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RAFFAELLO BUSACCA

STUDI SUL CORSO FORZOSO  DEI BIGLIETTI DI BANCA IN ITALIA

FIRENZE

TIPOGRAFIA DELLA GAZZETTA D'ITALIA

Via del Castellaccio, N.8

1870

(2)

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VIII.

L'esportazione della moneta metallica dall'Italia, è stato un fatto, il corso forzoso ne è stato la causa.

Abbiano visto le conseguenze, che per le leggi naturali economiche derivano nella circolazione dalla sospensione del pagamento dei biglietti di banca; vediamo ora i fatti che riguardan l'Italia.

Scopo dell'inchiesta essendo la soppressione del corso forzoso, riassumere e coordinare i fatti raccolti nell'inchiesta, e trarne le conseguenze, sì intorno alle condizioni che è necessità s'avverino per poter sopprimere il corso forzoso, che intorno alla via da seguire per raggiungere lo scopo, era ufficio della Commissione. Eran queste le conclusioni che ci aspettavamo trovare nella quinta parte del primo vol. me detta Conclusioni della Commissione d'inchiesta. Ma, siccome abbiamo accennato, nulla che riguardi lo scopo della soppressione del corso forzoso nelle Conclusioni ritrovasi.

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I fatti rimangono dispersi, e non coordinati nei tre vol. mi dell'inchiesta; di quelli importanti allo scopo della soppressione, nelle Conclusioni se ne accenna appena qualcuno, senza che riguardo allo scopo alcuna conseguenza se ne deduca, anzi senza, che quanto a detto scopo una conclusione che seriamente possa dirsi tale nelle Conclusioni ritrovisi.

La quinta parte infatti consta di 49 pagine, e dalla pagina 402 alla pagina 421, la Commissione trattiensi a dimostrare che il corso forzoso non era necessario. Indi in sette pagine si afferma, che la instabilità dei valori, la scomparsa della moneta metallica, l'emissione di biglietti non autorizzati sono danni e disordini dovuti al corso forzoso. Poi il corso forzoso dimenticasi, e dalla pagina 429 in poi la Commissione consacrasi ad esporre le accuse contro la Banca Nazionale. Così si arriva alla pagina 446; e detta la ragione per cui non vol. e formulare un progetto di legge, accennate le particolari proposte dei commissari Seismit-Doda e Rossi, che la Commissione non fa sue, essa termina coi tre ordini del giorno; due dei quali riguardano i rapporti della Banca Nazionale col governo, ed una legge sulla libertà bancaria, e col terzo ravvisata in massima la necessità e possibilità d'abolire il corso forzoso, s'invita il ministero a presentare una legge.

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Però, che il corso forzoso non sia un ordinamento normale da durare eternamente, replichiamo, si sapeva da tutti. Ma il terzo ordine del giorno qual nesso ha colle cose dette nelle Conclusioni, se nessuna delle questioni pratiche, da cui la possibilità, prossima o remota, della soppressione dipende, è stata dalla Commissione trattata?

Lasciando dunque da parte le Conclusioni della Commissione, riassumiamo piuttosto dalla stessa inchiesta i fatti. E pria di tutto; quale era la circolazione metallica? quale la fiduciaria verso l'aprile 1866?

Mancando dati certi sul movimento internazionale delle monete metalliche nazionali ed estere, e sul naturale loro consumo per l'uso, incerto è sempre il valore in moneta metallica esistente in un paese.

Però il valore coniato risulta dai registri delle zecche, e questo elemento certo esser dovrebbe il punto di partenza dei calcoli.

Non sappiam dunque perché, tra i documenti pubblicati della Commissione non siavi quello dimostrante il valore della coniazione delle varie specie di monete italiane aventi corso legale nel Regno (1).

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Qual si fosse la moneta metallica circolante al 1866, era bensì una delle domande fatte dalla Commissione alle persone da essa interpellate. Però dal riassunto dato dalla Commissione non è possibile indovinare le basi dei loro apprezzamenti, né sembra che abbiano avuto miglior fortuna cogli Stenografii (2).

(1) Sulla coniazione la Commissione non ha pubblicato altro documento che quello relativo al servizio delle zecche assunto dal 1862 in poi dalla Banca Nazionale. Da questo rilevasi che gli acquisti d'oro e d'argento fatti dalla Banca per servizio delle zecche dal 1° gennaio 1862 al 31 marzo 1868 ascesero a L.501,532,130 52, le monete coniate a L.361,729,504 50. (Vedi Inchiesta, vol. 2, pag.262 e seguenti).

(2) Secondo la Commissione il De Cesare valutava ad 800 milioni la circolazione metallica sulla base della circolazione napoletana. (Vol.1, pag.330). Che cosa voglia dire che il De Cesare la calcolasse su quella b»se non sappiamo; sappiamo soltanto che il De Cesare puramente e semplicemente riferivasi a un discorso dell'ex-ministro Cordova pronunziato nel 1862. (Vedi Inchiesta, vol. 3, pag.41).

Similmente la Commissione riferisce alcuni calcoli d'un signor Levi. Però riscontrando nel 3° vol. me le deposizioni dei banchieri David Levi di Firenze e Felice Levi di Torino, ritrovasi, che ambi s'astennero dal dar calcoli e cifre, dichiarando non avere elementi per dare una risposta conscienziosa alla domanda. (Inchiesta, vol. 3, pag.395 e seguenti).

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Checché ne sia dalle deposizioni risulta, che il maggior numero degl'interpellati, e tra questi i più autorevol. per studi e per pratica, attribuiscono all'Italia avanti il corso forzoso una circolazione metallica d'un miliardo a 1200 milioni. Ed il D. Maestri Direttore dell'Ufficio di Statistica generale del Regno

Parimenti, secondo riferisce la Commissione, l'onor. Nisco valutava le coniazioni fatte in Italia dal 1803al 1861 per L.457,237,044, quelle dal 1862 in poi per L.416,400,177; sarebbero dunque L.873,637,221. Come dunque, secondo la Commissione, l'onor. Nisco valutava il totale per oltre 900 milioni? (V. vol. 1, pag.332).

Però il Nisco non fu più fortunato colla stenografia. Poiché in altro calcolo risguardante le Provincie napoletane gli si fa dire che la coniazione in argento e rame dal 1815 al 1859 vi ascese a Due. 83,476,000 (Inchiesta, vol. 3, pagina 200), mentre secondo i suoi dati più esattamente sarebbero Due. 83,077,018. Ma checché ne sia, il valore del ducato essendo di L. 4 25 si avrebbero L. 354,773,000. Però nella deposizione stenografata Due. 83,476,000 si riducono a 337 milioni.

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giunge a questa cifra desumendola dalla coniazione, la quale dal 1803 al 1866 secondo lui ascende a 1500 milioni, da cui sottraendo 300 milioni di monete demonetizzate, restano 1200 milioni tuttora in corso.

Questa cifra secondo il Maestri può essere stata poco alterata dal movimento internazionale, poiché l'importazione e l'esportazione di metalli coniati si bilanciano; opinione che troviamo sostenuta da altri (1).

Noi invero partendo da questa valutazione, che è di tutte la meglio ragionata, crediamo che pei grandi prestiti fatti all'estero, per le società industriali formatesi con capitali esteri in Italia, e per essere il commercio Italiano in un periodo ascendente, l'importazione del numerario in Italia nei primi anni del suo risorgimento sia stata considerevolmente superiore all'esportazione. Però dal 1864 in poi a questo moto ascendente successe il discendente, e per il ritorno dei titoli di Debito pubblico, e d'altri valori commerciali che l'estero respingeva in Italia, per il ritiro dei capitali esteri impiegati nel commercio italiano, e in generale per la decadenza del credito e del commercio, per cui le partite dovettero saldarsi in buona parte in metallo,

(1) V. Inchiesta, vol. 3, pag.423 e seguente.

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il capitale metallico al 1° maggio 1866 era già grandemente diminuito, e crediamo essere più vicini al vero riducendone la valutazione a un miliardo.

Quanto alla circolazione fiduciaria, l'ammontare della stessa ad un giorno determinato, è notizia che ciascuna banca può dare con precisione per quel che la riguarda. Ci aspettavamo quindi che la Commissione avrebbe pubblicato il prospetto della circolazione fiduciaria totale del Regno, al 30 aprile 1866. Però questo prospetto mancando è mestieri supplire coi dati che più s'avvicinano a quell'epoca, e che si trovano sparsi nei due primi vol. mi dell'inchiesta, o nella Gazzetta Ufficiale: (1),

(1) Per la Banca Nazionale, V. Gazzetta Ufficiale 12 maggio 1866. Per il Banco di Napoli Inchiesta, vol. 2, pag.850. Per il Banco di Sicilia Inchiesta, vol. 1, pag.167. Per la Banca Nazionale Toscana, Gazzetta Ufficiale 11 maggio 1866. Per la Banca Toscana di Credito Inchiesta, vol. 1, pag.173.

Per il Banco di Napoli è probabile che sul finire dell'aprile la circolazione sia stata inferiore alla media del mese. Poiché nel maggio, quando il corso forzoso dovea piuttosto mantenerla ferma, la media mensile si ridusse a L.78,062,870.

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Banca Nazionale,28 aprile 1866. L.   116,908,779 20
Banco di Napoli, media dell'apr. 1866     96,580,710 93
Banco di Sicilia, 31 dicembre 1863.     28,708,772 01
Banca Nazionale Toscana, 30 apr. 1866      23,924,360 —
Banca Toscana di Credito per l'industria, ecc.,1° maggio 1866... 244,000 —
L. 266,366,622 14

Riunendo adunque la circolazione metallica e la fiduciaria, il mezzo di circolazione alla vigilia dèi corso forzoso si poteva valutare di 1266 milioni circa.

Però non è menomamente da dubitare, che dal 1° maggio 1866 in poi l'esportazione della moneta metallica siasi smisuratamente accresciuta; le questioni potrebbero soltanto aggirarsi sull'ammontare della esportazione, sui modi in cui praticamente si è effettuata, e sulla causa che l'ha prodotta.

Quanto al fatto, se alcuno ne dubitasse, basterebbe

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 a convincerlo il movimento d'importazione e d'esportazione di metalli e valori effettuatosi per mezzo delle ferrovie dell'Alta Italia. Infatti, in continuazione delle notizie che già accennammo e che arrivano sino al 30 aprile 1866, si ha, che dal 1° maggio 1866 al 31 marzo 1868, quelle ferrovie esportarono in metalli e valori per lire 319,262,400, importarono per lire 86,928,000 (1). La differenza di lire 232,334,400 dimostra già da sè sola di quanta importanza dovesse essere il numerario esportato.

Ma stante lo svilimento della Rendita e degli altri valori italiani, per questo periodo come per il precedente, l'esportazione di valori e l'importazione di numerario non possono essere stati che casi eccezionali, e dovette essere quasi tutta di numerario l'esportazione, quasi tutta di valori l'importazione. Questa enorme esportazione di numerario effettuatasi per quella sola via, ci dice quale dev'essere stata quella per tutto il Regno.

Ma più dei documenti che provano materialmente l'esportazione, più dell'opinione degli uomini d'affari

(1) V. Inchiesta, vol. 1, pag.353.

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che la attestano, vale il fatto quotidianamente da tutti sperimentato: il fatto cioè che prima la moneta d'oro, poi quella d'argento a 900 millesimi, poi la divisionaria a 853 millesimi, ed in certe località e certe epoche sin la moneta di rame è sparita dal comune commercio, sicché la circolazione ordinaria comune si effettua tutta con biglietti. Or dove trovasi un miliardo o più di moneta metallica che sino al primo maggio 1866 circolava in Italia?

Una parte è nelle banche di circolazione come riserva metallica, una parte sarà nelle casse del Tesoro, l'altra è presso i cambiamonete e banchieri che speculano sui metalli preziosi. Ma dove è il rimanente? Fermandoci al 1868, la riserva delle Banche era la seguente: (1)

Banca Nazionale, 26 dicembre. L.    179,019,746 82
Banco di Napoli.      20,000,000 —
Banco di Sicilia.      30,040,669 56
Banca Toscana 31 dicembre.         2,698,496 —
Banca Toscana di credito per l'industria, ecc., 31 dic. 2,000,000 —
L. 233,758,912 38

(1) Per la Banca Nazionale, e per le banche Toscane, vedi Gazzetta Ufficiale 10 gennaio 1869.

Per il Banco di Napoli Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1869.

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Il Banco di Napoli, oltre i 20 milioni immobilizzati, porta in attivo cumulativamente il numerario e i biglietti della Banca Nazionale esistenti nelle sue casse, ed al 15 dicembre 1868 tale attività ascendeva alla ragguardevole somma di lire 40,779,480. Però mettendo in conto anche il numerario non facente parte delle riserve metalliche immobilizzate, non sembra che alla fine del 1868 possano nelle casse delle cinque banche esservi stati più di 260 milioni in moneta metallica.

Altra somma dovea trovarsi nelle casse del Tesoro. Ma, se rammentasi che al 21 aprile 1866 il numerario del Tesoro consisteva in 15 milioni di monete di bronzo, e soltanto 28 milioni in argento ed oro, se rammentasi che per pagare 40 milioni di Rendita all'estero,

Quanto al Banco di Sicilia scarsissime ne sono le notizie. Ma poiché assicurasi che alle fedi e polizze in circolazione corrisponde esattamente un deposito insomma uguale (Inchiesta, vol. 2, pag.922), adottiamo la somma corrispondente della circolazione, che al 28 marzo 1868 era di L.30,040,669 56 [Inchiesta, vol. 1. pag.167), rimanendo bensì incerto se i depositi in cassa fossero in metallo, o parte in metallo e parte in biglietti della Banca Nazionale.

– 182 –

 il Tesoro nel 1867 ne dovette far provvedere i fondi dalla Banca (1) non si può supporre che sia stato di grandissima importanza il metallo coniato posseduto dal Tesoro sulla fine del 1868.

Or supponendo che presso gli speculatori trafficanti in metalli coniati sianvi altri 80 milioni, supposizione esagerata, riunendo tutto difficilmente si arriva alla somma di 370 milioni. Ma se calcolasi che avanti il corso forzoso il capitale metallico monetato ascendeva a mille milioni, che cosa è divenuto dei 630 milioni scomparsi dal comune commercio'?

Credere che un capitale si ingente resti nascosto ed inoperoso è un assurdo, che la stessa entità della cifra dimostratale. Si riduca pure la somma a 600 milioni, la inattività di questo capitale in un paese, come l'Italia, che di capitali non è straricco, si appaleserebbe con una desolazione luttuosissima che non ha riscontro nei fatti. Il vero è, che in Italia, come dappertutto, un capitale inattivo vi è sempre stato: però per le ragioni precedentemente svolte, il capitale inattivo in moneta metallica pochissimo ha potuto aumentare a causa del corso forzoso.

(1) V. Inchiesta, vol. 1, pag.244.

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Ma la parte massima del capitale metallico monetato, che non è nelle casse delle banche di circolazione, né nelle casse del Tesoro, né in quelle' dei trafficanti in monete metalliche, è andata all'estero. Noi non diciamo che siansi esportati 630 o 600 milioni. La certezza in questi, calcoli non è possibile, ed oltre il rame devesi mettere in conto quel pochissimo d'oro o d'argento, che in qualche località circola ancora nel comune commercio. Ma tutto calcolato non crediamo d'errare dicendo, che per lo meno la metà del miliardo si e esportata.

Quale però è stata la causa dell'esportazione? Nell'inchiesta troviamo che dal maggior numero degl'interpellati, causa dell'esportazione della moneta metallica dicesi essere stato il ritorno della Rendita Italiana, che l'estero rivendeva all'Italia. Un tal fatto, abbiam già osservato, cominciò a manifestarsi sin da quando cominciò a decadere il credito dell'Italia, e a ribassare il prezzo della Rendita. E noi non sapremmo dubitare, che le cause stesse che lo producevano avanti il corso forzoso, aggravandosi dopo il 1° maggio 1866 l'importazione della Rendita, dopo quell'epoca siasi aumentata.

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Se, come la Commissione d'inchiesta crede, l'importazione della Rendita fosse stata di 40 a 60 milioni, e tutta fosse avvenuta dopo il corso forzoso, ragionando la rendita al 50 per cento, dopo il corso forzoso 400 a 600 milioni in moneta metallica, sarebbero venuti meno all'Italia soltanto per questa via. Ed il vero è, che l'importazione della Rendita e l'esportazione del prezzo cominciarono prima del corso forzoso; ma anche dopo il corso forzoso l'importazione della Rendita fu probabilmente la via più larga per cui il numerario passò all'estero.

Il commercio italiano, si aggiunge da altri, avea un rilevante debito verso il commercio estero, e per la decadenza del credito ha dovuto saldare il suo debito in moneta metallica.

L'importazione delle merci estere, si è detto pure, supera enormemente l'esportazione dei prodotti nazionali, ed e in moneta metallica che si è potuto coprire la differenza.

Però, ammettendo questi fatti, si può dire che queste siano le cause vere dell'esportazione del numerario dopo il corso forzoso? GÌ'interpellati dalla Commissione, e la Commissione con essi, confondono due cose essenzialmente distinte.

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Una cosa è l'operazione commerciale che ha potuto dar luogo all'esportazione della moneta, altra la causa dell'esportazione. Necessariamente la moneta metallica non può andare da un paese all'altro, che in cambio d'una qualche cosa avente valore uguale. La Rendita Italiana rivenduta all'Italia, le merci che l'Italia dopo il maggio 1866 ha comprato dall'estero, le, merci o altro valore per cui il commercio italiano avea verso l'estero ' un debito avanti quell'epoca, sono ciò che l'estero ha dato all'Italia in cambio della moneta che l'Italia ha dato all'estero. Ma i debiti d'ogni specie si possono da una nazione pagare all'altra, sì dando moneta metallica che è una merce, che dando altre merci nazionali di specie diversa. La causa dell'esportazione del numerario adunque, non è quel che l'Italia ha ricevuto dall'estero, e che ha costituito un debito per l'Italia, bensì causa è stato il fatto, per cui le è tornato miglior conto o necessità pagar quel debito dando moneta metallica, anziché pagarlo in altro modo.. Non è una questione d'esattezza logica quella che noi facciamo. Poiché il numerario non rientra nel paese, se non si rimuove la causa che lo ha espulso, e prender per causa quel che non è tale, importa non vedere la condizione

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essenzialissima, senza la quale il numerario non può ritornare e rimanere nel paese, e senza la quale non si può il coi so forzoso sopprimere. Or ecco i fatti.

Gli stabilimenti secondari, la cui circolazione nell'aprile 1866 era depressa, passatoli parossismo della crisi, tutelati dal corso forzoso che li dispensa dal pagare in metallo i loro biglietti, dal maggio 1866 in poi han ricondotto la loro circolazione allo stato per loro ordinario. Le polizze e fedi di credito del Banco di Napoli, che nell'aprile 1866 erano al di sotto di 97 milioni, nel novembre dell'anno stesso salivano a 113 milioni, discendevano a poco più di 100 milioni nel 1867, risalivano a L. 108,354,593 al 15 novembre 1868 (1). I biglietti della Banca Toscana da lire 24,900,000, media del 1866, si sono elevati alla cifra di lire 29,130,000 (2). Ad altri 30,040,666 elevossi ancora al 15 marzo 1868 la circolazione del Banco di Sicilia (3), e la Banca Toscana di credito per l'industria, incipiente nel maggio 1866, ha portato la sua circolazione alla cifra costante di sei milioni.

(1) V. Inchiesta, vol. 2, pag.850 e Gazzetta Ufficiale 1° gennaio 1869.

(2) V. Inchiesta, vol. 1, pag.173.

(3) V. Inchiesta, vol. 1, pag.167.

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Riducendo, come circolazione media, a 106 milioni quella del Banco di Napoli, che è la più variabile, si ha che la circolazione fiduciaria degli stabilimenti secondari, che nell'aprile 1866 ascendeva a 149 milioni circa, si è nel 1868 elevata a 171 milioni.

L'aumento di 22 milioni, in rapporto a tutto il Regno, non ha grande importanza, ma esso è un'aggiunta a quello rilevantissimo della Banca Nazionale. Ed invero la circolazione di questa che al 28 aprile 1866 non giungeva a 117 milioni, nell'agosto dello stesso anno risultava in media di lire ital. 324,824,662 e fu quasi di 455 milioni nel dicembre. Ma aumentando sempre più i debiti del governo verso la Banca, risulta di lire 568,951,000 la circolazione media dell'agosto 1867, si eleva a lire 680,580,000 quella del dicembre, supera i 700 milioni nei primi mesi del 1868, giunge a lire 794,971,1 nel luglio 1868 (1).

Se ai biglietti della Banca Nazionale si aggiungono i 171 milioni delle altre banche ne risulta, che la circolazione in biglietti di tutto il Regno, la quale alla vigilia del corso forzoso era di 266 milioni circa,

(1) Vedi il Prospetto della circolazione precedentemente dato.

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dal primo maggio 1866 a tutto il 1868 marca in ragione media il seguente progresso:

quatrimestre 1866 470 milioni circa
600
1867 633
720
802
1868 894
934
949

ed a queste somme si dovrebbe aggiungere quella dei biglietti non autorizzati che la Commissione d'inchiesta calcola per 18 milioni (1).

Se con questo smisurato aumento dei biglietti in circolazione, il miliardo di moneta metallica avesse potuto rimanere nel paese, ne sarebbe venuto che il capitale nominale, in metallo e in biglietti, dall'Italia impiegato nella circolazione degli altri suoi valori, che avanti il corso forzoso ammontava a 1266 milioni, si sarebbe elevato a 1949 milioni, a due miliardi o più,

(1) V. Inchiesta, vol. 1, pag.176.

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aggiungendo i biglietti non autorizzati, e se avanti il corso forzoso la circolazione metallica, come vogliono alcuni, era al di là del miliardo.

È questa la causa dell'esportazione della moneta metallica. L'Italia non avea raddoppiata ad un tratto la sua ricchezza pèr aver bisogno di raddoppiare quasi il capitale impiegato a farla circolare; economicamente considerata, l'Italia piuttosto indietreggiava. Aumentandolo dunque nominalmente, il valore massimo reale di quei due miliardi, nel permutarsi colle altre cose aventi valore, non potea esser superiore al valore reale dei 1266 milioni di prima. In altri termini, in Italia è avvenuto quello che abbiam detto, doversi per legge naturale economica necessariamente avverare, quante vol. e dato corso forzoso ai biglietti di banca, con successive emissioni si aumenta nominalmente il capitale monetato rappresentato da biglietti, senza che i bisogni della circolazione siansi accresciuti. Inevitabilmente in tai casi, uno stesso numero di lire, ottiene di prodotti una quantità minore di prima.

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Il valore reale, cioè, della moneta legale si abbassa, quello degli altri prodotti in rapporto alla moneta s'innalza, e la moneta metallica si esporta, finché la sua scomparsa riconduce la circolazione nei giusti limiti. Se questo aumento smisurato di biglietti si fosse fatto senza il corso forzoso, tutta l'eccedenza sarebbe immediatamente tornata alle banche, e l'equilibrio si sarebbe rimesso colla diminuzione dei 'biglietti. Ma col corso forzoso i biglietti rimanendo in circolazione forzatamente, e l'oro e l'argento avendo un valore legale pari a quello dei biglietti, che è depresso dall'eccedenza del capitale nominale monetato, ed un valore commerciale, come metalli, superiore al valore legale, l'eccedenza non ha potuto scemare che colla diminuzione della moneta metallica, l'esportazione della quale è il mezzo con cui gli speculatori realizzano la differenza tra il suo valore commerciale ed il suo valore legale.

Se la decadenza del credito non avesse respinto in Italia la Rendita Italiana che era all'estero, l'esportazione della moneta metallica sarebbe stata accompagnata da una maggiore importazione di mercanzie estere. Respinta dall'estero la Rendita, l'esportazione della moneta è stato, per l'anzidetta ragione il mezzo più proficuo di pagarla, e la moneta metallica si è esportata parte in prezzo di Rendita,

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parte in saldo di debiti arretrati, parte ancora in prezzo di altre merci esportate.

Medesimamente, dopo quello che abbiamo altra volta dimostrato, non sarebbe più una obbiezione l'osservare, che l'aumento dei biglietti posti in circolazione non avvenne tutto ad una vol. a, mentre l'aggio della moneta metallica sui biglietti manifestossi dal domani del decreto del corso forzoso, e la moneta metallica scomparve prima che il tempo per esportarla vi fosse stato.

Ciò è verissimo. Ma la crisi commerciale risentivasi da tutto il commercio, le condizioni finanziarie e politiche dello Stato non s'ignoravano, della guerra imminente coll'Austria nessuno dubitava, e che la guerra avrebbe aumentato enormemente i bisogni della finanza, era cosa evidente a tutti. Quando pure adunque il decreto del 1° maggio avesse semplicemente dato corso forzoso ai biglietti della Banca, nessuno avrebbe creduto che la circolazione in biglietti sarebbe rimasta la stessa. Però il corso forzoso annunziossi con un prestito di 250 milioni in biglietti, e nessuno potè credere che con questo i bisogni della finanza fossero soddisfatti.

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E però la prima causa dei fenomeni osservati si fu la sfiducia nell'avvenire, o più chiaramente parlando, la previsione dell'uso che del corso forzoso si sarebbe fatto. L'aggio si manifestò dal domani del decreto del 1° maggio, e gli speculatori affrettaronsi ad incettare la. moneta metallica, perché fu previsto che innanzi ai crescenti bisogni della finanza l'emissione di biglietti a corso forzoso non avrebbe avuto confine, e per l'esperienza degli altri Stati soggetti a corso forzoso eran previste del pari le conseguenze, che nella circolazione monetaria ne sarebbero avvenute. Questi fenomeni insomma, avvennero prima che i biglietti aumentassero, perché in commercio gli effetti previsti si scontano in anticipazione, e spesso si esagerano.

A misura poi, che ai 250 milioni del primo prestito andarono aggiungendosi i cento milioni dell'Asse Ecclesiastico, il concorso della Banca al Prestito Nazionale, i Buoni del Tesoro per molti milioni da essa scontati, operazioni effettuate tutte in biglietti; alla previsione dell'avvenire s'aggiunse l'esuberanza effettiva del capitale nominale monetato in rapporto ai bisogni della circolazione, e così aumentò l'aggio, sparì, e s'esportò la moneta metallica.

IX.

Della moneta divisionaria d'argento, della moneta di bronzo, e dei biglietti di piccolo valore.

Dato corso forzoso ai biglietti di banca, messi in circolazione biglietti per un valore nominale di centinaia di milioni al di là di quel che se ne avea in corso libero, l'esportazione della moneta metallica, abbiam visto, è conseguenza necessaria.

Ora, ignorandosi dai più la causa vera della scomparsa della moneta d'oro e di quella d'argento coniata a 900 millesimi di fine, più inaspettato ed inesplicabile è riuscito il vedere, che anche la moneta divisionaria di argento coniata a 835 millesimi sia sparita dal comune commercio. Il monopolio, l'accaparramento, e sopratutto l'emissione dei biglietti d'una lira, e di mezza lira, si è detto, ne sono le cause.

Però che i biglietti, non possano esserne stata la causa, l'ordine cronologico dei fatti lo dimostra.

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La scomparsa della moneta divisionaria metallica, infatti, precedette l'emissione dei biglietti d'una lira e di mezza lira, e questi furono accettati ad occhi chiusi come un beneficio, perché il mezzo indispensabile al minuto commercio di dettaglio già mancava.

Noi quindi concordiamo in ciò colla Commissione d'inchiesta; non sono stati i biglietti d'una lira e di mezza lira che hanno espulso la moneta divisionaria, ma la scomparsa della moneta divisionaria è stata la causa della comparsa e della diffusione dei corrispondenti biglietti.

Ma come mai la moneta divisionaria è sparita? Si può ciò attribuire al monopolio, all'accaparramento, all'esorbitanze della speculazione? Se queste fossero le cause, il fenomeno non avrebbe più alcun rapporto col corso forzoso. Ed allora, se la volontà bastasse per incettare tanta moneta in pezzi d'una lira, di mezza lira e di 20 centesimi, sino a rendere quasi impossibile il minuto commercio, se bastasse il vol. re per far questo e ritrarne un lucro, come mai ciò non si fece prima del corso forzoso?

Coloro che s'appagano delle voci di monopoli, accaparramenti, ed altre simili, che se esprimono qualche cosa suppongon sempre un'altra causa,

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non s'avvedono che in tempi normali l'incettare tanta moneta, sino a farla quasi sparire dal comune commercio, è praticamente impossibile, e dentro i limiti del possibile la spesa in tempi normali esclude la possibilità d'un profitto.

Per incettar moneta in grandi quantità bisogna, infatti, dare un premio a chi l'offre, ossia comprarla ad un prezzo superiore al suo valore legale. Ma come è possibile esitarla poi a un prezzo anche maggiore? Non v'è merce così disseminata in tante mani come la moneta, la piccola specialmente. Farne un monopolio con mezzi soltanto artificiali suppone una potenza di combinazioni e di capitali, che non s'è mai data, né può darsi. Perché la speculazione sia possibile e proficua, è necessaria una causa nuova, la quale influisca sul valore commerciale della moneta, e lo renda superiore al suo valore legale, in modo da compensare le spese e lasciare un margine di profitti. Questa causa è stato il corso forzoso.

Infatti tra la moneta divisionaria e quella d'oro o d'argento a 900 millesimi, differenza non v'è che nel valore intrinseco, la prima essendo d'un titolo inferiore.

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La causa dunque per cui la moneta divisionaria è sparita, è la stessa che quella per cui scomparse sono le altre due specie di moneta. É sparita, perché il valore legale della moneta divisionaria è uguale al valore nominale dei biglietti a corso forzoso, ed i biglietti per l'eccessive emissioni essendo deprezzati,

il valore commerciale della moneta divisionaria d'argento è superiore al suo valore legale. La moneta divisionaria quindi, come le altre due specie di moneta, è sparita e si è esportata, perché esportandosi si realizza la differenza tra i due valori.

Che questa sia la causa del fatto, può a prima vista farne dubitare soltanto il basso titolo della moneta. Si potrebbe da alcuno osservare, che se lire 100 d'argento a 900 millesimi valgono, per esempio, lire 110 in biglietti, lire 100 a millesimi 835 proporzionalmente non posson valere in biglietti che lire 102; la differenza di lire due difficilmente darebbe un profitto, e ogni profitto cessa certamente, se l'aggio dell'argento è minore.

Ma oltre che si potrebbe osservare, che viceversa la differenza s'accresce se l'aggio è maggiore, e che in Italia quello dell'oro giunse al 15 per cento, e dell'argento fu qualche vol. a più elevato, la diversità del titolo della moneta non ha grande importanza in questo caso.

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Per le convenzioni monetarie, infatti, la moneta divisionaria ha corso legale uguale alle altre specie di moneta anche all'estero. Quantunque poi le leggi limitino la proporzione sino alla quale si è tenuti ad accettarla nei pagamenti, questa non è piccola, e d'altronde il peso ed il valore della moneta divisionaria non sono tali da non farla facilissimamente accettare in proporzione maggiore di quella fissata dalla legge. Non essendo dunque grandemente difficile diffondere partite anche rilevanti di questa moneta nel comune commercio, e darla alla pari della moneta d'argento a 900 millesimi, se v'ha profitto nell'esportar l'una, v'è profitto nell'esportar l'altra; e soltanto la piccolezza della moneta richiedendo un poco più di spesa per raccoglierla ed esitarla farà sì, che il profitto sia alquanto minore.

Lo stesso non è della moneta di bronzo, la quale può dirsi che sia una specie di biglietto a corso forzoso. Il valore intrinseco della moneta, cioè il valore del bronzo, è si piccolo in rapporto al valore legale del bronzo monetato,

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che il bronzo di cinque lire non può mai avere avuto in commercio il valore d'un biglietto di cinque lire, quantunque questo sia deprezzato (1). E però il valore commerciale del bronzo non essendo mai stato superiore al valore legale della moneta di bronzo, la causa dell'aggio non può essere stata il valore commerciale del metallo, e l'esportazione del bronzo, come metallo, non può dar profitti.

Però può il bronzo coniato essersi esportato come moneta, nel modo stesso che abbiam detto della moneta divisionaria d'argento? Ciò venne asserito da qualche deponente nell'inchiesta; anzi si aggiunse l'esportazione del bronzo essere stato un mezzo di profittare dell'aggio dell'oro ricondotto in Italia in cambio del bronzo esportato.

(1) Lire 12,000,000 nominali in pezzi da dieci centesimi, fatti coniare dalla Banca Nazionale pesarono chilogrammi 1,200,361, cioè quasi un chilogramma per ogni decina di lire. Al goTerno costarono lire 4,561,573 59 al prezzo contenuto di lire 3 80 per chilogramma di moneta, «ioè lire 3 80 e rea per dieci lire nominali Nelle lire 3 80 comprendonsi, oltre il metallo, la spesa di coniazione, il trasporto, e il profitto della Bacca appaltrice. V. Inchiesta. Vol.2 pag.17).

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La moneta di bronzo, si è detto, si è incettata in Italia dando l'aggio del 3 1|2 per cento, si è in Francia barattata in oro, perdendovi il 5 1|2 per cento, ed un profitto è rimasto, l'oro essendo in Italia salito sino al 13 per cento (1).

Ed effettivamente, fatto il conto con questi dati, impiegando lire 103 50 in biglietti nell'acquisto di lire 100 in bronzo, ad operazione finita s'avrebbe un lucro di lire 5 17 in biglietti. Ma se il conto torna, non è per questo dimostrata la possibilità del fatto, e molto meno la possibilità d'una esportazione di qualche importanza che siasi in quel modo effettuata.

Pria di tutto, dove la moneta di bronzo è scarseggiata, l'aggio del bronzo sui biglietti è stato considerevolmente superiore al 3 1[2 per cento, e basta che questi dati si modifichino alquanto, perché il profitto presto sparisca.

Quando poi una differenza restasse a profitto, dalla stessa sarebbe da sottrarne la spesa del trasporto del bronzo dall'Italia all'estero: or questa per il volume

(1) T. Inchiesta Vol.1° pag.359.

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e peso della moneta non può esser che gravissima (1), e non sappiamo se nel maggior numero dei casi da se sola non basterebbe a togliere ogni profitto.

Però la difficoltà maggiore s'incontra nel diffondere all'estero la moneta di bronzo. Pria di tutto la convenzione, monetaria non la riguarda. Indipendentemente poi da ciò, nei pagamenti non si è tenuti ad accettarla, che per le frazioni del franco. Ma colla moneta di bronzo non si può fare lo stesso che colla moneta divisionaria d'argento; il peso ed il vol. me della prima sono ostacolo quasi insormontabile a farla accettare volontariamente per somme alquanto superiori a quella stabilita dalla legge. Due piccole monete di due franchi ed una d'un franco s'accettano indifferentemente come una moneta di 5 franchi; 50 grosse monete di dieci centesimi non s'accettano. Ciò fa dubitare, se lo speculatore estero che ne intraprendesse la diffusione potrebbe contentarsi del 5 1|2 per cento. Ma quand'anche se ne contentasse, lo assumere tale speculazione per grosse somme non è possibile.

(1) Alla ragione di lire 10 per chilogramma s'avrebbero chil. 100,000 per un milione di lire.

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Tutto questo dimostra, che se pure esportazione di moneta di bronzo v'è stata, non può essere stata che un fatto eccezionale, favorito da particolarissime circostanze locali, e per somme che non possono avere avuto influenza sensibile sulla circolazione monetaria del paese.

Quale dunque è stata la causa del. l'aggio della moneta di bronzo sui biglietti? Come mai. anche la moneta di bronzo è scarseggiata, e in alcune località è per qualche tempo anche essa quasi sparita?

Assai facile è la spiegazione di questi fatti. La causa è stata quella stessa, che anche ha dato luogo all'aggio d'una categoria di biglietti sugl'altri, cioè la non corrispondenza delle categorie dei biglietti, e delle monete metalliche rimaste coll'importanza delle categorie, in cui dividonsi in ragion di valore i pagamenti che occorrono nel comune commercio.

Mancati i pezzi da 20 lire, i pagamenti da 20 lire in su sino a quelli d'un valore per cui si aveano biglietti, avrebbero dovuto farsi colle monete di cinque lire, colle monete divisionarie e col bronzo, e queste avrebbero dovuto bastare al tempo stesso come prima ai pagamenti da 20 lire in giù.

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Nello stesso modo, mancate le monete di 5 lire a tutto s'avrebbe dovuto supplire colla moneta divisionaria e col bronzo, e mancata la divisionaria, il bronzo avrebbe dovuto bastare a tutto. È ben naturale adunque che mancata la moneta d'una categoria superiore, quella d'una categoria inferiore, a meno d'aumentarne proporzionalmente al vuoto la quantità, resti insufficiente ai pagamenti cui prima era destinata.

Quel che modificar potea questa penuria erano i biglietti. Ma uria cosa è il valor totale, in metallo o in biglietti, della moneta circolante, altra cosa è la divisione della moneta in categorie adatte a tutti i pagamenti. Quel che abbiam detto della moneta metallica, vale infatti anche pei biglietti. Coi biglietti, per esempio, di 100 lire non si possono eseguire pagamenti al di sotto di 100 lire, e così di seguito. Quindi i biglietti di 20 lire avrebbero potuto prendere il posto dei pezzi d'oro da 20 lire, ma non avrebbero ovviato al disagio della mancanza dell'argento di 5 lire, come i biglietti di cinque lire non avrebbero potuto prendere il posto della moneta divisionaria di 2 lire, d'una lira e di 50 centesimi. Però questo disequilibrio si risenti in Italia al massimo grado, per il modo in cui al maggio 1866 le categorie di biglietti della Banca Nozionale si trovavan composte,

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essendo che il biglietto di 20 lire era quello di minor valore, e non se ne avevano che per 18 milioni (1).

Le conseguenze erano inevitabili. Poiché il numero dei pagamenti aumentandosi con progressione rapidissima quanto più si discende nell'entità del pagamento, i biglietti di minor valore dovendo supplire anche alla mancanza di quelli di valor maggiore, se ne aumentò a dismisura la richiesta, e tanto più eran richiesti, quanto più eran piccoli. Allora chi

(1) La creazione dei biglietti dalla Banca da non confondersi colla circolazione, dalla sua erigine sino al 1° maggio 1866 era:

Biglietti da
L.1000 L. 300,000,000
500 45,500,000
250 45,500,000
100 55,200,000
50 40,000,000
18,000,000
L. 604,200,000

Dalle quali somme sono da sottrarre i biglietti distrutti, di cui non rilevasi qual ne fosse il numero al 1° maggio 1866 V. Inchiesta Vol.2° pag.85, 86, 87.

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ne avea vol. e trarne un lucro, l'aggio dei piccoli biglietti su quelli di maggior valore ne fu conseguenza, e il baratto di biglietti con biglietti divenne una speculazione lucrosa pei cambiamonete.

Lo stesso avvenne colla moneta di bronzo. Il suo valore reale, come metallo, è rimasto sempre di gran lunga inferiore al valore, che ha avuto il biglietto in rapporto all'oro o all'argento; né la quantità ne ha potuto mai sensibilmente diminuire. Ma mancata la moneta di pezzi di maggior valore dovendosi supplire col bronzo, se ne aumentò smisuratamente la richiesta.

Sino a qual grado dovevasene risentir penuria si dimostra con cifre. La moneta divisionaria d'argento in pezzi da lire due sino a 20 centesimi coniata a tutto giugno 1868 ascende a 156 milioni (1); la moneta decimale di bronzo coniata prima del corso forzoso ascendeva al valor nominale di lire 36,190,446 10 (2).

Supponendo dunque che coi biglietti di lire 20,10, e 5 si fosse già supplito alla mancanza delle monete d'argento d'ugual categoria, ne veniva,

(1) V. Inchiesta Vol.2° pag 277.

(2) V? Inchiesta Vol.1" pag.357.

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che mancata la moneta divisionaria, con poco più di 36 milioni di moneta di bronzo far doveansi i pagamenti, che prima facevansi con 192 milioni di moneta di bronzo e d'argento.

Era inevitabile adunque che l'offerta della moneta di bronzo essendo tanto al di sotto della richiesta, chi ne abbisognava (ed eran tutti) per ottenerla offrisse un lucro a chi ne avea. Così la moneta di bronzo acquistò un valore commerciale superiore al suo valore legale, e si produsse l'aggio cagionato unicamente dalla penuria. Lo stesso sarebbe accaduto senza il corso forzoso in rapporto alle monete d'una categoria superiore, se per qualsiasi altra causa la moneta di bronzo fosse stata insufficiente al bisogno. La moneta d'oro e d'argento mancando ancor essa, l'aggio rli quella di bronzo si manifestò sui biglietti, ch'erano la sola moneta circolante. L' aggio poi naturalmente prodottosi abilitò gli speculatori a fare ciò, che senza quella circostanza non avrebbero potuto. Essi incettarono la moneta di bronzo comprandola con un aggio per rivenderla con un aggio più forte, ed aumentandone la penuria l'aggio si accrebbe, e coll'aggio esorbitante e la penuria

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si accrebbero nel minuto giornaliero commercio gli inconvenienti e i disordini del corso forzoso.

Ma l'aggio d'una categoria di biglietti sull'altra, e della moneta di bronzo sui biglietti, non è conseguenza inevitabile del corso forzoso. Due rimedi si offrivan da sè: l'emissione di biglietti di piccol valore, e l'aumento della moneta di bronzo, che non avendo valore intrinseco non poteva esportarsi. Lei due rimedi non era da esitare nel preferire il primo.

Gl'inconvenienti attribuiti ai biglietti di piccolo valore sono stati esagerati. Si obbietta che la facilità di metterli in circolazione, ne incoraggia la falsificazione. È però più facile mettere in circolazione un biglietto falso di mille lire, che spendere mille biglietti falsi d'una lira, e riuscendo la differenza del lucro è da uno a mille: ostacolo alla falsificazione è soltanto a?ere biglietti difficili ad esser falsificati.

Si obbietta ancora, che i biglietti di piccolo valore sono causa dell'esportazione della piccola moneta. Ma l'esportazione della moneta non accade, che quando tra due paesi la moneta circolante, metallica o in biglietti, in rapporto ai bisogni della circolazione di ciascuno, è in uno dei due maggiore che nell'altro.

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Alterato questo equilibrio monetario la moneta metallica s'esporta, s'abbian pure biglietti soltanto di mille lire. Però la piccola moneta, per la maggiore difficoltà di raccoglierla, e per la inferiorità del titolo, è l'ultima ad esportarsi, e data l'esuberanza, s'esporta anche senza il succedaneo dei biglietti corrispondenti.

Il divieto dei biglietti piccoli gioverebbe soltanto come freno alle banche, che potrebbero esser tentate a diffonderli ad una categoria d'affari, cui i biglietti di maggior valore non si prestano. Però di tutti i freni è il meno efficace. I piccoli biglietti non sarebbero accettati nelle grandi operazioni commerciali. Nel minuto commercio poi, in concorrenza colla moneta metallica, le difficoltà pratiche a diffondere in rilevanti quantità i biglietti piccoli son tali, che il lucro delle banche non compenserebbe il rischio di vederseli ritornare tutti ad una vol. a al primo allarme.

Ma checché ne sia, la questione può farsi, finché non si è dato corso forzoso ai biglietti di banca. Dato il corso forzoso, aumentata per centinaia di milioni la circolazione in biglietti, la scomparsa della moneta d'oro e d'argento di tutte le categorie essendo inevitabile, non v'è più scelta; bisogna supplire con categorie di biglietti

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corrispondenti alle categorie di moneta metallica mancate, o con moneta di bronzo per un valore uguale. Perché i pagamenti al di sotto di 5 lire far si potessero colla stessa facilità di prima colla sola moneta di bronzo, questa da 36 milioni avrebbe dovuto portarsi a 192.

Ma a che prò? Una volta che la moneta d'oro e d'argento è sparite, tanto vale aver biglietti di dieci e di cinque lire, che averne di due lire, d'una lira o di SO centesimi. Per chi riceve la moneta, il valor del metallo non ha importanza, né lo compensa del disagio di avere 5 lire in 50 o in 100 pezzi di 10 o di 5 centesimi. Però abolito il corso forzoso, ritornata in circolazione la moneta divisionaria d'argento, l'enorme quantità del bronzo che ne avrà fatto le veci, sarà di tale ingombro e disagio, che il governo sarà costretto a ritirarla con scapito della finanza

Noi quindi crediamo, che la coniazione di 40 milioni di lire in moneta di bronzo (1), in aggiunta ai 36 milioni che s'aveano, sia stato un errore.76 milioni non poteano pei piccoli pagamenti riempire il vuoto di 192 milioni, quindi la necessità dei biglietti di due lire non venne meno per questa mezza misura,

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né giovò a prevenire la circolazione dei biglietti minori non autorizzati; ed intanto abolito il corso forzoso, 76 milioni in moneta di bronzo saranno eccedenti il bisogno.

Non sappiamo se 156 milioni di moneta divisionaria d'argento siano realmente necessari al commercio di dettaglio. Ma supponendo che la somma non fosse esuberante, se invece di ritardare sino 'alla legge del 3 settembre 1868 l'ordinazione di soli 6 milioni di biglietti d'una lira, si fosse, per mezzo delle banche autorizzate, emessa tanta somma in biglietti di due lire, d'una lira, e di mezza lira, quanta per ciascuna categoria si era la somma corrispondente in moneta d'argento, escludendo soltanto la categoria di 20 centesimi, che anche in argento è suddivisione superflua, se ciò si fosse fatto in tempo non si avrebbe avuto né l'aggio dei biglietti sui biglietti, né quello del bronzo sui biglietti, né il disordine di biglietti emessi da stabilimenti non autorizzati, e sin da privati, senza garanzia

(1) V. Inchiesta Vol.1° pag.357.

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per il pubblico, e senza legge (2).

Ma mentre diciamo ciò, che la scienza economica consigliava, non comprendiamo come la Commissione d'inchiesta possa far colpa al governo o alla Banca Nazionale, se al i° maggio 1866 anche i biglietti di 10, di 5 e di 2 lire mancarono.

È evidente infatti, che per averli appena decretato il corso forzoso, se ne avrebbe dovuto ordinare la stampa molti mesi prima. Or crede seriamente la Commissione, che l'ordinazione e la stampa di questi biglietti avrebbero potuto rimanere un segreto? Ciò essendo impossibile, a che altro in Italia ed anche all'estero

(2)La moneta divisionaria d' argento a 835 millesimi coniata in esecuzione delle convenzioni monetarie internazionali suddividasi.

Pezzi da L. 2 per.. L. 30,000,000
1 68,000,000
0 50 51,000,000
0 20 7,000,000
L. 156,000,000

V. Inchiesta Vol.2° pag.277.

In sostituzione si sono creati biglietti da lire 2 per lire 100 milioni, che non riempiono le lacune delle monete inferiori, e suppliscono imperfettamente alle monete di lire 5 V. Inchiesta Vol.2° pag.87.

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s'avrebbe potuto attribuire la creazione inaspettata dei piccoli biglietti, se non alla determinazione di dare corso forzoso ai biglietti, ed alla previsione che la piccola moneta metallica sarebbe mancata? Ed allora, il ritiro del numerario dalle banche, la necessità per queste di diminuire o sospendere le operazioni di sconto, ne sarebbero state le conseguenze; quel che avvenne per la previsione del corso forzoso nell'aprile 1866, sarebbe avvenuto molti mesi innanzi. Che cosa ci avrebbe il paese guadagnato? Per evitare una catastrofe il governo sarebbe stato costretto a dar corso forzoso ai biglietti molto tempo prima del maggio 1866, e ciò senza che i biglietti di piccol valore si fossero ancora aiuti.

In tanta fatalità di circostanze potevasi soltanto pretendere, che decretato il corso forzoso, i provvedimenti opportuni non fossero ritardati. Però, qualunque sia stata la divergenza delle opinioni circa i biglietti di piccolo valore, dai documenti pubblicati risulta, che i biglietti provvisori di lire 10 furono ordinati per 40 milioni sin dal 16 maggio 1866, per altri 40 milioni nel giugno dello stesso anno, e per 80 milioni i biglietti definitivi.

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Dai documenti parimenti rilevasi, che al 12 giugno 1866 furono ordinati per 80 milioni, portati poscia ad 80 milioni, i biglietti di lire 5, e per 100 milioni i biglietti di lire 2 (1).

Non è dunque vero, che i provvedimenti solleciti sian mancati; può esser questione soltanto, se più sollecita potea esserne l'esecuzione. E certamente per chi tra la stampa d'un biglietto di banca e la stampa d'un avviso al pubblico non fa differenza, pochissimi giorni sarebbero bastati. Ma chi non vuol dimenticare quanto difficile sia e in quante operazioni dividasi la stampa di cartevalori non facili a falsificarsi, e quante invenzioni privilegiate e segrete vi siano per vincere l'arte e l'audacia dei falsificatori; chi rammenta che per la imperfezione e ristrettezza di mezzi delle officine italiane, si è stati costretti per la stampa dei biglietti ad andare sino in America; chi queste cose rammenta non può in buona fede far colpa ad alcuno, se nei primi mesi del corso forzoso i nuovi biglietti sian mancati.

(1) V. Inchiesta Vol.2° pag.87.

X.

Conseguenze della variazione dei prezzi delle cose cagionata dal corso forzoso.

Ai disordini ohe durante il corso forzoso derivano dalia mancanza della piccola moneta, si pon termine colla creazione di biglietti d'un corrispondente valore; ma alle perturbazioni provenienti dal sostituire all'oro e all'argento monetati, che sono merci aventi da sé un valore di cambio che non dipende dalla legge, una carta monetata il cui valore deriva dalla legge soltanto, non è in potere dell'autorità far riparo.

Questa nuova moneta in rapporto alla moneta metallica, abbiam visto, si deprezzia. Il biglietto di cento lire se si vuol barattare con moneta d'oro non vale più 100 lire, e i prezzi delle cose conseguentemente s'innalzano. Ora supponghiamo che questa reazione sui prezzi sia immediata, e che sia eguale per le cose tutte; vediamone gli effetti.

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La prima conseguenza si è, che in tutti i contratti anteriori al corso forzoso, che dan diritto ad una somma determinata, uno dei contraenti perde, l'altro guadagna. Se con una rendita per esempio di lire 1,000 compravansi tante merci da procurare al possessore della rendita un dato grado d'agiatezza, e per il deprezzamento dei biglietti aumentatisi i prezzi delle merci, con lire 1000 se ne han tante quanto prima se n'avea con lire 900, per il possessore della rendita ciò è lo stesso che vedersela ridurre a lire 900. Il suo debitore al contrario procurandosi le lire 4000 in biglietti colla vendita di tante merci che prima valeano lire 900, guadagna lire 100. Quel che diciamo delle rendite, vale per tutti i debiti e crediti di somma determinata che han causa anteriore al corso forzoso.

Però è evidente, che lo stesso avverasi ad ogni variazione nel valore dei biglietti in rapporto alla moneta metallica, ed al prezzo delle cose. Se per esempio, un negoziante sottoscrisse una cambiale di lire 1200 per merci avute quando lire 1200 in biglietti valeano lire 1000 in oro, e prima della scadenza i biglietti ribassano ed il prezzo delle merci innalza,

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quel negoziante procurandosi le lire 1200 in biglietti con una quantità minore di merci, guadagna il prezzo delle merci restanti, e le lire 1200 valendo in merci meno di prima il suo creditore lo perde. Il contrario accade, se il valore dei biglietti s'innalza, ed il prezzo delle merci in conseguenza s'abbassa. Si ponga mente ai tanti milioni rappresentati da cambiali che circolano in commercio, e ciascuno si farà una idea della perturbazione, di cui ogni variazione nel valore della carta monetata è causa. Ne credasi, che perdendo l'uno quel che l'altro guadagna, siavi soltanto uno spostamento di ricchezza. Poiché una perdita ne trae seco un'altra, e gli affari commerciali s'intrecciano talmente, che le angustie o il fallimento d'uno ricadono a danno di coloro con cui egli fa affari.

Nondimeno questo è l'inconveniente minore. Se avvenuta una prima variazione il valore dei biglietti, e con questo il prezzo delle altre cose, si fermassero, vi sarebbe una perturbazione, ma il commercio riprenderebbe il suo naturale andamento su questa nuova base.

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Il danno sarebbe allora lo stesso che s'avrebbe, se diminuita la quantità d'oro contenuta nel pezzo di 20 lire, quella moneta continuasse per legge a valutarsi come se nessuna variazione fosse avvenuta. In tal caso la variazione del valore di ciò che continuasi a chiamare lira alterando i prezzi di tutte le cose, altererebbe il valore di tutti i crediti e debiti formatisi anteriormente, ma in seguito tutto il movimento economico s'adatterebbe, senz'altra conseguenza, al valore effettivo rimasto alle 20 lire.

Però i biglietti a corso forzoso sono una moneta, il cui valore continuamente si altera. Una nuova emissione di biglietti, o una diminuzione degli stessi, il timore che l'aumento avvenga o la previsione opposta, la speranza che il corso forzoso sia presto per cessare, o il timore che non cessi, fatti e previsioni di fatti alterano il valore della carta monetata, e più o meno influiscono sui prezzi delle altre cose. Se poi causa del corso forzoso è la finanza, tutte le vicende finanziarie e politiche dello Stato contribuiscono agli stessi effetti.

È questo il danno maggiore del corso forzoso.

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Il danno maggiore non è, come generalmente si crede, il gran deprezzamento dei biglietti, che misurasi dall'aggio elevatissimo della moneta metallica. L'aggio elevatissimo, se restasse fermo, porterebbe una sola gravissima perturbazione, ma poi tutto rientrerebbe nello stato normale, Bensì il danno gravissimo è la variabilità del valore, che nel commercio comune ottiene la carta monetata nel comprar con essa le altre cose, e nel permutarsi coll'oro o coll'argento monetato; variabilità che viene espressa dalla variabilità del prezzo delle merci ragionato in biglietti, e dalla variabilità dell'aggio.

Questa variabilità è equivalente alla alterazione continua della moneta metallica, produce gli stessi effetti, e come questa rende incerti e mal sicuri tutti i rapporti economici. L'oro e l'argento da tutti i popoli civili sono stati prescelti per merce-moneta, perché al confronto delle altre merci il loro valore di cambio è il meno variabile. I biglietti a corso forzoso non hanno la proprietà che è la più essenziale alla moneta.

Le perniciose conseguenze si risentono con evidenza ed intensità maggiore nel commercio propriamente detto.

– 218 –

Poiché il tornaconto commerciale avendo per base i prezzi, l'oscillazione dei prezzi, continua e non suscettibile di ben fondate previsioni, trasmuta il commercio in giuoco d'azzardo. Allora accade che il commercio serio, quasi colpito da paralisi, s'arresta, e le operazioni commerciali restringonsi a quelle, che per speciali circostanze offrono un margine assai largo di profitti per potere affrontare il rischio della variabilità della moneta, in cui s'effettuano i pagamenti.

Tutto ciò si è sperimentato in Italia, principalmente durante i primi anni del corso forzoso. L'aggio dell'oro sui biglietti al 7 maggio 1866 era del 3 25 per cento, all'11 giugno saliva al 20 per cento, scendeva al 5 50 per cento al 30 agosto. Indi le oscillazioni furono meno sensibili ma pure non piccole, l'aggio mantenendosi tra il 4 25 e il 6 50 per cento sino al marzo 1867. Ma l'allarme era già nel commercio, le difficoltà della finanza eran conosciute, gravissime le apprensioni per l'avvenire. Nè il commercio ingannavasi. Poiché la finanza traendo sempre nuove somme in biglietti dalla Banca Nazionale, il deprezzamento dei biglietti tornava ad aumentare, e l'aggio, che ne è la misura, tornava ad elevarsi.

– 219 –

Dal marzo in poi sino a dicembre 1867 l'aggio non fu mai minore del 5 08 per cento, e variando sempre salì sino al 13 60. Nel primo trimestre 1868 risale ancora, ed oscilla tra 10 50 e 15 25, Indi ribassa nel secondo trimestre,7 23 diviene il minimo,13 90 il massimo (1) Questi grandi sbalzi a brevi intervalli nel valore della moneta legale dei pagamenti, cioè dei biglietti, rendendo incerta ogni previsione del tornaconto commerciale, sparsero grande scoraggiamento nel commercio, e le operazioni commerciali effettivamente rallentaronsi. Fu allora che la speculazione si buttò a corpo perduto sulla moneta metallica per profittare dell'aggio, il che contribuì ad aggravare la crisi. Se in seguito l'attività è rinata, e il commercio ha ripreso quasi il suo andamento naturale, ciò si deve non tanto al progressivo ribasso dell'aggio, quanto all'essersi il ribasso operato lentamente, per cui meno sensibili sono state le oscillazioni, e soprattutto si deve all'esser subentrata l'opinione, che il periodo delle grandi oscillazioni dell'aggio sia ormai finito.

(1) Ved. Annuario del Ministero delle Finanze pel 1868.

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Eppure il danno sarebbe minore, se ad ogni variazione nel valore reale dei biglietti l'aumento o il ribasso dei prezzi delle cose seguisse immediato, e fosse per tutte le cose proporzionale. Se ciò fosse, il danno maggiore verrebbe dall'incertezza della causa, ma indovinata la causa si saprebbe l'effetto. Però è egli vero, che questa reazione sia immediata ed esattamente proporzionale? Questa è una delle indagini fatte dalla Commissione d'inchiesta, che ha ricercato per quali prodotti e quali servizi produttivi l'aumento del prezzo, a causa del corso forzoso, sia stato maggiore.

Noi però lasciando da parte i fatti speciali riguardanti questo o quell'altro prodotto, diciamo che il fatto indubitato previsto a priori dalla scienza, e confermato da tutte le deposizioni dell'inchiesta si è, che prendendo le cose complessivamente un aumento generale dei prezzi è stato una delle conseguenze del deprezzamento dei biglietti misurato dall'aggio; ma pure è un fatto che questa reazione non è seguita immediatamente all'aumento dell'aggio, né il deprezzamento dei biglietti ha agito ugualmente sui prezzi di tutte le cose. Ciò altronde facilmente si spiega.

– 221 –

I prezzi delle cose infatti non variano se non per una variazione nella loro offerta o nella richiesta; e se, aumentando la moneta metallica o il valore metallico rappresentato da biglietti, i prezzi, in generale, s'innalzano, ciò avviene perché l'offerta della moneta, metallica o in biglietti, si accresce. Quindi il suo valore di cambio nel permutarsi colle altre cose si abbassa; e queste crescon di valore perché la moneta ne perde.

E però non basta che l'emissione di nuovi biglietti sia prevista, non basta che sia decretata, e neanche che sia già in corso d'esecuzione, è mestieri che materialmente i biglietti si diffondano nel paese, altrimenti non variandosene l'offerta non perdono di valore in rapporto alle merci, né quindi influiscono sui loro prezzi.

Ma non è lo stesso in rapporto all'oro ed all'argento. Questi métalli durante il corso forzoso diventano merce di speciale speculazione di coloro, che l'incettano in previsione del deprezzamento dei biglietti. Per questi metalli, conseguentemente, basta che una nuova emissione di biglietti sia prevista, perché il loro prezzo in rapporto ai biglietti stessi s'innalzi.

– 222 –

S'innalza prima che i nuovi biglietti si diffondano nel paese, e in rapporto alle altre merci si deprezzino, perché gli speculatori, prevedendo quel che accadrà, ne trattengono l'offerta, o non li cedono se non a chi anticipa loro il maggior profitto aspettato. Quindi l'aggio dell'oro e dell'argento può aumentare, e l'aumento dei prezzi delle altre cose seguire più tardi.

Quando poi per l'eccessive emissioni il valor di cambio dei biglietti è ribassato, e i prezzi della massima parte delle cose si sono aumentati, non ne siegue che tutte debbano aumentare di prezzo nella proporzione stessa del deprezzamento dei biglietti, e dell'aumento dell'aggio. I prezzi delle cose sono infatti il risultato complessivo di cause svariatissime e molte che agiscono al tempo stesso, ma non tutte nello stesso senso. L'effetto proprio del deprezzamento dei biglietti si è l'aumento generale dei prezzi delle altre cose. Ma finché altra causa non interviene, di variato non v'è che il valore dei biglietti; due prodotti infatti, che prima aveano un prezzo uguale, continueranno ad averlo uguale, sebbene maggiore di prima per entrambi.

– 223 –

Se però per una causa diversa dal corso forzoso la richiesta d'uno dei due prodotti s'accresce, il suo prezzo s'innalzerà al di là di quello che per il solo corso forzoso non sarebbe, come all'incontro, se per la causa diversa la richiesta del prodotto scema, l'aumento del prezzo sarà minore, o non vi sarà aumento, ed il prezzo può anche ribassare.

Ciò dimostra, che le risposte avute dalla Commissione d'inchiesta intorno all'influenza, che il corso forzoso ha esercitato sui prezzi di questa o quell'altra specie di prodotti, non provano nulla. Dappoiché, per indagare la causa vera della variazione o della stazionarietà del prezzo, bisognava discendere in ogni singolo caso ad investigazioni minutissime sulle tante cause che, oltre il corso forzoso, han potuto influire; investigazioni che non si fecero, nè, in verità, eran facili a farsi.

Però, considerando esclusivamente il corso forzoso, e senza l'influenza di altre cause, non è men vero che la sua azione sui prezzi è per se stessa disuguale. Perché ciò fosse bisognerebbe che il corso forzoso cagionasse soltanto il deprezzamento dei biglietti, in guisa che l'offerta e la richiesta dei prodotti e dei servizi produttivi non venisse alterata.

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Or noi abbiam visto, che il corso forzoso conturba tutto l'ordine economico, altera tutti i rapporti economici all'interno e coll'estero, paralizza le forze produttrici. Questo vuol dire che il processo della produzione rallentasi, diminuisce quindi l'offerta il che tende a fare aumentare i prezzi, né diminuisce per lo contrario la richiesta e ciò tende a farli ribassare.

Ma ognuno facilmente comprenderà, che questa diminuzione d'offerta e di richiesta non può essere uguale per tutti i prodotti e servizi produttivi. I prodotti avendo pei bisogni dell'uomo una importanza diversa, per alcuni al primo sintomo di malessere o d'aumento di prezzo il consumo decresce, la richiesta di altri è al contrario l'ultima a diminuire. Lo stesso è per la produzione. La inattività non è per tutte le industrie possibile, né per tutte arreca le stesse conseguenze. La richiesta, per esempio, d'un prodotto agrario può scemare, ma non sempre il terreno che lo produce può destinarsi ad altro, ed allora l'offerta non scema, ed il prezzo ribassa. La sospensione del lavoro in una manifattura fa perdere. interamente il frutto del capitale, e il manifattore, se la richiesta è languida, ribassa il prezzo contentandosi di guadagnar meno;

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se però la diminuzione eccede certi limiti, il capitale stesso è compromesso, ed allora la produzione scema, e rialza il prezzo. Il banchiere restringe facilmente le sue operazioni, se lo stato del commercio lo espone a troppi rischi; il lavorante che vive alla giornata, offre a ribasso la sua opera, se è meno richiesta.

Questo importa, che il corso forzoso, conturbando l' ordine economico, è causa d'una variazione nell'offerta e nella richiesta dei prodotti e dei servizi produttivi; variazione che nei diversi casi modificasi a seconda delle circostanze speciali, dell'industria, dei produttori, delle località, di cui si tratta.

Conseguenza ne è, che alla perturbazione imputabile alla instabilità ed incertezza, si aggiunge quella dovuta alla disuguaglianza d'effetti del corso forzoso sulle varie produzioni e classi produttrici. Poiché se trattasi di produzioni o di classi produttrici poste in circostanze migliori relativamente alla richiesta, v'ha nell'aumento dei prezzi e delle rimunerazioni un compenso al deprezzamento della moneta, ossia dei biglietti, con cui sono pagate; i prezzi, cioè, s'innalzano nello proporzione in cui il valore reale dei biglietti ribassa.

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Se trattasi di prodotti o produttori la cui richiesta, per causa del corso forzoso, scema, il compenso manca, o non è proporzionale. Questi soffrono nei prezzi una perdita effettiva, e se pagandoli in biglietti la perdita non apparisce, ciò si è perché i biglietti stessi sono deprezzati; se però la permuta, anziché con biglietti, si facesse di prodotti con prodotti, i produttori della seconda categoria otterrebbero degli altri prodotti una quantità minore di prima.

Questa disuguaglianza di effetti è intanto l'origine dell'errore stranissimo di quei, che benedicono il corso forzoso, riguardandolo come una protezione dell'industria nazionale contro l'estero. In verità il protezionismo non si è mai presentato sotto un aspetto più ributtante, né mai l'erroneità dei principii, che ne sono la base, si è più chiaramente svelata.

Ed invero, prima conseguenza del corso forzoso, abbiam visto, si è l'esportazione della moneta metallica, seconda conseguenza è l'aumento della importazione di prodotti esteri in cambio della moneta metallica esportata. Se dunque il corso forzoso agisce come dazio protettore, la protezione non è certamente a favore della industria nazionale, bensì contro questa e a favore della straniera.

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Come mai dunque, secondo i protezionisti, il corso forzoso protegge l'industria nazionale? La protezione da essi ravvisata, in parte è un loro equivoco, in parte è il vantaggio che ad alcuni produttori alle volte deriva dal danno degli altri.

Nei rapporti coll'estero, dicono i protezionisti, la spesa del cambio va in conto delle mercanzie, il cambio adunque a causa del corso forzoso essendo elevato, il prezzo delle mercanzie estere si accresce, e i produttori nazionali ne profittano.

Ma pria di tutto, qui si confonde il cambio vero con l'aggio. Ora nei rapporti coll'estero può avere influenza la variabilità dell'aggio, l'aggio, elevato o basso, non ha per se stesso influenza alcuna.

Se 1100 lire italiane contenessero d'oro, quanto 1000 franchi francesi una cambiale di lire 1100 pagabile a Firenze, non tenendo conto bene inteso dell'influenza d'altre cause, certamente non varrebbe a Parigi più di franchi 1000, come la cambiale di fr. 1000 non varrebbe a Firenze meno di lire 1100. Ma quale influenza avrebbe ciò nel tornaconto commerciale?

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Non ne avrebbe alcuna. La cambiale di lire 1100 vale fr. 1000, e cosi viceversa, perché lire 1100 e fr.   1000 esprimono lo stesso valore, la stessa quantità d'oro. È il caso di tutti i paesi che hanno un sistema monetario diverso.

Però i biglietti a corso forzoso sono in realtà una moneta essenzialmente diversa, il cui valore reale in oro non" è quello della moneta metallica che vi sta scritto. È ben naturale adunque che la moneta legale essendo in Francia l'oro e in Italia i biglietti, se lire 1100 in biglietti valgono in Italia lire 1000 in oro, la cambiale di lire 1100 valga a Parigi franchi 1000, e quella di franchi 1000 valga in Italia lire 1100. Ma le due cifre esprimendo uno stesso valore la loro disuguaglianza non può influire sul tornaconto commerciale. Senza dubbio, la mercanzia francese, che vale a Parigi fr.  1000 non s'importerà in Italia, se in biglietti non si potrà vendere per lire 1100, ma il negoziante che la vende in Italia è sempre debitore di fr.  1000 in oro, e il prezzo della mercanzia sarà di lire 1100, perché lire 1100 e fr.  1000 sono uno stesso valore. Però la moneta con cui gl'Italiani pagano in Italia le mercanzie è la stessa sì per le nazionali che per l'estero.

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La mercanzia italiana adunque, che prima del corso forzoso valea lire 1000, perché il produttore non rovini, è d'uopo che abbia il prezzo di lire 1100 in biglietti. Se però al prezzo di lire 1000 prima del corso forzoso non potea sostener la concorrenza della produzione estera, non lo potrà neanche dopo il corso forzoso al prezzo di lire 1100 in biglietti, che e un prezzo uguale all'altro.

Trattandosi adunque dell influenza che per il corso forzoso il cambio esercita sui rapporti coll'estero, bisogna dal cambio apparente sottrarre la parte imputabile all'aggio; quel che rimane è il cambio vero.

Il cambio vero è il prezzo, a cui dopo avere ragguagliato i valori reali delle monete di due paesi, si compra in uno la cambiale pagabile nell'altro. Per vedere adunque, come il corso forzoso vi possa influire, bisogna accennare le circostanze, dalle quali questa diversità di prezzo dipende.

Le cambiali sull'estero negoziate in una piazza commerciale, facciamo osservare, in sostanza non sono che cessioni di crediti.

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Il negoziante che deve pagare a Parigi fr.  1000, li paga comprando un credito di franchi 1000 da chi ne ha uno di tal somma pagabile a Parigi, e cedendolo al suo proprio creditore, come costui può riscuoterlo facendo a Parigi l'operazione inversa col vendere il suo credito. Questi crediti comprati e ceduti sono rappresentati da cambiali.

La prima circostanza adunque da cui dipende il prezzo delle cambiali, è lo stato dei debiti e crediti tra due paesi, per cui ne nasce una offerta e richiesta di cambiali pagabili all'estero per riscuotere o pagare nel proprio paese. Se a Firenze i debiti pagabili a Parigi superano i crediti da riscuotervi, ed urge il pagare, la concorrenza dei debitori che 'chiedono cambiali pagabili a Parigi fa sì, che per la cambiale di franchi 1000 bisogna dare lire 1000 più qualche cosa, ed il cambio su Parigi s'innalza. Se per le circostanze opposte è meno intensa la richiesta e più intensa l'offerta, la cambiale di franchi 1000 varrà a Firenze meno di lire 1000, ed il cambio s'abbassa.

Da ciò si vede, che durante il corso forzoso il cambio apparente può essere contrario, ed il cambio vero favorevole . Se lire 1000 in oro valgono a Firenze lire 1100 in biglietti, e per lo stato dei debiti e crediti lire 1000 in oro su Firenze valgono a Parigi fr.  950,

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la cambiale di lire 1100 varrà a Parigi fr.  950, e viceversa la cambiale di fr.  1000 su Parigi varrà a Firenze lire 1045, l'equivalente di lire 950 in oro. Il cambio apparente sarà contrario, ma siccome a Parigi si riscuotono fr.  1000, il cambio vero sarà invece favorevole a Firenze.

Se non che il cambio vero favorevole , durante il corso forzoso, è possibile, ma non è probabile. Il cambio, infatti, dipende ancora dalla fiducia, che inspira il commercio d'un paese. Come non s'accetta in pagamento la cambiale pagabile dà un commerciante di dubbia solvibilità, così quando tutto un paese credesi che sia in strettezze commerciali, per cui dubbia in generale si ritiene la solvibilità dei commercianti di quel paese, la richiesta di cambiali su quel paese si scema; chi ne ha all'incontro cerca disfarsene, ed il prezzo ne ribassa. Or siccome il corso forzoso, provenga da malessere economico o da dissesto finanziario, scuote la fiducia dell'estero, il corso forzoso influisce sul cambio vero, bensì influisce col discredito.

L'aggio poi dell'oro, conviene aggiungere, non ha per se stesso influenza nel tornaconto commerciale dei rapporti coll'estero, ma la variabilità dell'aggio ne ha.

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È evidente infatti, che il valore reale dèi crediti in somme determinate, che l'estero ha sul paese del corso forzoso, è variabile, come lo è il valore dei crediti dei nazionali tra loro. Se a favore d'un negoziante francese fu sottoscritta una cambiale di lire 1100 quando lire 1100 in biglietti valevano lire 1000 in oro, e prima della scadenza i biglietti deprezzano e lire 1000 in oro equivalgono a lire 1200 in biglietti, il francese non riavrà intero il suo credito; poiché nessuno gli pagherà fr.  1000 la cambiale di lire 1100, quando con fr.   1000 può comprarne una di lire 1200. Da ciò siegue, che siccome il rischio si paga, se lire 1000 in oro valgono lire 1100 in biglietti, la cambiale si sottoscriverà per lire 1100 più un'aggiunta, ossia il cambio s'innalza.

Il corso forzoso adunque può indirettamente influire sul cambio, e siccome la spesa del cambio va a carico della mercanzia, cosi può aumentarne l prezzo, e quindi, esaurito il primo suo effetto dell'esportazione della moneta, il corso forzoso può divenire ostacolo alla importazione. Ma la questione è: giova ciò all'industria nazionale?

– 233  –

Se causa del cambio a carico dell'Italia è lo stato dei debiti e crediti, ciò vuol dire, che le importazioni delle mercanzie estere in Italia superano in valore l'esportazione delle nazionali. In tal caso. se il corso forzoso vi ha potuto influire, la sua protezione è stata per l'estero.

Se poi causa del cambio contrario è la diffidenza dell'estero, che non vuole aver che fare coll'Italia, può ben darsi che la importazione scemi; ma in verità, è una protezione di specie nuova quella che deriva dal discredito. Una guerra, un blocco, una pestilenza producono gli stessi effetti. Per questi flagelli, come per il corso forzoso, le importazioni scemano, o per dir meglio, cessano o diminuiscono i rapporti commerciali. La guerra, il blocco, la peste sono adunque protezione dell'industria nazionale? I protezionisti dimenticano, che quando la importazione scema per simili cause, diminuisce pure l'esportazione, sì perché nessuno vuole aver che fare con un paese che non ha credito, sì perché in massima parte, se non in tutto, le importazioni si pagano colle esportazioni,

– 234  –

e quel che dal complesso di queste conseguenze del corso forzoso deriva si è l'atonia delle forze produttrici, che il corso forzoso rende inattive, per cui scema la produzione.

Che cosa adunque può esservi di vero nell'assunto dei protezionisti? Non altro se non che qualcuno ha potuto profittare del danno degli altri. Può ben darsi, per esempio, che la diffidenza dell'estero abbia particolarmente agito su d'alcune corrispondenze, che inviavano una determinata specie di prodotti in Italia, per cui, questi mancando, l'industria simile nazionale, che non poteva sostenerne la concorrenza, ne ha profittato aumentando i prezzi. In tal caso la protezione è a danno dei consumatori, a danno delle altre industrie i cui prodotti esportavansi in cambio degl'importati, a danno del commerciante che esercitava quel traffico. La protezione, in tal caso, somiglia a quella che riceve il proprietario fortunato, il cui campo o il cui armento resta immune dalla crittogama o dalla peste bovina, mentre quelli degli altri ne sono devastati, per cui i prezzi dei generi s'innalzano.

Inoltre la disuguaglianza d'effetti, che aggrava i danni del corso forzoso, può anche questa convertirsi in beneficio di alcuni a danno di altri.

– 235  –

Se per esempio per il malessere generale, il consumo d'un prodotto si scema, il prezzo non se ne aumenterà in proporzione del deprezzamento dei biglietti. Se però quel prodotto è a un tempo materia prima ad una data industria, la richiesta dei cui prodotti non è scemata, gl'intraprenditori di questa lucrano quello che i primi perdono.

Medesimamente, una delle disuguaglianze meglio constatate si è, che i salari degli operai non si sono aumentati in ragione dell'aumento di prezzo, che i generi di loro consumo hanno subito a causa del deprezzamento dei biglietti. Questo importa, che i salari effettivi si sono ribassati; chi ne profitta è l'intraprenditore, che dà lavoro all'operaio. Se un prodotto vendevasi lire 1000, di cui lire 800 erano spesa in salari ai lavoranti, il profitto dell'intraprenditore era di lire 200. Se però per il corso forzoso lire 1000 in oro valgono lire 1200 in biglietti, è conseguentemente il prezzo del prodotto s'eleva a lire 1200, mentre la spesa dei salari resta lire 800, il profitto dell'intraprenditore sarà di lire 400 in biglietti, che a quel saggio equivalgono a lire 333 in oro,

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e che sono il prezzo di tante mercanzie quante prima potea aversene con detta somma; il che vuol dire, l'intraprenditore ha lucrato il valore di lire 133 in oro, che i suoi lavoranti han perduto. Questi casi, ne convenghiamo, sono possibili, ma non già che per simili combinazioni la ricchezza nazionale si accresca, essendo che invece la produzione nazionale si scema; soltanto è vero che qualche produttore, o qualche classe di produttori, può aver fatto un lucro delle perdite degli altri.

XI.

La libertà delle Banche di  circolazione in Italia

Abbiamo visto l'origine vera del corso forzoso, e a quali bisogni coi corso forzoso si è provveduto; abbiam visto ancora quali effetti per le leggi naturali economiche dovean venirne, e ne sono venuti. È tempo ormai di vedere, dai principii posti e dai fatti osservati, quali conseguenze pratiche per il governo del paese si abbiano a dedurre.

Quali sian le conseguenze a cui viene la Commissione d'inchiesta l'abbiamo già accennato. Essa invita il Ministero a presentare una legge che regoli i rapporti tra lo Stato e la Banca Nazionale, una legge che dia libertà nel sistema bancario, ed una legge che abolisca il corso forzoso. Queste sono le conclusioni della Commissione d'inchiesta.

– 238  –

Che le prime due non riguardino il corso forzoso, e non abbiano con questo un nesso necessario, non occorre dimostrarlo. Però l'inchiesta potrebbe aver rivelato fatti, dei quali le due leggi invocate fossero conseguenza, ed in tal caso la Commissione avrebbe fatto male a non invocarle. Vediamo adunque se questo sia il caso, cominciando dalla seconda conclusione. Essa è concepita nei seguenti termini:

La Camera udita la Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta, invita il Governo ad esibire quanto prima una legge, la quale informandosi ai principii della pluralità e della libertà delle 'Banche, stabilisca le norme con cui possano sorgere ed operare le banche di credito e di circolazione.

Udita la Relazione della Commissione importa, che la Commissione giovandosi dei fatti raccolti coll'inchiesta abbia dimostrato l'opportunità di quella legge. Ma dove la Commissione l'ha dimostrato? L'inchiesta, conviene osservare, non è, né potea essere, che una esposizione di fatti, che da se soli non dicon nulla, dai quali bensì si posson trarre conseguenze. La Relazione propriamente detta è la quinta parte del primo volume intitolata: Conclusioni della Commissione d'inchiesta.

– 239  –

Non ci sorprende dunque che quella dimostrazione non sia stata data nelle prime quattro parti. Ma come la Camera per avere udita la Relazione può chiedere quella legge, se né anche nelle Conclusioni il nesso logico tra i fatti rivelati dall'inchiesta e la conseguenza che se ne vuol dedurre, è stato dalla Commissione dimostrato, ed anzi la questione di libertà o di non libertà bancaria a stento può dirsi che sia stata dalla Commissione accennata?

Tutto quello infatti, ch'essa per le banche di circolazione ne ha detto si riduce a questo.

Il biglietto al portatore, dice la Commissione, è promessa di pagamento, la cambiale ed il biglietto all'ordine sono pure promesse di pagamento, se dunque per la cambiale e per il biglietto all'ordine si ha libertà, non v'è ragione per cui libertà non si debba avere anche per il biglietto al portatore (1). In tutta la Relazione non abbiam trovato per la libertà altro argomento che questo. Povera libertà!

Se gli argomenti a sua difesa si riducono a questo la sua sarebbe senza dubbio causa perduta.

V. Inchiesta V.1° pag. 444 e 445.

– 240  –

Chi infatti vorrà seriamente sostenere, che le cambiali e i biglietti all'ordine funzionino come moneta alla pari dei biglietti al portatore, che s'accettano come oro ed argento ad occhi chiusi da tutti? La questione è sempre stata intorno ai pericoli, cui per questo carattere, che i biglietti al portatore hanno in grado eminènte, la libertà potrebbe esporre la Stato. La Commissione non ignora certamente, che la questione sia questa. Essa non avrà avuto tempo d'occuparsene, ma come non ha visto, che non occupandosene non ha dimostrato nulla?

Il voto della Camera adunque non sarebbe mai un risultato della Relazione; potrebbe esser soltanto Una conseguenza che dai fatti dell'inchiesta potrebbe dedurre da sè la Camera, cui la Commissione ha lasciato la cura di trovare il nesso logico tra i fatti e la legge proposta. E però per' vedere se la Camera possa trovarlo, è mestieri vedere: 1° quale sia la legislazione attuale sulle banche di circolazione; 2° se dai fatti raccolti coll'inchiesta risulti che i mali, che affliggono l'Italia, siano, almeno in parte, alla legislazione imputabili.

– 241  –

Or vero è, che la Commissione di inchiesta, quando accusa la Banca Nazionale di tutti i peccati immaginabili, ne ragiona come se fosse sola, e come se fosse sola per privilegio datole dal legislatore. Ma il fatto è, che la Banca non è sola nel Regno, e non era sola per legge neanche nelle provincie in cui nacque.

Legge scritta che specialmente riguardi le Banche di circolazione, infatti, non v'è che l'articolo 1° della legge del 9 luglio 1850, per il quale: Niuna Banca di circolazione potrà da ora innanzi attivarsi nello Stato, né quelle che esistono fondersi con altre, se non in forza di legge.

La legge del 1850 è quella che autorizzò la Banca degli Stati Sardi; ma quell'articolo non le dava il privilegio d'esser sola. Quell'articolo era una disposizione d'ordine pubblico, che non vincolava menomamente il governo a non autorizzare mille altre banche, e tanto poco la legge sanciva il principio della banca unica, che per l'articolo stesso una legge speciale è necessaria anche per la fusione d'una banca di circolazione con un'altra.

Però quella legge non potrebbe invocarsi, che per le Antiche Provincie.

– 242  –

Per il resto del Regno legge speciale scritta non v'è, onde non sarebbe applicabile che l'articolo 156 del Codice di Commercio, per il quale La società in accomandita per azioni, e la società anonima non possono esistere, se non sono autorizzate con decreto reale, e se non è in pari modo approvato l'atto di loro costituzione. Quindi una banca di circolazione, che vol. sse costituirsi per mezzo di una delle due ispecie di società, non lo si potrebbe senza un decreto. La legge scritta è questa.

A questa applicazione della legge scritta si è opposta bensì da alcuni la giurisprudenza, che il biglietto al portatore funzionando esattamente come moneta, l'emissione di biglietti al portatore! pari che la monetazione metallica, entri nella categoria di quegli interessi supremi, la cui tutela è per la loro natura deferita al potere legislativo. Questo principio sostenuto dal Consiglio di Stato (1) importerebbe, che anche nei paesi dove il legislatore non abbia fatta una espressa riserva, e finché non abbia diversamente disposto, la banca di circolazione non può esistere che per legge speciale.

(1) V. parere nell'adunanza 12 novembre 1866. Allegato alla Relazione del deputato Seismit-Doda, presentata alla Camera il 15  giugno 1869 sul progetto di legge per la fusione delle due banche Nazionale e Toscana.

– 243  –

Non interessa a noi combattere o sostenere un tal principio. Il certo è, che attualmente una banca di circolazione non può costituirsi, se non in forza di un decreto reale secondo alcuni, in forza di legge speciale secondo' altri; ma certo è ancora, che con leggi o con decreti, senza ledere alcun diritto acquisito, si possano autorizzare banche di circolazione quante se ne. vogliono.

Così essendo, v'ha libertà assoluta? Certamente no. Ma si può forse dire che le banche esistenti esistano per privilegio? Precisato lo stato vero della legislazione, la questione non ha importanza, ed è piuttosto d'esattezza di linguaggio. Dappoiché l'autorizzazione a far cosa che il legislatore crede possa riuscir di danno allo Stato, se fatta senza suo permesso e senza che esso la regoli, non s'è mai detto che implichi un privilegio. Se così fosse, i privilegi in tutte le legislazioni dei popoli civili, che pur credono averli aboliti, si conterebbero a migliaia.

Però senza che l'esistenza d'una banca sia un privilegio, i legislatori possono aver costituite privilegiate le banche esistenti, dando loro vantaggi speciali, che uscendo dal diritto comune siano un privilegio. Quale è lo stato di fatto?

– 244  –

Ora se un privilegio, altronde perfettamente innocuo, è stato dato, lo è stato alla Banca Nazionale Toscana, la quale, non per convenzione revocabile, ma per la legge che creolla ha diritto, duraturo quanto dura la banca, a che la sua carta sia ricevuta come moneta metallica nelle casse dello Stato.

Un diritto simile lo ha il Banco di Napoli, ma per convenzione revocabile. in correspettivo di un'antecipazione di 20 milioni al 3 per cento su Buoni del Tesoro (1).

E la Banca Nazionale? La legge creolla con oneri verso lo Stato e senza privilegio alcuno. Essa infatti è tenuta ad un anticipazione al 3 per cento, che può giungere fino a lire 32,240,000, e ciò senza correspettivo.

Si dirà, che la finanza ha accettato per milioni i biglietti della Banca in tutte le casse dello Stato, anche prima del corso forzoso. È verissimo, ma non per privilegio ch'essa ne avesse, bensì perché ha voluto accettarli, ed ha vol. to, perché l' accettavano tutti, e perché lo Stato non correva alcun rischio accettandoli.

(1) Convenzione del 30 maggio 1864. Vedi Inchiesta, vol. 2°, pag.20. Rapporto del Direttore generale del Tesoro..

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Se dunque la legislazione attuale non vincola per nulla lo Stato verso le banche, se le banche esistenti non han privilegio di sorta, e men di tutte ne ha la Banca Nazionale, come mai i fatti dell'inchiesta han potuto mostrare che la legislazione attuale sulle banche di circolazione sia un danno?

Non sappiamo immaginare, che una risposta sola. La difficoltà d'ottenere una legge o un decreto, si potrebbe dire, ha impedito che le banche di circolazione si moltiplicassero; per questo ostacolo il credito non si è sviluppato, indi il malessere economico.

Il ragionamento sarebbe logico, ma suppone un fatto; che il commercio, cioè, siasi mostrato ansioso di avere, oltre quelle che già vi sono, una nuova varietà di biglietti pagabili al portatore, e che il commercio non sia stato soddisfatto. Or noi confessiamo, che di questa ansietà non abbiam veduto alcun segno. Infatti, esempi di domande serie per la creazione d'un nuovo, istituto colla facoltà d'emettere carte di credito pagabili al portatore non ne abbiamo che uno solo, quello della Società per la Banca Agricola, e la Banca Agricola è stata autorizzata.

– 246  –

Altre domande, serie, per quel che se ne conosce, non sono state presentate; il governo non ha avuto occasione di respingerne; e certamente se ne avesse respinte, la Commissione d'inchiesta non avrebbe mancato di darne l'elenco. Come mai dunque può l'inchiesta aver mostrato, che le banche di circolazione non si sono moltiplicate per difetto della legislazione attuale, e che il malessere economico ne sia la conseguenza?

Però, quantunque proposta fuor di luogo, la. questione della libertà bancaria è sì importante, che una vol. a proposta conviene trattarla. Or l'inchiesta non ci mostra l'urgenza di risolverla, ma ci mostra, perché l'ansietà per nuove banche di circolazione non siasi manifestata, e ci fa prevedere le conseguenze probabili della libertà. Riepiloghiamo i fatti, restringendoci a quelli riguardanti le banche di circolazione, ed alle operazioni che altri istituti han comuni con esse.

Ed invero, quel che l'inchiesta dimostra ad evidenza si è, che le istituzioni di credito sono pochissimo sviluppate in Italia. Degl'istituti non di circolazione, oltre le Banche Popolari e le Casse di Risparmio, la Commissione non ha potuto mostrarne che nove.

– 247  –

Il capitale versato di questi cumulativamente non ascende che a 86 milioni circa, di cui 40 milioni sono del Credito Mobiliare (1).

Assunto principale del Credito Mobiliare si è l'accomanditare intraprese industriali, e come tale ha molta importanza. Ma le operazioni che più s'avvicinano a quelle delle, banche di circolazione, sono affari secondarissimi per quell'istituto. Nell'inchiesta troviamo soltanto che i recapiti sull'interno rimessi dai corrispondenti e scontati, in media mensile ascendevano a poco più di 7 milioni nel 1864, a 4 milioni nel 1865, a 3 milioni nel 1866, a 2 milioni nel 1867 (2).. Il movimento delle anticipazioni e degli sconti della Cassa di sconto di Genova al 1866 dava per operazioni nuove la somma di lire 38,576,033 63, quella di lire 36,373,438 73 nel 1867 (3).

(1) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag.63 e seguenti.

(2) Vedi Inchiesta, vol. 2°, pag.1106.

(3) Vedi Inchiesta, vol. .2°, pag.1159.

– 248  –

Le antecipazioni e gli sconti dello Stabilimento mercantile di Venezia davan la somma di 26 milioni circa nel 1865, di 20 milioni nel 1866 e di 19,630,440 nel 1867 (1).

Il portafoglio e le anticipazioni del Banco di sconto e sete, una Commissione d'inchiesta riferiva agli azionisti, nel 1867 potersi valutare per quattro milioni (2). Le operazioni degli altri istituti hanno una importanza ancor minore.

Istituti utilissimi, se condotti bene, sono le Banche Popolari. Ma queste essendo istituzioni essenzialmente locali e a basi ristrette, è mestieri per uno Stato, che il numero supplisca alla ristretta periferìa d'azione di ciascuna. Le 16 Banche Popolari notate dalla Commissione sono utili alle località dove trovansi, per l'Italia non hanno importanza. Fra queste poi una importanza relativa l'ha soltanto la Banca del Popolo di Firenze, il cui capitale versato al 30 aprile 1868 ascendeva a lire 2,661,793, e nel 1867 avea scontato cambiali per 17 milioni circa (3)

Più diffuse, perché più antiche, sono le Casse di Risparmio. Ma per le stesse ragioni non si può restar soddisfatti delle 177 casse, che s'aveano nel 1864, con depositi di 200 milioni di lire soltanto per tutta Italia, rappresentati da 404,839 libretti.

(1) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag.61.

(2) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag.78.

(3) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag. 125 e seguenti.

– 249  –

Molto meno queste cifre son confortanti, se si osserva, che le Casse di Risparmio sono quasi tutte nella Lombardia e nell'Italia Centrale, poche nel resto dell'Italia Settentrionale, le provincie Meridionali quasi ne son prive (1). Del resto le casse di risparmio impiegano ordinariamente i capitali in ipoteche, e soltanto le primarie, per esempio quelle di Milano e di Firenze, fanno qualche antecipazione su titoli di Debito Pubblico.

Queste notizie non sono complete, ma sono più che sufficienti per farci credere, che tutti gli istituti non di circolazione, complessivamente presi non danno in media annuale in sconti ed antecipazioni più di cento milioni per anno. Vediamo ora lo stato delle Banche di circolazione.

Il Banco di Napoli nacque istituzione governativa, e banco essenzialmente di deposito, che emetteva fedi di credito intestate ai depositanti, ' trasmissibili per girata, pagabili a vista dal Banco. La fiducia che ogni fede avesse il corrispondente metallo giacente in cassa, ha fatto sì, che le fedi nominative in qualche modo compiano nella circolazione l'ufficio dei biglietti al portatore.

(1) Vedi Inchiesta, Vol. 1°, pag.96.

– 250  –

Oggi il Banco non è più dello Stato, è un banco del pubblico senza azionisti. Alle fedi anzidette si sono aggiunti i biglietti intestati al Cassiere Maggiore del Banco, che in nulla differiscono dai biglietti al portatore. Il Banco può estendere la sua circolazione al triplo della sua riserva metallica, ed è autorizzato a fare le stesse operazioni che le altre banche di circolazione. Esso ha un patrimonio che valuta per 23 milioni, ha una sede in Napoli, altra in Bari, una terza in Firenze.

Nondimeno il Banco di Napoli conserva ancora in massimo grado il suo carattere di banco di deposito. I risultati sono infatti:

Antecipazioni nelle sedi di Napoli e Bari:

1863 — 38,921,569

1865 — 15,948,417

1867 — 7,914,308

Sconti nelle sedi di Napoli e Bari:

1865 — 112,569,759

1866 — 85,000,000 circa

1867 — 46,753,208

– 251  –

Le antecipazioni coll'aggiunta della sede di Firenze tornarono ad aumentare nel 1868; nel primo trimestre si elevarono da 20 a 22 milioni circa. La sede di Firenze dall'aprile 1867 a tutto marzo 1868 scontava per L.8,303,562 (1).

Importa però vedere la circolazione delle carte nominative di varia specie. Essa in media annuale risulta in. un quinquennio come segue (2):

1863 — 113,334,575

1864 — 114,564,341

1865 — 94,355,393

1866 — 92,106,863

1867 — 98,915,085

Essenzialmente banco di deposito del pubblico e senza azionisti, simile a quello di. Napoli, è il Banco di Sicilia con due sedi a Palermo e Messina. Al Banco era unita una Cassa di sconta con una dotazione speciale; nelle vicende politiche gli fu tolta, e soltanto alla sede di Palermo ne furono restituite L.2,834,418.

(1) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag.37 e seg. Una statistica completi delle operazioni annuali degl'istituti di credito sarebbe stata utilissima per le questioni che la Commissione ha promosso. Non riusciamo a capire come non si trovi tra i documenti da essa pubblicati.

(2) Ved. Inchiesta, Vol. II, pag.850.

– 252  –

 Le antecipazioni e gli sconti della sede di Palermo sono stati (1):

Antecipazioni Sconti Totale
1865 4,953,760 2,522,264 7,476,024
1866 5,295,509 1,854,923 7,150,432
1867 4,337,555 2,535,951 6,873,506

Quanto alla sua circolazione, essa deve esattamente corrispondere alle somme depositate, e soltanto si sas che al 31 dicembre 1863 era di 28,708,772, al 31 marzo 1868 di 30,040,669 (2).

Vera banca di circolazione è la Banca Nazionale Toscana. Il suo capitale ascende a 10 milioni versati, ha due sedi in Firenze e Livorno e cinque succursali, può emettere biglietti al portatore sino al triplo della riserva metallica, non al di là del triplo del capitale.

Nel 1859 gli sconti e le antecipazioni della Banca Toscana risultarono di 47,565,095. Da quell'epoca in poi presero notevolissimo sviluppo. Infatti si ha (3):

(1) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag.52.

(2) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag.167.

(3) Dagli allegati alia sopracitata Relazione del deputato Seismit-Doda.

– 253  –

Antecipazioni Sconti Totale
1864 44,632,140 105,628,628 150,260,768
1865 45,460,437 120,658,400 166,118,837
1866 35,659,005 120,436,143 156,095,148
1867 39,757,555 100,930,312 140,687,867
1868 47,503,008 102,111,485 149,614,493

La sua circolazione media annuale, dopo che ne fu portato il capitare a 10 milioni, è stata (1):


1863 27,633,564
1864 26,376,168
1865 26,668,000
1866 24,900,000
1867 29,130,000

È 

banca di circolazione anch'essa con biglietti al portatore sino al triplo della riserva metallica la Banca Toscana di Credito per le industrie ec. Il suo capitale versato non è che di due milioni. Gli sconti e le antecipazioni di questa banca sono stati:

Antecipazioni Sconti Totale
1864 9,163,771 25,679,166 34,842,937
1865 6,160,694 23,279,815 29,440,509
1866 5,033,070 21,376,743 26,409,813
1867 2,715,650 38,414,413 41,130,063

(1) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag.172.

– 254  –

La sua circolazione si può dire che mantiensi costante di sei milioni (1).

Ora vediamo cosa sia la Banca Nazionale nel Regno d'Italia, origine di tutte le controversie.

Essa, è ben noto, nacque dalla fusione delle banche di Torino e di Genova nel 1850. Nacque Banca Nazionale degli Stati Sardi col capitale di 8 milioni, con due sedi a Genova e Torino. La banca divenuta Banca Nazionale nel Regno d'Italia oggi è costituita con un capitale di 80 milioni già versati, con 20 milioni in azioni da emettere, che alla prima richiesta collocherebbe con forte premio, ed essa con le sue sette sedi e 53 succursali estende la sua azione sulla maggior parte del Regno.

La sua crescente importanza rilevasi dal movimento dei suoi affari, qual lo mostra la somma degl'incassi e dei pagamenti. Al 1858 dava già L.929,589,586, al 1860 quando al di là dei confini sardi non avea che la sola sede di Milano, gl'incassi e i pagamenti sommavano L.1,694,534,596; da quell'epoca s'accrescono con rapidità, e li troviamo di 4 miliardi nel 1863, di L.5,281,261,838 nel 1865,

(1) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag. 60 e 61.

– 255  –

di L.5,457,356,564 nel 1868 (1).

La Banca non dà frutti sulle somme presso lei depositate in conto corrente. Una eccezione ha però fatta in favore di Cagliari, delle Provincie Meridionali, e della Cassa di Risparmio di Milano, e nondimeno, così circoscritti, i conti correnti fruttiferi al 31 marzo 1868 ascendevano a'  L.32,619,261.

Più importante è il servizio della trasmissione del denaro da un suo stabilimento all'altro, che la Banca presta per una modica retribuzione ai privati, gratuitamente al governo, mediante biglietti all'ordine, nominativi, trasmissibili per girata, pagabili a vista. L'importanza progressiva di questo servizio rilevasi dalle seguenti cifre (2):

1859 Biglietti 9,89 47,241,620
1865 129,39 320,872,879
1866 124,94 413,572,878
1867 135,45 411,584,340
1868 175,14 685,368,200

(1) Ved. Inchiesta, Vol. I, pag.13. Per tutte le cifre riguardanti il 1868, vedasi la Relazione all'Adunanza generale degli Azionisti del 25 febbraio 1869. (2) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag.33.

– 256  –

Però il maggior utile che presta la Banca è quello delle operazioni di credito a favore del commercio, mediante gli sconti e le anticipazioni. L'incremento di quelle operazioni dopo il 1866 l'abbiam visto, ed abbiamo ancora dimostrato che si deve, non al corso forzoso, bensì al naturale sviluppo della Banca. Ciò vien confermato dai risultati degli anni precedenti (1).

Anticipazioni Sconti Totale
1858 — 32,266,850 227,868,920 260,135,770
1859 — 43,850,014 223,606,457 267,456,471
1860 — 85,304,374 247,795,975 333,100,349
1861 — 99,878,753 303,238,148 403,116,901
1862 — 141,944,725 465,469,753 607,414,478
1863 — 133,308,493 448,970,184 582,278,677
1864 — 147,106,989 409,337,235 556,444,219
1865 — 207,691,727 533,112,475 740,80 i,202
1866 — 167,705,022 534,876,508 702,581,510
1867 — 227,688,229 554,191,093 781,879,322
1868 — 275,494,162 575,802,867 851,297,029

Se non che la Banca non limitasi al commercio, anzi le maggiori accuse fattele dalla Commissione d'inchiesta sono pei grandi e continui suoi rapporti col governo, e mettendo per ora da parte ogni conseguenza che ae ne voglia trarre, il fatto è innegabile.

(1) Vedi Inchiesta, vol. 2°, pag.117 e 178.

– 257  –

Ai prestiti contratti dallo Stato dal 1858 sino al 1863, la Banca ha concorso acquistando per suo conto lire 6,997,070 di Rendita, che al 70 per cento importerebbero 98 milioni circa di capitale reale prestato (1 ).

Il pagamento del Debito pubblico in Torino, assunto dalla Banca, importa aver pagato lire 147,775,463 (2) per conto dello Stato dal secondo semestre 1863 a tutto marzo 1868.

La Banca ha inoltre assunto il servizio delle Zecche, e ciò importa avere speso dal 1862 al 31 marzo 1868, soltanto in acquisto d'oro e d'argento, lire 501,532,130, coniando 198,312,040 lire in oro, lire 7,417,464 in argento a 900 millesimi,156 milioni in argento ad 835 millesimi, oltre 27 milioni circa in monete di bronzo (3).

Il servizio di Tesoreria la Banca non l'ha che nelle sole provincie ex-pontificie, ma è pure un servizio di Tesoreria il passaggio dei fondi dell'erario da una Tesoreria all'altra mediante biglietti all'ordine della Banca; dal 1860 al 31 ottobre 1868 questo servizio si era dalla Banca prestato per lire 551,988,816 (4).

(1) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag. 235.

(2) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag. 213.

(3) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag. 259 e seg.

(4) Vedi Inchiesta, vol. 2°, pag. 237 e seg.

– 258  –

Quai capitali abbia tratto la finanza dalla Banca durante il corso forzoso, l'abbiam già visto; sino a tutto il dicembre 1868 quelle operazioni davano la somma di lire 620,412,332. Ma anche prima del corso forzoso erano importantissime le operazioni in Buoni del Tesoro fatte dalla Banca direttamente col governo, ed anche con privati. Secondo la Commissione d'inchiesta i Buoni scontati dalla Banca dal 1862 a tutto marzo 1868 le sarebbero costati lire 420,962,567 70 (1).

Questo gran movimento esige necessariamente una estesa circolazione di biglietti. Quella durante il corso forzoso è eccezionale, dovuta ai prestiti fatti dalla Banca all'erario. Importa bensì conoscere qual fosse la circolazione della Banca avanti il maggio 1866.

(1) Diamo questa cifra con riserva, poiché nei prospetti della Commissione vi sono errori, che ci fan dubitare della sua esattezza. La Commissione, infatti, dà prima distinto in sette categorie l'ammontare dei Buoni acquistati ogni anno dalla Banca a cominciare dal 1862 a tutto marzo 1868, e la somma totale del costo risulta di lire 420,962,567 70 (V. Inchiesta, pag.253). Poi a pagina 254 la Commissione riassume senza distinzione di categorie: Buoni acquistati ogni anno dalla Banca dal 1864 in poi sino a tutto marzo 1868, e ne fa risultare il costo in lire 359,082,754 38. Ora secondo i prospetti della Commissione il costo dei Buoni del 1862 e 1863 ascende a L.67,041,93043, la qual somma sottratta dal costo totale in L.420,962,567 70 dà invece per il 1864 ed anni seguenti il residuo di L 353,920,637 27.

– 259  –

Al 1858 la circolazione era di 48 milioni circa (1). Tralasciando il 1859, anno ancor esso di corso forzoso, si osserva, che a misura il capitale della Banca aumentasi, e la Banca s'estende sul resto d'Italia, la circolazione sua s'accresce.

Ecco infatti le medie annuali (2):

1860 60,692,814
1861 55,438,631
1862 79,833,396
1863 96,081,831
1864 81,237,077
1865 106,257,435
1866 primo quatrim. 118,377,045

Ora questa succinta statistica conferma quel che abbiamo accennato; il pochissimo sviluppo che hanno le istituzioni di credito in Italia. Ma quali ne sono le cause? Si deve ciò imputare a difetto delle banche di circolazione? I fatti esposti rispondono.

(1) Vedi Inchiesta, vol. 1°, pag.147.

(2) Vedi Inchiesta, vol. 2°, pag.98.

– 260  –

Sul credito corrono, invero, idee stranissime, e molti s' immaginano che basti aprir banche, perché queste prosperino, e il paese arricchisca. Però ricchezza vuol dire produzione, e la produzione non aumenta se non aumentano i capitali. Ora il capitale è cosa materialissima, composta di denaro, di materie prime, macchine, ed oggetti mobili o stabili, cose materìalissime tutte; credito invece è sinonimo di fiducia, cioè una forza morale. Il credito adunque facendo affidare il capitale a chi sa farlo produrre, può rendere attivi i capitali, che resterebbero oziosi in mano di chi non può o non sa. Ma il credito in via diretta non crea capitali; e se indirettamente contribuisce ad aumentarli, ciò è soltanto, perché offrendo un mezzo di trarne un frutto a chi non potrebbe renderli da sè produttivi, incoraggia il risparmio, mezzo unico con cui i capitali s'accrescono.

Ne siegue: 1° che allo sviluppo del credito abbisognano certe disposizioni morali, che non sempre in un paese ci sono: 2° che quando pure queste ci fossero, i capitali essendo anch'essi una produzione accumulata, se scarsa è la produzione, scarsi sono i capitali, poche e languenti saranno le istituzioni di credito.

– 261  –

E però la causa vera del poco sviluppo di credito in Italia, non è nelle leggi, non è nell'esser poche le banche di circolazione, non è in un immaginario monopolio di qualche istituto; la causa vera è il difetto di quelle due condizioni, e più della prima che della seconda. Diciamo più della prima, perché lo stato attuale della produzione in Italia, senza permettere uno sviluppo delle istituzioni di credito qual si osserva in Francia, o in Inghilterra, ne permetterebbe uno molto maggiore dell'attuale, se le disposizioni morali non mancassero. Che le cause vere sian queste, lo provano i fatti.

È un altro errore il supporre, che tutto il meccanismo del credito stia nel biglietto al portatore. Il credito può assumere tante svariate forme, quanto svariati sono i bisogni cui deve provvedere; ma ciascuna di queste forme richiede speciali condizioni, ed un meccanismo suo proprio, che non sempre è adattabile alle altre. Or sono le banche di circolazione quelle di cui maggiormente difetta l'Italia? Noi abbiam visto quanto le altre sian pochissime, poco svariate nelle forme per provvedere ai vari bisogni del movimento economico; abbiam visto, quanto prendendo complessivamente l'Italia, poveri ne siano i resultati. Ma, ne è forse causa un ostacolo nelle leggi? Certamente no.

– 262  –

È ben noto, che l'ottenere un decreto di autorizzazione è affare più di formalità che di sostanza; a segno che il decreto non garantendo nulla, Questa è una delle ragioni per cui si vorrebbe da molti, che il governo non se ne impiciasse. Ne è forse causa il non essere facoltà di chicchessia l'emettere biglietti al portatore? Neanche. Il biglietto al portatore richiede speciali condizioni, ed un particolare meccanismo, che non s'adatta ad istituti aventi uno scopo diverso da quello delle banche di circolazione. Se lo chiedessero commetterebbero un madornale errore, che li condurrebbe ben presto a rovina. La causa dunque non è nelle leggi, non è negli ostacoli ad ottenere il biglietto al portatore, è bensì nel non avere ancora l'Italia le condizioni morali ed economiche necessarie per raggiungere un grandissimo sviluppo nel credito. Venghiamo ora alle banche di circolazione.

Queste incontrano le difficoltà stesse, che in generale s'oppongono allo sviluppo di tutti gli istituti di credito, ma ne incontrano ancora delle altre, dipendenti dal loro speciale organismo.

– 263  –

Ed invero, in rapporto all'interesse nazionale l'utilità propria delle banche di circolazione si è, che i biglietti al portatore sostituendosi nella circolazione alla moneta metallica, delle banche di circolazione si può ben dire, che aumentano il capitale nazionale; l'aumentano del capitale monetato metallico risparmiato, il cui valore impiegasi in altro modo. Ma noi abbiam già visto, che non si possono tenere in circolazione biglietti al portatore quanti se ne vuole, ed aumentare cosi all'infinito i capitali. Questa sostituzione del biglietto al metallo, abbiam visto, ha un limite dipendente non solo dalla fiducia che inspirano le banche, ma ancora dai rapporti del paese coll'estero, e ancora più dalla latitudine che il paese offre alle operazioni di credito, che si confanno con una banca, che deve star pronta a pagare ad ogni istante quanti biglietti le si presentano.

V'ha di più. V'ha altro, limite che non avevamo ancora accennato. Gli altri istituti hanno rapporti con una determinata classe di persone; la fiducia reciproca tra gli istituti e queste persone basta.

– 264  –

Il biglietto al portatore circolando come moneta metallica, la circolazione in biglietti non può raggiungere il massimo, di cui il paese sarebbe altronde suscettibile, se il biglietto non è accettato come moneta, indifferentemente da ogni classe di persone. Or questo vuol dire, che la banca di circolazione ha rapporti con tutto il paese, e che agisca pure colla massima prudenza, inspiri pure fiducia agli uomini d'affari, se la banca trovasi in un paese, dove il popolo non capisce altro che il valore del metallo coniato, la circolazione in biglietti sarà ristrettissima.

Ai biglietti poi corrispondono i crediti che la banca fa al commercio, ed essa deve esser sempre pronta a pagare i biglietti. Or questo importa non solo, che bisogna i suoi crediti siano d'una solidità incontestata, ma ancora che gì' incassi della banca siano continui, come continui possono essere i suoi pagamenti. Quindi è che le banche di circolazione richiedono tre firme, o almeno due colla garanzia d'un titolo vendibile d'un valore solidissimo. Quindi è ancora, che la scadenza più lunga, che concedono le banche, è di tre mesi. Queste cautele restringono la clientela delle banche, e quindi la circolazione in biglietti. Ma le banche di circolazione non possono farne di meno; se si comportassero altrimenti finirebbero per fallire.

– 265  –

Ed è questa la ragione per cui il biglietto al portatore non è compatibile cogli altri istituti di credito. Poiché, se lo adottassero con queste cautele, le loro operazioni diverrebbero impossibili, se senza, i pagamenti dei biglietti non equilibrandosi cogl'incassi, gl'istituti non potrebbero pagare.

Ora in Italia abbiamo tre istituti, che sono stati sempre favoriti dai rispettivi governi. Però quel che vediamo è, che il Banco di Napoli non tentò mai d'estendersi alle altre Provincie napoletane tranne a Bari, e solo recentissimamente ha voluto avere una sede a Firenze. La circolazione delle sue fedi è oscillantissima, e se qualche volta eccede i cento milioni, ciò si deve all'essere, anziché vera banca di circolazione, un banco di deposito, che tiene giacente in cassa il corrispondente valore. Della Banca Toscana osserviamo, che ancor essa è stata lentissima a dilatarsi nelle Provincie toscane, e la sua circolazione non raggiunge mai i 30 milioni, cui è autorizzata a portarla.

La Banca Nazionale è stata sempre condotta con arditezza pari alla prudenza. Eppure finché ristretta nei confini dell'ex-Stato Sardo, nelle Provincie italiane le meglio predisposte, non vol. e avere tra sedi e succursali che sette stabilimenti, e la sua circolazione non oltrepassò i 48 milioni.

– 266  –

Oggi conta 60 stabilimenti ed estendesi alla miglior parte d'Italia; eppure la sua circolazione avanti il corso forzoso non arrivò mai ai 120 milioni. Se, tenendo conto della popolazione della quale ciascuna banca ha profittato o avrebbe potuto profittare, si confrontasse la sua circolazione in biglietti con quella di altre banche all'estero, si troverebbe una enorme inferiorità da parte dell'Italia.

Quali ne sono state le cause? Han forse le banche incontrato resistenza invincibile nei governi? I governi le han sempre protette e favorite. La causa è stata forse un capriccio irragionevole degli amministratori? Certamente no; aumentare la circolazione della loro carta è interesse delle banche.

Ma gli amministratori tutti risponderebbero, che in un paese dove nei contratti si stipula ancora per patto espresso il pagamento in buona moneta d'oro o d'argento e fuori banco, la circolazione in biglietti ben poco si estende al di là della classe commerciale. Essi risponderebbero, che costretti a volere scadenze brevi e due o tre firme solidissime, la circolazione in biglietti ancora più restringesi in un paese come l'Italia, il cui commercio non ha grandissimo sviluppo.

– 267  –

Risponderebbero, infine, che se qualche cosa di più avrebbero potuto fare, lo avrebbero potuto aumentando il loro capitale, ma che ciò, nelle condizioni del loro paese, era facile a dirsi, non facile a farsi. In una parola direbbero che la circolazione è stata quella, che per le condizioni economiche e morali e stata possibile, e che il forzarla non avrebbe servito, che a compromettere l'esistenza delle banche.

Tutto questo non vuol dire, che la circolazione in biglietti a corso libero non possa andare al di là di quel che era avanti il corso forzoso. Noi anzi crediamo che possa, purché si segua la giusta via; né siamo interamente convinti, che per lo passato gli amministratori delle banche l'abbiano esattamente seguita. Ma checché ne sia, i fatti dimostrano, che in ogni provincia d'Italia per le banche di circolazione il campo è assai ristretto, e questa specie di banche non potendo prosperare, se non moltiplicando moltissimo al di là del loro capitale le loro operazioni, e in certe proporzioni la loro circolazione in biglietti, due banche, o peggio più di due, per mancanza d'alimento non possono coesistere in una stessa provincia, senza che l'una non metta in perpetuo pericolo la vita dell'altra.

– 268  –

Da ciò siegue, che per portare la circolazione in biglietti, e coi biglietti le corrispondenti operazioni di credito, al massimo di cui l'Italia è suscettibile, mezzo non è moltiplicare le banche, dove già ve ne sono. In una stessa località una sola, purché bene organata, basta; due non posson fare più di quel che può fare una sola, e colla concorrenza si nuocciono. Se mezzi pratici si hanno per raggiungere lo scopo, i mezzi sono: 1° introdurre l'azione della banca di circolazione nelle località che ne sono ancora prive, e che pure sarebbero suscettibili d'alimentarla; 2° organare la banca come si deve. La questione è però, se nello stato attuale delle banche e dell'Italia, questo si faccia meglio creando nuove banche di circolazione per le località che non ne hanno, o diramando mediante nuove sedi e succursali l'azione di quelle già esistenti, o d'alcuna di esse. Anche intorno a tal questione i fatti esposti ci dicono moltissimo.

Le antecipazioni del Banco di Napoli, abbiamo osservato, nel 1863 non arrivavano a 40 milioni, nel 1867 scendevano a meno di 8 milioni. I suoi sconti sorpassavano di poco i 112 1|2 milioni nel 1805, si residuavano a meno di 47 milioni nel 1867.

– 269  –

Con queste grandi oscillazioni si concede troppo, se in isconti ed antecipazioni, in ragion media, si attribuiscono al Banco 120 milioni. Collo stesso criterio si possono tutto al più attribuire altri sei milioni al microscopico Banco di Palermo.

Assai più utile è la Banca Nazionale Toscana. Nondimeno la media del quinquennio, di cui abbiam notato gli sconti e le antecipazioni, risulta di 153 milioni circa. Finalmente quella del quadriennio della Banca Toscana di credito si è di altri 33 milioni circa. Ne siegue, che le quattro banche di circolazione complessivamente prese danno al commercio in scorni ed antecipazioni un soccorso di 312 milioni circa.

Della Banca Nazionale abbiamo osservato, che la sua forza è in grandissima parte distratta a servir la finanza; ciò sarà un bene o un male, ma è un fatto. La sua efficacia adunque non si misura dai soli sconti e dalle antecipazioni, ma ancora dai grandi acquisti di rendita, dai 420 milioni di Buoni del Tesoro in sei anni, dai 685 milioni di biglietti all'ordine, dai 5 miliardi indicanti il movimento d'entrata e d'uscita delle sue casse.

Nondimeno al 1859, quando non era ancora che Banca degli Stati Sardi, dava in sconti ed antecipazioni lire 207,456,000.

– 270  –

In quell'anno la Banca Toscana di credito non esisteva; la Banca Nazionale Toscana dava in sconti ed antecipazioni lire 47,565,095, aggiungendo 120 o 130 milioni per i due banchi di Napoli e di Sicilia, ne risulta che la Banca Nazionale Sarda, oggi Banca Nazionale nel regno d'Italia, dava assai più che tutte le altre banche di circolazione allora esistenti, complessivamente prese.

Dopo quell'epoca il suo progresso è stato rapidissimo. Nel 1865 'avanti il corso forzoso, gli sconti e le anticipazioni della banca sommavano a lire 740,804,202. Le stesse operazioni delle altre banche in quell'anno risultavano di lire 331,553,546, cioè la Banca Nazionale dava assai più del doppio di tutte le altre banche in complesso. Nel 1808 il risultato della Banca Nazionale s'eleva a lire 851,297,029: quello delle altre banche rimane presso a poco stazionario. Si 'unisca dunque al loro risultato un cento milioni o anche più delle operazioni consimili degli altri istituti, la Banca Nazionale dava essa sola più del doppio di tutti gl'istituti di credito del Regno complessivamente presi. A che si deve questa stragrande superiorità della Banca Nazionale?

– 271  –

Certamente i suoi più recenti risultati sarebbero stati impossibili, se fosse rimasta ristretta dentro i confini degli ex Stati Sardi. Ma sarebbe errore evidente l'attribuire l'enorme differenza a questa sola causa; il fatto del 1859 basterebbe a provarlo. Ma inoltre non è da dimenticare, che la Banca Nazionale è andata, là dove le altre banche funzionavano da anni ed anni, e le sue operazioni di credito in quelle provincie sono in gran parte una aggiunta a quelle, che vi facevan prima le altre banche. Se la possibilità d'un aumentò v'era, perché le altre banche non ne hanno profittato? Non è dunque l'estensione del territorio la sola causa della differenza, altra causa bisogna'  che siavi.

Il vero è, ohe il biglietto al portatore è un mezzo, ma non sta tutta nel biglietto al portatore la forza commerciale d'una banca di circolazione. I suoi risultati in gran parte dipendono dai suoi statuti, dallo massime di conciotta adottate, dall'abilità degli amministratori. Ma date queste condizioni, i risultati si proporzioneranno ad un'altra la più importante di tutte nella costituzione d'una banca; dipendono cioè dal capitale.

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Per chi elevandosi al di sopra delle rivalità dei partiti politici, giudica osservando i fatti generali dell'epoca in cui vive, l'ingrandimento della Banca Nazionale non è che un fatto consentaneo alla caratteristica dell'epoca nostra, che tende in tutto a sostituire il grande al piccolo. Come nell'ordine politico abbiamo le grandi agglomerazioni nazionali, che sostituisconsi all'antico sparpagliamento, cosi nell'ordine economico le grandi intraprese sostìtuisconsi alle piccole. Dove l'arte agraria è in progresso, la grande cultura prende il posto della cultura sminuzzata. Dove fioriscono le manifatture, le grandi fabbriche, basate su un capitale di milioni e su migliaia di lavoranti, sostìtuisconsi alle botteghe; e del pari abbiamo le grandi società di pubblici lavori, le grandi società di mercatura, le grandi società di navigazione. Così parimenti abbiamo le grandi società bancarie.

Questa tendenza non lascia d'avere i. suoi inconvenienti. Ma causa di essa è il principio, che le forze riunite possono assai più che le stesse forze sparpagliate; e si deve all'attuazione di questo principio, che l'Europa moderna sia immensamente più ricca che l'Europa antica.

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Però, si avverta bene, appunto perché questa tendenza è uno sviluppo naturale della moderna società, gli ostacoli artificiali, la resistenza del passato, possono con danno dei popoli rallentare questo movimento, farlo deviare non possono.

E venendo alle banche è grossolano errore teorico e pratico il ritenere, che l'efficacia d'un istituto di credito e il movimento dei suoi affari crescano in ragione soltanto aritmetica del suo capitale; di modo che, per esempio, venti banche con un capitale di cinque milioni ciascuna, possano complessivamente fare quanto una banca sola con cento milioni. L'andamento del credito è ben diverso. La banca col capitale come uno farà affari come uno, quella con un capitale doppio non ne farà il doppio, ma il triplo o il quadruplo, quella col capitale triplo riuscirà in proporzioni anche maggiori, e così di seguito. È questa la causa vera dell'immensa superiorità della Banca Nazionale.

Infatti, il Banco di Napoli non ha che un patrimonio di 23 milioni, esso poi è essenzialmente banco di deposito, e le sue operazioni commerciali bancarie sono un'aggiunta secondaria, che mal si combina col suo carattere essenziale.

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La Banca Toscana è benissimo organizzata, ed è egregiamente condotta, ma essa nacque e visse col capitale di lire 6,720,000 sino al 1860, soltanto nel 1860 il suo capitale fu portato a dieci milioni, e non fu versato tutto che assai più tardi. Se si aggiungono i due milioni della Banca Toscana di Credito e la dotazione della Cassa di Sconto del Banco di Palermo, si hanno quattro banche di circolazione col capitale complessivo di 38 milioni circa.

La Banca Nazionale si costituì nel 1850 col capitale di 8 milioni, ma scorsero appena due anni e nel 1852 il suo capitale fu portato a 32 milioni. Formatosi il Regno d'Italia, essa si è estesa alle altre provincie, ma si è estesa procedendo sempre con un aumento del suo capitale. Ed oggi la Banca Nazionale è un istituto, che ha per base un capitale di 100 milioni in azioni, 16 milioni di riserva in titoli di debito pubblico, una riserva metallica che è giunta sino a 180 milioni, e superiore a quella cui è per legge tenuta. Ecco la causa vera della sua superiorità; ecco perché può con sconti ed antecipazioni soccorrere di 851 milioni il commercio in un anno, e fare al tempo stesso colossali operazioni di credito col governo. Dimezzate questa forza, i resultati non saranno la metà, ma molto meno; sminuzzatela si ridurranno a zero.

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È per questo che noi dicevamo di non essere interamente convinti, che gli amministratori delle altre banche abbiam sempre seguita la giusta via. La Banca Nazionale aumenta il suo capitale chiedendolo a tutta Italia; è questo uno dei vantaggi dell'agglomerazione nazionale sostituitasi ai piccoli Stati. Le banche locali non potevano aumentarlo, che chiedendolo alle loro provincie. Però il non avere aumentato il loro capitale si deve imputare a imprudente timidezza, o invece a ponderato giudizio sulle condizioni del loro paese, che non avrebbe corrisposto all'appello?

Ma checche ne sia, oggi il fatto è fatto, e queste cause di superiorità ci spiegano, perché all'apparire della Banca Nazionale la Banca Toscana chiede la fusione, e il Banco di Napoli s'allarma. Essi a ragione temono, che a lungo andare sia per accadere quello, che quasi sempre accade in altre specie d'intraprese, quando il mercato è per se stesso ristretto, ed una grande intrapresa che da se sola può soddisfarlo tutto, sorge in mezzo ad intraprese piccole. In tai casi si osserva, che quasi sempre la concorrenza della grande finisce per rendere impossibile la vita delle piccole. Lo stesso è per le banche.

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Tra i biglietti, infatti, di varie banche, sian pure tutte saviamente condotte, quello della banca grande inspirerà sempre maggiore fiducia che quelli delle banche piccole. In una crisi saranno i biglietti delle piccole i primi a portarsi al cambio; le piccole, appunto perché deficienti di forze, saranno le prime a vacillare. La banca grande al contrario, possente per capitali, possente per credito, con vasti rapporti all'interno e all'estero, resisterà assai più, e troverà mille risorse per resistere. La banca grande poi avrà sempre nel movimento degli affari maggiore influenza che tutte le altre; essa attirerà a sè la migliore clientela, che sempre preferisce aver che fare con una banca di gran nome e di vasti rapporti; saran per essa le grandi operazioni, essendoché per difetto di forze le piccole non possono accettarle. Queste dovranno per necessità sottostare all'altra, ed alla lunga poco ad esse resterà dei buoni affari.

È ben naturale adunque, ché in ogni provincia italiana il campo d'operazioni essendo assai ristretto, all'apparire della Banca Nazionale le banche minori s'allarmino.

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Il Banco di Napoli, invero, ha tutta la sua forza come banco di deposito, che conserva illeso in cassa il capitale depositatovi; ma come banca di circolazione, che fa operazioni di credito commerciale fondandosi su carte pagabili al portatore, il Banco di Napoli col suo patrimonio di 23 milioni è assai debole; in quanto che più s'inoltra in questa seconda via, maggiorménte viola la massima su cui si basa la forza del suo carattere essenziale.

La Banca Toscana è senza dubbio meglio organata. Ma sparito il piccolo e tranquillo granducato, la Banca Toscana coi suoi dieci milioni di capitale si trova involta nel movimento economico d'un grande Stato, e dentro il suo piccolo campo trovasi in concorrenza con una grande banca dieci vol. e più forte. Essa però ben sa che in questo gran movimento, più brillante ma più fortunoso, i grandi vantaggi che promette sono più pei grandi istituti, i pericoli cui espone sono più per i piccoli. La Banca Toscana ha abbastanza profonde radici nelle sue Provincie per credersi in pericolo imminente, ma essa teme l'avvenire, e teme le crisi; mentre all'incontro unendo le sue forze a quelle dell'altra il vantaggio sarà reciproco. Qual cosa adunque di più ragionevole di più giusto che chiedere la fusione?

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Se non che, queste osservazioni non facciamo per vaticinare sull'avvenire di questa o di quell'altra banca, bensì per trarne le conseguenze pratiche nell'interesse generale dell'Italia.

Ora, da quanto abbiam detto, non siegue, che una legge debba sopprimere le banche minori, e fare della Banca Nazionale la banca unica e privilegiata del Regno. I principii sin qui esposti, i fatti sin qui osservati, non risolvono né in un senso né in un altro tal questione. Ma dall'anzidetto siegue, che per portare al massimo di cui l'Italia è suscettibile, la circolazione in biglietti al portatore, e coi biglietti le operazioni di credito compatibili con questi, il mezzo pratico più facile, più economico, meno rischioso, è la diramazione della Banca Nazionale alle parti d'Italia, dove non ha ancora né sedi né succursali, aumentando anche, se ciò bisogna, il capitale della Banca.

Ed infatti, se una banca con un gran capitale fa immensamente più che molte banche piccole con un capitale complessivo uguale ma fra loro sminuzzato; se conseguentemente per ottenere colle banche piccole uno stesso risultato il capitale complessivo dev'essere di gran lunga maggiore;

– 279  –

se le banche piccole non reggono alla concorrenza delle grandi, e nelle attuali condizioni dell'Italia due grandi banche di circolazione non possono alla lunga coesistere; se, supposto che ad una banca per estendersi con efficacia su tutta l'Italia un capitale rii 100 milioni non basti, è più facile portare a 150 o a 200 milioni il capitale d'una banca, quale è la Banca Nazionale, già in tutta Italia accreditatissima, e che già ha 80 milioni di capitale versato, anziché portare a 150 o a 200 milioni il capitale di banche che hanno dieci o venti; se tutto questo è vero, qual vantaggio, domandiamo, avrebbe il paese dal moltiplicare le banche piccole, o dal dilatare un pochino quelle esistenti, con pochissima o niuna speranza d'ottenere il massimo risultato, mentre v'è la via più facile d'ottenerlo con risparmio di capitali?

E però, tornando alla Commissione d'inchiesta, noi comprendiamo, come venendo ai dettagli si possa discutere, se questa o quell'altra operazione fatta dalla Banca col governo sia stata buona o cattiva.

– 280  –

Ma non riusciamo a capire la guerra dichiarata dalla Commissione alla Banca, per esser questa un istituto su grandi basi, che ha gran possanza di credito, ed un movimento d'affari corrispondente; non comprendiamo né anche clre cosa effettivamente la Commissione desideri.

La Commissione, invero, nella Banca Nazionale vede un monopolio del credito. Ma se per monopolio intende quello costituitosi in forza delle leggi vigenti, abbiam già dimostrato, che la Banca alle circostanze economiche del paese, e non alle leggi vigenti, deve il non avere rivali. Se per monopolio intende quello d'una. banca, che profittando delle opportunità si è ingrandita in modo da soprastare alle altre, questo non è monopolio; altrimenti dovrebbe dirsi monopolio quello di qualsiasi grande intrapresa, che non favorita da privilegi legali nasce e resta sola in un paese, senza che le sorgan d'attorno altre intraprese simili. Però se il fatto della Banca Nazionale non è altro, ed è questo indubitatamente, non sappiam vedere quale ne sia il danno.

– 281  –

La Commissione dirà, che nell'esistenza di questo grande istituto vede un danno, perché ci vede un ostacolo allo sviluppo d'altre istituzioni di credito. Ma qui bisogna distinguere le banche di circolazione dagli altri istituti di credito aventi scopi ed organismo diversi.

I rapporti economici nell'ordine naturale sono, infatti, talmente concatenati, che gl'istituti %i credito aventi scopi ed organismo diversi, anziché d'ostacolo, cooperano e s'aiutano a vicenda. E che la Banca Nazionale, appunto perché è una potente banca di circolazione, sia di soccorso agl'istituti di credito d'altra specie, non sapremmo darne dimostrazione migliore di quella che la Commissione ha data. Ridotti infatti, al vero i milioni, che la Banca Nazionale durante la crisi prestò agli altri istituti bancari, di cui parla la Commissione, che altro la Commissione avrebbe dimostrato, se non che quelle banche devono alla Banca Nazionale l'avere superato la crisi? Questi soccorsi da piccole banche di circolazione più deboli di loro, non avrebbero certamente potuto ottenere.

– 282  –

Sarebbe però stata una fortuna per l'Italia, se quegl'istituti fossero periti? Secondo la Commissione parrebbe che sì.

Che poi l'esistenza della Banca Nazionale sia ostacolo a che sorgano altre banche di circolazione, risulta da quanto abbiam detto. Ma da quanto abbiam detto sin qui risulta ancora, che se l'ostacolo è veramente la Banca Nazionale, lo è soltanto perché questa, appunto per essere una banca di circolazione cosi fortemente costituita, può fare essa sola assai più che molte piccole banche complessivamente prese. Altrimenti, se nel paese vi fosse alimento per essa e per altre, come mai essa potrebbe esser ostacolo alla instituzione di altre banche? Ma se è ostacolo perché essa fa quel che farebbero le molte altre, e fa più, quale è il danno che ne risente il paese?

Immaginiamo, infatti, che una legge vandalica sopprimesse la Banca Nazionale; e vediamone le conseguenze.

La conseguenza immediata, e la sola certa, sarebbe che quei crediti in sconti ed anticipazioni della Banca Nazionale, che. dan la somma di 851 milioni in un anno, verrebbero a mancare al commercio, finché altre banche non venissero a surrogarla.

– 283  –

Non crediamo che il commercio ne sarebbe lietissimo. Nondimeno, rimasto vuoto il campo, prima o poi sorgerebbero speculatori disposti ad occuparlo. Ma siccome le grandi intraprese non nascono come i funghi, il secondo stadio più probabile sarebbe, che invece d'una grande banca costituita con un capitale di 100 milioni, la quale, estendendosi alla maggior parte d'Italia e mettendone tutte le località in rapporti, potrebbe già dirsi Nazionale Italiana, s'avrebbero molte banche municipali, piccine, isolate, povere di capitali, incapaci di qualsiasi grande operazione, che non potrebbero mai dare al commercio gli aiuti che ritrae dalla Banca Nazionale. I voti della Commissione sarebbero appagati avendosi tante banche, ma quelli del paese certamente no.

Se non che questo sarebbe il secondo stadio, poiché il movimento economico, abbiam detto, non devia. Il commercio ben sa la strada da tenere, ben sa che l'unione costituisce la forza, sa benissimo per esperienza, che una grande banca vale assai più che molte piccole banche collo stesso capitale frazionato. Che cosa dunque ne verrebbe?

– 284  –

Inevitabilmente, o le piccole banche finirebbero per fondersi, e costituirebbero la banca grande, o una grande società di capitalisti verrebbe a costituirla essa, e colla concorrenza sopprimerebbe le piccole. Si sarebbe adunque da capo; ma dopo un periodo di regresso con danno gravissimo del paese.

Però noi non intendiamo fare alla Commissione d'inchiesta l' ingiuria di supporre, che la soppressione della Banca Nazionale sia nei suoi voti. Siamo sicurissimi, che contro la legge vandalica la Commissione sarebbe la prima a protestare. Ma precisamente per questo non sappiamo che cosa effettivamente desideri.

Infatti, la libertà non potrebbe darsi alle altre banche esistenti ed alle nasciture sì, ed alla Banca Nazionale no; questa non sarebbe libertà. Nella ipotesi dunque, che tutte le accuse contro la Banca Nazionale fossero giuste, come mai, lasciandola libera di fare quel che meglio crede, si metterebbe un freno al suo cattivo comportamento? Se, per esempio, fosse giusta l'accusa di favorire troppo il gran commercio, e sprezzare il piccolo, come colla libertà farla agire diversamente? Se fosse un danno la fusione colla Banca Toscana, come colla libertà vietare alle due banche di fondersi?

– 285  –

Fra le colpe e i danni dalla Commissione imputati alla Banca Nazionale e la libertà proposta come rimedio, non vi sarebbe altro nesso logico che il benefizio sperato della concorrenza. Ora è questo, secondo noi, l'errore gravissimo della Commissione; il credere che nelle attuali condizioni dell'Italia, la libertà farebbe sorgere tante possenti banche di circolazione da far cessare colla concorrenza la supremazia della Banca Nazionale.

Ed. invero, dopo quel che abbiam detto non ci occorre altro per prevedere, quale sarebbe l'effetto probabilissimo della libertà. Due grandi banche dì circolazione in Italia non potendo coesistere, le piccole fruttando grande, la desiderata moltiplicazione delle banche non avrebbe alcuna probabilità o ne avrebbe pochissima. Se, infatti, l'opportunità di costituirne delle nuove fosse riconosciuta, le petizioni per costituirle si sarebbero presentate a dozzine al Ministero. A meno che adunque non si volesse una libertà falsa e vandalica, che cominci dal sopprimere la Banca Nazionale; se si vuole la libertà vera, ognun ne prevede la conseguenza probabilissima.

– 286  –

La Banca Nazionale, cioè, già forte di capitali, fortissima di credito, con rapporti vastissimi, non più vincolata dalla necessità d'una legge o d'un decreto per aumentare, se bisogna, ancora più il suo capitale, e per piantare nuove sedi e succursali dovunque volesse, la Banca Nazionale si stenderebbe assai più facilmente e più prestamente per tutta Italia; ed il commercio batterebbe le mani.

Ed ora, la libertà delle banche di circolazione sarebbe un bene o un male? Se le idee della Commissione d'inchiesta concordassero con le nostre, per esser logici, domanderemmo, non la libertà, ma una legge al massimo grado regolamentaria, diametralmente opposta alla libertà. Però le idee della Commissione non essendo le nostre, cominciamo dal dire, che la questione di libertà o non libertà delle banche di circolazione ha per l'Italia, nelle sue attuali condizioni, una importanza minore di quella che generalmente credesi; essendoché la libertà non farebbe altro che condurci più presto allo stesso termine, cui per la forza delle circostanze si va colle leggi vigenti.

– 287  –

Ma checche ne sia, noi sappiam distinguere gli effetti spontanei delle leggi naturali economiche dagli effetti artificiali delle leggi vincolanti. Quindi, finché per libertà s'intende la facoltà di fondar banche di circolazione, data a chi offre le garanzie necessarie, stabilite dalla stessa legge, onde assicurare al pubblico il pagamento dei biglietti; finché la libertà intendesi con queste garanzie, noi lungi dall'invocare una legge di privilegi, vogliamo ancor noi la libertà; ma la vogliamo per ragioni diametralmente opposte a quelle, per cui la chiede la Commissione.

Se nell'ingrandimento della Banca Nazionale vedessimo, come la Commissione, un monopolio e un danno, non vorremmo certamente libertà. Ma non vedendoci né monopolio né danno noi vogliamo libertà, perché se questo progressivo ingrandimento della Banca Nazionale, anziché avvenire mediante leggi speciali e decreti, come soltanto può attualmente, avvenisse mediante la libertà, noi non potremmo ch'esserne lietissimi.

E vogliamo la libertà ancora, appunto perché il suo effetto probabilissimo essendo quello, non temiamo per l'Italia i pericoli, che generalmente dalla libertà si temono.

– 288  –

Quel che dalla libertà, infatti, si teme, si è la concorrenza di più banche rivali, capaci di stare in lotta l'una contro l'altra, che non tutte ugualmente solide, non tutte condotte bene, per accaparrare la maggior quantità possibile di affari, eccedono nelle operazioni e nell'emissione dei biglietti, e poi impotenti a pagarli, producono le crisi; e per esperienza è noto che basta una banca vacilli, perché il discredito e la rovina, per il timor panico, s'estenda a tutte. Ora se non ci fosse in Italia una grande banca, già quasi sola, noi saremmo esitanti a deciderci per la libertà. Ma appunto perché in Italia v'è già questo grande istituto su basi solidissime, che inspira la massima fiducia, i pericoli della libertà non ci fanno paura. Non li temiamo, perché esso essendovi non crediamo, che in Italia possa dalla libertà venire la concorrenza scapigliata, che ha prodotto altrove le crisi. Dappoiché, nelle attuali condizioni dell'Italia, la Banca Nazionale da se sola bastando ai bisogni del paese, dalla libertà potrebbe soltanto venire qualche piccola banca locale e secondaria; or se questa fallisse, il danno sarebbe ristretto e locale, non mai sì vasto da produrre una crisi commerciale in Italia.

– 289  –

Che se poi la Banca Nazionale avesse a deviar tanto dalla sua missione da far sentir urgente bisogno d'altri istituti che la suppliscano, allora, ne convenghiamo, le conseguenze della libertà sarebbero diverse, ma allora saremmo noi i primi a dire, che la concorrenza sarebbe un bene.

Noi insomma vogliam la libertà, perché la libertà è l'ordine naturale del regime economico; e quando la inopportunità non ne è a priori dimostrata con evidenza dai fatti, prima di dire la libertà è un danno, vai bene la pena di sperimentarla. Ma tutto questo diciamo per la libertà vera. Vuole però la libertà vera la Commissione d'inchiesta? Passando all'altro suo ordine del giorno abbiam ragione di dubitarne.

XII.

D'una legge speciale che regoli i rapporti finanziari tra la Banca Nazionale. e lo Stato.

La Camera udita la Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta, la quale accenna alle illegittimità di alcuni speciali rapporti, che si sono verificati fra lo Stato e la Banca, ed alla onerosità di alcuni altri, ravvisa la necessità che tali rapporti vengano modificati sopra basi amministrative più profittevole per lo Stato, e pel pubblico, ed invita il governo a presentare quanto prima un progetto di legge.

È questo il primo ordine del giorno proposto dalla Commissione d'inchiesta alla Camera, e di questo non possiam certamente dire, come abbiamo osservato del secondo, che coll'inchiesta non abbia relazione alcuna, essendoché si deve piuttosto dire, che non la soppressione del corso forzoso, ma dimostrare la illegittimità ed onerosità dei rapporti tra il governo e la Banca Nazionale sia stato il vero scopo dato dalla Commissione all'inchiesta.

– 291  –

Ma nondimeno, tralasciando le questioni di illegittimità ed onerosità, le quali, abbiam già detto, sono fuori del nostro argomento, anche qui dobbiam lamentare l'eccessivo laconismo della Commissione sulla parte importante del suo ordine del giorno, cioè, sul progetto di legge. La proposta infatti, che si faccia una legge che regoli i rapporti tra lo Stato ed una banca, buttata li in un ordine del giorno senza spiegazione alcuna, senza che. il più piccolo accenno sul concetto di questa legge siasi fatto nei tre grossi vol. mi dalla Commissione pubblicataci si presenta come un enigma, in cui altro non riusciamo ad indovinare, che la contraddizione tra questo ordine del giorno, e l'altro con cui si chiede libertà.

Ed invero, se potessimo astrarci dal mondo reale, il nostro voto sarebbe, che il governo non avesse colle banche rapporto alcuno. Dappoiché le forze d'ogni banca avendo un limite, quante il governo ne distrae in servizio della finanza, tante ne sottrae dal servizio del commercio; or noi vorremmo che le banche al commercio prestassero il massimo aiuto possibile.

– 292  –

Ma ritornando al mondo reale, ogni uomo di buon senso ci direbbe, che nella nostra massima v'ha del buono, e che è bene raccomandare al governo, che per le sue operazioni finanziarie le banche adibisca il meno che sia possibile; ma l'uomo di buon senso soggiungerebbe, che però lo stabilire per legge, il governo non dover mai avere rapporto alcuno con banche sarebbe assurdo.

Or perché questo divieto assoluto sarebbe assurdo? Il buon senso ce lo dice.

Sarebbe assurdo, perché vi sono operazioni, che per loro natura la finanza non può quasi mai fare senza adibire una banca; ve ne sono di quelle per le quali la necessità d'una banca o il poterne fare a meno dipende dalla entità delle somme; ve ne sono di quelle per le quali date nel paese alcune circostanze di fatto l'intervento d'una banca non è necessario, date altre circostanze lo è assolutamente; ve ne sono pur di quelle che far si potrebbero senza una banca, ma che farle servendosi d'una banca è di grandissima utilità per la finanza; che ha pure i suoi diritti, e alla cui prosperità più che ogni altra classe di cittadini è interessata la classe commerciale.

– 293  –

Un prestito, per esempio, è meglio farlo per sottoscrizione pubblica, ma se il governo non è sicuro dell'esito, egli non è certamente condannabile, se cerca chi glie lo garantisca, o ne assuma una buona parte. Se però. non trova nel paese speculatori privati, che possano addossarsi tal carico, e soltanto qualche grande banca lo potrebbe, dovrà il ministro esporsi al rischio di non riuscire con rovina del credito dello Stato? Il giro dei fondi dell'erario alle vol. e è per il governo dispendioso, difficile e lento, se per mezzo delle banche può averlo celere, e con poca o nessuna spesa, dovrà il ministro spendere di più, e contentarsi d'una peggior servizio? Per pagare all'estero piccole somme si comprano cambiali in piazza, ma un pagamento di milioni è rarissimo, che senza l'intervento d'una grande banca possa farsi; potrà allora il ministro non servirti delle banche?

Noi non moltiplicheremo inutilmente gli esempi; però quanto abbiam detto non dimostra soltanto, che sarebbe assurdo il divieto assoluto d'aver che fare con banche.

– 294  –

Ma implicitamente dimostra, che svariatissime essendo le operazioni, che il governo può esser costretto a fare, svariatissime e variabilissime le circostanze di fatto di cui si deve tener conto, altro assurdo sarebbe stabilire per legge, quali operazioni il governo possa fare con banche e quali no.

E questo è poco; il buon senso ci rammenterà ancora, che data la necessità d'adibire una banca, non sempre il ministro ha la scelta. Se nel paese vi sono parecchie banche capaci di servirlo, il ministro sceglie; se però ne trova una sola, che abbia forze sufficienti, o i rapporti necessari per sobbarcarsi ad una data impresa, il ministro non ha scelta.

Lo stesso è da dire per le condizioni di tornaconto, lo stesso è per il modo di combinare l'operazione, lo stesso è per il modo di condurre le trattative. Vi influiscono l'indole dell'operazione che si vuol fare, le circostanze del paese, quelle della finanza, i rapporti che all'interno o all'estero hanno le banche con cui si tratta. La rimunerazione da dare, per esempio, dipende ordinariamente dalle circostanze della piazza, eppure alle volte vi sono in una operazione circostanze che la rendono eccezionale, sicché può esser necessità per il ministro subirla più elevata dell'ordinario, e può esser necessità per chi la chiede il non esser più arrendevole

– 295  –

Alle volte poi si è da una parte o dall'altra arrendevole, perché il compenso si ottiene in altro affare. Così parimenti, un'operazione alle volte è per se stessa semplicissima, alle volte per lo contrario è necessità ricorrere a combinazioni complicatissime. Può in un'operazione esser in giuoco un solo interesse, e possono esservi in una operazione stessa vari interessi, che devesi impedire che si collidano. Alle volte nel trattare giova la pubblicità, più spesso giova la massima segretezza; alle volte giova eccitare la concorrenza, qualche vol. a la concorrenza allontana chi potrebbe offrire condizioni migliori. Può esser bene adibire agenti intermediari, e spesso è necessità, che il ministro tratti egli solo direttamente con chi ha da fare l'affare. In una parola, il trattare o no con una banca, l'adibire certi mezzi o altri, alcune o altre forme, l'addivenire ad alcune o ad altre combinazioni, il concedere un correspettivo più o meno elevato, tutto dipende dall'infinita varietà e variabilità delle circostanze di fatto, del paese, del governo, delle banche, dell'operazione di cui si tratta.

– 296  –

Or la Commissione proponendo il suo ordine del giorno ha il buon senso di riconoscere la necessità per il governo d'avere rapporti con le banche. Ma se le precedenti osservazioni sono conformi alla realità, non si ha ragione di domandare, che cosa la Commissione intenda per una legge che regoli i rapporti tra lo Stato e una banca? Secondo il significato delle parole una legge che regoli i rapporti, vuol dire una legge regolamentaria, che prescriva al potere esecutivo quel che può fare colle banche, con quali regole debbon procedere le trattative, quali condizioni sono in sua facoltà d'accordare e quali no, ed altre prescrizioni di questa specie colle quali alpotere esecutivo si tracci in prevenzione e stabilmente la linea, su cui deve camminare nello stabilire rapporti tra lo Stato e le banche.

Ora, rapporti qui non può significare altro che operazioni di credito, o operazioni semplicemente bancarie. Sarà dunque una legge che comprenderà tutte quante le operazioni, che il governo potrà essere indotto a fare colle banche? Sé non ìe riguarderà tutte a quali dovrà applicarsi la nuova legge? Quali dovrà permettere, quali vietare? Valea ben la pena di spiegarsi. Quanto a noi non sappiam davvero, come con una legge queste distinzioni si possano fare.

– 297  –

Determinate poi le operazioni permesse con una banca e le vietate, la legge dovrà regolare le permesse. Come le regolerà? Dovrà forse stabilire per tutti i casi possibili le condizioni del tornaconto reciproco? Dovrà fare una tariffa per tutti i casi possibili? Dovrà indicare preventivamente se non la tariffa, gli elementi di calcolo su cui determinare il correspettivo dei servizi prestati? Non crediamo che simili assurdi sian passati per la mente della Commissione; che cosa dunque vuole la Commissione che sia regolato? Come si dovrà regolare?

La Commissione forse risponderebbe d'averlo già detto nel suo ordine del giorno; si regolerà ogni cosa colle basi amministrative. Ma che cosa vuol dire basi amministrative? Anche quésta parola è enigmatica. Volendola indovinarle nel senso più favorevole alla proposta, dobbiamo tradurla nel senso di alcune formalità da seguire trattando colla banca. Or le formalità da seguire per tutelare gl'interessi dello Stato nei contratti sono già nella legge di contabilità generale dello Stato.

– 298  –

In quanto le operazioni colle banche rientrano nelle disposizioni di questa legge, gl'interessi dello Stato sono già tutelati; in quanto ne rimangon fuori non è senza ragione, che la legge di contabilità non le riguarda. La legge, al di là di quel che prescrive, lascia libero il potere esecutivo responsabile, perché per le ragioni da noi dette il vincolarlo a forme e condizioni può produrre più male che bene. Si potrebbe infatti ideare qualche speciale formalità, che riguardi i contratti tra la finanza e le banche? Se se ne trovasse una utile ne saremmo lietissimi. Ma non crediamo che sia facile il trovarla; poiché quella, che potrebbe sperimentarsi utile in un'occasione, riuscirebbe nociva in un'altra. Alcuno, per esempio, potrebbe forse proporre qualche commissione speciale consultiva, che stasse accanto al ministro. Sarebbe la più innocua. Ma in affari come le pperazioni finanziarie, in cui la responsabilità dev'esser tutta esclusivamente del ministro, in cui egli può e deve far da sè, ed in cui nessuno è in migliore posizione di lui per giudicare della necessità e convenienza, la commissione consultiva non dovrebbe essere che un aiuto, non mai un vincolo; altrimenti o cuoprirebbe la responsabilità ministeriale, o per il ministro responsabile sarebbe quel che è la palla di ferro al piede del condannato.

– 299  –

Bisognerebbe adunque che la Commissione godesse la pienissima fiducia del ministro, e quindi che fosse amovibile e da lui nominata, e che il consultarla fosse facoltà non obbligo del ministro. Ma allora non vi sarebbe ragione d'imporgli per legge quel che senza legge può fare. Quel che diciamo della commissione consultiva vale per tutte le formalità amministrative regolamentane, che da chi non conosce bene l'indole delle operazioni finanziarie potrebbero esser proposte.

Il vero è, che nell'ordine sociale non si trova uno specifico per ogni

inconveniente possibile, e quasi sempre bisogna contentarsi dei rimedi generali. Trattasi di cosa che eccede le facoltà del potere esecutivo? La guarentigia è il Parlamento che vota la legge. Trattasi di cosa che è dentro le competenze del potere esecutivo? La guarentigia è il voto di censura del Parlamento, che costringe a diméttersi il ministro che fa male gli affari dello Stato. Questi, senza dubbio, non sono rimedi perfetti. Ma a quali mali si è trovato il rimedio perfetto nelle cose di questo mondo?

– 300  –

Noi non sappiamo cosa siasi voluto intendere per basi amministrative, ma ne possiamo prevedere gli effetti. 0 nella legge prevarrà il principio razionale, che in questi affari bisogna lasciare al ministro responsabile liberissime le mani per regolarsi secondo le circostanze, ed allora le basi amministrative, come sarebbe nel caso d'una commissione consultiva, saranno tanto larghe da entrarci tutto: la legge sarà innocua, ma sarà innocua perché sarà inutile. 0 prevarrà il sospetto, ed allora le basi amministrative saranno così strette da porre il ministro nella impossibilità di fare quello, che secondo lui, le circostanze esigono. Allora gli affetti da bancofobia crederanno aver fatto opera patriottica; ma il ministro qualche vol. a si troverà nella impossibilità di provvedere, e più spesso sarà costretto a contentarsi di combinazioni meno buone o cattive, perché le migliori incontrano nelle basi amministrative un ostacolo.

Quanto abbiam detto riguarda qualsiasi legge regolamentaria, con la quale regolare si volessero i rapporti tra lo Stato e le banche in generale.

– 301  –

Però non è questo quel che la Commissione chiede; bensì chiede una legge speciale, che esclusivamente regoli sopra basi amministrative i rapporti tra lo Stato e la Banca Nazionale nel Regno d'Italia. Ma noi non abbiamo deviato dall'argomento. Non occorre dimostrare infatti, che se non può riuscire che inutile o di danno la legge regolamentaria dei rapporti tra lo Stato e tutte le banche, per le ragioni stesse non può riuscir diversa quella, che riguardi una banca soltanto.

Fra le due leggi v'ha però una differenza, ed è quella, che la seconda porta seco tutti gli assurdi ed inconvenienti più gravi dovuti al suo carattere di legge speciale. Con essa infatti il ministro sarebbe libero di trattare e convenire nei modi, colle forme, ed alle condizioni che giudica migliori colle altre banche; dovrebbe però stare dentro le muraglie, in cui l'avrebbe chiuso la legge, se adibire volesse la Banca Nazionale.

Or se le basi amministrative sono utili trattando con una banca, necessariamente sono utili con tutte le banche. Come però la legge regolamentaria speciale si concilierebbe coll'altra, che dovrebbe dare libertà alle banche?

– 302  –

Noi sapevamo, che prima condizione della libertà vera è l'uguaglianza di trattamento. Sapevamo, che la disuguaglianza costituisce un privilegio a danno dei meno favoriti, di cui nella concorrenza vincolansi le forze e scemansi le aspettative. Sapevamo, che la libertà vera non ammette disuguaglianze di diritti e prerogative né a vantaggio né a danno né dei più forti né dei più deboli. Sapevamo, che le leggi non hanno per scopo il distribuire favori artificiali in ragione inversa delle forze di ciascuno. Come dunque il primo ordine del giorno con cui la Commissione chiede libertà si concilia col secondo? Anche questo abbisognava di una spiegazione.

Eppure la violazione d'un principio di diritto sarebbe l'inconveniente minore. Ma il peggio è che dalla violazioni del diritto ne vengon sempre conseguenze assai tristi. Ed infatti, se le basi amministrative costringono il ministro ad offrire alla Banca Nazionale condizioni che questa non crede potere accettare, sarà essa costretta o no dalla legge ad accettare suo malgrado?

– 303  –

Se la Banca è libera di non accettare, e trattasi d'una operazione, che come spesso accade, non è possibile combinare con altri, che cosa dovrà fare il ministro? Dovrà astenersi da quell'operazione, che anche alle condizioni accettabili dalla Banca Nazionale può essere necessaria o vantaggiosa allo Stato? Ciò sarebbe assurdo. Ed anche che l'operazione potesse farsi con altri, se altri non la farebbe che a condizioni più gravi di quelle cui addiverrebbe la Banca Nazionale, il governo, libero con altri di trattare come vuole, dovrà consentire a condizioni più svantaggiose allo Stato per non consentire a quelle migliori proposte dalla Banca? Sarebbe altro assurdo. Bisognerà dunque fare un passo innanzi nella falsa via. La legge dovrà costringere la Banca ad accettare suo malgrado condizioni per lei inaccettabili. In tal caso l'erario ci avrebbe un'apparente vantaggio, e gli affetti da bancofobia applaudirebbero. Ma se la legge si spinge sino a fare in modo, che alla Banca si possano imporre condizioni per lei inaccettabili, che legge sarebbe quésta?

– 304  –

In tal caso non si tratterebbe soltanto d'una legge ingiusta, che viola il principio dell'uguaglianza, non si tratterebbe solo della più esplicita negazione della libertà, ma d'una legge mostruosa, il cui scopo pratico sarebbe la distruzione del più importante stabilimento di credito, che abbiamo in Italia. Non sappiamo invero quanto il paese ne sarebbe contento, né qual bene ne verrebbe allo Stato.

E qui giova osservare, che la Commissione d'inchiesta vol. ndo una legge speciale pei soli rapporti tra lo Stato e la Banca Nazionale implicitamente riconosce, che nelle condizioni attuali dell'Italia è per lo Stato necessità assoluta aver grandissimi rapporti colla Banca Nazionale. Poiché se non avesse riconosciuto questa necessità, non avrebbe detto al Ministero, regolate i rapporti colla Banca Nazionale con una legge; bensi avrebbe detto, non trattate più con lei che pretende troppo, trattate con altri. La Commissione adunque riconosce che nelle condizioni attuali dell'Italia la Banca Nazionale è per la finanza uno strumento importantissimo e indispensabile, al quale non può sostituirsene un altro. È per questo che vorrebbe tutelati con una legge speciale gl'interessi dello Stato.

– 305  –

L'intenzione è buona. Ma la Commissione non s'avvede, che o la legge regolamentaria lascia liberissimo il ministro di fare con la Banca quel che meglio crede, e libera anche la Banca di accettare o no le condizioni proposte dal ministro, e la legge sarà perfettamente inutile; o la legge vincola il ministro, e lascia libera la Banca, ed allora per le ragioni già dette, questa può perdere dei lucri, ma il danno maggiore sarà della finanza costretta a non fare operazioni credute necessarie, o a farle a patti più gravi con altri; o infine la legge costringe la Banca ad accettare suo malgrado condizioni inaccettabili, ed allora che legge sarebbe questa, che per tutelare gl'interessi della finanza tende a distruggere lo strumento? che per il servizio della finanza si e dichiarato indispensabile?

Ma noi ci siam trattenuti su legge regolamentaria, perché costretti ad indovinare l'enigma proposto dalla Commissione, le sue idee e la guerra da essa dichiarata alla Banca Nazionale ci fan credere, che una legge regolamentaria sia realmente ciò che essa desidera. Però non riusciamo a capire, come la Commissione non abbia visto, che ragionando coi principii più elementari del diritto il suo ordine del giorno aver dovrebbe per conseguenza una legge diametralmente opposta a quella da essa volta.

– 306  –

La Commissione infatti vuole che i rapporti colla Banca Nazionale vengano modificati sopra basi amministrative più profittevole allo Stato.

Or come questo maggior profitto si può ottenere con una legge speciale riguardante la sola Banca Nazionale, se non imponendo ad essa vincoli ed oneri, che non s'imporrebbero alle altre banche? Se colla legge non si vuol questo, non vediamo davvero che cosa si possa vol. re; poiché per trattar con essa alla pari che colle altre banche una legge speciale non è certamente necessaria.

Ora si possono certamente imporre ad una banca a vantaggio della finanza vincoli ed oneri che non s'impongono alle altre banche; ma la Commissione, sa che la logica, la giustizia, lo stesso interesse dello Stato imperiosamente esigono, che ciò si faccia col mutuo consenso, e col correspettivo di rimunerazioni e di vantaggi speciali dati alla banca cui s'impongono oneri speciali. La legge dunque non potrebbe essere che un contratto bilaterale; liberamente consentito dalle due parti. Ed invero non crediamo che siasi mai messo in dubbio, che una legge speciale, la quale regoli i rapporti tra una determinata società commerciale e la finanza, possa esser altro che una legge contrattuale.

– 307  –

Il potere esecutivo, cioè, stipulerebbe il contratto colla banca, il potere legislativo l'approverebbe. La interpretazione ragionevole dell'ordine del giorno della Commissione sarebbe questa.

In massima una tal legge sarà da approvare o da disapprovare secondo i principii che ciascuno adotta. Ma a differenza della legge regolamentaria, sarebbe logica, e potrebbe farsi, come tante altre dello stesso carattere se ne son fatte con altre società. In essa i rapporti da regolare sarebbero circoscritti e concretati, le combinazioni sarebbero determinate, l'eventualità previdibili; le parti contraenti quindi potrebbero mettersi d'accordo.

La legge speciale insomma, non potrebbe contenere altro che un contratto, col quale il governo affiderebbe alla Banca Nazionale alcune determinate operazioni bancarie, e determinati servigi, che la Banca dovrebbe eseguire in modi determinati, e la banca s'obbligherebbe ad eseguirli in correspettivo di determinate rimunerazioni, e vantaggi che le darebbe lo Stato. L'interpretazione ragionevole, che può darsi all'ordine del giorno della Commissione è soltanto questa.

– 308  –

Diremmo noi buona o cattiva una tal legge?

Per il noto principio, che si profitta più contentandosi di poco su moltissimi affari, che pretendendo molto su affari pochi, la Banca certamente potrebbe contentarsi di condizioni vantaggiosissime alla finanza, che questa non potrebbe in altro modo ottenere. Attualmente lo Stato è per la Banca un cliente avventizio, e quantunque sia suo interesse l'esser discreta per non perdere un cliente di tanta importanza, pure il suo tornaconto si misura dalla entità di ciascuno affare, e dalla speranza d'averne degli altri. Colla legge proposta la Banca avrebbe assicurata la clientela del governo, e il suo tornaconto verrebbe calcolato sull'entità di tutti gli affari compresi nel contratto, e per tutta la sua durata. Non è quindi dubbio, che sotto il rapporto finanziario si per la Banca che per lo Stato il contratto potrebbe esser vantaggiosissimo.

Ma noi non siamo usi a dire la verità a mezzo. Un tal contratto tanto più sarebbe vantaggioso per la Banca, in quanto che difficilmente la legge potrebbe arrestarsi a stabilire servigi da una parte e semplici rimunerazioni pecuniarie dall'altra.

– 309  –

Contratti simili non torna conto farli che per servigi finanziari importantissimi, onde ne viene che la Banca Nazionale, diverrebbe la banca dello Stato. Ora in tal caso lo Stato per proprio interesse non potrebbe negare alla Banca certi vantaggi e privilegi, che contribuirebbero ad assicurare sempre più lo sviluppo delle sue forze. Nessuno, per esempio, metterebbe in dubbio, che legate in quel modo le due parti l'accettazione dei biglietti della Banca nelle casse dello Stato come moneta metallica diverrebbe una necessità. L'obbligo per tutti di accettarli come metallo coll'obbligo della Banca di pagarli a vista, ossia il corso legale, sarebbe altra conseguenza. Poiché una banca di circolazione facendo tutto in biglietti non potrebbe facilmente adempiere gli oneri assunti verso lo Stato, se i suoi biglietti fossero senza ragione e per solo pregiudizio rifiutati.

Non crediamo che altra conseguenza necessaria sarebbe, fare della Banca Nazionale l'unica banca di circolazione per forza di legge. Le stesse ragioni per cui nelle attuali condizioni dell'Italia, la libertà non sarebbe di danno, ci convincono, che la Banca Nazionale divenuta banca dello Stato non avrebbe bisogno di conservarsi sola per virtù di legge.

– 310  –

Dappoiché, se nelle attuali condizioni dell'Italia la sola libertà avrebbe per risultato probabile, non la moltiplicazione delle banche di circolazione, ma la spontanea e più sollecita estensione della Banca Nazionale a tutto il Regno, non occorre dimostrare, che col sistema della libertà da una parte e d'una banca dello Stato dall'altra con tutti i vantaggi e privilegi che ne derivano, non occorre dimostrare, che quel risultato da probabile diverrebbe quasi certo.

Or noi abbiam già detto, che nell'estensione della Banca Nazionale a tutto il Regno, abbia pure a restare la sola banca di circolazione in Italia, non vedremmo un danno, convinti che essa potrebbe fare sola per il commercio assai più che tante piccole banche di circolazione complessivamente prese. Nè perché la banca unica di circolazione sarebbe una conseguenza di fatto quasi certa dell'esservi la banca dello Stato, siegue che la legge di libertà sarebbe assolutamente inutile.

– 311  –

La libertà sarebbe sempre un progresso, e un bene sì perché l' opportunità di creare altre banche di circolazione potrebbe manifestarsi nell'avvenire, sì ancora perché gli effetti previsti delle leggi umane non possono esser che probabili, e per ambi le ragioni è sempre bene lasciare aperto il campo.

Ma noi saremmo in contradizione se dicessimo, che questa sistemazione sarebbe quella della libertà vera; dappoiché la libertà vera non ammette disuguaglianza e privilegi per nessuno. Quello bensì sarebbe un sistema di libertà dimezzata, che soltanto le necessità della finanza potrebbero consigliare. Ed ecco le conclusioni a cui venghiamo.

O si vuole la libertà vera e tutta, ed allora non è da parlare d'una legge speciale a danno o a vantaggio d'una banca o dell'altra; ma bisogna della libertà accettare tutte le conseguenze, anche quella di dover rinunziare ad un vantaggio che da altro sistema potrebbe avere la finanza, ed anche quella d'una banca che per effetto spontaneo della libertà resti sola in tutto il Regno.

– 312  –

O, come noi non crediamo, si crede colla Commissione che la banca unica di circolazione sia un danno, e che anche sia danno una grande banca, che fa affari più di tutti gli altri istituti complessivamente, e che gradatamente s'estende; ed allora non la libertà si deve invocare come rimedio, bensì una legge retrograda, regolamentaria in ultimo grado, estesa per ragion logica a tutte le banche, assurda come tutte le leggi di questa specie sono.

Se poi avere rapporti continui e per importantissimi affari con una data banca credesi, come sembra che creda la Commissione, che nelle attuali condizioni dell'Italia sia necessità per la finanza, e questi rapporti regolare si vogliono con legge, ed allora non una legge regolamentaria che stabilisca basi amministrative è l'opportuna; questa non può essere che inutile o di danno alla banca ed allo Stato. Allora bensì sarà necessità fare di quella banca, con una legge contrattuale, la banca dello Stato, quand'anche questa, dando pure libertà alle altre banche, sia per diventar più presto l'unica banca di circolazione dell'Italia.

 

XIII.

L'abolizione del corso forzoso.

La Camera udita la Relazione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta ravvisa con essa la necessità e la possibilità dell'abolizione del corso forzoso, ed invita il governo a presentare entro il primo quatrimestre 1869 un progetto di legge, col quale sia provveduto alla convertibilità in moneta metallica dei biglietti di banca.

È questo il terzo ordine del giorno della Commissione d'Inchiesta. Con esso la Camera, o a dir meglio la Commissione, ravvisa al 28 novembre 1868, quel che tutto il mondo ravvisava sin dal primo maggio 1866; cioè, che il corso forzoso, provvedimento straordinarissimo e per se stesso provvisorio, si dovrà abolire. Ma la Commissione non poteva ravvisare di più, poiché per ravvisare qualche altra cosa essa avrebbe dovuto prefiggersi seriamente per iscopo il sopprimerlo, e quindi avere in vista le condizioni di fatto,

– 315  –

che è di necessità si avverino nel paese perché la soppressione sia possibile, e poi vedere se queste condizioni si siano già avverate; ricerche che la Commissione non fece. Vero è bensì, eh' essa dovette crederle superflue. Dappoiché, qualunque siano le condizioni di fatto in cui un paese ritrovasi, il corso forzoso, secondo la Commissione, si può sempre abolire da un giorno all'altro, purché si voglia. Se infatti la Commissione avesse altrimenti creduto, come avrebbe potuto dire al Ministero: da òggi a cinque mesi, dateci una legge che abolisca il corso forzoso?

Checché ne sia, noi invece abbiamo creduto necessario non solo osservare i fatti, che riguardar possono le conseguenze possibili della soppressione, ma necessaria ancora la spiegazione dei fatti; unico modo sembrandoci questo per vedere, se tutte le condizioni necessarie per sopprimere il corso forzoso siansi avverate.

Ed invero abbiamo precedentemente osservato, che causa immediata delle perturbazioni che arreca il corso forzoso, si è il deprezzamento dei biglietti, di cui l'aggio è la misura, e che più del deprezzamento nuoce la instabilità dello stesso.

– 316  –

Poiché ad ogni variazione dell'aggio, in tutte le operazioni di qualsiasi specie tuttora in corso iniziate sulla base precedente, se una parte può guadagnarvi, l'altra certamente perde, e la incertezza e la instabilità paralizzano tutte le forze produttrici del paese.

Or ciò basta a mostrare, che l'abolizione del corso forzoso restituendo ai biglietti il valore pari alla moneta metallica, può, come il corso forzoso lo fu, esser causa d'una perturbazione, tanto più. grave quanto più l'abolizione è sollecita, e quanto più elevato era l'aggio quando fu decretata. Riprendendo, infatti, l'esempio altra vol. a addotto, se un negoziante sottoscrisse una cambiale di lire 1130 per mercanzie avute, quando lire 1150 in biglietti valeano lire 1000 in oro, ed il corso forzoso improvvisamente si sopprime, il prezzo delle sue merci, equilibrandosi coll'oro, ribasserà a lire 1000, ed egli intanto dovrà pagare in oro lire 1150. Se poi essendo troppo alto l'aggio, l'abolizione non viene improvvisa, ma è a troppo breve termine intimata, lo stacco eccessivo tra l'aggio e il pari produrrà quelle oscillazioni, che sono peggiori delle stesso aggio.

– 317  –

Si estendano queste considerazioni a tutto il paese, ed ognuno comprenderà, come l'abolizione intempestiva o malamente condotta, riprodur può le stesse conseguenze che si ebbero, quando ai biglietti il corso forzoso fu dato.

Non siegue da ciò, che il corso forzoso non si possa mai sopprimere, ma ne siegue: 1° che non si può seriamente pensare a sopprimerlo, se non quando l'aggio è mitissimo; 2° che un termine non troppo breve è mestieri che si dia al movimento economico, onde gl'interessi si equilibrino e si preparino alla innovazione.

Però sin qui non abbiam considerato, che il minore dei danni possibili della soppressione intempestiva. Come tutte le cattive conseguenze del corso forzoso derivano dall'aumento della circolazione in biglietti non più pagabili in moneta metallica, così le maggiori difficoltà e i pericoli della soppressione intempestiva o male eseguita derivano dalla stessa causa.

I biglietti di banca, che si possono mantenere in circolazione a corso libero, abbiamo infatti osservato, hanno un limite, dipendente in parte dai rapporti coll'estero che in certi casi richiedono un valore metallico, in parte maggiore dipendente dalle condizioni economiche e morali del paese, per cui ha un limite il credito.

– 318  –

Se le banche l'oltrepassano, i biglietti tornano ad esse per il pagamento.

I biglietti a corso forzoso, abbiam visto ancora, aggiungendosi a quelli che circolavano prima, e non tornando alle banche, sorpassano il limite della circolazione possibile in biglietti a corso libero, e continuandosi ad emetterne il valore da loro rappresentato può sorpassare il valore totale in biglietti a corso libero ed in moneta metallica, con cui senza il corso forzoso s'effettuerebbe la circolazione.

Facile è trarne la conseguenza. Tutto il valore nominale rappresentato da biglietti, che all'epoca della soppressione del corso forzoso trovasi in circolazione al di là di quello che per le condizioni del paese se ne può mantenere in circolazione a corso libero, abolito il corso forzoso, inevitabilmente si presenterà alle casse delle banche per esser convertito in moneta metallica. Le banche adunque, al momento della soppressione, è mestieri che abbiano in moneta metallica tutta questa eccedenza nelle loro casse.

– 319  –

Supponendo che la possibilità della circolazione in biglietti a corso libero sia rimasta la stessa; se in un paese la circolazione effettuavasi, per esempio, con un miliardo di lire in oro e 500 milioni in biglietti, e col corso forzoso il valore rappresentato in biglietti siasi portato a due miliardi, inevitabilmente abolito il corso forzoso,1500 milioni in biglietti torneranno alle banche per il pagamento in oro, ed è mestieri che le banche abbiano tale somma in oro nelle loro casse.

Però, abbiamo pure osservato, che quando una banca ha già impiegato in riserva metallica tutto il suo capitale, non ha altra risorsa per aumentarla che il suo credito. Essa, cioè, può aumentarla o comprando il metallo con nuove emissioni di biglietti, o contraendo un debito. Il primo mezzo può dentro certi limiti ed in certi casi convenire a una banca per prepararsi alla soppressione del corso forzoso, 'ma può convenire a condizione, che abbia innanzi a sè tempo assai lungo per potere in seguito diminuire la circolazione in biglietti e trattenere in cassa la moneta metallica. Comprare però moneta metallica con biglietti alla vigilia del giorno, in cui i biglietti si presenteranno alla banca per esser riconvertiti in metallo, sarebbe una operazione assurda e a pura perdita, che renderebbe più difficile la posizione della banca.

– 320  –

Quanto al procurarsi il metallo contraendo un debito, il mezzo è limitatissimo; sì perché il credito ha sempre un limite, sì perché mal si raccomanda una banca di circolazione che contrae forti debiti. Ma checché ne sia, se si vuole che le banche paghino in moneta metallica tutto il valore emesso in biglietti a corso forzoso al di là della circolazione in biglietti possibile a corso libero, non si tratta mai di diecine di milioni, bensì sempre di parecchie centinaia di milioni, ed allora, messa pur da parte la questione degli oneri del debito, sperare che le banche riescano a contrarlo è sperare l'impossibile.

Or dopo questo non occorre dimostrare, che la soppressione del corso forzoso intempestivamente decretata, mettendo le banche nella impossibilità di far fronte ai pagamenti, le espone al fallimento. Ma sarebbe madornale errore il credere, che ne soffrirebbero soltanto gli azionisti. Siccome il commercio in grandissima parte vive del credito delle banche, la loro caduta produrrebbe una spaventosa crisi, che ricondurrebbe al corso forzoso con conseguenze assai più fatali di prima.

– 321  –

Quale è dunque il modo d'evitarlo?

Non se ne ha che uno solo: diminuire, cioè, la circolazione in biglietti prima di sopprimere il corso forzoso, onde ravvicinarla quanto più si può, senza produrre altri inconvenienti, alla circolazione possibile a corso libero, e far ciò senza pagare in moneta metallica i biglietti ritirati.

Diciamo senza produrre altri inconvenienti, perché, limitandoci per ora a quanto riguarda la circolazione, è questione tutta pratica il procedimento da seguire nel diminuirla. Non è da dimenticare infatti, che il corso forzoso ha espulso dal paese la moneta metallica. Quindi, se le banche togliessero in brevissimo tempo tanto valore in biglietti, quanta è la differenza tra quello emesso a orso forzoso e quello che se ne pi tenere in circolazione a corso libo, il mezzo della circolazione dei valori verrebbe a mancare al paese, il che produrrebbe altri disordini

Nel ridurre adunque i biglietti è necessità procedere con lentezza, guardando sempre a quel che accade, onde dare al commercio il tempo necessario per ricondurre nel paese il metallo esportato, il che agendo accortamente a poco a poco avverrà.

– 322  –

A misura, infatti, che il valore nominale circolante in biglietti scema, il loro valore reale di cambio in rapporto alle mercanzie ' s'innalza, queste ribassan di prezzo, e si produce nell'equilibrio monetario internazionale una alterazione in senso opposto a quella già prodotta dall'aumento del valore nominale dei biglietti", per cui si rende proficua nei rapporti coll'estero l'importazione del metallo in prezzo di merci nazionali esportate.

Quando poi, infine, il valore nominale circolante in biglietti è ridotto a quello che credesi possa sostenersi a corso libero, o ne è poco discosto, ed intanto la moneta metallica condotta nel paese vedesi circolare promiscuamente coi biglietti, allora senza sopprimere interamente il corso forzoso può convenire, che le banche riprendano il pagamento dei biglietti per somme limitate e a guisa d'esperimento con tal metodo si vedrà, che a poco. poco il giusto rapporto tra il metallo e i biglietti si andrà rimettendo, la pressione alle casse delle banche per avere moneta metallica diminuirà da sè, ed allora il corso forzoso si potrà sopprimere.

Se non che, tutto questo riguarda il biglietto considerato come moneta serviente ai bisogni della circolazione degli altri valori.

– 323  –

Però ad ogni emissione di biglietti corrisponde una operazione, per la quale i biglietti sono stati emessi; mezzo adunque per diminuire la circolazione senza pagare in metallo i biglietti è soltanto quello di diminuire le operazioni delle banche. È questo lo scoglio difficile a superare per sopprimere il corso forzoso. Poiché, se le operazioni d'una banca danno alla banca un profitto, i capitali da essa prestati, sian pure in biglietti a corso forzoso, o sostengono un'operazione commerciale di colui a cui la banca ha fatto credito, o han servito a sostenere la finanza. La soppressione dunque del corso forzoso necessariamente ricade, a seconda dei casi, o a carico del commercio o a carico della finanza. Supponendo che quel miliardo e mezzo di eccedenza, nell'esempio da noi portato, rappresenti cambiali per altrettanta somma prestata dalle banche al commercio, e che senza il corso forzoso non avrebbero prestata, le banche per diminuire d'un miliardo e mezzo la circolazione senza pagare altrettanta somma in moneta metallica, il che le farebbe fallire, sono costrette a non rinnovare alla scadenza quelle cambiali, e a non sostituirne altre.

– 324  –

È però il commercio di quél paese in stato di sopportare questa sottrazione di soccorsi straordinari, che il corso forzoso gli ha dato. Ecco il problema tutto pratico, quante volte l'eccedenza dei biglietti proviene da quella causa. Se poi l'eccedenza deriva da prestiti alla finanza; è la finanza in stato di pagare i debiti che ha colle banche, e di rinunziare a nuove operazioni di credito con esse?

Posti questi principii generali passiamo ai fatti.

Quale esser può nelle circostanze attuali l'ostacolo alla soppressione del corso forzoso in Italia? S'incontra questo ostacolo nell'aggio troppo elevato, per cui un forte ribasso improvviso potrebbe produrre le perturbazioni che produsse l'aumento? Noi non lo crediamo.

Il movimento economico, nonostante il corso forzoso, si è rimesso nella sua via ordinaria, le condizioni economiche e commerciali, si riconosce da lutti, sono migliorate, la Rendita dal 36 per cento, quale fu in giugno 1866, oggi oscilla a Parigi tra 55 e 60, qualche operazione di credito che prima sarebbe stata impossibile a qualsiasi condizioni, oggi dalla finanza si è fatta.

– 325  –

Per tutte queste cause il paese è alquanto più tranquillo sull'avvenire, l'aggio dal 15 per cento e più, quale era una vol. a, oggi varia dal 3 al 3  1|2 per cento, e se nuovi errori non commettonsi, o cause imprevidibili non sopragiungono, non v'è probabilità che aumenti. Ridotto a queste proporzioni l'aggio, non esitiamo a dirlo, non è più ostacolo alla soppressione del corso forzoso. Quale è dunque l'ostacolo? È nella circolazione, o a dir meglio nella causa per cui si è aumentata.

Abbiam visto quale era la circolazione in biglietti a corso libero verso l'aprile 1866. Essa componevasi:

»
Banca Nazionale L.   116,908,779 20
Banche secondarie   149,457,842 94
L. 266,366,622 14

La moneta metallica circolante a quell'epoca l'abbiam valutata un miliardo circa; secondo alcuni era alquanto maggiore, onde la circolazione effettuavasi con 1266 a 1300 milioni.

– 326  –

Il corso forzoso, restituendo alle banche secondarie la sicurezza che per le circostanze del 1866 avean perduto, contribuì ad aumentare la loro circolazione, e verso la fine del 1868, abbiam visto, potevasi approssimativamente valutare per 171 milioni. Or da quell'epoca la circolazione del Banco di Napoli si è ancora più aumentata, e supponendo ferma quella del Banco di Sicilia, del quale mai nulla vien pubblicato, la circolazione delle banche secondarie verso la fine del 1869 può valutarsi, presso a poco, come segue:

Banco di Napoli,30 novembre 1869 (1). L.   120,211,471
Banco di Sicilia.     30,040,660
Banca Nazionale Toscana, 30 dic. 1869 (2).      28,665,140
Banca Toscana di Credito       6,000,000
L. 184,917,280

Al confronto col 1866 avanti il corso forzoso, vi sarebbe l'aumento di oltre 35 milioni.

(1) V. Gazzetta Ufficiale,15 gennaio 1870.

(2) V. Gazzetta Ufficiale, U gennaio 1870.

– 327  –

Ma non è questo aumento, ciò che maggiormente importa; «;li ostacoli alla soppressione del corso forzoso bensì posson venire dalla circolazione della Banca Nazionale.

Questa nel luglio 1868, abbiam visto, giunse in media a L.794,971,135, e togliendone 12,772,500 biglietti apprestati alle altre banche e quindi ad esse imputabili, si avea la circolazione media di quel mese di L.782,198,635.

Però la legge del 3 settembre 1868 dispose, che la circolazione della Banca Nazionale dentro sei mesi avesse a restringersi a non più di 750 milioni. Or questa legge rendeva più difficile la posizione della Banca verso la finanza, dai bisogni della quale derivava l'aumento. E se la circolazione massima fosse stata stabilita più bassa, non è dubbio che questa diminuzione avrebbe posto in gravissimo imbarazzo la finanza, o sarebbe ricaduta a carico del commercio.

Ma la circolazione della Banca Nazionale era già considerevolmente diminuita. La media del settembre 1868, infatti, senza i biglietti alle altre banche, risultava di 769,181,224, onde la diminuzione ordinata effettivamente non fu che di 19 milioni circa. La Banca nondimeno chiese opportunamente agli azionisti il versamento dei 24 milioni del capitale delle azioni emesse, e così coll'aumento di forze ogni difficoltà fu vinta.

– 328  –

Dell'aumento di forze, intanto, la Banca ha profittato per andare nella diminuzione al di là del prescritto dalla legge. Ai 750 milioni si dovea discendere avanti il 3 marzo 1869, e la circolazione della Banca era già di 750 milioni nel gennaio (1). Indi e diminuita ancora, sicché la media dell'ultimo quadrimestre 1869, senza i biglietti alle altre banche, risulta di 738,424,593 (2) con una diminuzione di 43 milioni circa dal luglio 1868.

Se non che 738 milioni della Banca Nazionale, più 12,773,000 biglietti di questa alle altre banche, più 185 milioni circa biglietti emessi da queste, nono 935 milioni; e se vi si aggiungono i biglietti non autorizzati, che sono diminuiti ma non scomparsi, non sembra che si esageri dicendo, che si ha ancora una circolazione di 940 milioni circa in biglietti di banca contro 266 milioni avanti il corso forzoso.

Ora noi crediamo, Che se il corso forzoso sopprimesi in modo da rassicurare il paese, abituate ormai le popolazioni ai biglietti, rassodatasi cogli unni la Banca Nazionale nelle sue nuove sedi e succursali, la circolazione a corso libero possa spingersi molto al di là dei 266 milioni.

(1) Dalle situazioni settimanali della Banca, pubblicate dalla Gazzetta Ufficiale. ('2) Dalla Gazzetta Ufficiale.

– 329  –

Ma pure crediamo, che molto si conceda supponendo, che la circolazione totale a corso libero possa portarsi a 350 milioni. "Vi sarebbe dunque una esuberanza di 590 milioni da sottrarre dalla circolazione prima di sopprimere il corso forzoso.

Una tal somma parrà tutt'altro che esagerata a chi riflette, che queste previsioni non sono suscettibili che d'una probabilità molto elastica, e che gli errori potendo mettere le banche in difficoltà gravissime, che poi ricadrebbero sul commercio, le banche agirebbero imprudentemente, se diminuendo piuttosto poco che troppo la circolazione non adottassero la via più sicura.

Nè senza ragione diciamo banche e non Banca Nazionale. Dappoiché quanto alle conseguenze d'un eccesso di circolazione i biglietti di tutte le banche sono tutti una stessa cosa, tutti agiscono cumulativamente, come se tutti però oggi la stessa, anzi quanto alla Banca è migliorata.

– 332  –

Fermandoci infatti al 31 dicembre 1869, l'ammontare dei crediti verso la finanza, i biglietti per la corrispondente riserva metallica, e la circolazione risultano 'come

Buoni d! Tesoro L. 50,367,399
Prestito Nazionale assunto dalla provincia 64,062,114
Antecipazione sulle Obbligazioni dell'Asse ecclesiastico.. » 100,000,000
Mutuo in forza dei decreti del maggio 1866 » 278,000,000
Antecipazione in forza dello Statuto della Banca » 20,136,800
L. 512,566,313
Biglietti per la riserva metallica delle lire 234,566,313 117,283,156
Totale. L. 629,849,469
Circolazione media totale del dicembre 1869 L. 751,517,185
L. 121,667,716
Biglietti apprestati alle altre banche 12,772,500
Circolazione non imputabile alla finanza L. 108,895,216
Circolazione media del primo quadrimestre 1866. 118,377,045
Diminuzione L. 9,481,829

Confrontando questa situazione con quella del 31 dicembre 1868, si può osservare, che i crediti della Banca verso la finanza nel dicembre 1868 figuravano per L.518,724,143, la diminuzione adunque al 31 dicembre 1869 non era che di sei milioni circa.

– 333  –

Ma la posizione era migliorata, poiché la circolazione totale da 773 milioni era discesa a 751, e la parte non imputabile alla finanza era inferiore a quella del 1866 avanti il corso forzoso, ed evidentemente inferiore di gran lunga a quella, che oggi la Banca, potrebbe sostenere a corso libero

Che poi in tale posizione, la Banca svincolandola dai crediti verso la finanza possa riprendere i pagamenti, è quasi superfluo dimostrarlo. Infatti si ha:

Circolazione totale L.     731,517,185
Crediti verso la finanza, e biglietti alle altre banche.     525,338,813
Circolazione restante L.    226,178,372

Ora supponendo che la circolazione della Banca a corso libero abbia a ridursi a 118,377,045, quale era nel primo quadrimestre 1860, l'esuberanza sarebbe di 107,801,327. Però la Banca nel dicembre 1869 avea nelle sue casse e nelle zecche una riserva metallica, che in ragion media mensile ascendeva a 177,903,911, cui aggiungendo 25 milioni di crediti all'estero pagabili in oro, avea in tutto per far fronte ai biglietti 202,903,911.

– 334  –

Ne siegue che impiegando la riserva metallica al baratto dei biglietti potrebbe togliere tutta l'esuberanza di 107,801,327, e resterebbe con una circolazione di 118,377,045 contro una riserva metallica di 95,102,584; resterebbe cioè con una riserva superiore di oltre 551[2 milioni alla terza parte del valore circolante in biglietti, creduta più che sufficiente per far fronte ai pagamenti nei tempi ordinari, e che l'abiliterebbe a ridurre anche più la circolazione, se ciò abbisognasse. Sarebbe però spingere all'estremo il pessimismo il supporre, che abolito il corso forzoso né anche la circolazione anteriore a questo abbia a sostenersi.

L'ostacolo alla soppressione del corso forzoso non è adunque nell'aggio, non è nel commercio, e molto meno nella Banca Nazionale. L'ostacolo è uno solo, quello stesso per cui il corso forzoso fu dato ai biglietti della Banca; l'ostacolo è nella finanza. Come svincolare la Banca da tutti i titoli di credito che ha verso la finanza? Ecco quale è, e quale sempre è stato, il problema dell'abolizione del corso forzoso in Italia.

– 335  –

A tal proposito, è vero, si è mossa da alcuni la questione: quali dei vari titoli di credito lo Stato sia tenuto a rimborsare alla Banca per aver il diritto d'obbligarla a riprendere i pagamenti, e naturalmente l'obbligo dello Stato restringono ai 278 milioni del mutuo in forza dei decreti che lo imposero, e ai 100 milioni sull'Asse, ecclesiastico in forza della convenzione. Ma fare dell'abolizione del corso forzoso una questione di diritto è lo stesso, che riguardare la Banca come una istituzione d'esclusivo interesse degli azionisti. Quelli infatti, che ci vedono soltanto una questione di diritto non comprendono, che abolito il corso forzoso inevitabilmente la circolazione in biglietti di banca verrà ridotta a quanto il paese può sopportarne a corso libero, e che conseguentemente quanto maggiore resterà la somma dei crediti della Banca verso la finanza rappresentati da biglietti, d'altrettanto diminuisconsi le forze della Banca per soccorrere il commercio. Se dei 512 milioni, ammontare dei crediti della Banca verso lo Stato alla fine del 1869, se ne scontassero soltanto 378 milioni, e si decretasse che pagata questa somma il corso forzoso s'intenderebbe abolito, i 134 milioni restanti,

– 336  –

somma da sè sola superiore ai 118 milioni circolazione della Banca prima del corso forzoso, resterebbero necessariamente a scapito delle operazioni ordinarie di sconti ed antecipazioni a favore del commercio. Ma perché si chiede che il corso forzoso sia soppresso se non perché il commercio ne soffre? Per sopprimerlo adunque senza, danno del commercio è mestieri, che i debiti dello Stato verso la Banca siano, prima della soppressione, scontati tutti.,

Più singolare è però il progetto di coloro, che per sopprimere il corso forzoso vorrebbero pagar la Banca con biglietti dello Stato a corso forzoso. Il lettore ci scuserà, se l'importanza, che a questo progetto si è data, ci costringe a dilungarci sullo stesso. Che con questo spediente il corso forzosa resterebbe, ognun lo capisce. Ma quel che noi non intendiamo si è, quali vantaggi ne verrebbero per il paese e, per la finanza. Pria di tutto domandiamo: emessi i biglietti dello Stato a corso forzoso sarebbero le banche tenute a pagare i biglietti propri in moneta metallica? Intorno a ciò i proponenti non sj sono con chiarezza spiegati.

– 337  –

Ora se sì, siccome anche ristretta l'operazione a 378 milioni la circolazione in biglietti sarebbe esuberante, e siccome l'oro e l'argento saranno sempre preferiti a biglietti a corso forzoso, s'avrebbe la certezza che quanti biglietti emetterebbero le banche, altrettanti l'indomani ne ritornerebbero alle loro casse per il pagamento. Una tal legge, adunque, equivarrebbe ad una legge di soppressione di tutte le banche di circolazione; non crediamo che il commercio innalzerebbe per gratitudine una statua ai proponenti.

È quindi più probabile, che i proponenti intendano, che divenuti i biglietti dello Stato moneta legale, le banche siano autorizzate a pagare con questi i biglietti propri. Ma allora che cosa ci si avrebbe guadagnato?

Tutti i danni del corso forzoso derivano dall'aumento della circolazione in biglietti. È però un errore il credere che la circolazione in biglietti verrebbe per quell'espediente a scemare. Il limite infatti alla circolazione dei biglietti a corso libero, abbiam visto, dipende dalla preferenza, che in certe circostanze, per le ragioni già esposte, si dà alla moneta metallica sui biglietti, anche nei casi in cui della solvibilità delle banche non si dubita.

– 338  –

Ma quando le banche pagassero i biglietti propri con quelli dello Stato, a meno che della loro solvibilità si dubitasse, quale interesse i possessori di biglietti delle banche avrebbero a farne il baratto? Evidentemente nessuno: e di ciò l'esperimento già l'abbiamo. Secondo il progetto, infatti, i biglietti di tutte le banche si troverebbero in rapporto a quelli dello Stato nella condizione stessa, in cui attualmente sono i biglietti delle banche secondarie in rapporto a quelli della Banca Nazionale. Ora è un fatto, che il baratto degli uni cogli altri è scarsissimo, e ciò perché della solvibilità delle banche non dubitandosi, non potendo avere moneta metallica avere un biglietto o un altro è lo stesso. Si dubiterebbe forse della solvibilità della Banca Nazionale, per la quale soltanto vi sarebbe una innovazione? Certamente no. Dappoiché, non solo non vi sarebbe ragione di dubitarne, ma i biglietti della Banca offrirebbero maggiori garanzie che quelli dello Stato. Sottraendo infatti da 751,517,185, circolazione media della Banca nel dicembre 1869, i 378 milioni, e 12,772,500 in biglietti apprestati alle altre banche, la circolazione restante sarebbe di 300,744,683.

– 339  –

Ora quei 300 milioni circa resterebbero garantiti da una riserva metallica vistosissima, da un resto di crediti sullo Stato che non possono valer meno dei biglietti dello Stato, e da operazioni commerciali fruttifere e solidissime. Che cosa però rappresenterebbero i biglietti dello Stato? Non altro che il debito d'una finanza, che impotente a pagare dà biglietti, dicendo, pagherò quando potrò! Non solo quindi i biglietti dello Stato non sarebbero preferiti, ma probabilmente patirebbero uno sconto in rapporto a quelli della Banca. Ed allora chi si darebbe la pena di restituire alla Banca i suoi biglietti per il piacere d'avere quelli dello Stato? La circolazione totale del regno resterebbe adunque la stessa con tutte le conseguenze che ne derivano.

Potrebbe diminuire soltanto, se un limite da non oltrepassarsi fosse imposto per legge. Però questo sarebbe il più assurdo, e più fatale dei sistemi. Pria di tutto il limite non potrebbe imporsi alla sola Banca Nazionale, imposto ad una dovrebbe imporsi a tutte. Or come si stabilirebbe il massimo della circolazione totale del regno? Come quella complessiva delle banche dovrebbe scemare o crescere a seconda che cresce o scema quella dello Stato?

– 340  –

Come tra le varie banche si farebbe il reparto della circolazione totale permessa? Noi invero non sappiamo quali criteri potrebbero adottarsi, che non fossero arbitrari, e causa d'errori fatalissimi.

I bisogni del commercio, è ben che si sappia, la fiducia che merita ciascuna banca, le forze di ciascuna, la suscettibilità d'un paese a sostenere urta circolazione fiduciaria più o meno estesa, non sono cose che si determinano a priori con calcoli arbitrari. La legge può e deve imporre condizioni per assicurare al pubblico il pagaménto dei biglietti in moneta legale; quando però una banca soddisfa a queste condizioni, l'interesse del Commercio esige che m tutto il resto sia libera, ed è soltanto nell'interesse del commercio, che una legge sulla circolazione fiduciaria si può fare.

Se non che, la preferenza data ai biglietti della Banca su quelli dello Stato sarebbe l'inconveniente minore; il danno gravissimo sarebbe bensì la reazione, che il divisato spediente eserciterebbe sul credito dello Stato. Checche infatti si dica degli utili, che il corso forzoso ha dato alla Banca, il suo intervento nelle operazioni della finanza si riguarda giustamente in commercio come un freno, se non validissimo almeno di qualche efficacia, alla finanza stessa.

– 341  –

Lo è perché la Banca ha diritto a percepire un utile dalle sue operazioni; lo è ancora più, perché le smodate esigenze della finanza a un certo punto ricadrebbero a danno della Banca.

A misura, infatti, che la finanza trae nuovi capitali, sotto forma di biglietti a corso forzoso, dalla Banca, la circolazione di questi s'accresce, i disordini tutti del corso forzoso diventano intollerabili, aumentano i debiti dello Stato, più difficile rendesi il ritorno ai pagamenti in moneta metallica, e lo stesso credito della Banca ne verrebbe finalmente a soffrire. Però men l0 Stato si troverebbe nella impossibilità di pagare i suoi debiti, la violenza della reazione del paese contro il corso forzoso diverrebbe tale, che si vorrebbe a qualsiasi costo, in modo giusto o ingiusto, soppresso, ed allora lo Stato non potendo pagare tutti i debiti che ha colla Banca, il corso forzoso sarebbe soppresso con la rovina di questa.

La reazione irragionevole già suscitatasi per il corso forzoso contro la Banca Nazionale è una prova di quel che avverrebbe, quando s'andasse avanti nella via intrapresa. Ed altronde sarebbe forse questo il primo caso d'una banca mandata in rovina per cause simili?

– 342  –

La Banca adunque è interessata a resistere, perché certi limiti non si oltrepassino, e la sua resistenza è un freno, che mitiga la pressione che il corso forzoso esercita sempre sul credito dello Stato.

Se però lo Stato adotta il facile mezzo di pagare i suoi debiti, e far le spese, dando biglietti suoi a corso forzoso, che non gli costano nulla, e garantiti soltanto da una finanza impotente, ogni garanzia è tolta ai creditori dello Stato. Essi perdono la garanzia della Banca, che con tutte le sue attività risponde dei biglietti; essendoché se creditrice dello Stato è la Banca, creditori della Banca son sempre i possessori dei biglietti. Essi perdono ogni garanzia, perché i biglietti dello Stato essendo un debito la garanzia dei creditori cessa per la illimitata facilità di far debiti. Essi perdono ancora ogni garanzia, perché il valore dei biglietti decadendo coll'aumentarsi del capitale rappresentato, i creditori non sanno qual ne sarà il valore reale al giorno del pagamento.

Conseguenza ne è, che anche restringendo la prima emissione dei biglietti dello Stato ai 378 milioni, basterebbe l'annunzio dello spediente adottato per far ribassare enormemente i fondi pubblici. Quale però ne sarebbe il compenso?

– 343  –

Non altro che il risparmio di 5,070,000 lire di frutti che si pagano alla Banca (1). Ma con 378 milioni non si salda il disavanzo arrétrato, né se ne impedisce l'aumento pei disavanzi annuali. Prima dunque di rimettere la finanza in equilibrio sarà necessità far nuove e regolari operazioni di credito, o senza sistemar la finanza supplire colla stampa di nuovi biglietti dello Sfato. Però colla sfiducia che inspirerebbe l'espediente adottato, altre operazioni di credito sarebbero possibili? Ne dubitiamo fortemente. Indubitato è però, che se possibili, lo sarebbero a condizioni assai più gravi. Ora basta la differenza del due per cento su 250 milioni, perché il risparmio dei frutti che pagansi alla Banca sparisse, e nessuno crederà che a rimettere la finanza in equilibrio 250 milioni bastino.

(1) Sui 278 milioni del mutuo la Banca percepisce il frutto di 1 1.2 percento; sui 100 milioni sulle Obbligazioni dell'asse ecclesiastico 90 centesimi per ogni L.100.

– 344  –

Ma il vero è, che questi sarebbero calcoli e prognostici superflui. Il risultato, quasi certo, sarebbe, che incontrandosi rifiuto assoluto o pretese esorbitantissime da parte dei capitalisti, il mezzo facilissimo ed economicissimo di stampar biglietti sarebbe preferito; ed allora il credito dello Stato sarebbe interamente perduto, e sempre più difficile sarebbe l'uscire con onore dalla falsa via intrapresa. Queste non sono previsioni dettate dal pessimismo delle teorie; ma sono previsioni, che la ragione e la storia degli assegnati e di tutti gli spedienti simili confermano. Quando poi per un miracolo inconcepibile si vol. sse, senza defraudare i possessori, ritirare dalla circolazione i biglietti dello Stato per riprendere i pagamenti in metallo, i biglietti non essendo che un debito, s'incontrerebbero ingigantite. ' le identiche difficoltà, che attualmente incontransi pei debiti verso la Banca.

La conchiusione si è, che l'ostacolo unico a sopprimere il corso forzoso è nella finanza, e che quanto ai suoi debiti verso la Banca il corsa forzoso non si può sopprimere se non pagandoli effettivamente.

Però ridotta a tai termini, la questione non è né di banca, né di corso forzoso, è puramente finanziaria.

– 345  –

Se l'esser creditrice la Banca può influire sulla questione, è soltanto perché essendo la Banca un grande istituto di credito capace di assumere grandi intraprese in servigio dello Stato, si presta ad un modo di paga'  mento impraticabile con individui creditori. Si potrebbe, cioè, scontare in parte il debito verso la Banca, o dilazionarne ad epoca remota la scadenza, dandole in compenso altri vantaggi. Bensì aggiungiamo; perché tal combinazione sia possibile, è mestieri che i compensi siano di tal natura da abilitare la Banca ad estendere la sua circolazione assai più cbe le attuali condizioni dell'Italia senza quei vantaggi non le permettono. Poiché se non si toglie la Banca dalla necessità di ritirare dalla circolazione tutta la esuberanza attuale dei suoi biglietti, il rinunziare al rimborso dei suoi crediti, e al tempo stesso riprendere i pagamenti in metallo, sarebbe per la Banca impossibile.

Era questo il principio su cui basava il progetto dell'ex-ministro Digny, che coll'affidare alla Banca il servizio di tesoreria per tutto il regno estendeva la circolazione dei suoi biglietti, ed in correspettivo dilazionava alla scadenza di quel servizio il pagamento di 100. milioni.

– 346  –

Conviene allo Stato entrare in combinazioni basate su questo principio? Noi crediamo, che la forza delle circostanze costringerà, anche per altre ragioni, a combinazioni di simil natura. Ma checché ne sia, la questione non ha un nesso necessario col corsoorzoso, si riattacca a tutto il sistema finanziario del Regno, e senza uno studio speciale non si risolve.

Però se combinazioni di simil natura non piacciono, o non bastano, quale altro mezzo rimane per svincolare la Banca da tutti i titoli di credito verso lo Stato, acciò essa rimborsandone il valore diminuisca la circolazione prima di sopprimere il corso forzoso? Quanto al Prestito Nazionale, che ha scadenze stabilite dalla legge, la Banca, se non può ritenerlo, potrebbe svincolarsene soltanto alienandone i titoli, e ciò far dovrebbe in modo, da non esser causa d'un ribasso del prezzo a danno degli altri detentori. Ma qual mezzo si ha quanto al rimanente?

Noi non sappiamo, che siasi inventato un modo onesto di liberarsi da un debito che non consista nel pagarlo, e non crediamo, che quando si ha un disavanzo vi sia modo di pagare un debito, che non consista nel farne un altro, ossia che non consista nel contrarre un prestito.

– 347  –

La questione quindi si risolve in quest'altra: quale è il miglior modo di contrarre un prestito?

Noi crediamo, che un prestito all'estero in orò, col valor del quale lo Stato pagherebbe in biglietti alla Banca i di lei crediti, sia a desiderarsi. Ciò per la ragione, che l'attuale circolazione in biglietti equivalendo quasi alla circolazione metallica avanti il corso forzoso, e la moneta metallica in parte grandissima, se non massima, man cando nello Stato, si corre il rischio, che diminuendo per un 500 o 400 milioni la circolazione in biglietti il mezzo di circolazione venga a mancare. Però diciamo, che un prestito all'estero in oro sia da desiderarsi, ma non diciamo che sia indispensabile, e che sia il migliore in tutti i casi.

Non è indispensabile, perché se si diminuisse la circolazione con qualche lentezza, la moneta metallica rimasta all'interno ricomparirebbe, e la mancante, abbiamo già dimostrato, verrebbe importata dall'estero. Non è il migliore in tutti i casi, perché le questioni intorno al modo migliore di fare un prestito sono questioni accademiche.

– 348  –

Il dare infatti la preferenza a un prestito forzoso o a un prestito volontario, il fare un prestito impegnando l'Asse ecclesiastico o altro cespite, il farlo all'estero o all'interno, il dare insomma la preferenza ad una combinazione o a un'altra, dipende dalle condizioni d'oneri con cui si riesce a fare l'operazione. Or le condizioni non dipendono dalla vol. ntà dei progettisti, ma dalle circostanze variabilissime del mercato dei capitali in Europa, dalla maggiore o minor fiducia che inspira lo Stato, dall'abilità di chi negozia il prestito, dai giudizii incertissimi e quasi casuali di chi l'assume. La questione pratica è piuttosto ben diversa.

Quando l'aggio giungeva e sorpassava il 15 per cento, quando la sua instabilità paralizzava tutto il movimento economico, ed il credito sì pubblico che privato mancava, era naturalissima l'ansietà febbrile di liberarsi ad ogni costo da ciò che credevasi causa del male, quantunque quella che dicevasi causa fosse effetto d'altra causa.

– 349  –

Ma oggi quando l'aggio è ridotto al 3 per cento ed è più stabile, quando il credito dello Stato si è rialzato, quando il commercio è rientrato nel suo andamento normale, e tutto procede coi biglietti presso a poco come procedeva colla moneta metallica, l'ansietà è effettivamente e ragionevolmente venuta meno nel pubblico, ed il corso forzoso è ridotto a un male tollerabile. In questo stato di cose, conviene aggravare enormemente la finanza per sopprimere più presto il corso forzoso? E giunto il momento opportuno?

Noi siam di parere, che non siavi più necessità di trarre nuovi capitali dalla Banca giovandosi del corso forzoso. Crediamo che ai bisogni più urgenti la finanza possa ormai, anzi debba, provvedere con regolari operazioni di credito, quantunque non possa farlo che a condizioni ben gravi. Ma abbiam visto, che per sopprimere il corso forzoso è necessità scontare, non i 378 milioni soltanto, bensì tutti i debiti che lo Stato ha verso la Banca, e rinunziare, almeno sino a che la circolazione ritorni ad uno stato perfettamente normale, a quegli aiuti d'operazioni di credito, che anche senza il corso forzoso, la finanza solea chiedere alla Banca.

– 350  –

Per sopprimere adunque il corso forzoso, secondo lo stato dei crediti della Banca alla fine del 1860, e mettendo da parte i suoi titoli del Prestito Nazionale, abbisognerebbe che la finanza contraesse un nuovo debito di 430 milioni circa.

Si dirà forse, che in questa somma comprendersi SO milioni in Buoni del Tesoro, che la finanza potrebbe far scontare da altri, anziché dalla Banca, e che quindi il prestito occorrente per il corso forzoso sarebbe minore. Ma questo è un errore. Dappoiché l'esperienza ha mostrato, che senza il corso forzoso e senza la Banca 300 milioni di Buoni del Tesoro non si possono collocare; onde indipendentemente da altre ragioni, abolito il corso forzoso si dovrebbero ridurre di 400 milioni o almeno di 50, e il vuoto si dovrebbe cuoprire col nuovo prestito. Nondimeno supponghiamo, che la finanza riesca a far scontare da altri, ed alle stesse condizioni,50 milioni in Buoni del Tesoro che alla fine del 1869 avea la Banca; e che così un prestito di 400 milioni per saldare i conti con questa bastasse; quali ne sarebbero le conseguenze finanziarie?

Se alle lire 5,070,000. frutti dei 378 milioni, si aggiungono i frutti al 3 per cento dell'antecipazione obbligatoria della Banca, che al dicembre 1869 era di lire 20,136,800, i frutti che lo Stato paga alla Banca risultano di l. 5,674,104.

– 351  –

Quanto nelle condizioni attuali del credito dello Stato costerebbe di frutti un prestito di 400 milioni?

Noi convenghiamo in massima, che la soppressione del corso forzoso può influire a rialzare il credito dello Stato. Ma è una illusione l'immaginarsi, che basti dire che un grossissimo prestito servirà per sopprimere il corso forzoso, perché i fondi pubblici italiani salgano alle stelle. Il credito dello Stato essenzialmente dipende dalla situazione generale della finanza. Perché rialzi, non è indispensabile la parità assoluta tra l'entrata e le spese annuali, ma è indispensabile dimostrare, che la necessità di continui prestiti colossali è cessata, che se se ne chiede uno, quello è l'ultimo, e che quand'anche qualche altra piccola operazione di credito fosse necessaria, la finanza italiana è in stato di farvi onore facilmente. Senza questo, se il gran prestito non fa che aumentare il disavanzo annuale, si dica pure che servirà ad abolire il corso forzoso, il credito dello Stato non rialza, anzi ribassa.

Conseguenza ne è, che, null'altro facendo, un prestito di 400 milioni nelle condizioni attuali del credito pubblico, all'otto o al nove per cento, costerebbe un onere annuale di 32 a 36 milioni, invece di lire 8,674,000 che si pagano alla Banca.

– 352  –

Però il disavanzo arretrato non è rappresentato tutto dai crediti della Banca, ed il disavanzo arretrato s'aumenta ogni anno pei disavanzi non piccoli annuali, e s'aumenterebbe anche di più pei frutti del gran prestito. Questo adunque non sarebbe 'ultimo; la finanza dovrebbe farne degli altri a condizioni sempre più rovinose.

Ora in tale stato di cose, e mentre d'altra parte i danni del corso forzoso si s'on tanto mitigati e sempre più si mitigano, è buon consiglio peggiorare la situazione della finanza aumentandone considerevolmente il disavanzo annuale, e cumulando un grosso prestito a un altro, per sopprimere più presto il corso forzoso? Noi non crediamo, che ciò sia nell'interesse dello Stato, e crediamo pure, che abolito il corso forzoso in tali circostanze si correrebbe il rischio di ricaderci con disastri peggiori.

In tale posizione l'interesse dello Stato, secondo noi, piuttosto richiede; migliorar prima la situazione generale della finanza, sistemandone meglio l'amministrazione, e riducendone considerevolmente, se non togliendolo affatto, il disavanzo annuale; fare, se è necessità, operazioni regolari di credito, che sarebbero certamente per somme molto minori,

– 353  –

pei bisogni più urgenti; e riservare il gran prestito per sopprimere il corso forzoso all'epoca, in cui migliorata rilevantemente la situazione della finanza, rialzato in proporzione il credito dello Stato, il gran prestito si potrà fare a patti migliori, ed annunciando che servirà per sopprimere il corso forzoso e che sarà l'ultimo, si sarà creduti.

Quando verrà quest'epoca? Ciò dipende dal Ministero e dal Parlamento.

...30 Gennaio 1870.

INDICE
I. La Relazione della Commissione d'Inchiesta Pag. 1.
II. Era il corso forzoso una necessità per il commercio? 15
III. Era il corso forzoso una necessiti finanziaria? 39
IV. Quale uso del corso forzoso si è fatto

in quanto riguarda il commercio

62
V. I bisogni della finanza causa vera dell'aumento della circolazione della Banca Nazionale

durante il corso forzoso

85
VI.Della moneta metallica e dei biglietti

pagabili a vista in metallo

135
VII.Effetti del corso forzoso sul valore

dei biglietti, sui prezzi delle cose,

e sulla moneta metallica

153
VIII. L'esportazione della moneta metallica dall'Italia, è stato un fatto, il corso forzoso ne è stato la causa Pag. 171
IX. Della moneta divisionaria d'argento, della moneta di bronzo,  e dei biglietti di piccolo valore   193
X. Conseguenze della variazione dei prezzi delle cose, cagionata dal corso forzoso 213
XI.La libertà delle Banche di circolazione

in Italia

237
'XII. D'una legge speciale che regoli i rapporti finanziari tra la Banca Nazionale e lo Stato 290
XIII .L'abolizione del corso forzoso 314









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