accorda pure un altro valore approvando gli stabilimenti che l’emettono, non è operazione ordinaria, non è vera operazione commerciale, è in certo modo un diritto, una facoltà del Governo, della quale il Governo stesso si spoglia, delegandola ad uno stabilimento privato. Ed invero, ì fautori pii estremi della libertà riconoscono tutti doversi circondare questa facoltà di precauzioni larghissime.

Anche negli Stati americani, ove il principio della libertà è ammesso, questa facoltà di emettere della carta è vincolata a condizioni strettissime; talché nella massima parte di essi, e, se non erro, nello Stato della Nuova York in ispecie, la Banca è obbligata di avere somme nella sua cassa, in montare di fondi pubblici, eguali alla carta che essa ha iu circolazione.

Vede bene il Senato, vede il relatore che non si tratta qui di una semplice operazione commerciale, ma di un’operazione assolutamente a parte.

Io credo quindi di potere, senza disdire ai principii che ho sempre propugnati, sostenere l’opportunità di dare una maggior forza ad una grande Banca nel nostro paese, di dare in certo modo, se non un privilegio di diritto, un privilegio di fatto.

Nè i nomi citati dall’onorevole relatore a favore della sua opinione mi muovono gran fatto: esso ha nominato il capo della souola di Manchester, scuola della quale io mi onoro di non professare la dottrina perciò che riflette l’estera politica, perché è scuola che antepone gli interessi materiali ad interessi ben superiori, voglio dire, morali delle nazioni.

Ed a questo proposito, poiché ho citato quella scuola, io dirò che il suo capo, Riccardo Cobden, non impugnò la legge del 1844, e che questo cosi abbondante oratore, che ad ogni tratto solleva nuove questioni, non ha mai nelle sue peregrinazioni, nelle sue lotte parlamentari, impugnato quel principio.

L’onorevole relatore diceva che il medesimo, rimpetto alle Banche, aveva confermato i dettami, l’impulso del cuore. Io lo nego assolutamente, e dichiaro che i più distinti autori, i principali luminari della scienza attuale, non hanno condannato la legge del 1844. MacCulloc se ne fece il propugnatore, e Stuart Mill, che, a mio avviso, è il primo autore vivente di economia politica, è ben lontano dal combattere il principio che informa la legge di Roberto Peel; non so qual nome l’onorevole relatore potrà opporre a MacCulloc e Stuart-Mill.

Io qui aggiungerò anche quello di Sidney e non so quali siano quei grandi autori che facciano impallidire queste tre stelle del Armamento economico inglese; so che vi è un autore americano, il signor Carrey, che ha pubblicato varii annui fogli contro il sistema inglese; ma forse ignorà il signor relatore che il Carrey è fautore ardente della libertà bancaria e nello stesso tempo un protezionista sfegatato per ciò che riflette l’industria ed il commercio. Mi permetta quindi l’onorevole relatore di essere dal lato degli economisti che parteggiano per la libertà commerciale e per la restrizione bancaria, e di non seguirlo nel campo dei fautori della libertà delle Banche e del protezionismo industriale.

Ma egli diceva: voi volete salvo il commercio minuto, quello dell’oro e dell’argento; ma, signori, qui non si tratta del commercio dell’oro e dell’argento; facciano pure i banchieri quanto loro aggrada questo commercio; facciano pur venire i lingotti e traffichino nelle carte sull’estero, perché il commercio dell’oro e dell’argento consiste nel far venire questi preziosi metalli dai paesi ove si producono, pagandoli con merci dei paesi che non hanno miniere. Le Banche non fanno che indirettamente il commercio dell’oro e dell’argento; la loro specialità è di emettere carta e sostituire all’oro ed all’argento un mezzo più economico di circolazione.

Colla speranza almeno di essermi purgato dalla taccia di avere abbandonata la mia dottrina, seguiterò rapidissimamente l’onorevole relatore nel suo discorso.

Egli mi dice che quando io asseverava che il Governo non si era prima del 1852 attenuto più ad un sistema che ad un altro,, diceva pure che la Banca di Genova si stabiliva sui principii di libertà. Ma in allora, o signori, non poteva ancora sorgere la questione sulla moltiplicità delle Banche, poiché il Governo portava ferma opinione non essere possibile l’istituzione di un’altra Banca. '

E qui posso parlare per esperienza personale, perché essendomi presentato io stesso al ministro delle finanze d’allora per chiedere facoltà di stabilire in Torino una Banca, egli quasi quasi mi rise sul naso, dicendo che non era possibile lo stabilimento di una Banca in Torino; che ciò era troppo lontano dalle contratte abitudini, che non avrebbe giammai fatto affari, e che era insomma un’idea assurda, stramba.

Evidentemente il Governo, che non credeva alla possibilità di stabilire una seconda Banca, non poteva preoccuparsi del sistema della moltiplicità o dell’unità delle Banche.

L'onorevole relatore dice poi: se al vostro sistema non fu contrario l’antico Governo, certamente lo fu il Parlamento finora, e ne sia prova la legge che gli avevate presentato nel 1851! E qui l’onorevole relatore ricorda quale fosse questa, ed opportunamente osserva che in essa accordavasi di più e chiedevasi di meno dalla Banca. Ma questo era tutto naturale: noi eravamo allora in condizioni molto più difficili. Dovrò io ricordare in che stato trovavansi le finanze nel 1851? Il nostro 5 per 100 era al 78; non trovavamo più denaro in nessun sito; dovevamo rimborsare alla Banca, ad epoca fissa ed a breve mora, i suoi venti milioni; non eravamo certi di poter conseguire un imprestito all’estero;

egli era dunque necessario che la Banca esigesse di più e che maggiormente concedesse il Governo. Ma non istà quello che dice l’onorevole relatore, che la Camera dei deputati fosse ad esso contraria; giacché la Commissione, che alla fin fine rappresentava sicuramente almeno la maggioranza degli uffizi, fece un rapporto nel quale si conchiudeva, se non all’unanimità, all’immensa maggioranza, in favore della legge. Questa legge non fu votata, perché l’opposizione, sentendosi in minoranza, se ne andò, e quindi la Camera non rimase più in numero. Ciò non prova certamente che il Parlamento fosse opposto al principio di quella legge.

Ma, disse l’onorevole relatore, voi avete ritirata questa legge. Ma perché l’ho ritirata? Perché fra l’intervallo delle due Sessioni le condizioni finanziarie si migliorarono molto; perché in quell’intervallo si fece l’imprestito delle obbligazioni che superò a gran pezza le speranze del Ministero, mercé il quale la Banca fu pagata dei venti milioni; di più, si fece l’imprestito inglese che póse il Governo in condizione di non aver più bisogno del sussidio della Banca; ecco la cagione per cui si ritirò il progetto, aspettando altri tempi per poter ottenere dalla Banca molto migliori condizioni.

E questo appunto accadde, giacché io credo, e l’onorevole relatore con quella schiettezza che lo distingue l’ha riconosciuto, che l’attuale convenzione è molto più favorevole al Governo.

Io credo adunque di non essere inconseguente nell’aver ritirato il progetto del 1851 per presentare ora il presente ben più favorevole agli interessi dello Stato; favorevole al punto che credo di aver dimostrato che l’onorevole relatore nel suo elaborato discorso non l’ha contestato; di fatto esso è forse il contratto il più proficuo fra i contratti esistenti tra Banche e Governi.

L’onorevole senatore opponente, per combattere ad uno ad uno i miei argomenti, volle provare la possibilità dello stabilimento di Banche secondarie.

In verità, se male non mi appongo, ho pochissimo insistito su quell’argomento; ho cercato di dimostrare l’impossibilità dello stabilimento di un’altra Banca di qualche considerazione, e l’ho dimostrato col paragonare la circolazione probabile normale di una Banca di trentadue milioni, non che la circolazione che vi sarà dopo l’aumento del capitale, colla circolazione degli altri Stati.

Di questo argomento l’onorevole relatore non ha tenuto conto, ed ha cercato solo di provare la possibilità di stabilimenti secondari nelle provincie; ma io ciò non ho contestato; ho detto che questo sarebbe difficile, che le succursali di Vercelli e di Nizza finora avevano avuti pochi risultamenti, che la Banca di Savoia aveva incontrato tali difficoltà che senza l’appoggio del Governo certamente non le avrebbe vinte.

E poiché si sono ricordati questi fatti, egli è necessario che io li provi per ciò singolarmente che riflette la Banca di Savoia.

Dirò dunque che finora la circolazione di questa Banca è stata ristrettissima, e quantunque le sue operazioni siano condotte con molta prudenza ed accorgimento, essa non è giunta ancora ad avere in circolazione una somma eguale al suo capitale; anzi se il Governo non usasse molta larghezza nello ammettere i biglietti della sua cassa e non avesse cura di raccomandare ai suoi agenti di andare a rilento nel chiedere i cambi, sarei in dubbio se essa potesse in ora essere in prospere condizioni.

L’onorevole senatore ha citato le parole che ho pronunziate in altro recinto sulle Banche secondarie, come se fossero in contraddizione con quelle dette nella seduta di ieri.

Io le credo cosi poco contraddittorie, che sarei pronto a ripeterle nella seduta d’oggi: sarei pronto a sostenere che lo stabilimento di una gran Banca, anche di una Banca nazionale, è favorevole allo stabilimento di Banche secondarie, e lo proverò immediatamente.

Una Banca con un piccolo capitale non può allargare molto le sue operazioni se non ha la certezza di trovare accanto a sé uno stabilimento capace di venirle in soccorso nei momenti difficili; una Banca che non ha credito e relazioni coll’estero deve sicuramente avere un appoggio all’interno, e quando esiste un grande stabilimento, un piccolo stabilimento è certo che in momenti di bisogno, manifestandosi una ricerca straordinaria di numerario, e facendosi un cambio eccessivo de’ suoi biglietti, troverà sussidio, aiuto nella gran Banca facendo scontare a questa il suo portafoglio.

Ciò è quanto accadde in tutti i paesi; onde io credo che una delle cagioni di prosperità delle Banche scozzesi sia appunto l’esistenza della Banca d’Inghilterra; perché ogni qualvolta una di esse abbisogna di denaro, manda una parte del suo portafoglio a Londra, dove la Banca lo sconta; il che suol farsi verso le Banche ben condotte, come sono in generale le Banche scozzesi, le quali hanno un credito tale, da meritare che la loro carta sia scontata immediatamente senza difficoltà.

Io quindi ripeto che non mi sono posto in contraddizione: le opinioni manifestate nella tornata di ieri sono conciliabilissime con quelle manifestate in altro recinto.

Solo ho detto, e qui lo ripeto con intima fiducia, che nelle circostanze attuali è impossibile che un altro stabilimento egualmente potente della Banca nazionale, un’altra gran Banca venga a stabilirsi

L’onorevole relatore ha cercato di attenuare i vantaggi che avevo accennato come doventi risultare dall’attuale convenzione colla Banca Lascierò quello che riflette all’economia delle spese; dirò poco per quanto tocca la Banca di Sardegna.

La Banca di Sardegna è chiamata ad essere per quell'isola d’immenso sussidio, quantunque non possa nascere spontaneamente, poiché ivi le abitudini commerciali non esistono, e però è forza promuoverle ed aumentare il movimento, il progresso e lo sviluppo che vi si manifesta bensì, ma molto lentamente.

Io credo che la Sardegna, onde poter svolgere le sue risorse, ha bisogno quasi assoluto del sussidio dei capitalisti e degli speculatori esteri; difficilmente le sue terre si coltiveranno, le sue miniere saranno rese fruttifere e le risorse industriali che possiede saranno svolte, se non vi concorrono capitalisti e speculatori continentali.

Ora l’esistenza di una Banca faciliterà di molto il concorso di questi capitalisti; i capitalisti continentali, che sanno esistere in Sardegna una Banca la quale può scontare a condizioni assai facili (almeno come viene proposto dal Ministero), questi capitalisti, dico, si disporranno pii facilmente a recarsi in Sardegna, ed è perciò che io opino che la Banca di Sardegna darà utili risultati per l’isola.

Ma si dice: se deve dare questi buoni risultati, perché dunque avete bisogno di favorire il suo stabilimento con mezzi fittizii? È perché, signori (mi scusino i Sardi che son qui presenti), è perché esistono delle prevenzioni contro la Sardegna, e perciò i capitalisti provano molta difficoltà a porre i loro capitali nell’isola; conseguentemente, in vista di queste prevenzioni, è necessario di fare qualche cosa perché esse siano vinte, e quindi il Governo crede di dover dare una spinta ai capitali onde farli andare in Sardegna; ma il Governo non crede d’indurre in errore i capitalisti, né crede di esporre quella parte di danaro che dovrà impiegare nella Banca di Sardegna, perché porto somma fiducia che in brevissimo spazio di tempo l’uso del credito si popolarizzerà in Sardegna, e che quindi la Banca darà buoni risultati non solo per l’isola, ma ancora per gli azionisti medesimi.

Ma lasciamo stare queste considerazioni secondarie e veniamo alle principali.

Ho detto ieri che riteneva come principale argomento l’appoggio che la Banca sarebbe stata costretta di prestare al Governo in virtù dell’attuale legge, e citava l’esempio dell’Inghilterra e dell’Austria.

L’onorevole relatore, con un artifizio oratorio, nell’indicare un argomento del quale pareva non voler far caso, lo ha però svolto con molta larghezza di parole, l’argomento cioè che sia in fatto l’unione della Banca al Governo un mezzo potente e per difendersi e per attaccare; questi invece di dover disporre gli animi a votarlo, dovrebbe allontanameli.

È impossibile che io impegni qui una discussione politica coll’onorevole relatore, e tutto si riduce a sapere se noi vogliamo accrescere o diminuire la forza del Governo. Sicuramente se accrescete la forza del Governo,. esso potrà farne mal uso, potrà essere più potente nel male; ma in allora, signori, voi avete un altro rimedio che è quello di cambiare gli uomini che reggono lo Stato.

E poiché in questa circostanza l’onorevole opponente ha invocato l’opinione della scuola di Manchester per gettare un semibiasimo alla memoria di Guglielmo Pitt, io invocherò l’opinione quasi unanime di tutta l'Inghilterra che in ora venera e rispetta la memoria di lui come il più grande fra gli uomini di Stato che abbiano illustrato quel regno.

Ed io dubito assai che nell’avvenire abbiano a sorgere sulle principali piazze dell’Inghilterra, su quelle stesse delle città manufattrici delle colonie, ad onore d’uno dei capi della scuola di Manchester, come si sono fatti sorgere i monumenti alla memoria di Pitt, di Nelson, di Watt.

Io spero quindi che l’argomento adoperato dall’onorevole relatore porterà il suo frutto, ma un frutto contrario, dacché il Senato, convinto dalle sue stesse parole che questa legge deve aumentare le forze del Governo, sanzionerà questa disposizione.

Passando agli esempi, l’onorevole relatore ha fatto la storia delle leggi inglesi del 1844; egli aveva già lungamente indicato i principali articoli della riforma sul regime della Banca, e qui vi ha detto che la legge presente colà in vigore aveva fatto mala prova; che tre anni dopo fu forza al Governo di sospendere l’esecuzione, e che quindi l’opera di Roberto Peel era stata dai fatti giudicata. Ma l’onorevole relatore nella sua storia, della quale ha riferito con compiacenza molte particolarità, si è arrestato al 1847; se fosse andato più oltre, egli avrebbe detto che nella Sessione che segui in quell’anno memorabile,

la Camera dei comuni nominò un Comitato di inchiesta che avesse ad esaminare gli effetti dell’atto del 1844 ed avesse a riferire al Parlamento sull’opportunità di riformarlo.

Questo Comitato racchiudeva nel suo seno i funzionari più abili: della Camera, senza distinzione di partito; credo che vi fossero il signor d’Israeli, il signor Gladstone, ed anche, se non erro, i capi della scuola di Manchester; ebbene, dopo due anni di lavoro questo Comitato fece la sua relazione al Parlamento, e dichiarò, se non ad unanimità, certamente a grande maggioranza che l’atto del 1844 non era da mutarsi. E nel vero, avete voi sentito in quella lunghissima discussione del Parlamento inglese, oppure in questi ultimi anni sollevare la questione della riforma dell’atto del 1844?

Se questo avesse fatto così mala prova, come assevera l’onorevole relatore, certamente il Comitato avrebbe redatta una relazione a quell'atto contraria, od almeno una delle tante eccentricità, delle quali non vi è penuria nella Camera dei comuni, avrebbe preso a combatterlo onde ottenerne l’immediato ritiro.

Perciò io ho argomento di credere che l’immensa maggioranza della nazione ha conosciuto avere quell’atto portato buoni frutti, e ciò io dico, in complesso, perché non credo che sia perfetto; anzi dal canto mio dichiaro schiettamente che rispetto alla circolazione dividerei l’opinione del signor relatore e l’avrei anch’io modificato; ma nel suo complesso, ripeto, quell’atto ha piaciuto e fu riconosciuto siccome quello che ne sostituì uno migliore ad uno peggiore.

lo non entrerò nell’esame della storia finanziaria del Belgio, perché mi trarrebbe troppo lontano; soltanto noterò che mi pare difficile il negare che il Governo belga aveva nelle sue mani ben altri mezzi per costringere la società generale, che era in condizioni poco propizie, ad abbandonare i suoi privilegi senza ricorrere allo stabilimento di una Banca nazionale.

Se il signor Frère-Orban ha acconsentito di presentare al Parlamento belga una legge che affida ad una Banca, non solo l’esercizio della tesoreria generale, ma quello di tutte le casse dello Stato, segno è che si era convinto e convintissimo della opportunità di questa disposizione.

Io non mi lusingo di aver ribattuti tutti gli argomenti posti in campo dall’onorevole relatore. Se si volesse impegnare una discussione minuta e scientifica, non basterebbe il tempo che il Senato con molta cortesia ben volle concedermi, e, direi, se mi permettesse il signor relatore, volle concederci; quindi farò tregua alle mie parole.

Parmi però aver noi detto abbastanza per chiarire la questione, onde rimane stabilito non essere possibile presso noi l’adozione del sistema della libertà delle Banche, cioè non essere possibile che sorgano stabilimenti rivali allo stato attuale; che ciò essendo, conviene trarre il miglior partito possibile dallo stato attuale delle cose.

Mi pare non essere stato contestato ed essere dimostrato che l’attuale convenzione è la più favorevole di quante si siano fatte fra Banche e Governi; mi pare dimostrato che questa deve accrescere la forza del Governo; voi dunque, o signori, avete tutti gli elementi per emettere un voto, e lasciate che io speri sia favorevole alla ministeriale proposta.

____________________

DISCORSO del 16 novembre 1853

 al Senato del Regno.

Risponderò brevi parole ai nuovi argomenti posti in campo nella seduta di oggi contro il progetto di legge.

Il primo oratore, l’egregio maresciallo (1), lo combatté con due argomenti.

Il primo suo argomento si fondava sulla dipendenza nella quale il Governo si troverebbe collocato rispetto alla Banca, ove questo progetto fosse adottato.

Egli diceva che in ora il tesoriere generale è un impiegato dello Stato, sul quale il ministro delle finanze esercita un’azione diretta, che si trova nell’assoluta sua dipendenza; ma, votata la legge, le funzioni di tesoriere generale saranno affidate alla Banca, la quale rimane assolutamente indipendente dal Governo e non avrà, cioè, il Ministero veruna ragione sovra di essa; qualunque sia la condotta della Banca rispetto al Governo essa potrà sempre disporre dei fondi dello Stato; essa inoltre godrà di un largo benefizio, senza in certo modo alcun corrispettivo, o almeno senza che questo benefizio possa essere adeguato alla sua condotta.

Qui mi permetterà l’onorevole maresciallo di lamentare che egli non siasi trovato presente alla prima seduta in cui cominciossi a discutere questo progetto, giacché non avrebbe forse promosso questa discussione nell’odierna seduta.

(1) Il maresciallo Della Torre.

Io ho avuto l’onore di esporre al Senato che le funzioni di tesoriere generale sono presso noi ben diverse che quelle stesse funzioni nel Belgio e nell’Inghilterra. Esse presso noi non darebbero alla Banca il diritto di ricevere nemmeno uno scudo dei fondi dello Stato (mi permetta il Senato di ripetere questa dimostrazione): dietro le nostre leggi le quali non vengono né punto né poco modificate dal progetto attuale, i contabili versano tutti i fondi nelle tesorerie provinciali, e dalle tesorerie provinciali non possono passare nella cassa della Banca se non in virtù, non di un ordine generale, ma di apposito ordine del ministro delle finanze, ordine che si spicca in ora per mezzo dell’ispezione dell’erario e che si spiccherà fra poco per mezzo della direzione del tesoro.

Quindi costituendo la Banca tesoriere generale, non le diamo il diritto di riscuotere nemmeno un soldo, e perciò qualora nascesse qualche difficoltà fra quella ed il Governo, questo avrebbe un mezzo efficacissimo di ricondurre la Banca a condizioni più concilianti; gli basterebbe, cioè, di fermare la metà dei fondi nelle tesorerie provinciali, il che potrebbe fare senza difficoltà, poiché la tesoreria provinciale di Torino sarà organizzata in modo da poter far fronte a tutte le spese e riscuotere gli incassi come sarebbe la tesoreria generale.

Egli è quindi vero che con questa legge la Banca si pone in dipendenza del Governo, ma non è già il Governo che si pone in dipendenza della Banca. Qui esiste la gran differenza che passa tra il sistema che ho l’onore di proporre alla vostra approvazione e i sistemi inglese e belga: in quei due sistemi il Governo, in virtù di le££e è obbligato di versare tutti i fondi alla Banca, laddove nel nostro il Governo rimane assolutamente libero nella disposizione dei suoi fondi.

Io spero che queste spiegazioni varranno a sciogliere il primo dubbio mosso dall’onorevole maresciallo.

Il secondo suo argomento si appoggia sui pericoli dell’emissione della carta moneta.

Egli vi ha ricordato, o signori, la storia funesta degli assignati in Francia, della nostra carta moneta io Piemonte e di quella austriaca. Ma è appunto per evitare questi inconvenienti che io vi propongo di fondare una Banca governativa, giacché questi inconvenienti non si verificarono se non se forse dove non vi era Banca governativa, dove lo Stato stesso volle fare le funzioni in certo modo di banchiere, mettendo in circolazione della carta; gli assignati non erano carta di Banca, non lo erano i mandati sul tesoro, n& la prima carta austriaca.

Io non nego che anche della carta di Banca si possa abusare e se ne possa abusare massimamente in tempi difficili. Di che cosa al mondo non si può abusare? Ma sono fermamente persuaso e credo di non poter essere contraddetto, che è molto più difficile di abusare della carta di una Banca che non di un carta governativa.

Io credo che quando vi avrà una Banca che sarà tesoriere generale dello Stato, riescirà non solo difficile, direi quasi impossibile al Governo di emetterò carta governativa per poter ottenere un sussidio dalla Banca: ma non l’otterrà certamente oltre i limiti delle forze della Banca stessa; quindi io ho ferma credenza che, adottando il nostro sistema, supposto anche il pericolo di ciò che accennava l’onorevole maresciallo (giacché noi possiamo, lo può il Parlamento, lo può il paese rigettare questa legge), si può impedire l’unione più stretta tra il Governo e la Banca. Ma può il Senato vincolare i futuri Governi in momenti difficili, quando non avranno l’appoggio di una Banca nazionale, a non emettere carta? Io credo che questo sarebbe una vanissima speranza: qualunque disposizione legislativa si volesse adottare a questo riguardo, essa avrebbe poca efficacia se il paese versasse in gravissime difficoltà.

L’onorevole maresciallo ha citato molti esempi storici; ha rigettato quelli dell’Inghilterra. Sia pure. Ma veniamo a quello dell’Austria.

Io credo che l’Austria negli anni 1848 e 1849 siasi trovata in condizioni quasi altrettanto malagevoli quanto quelle dell’epoca che ricordava. Ma in questa seconda circostanza si valse della Banca di Vienna, ottenne da essa i sussidi. Credo forse che siasi abusata anche di questo appoggio, ma ciò almeno in una certa proporzione con i mezzi della Banca stessa; quindi gli inconvenienti della carta moneta (inconvenienti che non si possono evitare) furono pur ristretti in limiti molto minori di quelli che accennava lo stesso maresciallo; giacché io credo che la carta della Banca di Vienna non abbia mai scapitato oltre al 20 o 25 per 100. Mi pare di aver dimostrato, anche in ora, come quel secondo dubbio dell’onorevole maresciallo sia privo di fondamento.

L’onorevole maresciallo diceva che se il pensiero di ottenere il sussidio della Banca in tempi difficili era quello che muoveva il Governo, tornava meglio di tenere la Banca dal Governo separata. Ma, signori, non confondiamo gl’interessi della Banca e del Governo. Noi non vogliamo che i conti della Banca siano fusi con quelli del Governo, anzi, avendo adottato un sistema di non estendere l’azione della Banca sulle tesorerie provinciali, noi lasciamo la Banca assolutamente indipendente dal Governo.

L’atto finanziario non sarà altro che d’avere un conto corrente; quindi io credo che queste relazioni, lungi dal menomare l’influenza della Banca, lungi dal fare scapitare il suo credito, l’amplieranno, l’aumenteranno.

E qui ancora invoco l’esempio della storia, e faccio osservare come le Banche governative hanno sempre avuto un maggior credito che non le Banche assolutamente indipendenti. Quindi il terzo dubbio emesso dall’onorevole maresciallo parai sia egualmente privo di fondamento.

Mi potrei ora lusingare che, sciolti questi dubbi, l’onorevole maresciallo sia per ritirare la sua opposizione e dare a questa legge un voto favorevole. Comunque sia, spero almeno che la sua voce eloquente non avrà tanto peso per condurre seco la maggioranza di questa assemblea.

Il secondo oratore, l’on. generale La Marmora (1), non ha parlato né pro, né contro, ma sopra: si è dimostrato sino ad un certo punto favorevole alla parte del progetto relativa alla Sardegna, ma ha accoppiato a questi segni di approvazione una semicensura, come se il Governo volesse fare della Sardegna un mezzo per fare passare questa legge.

Io posso dichiarare con tutta schiettezza all’onorevole generale, che prima di pensare a costituire una Banca in Sardegna coll’aiuto della Banca nazionale, io ho cercato e fatto il possibile onde ottenere che venisse stabilita da speculatori privati, ma che non vi ho riuscito.

Io sono d’avviso che quando altri ciò tentasse, non vi riuscirebbe meglio di me; quindi posso assicurare l’onorevole senatore non essere questo un artifizio parlamentare, perché sono fermamente convinto che il mezzo da me proposto è il solo attuabile per ottenere lo stabilimento di una Banca in Sardegna.

Avvertiva egli (e qui son lieto di poter dire che concorro pienamente nella sua opinione) che per la Sardegna vi era cosa più utile da farsi che lo stabilire Banche, cioè costrurre strade, perché cosi si renderebbe pii sicura la proprietà e la vita. Concorrendo io con lui in questa sentenza, dichiaro schiettamente che non concorro probabilmente in tutti i mezzi per raggiungere questo scopo. Forse l’onorevole generale potrebbe proporre alcuni mezzi che fossero dal Governo riputati migliori, e viceversa il Governo.

(1) Alberto La Marmora, già viceré di Sardegna.

Ma poiché egli ha detto che si riserva per altra occasione, mi permetta di fare altrettanto, assicurandolo che il Governo gliene somministrerà i mezzi, giacché probabilmente fra non molto esso sottoporrà al Parlamento qualche disposizione intesa ad ottenere quello scopo che l’onorevole generale, con molta ragione, desidererebbe veder raggiunto prima che si pensasse ad altri progetti.

Ma poiché sono a parlare della Sardegna, mi sia concesso di ad ditare una o due considerazioni che possono essere di gran momento.

La Sardegna, come voi sapete, fra gli altri malanni cui è sottoposta, ha pur quello della carta monetata. Questa, lo confesso, è una vera ingiustizia per la Sardegna; mentre in tutte le altre parti dello Stato vi è una circolazione metallica, nell’isola vi è una circolazione di carta che non ha corso soltanto legalmente, ma corso forzato. Evidentemente bisogna far cessare quest’ingiustizia, ed in verità se fosse rigettata questa legge, e se in occasione di discussione sui bilanci alcuni rappresentanti mi dicessero: «fate cessare questa ingiustizia; poiché ci avete regalati i balzelli del continente, almeno metteteci dal lato economico nelle condizioni del continente, facendo sparire la carta monetata;» io in verità non saprei che cosa rispondere, e mi vedrei costretto a proporre al Parlamento un credito per raggiungere questo scopo, per compiere quello che io debbo dire debito di giustizia.

Coll’istituzione della Banca di Sardegna noi raggiungiamo questo scopo, facciamo scomparire la carta monetata dall’isola, e ciò senz% costo dell’erario; e mi pare che sia pure una circostanza da tenere a calcolo questa, che noi facciamo cosa utile facendo cosa giusta, e che mentre adempiamo ad un debito di giustizia, la riparazione che facciamo non abbia a produrre nessun inconveniente economico.

Io credo che se repentinamente si facesse scomparire la carta monetata dalla Sardegna, senza sostituirvi altra carta, forse nascerebbero alcuni inconvenienti; la circolazione potrebbe essere momentaneamente scemata. Invece col nostro progetto, ad una carta avente corso forzato sostituiamo una carta avente corso legale, che si può cambiare contro scudi in tutte le città dell’isola, nna carta che ha tutto il pregio della moneta metallica.

Io prego quindi il Senato a voler tenere a calcolo questa circostanza assolutamente finanziaria.

L’ultimo oratore, lasciando da parte la considerazione finanziaria, si è appoggiato sopra considerazioni morali; ha creduto che questa legge fosse per accrescere di molto la potenza dell’aristocrazia bancaria. In verità non posso dividere quest’opinione.

Se egli ha inteso di dire che con questo progetto di legge la ricchezza del paese fosse per aumentare e che quindi gl’interessi materiali che sono in proporzione della ricchezza saranno maggiori, io non solo non lo contesto, ma egli è sopra questo proposito che appoggio la mia preghiera onde la legge sia approvata.

Sicuramente questo progetto ha per iscopo di accrescere le risorse nostre: se il Senato crede che sia un male, che qualunque legge intesa allo sviluppo della ricchezza sia immorale, allora rigetti pure questa legge; ma in tal caso avverta che dovrà rigettare quasi tutte le proposte che gli verranno sottoposte.

Forse l’onorevole preopinante dirà che egli intende parlare della ricchezza e potenza dei banchieri, e a ciò sarà facile il rispondere col dire che le grandi Banche, lungi dall’accrescere la potenza individuale dei banchieri, fanno contrapposto a questa potenza medesima.

Il preopinante sa che la Banca è proprietà, in complesso, di azionisti; epperciò non vi può essere monopolio.

L’esempio di tutte le nazioni prova che il capitale delle Banche si riparte in un’infinità di mani, di persone, e che quindi anche i minori capitalisti possono esercitare sulla Banca un’influenza. I fatti dimostrano che i banchieri individualmente esercitano assolutamente molto più influenza là dove non vi ha una gran Banca, e che questa, influenza cessa dove un tale stabilimento esiste.

Per esempio: chi percorre i nomi dei direttori della Banca d’Inghilterra, vedrà che fra essi non figurano i principali banchieri della città di Londra. Ne citerò due soli perché hanno nome europeo: non si vedrà fra i direttori della Banca alcun membro della casa Rothschild e Behering, che sono le prime due case di Londra.

D’altra parte, come mi pare di aver già dimostrato all’onorevole maresciallo, questa legge non accresce l’influenza della Banca sul Governo; viceversa accresce l’influenza del Governo su di essa.

Quindi se l’influenza che la Banca può esercitare non è cosi dannosa, in allora debbo sperare che l’onorevole preopinante, meglio considerate le conseguenze di questa legge, sia per mutare consiglio e darle voto favorevole. Egli poi si fondava sull’esempio dell'Inghilterra ed avvertiva gl’inconvenienti dello sviluppo del sistema bancario sopra la condizione morale di quel paese, e diceva che, giunta ad un certo punto, l’influenza bancaria faceva tacere ogni altro sentimento, riducendo il popolo a non curare altro che gl’interessi materiali.

Su questo punto posso rassicurarlo pienamente con un fatto che ho verificato coi miei occhi stessi l’anno scorso.

La parte dell’Inghilterra, dove è più sviluppato il principio delle Banche, è la Scozia, e non ho bisogno di dimostrarlo, perché l’egregio relatore ci ha fatta l’accurata storia delle Banche scozzesi.

Sicuramente, anche rispetto all’Inghilterra, il sistema bancario è più sviluppato nella Scozia; quindi, secondo il teorema del signor preopinante, in Iscozia non si dovrebbero curare che gli interessi materiali.

Ora, l’anno scorso, visitando la Scozia, ad ogni villaggio a cui mi fermava, io vedeva sorgere un nuovo tempio, perché colà la maggioranza è protestante. Informatomi della cagione, mi venne risposto che, essendo nata una scissura nella Chiesa stabilita, i dissidenti si. erano separati a far tempo dal 1846, e d’allora al 1852 avevano erette chiese in quasi tutte le parrocchie della Scozia, ed avevano a questo uopo consacrato l’egregia somma di due milioni di lire sterline, cioè cinquanta milioni di franchi.

Vede l’onorevole preopinante che in un paese ultrabancario, le idee religiose hanno tanta influenza da fare uscire liberamente, spontaneamente, senza l’aiuto del Governo, in pochi anni l’egregia somma di 50 milioni. Se l’onorevole preopinante può accennarmi un simile esempio in un paese dove non vi sono Banche, io mi riputerò assolutamente battuto.

E perché il discorso mi ha condotto alla Scozia, domanderò la permissione di supplire ad un difetto della risposta che ho dato ieri all’egregio relatore.

Egli si è fondato molto sull’esempio della Scozia per provare la superiorità del sistema della libertà delle Banche.

Io non aveva presenti tutte le cifre alle Banche di Scozia relative, e la Camera capirà che, occupato quale mi trovo dalle mie funzioni, difficilmente posso raccogliere tutti i documenti che si richiederebbero per sostenere una lotta contro cosi abili e sapienti avversari.

Questa mattina, però, ho voluto rivedere la storia di queste innocenti istituzioni che l’onorevole relatore ci rappresentava come vittime dei pregiudizi economici di Roberto Peel, e le cifre mi hanno dimostrato (ciò che sapeva confusamente, ma che non voleva asserire se non sopraffatti positivi), cioè che la prosperità delle Banche di Scozia non dipende menomamente dalla loro circolazione, ma bensì dall’avere perfezionato moltissimo il sistema dei depositi e dei crediti.

Poche cifre ve lo dimostreranno.

Le Banche di Scozia, al punto in cui godevano della libertà più assoluta, prima cioè della legge del 1844, erano 11, e fra tutte possedé vano l’ingente capitale di 12 milioni sterlini.

Ora, cosa credete che esse avessero in circolazione quando erano pienamente libere, quando loro era stato concesso il privilegio di emettere carta di una lira sterlina? Tre milioni di lire sterline, od il 25 per 100 del capitale.

Non è questa lievissima circolazione che faceva n& la prosperità e nemmeno la solidità delle Banche scozzesi.

Diffatti la Banca la più florida, la più salda, quella citata appunto dall’onorevole relatore, se non erro, la Banca reale, con un capitale di 2 milioni di lire sterline, aveva in circolazione solo 183 mila lire sterline, cioè il 9 per 100 del suo capitale.

La circolazione non era che la parte la più secondaria delle operazioni delle Banche scozzesi: ciò che ha promosso la prosperità di esse si è, come diceva, il sistema dei depositi molto perfezionato, e, più ancora, il sistema di credito.

Le Banche scozzesi hanno adottato il sistema del credito personale, del credito in bianco, con o senza cauzione od altra guarentigia personale. Questo introdotto a poco a poco e adoperato con grande prudenza ed abilità, ha dato frutti meravigliosi, poiché da un lato esse hanno saputo attirare a sè somme immense di deposito, somme che debbono giungere (ignoro il calcolo esatto) dai 25 ai 30 milioni di lire sterline, e dall’altro lato hanno sparso il credito su tutta la superficie dell’isola.

Io spero che simili istituzioni s’introdurranno presso di noi gradatamente e si svilupperanno; ma per simile effetto, signori, converrà che queste istituzioni non aspirino ad essere Banche di circolazione, giacché io sono certo che anche l’onorevole relatore, se gli fosse presentata una legge relativa ad una Banca di circolazione, nella quale il sistema del credito in bianco fosse introdotto, io son certo, dico, che anch’egli la respingerebbe, e farebbe bene perché sarebbe molto pericoloso.

La Camera sa come si andò guardinghi e dai Governi anteriori a questo e dal Governo attuale e dal Parlamento nel l’esaminare gli statuti delle Banche di circolazione, come loro si imponessero obblighi gravi, quelli di non scontare cambiali che a tre firme, di non scontare carte di scadenza maggiore di 90 giorni, di non fare anticipazioni che a certe condizioni molto prudenti; quindi egli è evidente che mai si sarebbe approvato il sistema del credito in bianco. Eppure questo è necessario, se vogliamo che il credito sia sviluppato, chi a chi può far questo? Chi lo deve introdurre?

Le Banche di deposito e di sconto, ed io di questa verità era talmente convinto, che, quando una società si fondò e si presentò al Ministero per domandare di poter stabilire a Torino ed a Genova una cassa di sconto e di deposito, io aggiunsi di mia mano questa facoltà a cui non avevano pensato, quella cioè di far credito in bianco.

Di questa facoltà lo stabilimento, di cui discorro, non ha ancora fatto uso, e ciò si spiega, perché è sorto in un momento in cui aveva occasione d’impiegare i suoi capitali in modo pii sicuro di quello del credito in bianco.

Ma io non dubito che quando saranno tornati tempi economicamente più normali, quando saranno sorti stabilimenti rivali, come ne sorgono e ne sorgeranno, le nostre Banche di deposito ammetteranno quello che le Banche scozzesi hanno fatto; ciò che non avrebbero potuto fare se i desideri dell’onorevole relatore fossero stati assecondati, e se, oltre ad essere Banche di deposito e di sconto, fossero altresì Banche di circolazione.

Io spero, o signori, di aver risposto alle nuove obbiezioni che sono state poste in campo, e non ricorderò gli argomenti addotti nelle due precedenti tornate, perché ho già abbastanza usato ed abusato della vostra sofferenza.

Non mi rimane che a ripetervi quello che già ebbe l’onore di dirvi, essere io persuaso e convinto che dalla adozione di questa legge stanno per risultare immensi benefizi e nei tempi ordinari e nei tempi difficili.

PRINCIPALI ATTI LEGISLATIVI

concernenti il sistema bancario francese
(24 germinal, 4 floreal —Anno XI)
(14 aprile 1803).

LOI relative a la Banque de France

Art. 1. — L’association formée à Paris sous le nom de

de France aura le privilège exclusif d’émettre des billets de banque aux conditions énoncées dans la présente loi.

Art. 2. — Le capital de la Banque de France sera de 45,000 actions de 1,000 francs chacune, en fonds primitif, et plus du fonds de réserve.

Art. 3. — Les actions de la Banque seront représentées par une inscription nominale sur les registres; elles ne pourront être mises au porteur.

Art. 4. — La moindre coupure des billets de la Banque de France sera de 500.

Art. 5. — La Banque escomptera les lettres de change et autres effets de commerce. — La Banque ne pourra faire aucun commerce autre que celui des matières d’or et d’argent. Elle refusera d’escompter les effets dérivant d’opérations qui paraîtront contraires à la sûreté de la République; les effets qui résulteraient d un commerce prohibé; les effets dits de circulation, créés colluscirement entre les signataires, sans cause ni valeur réelle.

Art. 6. — L’escompte sera perçu à raison du nombre de jours à courir, et même d’un seul jour s’il y a lieu.

Art. 7. — La qualité d’actionnaire ne donnera aucun droit particulier pour être admis aux escomptes de la Banque.

Art. 8. — Le dividende annuel, à compter du lr vendémiaire an XIII, ne pourra excéder 6 pour 100 pour chaque action de 1,000 francs; il sera payé tous les six mois. — Le bénéfice excédant le dividende annuel sera converti en fonds de réserve. — Le fonds de réserve sera converti en 5 pour 100 consolidés; ce qui donnera lieu à un second dividende.

— Le fonds de réserve actuel sera aussi converti en 5 pour 100 consolidés. — Le dividende des six derniers mois de l’an XI sera réglé d’après les anciens usages de la banque. — Le dividende de l’an XII ne pourra excéder 8 pour 100, y compris le dividende à provenir des produits du fonds de réserve

Art. 9. — Les 5 pour 100 consolidé acquis par la Banque seront inserita en son nom, et ne pourront être vendus sana autorisation pendant la durée de son privilège.

Art. 10. — L’universalité des actionnaires de la Banque sera représentée par deux cents d’entre eux, qui, réunis, formeront l’assemblée générale de la Banque.

Art. 11. — Lea deux cents actionnaires qui composeront l’assemblée générale seront ceux qui, d’après la revue de la Banque, seront constatés être, depuis six mois révolus, les plus forts propriétaires de ses actions. En cas de parité dans le nombre des actions, l’actionnaire le pina anciennement inscrit sera préféré.

Art. 12. — L’assemble générale de la Banque se réunira dans le courant de vendémiaire de chaque année. Elle sera assemblée extraordinairement dans les cas prévus par les statuts.

Art. 13. — Lea membres de l’assemblée générale devront assister et voter en personne, sans pouvoir se faire représenter. Chacun d’eux n’aura qu’une voix, quelque nombre d’action qu’il possède.

Art. 14. — Nul ne pourra être membro de assemblée générale de la Banque de France, s’il ne jouit des droits de citoyen français.

Art. 15. — La Banque sera administrée par quinze régents, et surveillée par trois censeurs choisis entre tous les actionnaires par l’assemblée générale. Les régents et censeurs réunis formeront le conseil général de la Banque.

Art. 16. — Les régents seront renouvelés chaque année par cinquième, et lea censeurs par tiers.

Art. 17. — Sept régents, sur les quinze, et les trois censeurs seront pris parmi les manufacturiers, fabricants ou commerçants, actionnaires de la Banque; ils seront complète par les élections des années XI, XII et XIII.

Art. 18. — Il sera forme un conseil d’escompte, composé de douze membres pris parmi les actionnaires exerçant le commerce à Paris Les douze membres seront nommés par les trois censeurs: ils seront renouvelés par quart chaque année. Les membres de ce conseil seront appelés aux opérations d’escompte, et ils auront voix délibérative.

Art. 19. — Les régents, les censeurs et les membres du conseil d’escompte sortants pourront être réélus.

Art. 20. — Les fonctions des régents, des censeurs et des membres du conseil d’escompte seront gratuites, sauf les droits de présence.

Art 21. — Le conseil général nommera un comité centrai composé de trois régents. L’un d’eux sera nommé président, et, dans cette qualité, il présidera l’assemblée, le conseil général, et tous les comités auxquels il jugera à propos d’assister.

Art. 22. — Les fonctions de président dureront deux ans; les deux autres membres du comité seront renouvelés par moitié et tous les ans; les membres sortants pourront être réélus.

Art. 23. — Le comité centrai de la Banque est spécialement et privativement chargé de la direction de l'ensemble des opérations de la Banque.

Art. 24. — Il est, en outre, chargé de rédiger, d’après ses connaissances et sa discrétion, un état général, divisé par classes, de tous ceux qui seront dans le cas d’être admis à l'escompte, et de faire successivement dans cet état les changements qu’il jugera nécessaires. Cet état servira de base aux opérations d’escompte.

Art. 25. — Ceux qui se croiront fondés à réclamer contre les opérations du comité centrai, relativement à l’escompte, adresseront leurs réclamations à ce comité, et en même temps aux censeurs.

Art. 26. — Les censeurs rendront compte à chaque assemblée générale de la surveillance qu’ils auront exercée sur les affaires de la Banque, et déclareront si les règles établies pour l’escompte ont été fidèlement observées.

Art. 27. — Le conseil général de la Banque de France est tenu de faire, dans un mois, les statuts nécessaires à son administration intérieure.

Art. 28. — Le privilège de la Banque lui est accordé pour quinze années, à partir du 1° vendémiaire an XII.

Art. 29. — Les régents et censeurs actuels de la Banque de France conserveront leur titre et exerceront leurs fonctions pendant le temps fixé par les statuts et les règlements.

Art. 30. — La Caisse d’escompte du commerce, le Comptoir commercial, la Factorerie et autres associations qui ont émis des billets à Paris, ne pourront, à dater de la publication de la présente, en créer de nouveaux, et seront tenus de retirer ceux qu’ils ont en circulation, d’ici au 1er vendémiaire prochain.

Art. 31. — Ancune banque ne pourra se former dans les départements que sous l’autorisation du gouvernement, qui pourra leur en accorder le privilège; et les émissions de ses billets ne pourront excéder la somme qu’il aura déterminée. Il ne pourra en être fabriqué ailleurs qu’à Paris. Les articles 3,5,6,13,24 et 25 de la présente loi leur seront applicables.

Art. 32. — La moindre coupure des billets émis dans les vii les auxquelles le privilège en sera accordé sera de 250 francs.

Art. 33. — Aucune opposition ne sera admise sur les sommes en compte courant dans les banques autorisées.

Art. 34. — Les actions judiciaires relatives aux banques seront exercées au nom des régents, poursuites et diligences de leur directeur général.

Art. 35, — Il pourra être fait un abonnement annuel avec les banques privilégiées, pour le timbre de leurs billets.

Art. 36. — Les fabricateurs de faux billets, soit de la Banque de Franco, soit des banques des départements, et les falsificateurs de billets émis par elles, seront assimilés aux faux monnayeurs. poursuivis, jugés et condamnés comme tels.

(22 avril — 2 mai 1806).

LOI relative à la Banque de France

TITRE I.

Du privilège de la Banque.

Art. 1. — Le privilège accordé à la Banque de France par l'article 15 de la loi du 24 germinal an XI, pour quinze années à dater du ler vendémiaire an XII, est prorogé de vingt-cinq ans au delà des quinze premières années.

TITRE II.

Du capital de la Banque et du dividende actuel.

Art. 2. — Le capital de la Banque de France, fixé, par l’art. 2 de la loi du 24 germinal an XI, & 45,000 actions de 1,000 francs chacune en fonde primitif, non compris le fonds de réserve, sera porté à 90,000 actions de 1,000 francs chacune, non compris aussi le fonds de réserve.

Art. 3. — Les 45,000 actions nouvellement créées seront émises, et leur montant sera réalisé dans la caisse de la Banque, aux époques et dans les proportions graduées, telles que l'administration de la Banque les aura réglées.

Art. 4. — Les proportions du dividende réglé par l’article 8 de la susdite loi sont désormais, à compter du semestre qui ècherra le 21 septembre prochain, fixées ainsi qu’il suit: — Le dividende annuel se composera: 1° d’une répartition qui ne pourra excéder 6 pour 100 du capital primitif; 2° d’une autre répartition égale aux deux tiers du bénéfice excédant ladite répartition du 6 pour 100. — Le dernier tiers des bénéfices sera mis en fonda de réserve. Le dividende sera payé tous les six mois.

Art. 5. — L’administration de la Banque aura la faculté de faire le placement qui lui paraîtra le plus convenable du fonda de réserve qu’elle acquerra à l’avenir.

TITRE III.

De l'administration de la Banque.

SECTION I.

De l'assemblée générale de la Banque.

Art 6. — En conséquence des articles 10,11,12,13 et 14 de la loi du 24 germinal an XI, l’universalité des actionnaires de la Banque sera représentée par deux cents d’entre eux, qui, réunis, formeront l’assemblée générale de la Banque.

Art. 7. — L’assemblée générale nommera les régents et les censeurs; il lui sera rendu compte, chaque année de toutes les opérations de la Banque.

Art. 8. — Les quinze régents et les trois censeurs créés par l’article 15 de la loi du 24 germinal formeront le conseil général de la Banque.

Art. 9. — Cinq régents sur les quinze, et les trois censeurs, seront pris parmi les manufacturiers, fabricants eu commerçants, actionnaires de la Banque; trois régents seront prie parmi les receveurs généraux des contributions publiques.

SECTION II.

De la direction générale de la Banque

Art. 10. — La direction de toutes les affaires de la Banque, dé léguée à son comité centrai par la loi du 24 germinal an XI, sera désormais exercée par un gouverneur de la Banque de France.

Art. 11. — Le gouverneur aura deux suppléants, qui exerceront les fonctions qui leur seront par lui déléguées: ils auront le titre de premier et second sous-gouverneur. — Les sous-gouverneurs, dans l’ordre de leur nomination, rempliront les fonctions de gouverneur en cas de vacance, absence ou maladie.

Art. 12. — Le gouverneur et ses deux suppléants seront nommés par S. M. l'Empereur.

Art. 13. — Avant d’entrer en fonctions, le gouverneur justifiera de la propriété de 100 actions de la Banque, et chacun des sous-gouverneurs de la propriété de 50 actions.

Art. 14. — Il est interdit au gouverneur et à ses suppléants de présenter à l’escompte aucun effet revêtu de leur signature ou leur appartenant.

Art. 15. — Le gouverneur recevra annuellement de la Banque une somme de 60,000 francs pour honoraires; les deux sous-gouverneurs recevront chacun celle de 30,000 francs.

Art. 16. — Le gouverneur et les deux sous-gouverneurs prêteront entre les mains de S. M. l’Empereur le serment de bien et fidèlement diriger les affaires de la Banque, conformément aux lois et statuts.

SECTION III.

Du conseil général de la Banque

Art. 17. — Le conseil général de la Banque continuera à surveiller toutes les parties de l'établissement, à faire le choix des effets qui pourront être pris à l'escompte; à délibérer ses statuts particuliers et les règlements de son régime intérieur; à délibérer sur la proposition du gouverneur, tous traités généraux et conventions; à statuer sur la création et l’émission des billets de la Banque, payables au porteur et à vue; à statuer pareillement sur le retirement et l’annulation; à régler la forme de ces billets, à déterminer les signatures dont ils devront être revêtus; à délibérer sur l’émission des 45,000 actions créées par la présente loi; à déterminer, à l’avenir, le placement des fonds de réserve et à veiller sur ce que la Banque ne fasse d’autres opérations que celles déterminées par la loi, et selon les formes réglées par les statuts.

Les appointements et salaires des agents et employés de la Banque, et les dépenses générales de son administration, seront délibérée chaque année, et d’avance, par le conseil. Il présentera le compte annuel de la Banque à l’assemblée générale.

SECTION IV.

Des comités

Art. 18. — Les quinze régents et les trois censeurs seront répartis en cinq comités pour exercer les détails de surveillance des opérations de la Banque, savoir: le comité d’escompte, —le comité des billets, — le comité des livres et portefeuilles, — le comité des caisses, — le comité des relations avec le Trésor public et avec les receveurs généraux des contributions publiques. — Il entrera dans la formation de ce dernier comité au moins deux receveurs généraux régents.

SECTION V.

Des fonctions du gouverne de la Banque.

Art. 19. — Nul effet ne pourra être escompté que sur la proposition du conseil général et sur l’approbation formelle du gouverneur. — La nomination, la révocation et destitution des agents de la Banque seront exercées par lui. — Il signera seul, au nom de la Banque, tous traités et conventions; les actions judiciaires seront exercées au n tu des régents, à la poursuite et diligence du gouverneur; il signera la correspondance; il pourra néanmoins se faire suppléer à cet égard, ainsi que pour les endossements et acquits des effets actifs de la Banque. Le gouverneur présidera le conseil général de la Banque et tous les comités; nulle délibération ne pourra être exécutée si elle n’est revêtue de sa signature; il fera exécuter dans toute leur étendue les lois relatives à la Banque, les statuts et les délibérations du conseil général.

Art. 20. — Les sous-gouverneurs assisteront et auront voix délibérative au conseil général; ils prendront rang parmi les régents à raison de l’ancienneté de leur nomination.

— 423 —

TITRE IV.

Attributions du Conseil d’État et dispositions générales.

Art. 21. — Le Conseil d’État connaîtra, sur le rapport du ministre des finances, des infractions aux lois et règlements qui régissent la Banque, et des contestations relatives à sa police et administration intérieures. — Le Conseil d’État prononcera de même définitivement, et sana recours, entre la Banque et les membres de son conseil général, ses agents ou employés, toute condamnation civile, y compris les dommages-intérêts, et même soit la destitution, soit la cessation de fonctions. — Toutes autres questions seront portées aux tribunaux qui doivent en connaître.

Art. 22. — Les statuts de la Banque seront soumis à l’approbation de l’Empereur, sous la forme de règlement d’administration publique.

Art. 23. — La loi du 24 germinal an XI continuera de s’exécuter en tout ce qui n’est pas contraire à la présente.

_______________________

LOI du 30 Juin 1840

Art. 1. — Le privilège conféré h la Banque de Franco par les lois des 24 germinal an XI et 22 avril 1806 est prorogé jusqu’au 31 décembre 1867.

Néanmoins il pourra prendre fin ou être modifié le 31 décembre 1855, s’il en est ainsi ordonné par une loi votée dans l’une des deux sessions qui précéderont cette époque.

Art. 2. — Le capital de la Banque de Franco, représenté par soixante-sept mille neuf cents actions de 1,000 francs chacune, ne pourra être augmenté ou diminué que par une loi spéciale.

Art. 3. — Les effets publics français de toute nature pourront être admis comme garantie dans le cas prévu par l’article 12 du décret du 16 janvier. 1808.

Art. 4. — Les escomptes de la Banque auront lieu tous les jours, excepté les jours fériés.

Art. 5. — Le ministre des finances publiera, tous les trois mois, un état de la situation moyenne de la Banque pendant le trimestre écoulé.

Il publiera tons les six mois le résultat des opérations du semestre et le règlement du dividende.

Art. 6. — Les comptoirs d’escompte de la Banque de Franco ne pourront être établis ou supprimés qu’en vertu d’une ordonnance royale, rendue sur la demande de son Conseil général, dans la forme des règlements d’administration publique.

Art. 7. — Pourront être autorisées par des ordonnances rendues dans la méme forme, et sur la proposition du Conseil général de la Banque, les modifications qu’il serait nécessaire d’apporter aux dispositions du décret du 18 mai 1808, sauf toutefois les articles 42 et 43 dudit décret, qui ne pourront être modifiés que par une loi.

Art. 8. — Aucune banque départementale ne pourra être établie qu’en vertu d’une loi.

Les banques existantes ne pourront obtenir que par une loi la prorogation de leur privilège, ou des modifications à leurs statuts.

Art. 9. — A dater de la promulgation de la présente loi, les droits de timbre à la charge de la Banque seront perçus sur la moyenne des billets au porteur ou à ordre qu’elle aura tenus en circulation pendant le cours de l’année.

A partir du 1er janvier 1841, le même mode de perception sera appliqué aux banques autorisées dans les départements.

DÉCRET do 27 avril 1848.

Le gouvernement provisoire, vu les lois du 24 germinal an XI et du 22 avril 1806, le décret du 16 janvier 1808, et la loi du 30 juin 1840, relatifs à la Banque de France;

Vu le décret du 18 mai 1808 et l’ordonnance du 25 mars 1811 relatifs à l’organisation des comptoirs de la Banque de France;

Vu le décret du 15 mars dernier, dispensant la Banque de France de l’obligation de rembourser ses billets en espèces, et prescrivant qu’ils seront reçus comme monnaie légale par les caisses publiques et par les particuliers;

Vu le décret du 25 du même mois, dispensant également les Banques départementales de l’obligation de rembourser leurs billets, et statuant qu’ils seront reçus comme monnaie légale par les caisses publiques et par les particuliers, dans la circonscription du département où chacun de ces établissements a son siège;

Vu les délibérations des Conseils généraux ce des Conseils d'administration des banques de Rouen, de Lyon, du Havre, de Lille, de Toulouse, de Marseille, relatives à leur réunion à la Banque de France, savoir:

La délibération du Conseil d’administration de la banque de Rouen, en date du 14 avril courant; la délibération de l’Assemblée générale des actionnaires de la banque de Lyon, en date du 18 du même mois; les délibérations du Conseil d’administration de la banque du Hayre, en date du 8 et du 10 du même mois; la délibération du Conseil d’administration de la banque de Lille, en date du 10 du même mois; la délibération du Conseil d’administration de la banque de Toulouse, en date du 22 du même mois; les délibérations du Conseil d’administration de la banque d’Orléans, en date des 9 et 21 du même mois; la délibération du Conseil d'administration de la banque de Marseille, en date du 18 avril, et la dépêche télégraphique du 25 du même mois;

Vu les délibérations du Conseil général de la Banque de France, en date des 5,6,21 et 24 avril courant;

Vu enfin les actes intervenue les 24,25 et 26 du même mois, en exécution de ces délibérations, entre la Banque de France et les délégués des Conseils d’administration des banques de Rouen, de Lyon, du Havre, de Lille, de Toulouse, d’Orléans, de Marseille;

Considérant que les billets des banques départementales forment aujourd’hui, pour certaines localités, des signes monétaires spéciaux dont l’existence porte une perturbation déplorable dans toutes les transactions;

Considérant que les plus grands intérêts du pays réclament impérieusement que tout billet de banque déclaré monnaie légale puisse circuler également sur tous les points du territoire;

Vu le rapport du ministre des finances,

Décrète ce qui suit:

Art. 1. — La Banque de France et les banques de Rouen, de Lyon, du Havre, de Lille, de Toulouse, d’Orléans, de Marseille, sont réunies.

Art. 2. Les banques départementales énumérées à l’article précédent continueront à fonctionner comme comptoirs de la Banque de France, conformément aux règles déterminées par le décret du 18 mai 1808 et par l’ordonnance du 25 mars 1841.

Le nombre actuel des administrateurs de ces banques départementales est maintenu, ainsi que les conseils d’escompte organisés pour le Service de quelques-unes d’entre elles.

Le nombre d’actions dont la possession est actuellement exigée en garantie de la gestion des directeurs, censeurs, administrateurs et membres des Conseil d’escompte de ces banques départementales, est provisoirement maintenu.

Art. 3. — Les actions de ces banques sont annulées; les actionnaires recevront, en échange, des actions de la Banque de Franco, valeur nominale de 1. 000 francs, contre-valeur nominale de 1,000 francs.

Art. 4. — Pour l’exécution de l’article précédent, la Banque de France est autorisée à émettre 17,200 actions nouvelles, ce qui portera son capital à 85,100 actions de 1,000 francs chacune.

Art. 5. — Par la cession de ces nouvelles actions aux actionnaires des banques de Rouen, de Lyon, du Havre, de Lille, de Toulouse, d’Orléans, de Marseille, la Banque de France devient propriétaire de l’actif de ces banques et sera chargée de leur passif.

Les fonds de réserve existant dans chacune de ces banques seront ajoutés aux fonds de réserve de la Banque de France.

La réunion des propriétés mobilières et immobilières, résultant du présent. article, sera soumise au droit fixe d’enregistrement concernant les actes de société.

Art. 6. — La Banque de France est autorisée à ajouter an maximum de circulation fixé par le décret du 15 mai dernier le maximum de circulation fixé pour chacune de ces banques départementales par le décret du 25 du moine mois.

A partir de la promulgation du présent décret, les billets émis pas les banques incorporées à la Banque de France seront reçus dans toute l’étendue de la République, comme monnaie légale, par les caisses publiques et par les particuliers.

Dans les six mois qui suivront, les porteurs desdits billets seront tenus de les présenter à la Banque de France ou à ses comptoirs pour les échanger contre des billets de comptoir.

Passe ce délai, ces billets cesseront d’avoir cours de monnaie légale, sans toutefois que la Banque de France et ses comptoirs soient affranchis de l’obligation de les échanger.

Art. 7. — Les inspecteurs des finances, sur l’ordre du ministre des finances, pourront vérifier la situation des comptoirs.

Art. 8. — A l’avenir, les comptoirs de la Banque de Franco porteront la dénomination servante: Banque de Frange. — Succursale de...

LOI du 9 juin 1857.

Art. 1. — Le privilège conféré à la Banque par les lois des 24 germinal an XI,22 avril 1806, et 30 juin 1840, dont la durée expirait le 31 decembre 1867, est prorogé de trente ans, et ne prendra fin que le 31 décembre 1897.

Art. 2. — Le capital de la Banque, représenté aujourd’hui par 91,250 actions, sera représenté désormais par 182,500 actions, d’une valeur nominale de 1,000 francs chacune, non compris le fonds de réserve.

Art. 3. — Les 91,250 actions nouvellement créées seront exclusivement attribuées aux propriétaires des 91,250 actions actuellement existantes, lesquels devront en verser le prix à raison de 1,100 francs par action dans les caisses de la Banque, trimestre par trimestre, dans le délai d’un an au plus tard, à partir de la promulgation de la présente loi.

L’époque du premier payement et les conditions auxquelles les actionnaires pourront être admis à anticiper les payements ultérieurs seront fixées par nne décision de la Banque.

Art. 4. — Le produit de ces nouvelles actions sera affecté, jusqu’à concurrence de 91,250,000 francs, à la formation du capital déterminé par l’article 2, et, pour le surplus, à l’augmentation du fonds de réserve actuellement existant.

Art. 5. — Sur le produit desdites actions, une somme de 100 millions sera versée au Trésor public, dans le courant de 1859, aux époques qui seront convenues entra le ministre des finances et la Banque.

Cette somme sera portée en atténuation des découverts du Trésor.

Le ministre des finances est autorisé à faire inscrire sur le grand, livre de la dette publique la somme de rentes 3 pour 100 nécessaire pour l’emploi de ladite somme de 100 millions.

Un fonds d'amortissement du centième du capital nominai desdites rentes sera ajouté à la dotation de la caisse d'amortissement.

Les rentes seront transférées à la Banque de France au cours moyen du mois qui précédera chaque versement, sans que ce prix puisse être inférieur à 75 francs.

Art. 6. — Sur les rentes inscrites au Trésor au nom de la caisse d’amortissement, et provenant des consolidations du fonds de réserve de l’amortissement, il sera rayé du grandlivre de la dette publique une somme égale à celle des rentes créées par l’article précédent.

Les rentes seront définitivement annulées en capital et arrérages à dater du jour où les rentes nouvelles seront transférées à la Banque.

Art. 7. — La faculté accordée à la Banque de faire des avances sur effets publics français, sur actions ed obligations de chemins de fer français, sur obligations de la ville de Paris, est étendue aux obligations émises par la Société de crédit foncier de France.

Les dispositions générales qui régleront le mode d’exécution du paragraphe précédent devront être approuvées par un décret.

Art. 8. — La Banque de France pourra, si les circonstances l’exigent, élever au dessus de 6 pour 100 le taux de ses escomptes et l’intérêt de ses avances.

Les bénéfices qui seront résultés, pour la Banque, de l’exercice de cette faculté, seront déduits des sommes annuellement partageables entro les actionnaires et ajoutés au fonds social.

Art. 9. — La Banque de France aura la faculté d’abaisser à 50 francs la moindre coupure de ses billets.

Art. 10. Dix ans après la promulgation de la présente loi, le gouvernement pourra exiger de la Banque de France qu’elle établisse une succursale dans les départements où il n’en existerait pas.

Art. 11. — Les intérêts qui seront dus par le Trésor à raison de son compte courant, seront réglés sur le taux fixé par la Banque pour l’escompte du papier de commerce, mais sans qu’il puisse excéder 3 pour 100.

Art. 12. — Un règlement d’administration publique déterminera, à l’égard des actionnaires incapables et des actionnaires en retard de versement, les mesures nécessaires & l’exécution de la présente loi.

LEGGI che regolano in Inghilterra il servizio di tesoreria e l'emissione dei biglietti di Banca

22 Maggio 1834 Riordinamento

dell'ufficio dello Scacchiere e passaggio del servizio di tesoreria alla Banca.

Anno IV.

GUGLIELMO IV RE

Con atto del 57° anno del Regno di Sua Maestà il defunto Re Giorgio III intitolato — Atto per Uffizi dell'Erario di Sua Maestà in Inghilterra ed in Irlanda rispettivamente — essendo stato stabilito: che le cariche di contabile e di cassiere dell’Erario di Sua Maestà in Inghilterra ed in Irlanda rispettivamente, non che quelle di segretari addetti alla tesoreria in Inghilterra ed in Irlanda rispettivamente, erano cariche che bisognava riordinare più economicamente, salvando gli interessi esistenti;fu disposto che divenendo d’allora in poi tali cariche vacanti, sarebbe in diritto il gran tesoriere del Regno unito della Gran Bretagna ed Irlanda, o delegati della tesoreria di Sua Maestà di regalare il ministero ed i stabilimenti di tali uffici. Dovranno perciò questi eseguirsi personalmente, da idonee e competenti persone quali i detti delegati crederanno sufficienti e necessarie; e con gli onorari o profitti che saranno stabiliti ed assegnati dai medesimi a questo riguardo. I detti delegati presenteranno al Parlamento un prospetto del nuovo ordinamento e di tutti i rispettivi uffici cosi regolati, non che di tutte le norme sopra menzionate, unitamente ad un ragguaglio del numero degl’impiegati e relativi stipendi, ed un prospetto dell’antecedente ordinamento ed uffici rispettivi. E poiché vennero con detto atto affidati i necessari poteri ai commissari del tesoro di Sua Maestà, gli uffici di contabile dell’Erario e di segretario del medesimo in Irlanda sono stati aboliti; e sono state fatte diverse modificazioni negli uffizi del cassiere dell’Erario in Irlanda e del segretario dell’Erario in Inghilterra;

e poiché Sua Maestà si compiacque con suo Reale Brevettò in data 21 giugno 1830 di nominare delegati onde esaminassero il modo con cui si amministrano e raccolgono le pubbliche rendite ed il modo in cui il pubblico danaro vien percetto, conservato, ed emesso dalla tesoreria dell’Erario di Sua Maestà; e come col suo reale Brevetto in data 8 luglio 1831, si compiacque nominare altri delegati, onde esaminare tutti gli atti del cassiere riguardo al modo di ricevimento e pagamento del pubblico denaro; nonché il modo di tenerne i conti. E poiché da un rapporto che è stato fatto dai suddetti ultimi menzionati delegati della tesoreria in data 8 ottobre susseguente, fu proposto di adottare varie modificazioni, cambiamenti e miglioramenti nella sezione dell’Erario relativa alla riscossione del danaro, non che sul modo di tenere i conti. E siccome si è reso necessario di attuare alcune delle disposizioni proposte nella detta relazione e a questo scopo riformare la costituzione dell’Erario a Westminster; e effettuando il miglioramento progettato malgrado gli esistenti interessi de’ vari uffici dell’Erario che non sono ancora stati determinati, è stato perciò decretato dall’Eccellentissima Maestà del Re, dal consiglio e col consiglio dei Lorda spirituali e temporali, e dai Comuni che sono riuniti in quest’attuale Parlamento, e della autorità dello stesso:

I — Che dal cominciamento e dopo il cominciamento di quest’atto, i vari uffizi esistenti nell’Erario a Westminster; cioè: gli uffizi di contabile e di ciascuno dei quattro relatori dell’Erario, e del capo commesso addetto alla tesoreria, ed i diversi uffizi che sono a questo subordinati, siano da questo tempo aboliti; ed a questo fine, che le diverse Patenti, Brevetti ed Autorità, sotto cui gli stessi sono stati e sono rispettivamente tenuti, cesseranno d’ora in avanti e diverranno assolutamente invalidi, ed in luogo dei detti diversi uffizi, la costituzione e lo stabilimento dell’Erario consisterà dei seguenti impiegati; cioè: di un Registratore Generale del ricevimento e pagamento dill’Erario di Sua Maestà, con un annuale onorario di lire sterline duemila; di un assistente registratore, di un capo commesso, e di tale numero di commessi e di assistenti, con tali onorari come saranno stabiliti e regolati dai delegati del Tesoro di Sua Maestà.

II — Sia inoltre decretato: Che l’impiegò del detto registratore sarà accordato mediante lettere Patenti, sotto il Gran Sigillo del Regno unito della Gran Bretagna ed Irlanda, e che tale impiego continuerà durante la buona condotta dell'impiegato, il quale sarà soggetto ad essere dimesso da Sua Maestà o dagli Eredi o Successori della medesima;

come pure da un’ istanza fatta dalle due Camere del Parlamento per l’abolizione o riforma di tale ufficio in avvenire. In caso che il registratore debba assentarsi dal suo Ufficio sia per malattia che per necessità, un capo commesso ne farà le veci.

III — Sia inoltre decretato: Che il detto registratore non potrà mai tenere due cariche governative nello stesso tempo, né potrà mai sottoporsi ad alcun impiegato governativo.

IV — E sia inoltre decretato: Che tutti i Poteri ed Autorità che presentemente sono affidate al contabile dell’Erario e capo commesso del medesimo, saranno dal cominciamento e dopo il cominciamento di quest'Atto trasferiti ed affidati allo stesso registratore assoggettato però alle prescrizioni di quest’atto, eccettuati tutti i cambiamenti che quest’atto possa determinare.

V — Sia inoltre decretato: Che il detto registratore, l’aiutante registratore, il capo commesso e gli altri commessi dovranno esercitare personalmente le rispettive loro cariche; l'ufficio dell’Erario sarà tenuto aperto per i pubblici affari, e quivi sempre saranno presenti gl’impiegati e commessi che sono addetti al medesimo per tutto l’anno, in tutti i giorni, e durante quelle solite ore in cui l'ufficio del Tesoro di Sua Maestà è tenuto aperto.

VI — Sia inoltre decretato: Che i delegati attuali del Tesoro avranno il potere di stabilire ed ordinare di quali libri, registri e garanzie, il detto ufficio dell’Erario debbasi servire, com’ essi crederanno necessario per la sicurezza, economia ed interesse del pubblico servizio. Ed avranno pure il potere di stabilire quali procure, specificazioni, atti ed altri documenti, che per lo scopo di quest’atto, sarà necessario esercitare negli stessi uffìzi del Tesoro e dell’Erario, come pure in qualunque altro uffizio governativo. E gli stessi delegati avranno pure il potere di stabilire in che modo saranno esaminate, regolate ed approvate le varie domande fatte alla tesoreria per i crediti, per i servizi dei rispettivi Dipartimenti delle spese; e parimenti in quali libri, ed in qual modo i diversi istrumenti richiesti ed autorizzati da questo Atto, saranno appuntati, registrati ed operati. Ed essi avranno pure il potere di stabilire come i rendiconti debbono essere fatti dal detto registratore ai delegati del Tesoro, nonché le varie epoche nelle quali questi devono essere fatti.

VII. — E sia ancor decretato: che nell’undicesimo giorno di ottobre 1834, tutti i libri, registri, atti, carte, documenti e garanzie qualsiasi  riguardanti l’ufficio dei ricevimenti dell'Erario, e tutti i campioni di pesi e misure, e pezzi d’oro, d’argento e di rame, nonché tutti gli altri articoli

dei beni pubblici (eccettuato il denaro che è dato per sicurtà, e tali documenti come sono da questo atto regolati, ad essere indirizzati ai delegati della tesoreria), allora in custodia, potere o sorveglianza del contabile, o dei cassieri, o del commesso della tesoreria dell’Erario a Westminster, o di qualche altro impiegato o commesso, saranno tutti consegnati alla oustodia del detto registratore, che allora s’incaricherà dei medesimi. E da quel tempo in poi i commessi ed impiegata a lui subordinati, faranno ed eseguiranno tutti questi atti, affari e cose relative ai detti pesi e misure, e pezze d’oro, d’argento e di rame, come per lo addietro fu o doveva esser fatto da qualche impiegato dell’Erario di Sua Maestà.

VIII. — E sia inoltre stabilito: che in quello stesso giorno 11 ottobre e tra le ore 10 ant. e 4 pom. tutte le somme, sia in contanti, sia altrimenti, e tutti i biglietti, note e cauzioni per somme appartenenti alla Corona, esistenti nelle casse o nei depositi o a disposizione dei referendarii (tellers) dello scacchiere di S. M. , o di qualsiasi ufficiale dipendente da essi, o dei quali essi od alcuno di essi sia addebitato od addebitabile, saranno pagate alla Banca d’Inghilterra a credito dello scacchiere di S. M., e che si aprirà dal Governatore e Compagnia della detta Banca un conto che si intitolerà conto dello scacchiere di S. M. , e che ognuno dei suddetti referendarii ed altri ufficiali dello scacchiere che facciano alla Banca un pagamento qualunque di tal natura, debbano al tempo stesso consegnare una specificazione o stato in scritto e per duplicato, firmato col proprio nome, enumerando i particolari di tale pagamento e dimostrando l’ammontare totale di esso al cassiere della Banca o ad up altro ufficiale a ciò destinato, il quale lo registrerà in un libro da tenersi all’uopo, e firmerà un atto dimostrante tale entrata essersi effettuata, e trasmetterà uno di questi duplicati al controllore dello scacchiere, ed una copia autenticala ai commissarii del tesoro, e l’altro di questi duplicati, certificato e firmato dal suddetto cassiere od altro ufficiale come sopra, dovrà restituirsi alla persona che avrà fatto il pagamento, che la depositerà presso il. suddetto controllore dello scacchiere, dal quale si farà una ricevuta da esso firmata e data alla parte che avrà fatto il pagamento, e che sarà per questa una cautela legale e sufficiente verso i revisori (auditore) dei pubblici conti, ed ogni altra persona, purché tuttavia la parte facente il pagamento, trasmetta nel tempo istesso al controllore ed anche ai commissarii del tesoro ano stato dei particolari di tali pagamenti, dimostrante la sorgente dalla quale deriva

la somma pagata ed i servizi ai quali era destinata; e purché anche quelle tali somme, sia in contanti, sia altrimenti, che si abbiano a pagare all’uopo dai sud detti referendarii rimangano imputabili ed assegnate ai servizii per i quali qualsivoglia di tali somme è ora specificatamente applicabile, e sia altresì stabilito che i commissari dello scacchiere possano legalmente autorizzare il controllore dello scacchiere ad applicarli in tale maniera.

IX — E sia stabilito che dall’11 ottobre in poi tutto il danaro pubblico che prima dell’esecuzione di quest’atto, sarà stato pagabile allo scacchiere di S. M. a Westminster sarà versato nella Banca d’Inghilterra a credito dello scacchiere, e che la parte pagante qualsiasi di tali somme, o per cui conto esso sia per pagarle, dovrà rilasciare in pari tempo uno specchio o stato dei particolari, per iscritto ed in duplice copia e di propria mano, da essere previamente controfirmato dal controllore o suo assistente, al cassiere od uffiziale della Banca ricevente il pagamento da essere da lui registrato nel modo già stabilito; ed uno dei suddetti duplicati dopo essere stato certificato e firmato dal detto cassiere, od ufficiale come sopra, debba essere restituito alla parte che fece il pagamento, perché possa in seguito ottenere dal controllore una ricevuta nel modo più sopra regolato per i pagamenti fatti dai téllcrs; ed alla chiusura di ogni giorno, nel quale si sarà fatto un pagamento per conto dello scacchiere alla Banca, si debba trasmettere dal cassiere od altro ufficiale di quello stabilimento al detto controllore l’altro dei suddetti specchi in duplo (coll’entrata marcata sopra di ognuno) insieme ad uno stato dei particolari di tutte le somme pagate in quel giorno alla Banca, ed una copia di tale stato, certificato dal cassiere, od altro ufficiale a ciò autorizzato, debba essere trasmesso dalla Banca al commissario del Tesoro.

X — E sia stabilito che tutte le somme versate nella Banca di Inghilterra per conto dello scacchiere dovranno essere riguardate d a Governatore e dalla Compagnia di detta Banca come costituenti un fondo unico sui loro registri, e che tutti i mandati ed ordini da essere emessi dal controllore dello scacchiere per crediti ai vari ufficiali, ai quali sia da pagare una somma per i servizi pubblici, debbano essere estinti mediante questo fondo generale, purché tuttavolta nei conti da essere tenuti dal controllore dello scacchiere e dai commissarii del Tesoro, gli introiti, crediti e sortite siano trascritti nei differenti e rispettivi conti, ai quali essi distintamente e rispettivamente appartengono secondo le disposizioni dell’atto, o degli atti sotto l’autorità dei quali il danaro è introitato,

ed i crediti e pagamenti regolati; e purché nel regolare il trasferimento di qualsiasi credito dal conto generale dello scacchiere di S. M. alla Banca d’Inghilterra si osservino e seguano strettamente tutte le norme dei differenti statuti ora in vigore dovunque è autorizzata e regolata la appropriazione del fondo consolidato della Gran Brettagna ed Irlanda.

XI — E sia altresì stabilito che dalla applicazione di quest’atto in poi ogni qualvolta per atto del Parlamento, o per voto della Camera dei Comuni sia accordato a S. M. una somma o più somme per un ramo speciale di pubblico servizio; e che i mezzi di sussidi siano stati parimenti accordati per soddisfarvi in modo soddisfacente, sia facoltativo per S. M. mediante un suo Regio ordine, sotto la sua R. firma, controsignato dai commissari del Tesoro, di autorizzare e richiedere il detto controllore di assegnare presso la Banca di Inghilterra a credito del pubblico contabile della Corona, nel rispettivo ramo di servizio, lo ammontare della somma cosi accordata e votata, a quella data, ed in quelle proporzioni che saranno regolate volta per volta dai suddetti commissari, e per esser applicate dal detto funzionario al detto servizio; e che codesto R. ordine abbia a contenere un riferimento allo speciale atto o voto del Parlamento, ed abbia altresì, dopo essere stato protocollato ed interinato dai commissari del Tesoro nei proprii libri, ad essere trasmesso al detto controllore per essere interinato nel protocollo e rimanere nel suo ufficio, avendo il detto controllore anzitutto accertato egli stesso che il detto ordine fu fatto in conformità e nei limiti dell’ammontare della facoltà concessa dal Parlamento.

XII — E sia inoltre stabilito che i Commissarii del Tesoro potranno legalmente autorizzare e richiedere il suddetto controllore per mezzo di mandato di proprio pugno, di volta in volta, come sembrerà loro spediente ed opportuno, a trasferire dal fondo generale dello scacschiere presso la Banca al credito dei rispettivi ufficiali che dovranno eseguire pagamenti per conto dei differenti dipartimenti pubblici, quelle somme che saranno necessarie per provvedere ai rispettivi servizii; ed ognuno di questi mandati debba contenere la sostanza dell’ordine Reale sul quale si fonda, riferendo l’atto o voto in esso menzionato, e specificare il totale ammontare delle somme che tale ordine autorizza ad emettere ed i crediti (se ve ne furono) che già si emisero previamente in conto, ed il recto che rimane ad emettere; ed alla ricevuta di ognuno di questi mandati all’ufficio del detto controllore, lo stesso sarà confrontato con l'ordine reale, e con tutti i mandati anteriori, (se ve ne furono)

fatti a tal uopo; ed il detto controllore dopo avere accertato che tale mandato fu fatto in conformità e nei limiti dell’ordinanza regia, abbia da autorizzare di volta in volta, (in esecuzione dei relativi ordini dei commissari del Tesoro) per mezzo di un mandato di suo pugno, il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra ad aprire crediti in conto della somma o somme in esso menzionate, il quale mandato si consegnerà al detto Governatore e Compagnia, che ricevendolo accorderà il credito chiesto in esso.

XIII — E sia inoltre stabilito che in tutti i casi di sussidi accordati dal Parlamento ed addebitati al fondo consolidato del Regno Unito, o sopra qualsiasi danaro pubblico specialmente destinato da un atto od atti del Parlamento per qualche oggetto o servizio particolare, ed in tutti i casi nei quali per un’ atto od atti qualsiasi od altra legale autorità, l’uditore dello scacchiere è ora richiesto di fare e spedire mandati pel pagamento di tale assegno od assegni, i detti commissari del Tesoro abbiano facoltà, e siano con quest’atto richiesti di autorizzare e richiedere il controllore suddetto per mezzo di mandato da loro sottoscritto, e senza alcuna ordinanza regia come sopra, ad accreditare le diverse persone cui può incombere di pagare tali assegni, colle somme richieste per tale effetto; ed ognuno dei mandati summentovati abbiano a contenere un riferimento all’atto od agli atti del Parlamento, pei quali tali somme siano state assegnate al detto fondo o sopra quello altro pubblico danaro specialmente a ciò destinato; ed il detto controllore, dietro ricevuta del mandato, dopo essersi assicurato che il pagamento in esso ordinato è debitamente autorizzato dalla legge, darà di volta in volta, secondo le norme stabilite per tale effetto dai Commissari del Tesoro, e per mezzo di mandato per iscritto, facoltà ed ordine al Governatore ed alla Compagnia della Banca di Inghilterra, di aprire crediti per conto della somma o delle somme menzionate nel mandato della tesoreria all’ufficiale ed alla persona cui spetti di fare il pagamento; ed il detto Governatore e Compagnia dietro ricevimento di tale mandato del controllore apriranno il credito per esso ordinato.

XIV — Ed avvertasi altresì (e questo sia pure stabilito) che nei casi in cui qualche credito sia aperto ad alcuna persona dal detto Governatore e Compagnia in esecuzione di quest’atto, veruna somma abbia ad essere trasferita dal conto dello scacchiere di S. M. finché essa non sia effettivamente pagata dalla Banca alla persona alla quale tal credito fa aperto od a chi per essa; ed avvertasi alt resi che nulla di quanto è contenuto in quest’atto abbia per effetto di alterare od influire

sui regolamenti attualmente in vigore in forza di atto od atti riflettenti il pagamento degli interessi del Debito pubblico.

XV — E qualora si riguardasse necessario di provvedere al pagamento di stipendi, indennità, ed altri assegni pagati finora in dettaglio dallo scacchiere, sia inoltre stabilito perciò che dalla applicazione di questo atto in poi tutti gli stipendi, indennità, gratificazioni, od altri assegni ora pagabili in dettaglio dallo scacchiere in seguito ad autorità del Parlamento, o sotto il regio sigillo, o sotto l’autorità dei commissari del Tesoro debitamente autorizzati da legge ad ordinare simili pagamenti, si paghino da un mastro pagatore od ufficiale, da essere perciò nominato dai commissari del Tesoro, con un numero di impiegati od assistenti tale, che sia reputato necessario dai suddetti commissari, per condurre ed eseguire pienamente i differenti uffìcii che sono connessi ed in relazione a tali pagamenti, i quali uffìcii si eseguiranno dal detto mastro pagatore e suoi dipendenti colle regole che verranno di volta in volta stabilite dai detti commissari; e che appena sarà fatta tal nomina, si consegnino e rimangano in custodia dei detti commissari del Tesoro tutte le carte e documenti necessari ai commissari del Tesoro per discarico del mastro pagatore, e che si troveranno allora in custodia ed in potere di alcuno degli ufficiali dello scacchiere.

XVI — E sia inoltre stabilito che i differenti libri da tenersi nell'ufhcio del controllore generale dello scacchiere e nell’ufficio del mastro pagatore da nominarsi secondo le disposizioni di questo atto, siano considerati cerne protocolli e siano ricevuti come tali in tutte le corti di legge ed equità od altrove, come prove delle entrate in essi rispettivamente contenuti, e dei debiti in essi imputati contro i differenti e rispettivi contabili della Corona.

XVII — E sia inoltre stabilito che i detti conti dell'uffiziale pagatore saranno tenuti alla Banca d’Inghilterra e considerati per ogni effetto come conti pubblici.

XVIII — E sia inoltre stabilito che i commissari del Tesoro trasmetteranno prima del termine fissato pell’esecuzione di quest’alto, e poscia di volta in volta quando lo giudicheranno necessario, alla Banca d'Inghilterra ed al controllore dello scacchiere una lista dei varii pubblici uffiziali e degli individui incaricati di tenere i conti pubblici alla Banca d'Inghilterra, e che in caso di morte, dimissione o rimozione di qualsiasi di tali pubblici ufficiali ed individui,

il bilancio dei loro crediti sui fondi dello scacchiere, come pure il bilancio di Cassa relativo ai pubblici conti nei libri della Banca, saranno al momento della nomina dei loro successori, a meno che la legge stabilisca altrimenti, investiti e trasferiti in conto di questi successori; e in caso di morte di alcuno di tali individui non saranno imputati nella successione del defunto, né saranno in alcun modo soggetti al controllo dei suoi personali rappresentanti.

XIX — E sia inoltre stabilito che in tutti i pagamenti che saranno fatti e nei conti che saranno tenuti in virtù di quest’atto, si escluderanno le frazioni di un Penny.

XX — Bia inoltre stabilito che il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra trasmetteranno, come sono qui richiesti di fare, al detto controllore, un conto giornaliero dei vari pagamenti effettuati nel corso del giorno precedente per rapporto ai crediti dal medesimo accordati; ed il detto Governatore e la Compagnia trasmetteranno parimenti ogni settimana ai commissari del Tesoro nno stato specificato delle somme di denaro pagate nel corso della settimana precedente', per lettere di cambio cd all’ordine di tutte le persone alle quali il detto Governatore e la Compagnia apersero credito conformemente ai mandati del detto controllore, distinguendo i pagamenti per ogni conto; e trasmetteranno pure nno stato del bilancio del denaro rimasto nella Banca alla fine della medesima settimana per conto dello scacchiere; e tutti questi diversi stati saranno autenticati dalla firma di nno dei cassieri od altri funzionari della Banca da nominarsi all’uopo.

XXI — Sia inoltre stabilito che nessuna lettera di cambio tratta su qualsiasi uffiziale pubblico o dipartimento di pubblico servizio ed accettata come pagabile alla Banca d’Inghilterra, e nessuna cambiale od altro ordine di pagamento di denaro tratto da qualsiasi persona autorizzata a farlo pel pubblico servizio, saranno dal giorno dell’esecuzione di quest’atto in poi pagabili alla Banca d’Inghilterra dopo le ore tre pomeridiane di ciascun giorno.

XXII — E quando per ragioni delle modificazioni che in forza di quest’atto saranno introdotte nei provvedimenti e sugli atti dello scacchiere di S. M. per rispetto all’entrata ed alla uscita del pubblico denaro, fosse necessaria la prescrizione di nuovi regolamenti per norma dei vari ricevitori generali ed altri ricevitori di entrate nei loro rapporti colla Banca d’Inghilterra, sia inoltre stabilito che i commissari del Tesoro saranno autorizzati di volta in volta ad emanare norme e regolamenti

per la tenuta dei conti dei rispettivi di partimenti del Tesoro colla Banca d’Inghilterra e pel pagamento del pubblico denaro percepito da tali dipartimenti per conto dello scacchiere, le quali norme e regolamenti saranno notificate dai commissari del Tesoro al Governatore ed alla Compagnia della Banca d’Inghilterra, nonché ai vari rispettivi dipartimenti del Tesoro acquistando piena forza ed autorità per essere osservati da tutti gli enti morali e da tutte le persone in rapporto a tutte le cose in essi contenute, e tutto ciò nonostante qualsiasi atto od atti in contrario.

XXIII — Sia inoltre stabilito che dall’esecuzione di quest’atto in poi il controllore dello scacchiere trasmetterà ogni anno, entro la settimana successiva alla fine d’ogni trimestre, ai commissari revisori dei pubblici conti uno stato di tutti i pagamenti fatti alla Banca per conto dello scacchiere e di tutti i crediti pei quali vennero da lui spiccati mandati sopra la Banca nel corso del trimestre, nonché uno stato di tutte le somme ritirate dai rispettivi titolari nel corso del trimestre, come gli è certificato dal Governatore e dalla Compagnia del Banco d’Inghilterra; il detto controllore provvederà eziandio perché sia preparato e deposto il 20 aprile d’ogni anno innanzi ai due rami del Parlamento, se il Parlamento è in tale epoca riunito, ed in caso contrario entro 7 giorni dalla sua più prossima riunione, un conto da lui redatto per l’anno precedente fino alla data del 5 aprile; conto che deve indicare l’ammontare di tutte le somme ricevute durante quel periodo per conto dello scacchiere di S. M. , distinguendo eziandio tali somme per ciascuno titolo rispettivo delle pubbliche entrate, indicando pure l’ammontare di tutti gli ordini reali e mandati di Tesoreria da lui ricevuti ed i pagamenti fatti dalla Banca su crediti aperti come sopra, sotto i rispettivi titoli suindicati, e stabilendo il bilancio delle somme per conto dello scacchiere alla chiusura dell’anno, il quale conto sarà accompagnato da un certificato sottoscritto dal primo cassiere della Banca d’Inghilterra richiesto con quest’atto di dichiarare in tale conto le somme effettivamente rimaste sui libri della Banca a credito dello scacchiere di S. M. il cinque aprile suddetto.

XXIV — Sia inoltre stabilito che il conto annuo compilato per ogni scadenza trimestrale che, in forza di un atto emanato nel decimo anno del regno del defunto re Giorgio IV, i commissari del Tesoro devono preparare delle entrate e spese effettive del Regno Unito secondo le effettive percezioni e pagamenti di somme fatti dallo scacchiere di S. M., sarà, dall’applicazione di quest’atto in poi,

per quanto concerne la Gran Brettagna, compilato in base alle percezioni effettive della Banca per conto dello scacchiere e dei crediti accordati verso di essa per mezzo dei mandati del controllore; ed il residuo che Tatto nominato sopra stabilisce di destinare alla riduzione del debito nazionale essendo accertato in quel conto, sarà destinato all’uso e nel modo stabilito dall’atto medesimo.

XXV — Ed essendosi riconosciuto che il sistema che ha finora prevalso di prendere e dedurre somme a titolo di aggi sui pagamenti di pubblico danaro ai vari dipartimenti, è dispendioso e non conveniente, si è stabilito che dall’applicazione di quest’atto in poi gli aggi finora addebitati e presi dallo scacchiere per pagamenti di denaro ai vari dipartimenti dello Stato, od a contabili della Corona per pubblici servizi e per riscossioni di denaro dagli stessi, cesseranno di essere d’ora innanzi pagati; e che in tutti i casi nei quali qualunque pagamento fatto ad individui dallo scacchiere venne finora sottoposto ad aggi o deduzioni, i commissari del Tesoro saranno autorizzati e con quest’atto sono invitati dal giorno della sua applicazione, a ridurre tutti i pagamenti di tal natura ai vari e rispettivi ammontari netti fin qui percepiti dallo scacchiere dalle varie rispettive parti.

XXVI — Sia inoltre stabilito che dall’esecuzione di quest’atto in poi tutti i biglietti dello scacchiere che saranno da quel punto in poi emanati dietro l’autorità di qualsiasi atto del Parlamento, saranno redatti e numerati nell’ufficio del detto controllore nel tempo e colle forme che i commissari del Tesoro saranno di volta in volta per stabilire; e che i vari regolamenti relativi alla compilazione, spedizione e pagamento dei biglietti dello scacchiere, stabiliti da un atto passato nel 48° anno del regno di Giorgio III, col titolo: «Atto che regola le spedizioni ed i pagamenti dei biglietti dello scacchiere e qualsiasi altro atto od atti concernenti la spedizione e l'applicazione di biglietti dello scacchiere in virtù degli atti medesimi» continueranno ad essere in vigore, salvo per ciò che dei medesimi resta derogato da qualcuna delle disposizioni del presente atto; e che tutti i biglietti di tale natura saranno sottoscritti dal controllore suddetto od in nome di lui dal suo assistente, e verranno emanati ed applicati pel pubblico servizio nel tempo e nei modi e secondo le norme che sieno specialmente stabilite in proposito da atti attualmente in vigore provvedendo i detti controllori a che i biglietti in discorso siano fatti e spediti secondo la legge.

XXVII — Sia inoltre stabilito che un rapporto esponente tutte le ordinanze ed i regolamenti e descrittivo di tatti i libri, forme di conti

e certificazioni che saranno ordinati e prescritti dai commissari del Tesoro, verrà presentato al Parlamento non più tardi del 5 aprile 1635 se il Parlamento siederà a tale epoca, ed in caso contrario entro le sei settimane dal giorno della sua più prossima riunione.

XXVIII — Sia inoltre stabilito che se qualsiasi persona contraffacesse od alterasse, o procurasse la fabbricazione, contraffazione od alterazione, o scientemente o volontariamente agisse, aiutasse od assistesse nel fabbricare, contraffare od alterare qualsiasi mandato, ordini di pagamento od altri documenti qualunque regolati od autorizzati da questo atto per essere spediti a fatti, od asserisse o pubblicasse come vera, o scientemente o volontariamente agisse, aiutasse od assistesse nell'asserire o proclamare come vero, sapendo che esso è fabbricato, alterato, o controffatto qualsiasi mandato od ordine di pagamento od altro qualsivoglia documento, nell’intento di defraudare S. M., il Governatore e la Compagnia della Banca d'Inghilterra od altra qualsiasi persona o persone, l’individuo resosi reo di tal fatto sarà dichiarato reo di fellonia, e se convinto deportato oltre mare per il resto della sua vita.

XXIX — Ed essendo giusto e ragionevole che sia dato pieno compenso ai varii ufficiali dello Scacchiere che tengono i loro impieghi o a vita durante la loro buona condotta, si è quindi stabilito che sarà per questo accordato al conte Enrico Bathurst ed al signor Spencer Percivalle, due degli attuali referendari dello scacchiere di Westminster rispettivamente durante la loro vita, in rate trimestrali, l’ammontare degli onorari annuali ai quali essi hanno ora rispettivamente diritto in vista dei loro impieghi; e sarà pagato al molto onorevole sig. Enrico Elia attualmente segretario dello scacchiere di Westminster, e che pure mantenne nel suo ufficio lodevole condotta, la somma annua di 1400 lire sterline ammontare del suo presente stipendio per rate trimestrali; purché in ogni coso una parte proporzionale di tali somme venga pagata agli esecutori od amministratori delle diverse parti respettive, nell’evento di morte di qualunque di essi che avvenisse nel corso di un trimestre;

XXX — E siccome il nobiliss. Giovanni Jeffries, Marchese Camdcn, altro degli attuali referendari dello scacchiere, ha dietro sua proposizione ed in considerazione delle condizioni del paese pagato in soccorso del pubblico Tesoro, per le esigenze dello Stato, il residuo degli aggi, sovvenzioni «d emolumenti della sua carica, difalcandone soli i carichi necessari e le spese di stabilimento, riservandosi esclusivamente l’annuo stipendio di referendario, autorizzato da un atto del 23° anno

del Regno di Giorgio III che stabilisce certe regole per le rendite dello scacchiere di S. li; la quale contribuzione è ascesa lino al giorno d’oggi alla somma di 244,407 L. 10 Se. e 11 pence;e siccome in considerazione di detta contribuzione fatta in tal modo pel pubblico servizio, e della rinuncia volontaria ai profitti ed emolumenti che la legge gli accordava in legale accrescimento del suo ufficio, è giusto e conveniente che la pienezza dei diritti ed interessi del detto marchese Camden non sia alterata o pregiudicata da alcun disposto di questo atto, sia stabilito che dal giorno dell’esecuzione di quest’atto i commissari del Tesoro di S. M. avranno facoltà di ordinare in favore del detto marchese Camden, sul fondo consolidato, il pagamento di una somma di denaro da farsi ogni trimestre eguale all’ammontare degli aggi dei vari pagamenti trimestrali fatti dallo scacchiere del pubblico servizio, e che anteriormente alla pubblicazione di questo atto sarebbero stati di competenza e divenuti pagabili in favore del detto marchese Camden.

XXXI — Sia inoltre stabilito che i commissarii del Tesoro di S. M. avranno facoltà di accordare annualmente alle varie altre persone addette ai diversi uffici dell’attuale stabilimento dello Scacchiere, quegli annui assegnamenti che in via di compensazione della soppressione dei loro rispettivi uffici, i detti commissari troveranno giusti.

XXXII — Purché in ogni caso nessuna di tali compensazioni sia pagata all’attual segretario dei Fella, od a qualsiasi altra persona avente una carica nell’attuale stabilimento dello scacchiere, eccettuati i due tali referendari che saranno destinati ad un ufficio di eguale o maggior emolumento dalla Corona; e che tali compensazioni siano ridotte, se alcuno di quegli ufficiali, eccetto i due sopradetti, venga destinato ad un ufficio di minore emolumento di quello che anteriormente teneva, cosicché lo stipendio ed emolumento annesso all’ufficio al quale sarà destinato, aggiunto al raccordatogli compenso, non ecceda lo stipendio della carica che anteriormente copriva.

XXXIII — Sia inoltre stabilito che i compensi per tal modo accordati od autorizzati, e quelli che sono attualmente posti a carico del fondo per gli aggi dello scacchiere, che ammonta alla somma annuale di L. 8,323, ed il salario e assegnamento del controllore sopra enunciato saranno posti a carico del fondo consolidato del Regno Unito della Gran Brettagna ed Irlanda, e che sarà data facoltà ai commissari del Tesoro di ordinare, di volta in volta, per mezzo di mandato a tale effetto, il pagamento delle somme necessarie da accreditarsi dal detto controllore al mastro pagatore od altro funzionario che sarà destinato pel pagamento di tali compensi e salarii.

XXXIV — Sia inoltre stabilito che tutti i poteri accordati ai commissari del Tesoro, in forza di questo atto, potranno essere esercitati da tre commissarii in carica, e che tutte le disposizioni e materie in esso contenute concernenti l’Erario saranno estesi, e si interpreteranno come estese a tutte le cambiali, tratte e mandati di pagamento ricevuti per pubblico uso.

XXXV — Sia inoltre stabilito che nulla di ciò che si contiene od è autorizzato dal presente atto, potrà invocarsi per distruggere o pregiudicare la validità di qualsiasi atto, procura od altro istrumento che al momento dell’esecuzione di quell’atto si troverà in vigore rispetto alle somme in forza di esso dovute allo scacchiere; ma che tutti tali atti, procure ed altri istrumenti continueranno ad esser valide rispetto ad ogni pagamento di tali categorie, che potrà esser fatto dal mastro pagatore nominato in seguito al presente atto.

XXXVI — Sia inoltre stabilito che quest’atto comincerà ad aver effetto TU ottobre 1834, e che da quel giorno debba essere e sia rivocato l’atto dell’8° e 9° anno del Regno di Guglielmo IH relativo alla migliore osservanza delle norme anticamente usate per le percezioni dello scacchiere; come pure l’atto passato nel 6° anno del Regno di Giorgio II per rischiarare un dubbio che poteva sorgere in seguito ad un atto emanato nel 4° anno del regno del detto Re; come pure l’atto emanato nel 23° anno del regno del Re Giorgio III per istabilire certe regole nelle percezioni dello scacchiere relativamente all’uso di una ricevuta a matrice da farsi dal revisore, ed anche per quanto concerne l’obbligo attribuito all’uditore di custodire una delle chiavi delle casse dei campioni dei pesi e misure, ed i campioni delle monete d’oro e d’argento.

Come pure l’atto del 39° e 40 anno del Regno della detta Maestà il Re Giorgio III, avente per iscopo un più efficace assegnamento ai pubblici contabili del pagamento degl’interessi, ed altri oggetti ivi menzionati, come sarebbe l’obbligo, attribuito ai Commissarii per le revisioni dei pubblici conti, di trasmettere un certo conto al revisore dello scacchiere, ed anche l’obbligo del revisore di trasmettere trimestralmente ai detti commissari i conti delle somme percepite dallo scacchiere, come altresì l’atto passato nel 46° anno del Regno della detta Maestà del Re Giorgio III che attribuisce al revisore dello Scacchiere la facoltà di costituire un curatore per l'esecuzione del detto ufficio nei casi ivi menzionati,

come parimenti l'atto del 1° e 2° anno del Regno di S. M. Re Giorgio IV, che reca modificazioni e abolizione di certe. formule di procedura negli uffizi dello scacchiere e delle revisioni ristretto ai pubblici conti, e per altri ivi menzionati in quanto richiede la trasmissione dei ruoli generali e stampati (general impressed Rolls) all’ufficio dell’archivista di S. 31. od in quanto si riferisce ai certificati stampati (impressed certificates) e del pari le provvisioni di ogni atto ed atti del Parlamento relativamente all’ufficio dell’introito presso lo scacchiere di S. M. nella forma in che sono modificate di quest’atto.

XXXVII — Sia poi stabilito che quest’atto possa essere emendato e derogato od abrogato da qualunque atto od atti che siano per essere approvati nella presente sessione del Parlamento.

________________________________

ATTO che regola l'emissione dei biglietti

di Banca e che accorda al Governatore e alla Compagnia
 della Banca d’Inghilterra alcuni privilegi per un tempo determinato.

(19 Luglio 1844. )

Visto la convenienza di regolare l'emissione dei biglietti di Banca pagabili al portatore;

Visto l’articolo 98 del terzo e quarto anno di Guglielmo IV (29 agosto 1833) intitolato: Aito che accorda al Governatore ed alla Compagnia della Banca d'Inghilterra alcuni privilegi per un tempo limitalo cd a prefisse condizioni;

Visto l'utilità di mantenere con le modificazioni inserite nel presente atto, e a determinate condizioni, al Governatore e alla Compagnia della Banca d’Inghilterra il privilegio esclusivo del commercio di Banca stipulato nell’atto sopracitato del 29 agosto 1833;

S. M. la regina coll’avviso e col consenso dei lords spirituali e temporali e dei Comuni sedenti in Parlamento, ordina:

I. — Partendo dal 31 agosto 1844, l’emissione dei biglietti al portatore del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra pagabili a vista, sarà separata e messa intieramente fuori delle operazioni generali del Governatore e della Compagnia.

A partire dallo stesso giorno, le operazioni relative all’emissione dei so predetti biglietti saranno condotte ed effettuate dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra in un dipartimento separato detto t il dipartimento d’emissione della Banca d’Inghilterra il quale sarà retto dalle regole e dai regolamenti qui di seguito enunciati;

La Corte dei Direttori, del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra, potrà, se essa lo giudica conveniente, cangiare uno o più comitati di Direttori dell'amministrazione del dipartimento d’emissione della Banca d’Inghilterra; essa potrà cangiarne i membri di tanto in tanto e specificare, modificare e regolare, come lo giudicherà conveniente, la costituzione ed i poteri di questo comitato sottomettendosi però agli ordini, regole e regolamenti che siano per emanarsi sulla materia.

È inteso, però, che il dipartimento d’emissione costituirà sempre un dipartimento separato e distinto dal dipartimento delle operazioni di Banca del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra.

II. — Il 31 agosto 1844 il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra dovranno riunire applicare e trasmettere dal dipartimento d’emissione della Banca d’Inghilterra tanti titoli per la somma di 14 milioni di lire sterline, della quale farà e sarà riputato far parte il debito contratto dallo Stato verso il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra.

Lo stesso giorno il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra dovranno pure riunire, applicare e trasmettere al dipartimento d’emissione sopracitato la quantità dell’oro monetato e d’oro e d’argento in verghe posseduto dalla Banca d’Inghilterra che non sarà reclamata dal dipartimento di operazioni di Banca.

Il dipartimento d’emissione darà in cambio al dipartimento delle operazioni di banca della Banca d’Inghilterra una quantità di biglietti della Banca d'Inghilterra equivalente, con biglietti della detta Banca di già in circolazione del valore dei titoli e dei metalli in verghe e specie rimesse al detto dipartimento d’emissione della Banca d’Inghilterra;

La somma totale dei biglietti della Banca d’Inghilterra allora in circolazione, compresi quelli lasciati, come fu detto, al dipartimento delle operazioni di banca della Banca d’Inghilterra sarà riputata emessa al credito dei titoli o dei metalli monetati o in verghe applicati e trasmessi al dipartimento d’emissione.

A partire dal 31 agosto 1844 il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra non potranno aumentare la somma dei titoli allora esistenti al dipartimento d’emissione, salvo nel caso preveduto qui di seguito, ma essi potranno diminuire la somma dei detti titoli per aumentarla in seguito di tanto in tanto, secondo l'occorrenza, sino al valore di 14 milioni di lire sterline al più.

A partire dal giorno dell’applicazione e della rimessione al dipartimento d’emissione dei titoli e dei metalli monetati e in verghe sopracitati, il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra non potranno lasciare dei biglietti della Banca d’Inghilterra al dispartimento delle operazioni di banca della Banca d’Inghilterra, o a un individuo qualunque, se non in cambio d’altri biglietti della Banca d’Inghilterra o d’oro monetato o d’oro o d’argento in verghe ricevute o comperate dal dipartimento d’emissione, in virtù delle disposizioni del presente atto, o in cambio di titoli acquistati o accettati dal dipartimento d’emissione, in virtù delle disposizioni del presente atto.

È inteso che il Governatore eia Compagnia della Banca d’Inghilterra potranno sempre nel dipartimento delle operazioni di Banca mettere in circolazione i biglietti della Banca d’Inghilterra ch’essi riceveranno dal dipartimento d’emissione o d’altrove, purché la detta messa in circolazione abbia luogo nella condizione che la rendono legale per chiunque.

III. — Vista la necessità di limitare la somma d’argento in verghe per la quale il dipartimento d'emissione potrà emettere dei biglietti della Banca d’Inghilterra; la Banca d’Inghilterra non potrà mai avere in deposito al dipartimento d’emissione della detta Banca una somma d’argento in verghe che sorpassi il quarto dell’oro monetato e in verghe posseduto dalla Banca d’Inghilterra al dipartimento d’emissione.

IV. — A partire dal 31 agosto 1844 chiunque potrà domandare al dipartimento d’emissione della ‘Banca d’Inghilterra dei biglietti della detta Banca in cambio d’oro in verghe alla tassa di 31,17 st. 9 d. per oncia d’oro a titolo.

E inteso che il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra potranno in ogni caso esigere che il detto oro in verghe sia raffinato e provato dagli individui indicati e scelti da essi, a spese del possessore del detto oro in verghe.

V. — Quando un banchiere che il G maggio 1844 emetteva dei biglietti della propria Banca cesserà di emetterne, S. M. in consiglio potrà, dopo la cessazione dell’emissione e sulla domanda del Governatore

e della Compagnia della Banca d’Inghilterra, autorizzare il detto Governatore e Compagnia ad aumentare la somma dei titoli depositati al dipartimento d’emissione al di là del valore totale di 14 milioni di lire sterline e ad emettere una somma addizionale di biglietti della Banca d’Inghilterra che non sorpassi l’aumento della somma di titoli specificata nel detto ordine in consiglio.

È inteso che l’aumento della somma di titoli specificata nel detto ordine in consiglio non potrà in alcun caso oltrepassare la proporzione dei due terzi della somma di biglietti di Banca che era autorizzato ad emettere il banchiere che avrà cessato di emettere a termini del presente atto.

Gli ordini del consiglio sopracitato dovranno essere pubblicati ne numero più prossimo della Gazzetta di Londra.

VI. — Il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra dovranno trasmettere ebdomadariamente ai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette, ai giorni fissati per i detti commissari e nella forma indicata;

Un elenco della somma dei biglietti della Banca d’Inghilterra emessa dal dipartimento d’emissione della detta Banca, della somma d’oro monetato e d’oro e d’argento in verghe rispettivamente e dei titoli depositati al detto dipartimento d’emissione;

Un elenco del capitale sociale, dei depositi, dell’argento e dei valori appartenenti al Governatore e alla Compagnia della Banca d’Inghilterra nel dipartimento delle operazioni di banca.

I detti elenchi dovranno essere pubblicati dai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette nel più prossimo numero della Gazzetta di Londra, ove essi potranno essere convenientemente inseriti.

VII. — A partire dal 31 agosto 1844 il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra saranno esenti dal pagamento di ogni diritto di bollo, e di ogni obbligazione relativa al diritto di bollo per i loro biglietti a vista pagabili al portatore.

I detti biglietti saranno a partire dallo stesso giorno e continue, ranno ad essere assolutamente esenti da ogni diritto di bollo.

VIII. — A partire dal 31 agosto 1841 cesserà il pagamento o ìa deduzione della somma annua di 120,000 lire sterline fatta dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra, in virtù delle disposizioni dell’atto sopracitato del 29 agosto 1833 sulle somme da pagar loro per le spese d’amministrazione del debito pubblico non riscattato;

Invece del pagamento o deduzione sopracitata, il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra in considerazione del privilegio esclusivo delle operazioni di Banca e dell’esenzione dei diritti di bollo che loro accorda il presente atto, dedurranno e impresteranno allo Stato nel tempo della durata del privilegio e dell’esenzione sopraci tata, una somma annua di 180,000 lire sterline sulla somma attualmente pagabile, in virtù della legge, al detto Governatore e Compagnia per le spese d’amministrazione del debito pubblico non riscattato, e nonostante ogni atto di Parlamento e ogni convenzione contraria.

E inteso che la deduzione sopracitata non pregiudicherà o non danneggerà in nulla ai diritti acquistati dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra d’essere pagati per l’amministrazione del debito pubblico al saggio e alle condizioni stabilite dall’articolo 4 del quarantottesimo anno di Giorgio III (27 febbraio 1808) intitolato: Atto che autorizza, ad alcune condizioni, l'anticipazione per il servizio pubblico d'una parte proporzionale del residuo della Banca d'Inghilterra per il pagamento dei dividendi non reclamati d'annualità e del premio di lotteria, e che regola gli stanziamenti a farsi per l'amministrazione del debito nazionale.

IX. — Nel caso in cui, in virtù delle disposizioni che precedono, i titoli depositati al dipartimento d’emissione della Banca d’Inghilterra venissero aumentati al di là della somma totale di 14 milioni di lire sterline, il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra saranno obbligati, l’anno stesso di questo aumento e finché esso durerà, di imprestare, pagare allo Stato oltre la somma annua sopraccitata di 180,000 lire sterline, una somma addizionale equivalente al profitto netto realizzato durante l’anno corrente dal dipartimento d’emissione sui valori addizionali sopraccitati, deduzione fatta della somma delle spese cagionate per l’emissione dei biglietti di Banca durante lo stesso periodo. In queste spese sarà compresa la indennità o la somma da pagarsi dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra a qualunque banchiere che, per l’avvenire, cessi d’emettere dei biglietti di Banca in considerazione della cessazione d'emissione dei detti biglietti. Il pagamento o lo stanziamento addizionale sopraccitati dovuti allo Stato dal Governatore e dalla Compagnia dalla Banca d’Inghilterra, sarà dedotto in virtù della legge, al detto Governatore e Compagnia per le spese d'amministrazione del debito pubblico non riscattate come deve essere, a termini del presente atto, la somma annua di 180,000 lire sterline sopraccitate.

X. — A partire dal giorno dell'emanazione del presente atto, nessuno, ad eccezione del banchiere che, il 6 maggio 1844, emetteva legalmente suoi proprii biglietti di banca, potrà fabbricare o emettere dei biglietti di banca in un ponto qualunque del Regno Unito.

XI. — A partire dal giorno dell’emanazione del presente atto, —nessun banchiere potrà tirare, accettare, fabbricare o emettere in Inghilterra o nel paese di Galles alcuna lettera di cambio, ni biglietto all’ordine, né promessa in pagamento d’argento pagabili a vista al portatore; — nessun banchiere potrà imprestare, essere debitore o accettare in Inghilterra o nel paese di Galles, alcuna somma d'argento sopra biglietti di banca pagabili a vista al portatore emessi dal detto banchiere.

Tuttavia, ogni banchiere che, il 6 maggio 1844 esercitava il commercio di banchiere in Inghilterra o nel paese di Galles e emetteva, allora legalmente suoi proprii biglietti, in virtù dei poteri che gli accordava a tale effetto la sua patente, potrà continuare ad emetterli nei limiti e alle condizioni qui di seguito menzionate, ma non al di là o altrimenti.

Il diritto di ogni compagnia o società di continuare a emettere dei biglietti di Banca non potrà essere pregiudicato né pericolare in nessuna maniera e in seguito di cangiamenti che potrebbero avvenire nella composizione del personale della detta compagnia o società, in ragione del trasporto di azioni o dell'ammissione di un nuovo associato o azionista o per il ritiro d’uno dei soci o azionisti attuali.

È inteso, però, che qualunque compagnia o società composta oggi di sei individui al più, non potrà più emettere dei biglietti di Banca a partile dall’epoca in cui il numero degli associati o azionisti oltrepasserà il Sci.

XII. — Qualunque banchiere stabilito in un punto qualunque del Regno Unito ed autorizzato, dopo la emanazione del presente atto, ad emettere biglietti di Banca, che faec'a fallimento, che cessi d’esercitare la professione di banchiere o d'emettere dii biglietti di banca in seguito ad un accordo col Governatore e la Banca d’Inghilterra o altrimenti, non potrà più per l'avvenire emettere dei biglietti di banca.

XIII. — Qualunque banchiere voglia, conformemente al presente atto, continuare a emettere dei biglietti di banca in Inghilterra o nel paese di Galles, dovrà, nel mese che seguirà l’emanazione del presente atto, darne avviso per iscritto ai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette, alla sede della loro amministrazione, a Londra, indicando il luogo d’emissione e il nome e la ragione sociale sotto la quale il detto banchiere emesse i biglietti durante le dodici settimane precedenti il 27 aprile 1844.

A questo avviso i commissari sopraccitati dovranno constatare se il 6 maggio 1844 il detto banchiere esercitava il commercio di Banca e se emetteva legalmente i biglietti in Inghilterra o nel paese di Galles, e dopo averne acquistata la certezza i detti commissari procederanno alla costatazione della media dell’ammontare dei biglietti di Banca messi in circolazione dal detto banchiere durante le dodici settimane precedenti il 27 aprile 1844, sulla base degli stati somministrati dal detto banchiere a tenore dell’atto 50 del quarto e del quinto anno di Victoria (4 giugno 1841) intitolato; Atto per stabilire nuove disposizioni a riguardo degli stati del montare dei biglietti in circolazione da somministrarsi dai banchieri.

Dopo d’avere constatato, come fu detto, la media dell’ammontare dei biglietti dal banchiere sopraccitato messi in circolazione durante il periodo avanti citato, i commissari del bollo e delle contribuzioni dirette, o due di essi, ne rilascieranno al detto banchiere un certificato da essi firmato, il quale potrà allora continuare a emettere proprii biglietti di Banca, dopo l'emanazione del presente atto.

È inteso che il detto banchiere non potrà in nessun epoca posteriore al 10 ottobre 1844, avere in circolazione, in un periodo medio di quattro settimane da stabilirsi come è detto qui di seguito, un numero di biglietti maggiore della Bomma inscritta nel certificato sopra citato.

XIV. — Se si manifesta ai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette che due o più Banche, per contratto o convenzione scritta, la quale dovrà essere comunicata ai detti commissari, si sono riunite nel corso delle dodici settimane precedenti il 27 aprile 1844, i detti commissari potranno constatare la media dell’ammontare dei biglietti di ciascuna delle dette Banche, nel modo qui avanti indicato e certificare la media dell’ammontare dei biglietti delle due o più Banche riunite per servire di limite all’ammontare dei biglietti che la Banca riunita sarà in avvenire autorizzata ad emettere sottomettendosi alle disposizioni del presente atto.

XV. — I commissari del bollo e delle contribuzioni dirette all’epoca in cui essi rimetteranno ad un banchiere il certificato delle circostanze che. il presente atto li richiede di certificare, dovranno pubblicare una copia del detto certificato nel numero più prossimo della Gazzetta di Londra, ove potrà aver luogo l’iscrizione.

Il numero della Gazzetta nella quale avrà luogo la detta pubblicazione servirà davanti tutte le corti di giustizia di prova decisiva dell’ammontare dei biglietti di Banca che il banchiere indicato nel detto certificato era autorizzato dalla legge ad emettere e ad avere in circolazione.

XVI. —Quando in seguito i commissari del bollo e delle contribuzioni dirette saranno avvertiti che due o più Banche, composte ciascuna di sei persone al più, per contratto o convenzione scritta, la quale dovrà essere comunicata ai detti commissari, si sono riunite posteriormente all’emanazione del presente atto, i detti commissari dovranno, sulla domanda della Banca riunita, certificare di tanto in tanto e nel modo qui avanti indicato la somma totale dell’ammontare dei biglietti di Banca che ciascuna delle dette Banche rispettivamente era autorizzata ad emettere prima della loro riunione.

Ciascuno dei detti certificati sarà pubblicato nel modo sopraindicato, cd a partire dal giorno di tale pubblicazione la somma specificata nei detti certificati sarà considerata come il limite dell’ammontare dei biglietti di Banca che la Banca riunita potrà avere in circolazione.

E inteso che nessuna delle dette Banche riunite non potrà più emettere biglietti di Banca a partire dal giorno in cui il numero dei suoi associati o azionisti sorpassi sei individui.

XVII. — Tutte le volte che la media della circolazione mensile dei biglietti di Banca d’un banchiere, constatata come sarà detto in seguito, sorpasserà l’ammontare dei biglietti che il detto banchiere è autorizzato ad emettere e ad avere in circolazione a tenore del presente atto, il detto banchiere sarà ogni volta soggetto ad UDa multa uguale aUreccedenza della media della circolazione mensile sopracitata sull’ammontare dei biglietti che il detto banchiere era autorizzato ai emettere e ad avere in circolazione.

XVIII. —Ogni banchiere, in Inghilterra e nel paese di Galles, che posteriormente al 10 ottobre 1844 emetterà dei biglietti di Banca dovrà tutte le settimane, a partire dal 19 ottobre 1844 e dal giorno fissato dai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette, trasmettere ai detti commissari:

Un elenco dell’ammontare dei suoi biglietti di Banca in circolazione ciascun giorno della settimana che finisce col sabato precedente;

Un elenco della media dell’ammontare de’ suoi biglietti di Banca in circolazione durante la stessa settimana.

Compiendo il primo periodo di quattro settimane e ogni periodo successivo di quattro settimane, il banchiere unirà al suo elenco la media dell’ammontare dei biglietti di Banca in circolazione durante le dette quattro settimane come pare l’ammontare dei biglietti di Banca che egli è autorizzato ad emettere conformemente al presente atto.

Ciascuno dei detti elenchi sarà certificato dalla firma del banchiere o del cassiere capo, e se si tratta d’una compagnia o d’una società dalla firma del direttore o dell’associato gerente o del cassiere capo della detta società. Questi elenchi dovranno essere conformi al modello B annesso al presente atto e la parte determinante la media dell’ammontare mensile dei biglietti della detta Banca, sarà pubblicata dai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette nel più prossimo numero della Gazzetta di Londra nella quale la sua inserzione potrà aver luogo.

Ogni banchiere che tralascierà o rifiuterà di somministrare i detti elenchi nella forma e all’epoca richiesta dal presente atto o che presenterà dei falsi elenchi, sarà passibile per ciascun delitto di questa specie d’una multa di 100 lire sterline (2,500 lire).

XIX. — Per constatare la media dell’ammontare mensile dei biglietti in circolazione d’un banchiere, la somma totale dell’ammontare dei detti biglietti in circolazione per ogni giorno non feriato del primo periodo completo di quattro settimane cominciando dopo il IO ottobre 1844 e terminando con un sabbato, sarà diviso per il numero dei giorni non feriati delle quattro settimane, e la media ottenuta sarà considerata la media dei biglietti in circolazione durante il detto periodo di quattro settimane.

Si procederà nella stessa maniera per ogni periodo successivo di quattro settimane, e la media sovracitata non dovrà mai superare l’ammontare dei biglietti certificato, come fu detto, dai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette.

XX. — Attesoché per assicurare la verità e la fedeltà della dichiarazione dell’ammontare dei biglietti di Banca in circolazione, come esige il presente atto, è necessario autorizzare i commissari del bollo e delle contribuzioni dirette a fare ispezionare da un ufficiale delegato come sarà detto in seguito, i libri dei banchieri che emetteranno biglietti di Banca;

Il detto impiegato potrà prendere una copia o estratto di questi libri, e ogni banchiere o indiviso che tenga, o custodisca, possegga o possa produrre un tal libro, ed il quale sulla domanda dell’impiegato sopracitato, che gli presenterà i suoi poteri, se ne è richiesto, rifiuti di sottomettersi all’ispezione od esame o non gli permetta di esaminare, di ispezionare, prendere copia o estratto dei sunti, minute e memorie ch'esso contiene, sarà possibile, per ogni delitto d'una multa di 100 lire sterline. E inteso che i commissari del bollo e delle contribuzioni dirette non potranno esercitare i poteri che loro accorda il presente articolo, se non che in virtù d’un autorizzazione dei commissari della tesoreria.

XXI. — Ogni banchiere esercente attualmente o in avvenire in Inghilterra o nel paese di Galles, il commercio di Banca, dovrà, il 1° gennaio di ogni anno o nei quindici giorni successivi, rimettere ai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette, alla sede della loro amministrazione a Londra, un rapporto indicante il suo nome, la sua residenza e la sua professione, o, se si tratta d’una compagnia o d'una società, il nome, il luogo di residenza e professione di ogni individuo parte o membro della detta compagnia o società, come pure la ragione sociale sotto la quale il detto banchiere, compagnia o società esercita il commercio di Banca e il nome del luogo in cui lo esercitano.

Ogni banchiere, compagnia o società che tralascierà o rifiuterà di fare la detta relazione nei quindici giorni successivi al primo gennaio di ogni anno e che volontariamente non indicherà fedelmente le persone che vi devono figurare, sarà soggetto ad una multa di 50 lire sterline.

I commissari del bollo e delle contribuzioni dirette pubblicheranno ogni anno, il 1° marzo o prima, in un giornale che circoli in tutte le città di ciascuna contea 'rispettivamente, una copia della relazione sopracitata di ogni banchiere, compagnia o società esercente la professione di banchiere nella detta città o nella detta contea rispettivamente, secondo il caso.

XXII. — Ogni banchiere obbligato dalla legge di ricevere dai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette una patente di autorizzazione ad emettere dei biglietti, dovrà, nonostante qualunque disposizione contraria d’un atto anteriore, prendere una patente speciale e particolare per ciascuna città nella quale egli emetterà per se stesso o per mezzo d’un suo agente dei biglietti di cui l'emissione deve essere autorizzata dalla patente sopracitata.

È inteso che ogni banchiere che, il 6 maggio 1844 o prima, aveva preso quattro patenti rispettivamente ancora valide il 6 maggio 1844, per l'emissione dei biglietti di Banca in più di quattro città separate, non sarà obbligato, in avvenire, di prendere o di possedere nello stesso tempo più di quattro delle dette patenti per essere autorizzato ad emettere dei biglietti in tutte od in alcuna delle città indicate nelle patenti valide il 6 maggio 1844 e nelle quali il detto banchiere avrà rispettivamente emesso dei biglietti il 6 maggio 1844 o prima in virtù delle patenti sopracitate.

XXIII. — Atteso che molti banchieri indicati nell’allegato C hanno cessato di emettere i loro biglietti in virtù di qualche convenzione conchiusa col Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra;

Atteso che è necessario che le dette convenzioni spirino il 31 decembre 1844 e che i detti banchieri ricevano come compensazione l’indennità fissata qui in seguito:

Atteso che un elenco dei banchieri sopracitati e uno stato delle somme per le quali ciascuno dei detti banchieri deve ricevere una compensazione sono stati rimessi ai commissari del bollo e delle contribuzioni dirette firmati dai cassieri in capo della Banca d’Inghilterra;

Le diverse convenzioni relative all’emissione dei biglietti della Banca d’Inghilterra, conchiuse tra il Governatore e la Compagnia della detta Banca ed i diversi banchieri indicati all’allegato C, termineranno e saranno annullate il 31 dicembre 1844;

A partire dal 31 decembre 1844, il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra pagheranno ai diversi banchieri indicati nell’allegato C per tutto il tempo ch’essi vorranno riceverla, un indennità di 1 per 100 ogni anno sulla media dell’ammontare dei biglietti della Banca d’Inghilterra emessi dai detti banchieri rispettivamente, e rimasti realmente in circolazione.

La media del detto ammontare sarà constatata nel modo seguente:

Il giorno del mese di aprile determinato dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra, sarà esteso uno stato dei biglietti della Banca d’Inghilterra lasciati ai banchieri sopracoitati durante i tre mesi precedenti, e uno stato dei biglietti resi da essi alla detta Banca, la differenza sarà considerata come l’anmontare dei biglietti della Banca d’Inghilterra emessi dai detti banchieri rispettivamente e rimasti in circolazione.

Uno stato simile sarà esteso ogni tre mesi, e la media delle differenze inscritte ne’ quattro dei detti stati sarà considerata come la media dell’ammontare dei biglietti della Banca d’Inghilterra emessi dai detti banchieri rispettivamente e rimasti in circolazione durante l’anno 1845, media sulla quale ciascuno dei detti banchieri rispettivamente deve ricevere una indennità del 1 per 100 per l’anno 1845;

Saranno estesi ogni anno degli stati simili, ai mesi e in giorni differenti dagli anni precedenti e determinati dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d'Inghilterra.

L’ammontare dell’indennità sopraccitata sarà pagata dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra sui loro proprii fondi.

In caso di dissenzione fra i banchieri sopraccitati e il governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra a riguardo della detta indennità, la questione sarà risolta dal cancelliere dello scacchiere o da chi sarà da lui indicato, e la decisione del cancelliere dello scacchiere o del suo rappresentante sarà definitiva e senza appello.

È inteso che ogni banchiere designato nell’allegato C. potrà rinunciare all’indennità sopraccitata, ma questa rinuncia non gli conferirà alcun diritto o alcuna ragione ad emettere dei biglietti di Banca.

XXIV. — Il Governatore e la Banca d’Inghilterra potranno convenire, con ogni banchiere autorizzato, in virtù delle disposizioni del presente atto, ad emettere dei biglietti di Banca, di dare al detto banchiere una indennità dell'1 per 100 all’anno sull’ammontare dei biglietti della Banca d’Inghilterra emessi e conservati in circolazione dal detto banchiere, a titolo di compensazione per l’abbandono del suo privilegio di emettere proprii biglietti di Banca.

Le disposizioni del presente atto che regolano il modo di constatare e di determinare l’ammontare dell’indennità pagabile ai diversi banchieri denominati neU’allegato C. saranno applicabili ad ogni banchiere col quale il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra sono autorizzati pel presente atto a conchiudere delle convenzioni analoghe.

È inteso che, tutte le volte che un aumento dei valori depositati al dipartimento d’emissione sarà stato autorizzato da un ordine in consiglio, l’ammontare dell’indennità pagabile ai banchieri sopraccitati sarà dedotta dalla somma pagabile allo Stato dal Governatore e dalla Compagnia della Banca d’Inghilterra in virtù delle disposizioni del presente atto.

È pure inteso che la somma totale pagabile ogni anno a titolo d’indennità ad ogni banchiere che vi abbia diritto conformemente al presente atto non potrà sorpassare:

Per i banchieri indicati nell’allegato C. 1 per 100 delle diverse somme inscritte al nome dei detti banchieri, sulla lista e sullo stato rimessi come fu detto ai commissari del bollo;

Per gli altri banchieri 1 per 100 dell’ammontare dei biglietti di Banca che i detti banchieri rispettivamente sarebbero stati altrimenti autorizzati ad emettere in virtù delle disposizioni del presente atto.

XXV. — Le indennità pagabili ai diversi banchieri denominati nell’Elenco e a ogni altro banchiere che abbia consentito per convenzione conchiusa col Governatore e colla Compagnia della Banca di Inghilterra a non più emettere proprii biglietti di Banca, saranno abolite a partire dal primo agosto 1856 se non lo furono prima per il fatto o la volontà dei banchieri precitati o per un atto del Parlamento che vieti l’emissione dei biglietti di banca.

XXVI. — A partire dal giorno dell’emanazione del presente atto, ogni società, compagnia o associazione composta anche di più di sei individui facente la Banca a Londra od entro un raggio di 75 miglia intorno di Londra, potrà tirare, accettare o far la girata delle lettere di cambio non pagabili a vista al portatore, nonostante tutte le disposizioni contrarie all’atto sopracitato del 29 agosto 1833 o di qualunque altro atto.

XXVII. — Il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra godranno del privilegio esclusivo del commercio di Banca che loro accorda il presente atto ai termini ed alle condizioni d’esistenza, di durata e d’abolizione facoltativa, stabilite e specificate dal presente atto.

I poteri, le autorizzazioni le franchigie, i privilegi ed i vantaggi accordati o confermati dall’atto sopracitato 29 agosto 1833 o da qualunque altro posteriore, al Governatore e alla Compagnia della Banca d’Inghilterra, sono mantenuti e confermati, salvo le modificazioni apportate dal presente atto.

I privilegi sopracitati potranno tuttavia essere riscattati conformemente alle condizioni seguenti:

Avviso preventivo dato dodici mesi prima, posteriormente al 1° agosto 1855;

Rimborso integrale, senza l'emissione, sconto o deduzione qualunque dal Parlamento al Governatore ed alla Compagnia della Banca d’Inghilterra o ai loro successori della somma di 11,015,100 lire sterline, ammontare del debito attuale dello Stato verso il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra;

Rimborso al Governatore e alla Compagnia della Banca d’Inghilterra o ai loro successori degli arretrati della somma annua di 100,000 lire sterline menzionate nell’atto sopracitato del 29 agosto 1633, e degli interessi o delle annualità pagabili in ragione del detto debito;

Rimborso del capitale e dell'interesse dovuto al Governatore o alla Compagnia della Banca d’Inghilterra ed ai loro successori,

in ragione dei buoni e dei biglietti dello scacchiere o fondi parlamentari che il Governatore e la Compagnia della Banca d’Inghilterra o i loro successori possederanno ancora e che loro saranno acquistati di diritto all’epoca in cui sarà loro notificato l’avviso sopracitato;

Queste condizioni compiute, il privilegio esclusivo del commercio di Banca accordato dal presente atto sarà abolito di pieno diritto al fine dei dodici mesi che seguiranno l’avviso sopracitato.

Un voto o una decisione della Camera dei Comuni, firmato dal presidente della detta Camera e trasmessa all’ufficio pubblico del Governatore e della Compagnia della Banca d'Inghilterra, sarà riputata e considerata come un avviso sufficiente.

XXVIII. — L’espressione biglietto di Banca impiegato nel presente atto è applicabile a qualunque biglietto che importi pagamento d’argento a vista o al portatore, oltre ai biglietti del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra;

L’espressione biglietto della Bancaè applicabile ai

biglietti all’ordine del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra pagabili a vista e al portatore;

L’espressione Banchiere è applicabile ad ogni corporazione, società associazione o individuo esercente il commercio di Banca, e che emette dei biglietti di Banca o altrimenti, ad eccezione solamente del Governatore e della Compagnia della Banca d’Inghilterra;

La parola individuo impiegata nel presente atto comprende le corporazioni;

Nel presente atto il singolare comprende il plurale, il plurale comprende il singolare, e il maschile comprende il femminile salvo nel caso in cui l’espressione ripugnasse ad una tale interpretazione.

XXIX. — Il presente atto potrà essere modificato od abrogato da un altro atto durante la presente sessione del Parlamento.

LEGGI del Belgio sulla Banca e sul servizio di Tesoreria

LOI du 5 mai 1850 qui institue

une Banque Nationale.

LÉOPOLD, ROI DES BELGES

A TOUS PRÉSENTS ET A VENIR SALUT.

Les Chambres ont adopté et Nous sanctionnons ce qui suit:

Art. 1. — Il est institué une banque sous la dénomination de Banque nationale. Son siège est à Bruxelles.

Art. 2. — Elle établira des comptoirs dans les chefs-lieux de province, et, en outre, dans les localités où le besoin en sera constate.

Un comité d’escompte sera attaché à chaque comptoir dans les villes où le Gouvernement le jugera nécessaire, après avoir entendu l’administration de la Banque.

Art. 3. — La durée de la Banque est fixée à 25 ans.

Ce terme peut être prorogé par la loi, sur la demande de la majorité de l’assemblée des actionnaires.

Art. 4. — Le capital social est de vingt-cinq millions, divisé en vingt-cinq mille actions, en nom, ou au-porteur, de mille francs chacune.

Art. 5. — La Banque commencera ses opérations lorsque trois cinquièmes de chaque action seront versés.

L’administration de la Banque fera compléter le capital de 15,000,000, s’il est entamé par suite de pertes constatées.

Elle pourra faire des appels de fonds si l'extension des affaires l'exige.

Le mode et les conditions de versement seront réglés par les statuto.

Il sera tenu compte au profit de la Banque d'un intérêt de 3 % sur les sommes non versées.

Art. 6. — Il y aura un fonds de réserve destiné:

1° A réparer les pertes sur le capital social;

2° A suppléer aux bénéfices annuels, jusqu’à concurrence d’un dividende de 5 p. % de la mise.

Le tiers au moins des bénéfices annuels, excédant 6 p. % du capital social, servira à constituer la réserve.

Art. 7. — Le sixième de ce même excédant est attribué à l’État.

Art. 8. — Lea opérations de la Banque consisteront:

1° A escompter on acheter des lettres de change et antres effets ayant pour objet des opérations de commerce, et des bona du trésor dans les limites à déterminer par les statuts;

2° A faire le commerce des matières d’or et d’argent;

3° A faire des avances de fonds sur des lingots ou des monnaies d’or et d’argent;

4° A se charger du recouvrement d’effets qui lui seront remis par des particuliers ou des établissements;

5° A recevoir des sommes eu compte courant, et, en dépôt, des titres, des métaux précieux, et des monnaies d’or et d’argent;

6° Enfin, à faire des avances en compte courant ou à court terme sur dépôt d’effets publics nationaux, ou d’autres valeurs garanties par l’État, dans les limites et aux conditions à fixer périodiquement par l’administration de la Banque conjointement, avec le conseil de censeurs, sous l’approbation du Ministre des finances.

Art. 9. — Il est formellement interdit à la Banque des se livrer à d’autres opérations que celles qui sont déterminées par l’art. 8.

Elle ne peut emprunter; elle ne peut faire des prêts, soit sur hypothèque, soit sur dépôt d’actions industrielles.

Elle ne peut prêter sur ses propres actions, ni les racheter.

Elle ne peut prendre aucune part, soit directe, soit indirecte, dans des entreprises industrielles, ou se livrer à aucun genre de commerce autre que celui dont il est fait mention au § 2 de l’article précédent.

Elle ne peut acquérir d’autres propriétés immobilières que celles qui sont strictement nécessaires au Service de l’établissement.

Art. 10. La Banque fera le Service de caissier de l’État aux conditions déterminées parla loi.

Art. 11. — S’il est institué une caisse d’épargne, le Gouvernement se réserve le droit d’en faire opérer le service par la Banque. Ce Service sera distinct et indépendant des affaires de la Banque. Son organisation fera l’objet d’une loi.

Art. 12. — La Banque émet des billets au porteur. Le montant des billets en circulation sera représenté par des valeurs facilement réalisables.

Les proportions entre l’encaisse et les billets en circulation seront fixées par les statuts.

Art. 13. — Le Gouvernement, de commun accord avec la Banque, déterminera la forme des coupures, le mode de leur émission et leur quantité pour chèque catégorie.

Art. 14. — Lea billets seront payable à vue aux bureaux de la Banque à Bruxelles. Le Gouvernement est autorisé à les admettre en payement dans les caisses de l’État.

Art. 15. — Pour faciliter les virements de fonds, la Banque peut créer des mandats à quelques jours de vue.

Art. 16. — La Banque peut être autorisée par le Gouvernement à acquérir des fonds publics, sans qu’elle puisse en posséder pour une somme dépassant le montant versé du capital social.

Aucune acquisition ne pourra être faite qu’en vertu de l’autorisation donnée par le Ministre des finances, sur la demande de l’administration, approuvée par le conseil de censeurs.

La réserve énoncée à l’art. 6 sera employée en fonds publics.

Art. 17. — L’administration de la Banque sera dirigée par un gouverneur et six directeurs.

Art. 18. — Il y aura, en outre. un conseil de censeurs.

Il y aura également un comité d’escompte.

Art. 19. — Le gouverneur est nommé par le Roi, pour cinq ans.

Il ne peut, pendant la durée de ses fonctions, être membro de l’une ou de l’autre Chambre, ni toucher de pension à charge de l’État.

Le membre de l’une ou de l’autre des deux Chambres, nommé gouverneur, cesse immédiatement, s’il accepte, ses fonctions législatives.

Le Gouverneur, nommé membre de l’une ou de l’autre des deux Chambres, n’est admis à prêter serment en cette qualité, qu’après avoir déclaré qu’il opte pour ce dernier mandat.

Art. 20. — Les directeurs et les censeurs seront élus par l’assemblée générale des actionnaires.

Néanmoins, la première nomination des directeurs sera faite par le Gouvernement, pour le terme de trois ans.

La durée des fonctions des directeurs et des censeurs, l’ordre des sorties, seront réglés par les statuts.

Art. 21. — Il y aura un commissaire du Gouvernement pour surveiller les opérations, et notamment l’escompte et les émissions de billets.

Son traitement sera fixé par le Gouvernement, de concert avec l'administration de la Banque.

Il sera supporté par elle.

Art. 22. — L’administration de la Banque adressera au Gouvernement, tous les mois, un état présentant la situation de rétablissement et de ses comptoirs d’escompte. Cotte situation sera publiée mensuellement dans le Moniteur.

Le résultat des opérations et le règlement des dividendes seront publiés semestriellement par la même voie.

Art. 23. — Les statuts de la Banque seront arrêtes d’après les principe consacres par la pressente loi.

Ils seront soumis à l’approbation du Boi.

I!s ne pourront être modifiés que sur la proposition de l’assemblée générale et du consentement du Gouvernement.

Art. 24. — Le Gouvernement a le droit de contrôler toutes les opérations. Il peut s’opposer à l’exécution de toute mesure qui serait contraire, soit à la loi, soit aux statuts, soit aux intérêts de l’État.

Art. 25. — Aucune banque de circulation ne peut être constituée par actions, si ce n’est sous la forme de société anonyme et en vertu d’une loi.

Dispositions transitoires.

Art. 26. — La Banque retirera de la circulation les billets ayant cours forcé.

Jusqu’au payement intégral de la créance à résulter de ce retrait, le Gouvernement pourra autoriser la Banque, soit à faire usage de ces mêmes billets, soit à les remplacer par ses propres billets avec le caractère de monnaie légale.

La somme de ces émissions ne pourra, dans aucun cas, excéder le montant des billets retirés et non remboursés.

En attendant ce remboursement, les droits, garanties, privilèges et typothèques constitués par la loi du 20 mars et par celle du 22 mai 1848, continueront à subsister.

Art. 27. — L’art. 9 de cette dernière loi est rapporté.

Le comptoir d’escompte sera dissous lors de l’installation de la Banque nationale.

Le Gouvernement est autorisé à rembourser, à la même époque, les billets émis pour faciliter les Services du trésor en vertu de l’article 7 de la loi du 22 mai 1848.

Art. 28. — L’installation de la Banque nationale aura lieu dans les six mois de la publication de la présente loi.

Promulguons la présente loi, ordonnons qu’elle soit revêtue du sceau de l’État, et publiée par la voie du Moniteur.

Donné à Bruxelles, le 5 mai 1850.

LÉOPOLD.
Par le Roi

Le Ministre des finances

FRÈRE-ORBAN.

Vu et scellé du sceau de l’État:
Le Ministre de la justic
DE HAUSSY.

_______________________________________

LOI du 10 mai qui organise le service

du caissier de l’État.

LÉOPOLD, ROI DES BELGES

A TOU8 PRÉSENTS ET A VENIR SALUT.

LeB Chambres ont adopté et Nous sanctionnons ce qui suit:

Art. 1. — Le Gouvernement est autorisé à confier à la Banque nationale le Service de caissier de l’État.

Art. 2. — En cette qualité, la banque est considérée comme comptable de l’État et soumise à toutes les obligations prescrites par la loi sur la comptabilité, et par la loi organique de la Cour des comptes, qui ne sont pas incompatibles avec les principes qui régissent les sociétés anonymes.

Art. 3. — Elle établit une agence dans chaque chef-lieu d’arrondissement judiciaire, et, en outre, dans les localités où le Gouvernement le juge nécessaire dans l’intérêt du trésor ou du public.

Art. 4. — Elle est responsable de sa gestion et de celle de ses agents. Il n’y a d’exception que pour les cas de force majeure, dont l’existence et l’application aux fonds re$us pour le compte de l’État seraient dûment constatées.

Art. 5. — Les agents de la Banque sont nommés par le Roi, sur une liste doublé de candidata présentés par le conseil d’administration de rétablissement.

Ils ne peuvent prétendre à une pension à la charge du trésor.

Ils fournissent, à la garantie de leur gestion envers le caissier, un cautionnement, soit en immeubles, soit en fonds nationaux.

Art. 6. — Lea journaux et autres registres relatifs au Service du trésor sont tenus d’après un mode à arrêter par le Gouvernement. Les journaux sont cotés et para pliés par un membre de la Cour des comptes.

Les agente de la banque soumettront les caisses, les registres et

journaux à l’inspection des fonctionnaires délégués à cet effet par le Ministre des finances.

Art. 7. — Il est alloué à la banque, pour faire le Service de caissier, une indemnité qui ne peut excéder deux cent mille francs annuellement.

Au moyen de cette indemnité, elle fera face à tous les frais d’administration, de matériel, de transport et de virement de fonda.

Art. 8. — Les disposition de la loi du 515 septembre 1807, qui règlent le privilège et l’hypothèque légale du trésor public sur les biens des comptables, sont applicables au caissier de l’État.

Art. 9. — La convention à intervenir entre le Gouvernement et la Banque nationale sera révisée tous lea cinq ans.

Art. 10. — Le Gouvernement déterminera l’époque de la mise à exécution de la pressente loi.

Promulguons la présente loi, ordonnons qu’elle soit revêtue du sceau de l’État et publiée par la voie du

Donné à Bruxelles, le 10 mai 1850.

LÉOPOLD.
Par le Roi

Le Ministre des finances

FRÈRE-ORBAN.

Vu et scellé du sceau de l’État:

Le Ministre de la justice

DE HAUSSY.

PROGETTI

presentati al Parlamento Subalpino intorno alla Banca ed al servizio di Tesoreria.

PROGETTO DI LEGGE il 24 maggio 1851

presentato alla Camera del deputati  dal ministro di marina, 
agricoltura e commercio, reggente il ministero delle finanze

(Cavour).

Art. 1. La Banca nazionale potrà, sotto le condizioni indicate ne’ seguenti articoli, aumentare il suo capitale da otto a sedici milioni di lire, mediante la creazione di otto mila nuove azioni di lire mille caduna.

Art. 2. Le nuove azioni saranno ripartite fra gli attuali azionisti della Banca, a tenore delle norme stabilite dall’articolo 69 dello statuto della medesima; e dovranno essere pagate nel termine di un anno dalla promulgazione della presente legge.

Art. 3. A partire dal 15 ottobre 1851 i biglietti della Banca avranno in tutte le provincie dello Stato, ad eccezione della Savoia e della Sardegna, corso legale nelle transazioni fra il Governo ed i privati, ed i privati fra loro; fermo Vobbligo imposto alla medesima di cambiare i propri biglietti a presentazione pel loro valore nominalo contro effettivo a valore di tariffa.

Art. 4. la Banca dovrà entro un anno stabilire una succursale nella città di Nizza ed una nella città di Vercelli.

Art. 5. Le succursali saranno amministrate dietro apposito regolamento, che proposto dalla Banca dovrà essere approvato con decreto reale, previo parere del Consiglio di Stato.

Art. 6. La Banca dovrà assumere senza correspettivo le funzioni di cassiere dello Stato, ed operare gratamente il giro dei fondi dall’una all’altra città, ove avrà una delle sue sedi o stabilimento succursale.

Dovrà pure la Banca, quando ne sia richiesta, incaricarsi del servizio del debito pubblico con quelle condizioni e mediante quei compensi che verranno per legge stabiliti.

Art. 7. L’adunanza generale degli azionisti della Banca dovrà dichiarare nel termine di un mese la pubblicazione di questa legge, se intenda valersi della facoltà come sovra concessale all’articolo primo.

PROGETTO DI LEGGE presentato 19 marzo 1859


alla Camera il  dei deputati  dal ministro delle finanze

(Cavour).

Art. 1. Il capitale della Banca nazionale istituita colla legge del 9 luglio 1850 sarà aumentato da 8 a 16 milioni di lire, mediante la creazione di altre 8000 azioni di lire 1,000 ciascuna.

In conformità dell’articolo 69 dello statuto di detta Banca, tali nuove azioni saranno ripartite fra i possessori delle attuali 8000 azioni, i quali dovranno farne il pagamento alla pari nel termine non più lungo di un anno dalla data della presente legge e secondo che verrà stabilito dai Consigli di reggenza delle due sedi della Banca.

Art. 2. La Banca, entro lo stesso termine di un anno, stabilirà due succursali: l’ima in Nizza marittima e l’altra in Vercelli; e quando gli utili delle medesime arrivino ad agguagliarne almeno le spese, la Banca stessa istituirà una terza succursale in altra città, secondo i concerti che allora i Consigli di reggenza delle due sedi dovranno prendere col Governo.

Siffatte succursali saranno amministrate nei modi da stabilirsi con un regolamento che verrà proposto dai detti Consigli di reggenza e sarà approvato con reale decreto, previo il parere del Consiglio di Stato.

Art. 3. Durante il periodo di dieci anni dalla data della presente legge, i biglietti della Banca nazionale e quelli della cessata Banca di Genova, fino a tanto che rimarranno in corso, avranno in tutte le provincie dello Stato, ad eccezione della Savoia e della Sardegna, corso legale nelle transazioni fra il Governo ed i privati ed in quello dei privati fra di loro, fermo però l’obbligo alla Banca di cambiarli in contanti a presentazione in ciascuna delle due sedi pel loro valore nominale.

Art. 4. La Banca sarà però tenuta di eseguire lo stesso cambio, tanto nelle sue succursali, da stabilirsi giusta l’articolo 2, quanto in tutte le tesorerie provinciali, ad eccezione della Savoia e della Sardegna.

Il cambio però potrà essere differito di cinque giorni dalla domanda fatta alle succursali pei biglietti di lire 1,000, e dalle tesorerie provinciali per quelli di lire 500 e di lire 1,000.

In questo caso, all’atto della presentazione di tali biglietti, chi ne addomanderà il cambio dovrà iscriverne la richiesta in apposito registro, sia presso le succursali, che presso le tesorerie provinciali.

Art. 5. Pel cambio dei biglietti nelle tesorerie provinciali, la Banca dovrà provvedere alle medesime gli opportuni fondi in numerario, sotto però la garanzia del Governo, e nei modi ed alle condizioni da stabilirsi con un regolamento che verrà concertato fra il Governo ed i Consigli di reggenza delle due sedi.

Art. 6. La Banca dovrà assumere 6enza corrispettivo le funzioni di cassiere dello Stato ed operare gratuitamente il giro dei fondi da una aU’altra delle città ove esistono lo due sue sedi od una succursale.

Art. 7. La Banca dovrà tenersi sempre in condizione da poter fare alle finanze dello Stato anticipazioni sino alla somma di 5 milioni di lire, contro deposito di titoli di fondi pubblici e di buoni del tesoro, e mediante l’interesse in ragione del 3 per cento all’anno osservato sempre il disposto dall’articolo 15 della legge del 9 luglio 1850.

Disposizione transitoria .

Art. 8. La ritenzione sopra gli utili per costituire il fondo di riserva che, a termini dell’articolo 36 dello statuto della Banca, dovrebbe cessare allorquando tale fondo pareggierebbe il quinto del capitale, sarà invece continuata ulteriormente fino a tanto che giunga ad effettuare l’intiera estinzione di quella parte della indennità corrisposta agli azionisti della cessata Banca di Genova, che allora non si troverà per anco estinta nel modo stabilito in detto articolo 36 dello Statuto.

PROGETTO DI LEGGE presentato il 7 maggio 1853

alla Camera dei deputati  dal ministro delle finanze

(Cavour)

Art. 1. — LaBanca nazionale èincaricata del servizio della tesoreria generale. A tale effetto essa concentra in una contabilità speciale, tenuta secondo le norme prescritte dalle leggi e dai regolamenti, i versamenti ed i pagamenti che si fanno per conto dello Stato, col mezzo dei tesorieri provinciali.

Art. 2. — I contabili versano i fondi da essi riscossi nello tesorerie provinciali, che sono tutte conservate. Queste tesorerie versano poi i fondi disponibili nelle casse della Banca, in conformità degli ordini che ricevono dal Ministero di finanza.

Art. 3. — La Banca non ha collo Stato che un solo conto corrente, il quale è accreditato di tutti i versamenti che essa riceve per conto dell’Erario pubblico in Torino, Genova, Nizza e Vercelli.

Art. 4. — La Banca porta a debito di questo conto tutti i pagamenti che effettua nelle predette Città, e che le vengono ordinati dal Ministro di finanze o da chi lo rappresenta, sino a concorrenza del fondo disponibile.

Art. 5. — È fatta facoltà al Governo previo accordo colle due sedi della Banca, di autorizzare con un Decreto Reale le modificazioni agli statuti della Banca, necessarie per concentrare in Torino la superiore direzione della medesima.

Art. 6. — La Banca nomina un Direttorecapo, al quale essa affida la direzione superiore di tutti i di lei stabilimenti; egli ha inoltre la speciale sorveglianza della contabilità, riguardante il servizio della Banca come tesoriere generale; corrisponde col Governo per tutto quanto concerne il suddetto servizio e dà le disposizioni occorrenti in dipendenza delle istruzioni ricevute.

Art. 7. — La Banca nomina pure due contabili speciali, i quali sono incaricati della contabilità relativa alle sue funzioni di tesoriere generale.

Art. 8. — La nomina del Direttore-capo deve essere sottoposta all’approva. ione del Ministro delle finanze.

Art. 9. — La revoca del Direttore-capo può essere pronunciata dalla Camera dei conti, sopra istanza promossa dal Ministro delle finanze, per negligenza od irregolarità nella tenuta della contabilità dello Stato.

Art. 10. Il Ministro delle finanze provvede, dietro richiesta della Banca, a che i tesorieri provinciali debbano cambiare i biglietti della Banca contro numerario e viceversa, colle norme da stabilirsi per Decreto Beale.

In tal caso le spese occorrenti, pel trasporto dei fondi da dette tesorerie nelle casse della Banca, come pure quelle per la somministranza del numerario richiesto da questo servizio, sono interamente sopportate dalla Banca.

Art. 11. Le funzioni di cassiere della cassa di depositi e prestiti sono pure affidate alla Banca nazionale.

Art. 12. Il pagamento della terza rata delle azioni della Banca che a tenore dell’articolo l.° della legge 11 luglio 1852 doveva aver luogo entro al corrente anno, deve invece effettuarsi tre mesi dopo la pubblicazione della presente legge.

Art. 13. La Banca deve richiedere l’ultimo versamento, pel completo pagamento delle azioni allorquando la media di un anno del portafoglio e delle anticipazioni abbia raggiunto la cifra di 60 milioni di lire.

Art. 14. È fatta facoltà alla Banca di procedere, col mezzo di un agente di cambio, alla vendita delle azioni di coloro fra gli azionisti, che, entro i termini da essa stabiliti, non avessero eseguito il terzo ed ultimo versamento.

Art. 15. Sul prodotto della vendita delle azioni, la Banca si rimborsa del capitale non versato, e ritiene l’eccedenza a disposizione dell’azionista espropriato.

Art. 16. Dopo il versamento della quarta rata delle azioni, verificandosi il caso che la media di un anno del portafoglio e delle anticipazioni discenda a 40 milioni, la Banca, in ampliazione di quanto le è consentito dall’articolo 14 dei suoi statuti, rimane in facoltà d’impiegare in fondi pubblici una parte del suo capitale, fino a concorrenza di 10 milioni di lire.

Art. 17. Oltre i titoli enunciati all’articolo 18 dei nuovi statuti ed all’articolo 6 della legge 11 luglio 1852, la Banca può ricevere, in garanzia d’effetti a due firme, le dichiarazioni (Warrants) di merci allogate in pubblici interpositi (Doks), purché siano stati stabiliti con Decreto Reale.

Art. 18. Le disposizioni della presente legge non possono essere variate fino al 31 dicembre 1859, se non col reciproco consenso della Banca e dello Stato.

A tale epoca la Banca può cessare dalle funzioni di tesoriera generale, e possono essere sciolti gli obblighi, che da esse derivano sia in virtù d’una legge, sia che essa dichiari rinunciarvi, avanti del 1° gennaio 1859.

Art. 19. Dopo il 1° gennaio 1860 il Governo e la Banca non possono sciogliersi dalle rispettive obbligazioni, da questa legge stabilite, se non mediante un preventivo avviso di anni tre.

Art. 20. È fatta facoltà alla Banca di concorrere per un capitale di 500 mila lire all’istituzione di una Banca nell’Isola di Sardegna, e di aprire alla medesima un conto corrente, del quale la Banca nazionale stabilisce le condizioni.

____________________________________

REGIO DECRETO

che approva la Convenzione pel passaggio alla Banca d’Italia del servizio di tesoreria in tutto Io Stato.

(23 Ottobre 1865)

VITTORIO EMANUELE

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ. DELLA NAZIONE

RE D’ITALIA.

Veduto il R. Decreto di questo giorno, n° 2585, col quale sono approvati gli statuti della Banca d’Italia;

Veduto il R. Decreto 29 giugno 1865, n° 2376;

Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposizione del Ministro delle Finanze;

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. — È approvata l’annessa Convenzione in data d’oggi tra il Ministro delle Finanze e la Banca nazionale, in virtù della quale la Banca medesima, a termini dell'art. 8 del R. Decreto 29 giugno 1865, n 2376, assume il servizio di tesoreria in tutto lo Stato.

Art. 2. — Il presente Decreto sarà presentato al Parlamento nella prossima Sessione per essere convertito in Legge.

Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Firenze addi 23 ottobre 1865.

VITTORIO EMANUELE.

Quintino Sella.

CONVENZIONE per l'assunzione del servizio

di tesoreria dello Stato da parte della Banca nazionale.

L’anno 1865, e questo di ventitré ottobre, in Firenze, fra il Ministro delle finanze, commendatore Quintino Sella, contraente in nome dello Stato, e la Banca nazionale, avente la sua sede centrale in Firenze, rappresentata dal signor commendatore Carlo Bombrini Direttore generale della Banca nazionale (nel Regno d’Italia), è stato convenuto e stipulato quanto appresso:

Art. 1. — A cominciare dal primo gennaio 1866 il servizio di tesoreria in tutto lo Stato sarà affidato alla Banca nazionale onde sia esercitato gratuitamente, prima da essa Banca a termini dell’art. 8 del R. Decreto 29 giugno 1865, numero 2376, e poi dalla Banca d’Italia, nella quale essa Banca nazionale si fonde a termini dell’articolo 6 degli statuti per la Banca d’Italia approvati con Regio Decreto in data d’oggi.

Art. 2. — Dal giorno indicato nell'articolo precedente i Contabili dello Stato riceveranno come danaro contante i biglietti della Banca che venissero offerti in pagamento nell’interesse dello Stato.

Art. 3. — Il servizio di tesoreria affidato alla Banca consisterà nel fare secondo le norme stabilite dai Regolamenti, le operazioni qui appresso:

1.° Nel Capoluogo d’ogni Provincia;

a) L’incasso delle entrate dello Stato dai Contabili e debitori verso il Tesoro e il pagamento delle spese dello Stato, comprese le entratele le spese d’ordine per Vaglia e Buoni del Tesoro;

b) Il servizio del Debito pubblico nell’interno del Regno;

c) La ricezione dei versamenti e dei depositi in contanti e i pagamenti per conto delle Amministrazioni delle Casse dei depositi e prestiti;

d) L’incasso delle entrate della Cassa ecclesiastica dai Contatali incaricati della loro esazione e il pagamento delle spese che verranno ordinate per conto della medesima.

2° Nel Capoluogo di ogni Circondario, tre volte al mese nei giorni che saranno prestabiliti d’accordo col Ministero e notificati al pubblico;

a) L’incasso delle entrate dello Stato dai Contabili e debitori diretti verso il Tesoro compresi i versamenti per acquisti di Buoni del Tesoro.

b) Il pagamento dei mandati, esclusi quelli di spese fisse e il rimborso dei Buoni del Tesoro nel Capoluogo del Circondario in cui fossero stati acquistati;

c) Il pagamento delle rendite dei tildi di Debito pubblico.

3° Nei tempi, luoghi e modi convenuti il servizio delle obbligazioni e cartelle di Società o Corpi morali che il Governo fosse a tutt’oggi impegnato a fare gratuitamente nelle sue Casse.

Art. 4. — La Banca terrà nella sua Amministrazione centrale presso la sede del Governo due conti, cioè un conto corrente di debito e credito rispetto al Tesoro, e un conto definitivo di debito e credito rispetto allo Stato, il quale sarà presentato alla Corte dei conti per la debita revisione e per il legale accertamento.

Nel conto corrente col Tesoro si porteranno a debito della Banca le somme effettivamente incassate nelle varie Provincie il giorno successivo a quello in cui pervenne alla sede del Governo la notizia del fatto versamento.

Si porteranno a credito della Banca le somme per le quali venne spedito ordine di pagamento a partire dal giorno stesso in cui l’ordine venne trasmesso alla Banca se a vista, oppure dal giorno della scadenza del debito.

Questo conto corrente verrà chiuso giornalmente fra il Tesoro e la Banca.

La differenza fra il debito e il credito costituirà il fondo a disposizione del Ministro delle finanze.

Nel conto definitivo da presentarsi alla Corte dei conti figureranno e si giustificheranno le somme effettivamente incassate e le somme effettivamente pagate. Questo conto verrà presentato ogni mese.

La differenza fra le somme effettivamente incassate e quelle effettivamente pagate che risalterà dall’esame della Corte dei conti costituirà un resto attivo dell’Erario.

Art. 5. — Alle scadenze del pagamento delle rendite nominative del Gran Libro del Debito pubblico e non vincolate a pagamento personale sul fondo disponibile a favore del Tesoro, sarà accreditata alla Banca la somma corrispondente all’ammontare di quelle che dalla Direzione generale del Debito pubblico saranno state riconosciute pagabili nello Stato.

La Banca si obbliga di effettuare il pagamento agli esibitori dei titoli.

Assume pure il carico del pagamento delle rate, le quali siano già scadute e non prescritte nel giorno in cui avranno effetto le disposizioni di questo articolo. E dall’altra parte riterrà a suo beneficio il montare delle rate che da tale giorno fossero per cadere in prescrizione a termini di Legge.

Allorché la Banca assumerà tale servizio riceverà per mezzo della Direzione generale del Debito pubblico prospetti delle rendite da pagarsi colle indicazioni dei titolari, del numero d’iscrizione, e del luogo del pagamento nonché degli arretrati che siano dovuti dallo Stato alla suddetta epoca.

Alle successive scadenze riceverà un elenco delle variazioni seguite nelle rendite pagabili nello Stato.

Questo articolo avrà solo effetto a partire dal semestre successivo all'approvazione della presente Convenzione per parte del Potere legislativo.

Art. 6. — Le spese per locali, mobili, oggetti di cancelleria ed altro per il servizio di Tesoreria nei Capi luoghi di Provincia sono a carico della Banca, eccetto le stampe occorrenti alle operazioni derivanti da prescrizioni regolamentane e disciplinari.

Il Governo fornirà i locali e mobili che saranno riconosciuti necessari per le operazioni da farsi nei Capiluoghi di Circondario, e la scorta armata pel trasporto dei fondi di Tesoreria nei Capoluoghi di Provincia e di Circondario.

Esso destinerà la forza armata necessaria per la custodia dei fondi. Il locale, l’illuminazione e gli arredi pel corpo di guardia saranno a carico della Banca.

Art. 7. — Ogni qualvolta la Banca sia incaricata di provvedere a operazioni e a passaggio di fondi relativi alla unificazione monetaria sarà fissata una indennità in compenso delle spese che essa dovrà sostenere.

Art. 8. — I danni che incontrasse la Banca per gli effetti dell’art. 7 della Legge 24 agosto 1862, n° 788, saranno a carico dello Stato.

Fatta la presente in due originali alla presenza delle parti a di due testimoni che assieme ad esse la sottoscrivono.

Il Ministro delle Finanze

Quintino Sella.

Bombrini, Direttore generale della Banca Nazionale.

C. Peruzzi, testimonio.

Antonio Callegari, testimonio.

____________________________

CONVENZIONE per il passaggio del servizio

di Tesoreria alla Banca nazionale presentalo alla Camera dei deputati nella seduta del 24 maggio 1869 dal Ministro delle finanze

(Cambray-Digny)

Tra S. E. il conte Guglielmo De Cambray-Digny ministro delle finanze, ed il commendatore Carlo Bombrini, direttore generale della Banca nazionale nel regno d'Italia, autorizzato alla stipulazione della presente convenzione dal Consiglio superiore della Banca stessa in tornata 11 aprile 1869.

È stato convenuto e stabilito quanto in appesto:

Art. 1. Alla Banca nazionale nel regno d’Italia sarà affidato il servizio di tesoreria, che sarà da lei esercitato gratuitamente in tutto lo Stato, salvo il disposto dell’art. 25 della presente convenzione.

Il Governo s’impegna ad eseguire il passaggio di questo servizio alla Banca il 1° gennaio 1870, e in ogni caso non più tardi del giorno in cui le rimborserà i 278 milioni di cui nel decreto legislativo lc maggio 1866 e nel decreto ministeriale 5 ottobre stesso anno, ed il saldo dell’anticipazione di 100 milioni sul deposito di obbligazioni dell’asse ecclesiastico.

Art. 2. Il servizio di tesoreria affidato alla Banca consisterà nel fare secondo le norme stabilite dalle leggi e dai regolamenti, le operazioni seguenti in ogni capoluogo di provincia:

a) L’incasso delle entrate dello Stato dai contabili e debitori verso il Tesoro, e il pagamento dalle spese dello Stato, comprese le entrate e le spese d’ordine per vaglia e buoni del Tesoro;

b) li servizio del debito pubblico nell’interno del regno;

c) Il ricevimento dei depositi e dei versamenti in contanti, ed i pagamenti per conto dell’amministrazione della cassa dei depositi e prestiti;

d) L’incasso delle entrate dell’amministrazione del fondo per il culto dai contabili incaricati della loro esazione, ed il pagamento delle spese che verranno ordinate per conto delle medesime;

e) Il servizio delle obbligazioni e cartelle di società o corpi morali, che il Governo fosse a tutt’oggi impegnato a fare gratuitamente con le sue casse, e ciò nei tempi, luoghi e modi convenuti.

La Banca, presi i concerti opportuni col ministro delle finanze, potrà di una parie di queste operazioni, o di tutte, incaricare gli esattori delle imposte dirette fuori dei capoluoghi di provincia.

Art. 3. A garanzia del Governo, la Banca dovrà versare nelle casse dello Stato la somma di cento milioni di lire per rimanervi fino a che la Banca sarà incaricata di tal servizio; e da esserle rimborsata contemporaneamente alla sua cessazione.

Il Governo si obbliga, dal giorno in cui avrà ricevuta la somma, di corrispondere alla Banca sulla medesima l’interesse del cinque per cento annuo a semestri maturati.

La Banca non potrà ripetere la somma di 100 milioni, della quale è creditrice per la convenzione del 12 ottobre 1867, se non dopo il versamento predetto.

Art. 4. Per l’effetto di cui all’articolo precedente, la Banca porterà il suo capitale a duecento milioni di lire colla creazione di centomila nuove azioni da lire mille ciascuna, nei modi ed alle condizioni che verranno determinate dall’amministrazione della Banca. Però dovranno essere versate all’epoca dell’emissione non meno di lire duecento per azione, ed altre lire trecento non pili tardi di un anno successivo al primo versamento. Il versamento del saldo di cento milioni, da distribuirsi a termini dei proprii statuti, che potrà essere fatto in più rate, non potrà essere protratto al di là del semestre in cui la Banca riprenderà il pagamento dei suoi biglietti in numerario.

Questa somma potrà essere limitata dal Consiglio superiore della Banca, verificandosi il caso previsto all’articolo 25.

Art. 5 Quando in pendenza della concessione della Banca avvenisse il caso di rimborso dei cento milioni, il Governo del Be potrà autorizzare la Banca a ricondurre il suo capitale a. cento milioni rimborsando agli azionisti gli altri cento milioni.

Art. 6. Per l’attuale aumento di capitale la Banca non sarà tenuta ad aumentare il suo fondo di riserva. Sarà però in facoltà della medesima di formare un fondo di riserva speciale.

Art. 7. La Banca terrà nella sua amministrazione centrale presso la sede del Governo, due conti, cioè: un conto corrente di debito e credito verso il Tesoro e un conto definitivo di debito e di credito rispetto allo Stato, il quale sarà presentato alla Corte dei conti per la debita revisione e per il legale accertamento.

Nel conto corrente del Tesoro si porteranno a debito della Banca le somme effettivamente incassate nelle varie provincie, il giorno successivo a quello in cui pervenne alla sede del Governo la notizia del fatto versamento.

Si porteranno a credilo della Banca le somme per le quali venne spedito ordine di pagamento, a partire dal giorno stesso in cui l’ordine venne trasmessso alla Banca se a vista, oppure dal giorno della scadenza del debito se a termine.

Questo conto corrente verrà chiuso giornalmente fra il Tesoro e la Banca.

La differenza fra il debito ed il credito costituirà il fondo a disposizione del ministro delle finanze. Nel conto definitivo da presentarsi alla Corte dei conti figureranno e si giustificheranno le somme effettivamente incassate e quelle effettivamente pagate. Questo conto sarà presentato ogni mese.

La. differenza fra le somme effettivamente incassate, e quelle effettivamente pagate, che risulterà dall’esame della Corte dei conti, costituirà un resto attivo dell’erario.

Art. 8. Il conto corrente rispetto al Tesoro dovrà sempre presentare una eccedenza a credito del Governo non inferiore a 40 milioni di lire.

Il bronzo sarà calcolato come fondo a credito dal Tesoro, soltanto fino alla concorrenza di due milioni: della esuberanza potrà disporre il Governo nel modo che reputerà più opportuno.

Per le monete divisionarie che sono ricevute nei pagamenti soltanto in certe proporzioni, saranno presi accordi fra il Tesoro e la Banca.

Accordi speciali saranno pure presi relativamente al bronzo finché durerà il corso forzoso.

Art. 9. Parimenti finché durerà il corso forzoso la Banca sarà tenuta a fare in valute metalliche d’oro, d’argento o di bronzo, quei pagamenti che le verranno ordinati dal ministro delle finanze entro i limiti degli incassi nelle valute stesse, che la Banca avrà fatti pel servizio di tesoreria.

Art. 10. Pel servizio del debito pubblico, il ministro delle finanze,10 giorni prima della scadenza di nna rendita, fornirà alla Banca fondi in somma non inferiore ai due terzi di quella che fu pagata nello Stato pel servizio della rendita stessa nel semestre precedente.

Il rimanente della somma sarà provveduto secondo il bisogno ed in modo che le anticipazioni occorrenti precedano l’esaurimento degli ultimi fondi anticipati.

Art. 11. Le spese per locali, mobili, oggetti di cancelleria ed altro per il servizio di tesoreria sono a carico della Banca, eccetto le stampe occorrenti alle operazioni derivanti da prescrizioni regolamentarie e disciplinari.

Il Governo dovrà provvedere gratuitamente a ciascun stabilimento della Banca la forza armata necessaria per la custodia dei fondi e la scorta armata occorrente per il trasporto di fondi da uno all’altro stabilimento della Banca quando da essa venga richiesta.

Il locale, l’illuminazione e gli arredi pei corpi di guardia negli stabilimenti della Banca saranno a carico di questa.

Art. 12. La Banca sarà tenuta ad eseguire gratuitamente, a richiesta del Governo, la esazione delle cambiali o di altri titoli di credito spettanti allo Stato e pagabili sulle diverse piazze ove esiste una sede o succursale della Banca e l’acquisto di cambiali sull’estero, quando non sia impegnata la sua responsabilità.

Sarà inoltre tenuta a ricevere gratuitamente sottoscrizioni a buoni del Tesoro entro i limiti fissati dal ministro delle finanze.

Sarà tenuta eziandio sotto la sua responsabilità a ricevere le sottoscrizioni a prestiti pubblici, acquistare od alienare per conto del Tesoro rendita pubblica, trasmettere o ritirare fondi all’estero, o dall’estero per mezzo di cambiali, e ciò mediante una provvigione che in niun caso potrà eccedere il quarto per cento.

Art. 13. Il ministro delle finanze avrà la facoltà d’ordinare che somme determinate non siano riversate alla Banca, ma tenute in riserva nella Cassa del Tesoro nei modi da determinarsi col regolamento.

Art. 14. È riservata al Governo la facoltà di rivedere per legge la presente convenzione in quanto concerne il servizio di Tesoreria affidato alla Banca, alla fine di un triennio, secondo i suggerimenti dell’esperienza, salva nelle due parti la facoltà di rescindere la convenzione stessa, con preavviso di sei mesi.

Art. 15. L’obbligo della Banca di cui nell’articolo 7 del regio decreto 29 giugno 1865, rimane in vigore, ristrettivamente però alla somma di quaranta milioni corrispondente a due quinti del capitale nominale delle prime cento mila azioni.

Art. 16. La Banca è autorizzata a concorrere, per una somma da non eccedere il decimo del suo capitale, nelle istituzioni di Casse di sconto da stabilirsi nelle provincie del Regno, tanto per società in accomandita che per società anonime.

La somma per la quale la Banca potrà interessarsi in simili stabilimenti non dovrà però oltrepassare la metà del capitale col quale essi saranno costituiti.

Il Consiglio superiore della Banca stabilirà le condizioni di tale concorso.

Art. 17. La Banca potrà altresì stabilire speciali agenzie cointeressate nelle città ove non avrà una succursale.

Art. 18. La Banca prenderà parte alla formazione di una società anonima per la vendita di beni demaniali, o all'ingrandimento dell’attuale per una somma non maggiore di sette milioni e cinquecento mila lire.

Art. 19. La durata della concessione della Banca è prorogata a tutto l’anno millenovecento.

Art. 20. La Banca nazionale nel regno d’Italia riprenderà il cambio, in valuta metallica, dei suoi biglietti entro il termine di sei mesi, dopo aver ricevuto dal Governo il pagamento dell’intero ammontare dei suoi crediti, tanto per il mutuo di 278 milioni, quanto per l’anticipazione di 100 milioni sul deposito di obbligazioni dell’asse ecclesiastico.

Art. 21. Dal giorno in cui la Banca riprenderà il cambio dei suoi biglietti in valuta metallica, non rimetterà più in circolazione biglietti dei tagli non autorizzati dai suoi statuti, cioè quelli da 40, 25, 10, 5, 2 e 1, di mano in mano che gli abbia rititati e non ne metterà in circolazione dei nuovi.

La circolazione dei biglietti da lire 20 sarà ridotta nel più breve tempo possibile a 20 milioni di lire, limite che non potrà in seguito venir superato.

Sarà in facoltà della Banca di conservare nelle sue casse, nei modi da concertarsi tra il Ministero delle finanze e la Banca, quelli fra i predetti biglietti tolti dalla circolazione che essa non reputasse conveniente di annullare.

Art. 22. Inoltre, fino a tanto che resti affidato alla Banca il servizio di tesoreria, i suoi biglietti saranno ricevuti come moneta legale in tutte le riscossioni e in tutti i pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 23. Il cambio degli attuali biglietti in valuta metallica avrà luogo in tutte le sedi e succursali della Banca. Nelle sedi e nelle succursali che saranno determinate per Regio decreto in numero non minore di sette, il cambio dovrà farsi sempre immediatamente. Nelle altre succursali la Banca avrà facoltà di frapporre al cambio il breve indugio necessario al trasporto del numerario dalla sede più vicina.

Art. 24. Però se la Banca col consenso del Ministero delle finanze come all'articolo 20 dei suoi statuti, cambierà la forma dei proprii biglietti al portatore, ed i nuovi biglietti indichino il luogo dell’emissione, il cambio in valute metalliche sarà sempre obbligatorio immediatamente nel luogo medesimo.

Art. 25. Fino alla definitiva sanzione di questa convenzione, è riservata al Governo la facoltà di affidare al Banco di Napoli il servizio di tesoreria nelle provincie di Avellino, Bari, Benevento, Campobasso, Caserta, Cosenza, Foggia, Lecce, Napoli, Potenza e Salerno, alle stesse condizioni e colle stesse norme stabilite colla Banca nazionale.

In questo caso la garanzia che dovrà dare il Banco di Napoli andrà in diminuzione di quella della Banca nazionale, e sarà calcolata in ragione dell’importanza del movimento delle tesorerie da esso esercitate in confronto colle altre.

Parimente nelle stesse proporzioni sarà calcolata l’eccedenza che dovrà presentare il conto corrente del Tesoro col Banco, la quale andrà in diminuzione dell’eccedenza nel conto del Tesoro colla Banca, di che all’articolo 8.

Art. 26. Quando il Governo si valga delle facoltà di cui nel pre cedente articolo,, darà corso legale, colle norme dell’articolo 22, alle fedi di credito e polizzini del Banco di Napoli nelle provincie dove eserciterà il servizio di tesoreria, cessando di averlo nelle medesime i biglietti della Banca nazionale.

Art. 27. In tal caso la Banca nazionale ed il Banco di Napoli faranno il mercoledì ed il sabato di ogni settimana, od il giorno precedente se il giorno prefisso fosse festivo, la riscontrata delle fedi e polizzini e dei biglietti rispettivamente incassati.

Stabilita la somma dei titoli fiduciari rispettivamente posseduti, l’istituto che ne avrà, meno passerà all’altro, nel giorno stesso, i titoli fiduciari di emissione di quest’ultimo, e riceverà in cambio altrettanta somma in titoli fiduciari di propria emissione. All’istituto cui rimarrà un’eccedenza di titoli fiduciari dell’altro, questa dovrà essere rimborsata in valute metalliche legali, prima del giorno in cui dovrà aver luogo la riscontrata successiva.

Il Governo sta garante di questa eccedenza rispettivamente per. l’uno verso l’altro istituto; e qualora le predette disposizioni non fossero compiutamente eseguite, il Governo per Regio decreto, dietro proposta deliberata in Consiglio dei Ministri, revocherà la concessione all’istituto che sarà mancante.

Art. 28. La presente convenzione non avrà effetto se non dopo l’approvazione del Parlamento.

Fatto a Firenze, addì 24 maggio 1869,

Firmati: L. G. Cambray-Digny, ministro delle finanze. — C. Bombrini, direttore generale della Banca. — Gaspare Finali, testimonio. — Adolfo Sanguinetti, testimonio.

__________________________________

CONVENZIONE del 10 ottobre 1866

per la fusione della Banca nazionale toscana colla Banca nazionale del Regno d’Italia presentata alla Camera dei Deputati nella seduta del 24 maggio 1869 dal Ministro delle finanze (Cambray-Digny).

Fra la Banca nazionale net regno d’Italia, rappresentata dai signori cavaliere Carlo Ceriana, cavaliere Antonio Rossi, cavaliere Giulio Belinzaghi, cavaliere Giovanni Battista Fossi e commendatore Carlo Bombrini, come da poteri loro conferiti dal Consiglio superiore, con la deliberazione del 19 settembre 1866, e la Banca nazionale toscana rappresentata dai signori cavaliere avvocato Giuseppe Servadio e Moisè Padova, come da poteri loro conferiti dal Consiglio superiore, debitamente autorizzato, rimane convenuto e stabilito che al primo gennaio mille ottocento sessantasette la Banca Nazionale toscana si unisce e si fonde colla Banca nazionale nel regno d’Italia, ed a questo effetto ora per allora i rappresentanti della Banca nazionale toscana cedono e trasferiscono ai rappresentanti della Banca nazionale nel regno d’Italia tutti i diritti e tutti gli obblighi, insieme con tutto l’attivo e tutto il passivo della Banca nazionale anzidetto e risultante dal bilancio,

che chiuderà tutti i conti al 31 dicembre prossimo, per l’effetto che lo stralcio e la liquidazione di questa si assuma e si operi per conto e interesse proprio della Banca nazionale nel regno d’Italia, coi patti però e condizioni seguenti e non altrimenti.

Art. 1. Gli azionisti della Banca nazionale toscana formeranno parte della Banca nazionale nel regno d’Italia, accettandone lo statuto e i regolamenti in vigore e godranno di tutti i diritti, e rispettivamente sopporteranno tutti gli obblighi in modo eguale e colle stesse condizioni come tutti gli altri azionisti di essa.

Art. 2. In coerenza al paragrafo 3 dell’articolo IO del regio decreto 29 giugno 1865, agli azionisti della Banca nazionale toscana verranno ripartite e concesse alla pari tre azioni nuove della Banca nazionale nel regno d’Italia per ogni due azioni vecchie della Banca nazionale toscana, e cosi numero quindicimila azioni nuove in cambio di diecimila azioni della Banca nazionale toscana, sulle quali però nell’atto del cambio per ogni due azioni toscane occorrerà lo sborso di lire cento, per essere equiparate nei versamenti alle azioni della Banca nazionale nel regno d’Italia sulle quali non sono state finora versate che lire settecento per ciascuna.

Art. 3. La Banca toscana fino al 31 dicembre 1866 continuerà le operazioni per conto proprio, e cosi distribuirà ai suoi azionisti, colle norme del proprio statuto, gli utili risultanti dall’intiero esercizio dell’anno corrente, derogandovi solo per il riscontro degl’impieghi scadenti dopo il 31 dicembre 1866 che dovrà pure essere dedotto dai benefizi.

Art. 4. La Banca nazionale toscana cesserà di esistere al suddetto giorno 31 dicembre 1866, e quindi cesserà da ogni operazione per conto ed interesse proprio, e da ogni obbligazione e responsabilità tanto in faccia agli azionisti quanto in faccia ai terzi; obbligazioni e responsabilità che a tutti gli effetti di ragione passeranno nella Banca nazionale nel regno d’Italia.

Art. 5. Tutto l’attivo e passivo della Banca nazionale toscana, compresa la massa di rispetto comprendente l’esercizio del 1866, passerà nella Banca nazionale nel regno d’Italia secondo i risultamenti del bilancio, che verrà chiuso al 31 dicembre 1866, prelevati gli utili come sopra a favore degli azionisti toscani, e del quale bilancio sarà data a suo tempo alla Banca nazionale nel regno d’Italia copia autentica dai funzionari della Banca toscana suddetta.

Art. 6. Il cambio delle azioni toscane colle azioni nuove della Banca nazionale nel regno d’Italia, di cui all’articolo 2, non avrà cominciamento che al primo gennaio 1867, dalla cui epoca soltanto comincieranno a decorrere gli utili a favore dei possessori delle quindici mila azioni cambiate.

Art. 7. Lo stralcio della Banca toscana si opererà per conto e nell’interesse della Banca nazionale nel regno d’Italia, nella quale passeranno tutti i diritti e tutti i privilegi di quella per tutta la durata dello stralcio. Quindi la Banca nazionale nel regno d’Italia, per la realizzazione del portafoglio della Banca nazionale toscana, potrà continuare ad accettare i recapiti a due firme aventi tutti i requisiti che erano richiesti dallo statuto della Banca toscana:

Art. 8. Onde facilitare alla Banca nazionale nel regno d’Italia lo stralcio dello stato attivo della Banca nazionale toscana, è convenuto che lo stralcio medesimo e sue relative operazioni, non che i privilegi che vi sono inerenti, possano protrarsi a tutto l’anno 1869, purché se ne ottenga l’approvazione governativa, ed ove tale approvazione venisse a mancare, debbasi in questo caso eseguire lo stralcio nel termine fissato dallo statuto toscano.

Art. 9. Venendo a cessare al. 'Il dicembre 1860 tutte le sedi e succursali della Banca nazionale toscana a cura della Banca nazionale nel regno d’Italia sarà provveduto nei modi di ragione, perché prima di quel termine, in luogo e vece delle sedi succursali che vanno a cessare, vengano sostituite negli stessi luoghi altrettante succursali della Banca nazionale nel regno d’Italia, talché l’effetto sia che le succursali suddette si trovino in ciascun luogo in pieno esercizio al 1° gennaio 1867. A questo effetto la Banca nazionale toscana dovrà prestarsi a che si diano dalla Banca nazionale nel regno d’Italia, le occorrenti disposizioni nei di lei uffizi anche prima del gennaio 1867.

Art. 10. Rimane pure stabilito e convenuto che gl’impiegati della Banca nazionale toscana tanto delle sedi quanto delle succursali, venendo parificati agli impiegati della Banca nazionale nel regno d’Italia, passeranno al servizio di essa; ed ai medesimi impiegati di detta Banca toscana sarà tenuto conto del trattamento a loro favore risultante dallo stato concordato nel marzo 1865, ed al quale le due Banche intendono di riportarsi non tanto per le persone in quello comprese, quanto per gli emolumenti che visi riferiscono.

Tale trattamento però, conforme è convenuto nei capitolati di questo stesso giorno, sarà ad essi dovuto finché rimangono nell’impiego, e ciò indipendentemente e senza pregiudizio dei diritti ed obblighi che alcuni di essi già a nomina regia possono avere rispetto al Governo.

Art. 11. Se colla cessazione della Banca nazionale toscana non convenisse altrimenti ai signori direttori delle sedi Firenze e Livorno di rimanere nell’ufficio, in questo caso la Banca nazionale del regno d’Italia concorda fino da ora di fare ai signori cavalieri Bertini e cavaliere Mayer un assegnamento annuo loro vita natural durante di lire 8,000, da tenersi però a calcolo su detta somma, o da stare in diminuzione di essa quella qualunque cifra che a titolo di pensione avrà diritto il predetto signor cavaliere Bertini di ottenere dal regio Governo.

Art. 12. La presente convenzione non avrà efficacia se non quando sia in tempo emanato il decreto reale che ne renda possibile la esecuzione.

Fatta la presente in tre originali, da rimanere uno presso il Ministero delle finanze, e gli altri a ciascuna delle parti contraenti.

Firenze addì 10 ottobre 1866.

Cavaliere Giovanni Battista Fossi nei nomi.

Commendatore Carlo Bombrini a nome proprio, e per incarico avutone dai signori cavaliere Carlo Ceriana, cavaliere Antonio Rossi e cavaliere Giulio Bellinzaghi.

Cavaliere Moisè Padova.

Cavaliere avvocato Giuseppe Servadio.

Coerentemente alla lettera del di 14 novembre 1868 trasmessa dal direttore generale della Banca nazionale nel regno d’Italia alla direzione della Banca toscana, salvi e riservati i diritti tutti competenti alle riferite due Banche, rispetto alla causa pendente in appello davanti la Corte di Firenze dalla sentenza del tribunale civile di Firenze del di 28 gennaio 1867, i sottoscritti, in ordine ai poteri ricevuti, dichiarano che gli effetti della convenzione del 10 ottobre 1866 vennero prorogati a tutto il 31 luglio 1869. Quindi si riservano di regolare con separato atto gli altri termini che all’esecuzione della convenzione stessa si riferiscono.

Firenze, addì 14 gennaio 1869.

Avvocato G. Servadio a proprio nome e per conto dell’altro

commissario della Banca signor cavaliere Moisè Padova.

Bombrini.

•La questione delle banche ed il servizio di tesoreria per Achille Plebano e Adolfo Sanguinetti
•La questione delle banche ed il servizio di tesoreria per Achille Plebano e Adolfo Sanguinetti
•La questione delle banche ed il servizio di tesoreria per Achille Plebano e Adolfo Sanguinetti
•La questione delle banche ed il servizio di tesoreria per Achille Plebano e Adolfo Sanguinetti
•La questione delle banche ed il servizio di tesoreria per Achille Plebano e Adolfo Sanguinetti

INDICE

DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME

__________________

Al lettore …................................................................................ V.
Capitolo primo . — La Banca — Sua origine — Sua trasformazione — Sua emissione — Principali suoi mezzi d’azione — Il biglietto di Banca — Sua genesi — Delimitazione della questione delle Banche....................................................... 1
Capitolo secondo . — Opinioni diverse intorno alla questione

delle Banche — Sismondi — Scuola metallica — Libertà

assoluta — Libertà condizionata — Riscontro nel fatto delle

opinioni più radicali — L’Isola di Jersey — I due principali

sistemi da esaminarsi — Il biglietto di Banca, considerato

in se stesso — Considerato ne’ suoi effetti — Il biglietto agisce

come moneta — Conseguenze di questo fatto — Inconvenienti

della concorrenza nella creazione della moneta e nella emissione dei biglietti..................................................................

26
Capitolo terzo. — Esame di altri argomenti pro e contro la

libertà dell’emissione — Confusione tra credito e biglietto

— La libertà della emissione non serve a diffondere il credito

ed a discentralizzarlo — Esempi nel Belgio — La libertà

d’emissione non fa ribassare lo sconto — Cause determinanti il saggio dell’interesse — Il cambio — Pericoli dell’unità e

maggiori pericoli della libertà — Inghilterra — America —

Vantaggi, del biglietto — Condizioni per ottenerli.....................

54
Capitolo quarto. — Quale è il sistema bancario prevalente in fatto — La Francia — L’Inghilterra — La Germania — Il Belgio — L’Olanda — La Spagna — L’America — Che cosa deve conchiudersi — Un’obbiezione d’ordine politico — Opinione del conte Cavour................................................................................. 74
Capitolo quinto. — Il credito in Italia — Cause del limitato suo sviluppo — La Banca nazionale Sarda — Sua estensione in tutto il Regno — La Banca nazionale Toscana — Sua origine — Vicende della fusione delle due Banche Nazionali......................
Esame di tale questione — Relazione della Giunta cheesaminò il progetto di fusione, presentato dal ministro Cambray-Digny — La Banca Toscana di credito per l’industria e pel commercio — Il Banco di Napoli — Sua storia — Sua natura — Il Banco di Sicilia....................................................... 104
Capitolo sesto . — Altre istituzioni di credito in Italia — Come possono raggrupparsi — La Banca anglo-italiana — La Cassa nazionale di sconto Toscana — La Cassa generale di Genova — Il Banco sconto e sete di Torino — Il Credito mobiliare — Il Banco di credito italiano — Le Casse di risparmio — Il Credito fondiario — Le Banche popolari — La Banca del popolo di Firenze — Sua natura — La circolazione illegale — Il progetto Minghetti....................................................................................... 154
Capitolo settimo . — Cenni intorno all'importanza delle operazioni della Banca nazionale italiana — Movimento complessivo — Sconti — Distinzione che si fece riguardo aglisconti — Anticipazioni — Distribuzione dell’azione della Banca su tutta la superficie del Regno — Emissione dei biglietti — Circolazione — Altre operazioni della Banca — La Banca nazionale Toscana — Dati relativi alle sue principali operazioni — Il Banco di Napoli — Id. — Il Banco di Sicilia — Id............... 182
Capitolo ottavo . — Deduzioni — Appunti della Commissione

d’inchiesta parlamentare sul corso forzoso — Necessitàfinanziaria ed economica del corso forzoso — Rapporti dellaBanca nazionale italiana cogli altri istituti di credito —Rapporti della stessa col Governo — Riassunto.........................

205
Capitolo nono . — Il passaggio della tesoreria alla Banca — Cenni storici di tale questione in Italia — Progetti del conteCavour — Progetto del ministro Manna — Progetto del ministro Sella — Progetto attuale — Principali disposizioni di esso — Cenni di alcuni dei vantaggi che da esso derivano..................... 248
Capitolo decimo . — La convenzione della Banca è collegata colla soluzione del problema finanziario — Cenni intorno alla situazione finanziaria ed ai provvedimenti proposti dalministro delle finanze — Necessità di temperamenti nelpassaggio dal corso forzoso alla circolazione metallica —Esempi di altri paesi; il Belgio, l’Olanda, l’Inghilterra —Confronto tra il progetto attuale e quelli che lo precedettero — Obbiezioni — Danni della divisione del servizio della Tesoreria — Pericoli del servizio di Tesoreria affidato alla Banca — La garanzia dei 100 milioni i reale — Il fondo di cassa — Cenni di altre disposizioni della convenzione ed esame di altre obbiezioni 272
Conclusioni ................................................................................. 321

APPENDICE

Discorsi pronunciati dal conte Cavour sulla questione delle Banche 
e sul passaggio del servizio di tesoreria alla Banca nazionale.
Discorso pronunziato il 1° luglio 1851 alla Camera elettiva 325
pronunciato il 4 luglio 1851 alla Camera elettiva 342
pronunciato il 5 luglio 1851 alla Camera elettiva 366
pronunciato il 14 novembre 1853 al Senato del Regno 379
pronunciato il 15 novembre 1853 al Senato del Regno 398
pronunciato il 16 novembre 1853 al Senato del Regno 407
Principali atti governativi

concernenti il sistema bancario francese.

Legge del 24 germinal — 4 floreal — Anno XI (14 aprile 1803) 416
del 22 aprile — 2 maggio 1806 419
del 30 giugno 1840 423
Decreto del 27 aprile 1848 424
Legge del 9 giugno 1857 427
Leggi che regolano in Inghilterra il servizio di tesoreria

e l'emissione dei biglietti di Banca.

Atto del 22 maggio 1834. — Riordinamento dell’ufficio dello scacchiere, e passaggio del servizio di tesoreria alla Banca 429
— che regola l’emissione dei biglietti di Banca e che accorda al governatore e alla compagnia della Banca d’Inghilterra alcuni privilegi 443
Leggi del Belgio sulla Banca e sul servizio di tesoreria.

Legge del 5 maggio 1850 che instituisce una Banca nazionale 457
del 10 maggio 1850 che organizza il servizio del cassiere dello Stato 461
Progetti presentati al Parlamento subalpino ed a quello 
italiano intorno alla Banca ed al servizio di tesoreria.
Progetto del 24 maggio 1851 463
del 19 marzo 1852 464
del 7 maggio 1853 466
Decreto reale del 23 ottobre 1865 che approva la convenzione per il passaggio del servizio di tesoreria alla Banca   468
Convenzione colla Banca dei 23 ottobre 1865   469
del 24 maggio 1869 per il passaggio del servizio

di tesoreria alla Banca

472
del 10 ottobre 1866 per la fusione della Banca

toscana colla Banca nazionale italiana

478
Prospetto dei manchi di cassa dall’anno 1861 a tutto il 30 aprile 1869 482
del fondo di cassa alla scadenza di ciascuno dei dodici mesi del 1868 486








Potete inviarci una email usando il modulo. You can send us an email using the contact form.










Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza
Creative Commons Attribuzione
Non commerciale
Non opere derivate 4.0 Internazionale
.







vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.