Eleaml - Nuovi Eleatici


Di Antonio Fiore troviamo notizie nel libro di Emidio Cardinali, che di certo non lo amava, considerandolo uno dei tanti prezzolati dal Borbone per tornare in sella.

Un prezzolato che ad un certo punto decise di cambiare gioco passando nel campo avverso ovvero in quello liberale.

Un uomo singolare la circostanza offerse al De Cesare a suo cooperatore. Era questi un Antonio Fiore da Trani ex-frate de Teresiani di Chiaia a Napoli. È questi colui che sendosi intruso fin da principio come semplice coadjutore del De Cesare, potè penetrare nel consigli più intimi; che s'ebbe grande parte nello sviluppo degl'intrighi reazionarii e che, come or ora vedremo, fu il primo autore nominale del programma borbonico.

I miei lettori non disdegneranno che, egli venga particolarmente rappresentato fin da principio, per indi seguirlo diligentemente sulle tracce delle sue tenebrose macchinazioni.

Costui da vari anni aveva stanza in Roma, dove vive va meschinamente in qualità di commesso di un negoziante francese, truffatore famigerato. Il suo principale perseguito criminalmente da creditori, erasi dato alla fuga. Rimasto deserto e privo di sussistenza concentrò tutte le forze nel procacciarsene una qualunque.

Uomo di nessuna lettera, di nessun principio, di morale perdutissimo, seguì il vezzo del vagabondi, dandosi anima e corpo a piaggiare il governo.

Il generale de PP. gesuiti, il Severi, il Pelagallo, il Pasqualoni, ed altri funzionari della polizia romana il sapevano di tal tolleranza e calcolata freddezza, tanto necessaria a mal fare, da dover tenere in sommo pregio le sue confidenze.

Francesco II e la sua corte erano in Roma, e la mania borbonico-clericale s'impossessava specialmente degli uomini più vili e che nell'intrigo accattavano ventura.

Il Fiore come napolitano avea cognizione pratica del proprii paesi e delle loro costumanze; d'altro canto avendo per alcun tempo dimorato in Roma o ne' suoi dintorni, erasi venuto procacciando notizia de' luoghi, delle abitudini, e delle persone.

Abbiamo deciso di pubblicare la sua opera perché offre uno spaccato della situazione in cui versavano le due Sicilie dopo la dittatura garibaldina. Il testo di Fiore si presenta come una sorta di rapporto di polizia, in cui vengono indicati nominativi e luoghi in cui operavano o si riunivano i comitati legittimisti.

L’opposizione armata creò il caos, tutti contro tutti, dove eroismo e viltà si mescolavano in un guazzabuglio indefinito.

Mentre altrove, a Milano, a Firenze, a Bologna, nasceva la nuova Italia, nelle Provincie Napolitane si combatteva. Cosi nacque l’Italia.

Buona lettura.

Zenone di Elea – 4 Luglio 2017

UN CARDINALE ED UN EMIGRATO DA ROMA 

STORIA INEDITA DEL BRIGANTAGGIO BORBONICO-CLERICALE

Corredata dei nomi componenti i Comitati reazionari di Roma, Civitavecchia, Napoli, Malta e Marsilia: dei nomi e fasti dei capi banda e capi squadra alla direzione del brigantaggio: dei capi luoghi designati allo scoppio interno' della reazione: di n. 42 biografie dei principali personaggi che v'ebbero parte: ed in ultimo di ben 25 documenti dimostranti nella maggior parte la complicità del Governo Papale a tante immane nefandezze.

PER

ANTONIO FIORE

DI TRANI.

LIVORNO

Tipografia Fabbreschi e C. °

1862.

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

Una storia dolorosa e tremenda che empie di raccapriccio l'animo di ogni onesto cittadino, e che s'intreccia nel momento allo sviluppo di più vitali interessi della Patria, ha d'uopo esser iella e conosciuta.

Scopo di quest'opera è stato tessere una narrazione completa sulla organizzazione interna del Brigantaggio Borbonico-Clericale; riportarne i testuali proclami, i suoi autori, i proseliti; descrivere i mezzi e i modi praticati per le relative sue attuazioni; dimostrare la connivenza espressa o tacita del Governo e della Corte Pontificia; divulgare i nomi dei cospiratori a cominciare dall'ex-Re al Boia di Napoli e Caserta; dall'Antonelli all'abate Eugenio Ricci faentino; trarre in fine deduzioni teoriche e pratiche degli ammaestramenti di tanti fatti.

Questa sua storia elaborata nei dolorosi ozii dell'esilio, dopo essere stato l'autore testimone e parte dei fatti narrati, i un tributo che, qual figlio riconoscente, egli offre doveroso alla Patria.

L'AUTORE

STORIA INEDITA

DEL

BRIGANTAGGIO BORBONICO-CLERICALE

Lieto d'aver gittata la mia pietra pel comune edilizio della patria, esule da Roma, ricovrava non ba guari nella libera Toscano, ove incolume e tranquillo traeva giulivo in povertà e silenzio la mia giornata, indivisibile da amato fanciullo, dolce ristoro negli ozi pacifici dell'esilio.

Nella ospitale città di Livorno, l'obolo della carità cittadina soccorreva e soccorre me e mio figlio mediante provvido e zelante Comitato, il quale, se al necessario sopperisce, nel superfluo non può diffondersi. Per la qual cosa, di mezzi sfornito a procacciarmi la lettura de' correnti opuscoli, ignorava al tutto quanto, tra gli altri documenti diretti a testimoniare le corruttele della corte romana, sul mio conto divulgavasi inFirenze pei tipi di G. Burbera 1861, insieme ad altri scritti del dottissimo M onsignor Francesco Liverani, e dell'altro onor del clero Euschio Canonico Reali.

Alla pagina 29 nell'opuscolo — La Curia Romana e i Gesuiti —l'editore, a documentare la complicità della corte pontificia nella reazione napolitana, dà in luce una istanza (Doc. n. I. ) ed un programma borbonico (Doc. n. II.) firmati da me; amendue i documenti provenienti dai Cardinal De Andrea. Quivi una nota dà i seguenti ragguagli tanto sule esito del programma, quanto sul mio conto.

«Antonio Fiore è personaggio addetto alla corte dell'ex-re Francesco II. Le sue mire erano quelle di far entrare il Cardinale De Andrea nella cospirazione reazionaria, che tuttora infesta le provincie napolitane. Lo illustre Cardinale sdegnosamente il respinse, e in questi documenti si limitò la partecipazione fattagli delle mene brigantesche (sic). Non così però fu di altri cardinali e prelati, che accolsero il Fiore come un rappresentate (sic) autorevolissimo della legittimità de' Borboni Napolitani. Questi scritti del Fiore sono recati testualmente. con lutti gli errori di senso e di grammatica.»

Chi avesse sterilmente letto quell'assoluta sentenza, ed erano i moltissimi, si per la rinomanza degli autori, presso al nome dei quali veniva prodotta, che per l'interesse vivo delle quistioni del giorno, era indotto a levarmi un fiero cipiglio di vendetta, ed a stimmatizzare d'infamia un figlio rinnegato della patria, un uomo atroce e sanguinario, no assassino; titoli ben miti che quadrano mirabilmente alla immondo congrega signoreggiante impone la misera Boma all'ombra delle gloriose Aquile Imperiali di Francia.

Chi poi dopo aver letto quel libro mi sapeva in Toscana e soccorso da un Comitato di emigrazione, il che presuppone una escussione politica sul merito di tale sussidio, doveva conghietturare i più strani dubbi, ed accusarmi o qual segreto emissario, o tacciare di melensaggine Comitato e Governo.

Pur troppo a parecchi leggitori di quel libro io sarà venuto in tele estimazione; dacché, nel mio incolpevole silenzio, palco a buon diritto credersi che l'entità della accusa m'avesse strozzalo la parola, e che anzi l'assertiva rimasta senza replica, la confermasse.

E più di tutti lo stesso Monsignore debb' essere stato compreso da maraviglia quando, ignaro dell'orribile concetto che mi avea testà definito vicino a1 suo scritto innestato nell'opuscolo, con tolta ingenuità (previa lettera che ad onor del vero riporto testualmente al Doc.

n. 111. gli trasmisi in dono da Livorno copia di mio ll'biella sulla morte del Locatelli, il quale portava dovonque l'impronta di massime diametralmente contrarie n quelle che si leggono nel proclama borbonico, nel decorso dell'opera da me riportato.

L'illustre Presule, che io venero qual luminare onorondissimo del clero romano, intrepido ed imparziale banditore di verità religiose e politiche, modello singolare di sacerdote e cittadino italiano, per ciò appunto, se non erro, dové tenersi meno lungamente in isdegnoso silenzio. Del che, peraltro, debbo rallegrarmi essere stola largamente compensalo da gentile riscontro che valsi ad ottenere per un autografo sull'Eroe immortale di Caprera, che m'ascrivo ad onore altissimo serbar gelosamente come sua memoria, e del quale mi gode l'animo poter oggi comparteciparne la gioia co miei lettori, riportandone il testo con la relativa proposta. (Due. n. IV, e V. ). Mentre casi passavansi le cose, orrevolissimo personnggio, che per avventura era consapevole de' falli non solo dichiaranti l'esistenza del proclama, anzi pel sito scopo costituenti un elogio, mi scosse dalla mia altronde invincibile ignoranza, allegando carne paresse disdicevole che due pubblicazioni quasi contemporanee (l'opuscolo Locatelli, — la Curia Romana e i G esuiti) portassero su me giudizio contraddittorio, e che la cosa esigeva delucidazioni per esser conciliata. Fu colpo di fulmine per me tale inattesa notizia; e riandando l'impressione sinistra, che doveva aver destata l'antitesi de' precedenti, mi riaccendevo vieppiù al pensiero che il presente scorreva per me nella gentile Toscana sotto la triste influenza di fatti che nella loro apparente contraddizione rombavano tremendamente alle mie spalle.

Da quell'istante le ore divennero eterno per me, il suolo era infuocato, e la mente fervea impaziente perché al più presto possibile la luce fosse fatta.

Nel ruminare un'adequata risposta all'editore Barbera, e al Cardinale De Andrea, che aveva trasmesso tali documenti, certo per esimersi dalla responsabilità di connivenze reazionarie, in virtù d'associazione d'idee mi si offerse alla mente il pensiero di congiugnere alle giustificazioni sul mio conto, il vantaggio eziandio che al pubblico avrebbe potuto derivare coi tessere una storia succinta sulla organizzazione interna di tutta la reazione borbonico corredala di falli passati sotto i miei proprii occhi.

Questo proposito prevalse, e il presente opuscolo lo rappresenta, pel quale mi lusingo verrà rettificato ogni pregiudizio a mio carico, e ne trarrà luce e documenti una storia più completa.

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Debellato e rejetto dallo stesso suo popolo e dalle armi Italiane, l'erede del primo e secondo Ferdinando di Napoli, di esecrata memoria, ricovrò, com'è noto, presso il Pontefice in Roma.

Ove nel di solenne della sventura adorato avesse Francesco gl'inscrutabili decreti di Dio che giudica i popoli, e balza I troni come un fuscello, sariami mancato il cuore di aggiungere afflizione all'afflitto, ed insultare ad illustre infortunio. Ala dacché quel successore d'un re spergiuro e tiranno, nella colpa imperversando, lungi dall'attendere l'opportunità di una rivincita con senno e civile temperanza, o coll'aprire leale battaglia, sceglieva tempo e luogo a selvaggia vendetta: dacché appostatosi, come ladro di notte, dietro i limitari del perduto regno, rinfocolava le ambizioni perdenti; demoralizzava e corrompeva viepiù un popolo già infelicissimo, all'esca di quegli stessi tesori spremuti dalle sue vene: dacché improntato della maledizione di Caino, quasi unghia crudele lacerava senza ribrezzo piaghe civili vive ancora e sanguinanti della più insigne e sventurata nazione della [erra ad tino scopo o folle, o feroce, ma frustraneo sempre, l'orrore, l'abominio, la più pronunciata riprovazione erano i sentimenti nati dalla circostanza.

La città eterna era designata da Francesco per colmarvi il sacco d'ogni iniquità!! Era là ogni lordura d'Europa a dialogare vieti rancori; ogni passione di partito sperimentava un sollievo; le podestà rejette una speranza; la tirannide l'estrema àncora di salate. Sospettoso albesi e feroce il governo; diffidati o frementi i pubblici funzionarii; esausto il tesoro, insolenti i sacerdoti; parziali e prevaricanti i tribunali; intemperanti lascive barattiere le autorità; sterilizzato il commercio; oppresso e famelico il popolo; irti i patiboli; rigurgitanti le prigioni; innumerevoli gli esilia.

Converso d'altro canto il tempio in conciliabolo di farisei, veduto avresti sul profanato altare ergersi il calice di Babilonia pieno d'ogni abominazione e d'ogni immondezza, e carolarvi intorno gl'infausti genii dell'errore e d'ogni mondana libidine.

In mezzo alla affollata. sinagoga innalzarsi un soglio crollante, e a diritta e a manca sventolar vessilli variopinti e milliformi. Quivi assiderai augusta matrona già lume e rivelazione alle genti e glorificazione d'Isdraello, ornata a sozza festa, pelta sfacciata fornicar con tolti i re della terra, fatta ignobile prosseneta e mercantessa di religione e di civiltà; bestemmiatrice sacrilega del Dio della pace e delle Nazioni in nome dell'evangelo. A lato di tel adagiato maestosamente un augusto settuagenario, vivente parodia di un passato, quasi a ridevole gogna, in pena d'aver usato d'una libertà che non avea a pro de' suoi popoli, e dannato a ringoiar la parola di pece e di perdono, fatto segno di contradizione universale, e pietra di scandalo. A corno destro avresti veduto colui che valeva per tutti, Capo de' mille, fosco consola notte, scarno come l'eresia, nella cui fronte, come su quella di un popolo stava la maledizione di Dio e degli uomini: sul vasto labbro avresti creduto morisse l'eco, pietoso de' gemiti della sposa di Cristo, e gli ululati miserandi di popoli martirizzati. Al vivo color rubicondo ed infiammato della sua porpora, non so meglio se pensato avresti ch'ei fosse un dannato sbucato dall'inferno, o uscito di fresco da un bagno di sangue.

Da codesti elementi, come da magnete I'acciajo, fu attratto Francesco di Napoli altro rampollo della semispenta schiatta de' regnanti Borboni, rifiuto d'Europa, il quale non per anca forbita la bocca sollevata dal fiero pasto, avea già più fame che pela.

Lascio in disparte il religioso Pontefice, il quale nella opinione de' più, e credo meritamente, inscio di tante abbominazioni, o priva d'ogni libertà é divenuto in fatto un automa più o meno responsabile, un connivente forzoso.

Le tempre tartaree erano (come lo sono tuttora) rimestate in sostanza dal Cardinale di Sonino che i miei lettori hanno certamente giù riconosciuto, sotto il cui patrocinio Francesco poteva impromettersi tutto osare e compiere; imperocché quando incontra fra gli uomini medesimezza di disposizioni, e di tendenze; parità di circostanze od ugual pericolo, nasce reciproca confidenza creante una spontanea convergenza d'istinti e di mezzi in grazia dello scopo ultimo, e loro si dipinge a vicenda nella passionam fantasia il trovato pellegrino di quell'amicizia che l'antico adagio chiamo un tesoro.

Eh quale più acconcia combinazione nel caso tra I'Antonelli ed il Borbone di Napoli! svelto l'uno dal più bel trono d'Italia, esecrato e maledetto dalla nazione quale più efferato suo nemico collegato collo straniero Absburghesc, riboccante d'ira e di vendetta, preoccupalo sol per lecito od illecito a ricuperare il perduto: all'altro poscia, intrepido banditore d'ogni novità che offra un tributo ai suoi padroni, senza rallento di principio odi convinzione, attratto sol dalla sacra fame di tesaurizzare, non parea vero che nuovi tumulti, straordinarietà, subbigli, guerre, gaggi, arruolamenti, abati qualunque, montassero in voga per aggiunger ricchezza a ricchezza, e trar l'opera fino all'estremo confine possibile. Sotto tali auspici il dolore di tante sconfitte disacerbavasi per Francesco; il suo cuore si apriva senza ritegno, senza tema di esorbitanza, di quel riserbo con che le parole sogliono pur vezzeggiare e colorire l'intima malvagità di un reo disegno. Quivi l'accampare reazioni, assoldamenti, ardori guerreschi, discordie interne ed esterne, brigantaggi ed altre siffatte ribalderie, era naturalmente il solluchero quotidiano, t'anima delta conversazione; era solleticare abitudini domestiche; rinfrescare le tradizioni forestali di Sonnino; blandire istinti feroci; aggiunger ali alla fama, e sopra ogni cosa, facendosi del ventre un Dio, sguinzagliar turiboli a velli d'oro.

Fra questi due campioni venne ideato e protetto quell'ormai fumoso brigantaggio che empie tutt'ora di strazi e di desolazione le povere provincie napolitane.

Prima per altro d'imprenderne la storia, ho d'uopo che sappiasi come io ne fui parte e testimone; dacché conforme accennai nella mia prefazione l'editore, Fiorentino Barbera propalava nell'opuscolo. — La Curia Romana e i Gesuiti, — tali scritti che, ove non s'avessero sufficienti schiarimenti, potrebbero dar nascimento a dubbi e contraddizioni fatali sul mio conto. E siccome desidero andarne al tutto esente, mi veggo costretto a dimandare in grazia ai miei lettori indulgenza s'io parsimonioso e discreto vi spenda intorno parole.

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Il periodo che framezza il 1849 al 1859 segno un'epoca sospettosa e codarda poi governi che rintuzzarono le giurate costituzioni colle mannaje e coi moschetti. Ripresa lena, e riannodati i consueti rapporti, dopo l'inatteso sgomento del fulmine Vaticano, erano tutti intesi a distruggere il passato per rifare un avvenire. Quinci intelligenze segrete, note di proscrizioni, di esili e di precetti, reciproche; istruzioni di confine, estradizioni. Col cupo fremito de' tempi che maturavano crescea in proporzione ne' governi terrore e gelosia.

Ferdinando II di Napoli era l'ospite, e l'alleato per la vita del governo di Roma. Fra le altre squisitezze barbariche, di che egli era efficacissimo consigliere, dimandò alla polizia pontificia il rinvio di qualsivoglia regnicola. Ligia quella ad ogni inchiesta di suoi amici, non frappose indugi, ed un ordine di sfratto colpiva me con altri molti miei concittadini, ingiungendomi di uscir lo stato scortato dotti forza pubblica a mie spese, come dové irremissibilmente seguire. Gl'interessi però di mia famiglia, che avrebbe anticipato la sua rovina, mi richiamava onninamente sulle mie orme. Risicai tornarmene, ma per quanto celato mi tenessi, guari non andò che posto agli arresti era in potere nuovamente della polizia.

La perdita degli inutili viaggi, e la cessazione dei proventi che ritraeva da' miei sudori, mi gettavano nello abisso della miseria. Per la qual rosa, mal sostenendo gli assalti dell'amarezza, giacqui infermo per ben sette mesi nelle prigioni delle Terme Diocleziane, da dove nuovamente colla scorta pubblica venni consegnato al confine.

Ma venuto in chiaro più tardi l'ingiustizia di tanta persecuzione verso un innocente padre di famiglia da molli anni domiciliato in Roma, con grave stento potei ottenere finalmente il reingresso.

Precipitavano intanto gli avvenimenti, ed in poche lune Magenta, Solferino, e più tardi Calatafimi , Palermo, Milazzo, Napoli, Capua e Gaeta sciorinarono una zona di fuoco sulla testa di quattro dinastie scomparse a un soffia dell'ira ultrice de' popoli italiani. Scampava in Roma l'ultimo covo delle tirannidi sbaragliate; o l'immortale città era fatta l'immagine rediviva della mistica Babele, il vaso di tutt'i mali.

Io era colà, e riandando i tanti mali dell'afflitta mia patria e di li ricadendo su i miei che ripeteva da una persecuzione senza nome e senza fondamento, una luce disdegnosa mi balenava nella mente. Compagna mia importuna e indivisibile di molle notti agitavami senza posa. Disceso né penetrali della coscienza un malinconico e segreto terrore mi curvava la fronte al cospetto del rapido ed incredibile svolgimento provvidenziale di tante catastrofi. Parevami scorgere sugli eventi l'incubo e l'impronta onnipossente della stessa mano che un dì s'aggravò sopra iSaulli, gli Oloferni, i Faraoni, i Baldassari. M'infiammavano la fantasia i cantici mosaici del popolo eletto, le benedizioni d'Isdraello, l'esaltazione di Giuseppe.

Pensava altresì come scevro pur fossi da vincoli di giuramento e di fedeltà verso un re, che lungi dal far senno alla scuola de' flagelli e della sventura, perseverava nella iniquità, ed in connubio adultero colla sposa di Cristo, col pugnale dell'assassino apprestava scissure e sterminio, se lo avesse potuto, alla tanto sospirata indipendenza nostro; minacciava disserrare le fonti di tante lagrime, ripopolare le tombe di tanti martiri. Considerava che per la mia posizione informato delle abitudini di Roma, e de' luoghi, de' costumi de' miei paesi, io potessi divenire provvida riparatore, benché parziale, di qualche male giurato a nostro danneggio. Rifletteva che ne' miei rapporti colla polizia Romana risultando né più né meno che un uomo di famiglia innocuo, e stato soggetto solamente ad immeritate o passive vessazioni, non sarei venuto in uggia od in sospetto, ove profittando della mania reazionaria, mi fossi cocciuto per entra nel segreto intendimento di scandagliare i propositi dell'inimico, conoscere possibilmente il bandolo tenebrosa de' suoi ordinamenti, per quindi sventarli opportunamente, smascherare i traditori, risparmiare vittime ed offrire un tributo efficacie di sollievo ai disastri che con tanta mole di apprestamenti terribili minacciavansi in pieno giorno alla libera Italia nella sua capitale.

Queste immagini calmarono d'alquanto la tenzone molesta del mio spirito, ma non era in pace del tutto con me stesso. Mi pungeva ancora l'idea che non forse sarebbesi suscitato fra' miei confratelli qualche ingiurioso sospetto sulla rettitudine delle mie intenzioni; ovvero il mio operato pel ano artifizio alcun che contenesse non dissimile dall'insidia, o slealtà disconvenevole al genio sviscerato e franco di onesto liberale. Al primo dubbio la soluzione era agevole mercé un'azione nitida disimpacciala e contemporanea con persone di fede provata dal lato nostro, le quali colla inesorabile prova de' fatti svelando il mistero, facessero la luce.

L'altro scrupolo, benché isolato e nudo, mostravisi un cotal poco restio, tale però che il presentiva tra breve inchinevole a sensi di un'assorbente gravità. Difatti sotto gli occhi miei minacciavasi d'eccidio la mia patria; scorgeva tremendo una satanica operosità galvanizzata alla scossa e allo splendore di un oro smunto dalle vene de' poverelli, frutto amaro e sterile di angherie, di pianti e di confische; mi al parava dinanzi la scena desolante di tanti miei fratelli illusi traditi designati al ferro ed al sacco delle loro cose contro i loro stessi congiunti per un brano di pane che il forte orgoglio d'un trono perduto gittava loro sdegnosamente l'oggi per abbandonarli sconfitti o per isprezzarli vincitori il domani. M'incoraggiava il pensiero che una realtà troppo spiegata ed aperta diviene sovente stupida o inopportuna; e che le cospirazioni a cui niuno più ritroso nega in mille casi la legittimità, anzi ascrive a debito di buon cittadino, debbono inevitabilmente adoperare una esteriore disinvoltura resa necessaria dalli prepotenza soverchiante, e da una forza maggiore.

Era forse a preferirsi (io diceva a me stesso) il silenzio del Mancipio nello svelar la congiura di Catilina per evitare l'indiscrezione di una curiosità? Era da anteporsi la crudele lealtà di Liborio Romano, o di tutto un esercito tirannesco per isbramar la sete di sangue di una stirpe che tutta Europa cacciò in bando e maledisse? Dovea biasimarsi il pietoso inganno dell'abate Pellegrini che adescò la masnada di Gasbarrone col promettere in nome di sua Santità che giammai sarebbe stata condannata, quando appunto colli in agguato senza processo che la sancisse, furono destinati a marcire e finir la vita nelle Darsene?... Per me il coglier nella rete costoro tornava lo stesso che schivare la connivenza di mali tremendi, era un dar la caccia agli assassini nella foresta.

A tali moventi il mio animo troncò ogni deliberazione, ogni scrupolo fa dissipato, lo respirai, e pregustando la delizia di strappar forse agli artigli dell'avarissimo re tante vittime del suo cieco furore, mi armai di un coraggio pari al pericolo. Nè il mio risico personale e di mia famiglia valeva a distrarmi dal compenso soavissimo di poter essere utile alla patria, in mezzo alla quale già spaziava coll'intelletto, e col cuore.

Taccio gli onorevoli nomi di specchiali cittadini che sotto gli occhi, sig. Matteucci e Pasqualoni, vi rovistano tutto di il segreto di vostri archivii, e che seggono ne' vostri consigli. I signori Cavaliere Conto e Principe S. T.... e B....; il D. C. D., il quale teneva informato il Comitato Nazionale Romano; i Sigg. R.... D.... e V.... erano i miei ausiliarii efficacissimi che pur parteciparono alla patriottica idea. Attendano in pace costoro d'essere menzionali tra breve in Campidoglio; e n'abbiano intanto da me da questo luogo di beatitudine un salato di amore e di speranza.

Io dovea cercare una ria che aprisse il mio compito.

Essa era agevole, e me ne offerse il destro la china delle circostanze. lo era da lunghi anni domiciliato nello stato pontificio, e la più parte aveva dimorato in Roma; non aveva altresì oblialo il mio luogo natale, le varie ubicazioni de' suoi paesi, le loro costumanze, la lingua, e i vari dialetti. Framezzava dunque opportunamente fra il Romano ed il Napoletano, ciò che riescendo acconcissimo pel contegno da tenersi in Roma, e ne' rapporti con Napoli o colla Sicilia, lusingava di leggieri le bramosie della reazione.

Tolsi le mosse dall'implorar soccorsi come Napoletano dalla commissione de' pagamenti per intercessione di Giuseppe Pergola portinaio, alci Palazzo Farnese. Questi per zelo di accattar proseliti agli augusti suoi padroni, riferì caldamente ad un Monsignor Guglielmo de Cesare, attivo membro della reazione, come fra breve vedremo, ed ingenuamente dipinsemi altissimo e raro strumento pe’ santi fini della loro causa, inquantochè in mezzo a tanto squallore di miseria e d'ignoranza, parea loro d'aver raggiunto un tesoro.

Nelle strette del tempo le ore batteano lente a tanta rabbia: non si frappose indugio: io venni tantosto chiamato, e dopo compendioso esame sulle informazioni del portiere, fui posto all'istante in attività di esercizio.

La mia condotta era egregio, e mercé i misurati slanci di uno zelo ben nudrito ed assennato, io riscuoteva di
giorno in giorno un favore sempre crescente, per cui parevemi tempo d'imbeccare nelle orecchie di Monsignore
che era bene costituire uno segreteria regolare, certo che come prossimiore alla sua persona ne sarei riuscito lo eletto. Però, per quanto fosse t'impero stringente delle circostanze, in affare di delicato rilievo volevasi procedere dal De Cesare con circospezione e riserbo. Fu allora che previo misterioso concerto, venni chiamato dall'ex-Generale Statella col mezzo di certo Cav. Rodelli napolitano.

Là giunto mi disanimai scorgendo gremita l'anticamera di baroni, conti e duchi; però annunciato dal cavaliere R. intimissimo del Generale con mia sorpresa vidi ch'egli fattosi in sull'uscio e posposta quella magnifica folla raccolta a mercar ciarle, mi accennò d'andare a lui. Quivi il rabbuiato vegliardo, sul cui volto corro. gaio non so so meglio ai reati letto il disperato disinganno di un potere perduto, o la balla insaziata di riconquistarlo, a mo’ d'un consultore d'inquisizione in dialetto napolitano mi veniva. scrutando sulle mie intenzioni, e sulla conoscenza de' luoghi e delle persone.

Com’era naturale dalla sue inchieste seppi scherimirmi a dovere. Fu soddisfatto, e da quel di venni nominato intimo sii Monsignore, anima e vita dell'azione esecutiva.

Di qui valsi a penetrare ne' più segreti consigli, e la missione propostami nell'immondo pascolo alimentavasi stupendamente.

L'empio proclama che rappresentar dovea la parola d'ordine, e l'indirizzo convenuto tra le scompigliate masse era già discusso ed esteso nell’aula farmaceutica dello speziale Vagnozzi in Campo di fiore, indi approvato dal comitato; proclama che qual fondamentale documento della mia storia, riporto testualmente (Doc. II).

Esemplari di tale atto vennero celeremente diramati nelle alte segreterie, e tantosto si fe d'attorno per inviluppare nella rete nomi augusti di puro sangue, dai quali riverberasse a quel simbolo di discordia uno splendore appariscente di elevale aderenze.

Ad insinuazione del De Cesare e di Statella vennemi designata vittima l'EminentissimoDe Andrea e cui doveva presentarmi in mio esclusivo no me. Questi, Napolitano di origine, avvalorato dagli esempli del suo genitore già ministro del secondo Ferdinando, figlio nato e riconoscente della corte di Napoli, dalla cui influenza specialmente dovei ripetere la dignità della porpora, ispirava una confidenza fatale atta ad ogni modo a rimorchiare la volontà più dissuasa e restia.

Non senza grave titubanza io accettava un carico difficile e brocardico. lo conosceva il Cardinale saggio, accorto e saldo un' suini proponimenti, e sapevami amaro l'indurre in tentazione prossima di peccato colui che per amor di vero e di onesto avea osato di recente affrontare la più temuta podestà dello Stato.... Ma esteriormente accennare pure al dubbio, era un farmi da meno della mia estimazione presso quegli esorbitanti, ed un precludermi le vie e cose maggiori. Mi raccolsi a nuovo coraggio, e senza più il giorno di Agosto.... 1861 alle ore 14 antimeridiane richiesi parlare al Cardinale. Questi a schivar l'uggia d'udienze importune ha per costume diniegarle onninemente ove la persona ed il soggetto non s'appalesi per grave ed urgente. lo non era cognilo a sino Eminenza; l'oggetto era stoltezza bandirlo a portavoce; onde mi risolsi di rimandar la bisogna ad altro di per intendersi in iscritto riservatissimo.

Di fatti trascrissi copie del proclama, e siccome nell'infrattempo erami toccato in sorte d'aver nelle mani gran parte del piano di esecuzione, ed il nominativo dei comitati di provincia congiuranti sotto l'influenza stessa degli stemmi di Savoja, pensai che tali dettagli importanti avrebbero tintillato la curiosità dei Cardinale, ed attribuito autorità e verosimiglianza potente ai miei detti. A fine poi di essere ascoltato ad urgenza stimai presentarmigli come vittima imminente del dingiun o. Tali idee mi si ristrinsero alla mente il giorno stesso di Agosto quando l'occasione di presentarmi parvemi più propizio. Pel che preoccupato solo dalla importanza de' fatti per se stessi eloquenti, tra le angustie del tempo abborracciai una specie d'istanza, la inchinai nel proclama soceartato a triplice sugello, e col soprascritto — riser vatissimo — che inviato al loro destino me ne partii.

Non m'ingannai, e poche ore erano trascorse quando il suo segretario alle nove di sera acceduto personalmente nella mia abitazione, lasciò dello ed Antonia Misnini padrona di casa, che nel di vegnente alle ore nove antimeridiane mi presentassi immanchevolmente dal cardinale. Vi andai: e su i restii lor cardini le dorate portiere spalancaronsi alla fine per me. Io ero de' suoi: la trista verità de' folli che dagli aggiunti manifestamente traspariva, spuntò le schifiltose e circospette retrovie del cardinale, e quantunque io in sulle ponte del rispetto mi tenessi ritto, San Eminenza m'insilò a sedere alla sua destra: io non risposi che rimpicciolendomi nelle spalle. Per la seconda volta instava il cardinale con gentile preghiera ch'io mi sedessi; onde ostinandomi ancora mercé un cinguettio di proteste, esci, egli all'amichevole dicendomi..... ne via assettate… Io obbedii.... indi e poco incominciò......

— Siete del regno a quanto dite?

— Eminenza si, precisamente di Trani nella provincia dl Bari.

— Conosco assai bene la vostra provincia. Ma siete voi ben pratico di tutti i luoghi ne' quali dovete presentarvi ed agire e forma delle istruzioni del re?

— Eminenza si.

— Ho letto il proclama. È dello stile che si richiede per la circostanza. Come pratico dello spirito di quelle popolazioni pensate voi che la reazione possa sortire effetto ed essere appoggiato piallaste che compromettere inutilmente coloro che con tanta abnegazione vi si prestano?

— Se mancasse in noi questa fiducia avressimo dovuto desistere dall'immaginare e dall'arrischiare la vita nell'impresa.

— Speriamolo..... É veramente da compiangere la sorte del nostro buon Re!!..... se avesse dato ascolto a' miei consigli, avrebbe evitato tanti tradimenti, e la rovina del suo trono. — Quante volte noti ho lui suggerito di accedere alla Confederazione, colla quale avuta ragione de' tempi, lungi dal perdere, avremmo certo guadagnato sotto infiniti rapporti.... ma non volle darmi ascolto, o meglio altri che lo circondano nol vollero..... basta, oggi le cose sono cambiale, e certo non v'è che il rimedio di reagire e tentar come si può rifarsi del perduto,

— Pur troppo, Eminentissimo, non v'è altra via fuor di quella che noi balliamo....

— Eh, se in luogo di certi consiglieri si fosse trovato a fianco di Francesco un.......... De Andrea, gli affari sarebbero andati ben diversamente'.... Ad ogni modo, Sig. Fiore l'opera è giusta e santa, ed io non dubito di dovervi aderire; anzi siate certo che io vi concorrerò validamente con ogni maniera di appoggio anche ma teriale. Anzi quanto prima terrò particolare menzione in proposito con persone ragguardevoli a fine di favorire l'intrapresa. — Quando dovreste partire?

— Al più presto, Eminenza, mentre l'indugio può esser fatale, avuto anche riguardo al tempo necessario a percorrere, come è mia missione, da Napoli e Lecce.

— Ebbene io conto d'aver parlato con chi debbo per Venerdì prossimo. Vi presenterete alle ore 8 del mattino, e spero sarete provvisto del tutto.

— Perdoni, Eminenza,... ma alle ore 8 troverò ostacolo nell'anticamera?......

— No... fatevi annunziare... darò gli ordini opportuni... Non vi dispiaccia lasciarmi intanto il vostro proclama... sarà poi a restituirvelo perché possiate ottenere oltre adesioni. — Vi attendo Venerdì.... ricordate sopratutto che anima selva non sappia ch'io sono consapevole di quanto mi avete esposto. — Si conservi sig. Fiore.

Nel pronunciare le ultime parole mi venne il Cardinale accompagnando fino alla terza anticamera, da dove con profondo inchino me ne partii.

Mi passo in silenzio che in mezzo alle tante e belle parole se veramente in mi fossi stato digiuno poteva pur dispormi per l'eternità.... ma non era quello il mio intendimento, né certo era troppo simile al vero che all'intimo del dispensatore di pagamenti dovessero mancar occhi e lena per tenersi in su i lombi onde adempiere agli alti suoi carichi.

Tornai il Venerdì seguente alla 8 giusta il concerto, ma un individuo dell'accento straniero, maestro di casa, mi partecipò che S. Emiri. non aveva mancato ieri (Giovedì.... ) portarsi da chi dovea, e che ancora non aveva potuto conchiudere; ma che non mancassi però nel prossimo Lunedì di ripresentarmi alle ore 8 del mattino.

Venne il Lunedi, e dopo una buon'ora ch'io m'attesi, lo stesso maestro di casa fu latore di un grazioso viglietto suggellato, autografo del Cardinale il quale conteneva questi termini. «Il sig. Antonio Fiore può dirigersi in mio nome a Mons. Ferlisi domiciliato palazzo Ruffo Piazza SS. Apostoli a nell'indirizzo a al sig. Ant onio Fiore».

A mandare in punto ogni cosa fui diligente nel presentarmi a Mons. Il quale come presidente della commissione di pagamenti, dovea fornirmi di mezzi per agire in Napoli, e nelle provincie diAvellino, Foggia, Bari, Taranto, Lecce . Il Ferlisi corrispondendo puntualmente al cenno dell'Eminentissimo, fè dirmi, che non sarebbe andato il mese, che io sarei stato abbondantemente provvisto.

L'accettazione abbastanza esplicita dell'Emin. Da Andrea era un corollario naturale e legittimo della sua posizione, massime in rapporto alla corte napoletana; per me poi era un filo irretrattabile e solenne.

L'editore Barbera nel suo opuscolo La Curia romana e i Gesuiti alla pag. 29 e seguenti nega l'azione efficace e cooperatrice del Cardinale, ed ignoro certamente delle mie intenzioni e dei fatti che apparirono ed appariranno inferiormente nel presente libro, egli mi dipinge quale rappresentante (sic. )autorevolissimo della legittimità dei Borboni napolitani.

Io divido con voi sig. Editore il dolore che avreste sperimentato nell’avvolgere un nome altronde cospicuo della Romana Corte in mezzo alle sozzure della reazione più folle e ribalda: nome che al certo meritava esser sequestrato della sentina di tante libidini, quante mai maestrevolmenle se ne dipingono nell'aereo volume del sopra lodato Mons. Liverani — La Chiesa il Papato e lo Impero, nome che per la franchezza de' suoi operati, per la lealtà di proposti e per raro coraggio contro il più temerario paladino di moderni ministri, vi presentava un esemplare di abnegazione, una rara eccezione da celebrare in mezzo alla quasi universale corruttela della curia romana.

Ed io benché non sapessi rendermi abbastanza ragione come in una tipografia di Firenze riverberasse un illustre patrocinio verso un porporato di Roma, tuttavia sulla traccia degli atti dico a voi per chicchessia che ne avevate ragione, e onestamente vi io sicario che se quello scritto sul mio conto non m'avesse jugulato alla necessità d'una dichiarazione, avrei di tatto cuore esultato nel serbarne il silenzio.

Ma in certe circostanze a fronte di convenienza e riguardi, la reputazione scossa di un uomo non può dispensorsi dal frangerlo in vista della pubblica opinione, al cui infallevol giudicio io oggi con voi dobbiamo riportarci.

Lascio l'opposto di senso e di grammatica da voi lottasti nella vostra nota; mentre è curioso da un lato che questo rimbrotto mi venga scagliato da un Editore che si presenta a rimbrottarmi con parole non meno erronee di quelle censurate 1.

D'altro conto poi l'istanza più in bozzo che in buon esemplare, strozzata dalla circostanza tra le strette del tempo; è parto secondo voi, della stessa mente che redasse il proclama il quale, se non m'inganno, in sintassi ed in grammatica non paventa le censure dell’A lvaro o del Porretti.

Dio mi guardi però del volermi tirare addosso il carico di plagio quanto ai pellegrini concetti di quel proclama, il cui elogio deesi esclusivamente all'aurea redazione nella farmacia del famigerato Vagnozzi in Roma, piazza di Campo di fiore, già autore del duplice proclama reazionario de' Siciliani al Napolitani, e da questi a quelli, riportati e sollevati alle stelle dell'Osservatore Romano (giornale) nel Luglio del 1861, edito per i tipi gesuitici della stamperia Marini in via del Gesù in Roma, presso le stalle del palazzo Altieri. Non che l'altro divulgato da Chiavone in Sora nell'Ottobre 1861 proclami pe' quali il valente scrittore potè beccare dall'ex-re varie centinaia di sua regole munificenza. A me non resta che lo sgorbio dell'istanza e di questo libro, il quale non aspira a merito letterario o scientifico, ma al valor sincero della verità, né agogno d'entrar in uggia di puerile o soverchiamente minuzioso per qualche A perduta od aggiunta nel minutore.

Messo da bando tali fisime e cianfrusaglie, non posso omettere di notare come il proclama da voi riportato si vegga mutilalo nella qualifica essenzialissima che l'originale ha nella firma. Ivi nel vostro libro veggonsi alcuni puntini precedenti al segnatario Antonio Fiore, reticenze che suppongono la qualifica torse come superflua... 110 signor editore, secondo me non lo A. Se non v'è grave io la confiderò per voi ai miei lettori, e se mal non ricordo dovrebbe dire o dal Comitato dell'ordine, o l'eletto Antonio Fiore, conformemente ad altri esemplari rilasciati alt'ex-Re al gen. Statella, ed altri del comitato stesso per gli usi opportu ni.

È evidente per tale surrezione in voi una inqualificabile deferenza pel cardinale; quanto al De Andrea poi che insieme alle proposte e risposte testuali tra esso e l’Antonelli dà in luce la mia istanza di sopra trascritto, ed il proclama borbonico, é argomento non dubbio di pusillanimità nelle proprie convinzioni, e di una tenerezza particolare nel volere declinare la responsabilità de' suoi confratri augusti per aggravarla esclusivamente sull'ignobile Antonio Fiore spregievole perfino in grammatica e nel senso comune. — Non ignoro che oggi alzando il velo di quella reticenza mi tirerò sopra il broncio del Cardinale, (del che certo non piangerò) il quale nel consegnarvi lo scritto avrebbe voluto ad so tratto cogliere palla e birillo esonerando se stesso verso i lettori, mercé una sdegnosa respinta, e nel lampo medesimo schivar la compromessa di adorati idoli secreti co’ quali, mi duole il dirlo, era pur troppo complice effettivamente. Incorrerò poi nel vostro sdegno perché una gemma adombrai della corona che fil intesseste.

Ma lode al vero come l'illustre Cardinale respinse sdegnosamente il proclama e l' autorevolissimo personaggio che voi mio caro pigliate vezzo a schernire? Messo pur da banda il terga di penna che avete creduto apporre sulla qualifica quivi spiegata a qual uopo disserravo egli gl'inacessibili suoi penetrali, dove pendente dal suo labro mi ascoltai in pace quanto sopra ho narrato? E se pur vi piacesse discredere le mie asserzioni, come di testimonio unico, io domanderei, perché il disdegnoso porporato non ha saputo contenersi per non isdrucciolare in peccato di compiacenza, spendendo l'apposito messaggio in mia casa affidato alla mia padrona Antonia Misnini col mezzo del suo segretario, reiterando le ambasciate mediante il suo maestro di caso vivi e verdi tutti tre? Perché accompagnava questo vil dispregiato con un suo autografo pregiatissimo al F erlisi cognito presidente della tesoreria reazionaria? Perché in luogo di punir severamente l'insolenza, il crimenl ese della proposta di un reo proclama, ne corazzò con indulgente silenzio non solo, ma tanto è lungi che il respingesse sdegno samente che il ritenne invece e e serbò in gelosia fino al momento che guizzò nelle vostre mani per l'opportuna divulgazione? Perchè il cardinale non rinviò all'intimo suo Monsignor Matteucci di polizia codesto sedizioso tento più redarguibile quanto più autorevolissimo?

Chi non iscorge in tale operato che quivi emergeva In manifesta sua connivenza nei vituperi della reazione?

Come poi adesivamente a tali precedenti d'altronde naturalissimi, e sarei per dire necessarii, trovino spiegazione i convegni continui, invariabili, periodici dalle 11 antmeridiane alle ore 2 ½ pom. presso l'ex-Regina Maria Sofia?!!!... Come l'intervento quasi d'ogni di ne' conciliabili alla villa Patrizii ed a S. Agnese fuori InPorta Pia dove l'ex-Re, l'Antonelli, il De Merode, Matteucci, gli Ulloa coll'altro stormo generalizio, il De Back, e tutto il far delh, reazione vuotava bicchieri e turiboli per uno straccio di porpora di che e sangue e e fuoco volevasi rinfattocciato Francesco?

Questi cenni provano, se non fallo, che Il Card. Da Andrea non respinsesdegnosamente, ma accettò zelante mente un ufficio che gli acquistava novello favore in corte, favore che trovava un eco a cento balzi presso regioni più elevate e longingue, da dove gliene refluisse una fede tenace ben pronunziata e sicura, come né più né meno può esser quello di un prete qualunque attillato ad usum Romana, Curice.

È bene che certi Giani o M ezenzi siedo segnalati; imperocché la seguace turba di scribacchiatori e giornaletti aveva giù ingrossato il cestone alla sonorità dell'incidente Lovaniese contro l'Antonelli, e li li vicino avevano sentito rompersi il timpano nelle celebrazioni del Cardinale quele antireazioaario sdegnoso, e già per tali eroismi lo si vedeva in predicazione di antitemporalista , passeggiare alla Dantesca, o alla Ghibelline.

E a dir vero In questi occasione mi sorprese come anche il grave giornale — La Nazione — fosse collo nella rete da giudicarlo tale da poter divenire «degno amico dei professor Passaglia, e suo emulo nel patrocinare la causa Italiane» (Naz. 22 011. 1861).

Affè, dolcissimo Sig. Barbera, se aveste meglio approfondito la bisogna, impegno la mio testa, che coll'esimio Monsignor Liverani l’avreste adagiato su qualche stato de' suoi Canonici di S. Maria Maggiore descritti mirabilmente nell'opuscolo edito pe vostri tipi — Il Papa to l'Impero ed il Regno d'Italia!

Ad esservi schietto Sig. Editore su certi temi io sono stato sempre d'avviso elio come il seme é l'albero, il ragazzo è l'uomo, casi le abitudini dell'adolescenza o della gioventù non valgono a curare le stimmate profonde delle prime impressioni, etiam cum senuerit. Quindi allorché mi vellica all'orecchio qualche eccentricità di natura, d'indole, di carattere, o di abitudini, a costo di venire in voga di censore indiscreto, o di mal fidato, tal notizia mi suono quasi neo conversione operata più che da sincere convinzioni da rancori, o da stimoli bastardi accesi da ire fratesche o pretine; soglio pigliarla, pruol jacet, in deposito, in acconto, o meglio come un capitale mutuato e semisterile, a cui non inchino mai prestare un'usura troppo grassa.

Esempio ve ne sia fra tanti quello di un altro Curiale Romano Monsignor Cozzala citalo nel Popolo e l'Impero. Fu egli amico de' preti finché sperò la dignità cardinalizia; spaziava nel 48 sotto l'ombra dell'albero repubblicano finché sperò di arricchire; nel 49 ripiegò verso i preti. quando confidò nel loro perdono; condannato in vece all'ergastolo perpetuo, cd evaso dal Castel S. Angelo, si restrinse alla cintola de' liberali; redasse in Genova il giornale la Speranza, ma quando la Speranza divenne disperazione, abbandonò i liberali, e ridolinsi in un convento, in occasione del passaggio di Pio IX per la Toscana nel 1896, salto la zimarra di un vescovo si gittò e piedi del Papa, tornò al vomito, e ridivenne il prete che era.... !!

E dell'Antonelli non vi sovviene d'aver letto che la Indipendenza Italiana fu (per lui) il sospiro e lo spasimo di tutta la sua vita 2 . E se non me lo vietasse — la riverenza delle Somme Chiavi— qual altro Nome di una disdegnosa celebrità non potrei io qui citarvi? In materia di siffatte conversioni non son gli Arnoldi o i Savonarola ch'io temo; mi conturba piuttosto, tutto considerato, l'avaro spettro d'Iscariotn.

I Liverani, i Reali, i Perfetti ec. sono eccezioni rare, e da ben ammirarsi.

Però, signor Editore, per tutto l'oro dei mondo rifiuterei inesorabilmente la taccia di parziale e d'ingiusto per chicchessia. Or bene, quanto d vero il mio esposto sul cardinale De Andrea, altrettanto (per non dar di cozzo nella intemperanza) i per lo meno erroneo che moltissimialtri cardinali e prelati accolsero il Fiore qual personaggio autorevolissimo rappresentante la legittimità di Borboni.

Io avea uno norma di condotta preconcetto, per la quale m’era ascritto a debito di non assistere spettatore indolente alla scena straziante de' mali che per la mia singolare promiscuità di Romano e Napolitano sentivo in me la forza di poter impedire. In tale stato d'ispirato coscienza sarei stato senza fallo redarguibile di connivenza codarda, ed avrei dovuto rimpiangere gli eccidi che si minacciavano verso i miei cooriginarii, non che gl'imbarazzi crudeli che si apprestavano al Governo Nazionale protetto visibilmente dalla Provvidenza. Mentre però mirava ad uno scopo cosi santo, non dovea scottar l'orbita delle mie operazioni spingendomi al superfluo o moltiplicando atti che avrebbero assunto l'espello d'ingerenze odiose e gratuite. In somma io era presso a raggiungere l'organico interno ed esterno della reazione, come pure gli autori ed i complici, e poco mancava ch'io fossi in grado di sventare gli apparecchi terribili che in quel momento formavano il nucleo degli ordimenti Borbonici. Non dovea andar più oltre; e per esonerarmi da colpose imputabilità era mio debito l'osservar rigidamente il moderamen inculpatoe tutela e.

Governato da tal criterio io mi tenea possibilmente lungi da qualsivoglia atto che avesse potuto eccitare provocazioni alla buona fede eziandio di nemici e di carnefici, e costretto dal De Cesare a presentarmi al De Andra, fu ben lieto che quell'offa sbramasse un istante le fauci affiancato di quei cerberi, e stimai che il tergiversare e altalenare Uno alla giù meditata mia partenza, non mi avrebbe levato in sospetto. M’astenni quindi dal tentare altri qualsivoglia non che cardinali o prelati, e non so mio Editore, chi sia stato cotanto audace d'abusare della vostra buona fede nell'imbeccarvi la menzogna di un'adesione qualunque de medesimi. Se qualche faccendiere ve li abbia indotti, tanto meglio pel vostro e mio argomento stilla complicità de' pontificii, ma d’averla ottenuta non m’appartiene né il biasmo né la lode, e sfido a provarmi il contraria. Badate veh caro Barbera, e perdonate in ciò la mia franchezza, badate di non isdrucriolare in nuove illusioni col venir fuori con altri proclami di mio carattere, dacché vari esemplari, come sopra vi cennai, se ne abbero l'ex-Re, lo Statella, il ho Cesare re. L'obbligo che v'incombe è di coartare me che voi accusate personalmente presente e proponente l'adesione in discorso; altrimenti non parmi osar di soverchio ov'io vi pregassi per altra tinta di non imbrattar pagine collo straziare improvvidamente la verità, forse nella ingenua speranza o nella fallacia delle apparenze più o meno plausibili che gli addetti alla corte di Francesco II presuntivamente inviliti od impacciati nella intrinseca ignominia della loro posizione, non abbiano, quando che sia, donde levar la fronte contro asserzioni ingiuriose di liberi scrittori.

Ma torniamo al tema da cui senz’addarmene, sonomi alquanto dilungato.

Offersi già al mio lettore il testo originale del proclama borbonico, e i vani incidenti che l'accompagnarono.

R tempo ormai che gli si pari dinanzi la struttura organica del macchinismo reazionario, al elle, conforme al mio assunto, tosto m'accingo.

Prima altresì di delineare gli interessanti e caratteristici episodii che si distinsero precipuamente in questa storia singolare, parmi opportuno di sottoporgli distintamente i personaggi principali che vi figurarono, e le parti da essi rappresentate.

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Parte Napolitana

I. Francesco II. Borbone ex-Re di Napoli.

2. Moria Sofia ex-Regina.

3. Francesco Paolo Borbone, Conte di Trapani, zio Paterna, dell'ex-re.

4. Maria Teresa d'Austria, vedova di Ferdinando II. Borbone.

5. Conte Statella, ex-Generale, primo ciambellano di corte, complimentario dell'ex-regina vedova Maria Teresa d'Austria.

6. Pietro Ulloa, consigliere dell'ex-Re.

7. Bartolomeo (Illoa, ex-Generale d'armata.

8. Carbonelli ex-ministro di Finanze.

9. Vial ex-Generale già comandante di Piazza nell'assedio di Gaeta.

10. Clary ex-generale.

11. Bosco ex-generale, onorato di urli e fischi a Milazzo.

12. Monsignor dell'Aquila, confessore dell'ex-regina Maria Sofia.

13. F. G. Laverà, comandante in capo per la reazione nelle provincie dell'Aquilano.

14. Principe di Bisignano.

15. Monsignor Guglielmo De Cesare, generale cassinense, indi promosso a visitatore generale de' girolamini, eletto anche ad uno de' difensori per la causa della beatificazione di Maria Cristina di Savoia.

16. Barone Luigi De Pasquale.

17. Girolamo Ulloa ex-tenente colonnello, militare già sotto Ferdinando II., indi disertato la sua bandiere, passò nelle fila Piemontesi, dove diè saggio non dubbio di suo valor militare: nuovamente disertore da queste, oggi reazionario in Roma presso Francesco II!!?

18. Principe Rullano, aggiunto e complimentario dell'ex-re.

19. Cavaliere Ruiz, segretario di corte.

Parte Pontificia

20. Cardinale Giacomo Antonelli Segretario di Stato di Sua Santità.

21. Cardinale De Andrea già Prefetto delta Sacra Congregazione dell'Indice, vescovo di Sabina.

22. Monsignor De Merode pro Ministro dell'armi, Cameriere segreto di Sua Santità, superiore delle Case di detenzioni di Roma, e fo rnitore delle medesime.

23. Monsignor Matteucci, Direttore generale di Polizia, Vice Camarlingo di S. R. C.

Conventicola riservata di provvedimento

per armi e danaro in una sala del palazzo Braschi

24. Bariletti Ettore, senzale a Campo Boario, compare dell'ispettore di polizia Valentini.

25. Duca Salviatj Borghese.

26. Cortesi Vincenzo, mercante di compagnia, incettatore di derrate cogli Antonelli.

27. Graziosi Fragincesco frenaroli e civanzisti.

Graziosi Lui frenaroli e civanzisti.

28. Barone D. Pio Graziali.

29. Marchese Capranica, Presidente del Rione Trevi.

30. Principe Orsini di Gravino.

31. Marchese Ferrajoli.

Aggiunti Esteri

32. Maria Isabella Borbone ex-Regina di Spagna, zia dell'ex-Re Francesco II.

33. Barone De Back Ambasciatore d'Austria.

34. De Souza Ministro di Spagna.

35. Arnaud antico primo Ministro d'Ambasciata.

36. Marchese Luigi Bargagli, ex-ministro dell'ex-Leopoldo di Toscana.

37. Cecchini, segretario di detto ministro.

Addetti al Comitato

38.Conte Dandini De Silva, assessore.

39. Avvocato Pasqualoni proassessore.

40. Cavaliere Severi Archivista segreto di Polizia.

Agenti principali di polizie

41. Valentini già birro, e dipendenti: ora Ispettore della Polizia Romana.

42. Giommaria, Brigadiere di gendarmeria pontificia.

Commissione di pagamenti

43. Monsignor Ferlisi, Patriarca di Costantinopoli, presidente.

44. Monsignor Niccolò Di Marzo, palermitano.

45. Monsignor Domenico Guadalupi, napolitano.

46. Monsignor Carlo Borgnana.

47. Barone Trasmondo, primo segretario.

48. Monsignor Guglielmo De Cesare pagatore.

49. Monsignor Monaco, consultore del S. Uffizio.

50. Cavalier Buonamici, segretario postumo della commissione ai pagamenti, spedizioniere Apostolico, romano.

Contribuenti principali

51. Maria Teresa d'Austria, regina vedova.

52. Monsignor Ferrari, ministro di finanze pontilleia.

53. Freschi Ignazio, pizzicagnolo a S. Carlo al Corso.

Agenti sollecitatori ed esploratori principali

54. Luigi Pelagallo pro capo d'ufficio nella Sezione Passaporti.

55. Monsignor Muccioli, consigliere dell'avvocato Pasqualoni ponente della sagra consulta.

56. Francesco Principe Chigi presid, del Rione Regola.

57. Principe Orsini di Gravina.

58. Marchese Capranica, presidente dei Rione Treni.

59. Avvocato Bajole, economo dell'ex-regina di Spagna Maria Isabella Borbone.

60. Monsignor Michele Loschiavo, fu nolo delegato in Civitavecchia per le sue conquiste amorose.

Proseliti principali

61. Eugenio Abate Ricci di Faenza.

62. Pasquale N. ex-militare, domestico de' fratelli Ulloa.

63. D'Amato D. Peppino ex-sergente doganiere, promosso con decreto in Roma a tenente di dogana in disponibilità.

64. Vagnozzi, farmacista a piazza di Campo di Fiore.

65. Monsignore Nardi Monsignor Berardi.

66. Monsignor Folicaldi.

67. Monsignor Golia di Aversa.

68. Servitori, ordinanze, ex-giudici, cancellieri, impiegati doganali, scribi, guardaboschi, cadetti di collegio promossi, ex-ispettori di polizia napolitana, i così detti feroci ossia birri, uscieri, facchini, camorristi, lazzari, frati e preti napolitani, ed altre masse di feccia siffatta.

Uffici dei pagamenti

Palazzo Forasse al domicilio de' fratelli Ulloa, 2.° piano Palazzo Farnese In casa dell'archivista Sig.

Palazzo Costa presso S. Marcello, piano 2.° interno in casa di Giacomo Giorgi.

Distribuzioni segrete

Palazzo Ferrajoli, piazza Colonna in casa Buonamiei spedizioniere apostolico 3.° piano.

Alloggi straordinari stipendiati dalla Commissione dei pagamenti

Albergo del Paradiso sulla piazza Pollarolo.

Albergo del Sole, piazza Pollarola.

Albergo e stalla alla Croce bianca, piazza Farnese.

Alloggi gratuiti

Colonnato interno del Palazzo Farnese.

Sedili e marciapiedi nell'esterno di detto Palazzo.

Luoghi di alto convegno segreto

Ville Patrizii fuori di porta Pia.

Convento di S. Angnese fuori della porta.

Recapiti principali dello reazione

Caffè Piazza di Sciarra detto del Veneziano, e precisamente ne' camerini dirimpetto al Caravita, per l'alto ceto.

Caffè sulla piazza di Campo di Fiore pel ceto medio.

Caffè di piazza Farnese, specialmente pe' famigli della corte napoletano.

Ritrovo per le masse d'ogni risma, a piazza Farnese, piazza di Monte Cavavallo, piazza dl Grotta Pinta, S. Andrea della Valle dal lato della porteria de' frati, campo Vaccino.

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Capi banda, Capi squadra, e briganti principali nelle provincie

69. Giorgi Gioeomo, e nipote, arrestati in Roma dai Francesi, indi espulsi per Malta.

70. Il Boja di Napoli e Caserta, arrestato e Valletri da' Francesi.

71. N. N. Ispettore di Polizia borbonica nel distretto di Sora. Costui spedito da Monsignor Golia portò a Roma sa campione delle 300 bombe detenute in custodia del detto Monsignor Golia.

72. N. N. ex-tenente di gendarmeria borbonica in Salerno,espulso dà Francesi.

73. Crocco Donatello, caprajo, capo.

74. Alfonsi Luigi (Cmavoas) caprajo.

75. Alfonsi Valentino, di lui fratello.

76. Langlois Augusto; arrestato in Ascoli, e fucilato.

77. Capdevile Augustino, spagnuolo, fucilato a Potenza.

78. Del Greco Salvatore, destinato per Gioia.

79. Della Gala Cipriano, in Avellino.

80. Gemmino Niccola di Meio, ucciso a Potenza.

81. Ninco-Nanco di Napoli, costituito il 7 Dec.

82. Saccinto N. di Bari, fucilato.

83. De Feo N. di Avellino, costituito.

84. Capuano Michele; e

85. Tanni Michele, costituiti nel Molise.

86. Salines Pasquale del Belgio, fucilato.

87. Colonia Salvatore, ex-birra di Napoli. arrestalo.

88. Saracelli Niccola, ex-maggiore di Gendarmeria borbonica, consegnalo al potere giudiziario.

89. Chevigny colonnello Belga.

90. Gesù Maria, per Potenza, fucilato.

91. Riccardi Luigi; ajutante di Chiavone, fucilato.

92. De Masi Andrea, soprannominato miseria, per Benevento, costituito al capitano Capanna del 48° bersaglieri.

93. Angelini Antonio, detto Muzio, arrestato in Ascoli il 23 Dec. 61.

94. Guazzi Pietro, e

95. Tallarico Carmine di Carsoli, entrambi costituiti all'Intendente di Nicastro il 21 Settembre 61.

96. Mucciaciaro Antonio, detto pelo di copra, e

97. Migliarese Niccola, entrambi per Benevento, arrestati e fucilati in Benevento il 21 Settembre 61.

98. Cultura Niccola, capo brigante in Colle, distretto di Garanti: presentato a quel Sindaco il 22 Sett. con 50 altri briganti.

99. Del Greco Salvatore, per Gioja, costituito.

100. Melitto Lorenzo, capo brigante.

101. Gargano G. capo brigante sul Tortore, fucilato.

102. De Briga Monto per Messina.

103. Caposele Carviani Lorenzo di Avellino, ucciso il 23 Gennaio dal pastore Pietro Contursi

104. Scala Michele, e

105. Scala Domenico, Oglio; assassini del Luogotenente Prendi. Costituti al potere giudiziario di Nola il 22 Dec. 61.

106. Fasceno Bustachio, capo brigante nel Montepeloso, arrestato il 3 Gennajo 62 in Montescaglioso.

107. De Trigue, belga, ucciso con 28 briganti in uno scontro con le R. truppe il 14 Nov., in Castellaccio.

108. Carbone N. ucciso in Catanzaro il 7 Gennajo 62 con i suoi compagni.

109. Cicchinelli Daniele, terrore del Roveto, fucilato in Rondinara il 1° Gennajo 62.

110. Disdora, capo reazionario in Napoli, arrestato il 2 Gennaio e consegnato al potere giudiziario.

110. Cucltto.

112. D'Ettorre Gaetano, e

113. Conti Giuseppe arruolati in Terracina dal Commendatore Antonelli, fratello del Cardinale.

114. Piciocchi Paris per Monteforte, poscia ajutante di Cipriano La Gala, arrestato in Napoli il 12 Nov. al largo del Mercatello.

115. Crescenzi Giovanni per Nola, reso e consegnato al potere giudiziario.

116. Franchi sig. Arciprete, e

117. De Girolami Girolamo di Pietraseeea, distretto di Corsali, entrambi alla testa della reazione per S. Maria del Tufo.

118. Borbone Siciliano conduttore dei rinforzi a Chiavone.

119 Tristany, diplomatico Spagnolo, e

120. Pelorosso, fucilato a Benevento.

121. Danobio Amodio altro ajutante di Chiavone.

122. Caposele Lorenzo, ucciso in Avellino il 25 Gennajo

123. Saltelli, emissario, e confidente del Generale Vial.

124. De Lagrange Barone, per gli Abruzzi, partito nel Selt. per Marsiglia e Lucerna commesso da Fr: II. Costui è oriundo tedesco: il suo vero nome è Kleischt.

125. Principe Spinosa Buffo, incaricalo privato di Fr: II per Marsiglia e Parigi.

126. Merenda, ispettore di polizia borbonica, arrestato da' Francesi in Roma, ed espulso.

127. Florio Angiolo di Teramo, ucciso colà il 18 Sett.

128. Merissas.

129. Gis.

130. Marinet.

131. Baldanora.

132. Verturon, tutti del Belgio, offerti a Fr. II da De Merode, ed imbarcati a Civitavecchia per Malta.

133. Emidio Ricci di Rieti, ex-capitano borbonico, arrestato in Veroli da' Francesi il 22 Sett. indi fucilato.

134. Marchese Tressan di Namour, belga, fucilato a Potenza per ordine del Generale Lamarmora.

135. Caracciolo...... di Napoli.

136. Barilla di Avellino.

137. Marra di Regio; latitanti.

138. Borjès José di Catalogna fucilato de' seguenti suoi compagni.

139. Cambrì Gaetano di Valenza.

140. De Turientes ]ossi, di Bilbao.

141. Maschy Nicolao, di Catalogna.

142. Imess Francesco, Catalogna.

143. Davis Francesco, Valenza.

144. Beigo Leonardo, Corleto.

145. Cosenzo Lorenzo, Castiglia.

146. Martinez Pietro, Aragona.

147. Gaelecchio Mario, Corleto.

148. Capuano Michele, Cosenza.

149. Tanni Michele, Molise.

150. Salines Pasquale, Medina.

151. Bocajo Francesco, Avigtieno.

152. Laffond Agostino, Spagna.

153. D'Alessandro Niccola, capo brigante, ucciso la notte del 28 Gennajo.

154. Bianchi Angelo, detto Turco, ucciso su monti di Bojano da' prodi bersaglieri, comandati dal valoroso Capitano Desperati.

155. Piccioni Gioacchino, costituito in Ascoli.

156. Cozzitto N. capo brigante in Goda, arrestato il 16 Gennajo.

157. De Wolteville Barone Maurizio, emissario privato di Fr: II per le Marche ed Umbria, uffiziale dei 6° reggimento Svizzero ex-borbonico.

158. Cosmi Giordano di Benevento ucciso In notte del 2 Decembre.

159. Vitali Luigi di Sansevero, costituito.

160. Advocat Docteour del cantone di Vaud, fucilato in Pietragalla.

161. Sartoriello Luigi, arrestato in Ascoli.

162. Perni Giuseppe, entrambi fucilati per tentata fuga.

163. Ceccarelli Francesco per Malta.

164. Cutolo Alfonso, Romano.

165. De Fouet, di Francia.

166. Mazorat Leopoldo, Prussiano.

167. Saracelli Nireola, Napoletano, ex-maggiore di gendarmeria.

168. Lafaya Emanuel, Spagnolo.

169. Heredio Torivio, Spagnuolo.

170. Pedro Antonio, Spagnuolo.

171. Gueregno Emnnuel, Spagnolo.

172. Doveno Dionisio, Spagnuolo.

173. Huertas Jouan, Spagnuolo.

Questi dieci ultimi furono arrestatati in Alatri dai Francesi il giorno 11 Gennajo in una locanda diceria Villa.

174. Catelinant, della vecchia Vandea, per Malta.

175. Villani Angiolo Maria del samhro:terrore delle montagne di S. Severo co’ due seguenti.

176. Codipielro.

177. Monnella.

178. Trotta Antonio.

179. Pangini Francesco.

180. Vessella Andrea, fucilati a Pontecorvo (stato romano), il giorno 8 Gennajo.

181. Socambro Angelo Mario capo brigante in S. Bartolomeo, presso Capitanala.

182. Fratelli Jacomini, arrestati il 2 Marzo nel convento di Pereto (Abruzzo Ulteriore).

183. Duca di Caianello, arrestato in Napoli il 5 Aprile 1861.

184. Annoto Roccuerrt, cappellano de' reazionari in Roma.

185. Ascenzo Napoleone, devastatore del Cicolano, (Prov: d'Aquila) arrestato in Borgo Collefegato (Abruzzo Ulteriore), e fucilato a Fiammingo il 21 Marzo 61.

186. Monsignore Margherita Vescovo d'Oria Prov. di Lecce, capo nella reazione di quella Provincia.

187. Capuano Michele, fattore del principe di Bisignano.

188. Marsica Antonio.

189. Aquilecchia, ricco proprietario.

190. Calabella, ex-consigliere d'intendenze.

191. Parrini, e

192. PADRE Rocco da Cancellara, ex-prov: de' PP. Riformati, destinati per Melfi.

193. Latargìa Filippo, siciliano, birra in Salerno, destinato per gli Abruzzi.

194. Baldacci, già compagno del famigerato Passatore in Romagna.

196. Santi..., capo brigante Calabrese, fabbricatore degli anellidi piombo per contrassegno dei reazionarii.

197. Antonio Viscosa, ex-primo sergente della famosa gendarmeria borbonica, arrestato la Napoli il 6 Novembre 1861 con altri 20 arruolati, pronti e partire per ingrossare la banda di Cipriani.

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I luoghi destinati dal comitato reazionario di Roma

a centro per lo sviluppo del brigantaggio.

Gaeta — Napoli — Salerno — Avellino — Ariano — Bovino — Foggia — Lecce — Taranto — Brindisi. —(Città designata allo sbarco di Francesco Paolo Conte di Trapani) — Malta — Sicilie — Aquila — Sulmona. — Calabria.

Paesi affiliati

Pietragalla — Cancello — Arpino — Isola — Veroli, stato romano — Auletta — Potane — Cosenza — Pescopagano — Bella — Muro — Grassano — Scifelli — Monti di S. Gregorio — Romagliano — Montagne del Circeo — Bosco di Monticchio — Cuccaro — Lagopesole — Prato di Campoli — Monte S. Giovanni — Monticelli stato romano — Sale — Caserta — S. Germano — Antonomina su monti di Gerace — Aversa — Maddaloni — Pozzuoli —Arci — S. Giovanni Incarica — Veglio — 5. Martino nel Beneventano — S. Severino —Lucera— Romagliano—Balvano, principato citeriore — Stigliano—Terracina, stato romano — Boschi di Gioia, Matera, Metti — Montesarchio — Candela—Ascoli—Bosco Dragonara, e di Umbra sul Monte Gargano—Monti di Sonnino, stato romano—Canistro — Pontecorvo, stato romano — Vaglio — Campo maggiore — Accettura, — Garaguso nella Basilicata —Cervinara — Vaglio — Castelgrande — Baragiano — Casoria — Calvano — Carnali — Parete — Tagliacozzo — Colle — Rocca di Botto — Pietrasecca — Alatri, stato romano — Pontelandolfo — Valmontone (stato romano) — Monti di Avella— Arci — Avezzano — Apricene — Achi — Atripaldi — Avigliano — Allista — Altino — Atella — Bojano — Bellino — Civitella — Cosenza — Coravilli — Castiglione — Cenoni — Celico — Dardine —Fajano — Falconaro — Grassano — Gerace — Gattoria — Gioviosa — Grottello — Lappano — Larino — Monteverde — Maddaloni — Mammola — Montefalcione —Montemiletto — Marciano — Magliano—Montagnano —Pozzuoli — Pica — Pontecorvo — Pratola — Parolisi— Pedace — Racale — Ripacandida — Rosa — Sorbo — Salsa — Savello — Spezzano — Sideano — Sala — S. Giovanni Incarico—S. Paolo —S. Angelo de' Lombardi —S. Severo — S. Croce — S. Germano — Torremaggiore —Tufo — Tamaro — Teano — Volturara — Visciano — Vasto Girardi — Urceri — ecc. ecc. ecc.

In questi paesi appiattavansi comitati, i quali avevano i loro affiliati ne' luoghi sopradescritti, ed in questo tessuto di ragnateli sognava la reazione vittorie e trionfi su tutta la linea.

L'Isola di Garibaldi e di Ruggiero Settimo era designata a cadere dopo terra fermo, scoraggiata e conquisa come corollario di più formidabili vittorie, giusta l'esperienza del 1848 segnalato dalle stragi di Nunziante e Filangeri.

In questo specchio compendiato riverberano i primarii Personaggi dell'osceno convito di Catilina; rinfrescasi la triste ricordanza deiNeroni, de' Caligola, e de' Dionigi diSiracusa, degli Acton, e dei C oscia. Questi nomi offrono dolorosamente alla storia un monumento infame di scettrati carnefici dei popoli, di rinnegati figli della protopatria dell’universo, di sacrileghi profanatori del
Tempio e della Chiesa, se cui pende tremendo il flagello e la verga di Gesù Cristo certo o per rilevarneli penitenti
tra le amaritudini e le tribolazioni, o per anticipar loro un'arra terribile di futura dannazione.

È questa la tela misteriosa ordinata nelle tenebre, e sotto gli occhi aperti del Governo Pontificio.

Uno studio indefesso ed ostinato me ne condusse alla scoprimento senza averla già allieta da altrui, me coll'averla sviscerala di per me testimone diretto e presente d'ogni cosa che internamente e Roma si passasse fino al 23 Settembre 1861 epoca della mia partenza.

I fatti che son per narrare sotto tali auspici mostrano l'indole il linguaggio e le tendenze de' nemici del nostro riscatto; la viltà, la scarsezza, la risma, il color delle persone, ed il favor fattizio mendicato o loro sostegno; il predominio delle passioni, e lo stato miserando di discendenza e di corruzione di Roma pontificale che ti carezza.

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Era mestieri che in Roma fossero serrati gli occhi, od ottusi gli orecchi di tutti per non addarsi dello studiato concerto delle conventicole quotidiane alla Villa Patrizii, o a S. Agnese fuori la por ta Pia. A meno che il senso comune non si coniasse presso il cavaliere Giuseppe Mazio alla zecca pontificia, o nelle sale del tribunale della S. Consulta pressoMonsignor Sagretti, non era lecito certamente dubitare sulle tenebrose macchinazioni di quella congrega. 1 precedenti dello due corti borbonico-papale, ed i susseguenti, autorizzano o giudicarlo a priori ed e posteriori dal frutto delle loro opere.

A gittar polvere sugli occhi de' stupidi, gl'Illustri intervenienti immaginarono di velare lo scopo delle loro gite col meschino pretesto di offerire visite e omaggi agli augusti Principini Napolitani che stavansi a sollazzo nella Villa predetta.

Nelle ore pomeridiane dalle cinque alle sei chi per diporto fossesi recato lungo la Porta Pia, avrebbe inteso frastornarsi il silenzio di quelle pacifiche contrade da un attrito straordinario di cocchi, i quali a distrarre i curiosi ora a S. Agnese, ora a Villa Patrizii mettevan capo.

Assidui al convegno erano l'ex-Re e la Regina, i suoi generali ecc. ecc. a forma dei quadro sinottico di sopra esposto nelle rubrichecomitato parte napolitana, parte pontificia, e aggiunti esteri pag 32 33.

In ambedue queste residenze s'accentrava il punto moderatore de' movimenti briganteschi che andavansi succedendo. Quivi ogni cuore si esauriva e disacerbava liberamente tra i deliri d ogni frenetica esorbitanza; ogni dolore blandivasi tra le fantasie lusinghiere della speranza.

Un ragguardevole personaggio di colà dentro, men cieco, il quale mi regalava la sua confidenza, tra le altre cose rivelavami in succinto lo scopo supremo cosmopolitico di tante commozioni, con tale peritane però che mostrava apertamente una sensibile disfiducia, e di convinzione.

«Il piano (dicevami....... R. ) è di vita o di morte. Lo sventurato nostro Re è stato tradito. da ogni parte, specialmente in Gaeta da un rinnegato ufficiale che colla luce dello zigaro, di notte tempo segnalava al Generale Cialdini la postura della polveriera, la quale indi saltando in aria affrettò la caduta. Questa rubò il tempo necessario per contrapporre all'esercito una organizzata reazione interna, di cui la rivincite non doveva esser dubbia. L'infelice Re in mezzo alle braccia infinite, che gli protendeano amorosamente i suoi figli del perduto. regno, non poteva abbandonarli senza una crudele viltà, anche in vista di un futuro pregno di avvenimenti, rinnegare i quali sarebbe stato lo stesso che recalcitrare alla Provvidenza che ci comando d'ajutarci per esser aiutati. Scopo pertanto dei nostri movimenti d di collegare insieme tutti gli elementi omogenei, coordinarli e tentare l'estremo scampo di salute. In queste veduta abbiamo naturalmente dalla nostra in primo rango il Governo Pontificio, che ormai conte una domesticità tradizionale reciprocamente paterna e filiale. I nostri fianchi sono. abbastanza vigorosi per le forze ancor fresche del Duca di Modena, e cogli infiniti partigiani suoi di S. Santità, di quelli di Maria Luisa di Parma e di Leopoldo di Toscane. Un colossale corpo di riserva è formato dell'Austria. Or bene, ove e Dio piacesse di ridonare al suo trono Francesco, non appena riorganizzato il suo esercito, si sarebbero fatti movimenti in avanti dal Po, e delle frontiere Romagnole e Toscane, e con un esercito anelante ad una giusta vendetta si sarebbe per lo meno a imposto col numero alle terre usurpate da quella buona lana di Vittorio Emanuele; si sarebbe ristretto nel suo angolo settentrionale, dove pure il diritto di guerra o di rivincita ci avrebbe permesso penetrare. Quivi sulla Italia sbigottita sarebbersi riaffacciate in giuoco le raffinate ragioni del diritto vigente internazionale dell'Austria, la quale non avrebbe avuto più possenti ragioni a temer della Francia, contro cui avrebbe ben volentieri levato la fronte tanto per noi consorti della sue causa, quanto a per vendicare le mozzorecchierie imperiali di Villafranca. Questa signora Francia Napoleonica alla luce di tanti fatti compiuti avrebbe dovuto acquistarsi o riperdere la sua influenza sull'Italia, o se avesse attizzato In guerra generale, avrebbe sperimentato il peso sopra di se di una facile coalizione capitanata dall'Italia restaurata, e sussidiata dall'Austria, Spagna, e dalle Potenze o ligie o interessate, col rimorchio naturale di potentati secondarii o convinti o dipendenti, e non sarebbe stato fuor di proposito il concepire una nuova a processione alle Blucher e Wellington sopra Parigi per finirla per lo meno con una abdicazione di Fontainebleau o delle Tuileries, e mandare al diavolo la gherminello dei vitti universali, e colla benedizione del Vaticano dar riposo a tante agitazioni artificiali col semplice richiamare in vigore i sacrosanti trattati di Vienna, che la moda non vuoi riconoscere».

A tali profonde viste politiche associavansi prossimamente mezziMetternichiani suggeriti dalla feroce mente delBosco, i quali riassumevansi in questi moralissimi dettati.— Alzare una bandiera qualunque, purché non sia quella del re, insorgere ad un grido qualunque, purché sia un grido di avversione contro il governo, semi nare gli odii ed il discredito; usufrut tare le ire, le inimicizie, i cattivi istinti di popolazioni ignoranti, e metter tutto a profitto della causa della restaurazione.

Erano queste le voci disperate del dolore e dell'orgoglio ferito nella parte più sensitiva dell'anima. A cotesta consorteria di sventura era riserbata l'iniziativa di un sistema segreto e misterioso, inetto ad ogni mezzo estremo giustificato, secondo loro, dalla straordinarietà de' capi, e dalla entità infinita de' mali incorsi e minaccianti. Tale sistema per altro dovea adattarsi compatibilmente colle rappresentanze politiche o diplomatiche de' respettivi ministri..

Oggetto e soggetto della quotidiana frequenza n'era la traduzion pratica diretta a provveder uomini, armi e danaro, come purea dar esito a disposizioni analoghe nella varietà infinita delle notizie provvenienti da tolti i punti dove metteva capo il contraccolpo reazionario, le quali presentavano difficoltà sempre nuove a risolvere, partiti da prendere etc.

Fedele compilatore del compendio quotidiano sugli avvenimenti borbonici, e sullo stato della città, era il Cavaliere Severi archivista segreto della polizia romana collaboratori il Conte Dandini De Sylvared avvocato Pasqualoni, assessore il primo del governo romano. Un esemplare era spedito ogni di alle ore 11 antimeridiane a S. Santità al Valicano, da dove poi le notizie relative passavano al Quirinale col mezzo del fido Luigi Pelagallo funzionario romano nell'ufficio vie' passaporti, il quale fino alle ore due pomeridiane circa tenevasi impreteribilmente in segreto colloquio o coll'ex-re, o col sua segretaria Cav. Ruiz. Ove poi cosa occorresse di straordinario, (il che avveniva sovente), in sulla sera al ritorno dei congregati di Porta Pia, in una vettura coperta contraddistinta per usato col N. 638 trovavasi pronto per riferirne in proposito.

Benché la fama infaticabilmente abbia narrato i fatti e perfin le tendenze caratteristiche de' principali personaggi sopra nominati, come pure a dar esito a disposizioni analoghe alla varietà proveniente da tutti i punti dove metteva capo il contraccolpo reazionario, le quali presentavano difficoltà sempre nuove a risolvere, pur tuttavia non sarà fuor di luogo schierarli in un sol punto di vista coll’occhio del mio lettore, affinché ci sia in grado di conoscere ed apprezzare gli elementi di quel consesso.

L'ex-Re Francesco protagonista del terribile dramma che va spiegando le sue fasi sanguinarie nelle afflitte provincie di Napoli offresi alla mia penna pel primo.

Erede questi di Ferdinando II, benché preconizzato dal popolo come diverso dal suo genitore, non ha avuto il coraggio di smentire le alleanze austriache, gli spergiuri, gli spregi ad ogni sentimento nazionale attecchito fra i Borboni a tradizione domestica. Intrinseco ai Gesuiti in verde età, non seppe emanciparsi dalle dottrine eunuche, illiberali, ed aggiustate amorevolmente a sistema preconcetto per un regno preponderante predestinato all'addentellato dei secolari delitti di un passato, e a potente baluardo del futuro. Sbalordito dagli eventi, tenace co' novelli ma impari nel resistere ad antichi consiglieri della corona; facile promettitore, ma osservatore restio delle promesse. Strano contrasto di pratiche donnesche, e di elezione conjugate spinta fino al predominio passiva della sua bella consorte. Del resto di poche lettere officiale, ingegna, e fors'anco liberale di cuore, ma per fatalità d’aderenza d'uomini e di cose, inaccessibile al solo pensiero di libertà, e di nazione.

Sta a lato di Francesco la consorte Maria Sofia. Giovane elegante leggiadra, in fresca età matura di senno, perspicace, acutissima. Offuscata dal fumo delle mene imperiali, nemica sdegnosa di ogni aura popolare. Arretrata coi tempi, passiva nei consigli, e facile dominatrice di debole marito; splendida nelle apparenze cortigianesche, grandiosa magnifica. Scaldato ai raggi vulcanizzati del cielo di Napoli, avidissima del lusso e del piacere.

Rigida a contrapposto agli schivi vezzi di Sofia è Ma ria Teresa d'Austria ex-regina vedova del secondo Ferdinando. — Fosco ed accigliato tipo germanico rappresenta in vista una pianta parasita nel giardino d'Italia; onta vivente al leale sorriso della bellezza latina. Gelida come il solito del settentrione, austera d'istituzioni e di massime fremente d'ordini guerreschi, degli ordini militari istigatrice indiscreta. Della pena capitale abolita per fermo volere di Maria Cristina di Savoja, inesorabile e crudele restauratrice nel regno. Ligia al suo primogenito D. Luigi Maria: sospetta e parziale di madrignali consigli verso Francesco. In mezzo al colto esteriore di pietosi ascetismi prodiga di una carità, suntuosa, preda facile del pianto.

Spicca non ultimo tra la reale prosapia il Principe D. Francesco di Paolo Conte di Trapani. Allievo de' PP. Gesuiti nel convitto de' Nobili in Roma, quasi per capriccio di fortuna inoculato alla schiatta de' Borboni. Ostile per istinto alla tirannide e al pretismo che gli proponeva il cappello cardinalizio. Intrinseco di mente e di cuore col Principe D. Antonio zio paterno di Francesco, da questi cacciato in bando da Napoli per tendenze liberali; del fido cane e di generoso destriero domatore superbo, godente, terrore delle gonnelle di Chiaja. Per gelosia solamente delle infide e mal celate madrignali tendenze verso il nipote Francesco assorto nella reazione.

Il quadrilustre principe D. Luigi M aria Conte di Trani, sogno dorato, gioja opaca della Vedova ex-regina, Ferdinandea, che avria stritolato Francesco per istallarlo sul suo soglio, svestite le gramaglie di Gaeta, le gioja della vita e i freschi olezzi del talamo cognatizio colla germana Maria Sofia, respira cure di sodo sol per le narici materne.

Segue l'adirosetto e baldo Contino di Bari di nascente ambizione, parodia vanitosa e fugace.

Spiccio fra le minori stelle gli Augusti Rampolli del sangue, i quali, pretesto innocente per biechi cospiratori, tra i vezzi e le grazie dell’età fean smarrire i presagi e le speranze.

Confortó anch'essa d'un suo consiglio il desolato nipote Isabella di Spagna, dolente onor per le fitte di uno forzosa abdienzione offerivagli il cruente tributo dell'ire e delle furie tutte della vendetta.

Fra i ministri dell'ex-re Carbonelli era senza confronti il più affezionato; tenne altresì più per la causa Napoletana che pei Borboni, dotto, buon economo e religioso.

Uomo di antica probità l'ex-consigliere di Stato Pietro Ulloa, pertinace ne' vecchi sistemi, recalcitrante ai nuovi, più rimesso che ambizioso, invilito della sventura, meditabondo e cruccioso, ma affabile ed umano verso coloro che giammai avrebbe voluto salutar per eguali.

Ardito all'opposto e indomito Bartolomeo germano di Pietro. Fulmine in pace mai vide in guerra il nemico. Deforme, butterato e sehiacciato in viso come Cangrù; goffo contrasto di vanità per lo chioma profumata, e per gli aguzzi mustacci. Del resto esperto in ufficio, temuto e rispettalo.

Efferato per istinto il oratore tra i generali Conte Statella ogni altro vinceva nel terrore e nella ferocia più disumano. Vecchiardo indomito robusto; sordo suspicioso, accipigliato, guappo, tronfio, superbo, nauseante pei guardo semispento e socchiuso; avido e innocuo scrutatore dei pensieri; imperioso senza dignità, esperto senza acume; assoluto di principii per indole; inaccessibile alla pietà, inesorabile acerbo; fido per ostinazione, animoso per brutalità; iroso cittadino, intrattabile militare; modello principe, archetipo originale e vivente di un soldato della reazione. Figura cortigianesca nata a posta per le goffe contorsioni di ciambellano nelle sale simpatiche dell'austriaca Teresa.

Via l, ex-comandante in rapo della piazza di Gaeta, fido ombra del corpo reale; acuto ed abile consigliere, convinto della sua causa, affabile coi suoi, franco disinteressato, di causa migliore degnissimo.

Clary , avaro, ambizioso, uccellatore di opportunità sospetto di fede alla corte, altrettanto; simulatore e zelante per ricuperarne le perdute grazie.

Bo sc o, canoro magnificatore d'imprese, avido di gloria dove l'oro rifulge; pieno di mozione sacerdotale, mediocre soldato.

L uverà , già colonnello promosso indi e generale in Roma. Giovane sagace quanto dentro d'ingegno, manieroso, sdolcinato, preveniente, svegliato, infaticabile, senza fede alcuna, ma schiavo a segno dell'oro da trasnaturarsi in barbaro feroce. Flagello di Casuali, Pietrasecca,S. Maria del Tufo, Rocca di Bo tte, Pereto, dove messo e pezzi l'italianissimo e nobile Luigi De Mary ne diede a sbranar il cadavere a cani di mandro. Fanatico reazionario sul per tentar un colpo di fortuna una sella per sempre. Conquiso indi d'ogni parte, e anelante e nuove stragi per accumulare nuovi tesori, venato in sospetto, fu scacciato dalla corte, e disparve.

L'austriaco Kleischt, fattosi chiamare De La Grange. È presuntuoso millantatore intrigante senza frutto, prepotente, nella più splendida miseria, orgaglioso, intollerabile, spregievole; ardito senza gloria, non curato da alcuno, onore dell'esercito Crocco Borjès e C.

M arra , già ajutante borbonico smarrito nella folla, subordinato, innocuo.

Girola m o Ullo a , già militare sotto Ferdinando II. indi disertore passato a Vittorio Emanuele con onorevole abnegazione: lo dissero le sue gesta in difesa della Indipendenza: nuovamente disertato il Vessillo Italiano, fu ed è colonnello sotto Francesco. Rosso di pelo, divenuto ignobile di figura, versipelle, ipocrita, avaro, misterioso di parole che non sa connettere. Scacciato come indegno dalla grazia Sovrana, proclive ad ogni viltà, per riguadagnarla si ascrisso alla reazione, atterrito di un futuro che temeva sfuggirgli, schivato e disistimato qual umil servo di tutti.

Principe d i Ruffa no . Primo Maggiordomo di corte: personaggio ragguardevole, di sperimentata probità nella corte borbonica, per diuturne abitudini assorbito e convinto, sinceramente affezionato; abile economo di casa; elegante e forbitissimo uomo di conversazione.

Cavaliere de Ruiz , segretario dell'ex-Re, non dissimile dal Ruffano ove a' pregi di questi aggiungasi singolare abilità nel tatto degli affari, indefessa, delicatissimo allo scrupolo; in tributo di affezione di compianto per suo signore, immerso sol nella reazione.

Fra gli esteri distinguevansi l'ambasciadore d'Austria BaroneDe Bach, De Souza, ministro di Spagna, e un Arnaue, antico segretario d'ambasciata; non che l’ex-ministro di Toscana Marchese Luigi Bargagli .

Il primo impaccialo per non poter avventurare efficaci promesse dopo Solferino, né riassicurare il Papa sulla esecuzione del concordato, e sulla libertà religiosa risolveasi in magnifiche parole, e suppliva con zelo pari alla sua rappresentanza promovendo specialmente gli arruolamenti in Trieste e altrove.

In evasive consimili era stretto dileguarsi il rappresentante di Spagna Sig. De Souza, uomo cereo, elastico, semiscettico, semicattolico, semiliberale; del Pontificio Governo dispregiatore, diffidente nel gabinetto spagnolo, e tenace per gli onori della propria carica: di grandi cose promettitore, senza poterne attenderne alcuna.

Tuttavia per la presenza della cattolica Isabella in Roma spinto ad oprare col pio Arnaud sussidiato dall'ex-diplomatico Tristany che più tarli in S. Nicola presso Trisulti briganteggiava con altri suoi dieci compagni, piegavansi alla combinazione di avventurieri spagnuoli pel Borbone e pel Papa, moltiplicandosi senza voglia a tener della carico e delle circostanze alla sua rappresentanza, né tralasciava influenza o consiglio per tener salda la vecchia conta alleanza conformemente alle vertenze correnti. Devotissimo ai Gesuiti con coi divideva il confessionale, era largo con loro di sommissione e di danaro, sborsando perfino due volte al mese, dopo l'audizione sacramentale eseguito col generai procuratore de RR. PP. GG. in propria casa al palazzo di Venezia, scudi cinquanta, per ogni messa. Splendidissimo in Corte, scolo d'ingegno, circospetto e di parole avarissimo, nulla mancavagli per essere austriaco perfetto a danno dell’Italia e degl'Italiani.

L'ex-Ministro Marchese Luig i Bargagli aggrampato alla larva di un potere che gli sdrucciola tra le mani, vi si attiene per forza. Ministro Per diplomatica finzione, si inchino per farsi vedere; parla per. farsi rammentare; interviene esso o il suo segretario per farsi pagare.

La Corte ed il Governo Romano erano specialmente rappresentati, come di leggieri può imaginarsi, dal fabro in capo di ogni nequizia Giacomo Cardinale Antonelli, e suoi. Fra i primi era secondo il Belga De Merode, a cui s'aggiungeva la schiera seguace delCardinale De Andrea, Monsignor Matteucci ed ufficiali Avv. Pasqualoni, assessore Dondini De Sylva, Cav. Sederi, Luigi Pelagallo, delle EE. LL. Ferlisi, Badia, Muccioli, Monaco, senza aggiungervi i principi D. Francesco Chigi, ed Orsini Gravina, Marchese Capranica, la turba rimanente De' Bajola, Vagnozzi, Freschi, Bon amici, fino all'ignobile Abate Eugenio Ricci faentino, complici indistinti, e mercenari.

Non ritrarre di profilo almeno le fisonomie di costoro sarebbe colpa e parzialità verso i borbonici loro colleghi che descrissi di sopra. Laonde per non mancar di convenienza me lo ascrivo a debito rigoroso.

Il Cardinale Antonelli !?!? Le imagini più eccedenti, le diatipòsi più esagerate vengono meno innanzi ad una fama sanguinaria, prevaricatrice e turpe quanto mai seppe cumularsene questa strana figura di uomo!!.... Costui (per dir qualche cosa) riepiloga in se stesso la negazione vivente d'ogni principio divino ed inumano, è il cambio d'ogni valuta, rosa d'ogni vento... sospiro e spasimo per la italiana indipendenza del 47; bombardatore del Quirinale nel 48: gran ciambellano di Gaeta nel 49; ministro della restaurazione nel 50; flagello dello stato della Chiesa; espilatore dell'erario; terrore delle foreste fino al 62. Senza nome, senza dottrine, senza convinzioni, ma solo pessimo trafficatore de' proprii talenti; prositutore sacrilego d'anima e di coscienza ad ogni potenze e prepotenza di Europa, negoziatore della pubblica miseria; usurajo del sangue de' poveri; pomo di
discordia nelle famiglie; menzognero ipocrita e irriconoscente soprattutto verso il Venerabile suo Signore che tuttodi bacia vende e tradisce.

Altro soggetto non meno ribaldo e furibondo é il belga De Merode. Codesto farabutto straniero reduce delle milizie dell'Africa, da li guizzato nel sacerdozio presso il Pontefice, offrirebbe al più ovvio indagatore la pittura dell'anima scotta nella orribile stia lgnra esteriore. Segnato da Dio negli occhi fuor d'ordinario rigonfi e sporgenti, entro cui una guardatura stranamente losca, torva, socchiusa e miopica. Sopra fronte rude ed ignobile sta irto e a ciocche rabbuffato il crine simile a porco spino; naso adunco e prolungato, succhiato nelle gole di color rame, stecchito e lungo di,statura; voce stridula ed esile come l'ululato non virile di un putativo; andatura precipitosa spiritata. In volto rifinito nella negra sua sottana lo credereste o un sacco da combustibile, o qualche irrequieto spettro affamato di uno Bolgia Dantesca.

Antesignano analfabita d'occasione di un legittimismo che bestemmia è la faccia esterna della reazione avvenuta prima Pontificia, indi Borbonica; vagina promiscua d'ogni spada scambiata a vicenda col calice e coll’incensirre. Mendico pellegrino nella Francia e nel Belgio in traccia di stelle in tramonto 3 cui pretese dar luce e tuffò nell'occaso. Fabro inesauribile di progetti da dove gliene rifluissero tesori, perciò assorbente in capo d'ogni fornitura carceraria, perfino delle bettole; tortura spietata dei poveri condannati alle Carceri Nuove, S. Michele, Terme Diocleziane e S. Balbina, pel cui strazio squisito innovatoredi flagelli e di torri vorrebbe restaurata la Colla, il rogo, o il toro d'Agrigenti. Senz’altro convincimento che un cieco furore e la sacra sete dell'oro é l'altro Galaunita del Getsemani intorno al Cristo sudato di sangue.

Monsignor Matteucci. Spontaneo assorbente d'ogni voglia pretesto, istrumento cieco e subordinato del potete maggiore per non arrisicare la dignità, cardinalizia: largo di coscienza e di massime, senza coraggio di riprendere in altri quanto compatisce e vuole in se stesso. Senza convinzione propria, ambitore della grazia de' liberali ad illiberali d'ogni colore. Capo di più figlie, nubili e conjugate. Patteggiatore e prevaricatore impudico della giustizia colle gonnelle. Indomito, passionato, mecenate, contribuente di prostiboli. Prodigo insaziabile nel meretricio per comprarne acquiescenze e silenzio. Del resto acuto d'ingegno senza carico di dottrina, flessibile e buono ili cuore, corrente dove può senza la minima compromessa del suo egoismo.

Conte Dondini De Sylv a assessore. Mostro inimitabile di efferato immanità. Tempra ferrea, crudele, feroce, incognito alla pietà ed agli affetti pila teneri per fino di padre e marito. Amico di nessuno, spregiatore assoluto, irascibile con liuti. Vittima patologica di ostinata podagra ne disfoga l’acerbità, coi subalterni, e cogli avventori d'uffizio. Agitato senza intermissione da interne furie, sorride solo e gavazza tra la gioja selvaggia, i pianti e le angosce de' suoi simili. Uomo estremo oltre ogni credere tenace verso la parte giudicata o vinto, contro cui esulta nell'avventarsi. Quanto intinto di strage e indigeste dottrine, ostinato altrettanto ad ogni costo nel volerla attuare. Giusto d'ingiuriosa giustizia, saldo, incorruttibile, aperto, franco, impavido nella propria opinione che gli ribocca dal cuore. Nato sull'astro ingrato e maligno, ministro inesorabile d'ogni male; vantatore impudente di non aver mai fatto bene e chicchessia; ardente d'uno,treno appetito d'atroce celebrità. Genio di perversità eccezionale, prototipo di una reazione sanguinosa sterminatrice.

Avv. Pasqualoni pro-assessore. Allievo di buoni studii, d'ingegno acuto, propenso per indole a sensi miti e umanitarii, già patrocinatore de' poveri. Come tutti i buoni cultori del foro compromesso pel reclamo de' tempi, fu carbonaro. Ambiziosetto per la previdenza del circolo popolare, repubblicano nel 48; ma rinnegati i liberali, si converse a professione di polizia. Costretto a compensare il sospetto dei precedenti, per amor di un futuro, vendé cuore e coscienza, si atteggiò a ferocia esorbitante. Compromesso co' liberali divenne fido d'Antonelli, copia Dandiniana mal fida e pedante. Abietto mercenario, scherno di preti arrabbiati, a tutti esosissimo, punito e inviso a se stesso.

Cav. Severi archivista segreto, Originale perfetto di un padre Gesuita; modesto, circospetto, composto, imberbe. Religioso fino al fanatismo. Fidissimo alla causa del Governo Pontificio per onesto e vero convincimento. Intelligente, attivo, eloquente, unto e commosso. Parziale, acerbo, insolente sol co' liberali, sebbene accessibile e rugiadoso verso i contriti ed umiliali.

Luigi Pela gallo pro-capo d'ufficio nella sezione de' passaporti. Giovane elegante, e moderno, nato a sentimenti liberali e generosi, d'ingegno scaltro e sottile da rimorchiar non che Monsignore, tutto il dicastero di cui ride alle spalle. Giusto ne' colpi di veduta, franco e sinora, Dato agli estremi contro vere convinzioni, è tuttavia incallito nella viltà d’ogni ufficio, servo umilissimo d'ogni padrone che paghi. Aguzzato e assorto nella casse di spese segrete affidatogli per insinuazione di Pasqualoni, da cui è indiviso, gela e suda con lui in affastellar tesori per prevenire tempeste che mugghiano.

Zelante consigliere intimo al Pasqualoni è Monsignor M uccioli altro de' cortigiani pontifici, Ponente nel Tribunale di S. Consulta; primo cerimoniere delle funzioni ecclesiastiche, tenente il Triregno nelle processioni; meschino intrigante faccendiere nella polizia romana, che coadiuva specialmente nella censura preventiva per la pubblicazione dei giornali esteri. Ignorato da tutti, riverito sol dal Pasqualoni che col suo arrivo quotidiano si contorce, e gli cede il seggio assessoriale. Collega del frenetico Gorgia e del crasso ignorantissimo Bartolini, ecc.; sa appena leggere come in generale i membri di quel cruccioso e pestilenze tribunale. Senza aderenze, e senza argento, è una caricatura de' più che si arrovella fra i pontifici ed i briganti.

Dal complesso di codesti originali potranno i miei lettori rilevarne l'effigie, il carattere e la compressione a cui tali elementi potevano dar vita. Da tali consiglieri pigliavano mossa le agitazioni subalterne e macchinali delle amministrazioni di uomini, di armi, e di danaro. Questi tre punti costituenti il lato materiale della esecuzione della impresa m'accingo a narrare.

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Masnadieri armati componenti le Bande Reazionarie

Gli ex-militari sbandati e dispersi delle schiere dello immortale Garibaldi, o misero avanzo delle ruine di Capua e Gaeta, uno sciame di funzionarii compromessi, di malcontenti, malandrini della schiuma di Ponza e Nisida, o della Vicaria; di affamati faccendoni anelanti gli assalti delle casse e delle taverne, Rodomonti, Achilli, D. Chisciotti. Poi crociati emeriti di Castelfidardo; qualche spurgo di fogna delle darsene pontificie. Indi eroi belgomerodiani, rifiuti elvetici, irlandesi, spagnuoli, austriaci, protestanti, pagani ed altri

Orrendi mostri mai più uditi e visti

Diversi aspetti in un confusi e misti.

Eran queste schiere elette l'invitto propugnacolo dell'augurio di Borbone.

Su tali basi facevasi assegnamento ad un ampia reazione, e non essendo i suoi fabri riusciti a trasformar un solo bandito in soldato, donò rinunciarsi alla guerra civile, e proclamare impudentemente in principio il brigantaggio 4.

Bartolommeo Ulloa , (che avendo perduto egli gli armati, e il suo signore il regno) figurava qual pedagogo senza discepoli; nondimeno riteneva le stesse attribuzioni e qualifiche in Roma colla sola differenza che in vece di reggere e governare soldati era divenuto in fatto il vice capobanda di assassini. Il suo ufficio formale era stabilito ai palazzo Farnese, secondo piano.

Egli n'era il capo col titolo di Generale. Due segretarii, cioè il tenente di fanteria Marano, ed un ajutante portabandiera X. già appartenuto all'esercito.... un ex-maggiore di Battaglione Z. col titolo di verificatore del personale, e controllo; un ex-gendarme di fanteria porta dispacci, e due cadetti di fanteria come aggiunti computisti, un soldato per nome Pasquale, domestico, formavano l'alto ministero.

Quivi presentavansi in frotta uomini d'ogni specie, compresi i già descritti nello specchio sinottico, e quanti altri che discesi dalle provincie napolitane dimostrassero zelo e cognizione di altre persone e di luoghi ai quali veniva affidata la direzione subalterna di altre fazioni reazionarie da comporsi nei luoghi respettivi di destinazione. Costoro, previo esame sommario sulla idoneità, fedeltà presunta, cd altri requisiti di circostanza, istituito un verificalore, oltre somministrazioni descrizionali da percepirsi in Roma estensive alla missione, erano autorizzati con espresso diploma firmato dal Re, contenente un mandato esigibile sulla casse della restaurazione per danari, armi, vestiario, bestiame, viveri, alloggi, e tutt'altro reclamato dalle condizioni eccezionali delle spedizioni, rilasciato dietro ricevuta di ciascun capobanda, con promessa scritta del cento per uno.

Venivano di più muniti di facoltà assolute sopra un dato paese o provincia a titolo d'incoraggimento e compenso della intrapresa. Così a cagion d'esempio a Luigi Alfosi detto Chiavone in data del Novembre 1861 fra gli illimitati poteri s'ebbe lo indulto derivatogli da un autografo del Generale Bosco in procinto dell'attacco di Sora, (Doc. VI. ) rinvenuto testualmente dai francesi indosso di un suo sgherro in Frosinone (stato romano).

Arruolatori incaricati o spontanei erano Giacomo Giorgi e Nipote, non che tutti coloro già noverati nel quadro sinottico soprascritto poi Napolitani. Vagnozei, speziale in Campo di Fiore, come pratico di Roma, somministrava notizie ed uomini raccolti tra congedati dell'esercito pontificio reduci di Castelfidardo, in onta alla parola d’onore di ritornare alle loro case; parole da colui che tutto lega e slega a piene mani, ed altra ciurmaglia siffatta.

Dallo stessa ministro pullulavano sub-comitati e sub-direzioni interne nelle provincie e all'estero, corneo mo' d'esempio per Terracina al Commendatore Antonelli, il quale raggranellava intorno a se schiere di ladri raccolti da' lunghi circonvicini; al Principe d'Ottajano per Napoli, a Caporale per Avellino, al Generate Barone De La Grange per Marsiglia e Lucerna; a Langlois per Malta; al Principe Spinosa Raffo per Parigi, ecc., o forma parimenti dello specchio sinottico.

I briganti venivano moniti d'armi, parte da caccia raccolte dagli arruolatori nelle compagne circonvicine, o in Roma stessa, parte di munizione somministrate di soppiatto dal centurione Merode, e parte parimenti di munizione scampata alla ritirata di Gaeta, e sottratta alla consegna eseguita in mano de' Francesi, che in seguito per atto di santa obbedienza al Pontefice chiedente vennero depositate nell'armeria Papale. Qualche cannone e spingarda asportato dai paesi aggrediti, come per es. i due sorpresi dai Francesi a Veroli.

Bombe all'Orsini venivano fabbricate dal nipote di Giorgi in casa di certo D. Luigi.... ex-cancelliere di Potenza, a Campo Vaccino abitazione attigua allo stabilimento di ferro. Polvere, parte asportata in tempo da Gaeta; altra procurata nelle diverse invasioni dei paesi saccheggiati; gran parte finalmente sottratto da Merode alle polveriera pontificie, specialmente presso le Terme Diocleziane, del che avvistisi i Francesi furono costretti e dare il cambio al picchetto pontificio, e prenderne essi stessi la custodia. Le orde brigantesche dovevano comunque essere ricoperte, e gli arruolatori medesimi erano incaricati dell'abbigliamento.

Rifugge il guardo all'aspetto miserando di una povertà cotanto osceno ed immonda, qual era quella di quei meschini; e la penna pietosamente inorridita gemerebbe sotto il carico d'una grave ingiustizia, ove un tributo di compassione non prestassi a quella misera turba che, illuso e corrotta per pochi danari, veniva spedita a Roma da scaltri intriganti intesi a buscar ricchezze, ambire cariche e soprintendenze nella speranza di restaurazione.....

Si... una lacrima di pietà verso qua' poveri sciagurati, avanzo della più selvaggia ignoranza nudrita e fomentata in mezzo ad una stupida superstizione dalla tirannide di regni precedenti! Una parola disdegnosa verso una dignità augusta, che quantunque perdente, ostentava tuttavia le sontuose regali magnificenze con splendida corte in Roma, ed una diplomatica rappresentanza all'estero!!... Dignità che non arrossiva nel vedersi ridotta alla ignominia di mendicar da miserabili, ladri, assassini, e da ogni più squallida feccia di plebe, un soglio toltole dal fiore dello stesso suo popolo, ministro generoso dell'anatema nazionale.

Era infatti una scena oltremodo affliggente scorger ceffi men che umani, seminudi, o con istrane vestimento darsi attorno scorazzando per le vie. Affannati fra loro, alcuni complottando, altri tra enormi gesticolazioni vociando empiere dappertutto i mercati e le piazze. Altri, per l'opposto, tristi macilenti e luridi per nudità vergognose, estenuati dal digiuno stender la rozza mano che abbandonò la marra o l'aratro per domandar un brano di pane in mezzo a quei Romani che ignoravano perfino di combattere e d'insultare. Altri più infelici senza dimora, senza tetto, sdrajali all'intemperie micidiali del sollione di Roma, come immondi animali negli atrii, sulla Piazza Farnese, al Campo Bovario, Campo di Fiore, Piazza Montanara, nelle stalle e rimesse degli alberghi al Paradiso, alla Croce Bianca, alSole, a Grotta Pinta, allaFarnesina, nelle pubbliche vie dei Monti, dellaConsulta, della Lungara, sotto il vasto colonnato di S. Pietro, sotto le panche dei rivenduglioli della Rotonda, presso la Piazza del Campidoglio, ecc. ecc. ecc. Altri finalmente sopraffatti dalla stanchezza de' viaggi pedestri, o nel valicar profughi i monti tra i latrati della fame in preda di smaniose febbri, riparare nell'archispedale specialmente di S. Spirito in Sassia. Quivi il Santo Padre vi accedette in un giorno di Marzo del 1861. Benediva con dorate parole quei bravi che massacrarono e squartarano onorandi cittadini a Carsoli e Pereto (Abruzzo Ulteriore), che trucidarono a Collalto la onestissima famiglia Latini, portando come in trionfo, infilato ad una bajonetta, un bambino di dieci mesi, dopo avere uccisa la madre.... ! Orrore!! Il Vicario di Cristo non si aggirava fra i poveri di Cristo, ma conversava familiarmente e dava a baciare il piede ad una turba d'assassini che avevano ancore le mani lorde di sangue innocente! Fra i benedetti ed onorati colà da un Pio IX fuvvi un Bugia di Poggio Ginolfo più volte reo d'omicidio e condannato come ladro: eranvi ancora i tre assassini che barbaramente uccisero il capitano della G. N. Luigi De Mary, e Benedetto De Luca, padre di cinque figliuoli, dando i mutilati avanzi à canii!!...

Ad un beccajo di Roma, dimorante in Piazza della Rotonda sul conto di via del Seminario, si presentò in sulla sera uno di codesti cenciosi per dimandar un grano d'elemosina. Il beccajo scorgendo quello sciagurato scalzo, mezzo abbigliato alla militare si fe' a dirgli:. «come non ti vergogni domandar elemosina ed hai qui vicina il. tuo re: va da lui e li soccorrerà» a cui quell'infelice rispose «sono digiuno da jeri, e mi mancano le forze per camminare». Allora il beccajo romanamente riprese«ah, se sei digiuno allora è ben diverso: in vece di un grano eccoti dieci bajocchi».

Le paterne viscere di Francesco non si commovevano quotidianamente a pro de' suoi figli, né col mezzo del De Cesare ogni di distribuivensi soccorsi a quei miseri. Laonde non appena esaurita la scarsa moneta gettata loro da una sdegnosa e avara carità, scorgevansi errar per le contrade a rincrudire a mille doppi la piaga cancrenosa degli accattoni e vagabondi. Anzi gli stessi principi dei sangue talvolta apprestavano scandali di avarizia e di crudeltà verso gli stessi loro figli. Presso il Palazzo Lozzano al Corso, dimora del conte di Trapani, costoro solevano raccogliersi e branchi per riceverne elemosina. Un di fra gli altri uscito di palazzo sali in carrozza, e senza neppur degnare di un guardo il nubile corteo che gli faceva corona, ordinò bruscamente al suo cocchiere di affrettare senza più la marcia. AI che i suoi lazzari indispettiti levarongli contro maledizione e bestemmie, e per ispontaneo moto fattisi d'appresso ai cittadini transitanti, dipingevan loro calorosamente l'ingratitudine borbonica.

Uno fra gli altri, che aver un braccio fasciato, querelavisi forte che in contraccambio lo si lasciasse morir di fame.

È poi testimone il popolo di Roma quando costoro smunti e rappresi tra cenci per le piazze di mercato nel Foro Agonale, alla Rotonda, a Fontana di Trevi, Piazza Montanara, Piazza Barberini ecc. ecc. andavano in cerca di marcite frutta, di torsoli e di altre immondizie abbandonate da rivenditori, o scaricate dalle abitazioni, per rimondarle come potevano e cibarsene. Più di una volta incontrò che gentiluomini romani presi da ribrezzo a tal vista, messo giù il dispetto ed ogni altro riguardo, lasciavan cadere de' soldi nelle loro mani a patto di gettar lungi da se quella spezie di alimento nauseoso. Obbedivano com’era naturale quegl'infelici alla pietà dei cittadino di Roma, e sollevata la mano che stringeva l'ascoso pugnale la stendevano verso i loro benefattori, che forse dall’ospite illustre doveva destinarsi all'indomani al loro massacro.

Un valentuomo dimorante presso S. Maria Maggiore, di cui spiacemi non rammentare il nome, commosso della miseria estrema di certo D. Luigi Pi...... vecchio impiegato doganale di Auletta, sel condusse in casa, e rimessolo in vesti da capo a piedi, in ciascun giovedì e domenica lo ammetteva alla mensa colla sua famiglia. Questo povero vecchio funzionario, a cui si era niegato soccorso per inabilità a servizio attivo reazionario, credo che tuttavia riscuota la compassione e la pazienza del suo protettore, mentre posto tra due fuochi, compromesso cioè cogl'ItaIiani, e rigettato dal suo generoso sovrano, era a mio tempo in Roma in attenzione maniaca di esser promosso e controlloro di dogana dopo la restaurazione. Povero sciagurato!

Altro spettacolo non men degno di commiserazione era il vedere l'accalcarsi de' borbonici in frotta coi mendici romani presso le portiere de' fratiAgostiniani alla Scrofa, alla Minerva presso i Domenicani, ai Paolotti in S. Andrea delle Fratte, al Gesù, a S. Ignazio, a' Crecieri, alla Maddalena, e fino a S. Gregorio, a S. Giovanni e Paolo, a S. Bonaventura, aS. Eusebio all'Es quilino nella pia casa de' RR. PP. Gesuiti. In questi luoghi più o meno levassi dispute e risse pel rincaro delle preziose vivande, e dagl'insulti de' poveri Romani verso i reazionarii, passare alle mani e agli scandali coll'intermezzo caratteristico de’ torsoni frateschi che, imbrancato il ramaiolo e abbandonato le caldaje rimaste in balia della folla, in berrette o cocolla farsi in sulla strada tra i calci o le pugna de' gladiatori al suono degli schiamazzi lazzareschi ed alla musica d'urli e fischi de' circostanti.

Più bizzarra facevasi la scena con tafani de' più briosi soldati Francesi. Questi godenti dall'alto dei ripiani delle loro caserme, situate la più parte ne' conventi, pigliavansi giuoco nel trarre in basso, in mezzo a gruppi di poveraglia mista, tozzi di pan nero, o brani di gallette che a bocca e braccia aperte venivano resi alla turba come marmo piovuta dal Cielo, quali non si tosto cadevano sulla moltitudine, che colle ostile ceremonie di sospinte e ceffoni venivano aggiudicali, tra rise sgangherate, al più villanzuto vincitore.

Codesti episodii espressivi al vivo la situazione dimostrano come a fronte de' loro stessi nemici non tacesse ne' cuori romani quel sentimento d'umanità che in certi casi, superiore ad ogni riguardo, argomenta appunto il progresso della civiltà accompagnata mai sempre da esemplare virtù.

Nell'approssimarsi la partenza degli sgherri borbonici, lo spettacolo crudelmente imbizzarriva a tinte in vero pittoresche; imperocché taluni affumicati, lurida la barba, rabbuffati come crine i capelli, rappresi tra polvere e paglia che raccoglievano nell’avvoltolarsi in su i letamai; insaccali e rimbisticciati con vecchi cenci raccattati dal sudiciume di ghetto antico comparivano goffamente vestiti o con ampie e lunghe carmagnole, o troppo ristrette e salienti, con cappellacci aguzzi e untuosi alla calabrese, da cui spenzolavano al vento mille brani di sparuti nastri: con sdrusciti caschetti alla militare, o con calotte rossastre alla zuava o alla turchesca: mezzi calzoni alla mandriana di velluti logori olivastri: gambali affibbiati o calzettoni di grossa lana marrone, o ciocie affunicolate ai polpacci, od anche scalzi tomo lazzari. Altri più fortunati e favoriti con cappelletti alla spagnuola, messi alla guappesca con lungo e spenzolante codazzo di largo nastro, o sciaccò di fanteria, indossavano cappotti pontifici o francesi rattoppati e venduti dall'industre Isdraelita. Fuori del cappotto sbucavano sovente gambali, ciocie, od anche zampe nude, sicché avresti creduto assistere ai baccanali d'un giovedì grasso, o vagheggiare i mostri di Orazio che a capi umani aggiunto un carcame di cavallo terminavano in isconcio pesce.

Lode al merito però; spiccava su tanto ignominia una squadra di circa sessanta Siciliani, i quali per cura del loro Duce, di speciale destinazione alla cavalleria, dovea esser privilegiata per vestiario e per ricompense. Il loro stipendio era infatti di scudo uno ed individuo per settimana, e il vestiario era per lo meno decente. Tanto dovessi alla riputazione e rinomanza del loro capitano il B oja di Napoli.

Tutti i campioni sin qui descritti venivan muniti di regolare foglio di via gratuito rilasciato loro dalla polizia Romana. A drappelli cscivan fuori le porte Salare, Maggio re, o S. Giovanni, e li sulla via maestra, o nelle adiacenti vigne, venivan forniti di armi, e d'ogni altro occorrente. Talvolta ancora baldanzosi per la protezione del Governo Romano s'avventuravano partire senza regolari recapiti; per cui spesso imbattutisi ne' Francesi, inconsapevoli della tresca, erano messi agli arresti, come avvenne e 150 di loro presso Veroli (Stato Romano) il di 7 Dece mbre 1861, i quali consegnati docilmente alle autorità pontificie, lungi dall'esser redarguiti, vennero rimessi in ordine e regola di recapiti, e restituiti alle rispettive destinazioni 5.

Altre fiate a frastornar l'attenzione, le dispense di viveri ed armi non venivano eseguite nelle adiacenze di Roma, ma invece cumulavansene nelle carro per ripartirle in qualche foresta; ed è avvenuto spesso che pur dessero ne' Francesi, come presso la stessa Veroli intervenne a cannoni, armi, munizioni e danaro, nonché ad una magnifica bandiera ricamata dalle proprie mani delle Principesse di famiglia reale, inviata a Chiavone a nome della stessa ex-Regina.

In Romagliano presso Vicigliano (Terra di Principato Citeriore) in una stalla del procaccino fu scoperta una grossa balla contenente 180 uniformi borbonici tra cui molti erano per uffiziali, una ricchissima per Generale, due mantiglie da cavallo, ugualmente ricche; cappello bordato per Generale, manto e imbottita di seta per padiglione pure da generale.

Verso i primi di Decembre altri briganti vennero catturati da' Francesi all'osteria d'Alatri e scortati in Roma furono consegnati alla polizia pontificia. Il governo però coerente al suo protettorato per essi, li munì di foglio di via coll’indennità di bajocchi quaranta a persone, rilasciandoli in piena libertà.

In Mesa presso Terracina, un borbonico briaco gloriavasi aver appartenuto alla banda che aveva aggredito e derubato la diligenza a due miglia da Fondi, e che erasi impadronito di tre individui, quindi decapitati ed esposti sulla pubblica via, come in seguito viene estesamente riportato col Doc. VIII. Gli stessi gendarmi pontifici inorriditi lo arrestarono; ma, condotto in Roma, dopo due giorni codesto assassino era, già nuovamente libero, e munito di regolare foglio di via.

Argomento precipuo della protezione pontificia verso i borbonici ci somministra anche una circolare dall’Antonelli in data del 21 Dec. 1861 per lo quale si ordina a' Vescovi e Parrochi delle diocesi Marittimo e Compagna «di raccogliere e dare asilo agli sbandati borbonici che penetrassero in que' paesi, e li fornissero di ogni mezza a onde farli raggiungere i loro capi».

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Conventicola Romana

Non lieve cooperazione s'avevano i Borbonici da indegni Romani, che meritamente in segno all'obbrobrio de' loro concittadini; dacché costoro, o Romani o allo stipendio del governo, o ricchi mercadanti, giammai avrebbero dovuto parteggiare per un rinnegato stendardo congiurante a danno del suo popolo, denigrante il lustro dell'alma loro Città, nemico dichiarato d'ogni libera istituzione e dell'Italia, che specialmente alcuno fra essi mentendo ignominosamente idolatrò nel 48.

Un Duca Salviati Borghese, un Barone Grazioli, un Marchese Capranica, un PrincipeOrsini, un Marchese Ferrajoli, unCertesi Luigi già grosso maggiore della Guardia Civica nel Rione Trastevere nel 48. Vicino a costoro stavano il fior dei birbantiEttore ed Antonio fratelliBariletti sensali di bovi, e i fratelli Luigi e Francesco Graziosi civanzisti e crapuloni insigni.

Questi di notte tempo, previa parola d'ordine di concerto col portiere del palazzo del Principe Braschi, senza intelligenza del disgraziato Principe suo padrone, adunavansi furtivamente una volta alla settimana in una sala di detto luogo tolto a subaffitto dal sanfedista Felicetto Eugenii, rigattiere sulla piazze S. Lorenzo in Lucina.

Erroneamente però poteste lusingarvi che quelle mena cui vergognavate far vedere la luce potessero rimpiattarsi nella vostra cova di assassini. Su voi spandeva le sue ali la fama a cent'occhi e la vigile sorveglianza dei vostri stessi fratelli che vi rimpiangono, i quali giammai sonnecchiosi od inviliti della sventura, seppero scoprirvi, e forse ance penetrassero nel vostro coviglio per desiarvi più tardi alla ignominia ed al meritato disprezzo diluiti i buoni. Onorevoli assessori di quel parlamento, io vi saluto, e sono da voi.

Sviscerato pel De Merode il Duca Sal viati Borghese, a quel frenetico traeva ispirazioni, e la sacra scintilla delle battaglie: dacché esso pacifico, e alieno dai rumori che non sian quelli de' suoi focosi destrieri, caritatevole e benigno, poco o nulla avrebbe vantaggiato, non che potuto nuocere alla causa di chicchessia.

Il principe Orsini di Gravina vieta appendice non degenere dagli antichi Duchi di sua casa, ne ritrasse l'alterigia e l'istinto feroce, ammansito solamente da inettitudine singolare che contro sua voglia lo rende l'uomo il più innocuo di questo mondo.

Il vanitoso Marchesino Capranica, come tutti i nobili in procinto, è Il cavaliere di ventura, il figaro di amendue le corti. In traccia esso di monumenti archeologici ha in nausea il nuovo e il moderno. Smilzo, spedito come un daino, conficca il naso dappertutto. Presidente di un rione di Roma, spesso è giudice ed, esecutore insieme di giustizia. Non sazio de stipendii presidenziali tu emissario mercenario a scudi dieci al giorno per ben tre mesi a conto de' borbonico-pontificii in Napoli, ove intrusosi subdolamente nelle alte società e ne' circoli fe' professione d'indagatore per affezione al suo prodigo padrone. Rifuggitosi in Roma venne accetto a Francesco e e Matteucci. Trascina la vita fra gl’intrighi di corte, e le contravvenzioni birresche che non dubita di per se intimare ed eseguire sulle pubbliche piazze 'o discapito della popolosa classe de' poveri vetturini.

Volpe antica di pura razza è Cortesi Vincenzo, già grosso maggiore nella Guardia Civica del 48, idolo in allora di Trasteverini. Più tardi passato nelle file Antonelliane è l'ospite amico dei suo casino di Albano de' fratelli dei Sonninese, co' quali non ha ritegno di farsi coadiutore e compatrono trafficante della generale miseria, e consocio incettatore ultrapotente di granaglie e derrate. Ingenerosamente splendido per accattar complici e mezzani ne' maneggi manopolitici, senza fede in alcuno, spregiatore di tutti, e idolatra solo dell'oro.

Ben disposto dalla fortuna è il Barone D. Pio Grazioli. E giovane elegante, vivace, di cuor generoso e liberale. Delle belle atti munifico e mecenate, amantissimo della musica e del teatro. In mezzo a splendido patriziato geloso di una nobiltà di corta data, sfoggia in magnificenze quotidiane; sfarlo per lusso e ne' cocchi senza intermissione di ferie. Ingallettato dalle visite papali in Castel Porziano è fatto cortigiano di occasione, studioso del favore pretesco, lucratore de' suoi talenti tra gli abitini e i rosarii, o colle ristampe di libricini de' voli, come p. es. le massime di S. Alfonso De Liquori rimpressi a sue spese in Fossombrone, 1 860 poi tipi dei Metauro.

Tronfio imprestatore di danaro per S. Pietro, o per lo Stato, concesso per rescritto alle suppliche del men tristo fra i ministri di Pio L. Mons. Ferrari. Contribuente logico e procusteo perla sacra reazione, elio insieme alle libidini pretesche abborre in cuore o detesta.

Modello più che perfetto inimitabile eziandio dal più osservanteLajolita è il MarcheseGiuseppe Ferrajol i. Dalle anticamere dell'amministrazione de' sali e tabacchi sollevato a direttore generale dal munificentissimoD. Alessandro Principe Torlon ia, irriconoscente e traditore verso il suo benefattore non ebbe ritegno sovrimporsi da servo al suo padrone, alleandosi col fabbro maggiore Cardinale Antonelli per dividere secolui e suoi le spoglie della generale soprintendenza sbarattata a Torlonia. Superbo e vile, irascibile e sommesso, servo di tutti e di nessuno. Sardonico ne. coglitore de' consigli del buonissimo avvocato Ottavio Scaramucci, fazionato dall'Achille in gonna, giù luogotenente de' Dragoni, indi maggiore ne' carabinieri pontificii Evangelisti, custode del talamo. Senza convinzione e senz'amore per alcun governo; pronto come sarebbe sempre a fare e corsa attorno al tavolino di altro ministro delle finanze (Livio Marinai) per baciargli le mani, come a leccar le zampe ad un Antonelli qualunque nella tirannide. Inesorabile, dispotico, spietato co' suoi impiegati cui vibra colpi e nascondo la mano; sordido, avaro oltre ogni dire; intrinseco ai Gesuiti, alla scuola de' quali s'attiene col confessionale e coll'astuzia che istilla sopratutto ne' consigli di famiglia alla sua prole ed alla schifiltosa consorte, alba foriera e rugiadosa d'ogni viaggio del Santo Padre, cui procaccia acclamazioni con grave dispendio di franchi che semina per raccogliere.

I fratelli Bariletti e G raziosi sensali di buoi e tavernieri i primi, meschini trafficanti di fieni e di civanze i secondi; grevi, massicci e crapuloni, compari e satelliti de' birri tutti; trovansi inclusi nella conventicola per farsene fanatici di plebe, e strumento da piazzo.

Tutti costoro, come sopra notai, paventando la luce e il severo giudizio de' loro concittadini, raccoglievansi di soppiatto, e a notte alta nella sala Bruschi coll'intendimento di procacciare armi e danaro alla reazione. Alla qual caso dovevano piegarsi massimamente per tributare osanna, quali per un rapporto e quali per l'altro, al Governo Pontificio, a cui la più parte era sossopra vincolata per interesse. Ora sapendo essi fargli cosa grata nell'assecondare le parti di Francesco, vi si adagiavano con sommessione a mo di subordinati e di pecore.

In detta congrega discutevansi furiosi progetti di armamento e di finanza, e assai bella ero la conclusione sul modo di erogarli; dacché armi e danaro venivano per lo più consegnati all'eminente malandrino Francesco Graziosi imputato più volte d'illeciti usure, e più spesso minacciato nella vita per angherie di cambii; genero del famosissimo civanzista Domenico De Rossi denominato la morte; comune amico e correo coll'altro famoso usuraio Cav. Bustelli, e il versipelle ed iracondo causidico Carnevali, capo della torta civanzistica. Bestemmiatore, lascivo, beone, carico d'agili sozzura. Questi, con quella coscienza che poteva essergli propria, adunava nelle sue aule ministeriali, all'osteria la Botticella presso il complice Padron Peppe in Trastevere vicino alla Chiesa di S. Cecilia, e l'osteria della Neve sulla piazza della Madonna de' Monti dall'altra buona lana di Padron Giooacchinetto. Quivi, previa il santo della zuppa di pesce alla marinara, e passatella devenivasi alla ufficiale consegna delle armi pietosa e del sacro tesoro che in, buona parte aveva già toccato una rotta tra i brindisi ed i bagordi splendidamente pagali per tutti, senza noverarvi qualche residuo smarrito per le tasche del ministro distributore in capo.

Mi piange il cuore dover imbrattare la storia con nomi che quantunque in parte addetti ai nemici delle nostre istituzioni, tuttavia stia miei fratelli e cittadini romani, ed assai più mi addolora lo scorgervi involto l'altronde amabilissimo giovin Duca D. Pio Grazioli stretto in seltempliee spiritual parentela col padre della mia consorte. Se l'interesse e l'impero della circostanza può forse fornire pretesti, l'onor del paese e l'eroico esempio di tanti esuli lor pari o maggiori, e l'aspetto di tante sciagure avrebbe dovuto contenerli. Possa il mite consiglio de' loro connazionali e il loro ravvedimento terger loro la colpa di congiurati per la tirannide, e meritar loro il perdono universale!

Uffizii di pagamento

L'ufizio principale di cassa era installato nel palazzo Farnese sec. piano presso i Fratelli Ulloa col titolo di commissione de' pagamenti. Ad evitare compromesse troppo aperte, e che avrebbero ricolmato un intero archivio di memorie e d'istanze, fu immaginato un gergo, il segreto dei quale ero circoscritto tra il segretario reale Cav. Ruiz, i Generali Conte Statella, Pietro e Bartolomeo Ulloa, Del Re, Cary e Vial , Bosco, e Luverà: qualche altro generale superiore, e la commissione di pagamento.

Ora le istanze erano di due specie: le une appellavano al servigio attivo del brigantaggio; le altre poi o a ricompense di fedeltà per abbandono di funzioni amministrative o politiche: ovvero per mero sussidio di carità. Eravene una terza specie bastarda approntata dall'intrigante avvocato Bajola, ampolloso patrono di Signori fuggiaschi di Napoli, Sicilia, e specialmente di Spagnuoli raccomandati nella corte dell'ex-Regina Isabella, cui il Bajola (messe in disparte le troppo gravi bilancie di Astrea) erasi dato ad economo o maestro di casa.

Tutte le istanze dovevano essere intestate al Sovrano, nella cui segreteria particolare diretta dal Sig. cav. Ruiz si sceveravano giusto l'oggetto respettivo. Quelle per servizio attivo venivano, accompagnato da un rescritto più o meno marcato di ateneo de' Generali sopraddetti, secondo che il richiedente fame più o meno abile; senza però dichiararsi apertamente l'ufficio brigantesco. La formula usitata presso a poco era la seguente scritta a penna.

« Il chiedente si è motto distinta esci scraizio militare,. ed è degno della massima (o media) considerazione della Commissione — firmato — Conte Statella. o G en: Del Re, ecc. ecc.»

Quelle di puro sussidio si distinguevano con la semplice formula scritta a matita, «si rimette alla commissione». — Colle predette convenzionali distinzioni rimettevansi in massa a Mon. De Cesure, nella di cui segreteria eseguivasi una nuova cerna; e mentre nella loro integrità serbavansi quelle di servizio attivo, delle altre, ammontanti per consueto ad unterzo nella cerchia da Dieci a Dodicimila nel giro di ogni mese, pigliovasene di peso una metà, In quale senza misericordia veniva destinata ai fuochi gastronomici culinarii degli Ulloa. L'altra metà subiva una limitazione di presso ai quattro quinti con ingiunzione di sussidiare al minimo l'estrema miseria, indugiando possibilmente per lutti, affinché tra i latrati della fame e l'esigenza della nudità, i baldi si conservassero, si risolvessero i tiepidi.

Lo scrutinio veniva eseguito sotto il triumvirato di Mors.Ferlisi direttore, Mons. De Cesare pagatore, Cav. Bonamici segretario; dell'indole de quali non posso defraudare il mio lettore, senza taccia di parziale verso gli altri loro consorti.

Monsignor Ferlisi è un prete impetuoso furente strabiliare. Più che sacerdote mansueto, anima tigresca e leonina; inaccessibile e sprezzante. Quanto disuguale alle miti tempre dell'unzione cristiana fra cristiani altrettanto in misura colle costumanze ferree e barbaresche de' Turchi.

Freddo, al contrario, misurato, circospetto, impassibile èMons. Guglielmo De Cesa re pagatore. Suggellando questi con splendido fatto il proprio coraggio, osò per fino scambiar fucilate cogl'Italiani per evadere travestito dal convento di Montevergine suo abazia, nella quale ricettava gli sbandisti. Quivi ferito nel Ventre corte grave rischio di vita. Affezionato alla causa di Francesco; fanatico ed instancabile reazionario. —Immemore della sua missione pacifica come ministro del Santuario; rollo ad ogni mezzo di corruzione e di sangue conducente allo scopo proposto. A premio del suo zelo s'ebbe tra il Giugno ed il Luglio 1861 da sua Santità la carica di visitatore generale de' Girolamini; più, venite eletto ad uno de' difensori nella causa di beatificazione per le Santa memoria di Maria Cristina di Savoja, antenata gloriosa di S. M. VITTORIO EMANUELE RE D’ITALIA.

Peggiore di tutti d il segretario Cav. Buonami ci. Rinnegato Italiano e Romano, zelatore vendereccio per la causa di un estraneo e nemico che non dovea riguardarlo. Spedizioniere apostolico al servizio del Papa, non ebbe ribrezzo d'inchinarsi al soldo straniero (scudi trenta per ogni mese). Bellimbusto presuntuoso, spiantato. Parodia aristocratica, spacciatore gratuito di frottole, di protezioni. Esosissimo agli stessi Napolitani buoni e cattivi, abborrito da' Romani, disistimato da tutti.

L’animoso Mons. De Cesare destinato all'esecuzione de' pagamenti portava può dirsi la soma di tutto il carico. Dimorava egli nel convento de' PP. Teatini in S. Andrea della V alle secondo piano; ed era tale la calca di gente, che destatosi tumulto e scandalo, quei buoni religiosi scongiurarono cielo e terra perché quella peste venisse rimossa. Non potè ragionevolmente farsi ostacolo alle loro richieste, e il De Cesare, abbandonato quel recinto, venne provvisto all'uopo di un appartamento riccamente mobiliato presso la Chiesa dello Spirito Santo de' Napoletani lungo la via Giulia N. 33 sec. piano.

Prima altresì che uscisse Anona. da detto convento era curioso insieme e desolante vedere ogni dì quelle turbe per tempissimo dal primo albeggiare agglomerarsi ne' suoi recinti per ascoltar la Santa Messa dei Reverendo, ma in verità per afferrar occasione d'abbordarlo in sul limitare della sagrestia, e colla esagerato garrulità di quelle genti vulcaniche levar strido e schiamazzi per implorare soccorso d'ogni maniera.

Devoti assistenti all'incruento Sacrificio presso l'umile sacello di Nostra Signora delle Grazie che internasi a destra del maggiore altare di S. Andrea, erano eziandio varii dei più sagaci uffiziali di rango, tra cui a cristiana edificazione del frammisto stuolo spiccava in bella mostra co' suoi ajutanti il Boja di Napoli.

Monsignore, per cui savia stato più che amano far argino alle moltitudini, diè disposizioni affinché in nome di S. M. il Re con blande e speranzose parole si tenesse a bada la follo, insinuandole specialmente che al Palazzo Farnese tutti sarebbero stati soddisfatti nelle respettive domande. A quel nome prestigioso acclamando la turba servile che rinnovavisi ogni di, come a. un tempo solo dà in volta un banco d'arena aggirato da un turbine, o come branco di. pecore incalzato dalla verga d'indiscreto mandriano, avresti scorto divorarsi la via da quel mucchio stormente di volgo ignominioso, spettacolo miserando agli attoniti Romani.

Era appunto sulla piazza Farnese che il provvido Governo Pontificio, a prevenire i tumulti della folla che ben sapea doversi quivi raccogliere periodicamente due volte per ogni mese, facea trovar in assetto una squadriglia di gendarmi comandati da un brigadiere Gianmaria, cui aggiungevasi alba forza di birri alla borghese, piantati in resta sugli sbocchi delle vie adiacenti, a fine d'impedire i motteggi od insulti per parte dei frementi Romani che a scene cotanto impudenti era difficile contenere.

Giunto il di prefisso ai pagamenti, le masse a sciami riboccavan d'ogni parte a più centinaja, e pareo quasi che movessero all'assalto del palazzo, talché mal reggendo il povero Monsignore e suoi addetti all'impeto indiscreto e irresistibile, dovettero appigliarsi allo spediente di barrare con cancello ferrato l'ingresso maggiore dell'atrio interno, e nel tempo stesso costringerli a ripiegare girando per di fuori il palazzo, e da altro ingresso posteriore dal lato di via Giulia farla irrompere nella corte fino al cancello suddetto.

I Romani hanno certamente visitato lo stupendo serraglio di belve diretto da Monsieur Charles non ha guari stanziato sulla piazza del Popolo. Ebbene, l'irrequieto Leopardo, i Leoni ruggenti, la feroce Tigre reale, e l'Orso bianco, o le carnivore iene entro le lor gabbie ferrate erano una morta pittura al raffronto di costoro. L'eco assordatore d'infinite voci ripercuoteva ululando per le 'edile degli atri; un agitarsi, un sospingersi, uno schermirsi a vicenda; mille mani attraverso le aste del cancello dirigevansi impazienti verso lo, sgomentato Monsigaore, come appunto il domatore di fiere al momento del pasto. Il cancello scosso e riscosso oscillava tremendamente con pericolo di rovina, finché dalle ore nove fino all'una pomeridiana affaticato e lasso l'E. S. era costretta a rimandare al di regnante l'altra chiama, e spesso fino al giorno terzo, tanta era la moltitudine e t'imbarazzo.

Movimento si straordinario che in piena luce sotto gli occhi della Polizia e della forza armata perpetravasi senza pudore, sembrava poco; dacché in un di d'Agosto 1861, comparvero senza meno un centinajo di cavalli, che introdotti nel cortile del palazzo, furono assegnati a campioni scelti per la rivolta delle Calabrie, i quali, co' respettivi palafrenieri esciti di palazzo, mossero tranquilli verso il Foro Romano, e di là per la Porta S. Giovanni, donde proseguirono il loro felice viaggio nella vegnente notte con a capo il duce Logrange.

A tali improntitudini che soverchiavano ogni confine, l'offesa pazienza de' Romani minacciava voltarsi in furore; dacché un mormorare men che sommesso traspirò da loro nella ufficialità Francese, e di lì asceso alle prime autorità, ogni riserva, e perfino ogni pretesto, cadeva innanzi a fatti cotanto impudenti. Se la menzogna poteva insinuare un istante che oggetto di que' numerosi attruppamenti fosse una semplice distribuzione di sussidio disposta dall'ex-Re verso i propri sudditi, cavalli e cavalieri certamente per nulla avean che fare con la bisogna che anzi accennavano dirittamente allo scopo brigantesco.

Non già però in grazia degli oppressi Romani, ma per tema di compromissioue troppo patente all'estero, la polizia di Roma era ostruita ad immaginare un nonnulla per annebbiare almanco gli occhi de' gonzi.

In dello fatto, come in altri moltissimi, accreditavansene autore specialmente un Giacomo Giorgi ex-sotto intendente negli Abru zzi; ruvido tipo silvestre prepotenti, ampolloso alla nausea, come rilevasi da una testuale dichiarazione del Colonnello Lauverà (Doc. LX) oltre ogni dire avarissimo. Intinto mezzanamente di una pratica istruzione, già terrore de' subalterni nella san carica; acclamato sol da plebe e dalla campagna, dove profondeva tesori per farsene strumento a soprusi e soperchierie a stile di feudo. Rimestatore instancabile, acceso dalla lusinga d'esser promosso all'intendenza assoluta cui agognava 6.

Costui avendo subodorato che la piena gli ere addosso, rifugiossi al suo camerata Pasqualoni, con cui impreteribilmente dalle ore nove alle undici antimeridiane era in santo colloquio, e insinuò che la cosa avrebbe potuto convenevolmente ripararsi scaricandola sopra qualche decina di que' più disgraziati cenciosi ponendoli a simulati arresti, e casi mitigare il cicaleggio del pubblico intrigante.

Obbediente al cenno il Pasqualoni fe' difatti catturare quà e là taluni de' più stupidi e innocui. Ma addatosi la Polizia Francese del traghetto, ordinò invece l'arresto del Giorgi, asportandoselo nel Costei S. Angiolo, dove rimase ben quarantadue giorni. ta questo lasso di tempo lo stesso ex-Re, l’Antonelli, il De M erode furono sossopra, avendo il Generale Govon minacciato stabilire uno proeessura regolare che avrebbe compromesso giuridicamente I'imposturo di tanti artifizii. Però alle reiterate preghiere dell'Antonelli specialmente, transigendo il ligio e pio Generale, fu ordinalo irremissibilmenle lo sfratto da Roma al detenuto, insieme col suo nipote fabbricatore di bombe alla Orsini, i quali indi a poco partiti, fin ad oggi gavazzano in Malta fra le combriccole reazionarie, di conserva coll'istituto di S. Vincenzo di Paola.

Scopo precipuo de' Borbonici era il provvedere alla precaria stazione de' briganti in Roma nel tempo intermedio alla loro partenza per le provincie designate. Aveano costoro da cinque a dieci paoli, latitudine stabilita a discrezione del distributore, giusta la scala di merito risultante dalle espressioni più o meno marcate de' rescritti.

Esente dal modo tumultuario di distribuzione era il ceto magnatizio delle sacre schiere; cioè gli ufficiali maggiori e minori, cancellieri, giudici, vecchi funzionarii, ragguardevoli privati, nobili deceduti cc., I quali s'avevano lauti soldi secondo il proprio merito. Ricevevansi questi privatamente nelle stanze degli Ulloa al secondo piano nello stesso Palazzo Farnese. Inoltre trattandosi di sostegni morali e d'esempio alla reazione, veniva loro soprappiù gonfiato il ventre con magnifiche promesse di onorificenze e dignità per la prossima resurrezione.

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Luoghi principali di convegno

La consorteria borbonico-clericale sotto la protezione paternale della Corte Pontificia avea piantato in Roma agiatamente le sue tende, e costituiti gli uffizii regolari delle sue amministrazioni; ed era ben ragione che fruir dovesse ampia libertà di parola in seno a ritrovi e club, (interdetti peraltro ai Romani in casa loro).

Il caffè in piazza di Sciarra per centralità di posizione, e per decenza di locale afferiva un punto acconcio di ritrovo per l'alta aristocrazia della lega, la quale vagando nell'ozio di dentro, o raccolta in crocchi di fuori lungo il piazzale, al diverbio, al gesto tradizionale di C erra, e allo stormio indistinto delle voci pareva assistere al movimento irrequieto di S. Lucia o di Taccio Panno 7.

Nel caffè di Campo di Fiore convenivano preti, frati, burocratici, ed altri di ceto mezzano; per disputarsi la lettura del fido confratello della Civiltà Cattolica — l'Osservatore Romano — (giornale) da dove veniva tratto lo oroscopo degli avvenimenti, e racceso il sacro fuoco dei patrii avvenimenti.

Caffè di famiglia e di opportunità era quello di Piazza Farnese presso le tende militari della reazione, nelle stalle della Croce Bianca, del Sole, del Paradiso, e Grotta Pinta. Quivi era il popolaccio acremente disputante e accapigliantesi in mezzo agli stimoli della fame, e della esaltazione verso gli augusti protettori che dovevano spegnerle.

Fu a tal fior di gente che un dì l'energumeno D. Pascalin o, domestico degli Ulloa, presso la porta de' suoi padroni nel Palazzo, prese vezzo di mostrarlo una medaglia fatta coniare appositamente dall'ex-Re nella zecca pontificia dagli incisori Bianchi e Zaccagnini, (insignito quest'ultimo dell'ordine cavalleresco di Francesco Il in compenso della precisione del suo lavoro) ad incoraggiamento dei suoi prodi. Portava questo la doppia effigie de' regali conjugi da un lato simile presso a poco o quella rappresentante le teste de' SS. Pietro e Paolo; dall’altro scorgevasi la fortezza di Gaeta con la leggenda, Al Merito. Immagine il primo de' SS. protettori dell'impresa; il secondo era figura e simbolo dell'ultimo rifugio della Dinastia, lo quale soccombuta per tradimento doveva suscitare a chi l'indossava la fiamma divoratrice della vendetta.

D. Pascolino fanaticamente tenendo alto il venerato amuleto, scaldava di santo zelo le torbe accalcantesi intorno per ammirarla, e più d'uno baciati religiosamente gli apici delle proprie dita, ambiva toccarla: altri più devoto chiedeva baciarla direttamente; al qual pio desiderio tosto accorrendo D. Pasquale, con santa compunzione veniva compiuta la cerimonia.

Altra medaglia commemorativa coniava la stessa zecca pontificia avente da una parte il busto dell'ex-Re di Napoli in mezzo ad un trofeo di bandiere, e dall'altra la leggenda al merito, con cinque fascia, a similitudine di quella di Crimea, colle iscrizioni Caiazzo,Santa Matta, Sant'Angelo, Trafisc o, Garigliano.

Anche un talismano si avevano gli ascritti alla reazione come contrassegno di cospirazione. Esso consisteva in anelli di piombo lavorati in Roma dal capo brigante calabrese Stante, il quale ad incoraggiamento di tanto merito è stipendiato dall'ex-Re Francesco. Essi sono di diverse forme. In alcuni si leggono incise le parole «assedio di Gaeta 1 860-1861» nella piastrina di mezzo: altri le hanno nel cerchio, e nella piastrina evvi incassato in ottone il ritratto dell'ex-Re: in altre v'è incisa una torre alludendola a Gaeta, o un cuore; e da questi diversi emblemi si distinguono i respettivi gradi de' cospiratori. Ciò che è da ammirarsi si è che nell'atto d'insignire un reazionario di tanta pegno, gli s’ingiungeva per comando espresso del Re il saccheggio e l'incendio, non risparmiando neppure i bambini de' nemici del perduto trono.

la mezzo a tante e coni bizzarre scene il buon Francesco a sollievo delle cure del di, compariva sovente le sera in abito privato al teatro Apollo, del che addatìsi i Romani, abborrendo eziandio da quel contatto, postisi in accordo lasciaven deserto lo spettacolo. Pel quale aperto rifiuto, non so se indignato, o mortificato Il Borbone si disparve; ed il teatro, con soddisfazione specialmente del povero impresario Jacovacci, si ripopolò come in avanti.

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Cenni sopra alcuni fatti più rilevanti della reazione

nelle provincie Romane e Napoletane 

con i nomi dei rispettivi comitati.

CIVITAVECCHIA

Questa città dal lato di mare presenta il punto strategico più rilevante di comunicazione fra Roma e Napoli. Quivi urgevano più che altrove commissioni miste di borbonici e pontifici destinate a provvedere al soccorso della fortezza di Gaeta prima della sua caduta; e poscia al passaggio de' briganti spediti da Roma.

Fra gli addetti alla corte napolitana distinguevansi in prima linea

198. L'ex-Generale Bosco il quale interpolatamente tacca l'uffizio di telegrafo in varie direzioni.

199. Giuseppe d'Amato di Napoli funzioni facente pel generale suddetto col quale a vicenda si visitavano or e Roma, ed or a Civitavecchia.

200. Francesco Cavalier Galera ex-console generale napoletano 8.

201. Luigi Cav. Matteini vice console.

202. Giovanni Andrea Palomba ex-Console Toscano, e Console Austriaco.

Tra i pontificii dividevansi i primi onori tra loro.

203. S. E. Monsignor Delegato Lorenzo Randi.

204. Cavalier Cristoforo di Macco capitano giubilalo del porto.

205. Giacchetti Giovanni capitano del porto in attività.

206. Francesco Lastrai direttore dell'Arsenale.

207. Abate Eugenio Ricci di Faenza, e

208. Francesco Ceccarelli dello stato romano, altri spiritati messaggieri tra Roma e Civitavecchia; il primo dei quali Intendente Generale tra i reazionarii, schiuma e rigalo di Faenza: il secondo capo brigante incaricato da Roma di raccogliere uomini, armi e danaro per i reazionarii destinati per Malta.

209. Giro Avvocato Lupi vice presidente di quel tribunale.

210. Savelli, e.

211. Caravani Niccolo, giudici.

212. Annovazzi Domenico.

213. Aviani Felice.

214. Alibrandi Luigi detto il Nardoncino.

215. Basile Bartolomeo negoziante chincagliere.

216. Padre Carli dell'ordine de' Predirolori.

217. Tommasini Tommaso farmacista.

218. Flori Francesco, sarto.

219. Maggi Domenico, e

220. Maggi Ilario, fornai.

221. Ferri Niccola, cantore di chiesa.

222. Sposito Settimio, calzolajo.

223. Siniscalchi Giuseppe, negoziante di vino.

224. De Giovanni Vincenzo, capo costruttore dell'arsenale.

225. Blasi Filippo, pizzicagnolo.

226. Santiferri Ubaldo, capitano di bastimento.

227. Berlingeri Carlo, commesso di Sanità.

228. Vicidomini Fortunato, impiegato alla ferrovia.

229. Bianchi Giuseppe, sergente dei Porto.

230. Dei Negro Felice, sergente di Marina.

231. Reali Ernesto, tenente di Marina.

232. Biccelli Antonio, impiegato postale. Questi fu decorato cavaliere d'onore della corte borbonica, per avere avuto il merito nel 1848 di dare di braccio all'ex-Generale Conte Statella nel riparare a quell'epoca in Civitavecchia.

233. Galli Pietro, impiegato burocratico.

234. Nesi Pietro, macellaio.

23 5 . Rubbioli Saverio, servo di Piazza.

236. Balderi Giovanni, scriba del Tribunale.

237 Avvocato Caruso, fiscale del S. Uffizio.

238. Strambi Arcangelo, tipografo, ed addetto al S. Uffizio.

23 9 . Vit t ori Vittorio, custode delle porte della città.

240. La Rosa Luigi, caffettiere.

241. La Rosa Niccola, campestre.

242. Genesi Alessandro , soprannominato Veleno. Costui è di condizione rivenditore di tabacchi, e generi di bassa merceria. Tipo silvestre, sguardo maligno e beffardo, ignorante, civanzista. Per capriccio di fortuna di condizione mediocre finanziaria, cumulata a furia di usure ed angarie sul povero bisognoso che per fatalità magnetica viene trascinato a domandargli favere; pel qual titolo non ripugno fare del soldo scudo.

243. Bastianelli, controllo di Dogana.

244. Colcine Raimondo.

Agente generale per l'imbarco e sbarco de' briganti, e per ordine di tutto il comitato è un

245. Pellettieri Antonio, soprannomato il Caponcino.

Le adunanze di costoro distribuivansi in varii gruppi. Nel negozio di spedizioni marittime in Piazza S. Francesco sotto il Palazzo Calabrini convenivano specialmente Galera, Matteini, Di Macco, Tomma sini, Alibrandi, e Basile.

Nell'altro negozio di spedizioniere dell'Alibrandi in Piazza d'Armi adunavansi per lo più, monsignore, Annovazzi edAviani, impiegati presso il medesimo. Papini, Caravani, Lupi, P. Carli ecc .

Nella capitania del porto eravi stretto convegno tra Giachetti, Lastrai, e Abate Ricci.

246. Di Macco Cristoforo avea l'uffizio di pagatore, e ne riceveva i fondi dalla stessa polizia di Civitavecchia sotto la direzione del sullodato delegato Bandi.

Non ostante però le differenti consorterie, fatti e vicenda convergevano nell'andamento degli affari; tutti gareggiavano per riescir graditi ai vecchi ed al nuovi padroni.

La lega di costoro conta la prima data a preferenza di quante altre se ne formarono nello Stato Pontificio imperocché rimonta fino alla resistenza di Goda, e non posso defraudare il suo merito per ciò ch'ella operò durante l'assedio.

Non appena rimosse le difficoltà frapposte dalla squadre Francese comandata da Barbier Le Tinan, il Generale Cialdini restrinse ad ore la chiusura del blocco. Difettando altresì di viveri la fortezza, un precipitoso dispaccio diretto all'ex-Ministro delle finanze Carbonelli che corrispondeva in Roma, implorava a tutta fretta soccorsi di viveri.

Roma fu sossopra, e l'Antonelli con ordine immediato fe' schiudere i magazzini pontificii di approvvigionamento militare, e raccolto quanta mai più potevasi grande quantità di frumento, carni salate, e formaggi, dispose che un apposito treno movesse per la ferrovia e a gran vapore si dirigesse sopra Civitavecchia, dove il telegrafo già avea fatto pervenire avviso ad un vapore ancorato nel Porta Trajano a disposizione della corte borbonica.

Ma che! Tanti sudori e cotanto movimento che pareva avesse messo Roma in tremoto, dileguaronsi al vento; imperciocché giunto in Civitavecchia l'enorme carico, si contarono le ore, e avvistosi il Capitano della impossibilità di poter giugnere in tempo a Gaeta prima della chiusura del blocco, si protestò, ricusando di volere avventurarsi a cattura inevitabile. Per cui i viveri medesimi vennero deposti ne' grandi arsenali di Civitavecchia in custodia a quel zelante direttore Francesc o Lastrai, a disposizione del Governo.

In questa circostanza ebbe la prima occasione di emergere il patriottismo dei cagnotti pontificii che in questo giorno stringendosi lo destra, preparavansi all'onore della prima accoglienza all'ospite di Borbone, fondendo la congrega dalle gloriose imprese che fin qui l'hanno distinta.

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MALTA

Il porto Trajano non era solamente designato a punto di comunicazione tra Roma e Napoli, ma eziandio per Malta.

Questa città strappata dal corpo nazionale dell'Italia colla solita virtù di trattati, è tenuta dagl’Inglesi come a sentinella avanzati tra il Mediterraneo ed il Mare Jonio. E cosa ben bizzarra che gl'Inglesi colonia irosi in materie papali tollerino che sotto i loro occhi commettansi fatti fanatici e superstiziosi, di che vergognerebbero eziandio paesi i più frenetici e stemprati alle esorbitanze pretesche.

Nel centro di un Governo Inglese poterono i reazionari più arrabbiati preconcepire il disegno d'istallarvi la sede di comitati sediziosi, e il punto di partenza per attaccare istituzioni che il governo principale di Londra attacca vigorosamente nel Ministero e nel Parlamento. E a questi fanno eco le illuminate popolazioni di tutta Inghilterra, gareggiante ed emula d'influenza colla stessa Francia che più o meno apertamente le protegge e difende colle armi alla mano, e colla orza morale più formidabile eziandio delle spade e de' cannoni.

A chi riguardasse l'attitudine moderna del Governo Inglese in quell'Isola, parrebbero certamente redivive l'epoche de' Crociati, o degli Ordini Gersolimitani, e si sarebbe tentati a dire che i figli di Lutero, di Calvino, o del Vangelo, fossero fatti i paladini più scapigliati della Corte Pontificia, e del Borbone di Napoli, fulminato e deriso più volte dalla Tribuno e nella opinione degli inglesi.

M alt a era prescelta dai Borbonici per girare l'estremità della penisola, e darle assalto alle spalle. Quivi era una consorteria accozzala tra Gesuiti, Liguarini, preti, emigrati ecc., e distinguevansi particolarmente i famigerati Giacomo Giorgi e nipote, che già vedemmo arrestato il primo, ed entrambi scacciati da Francesi in Roma, (pag. 58) un tal

247. Muscat negoziante; un

248. Canonico Ferrugia procuratore della chiesa di S. Paolo; vari emigrati napolitani e siciliani; impiegati di polizia inglese, ed altri reazionarii condotti specialmente dal romagnolo Francesco Ceccarelli, i quali mentre organizzavano bande da sbarco per qualche punto dell'isola Siciliana, non intralascinvano occasioni per tener desto e svegliato lo spirito reazionario fra di loro.

Nel di solenne massimamente di S. Paolo, dello scorso anno 4861, sotto gli occhi stessi della polizia, stabilirono una dimostrazione nello scopo suddetto. Cominciarono dal mettere in movimento il giuoco consueto di numerose banderuole clericali e borboniche in mano ad uno sciame di mariuoli e malandrini, colla giunta di grandi bandiere da agitarsi apertamente per le strade della città. Sugli archi, sa que' vessilli, e lungo tinta la Tratta di Piazza S. Giovanni scorgeasi scritto a lettere enormi: Viva Pio IX Papa-Re.

Qui il Governo intervenendo direttamente, (né saprebbesi per quale stranezza) ordinò si cancellassero le parole Re, quasiché il resto della dimostrazione a Pio IX Papa arridesse ai comuni nemici giurati dello tiara e del trono papale. A quel comando obbedirono i reazionarii, e per una libidine ancor più inqualificabile, soppressero bensì la parola Re, ma vi sostituirono quella di Pontefice Benigno.

In tal guisa armonizzando la dimostrazione coll'implicito permesso governativo, la cosa assunse un aspetto legale, e quella feccia di popolo sciolse il freno agli eccessi più immoderati e incredibili. Quindi in tutto Valletta era un urlare, schiamazzare, bravare i liberali al suono di minacce, imprecazioni, e bestemmie, preceduti da un concerto musicale.

Nè a sole grida ristavasi quella ciurma; ma falla audace dal silenzio della polizia, non si rattenne dallo scagliar pietre e sforzare gl'ingressi delle case. Trattasi difatti innanzi al Consolato del Re d'Italia la briachezza era al colmo. Gli ululati e le strida rinnovavansi più veementi, e al mal capitalo Console, che rientrava pur allora, si fecero addosso agitandogli sulla faccia bandiere papali e borboniche, percuotendolo ancora per ischerno colle aste sul cappello; e se in mezzo al tumulto non fossersi per forza cacciati taluni poliziotti armati, forse al povero Console sarebbe incolta la fine di Ugo Basv ille.

Non sazie ancora le turbe, rifecersi sulla strada S. Paolo, dove trovarono varii capitani di navigli mercantili italiani, a' quali volevano a vivo forza trarre di gola il grido — Viva Francesco II Viva Pio IX Papa-Re. — Al che ricusandosi que' buoni Patriotti ne uscirono malmenali e percossi; e se altri non fossero accorsi nella mischia avrebbero gravemente pericolato della vita.

A tale era giunta la follia di costoro che resi baldi dalla moltitudine, e per la impunità de' loro eccessi, cominciarono alla cieca a menar le mani sopra gli stessi soldati Inglesi e marinai pacifici; per cui senza un nuovo intervento della polizia,, benché tordo, l'ordine pubblico sarebbe stato gravemente compromesso.

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MARSIGLIA

Il governo locale di Malta col suo inqualificabile contegno poneva in istrano contradizione gl'Inglesi, tanto come nemici dichiarati del Papa Pontefice e Re, quanto perché non impedendosi quegli eccessi anche sotto il rapporto d'ordine pubblico, non seppe trarsi partito per usurpeggiare almeno con qualche fatto quello morale influenza che nel Parlamento e fuori é nella bocca di tutti.

Se però Malta comprese di maraviglia il lettore, assai più deve commuoverlo che in una città, per la sua posizione sul Mediterraneo, importantissima com'è Marsiglia, appartenente ad un Governo alleato qual è la Francia, si tollerassero mene comitati ed apprestamenti di armi in favole degli espulsi Borboni contro il novello Regno italiano; nel tempo medesimo che il Governo Maggiore di Parigi d'altro lato sembrava vomitasse lo sterminio di quelle orde per organo de' suoi ministri in Roma. Colali contradizioni non sono in qualche guisa giustificabili se non che in un ampia libertà d'azione lasciate a fren disciolta alle immoderate libidini di Roma, e dell'espulso Re di Napoli, affinché ne' loro estremi ravvolti, inesorabilmente cadano vittima del loro stesso acciecamento.

Espediente arrischiato e crudele ove gli eventi non consentano un adeguato compenso a tante sciagure!!

Marsiglia era un altro raggio dei centro impernato in Civitavecchia. Marsiglia era pe' reazionarii un focolare ancor più divampante che Malta, mentre qui potevan profittarsene per strategia ed impunità; colà poi per impunità e come luogo di convegno per i legittimisti collegati con Parigi, Lione, ed altro regioni di Francia.

Difatti il comitato era misto di Francesi, e Na politani, e Preti; e quantunque costoro si raccogliessero sotto il pretesta du denier de Saint Pierre, ciò nondimeno dagli aggiunti e dalle persone non poteva mancar modo ad un oculato governa di fiutare il palliato scopo di quelle aggregazioni.

Comitato Borbonico residente in Marsiglia

248. Monsignor di Sorrento, presidente onorario.

249. Luce, presidente effettivo.

250. Verger, vice-presidente.

251. Aoslran, relatore.

Membri del detto Comitato

252. Giraud.

253. Mongins.

254. Roquefort.

255. Laforèt.

256. Gamet.

257. Marsal, e

258. Rosea Gustavo membri onorarii.

259. Canonico Godraud, e

260. e 261. Due preti Napolitani, addetti alla parrocchia di S. Lorenzo.

262. Cappellano, Padre Teissiel.

263. L'ex-Consale delle Due Sicilie, segretario.

264. Afan De Riveira, organizzatore militare.

Sedi del Comitato

1a. Blancard oel Domaine Ventra N. 20, abitazione del vescovo di Sorrento.

2a. Ruolo la Palud N° 16.

3a. Rue Tapis Vert à la mission de Frecce.

Questo comitato, come ho testé mentovato, avea le apparenze di raccogliere moneta sotto il titolo du der nier de Saint Pierre, il quale impiegavasi in realtà nella compera di armi, munizioni, ed altri generi necessarii al brigantaggio.

Arruolava belgi, spagnuoli, bavaresi, francesi, e quanti mai presentavansi senza distanza di principii o di. religione, purché forniti fossero di robuste membra abili a menar le mani.

È a questo comitato che Borjès e compagni debbono la gloriosa loro fine!!....

Col mezzo delle messaggerie Imperiali, o co' vapori de' fratelli Fraissi nel venivano diretti a Civitavecchia ed a Malta, a secondo delle misure strategiche ordinate da Roma.

Celeste comitato veniva interpolatamente Confortato dalle visite di vari ex-Generali Borbonici, specialmente dal Clary, e Lagrange destinato questi più tardi per Lio ne, Parigi ecc

In tali orecchi tenebrosi facevan capo legittimisti d'ogni risma i quali rinfrescavano quivi le loro speranze,. e pigliavano l'imbeccata da comitati maggiori intenti e cogliere qualsivoglia opportunità che pur da lungi tenti ad insediare in trono i reapettivi caduti padroni.

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CASTELLAMARE

Non ultima a risentire gli effetti fenesti del giuoco nefando che agitavasi unite coste del Mediterraneo nelle direzioni reciproche sopra mentovate fu Castellamare in Sicilia, dove le influenze pel contatto non lontano degli altri fuochi reazionarii; per l'esimo negozialo di vini ed altre merci con Civitavecchia era agevole lo sbarco di agenti, armi, o danaro necessaria alla rivolta.

Castellammare in tutte le provincie napolitane e siciliane è la sola che abbia dato il tristo esempio di una vera sommossa germinata dal proprio seno, senza lo sprone possente di orde armate venute di fuori. Preda impune di partiti sovversivi era stato la prima e lacerare il Regia Decreto ordinante la leva; qual Decreto da feccia furibonda di popolo, ad istigazione di perversi cittadini, era stato arso e calpesto nelle pubbliche vie in mezzo o scandali di piazza che una dovuta, ma soverchia moderazione nelle autorità locali, non area saputo per tempo antivedere e distruggere.

Da tali precedenti segui che profittando gli agitatori delle pessime disposizioni di cui era infetta una parte di quella città togliendo pretesti o dalla leva, o da private rivalità miste d'interessi e di partito, di cui preesistevano germi funesti, o da voci sediziose e contraddittorie insinuate ad arte da diversi sedicenti capi di fazioni politiche, potè accozzarsi insieme un nucleo di malcontenti, e cui peraltro patti riescire momentaneamente propizio un atroce trionfo col porre a soqquadro il paese.

Alle ore tre pomeridiane circa del di primo dell'anno corrente si videro infatti apparire quà e là drappelli d'individui, armati, affaccendati e sospetti come se stessero in attesa di un movimento e cui mancava il cenno di esecuzione. Non andò guari che un colpo di moschetto diè il segnale della sommossa. Levaronsi in un subito numerose voci, le quali mostravano fin da principio il carattere discorde e fattizio di un ammasso di plebe mercenaria che veramente non sapeva quel che si facesse. Le grida babeliche erano — abbasso la leva,— morte a Cutray, —viva la repubblica — viva Francesco!!. Alle strida successero bentosto spessi colpi di fuoco diretti su vani punti prestabiliti, dove la vendetta o l'avarizia potessero appiano satollarsi.

A colmo di confusione accalcavasi, seguace spontaneo del movimento, quanto più di rabbioso e passionale era
in paese, e per cui la scena rendevasi più tumultuaria e spaventevole per le sue conseguenze.

L'onorevole Delegato Fundarò con un suo figlio accorsero a vero dire coraggiosamente per frenare i primi impeti di quelle turbe, che nello strano e contra ddittoria loro schiamazzare non sapevasi che chiedessero, o contro cui minacciassero. Accorrevano ancora i prodi RR. Carabinieri, ma accolti tutti a fucilate, lo adesso Delegato e suo figlio furono costretti a dileguarsi nelle case più prossime di privati, e i Carabinieri, pochi di numero, vennero inseguiti fin nella loro Caserma, dove aggrediti e sopraffatti, erano minacciali di morte. Se non che, disarmati e spogliati; valsero a stento a scampar la vita trafugandosi dove la opportunità meglio li chiamasse in sicuro.

Quel primo successo imbaldanziva la massa indiscrete che non trovando resistenza ingrossava i. suoi fianchi; e padrona dei movimento non tardò ad irrompere in quella sbrigliata licenza, che non infrenata dalla forza poteva liberamente. toccare l'ultimo segno. Difatti agglomeratasi strettamente in mezzo ad urli d'inferno assalsero in primo luogo la casa del Comandante la Guardia Nazionale.

Qui mi si sbalordisce la mente, e palpita la mano nel vergare l'orrendo caso che nel mite secolo in cui viviamo dee ascriversi tre i pochissimi che tornano a vergogna ed orrore dell'incivilimento e della umanità!...

La casa di quell'onorevolissimo cittadino venne spogliata e manomesso: né contenti del latrocinio perpetrato sulle sue robe, gli posero le mani addosso, e lo massacrarono orrendamente; indi squarciatogli il petto, ne venne strappato il cuore, dato alle fiamme, e disperse l e ceneri ai venti!! Orrore!...

A quatto segui altro misfatto più tremendo ancore, destinato a funestar la pura luce del sole, e far inorridir la natura.

L'infelice figlia dell'assassinato Comandante subì le stesse sorte in un colla prole che racchiudeva nell'alveo materno.... Venne massacrata e squartata... e padre, figlia, prole e cosa, dati preda al fuoco divoratore, furono conversi in rogo e tumulo i lori pacifici di questa sventurata famiglia!!

Collo stesso furore avventeronli contro la famiglie, casa e negozio di certo Azudo. Indi scorazzando pazzamente la Città, appiccarono il fuoco, agli Uffici ed Archivi Comunali; all'Archivio e Cancelleria del mandamento; all'Ufficio Doganale, all’Ufficio di Sicurezza Pubblica, e mamomsessa l'abitazione del Percettore, ne vuotarono la cassa.

La ferocia e il delirio erano al colmo, e per estremo di bizzarra cecità osarono perfino consacrare cotanti eccessi al Dio della bontà e della misericordia, versandosi nel tempio dove istraziarono un solenne Te Deum, col concorso non scarso di zelanti preti figli di quella educazione tutta ipocrita ed interessata che loro offusca la mente e chiude il cuore alla luce ed all'amore del bene, tolta conteso famiglia: miserabili, e vili strumenti d'un tirannico e perdente potere, non già seguaci di Cristo Redentore. Voi siete gli uomini più ribaldi della terra, altra volta vel dissi; ed il Crocifisso che insultate tuttodì nelle sue creature vi segnò già con l'incancellabile marchio dl Caino. La vostra ora è per scoccare; è già segnata negli eterni decreti; ogni Italiano saprà riconoscervi dal marchio incancellabile ché la vostra negra famiglia distingue!... Con tale rito fu chiuso quel tristo giorno.

Sotto tanti auspici di sangue e di fuoco era cominciato il nuovo anno, senza che la notizia di tento tumulto avesse potuto penetrare ne' paesi circonvicini, da che le orde avevano intercettate le strade, e intercluse l'uscita a chicchessia.

Il di secondo, serbando tale precauzione, s'affidavano continuare le loro orgie, rendendole anco più orride e fragorose al suono di un concerto musicale costretto a festeggiarle sozzamente con inni briachi di gioja. Non eretto altresì chiusi talmente gli aditi all’uscita, che intona non potesse evadere furtivamente per darne avviso alle prossime autorità, ed implorarne soccorso. Difatti reso consapevole il Sotto Prefetto d'Alcamo, questi spedi tosto in ricognizione un drappello di linea colla scorta di pochi cavalli e RR. Carabinieri, sola forza che in quei momenti minacciosi potè raggranellarsi. Era stato ingiunto e costoro di non avvicinarsi al paese se prima, verificato lo stato delle cose, non fossero e portata ed in proporzioni all'attacco. Il valoroso Comandante per altro de' militi, Capitano Varvaro, in onta anche al consiglio del capo de' RR. Carabinieri stessi, consultando solo il proprio coraggio, senza contare gli avversari, si spinse a briglia sciolta in mezzo alla città. Ma comparso appena, appostato e morto in uno od altro de' suoi fu un posto solo. Non lasciarono que' barbari impunito quell'eroica audacia degna di avversari migliori. Fu quell'infelice denudato, strappatigli gli occhi, e commesse nefandezze che la storia ricopre d'un velo!!...

Atterrato il capo della torte spedita a resistere pareva a que' tristi tenere in pugno la vittoria su tutti i punti, e immaginando che il valoroso Varvaro altri militi avesse addotti seco, corsero ad incontrarli giovandosi delle cime de' monti. Riescirono infatti e scoprirli, e vistili in iscarso numero profittarono del favore delle posizioni, si spinsero nascostamente e circondarli, e d'improvviso aperto un fuoco vivissimo uccisero tre militi e un maresciallo de' Carabinieri, un tenente Casaioni ed altri ferirono, menandoli seco prigioni uniti a sette de' loro compagni. I rimanenti ramparono la vita colla fuga, e sopraffatti nell'ardore del pericolo credettero che i ribelli in più migliaia e diretti militarmente potessero opporre una forte resistenza, ed assalire ancora Alcamo da dove pensarono marciassero altre orde malandrine. La cosa pigliò credito, dacché usciti appena quaranta militi circa, quattro vennero feriti da armati che mossi da Castellamare minacciavano realmente d'aggredire Alcamo.

Mentre intanto il tempo trascorrea nell'attendere soccorsi già richiesti col mezzo del telegrafo, al Governo, quell'italianissimo sotto-Prefetto mosso di persona alla testa delle pattuglie, disponevasi a disperata resistenza. Ma per avventura non osarono i Castellamaresi penetrarvi.

Il dì seguente i soccorsi delle regolari milizie da ogni parte rimboccarono pronti e animatissimi, e il sotto-Prefetto medesimo a capo di un battaglione, giunto durante la notte, mosse contro Castellamare, in quella che il valoroso Generale Quintini sul Monzambano con tre compagnie di linea, e mezza compagnia di bersaglieri dovea mettere piede a terra dal lato di mare.

Gli agitatori avvertiti di ciò, attendevano lo sbarco in una imboscato; ma gl'intrepidi campioni che sotto il vessillo glorioso di Savoia sentivano centuplicarsi il coraggio, incogniti, al pericolo, si gittarono e terra; e benché accolti da una viva fucilate in mezzo alla mitraglia del Monzambano che spazzava il terreno, sormontarono ogni ostacolo, e atteggiaronsi all'attacco di quella scapigliata moltitudine.

La confusione e lo sgomento al solo apparire delle RR. Milizie s'impossessarono delle masse. Inseguiti di via in via e di casa in casa, in breve tempo furono occupate tutte le posizioni, vennero disperse e taglieggiate, ed il paese occupato militarmente. — L'ora della giustizia era suonata. Molti sorpresi colle armi alla mano, tra cui un

265. Padre Galante, ed un padre

266. Palermo, vennero fucilati; ordinato il disarmo generale, e praticati molti arresti. Intanto profittando dell'assenza delle truppe, in Alcamo erasi esteso il grido di sedizione; le fucilate eran quasi durate tutto la notte, e la pubblica sicurezza era imminentemente minacciata. Laonde ridonala la quiete a Castellamare il sotto-Prefetto d'Alcamo colle forze del Generale Quintini vi si rivolsero prontamente, e bastò loro mostrarsi perché tutto rientrasse immediatamente nello stato primitivo. A precauzione tuttavia quivi ancora fu operato il generate disarmo, e praticate misure di polizia dirette a tutela della pubblica tranquillità.

I tristi che avevano infestato Castellamare ed Alcamo, e che poterono sottrarsi colla fuga al rigor della giustizia, ricovrarono ne’ monti vicini dove infaticabilmente perseguiti finirono col dileguarsi per le vicine foreste, rannodandosi ad altre orde brigantesche seminate sul suolo napolitano per opera del maggior comitato di Roma.

In questi fatti, come in altri che son per narrare in seguito, emerge costantemente quell'indomito valore che solo può divampare in petti animati da profondo convincimento nella loro causa; e se non fosse deplorabile il menar gioja di vitto rie fraterne, o se generose vite non avessero a lacrimarsi in quelli scontri fatali, dovremmo tripudiare di un trionfo mercé cui andò fallito in sul nascere il più terribile colpo che abbia saputo elaborare la reazione organizzata. E se e tutti i nostri prodi soldati che lasciarono sventuratamente la vita sopra il patrio terreno porgo il tributo di une lacrima, mi giova spandere un nembo di Rari e di corone sulla tombe dell'intrepido e valoroso Capitano Carlo Mazzetti di Livorno, vittima del suo coraggio, e degno di sorte migliore. Capitano egli dello stato maggiore trovavasi a lato dei Generale Quintini sul Monzabano. Erasi spinto fra i primi co' suoi bersaglieri caduti nell'agguato. il suo sottotenente addatosi del pericolo si fe' a dirgli:. «Voi vi esponete troppo Capitano». Ma questi invece volle farsi innanzi ancor più disdegnoso contro quella ciurmaglia che tardavagli troppo veder folleggiare più e lungo al suo cospetto. Avea però inoltrati pochi passi quando una scarica fatalmente venne a ferire al piede il sottotenente, ed e colpire il caloroso capitano in mezzo al petto. Gemea per le ferite il corpo ma non prostrato nelle animo al Mazzetti. Benché prossima sentisse una morte inevitabile, con serenità più vera che credibile soggiunse: «Non pensate a me tenente, lasciatemi mo rire in pace; pesante piuttosto ai soldati ed a voi...» Sublime risposta di un'anima grande e generosa!

A questo eroe per avventuroso Incontro erosi accoppiata Sofia Rigacci di Firenze, la quale fatta consapevole delle infausto annunzio di morte dello amatissimo marito mediante il prode Generale Righiani, con una virtù non men maschia e peregrina esclamò:

«Che una palla tedesca me lo avesse tolto... era il tributo di cittadino e di soldato; ma cadere in un agguato di briganti...»

Non infrequenti al certo ne' fasti della nostra indipendenza sono esempli luminosi di coraggio, e di prodezza: ma una costanza si stoica presso a spirare l'ultimo fato, e la civile rassegnazione di una donne nel più alto sacrificio del atto cuore, sono fatti che rimontano ad epoche rimate di tempi eroici, e fra noi oggi sono rari, e di ammirazione degnissima.

La pagina triste e gloriosa insieme or ora da me narrata sembrami foggiare prova splendidissime di quei che valga l'artificio o ti compro tradimento e fronte di veraci difensori raccolti s propugnare una causa ispirata dal soffio animatore di una sincera convinzione.

Di qui nasce quell'indomabil valore che tra pochi contro i molli vendica a se gli onori di superbe vittorie. Di qui é che l'inclito vessillo di Savoja dove apparve fu mai sempre o il precursore di trionfi, o se talvolta da centuple forze oppresso ma non vinto cementò nel proprio sangue l'addentellato formidabile di mille riscosse.

Quale maggior prova di coraggio e valore insieme di pochi militi postali sotto le mura della inespugnabile Gaeta, a rincontro di un vomito perenne di mille e poi mille bocche, da fuoco di ogni calibro? Non più che soli 147 cannoni davano in massima paste la resa n quelle mura inespugnabili, dal lato di terra, comandati disposti come ai quadro dimostrativo originale comunicatomi da onorevolissimo Capitano delle nostre milizie (Due. X. )

Il valore de' soldati Italiani spiegato in Castellammare in un con la benemerita Guardia Nazionale, fa colà quello stesso che in molteplici incontri dissipò le miserande catastrofi di tutto il Regno eccitato e benedetto da Roma… sventura!!

Ma se l'abnegazione e i sacrificii dei soldati Italiani non furono guiderdonati dalla gloria dei campo, ma piuttosto redimiti da funebri corone contro fratelli parricidi, dee saper l'istoria che quanto tremendi percossero essi i traditori delle patria, altrettanto furono soccorrevoli e pietosi come ne venne loro occasione.

Terre del Greco lo attesti lorchè il vide prodigare il proprio sangue per compor vittime dal divoratore flagello del Vesuvio. Comune era coi miseri fuggenti il militare bivacco; comuni le caserme p0' vegliardi, fanciulle ed altre famiglie emigranti; consolati e sussidiati i congiunti di prede ravvolte nella piena vorace delle accese leve irrompenti. Nella gara commovente di colante pietà generosa parea quasi che a compenso de' meli inevitabili della guerra, la virtù moralmente conquistatrice di quei calamai fosso addivenuta per essi ambito strumento d'espiazione con se stessa.

Ecco i soldati del popolo e della indipendenza che spuntando le ire furibonde di Francesco in Castellammare più che altrove nella pienezza del loro sviluppo rafforzarono una volta di più gli argomenti della sua cecità deplorabile; e Dio voglia provocassero in lui un efficace pentimento seguito dalla rassegnazione al meritato sterminio di un'abborrita dinastia.

Soldati figli prediletti della comune nostra Patria Italia, a Voi, prodi soldati, onore e gloria!

Voi compiste quasi la vostra grande missione; — ed in qual modo lo sa bene la parte rediviva di Malta: lo apprese Francesco II, relegato a Gaeta, e più lo sanno i vili mercenarii suoi pochi traviati, sconfitti, e distrutti in poche lune.

Vi vide, pugno di valenti condotti dell'eroe di Varese, sfidando i pericoli del mare per portar soccorso ai Siciliani fratelli e vendicare le stragi di Carini, sbarcare a Marsala sotto il bersaglio delle nemiche artiglierie, accolti fra le più vive entusiastiche acclamazioni, qua' liberatori di un'attonita popolazione.

Fu a Calatafimi che inferiori di numero al nemico; di ben lunga, combatteste una turba di leoni caricandola alla bajonetta con tale impeto che vi fruttava la presa delle più forti posizioni, nulla curando l'incessante mitraglia delle nemiche artiglierie. — Lo ricorda Palermo, che vi vide intrepidi avventarvi alla porta Termini, e dopo un furioso assalto entrare in città sotto un vivo fuoco di moschetti e di enormi cannoni. — Vi vide Milazzo in numero di soli 2500 sostenere da prodi una sanguinosa lotta, battere e sconfiggere il nemico in numero di oltre ad ottomila.

Mancano le parti più care per dirsi compito l’Italiano riscatto. Roma e Venezia gemono ancore. Sono questi i due ultimi termini della gran quistione della nostra nazionalità; la quale non é compiuta ed assicurata intantoché Roma appartenga a tutta il mondo fuori che all'Italia, e Venezia rimanga salto il giogo, dell’Austria.

Sarà questa l'ultima prova del Vostro inarrivabile valore, o prode esercito Italiano, con che mostrare al mondo essere i veri soldati di un Popolo Civile forti nella lotta, generosi dopo le vitt orie.

Chi è colui che niegar vi puote i rapidi e felici successi della Italiana libertà in poche lane?

E oggi manifesto che la tirannide, tanto elencate che regia, poggiava sopra una debole superficie d'obbedienza meccanica, mentre che al disotto avvampava il fuoco della rivoluzione per tolta l'Italiana terra. Rotta la forza austriaca, l'edilizio rovesciò tutt'intero con tale precipitanza da fare attonito lo stesso Monarca che aveva dato il primo colpo. Gli eventi si seguirono oltre alle speranze di ogni patriotta fidente, né avrebbesi potuto antivedere la riuscita di un' impresa come quella di Garibaldi. Ma la cose d’avvenuta, e la rivoluzione della Toscana, le campagne della Sicilia e di Napoli, la conquista dei domicili pontificii, son ricordate a confusione di coloro che giudicano i rivolgimenti dover procedere a mano e mano onde essere completi.

Grande è certo le vittoria che voi riportaste. Per essa Vittorio Emanuele è Re d'Italia: egli è Principe dalle Alpi alla Sicilia: i suoi diritti far riconosciuti da' principali stati d'Europa, i quali mai consentiranno che tolto gli sia quanto seppe guadagnarsi col valor dell'armi, e con la simpatia di ben 25 milioni di cuori che confidano in lui. I suoi dominii si distendono senza interruzione della punta estrema settentrionale alla punta estremo meridionale; i pochi avanzi dello stato pontificio sono stretti dai suoi confini e dal mare, su cui è settemplice più torte del suo avversario. Tutto questo paese è a lui fedele, a lui che tolto abnegando ha gagliardamente operato onde redimerlo dalla schiavitù per ridonarlo ai diritti di libertà e fratellanza, mettendo a risico la sua corona in cotanto pericolosa e santa impresa.

Oggi però ogni libero cittadino sente il sacro obbligo posare la. mano sul citare, rediviverne gli assopiti battiti per il compito della sua missione, e riaccesone il solenne patto di faro Italia ama con Vittorio Emanuele fare appello del suo diritto.

E tu, o protomartire vivente della nostra indipendenza, tu, o Garibaldi, eroe non secondo del comune rimetto, sorgerai anco una nulla, ove uopo vi fosse, e le battaglie della libertà torneranno ad averti a supremo duce, e celeste ispiratore; e la Dio mercé grideremo in Campidoglio «onore al soldato Italiano che sfidò la morte per la liberazione dei proprii fratelli tenendo allo ed immacolato il prezioso Vessillo Nazionale come tien paro e sollevato in cuore il pensiero della gloria e della virtù.

Onore, si onore e questo esercito salvatore!...»

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BORJÈS

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Tra i fatti più stupendi del brigantaggio, la storia di Borjès e compagni occupa una parte ben interessante, massime per gli aggiunti, donde essa ne trae profitto singolarissimo nel rimontare ai visionari progetti della organizzazione reazionaria, ed a' suoi complici principali.

Era Borjès un Generale spagnolo Carlista, famoso assassino di vegliardi e giovanetti, i suoi figliuoli o germani combattevano nelle file dell'esercito costituzionale, carico d'ogni delitto, ignorante, fanatica quanto brutale; era stato il terrore della Catalogna. Tramontata la sua stella sanguigna era in traccia di ventura, dove la sua sete infernale potesse refrigererei all'idee di livore e dl, vendetta verso gli uomini che prima dalla sua patria e poscia all'alito pestifero di tonte nefandezze aveanlo rigettato dal loro consorzio. Era negli ardenti voti di lui il ripresentarsi io patria, dinanzi e' suoi emuli rinsignite della piuma generalizia, aspirando certo a nuovi eccidii di parte ove occasione il consentisse.

Pervenuto a sua notizia la caduta di Francesco II, e conoscendo i suoi disegni di reagire con ogni e qualsiasi mezzo onde ricuperare colla forza il trono perduto, credè venuto il momento di riaffilare la sua spada, la cui lama bruttamente sanguinoso al certo non avrebbe rabbrividito i fabbri della reazione borbonica, presti com'erano ad accoppiarla col pugnale dell'assassino, e col pistone del brigante.

I suoi misfatti in mezzo a bolge ricolme d'ogni sozzura tornavano a prodezza, ed equivalevano alle virtù inesorabili del campo. Il suo tempo era venuto, ed egli doveva afferrar l'occasione propizia.

Il comitato di Marsiglia per elementi legittimisti, e per prossimità di luogo doveva essere il suo punto di partenza. Accetto, com'era naturale, da que' frenetici comitati, in raffronto ai Croceo Donatello, Chiav one ed altri siffatti campioni, teneansi in onore iscriver nelle loro file un abile soldato bene o male asceso pe' studj della milizia al grado di generale; e siccome ben si conoscevano l’orgoglio e le speranze dell'eroe novello, stimarono dover saziar l'uno e le altre, adescandolo almeno collo splendore di magnifiche lusinghe.

Gli ex-generali Bosco e Clary, echi di Francesco in Marsiglia, avean l'incarico d'enfiar le ampolle e dar la concia a questa pelle di lupo. Difatti gli si sciorinò dinanzi un vasto programma da sciogliere: reggimenti e divisioni da ordinare; eserciti da capitanare; fabbriche di polvere e munizione da attivare; nomine di alte funzioni civili e militari da distribuire; vie ferrate da prescrivere; governi da sorreggere, ed altre simili istruzioni fragorose da levarlo nella brillante pretensione di reputarsi il precursore armato e onnipossente di una restaurazione, vicino a cui potesse assidersi un di trionfante rivendicatore, tremendo agl'ltaliani ed a' suoi crucciosi Spagnuoli.

Coll'arredo sontuoso di tali promesse venne nominato Generale in capo di Francesco II.

Con pochi seguaci, ma risoluti; purea che come il Cristo Co' suoi dodici muovesse alla rigenerazione armata del vecchio mondo.

Da Marsiglia approda co' suoi a Malta. Sbarcati a Bruscano lo mandano in un paese chiamato Pregacuore. Colà diretti, furono convenevolmente ricevuti dall'arciprete che li attendeva, come per avviso ricevuto dai padroni di Roma. Di li mossero verso Bianco, dove la popolazione non fece loro resistenza veruna, sorpresi di non trovare le Calabrie tutte insorte come gli si era fatto credere. Il generale Borjes quindi fa pubblicare dei proclami (Doc. Xl. XII.), e nell'arduo arringo di pericoli e di patimenti ritempra l'indomito aulico valore, e dopo lotte lunghe e difficili, riesce ad oprar la sua congiunzione coi capo brigante M ittica indicatogli da Roma.

Al primo contatto di quelle selvatiche figure, ristette in sulle prime, e stimolandolo uno strana eccezione di parte più eletta, uso com'era al comando, alla prima irriverenza di termini che non lasciò desiderarsi, fe' stringere in ceppi il Mittica, e passò oltre.

Incontratosi indi e poco nella banda di Crocco associato a Langlois, si fe' tantosto a dispiegar le sue credenziali di Generale in Capo di Francesco II. Nè l'uno né l'altro però aggiustandogli fede, vollero cedere il rispettivo primato. Costretti peraltro su di un terreno di fuoco a violenta aggregazione, messe un istante da banda le dispute gerarchiche, proseguirono tutti attivamente le operazioni strategiche per più giorni, nelle quali, stante la superiorità nella pralina militare, il Bor s guadagnava ogni di influenza ed autorità, al segno che sgombrati i suoi emuli, potè in breve tratto aumentar la banda presso ad ottocento uomini.

Benché le aspettative non fossersi mostrate giammai nella luce de' suoi desiderii, tuttavolta parevagli d'essere in grado di osare cose più grandi, e schiudersi la via ai giganteschi meditati disegni.

Di qui cominciò a spiegarsi quell'indole ferocissime che da lunga stagione compressa irrompeva fremente quanto più ritardata. Omicidii, incendii, saccheggi, coll'ampio corredo delle furie che li accompagnano, non videro confine. Esterrefatti i paesi e i vicini villaggi dallo spavento del suo nome, ogni umana cosa reputando inutile a tanto furore, tentavano volgersi al Cielo, e spiegando disperatamente l'apparato solenne del clero croci e imagini muoveangli in contro, come a' dì d'Attila, supplichevoli, a fine di mansuefare quelle fiere sitibonde, ed allontanare il flagello.

Ma inutilmente, dacché spesso, clero, croci, stendardi, sacerdoti, e leviti co’ loro casolari e chiese non vennero risparmiate; e il furto, la rapina, lo stupro e le carneficine erano il solo gradito olocausto, il cantico del trionfo. Non fecero altresì gran pezze desiderarsi i fulmini della vendetta.

Le regolari milizie di conserva colle Guardie Mobili, afforzati dalla resistenza locale di Militi Nazionali, in pochi scontri assottigliarono sensibilmente le file di Borjès per cui dové riuscirne rinvilito di nuovo e diffidato eziandio per la sua immoderata burbanza troppo dissimile dall'abbiezione de' colleghi che creagli n fianco.

Non potendo acconciarsi a niegar fede intieramente alle ampie promesse del partito legittimista, e de' Generali Clary, e Bosco o a reputarsi investito di un potere ridicolo e senza effetto, rimise nelle mani dell'ex-Re un ampio progetto che mentre dispiega le vastissime mire di lui, argomentano la suo dabbenaggine vilmente schernita dalla corte.

Egli o riporre la corona sul capo di Francesco dimandava in sostanza ben piccola cosa. Quattrocento buoni ufiziali e venticinque milioni!! dacché in luogo di soldati fin allora non ravvisava che pochi briganti, com'egli stesso dicevo, avari, ignoranti, avidi solo del furto e del sacco, e capaci d'ogni nefandezza.

Proponeva convertire il brigantaggio in buona guerra, e combattere lealmente a bandiere spiegate.

Tali idee che a loro volta erano plausibili e straordinarie in mezzo a tanta oscurità erano venute di fuori senza cognizione preventiva né di causa, né di persone. Un'accozzaglia fattizia di pochi ribaldi prezzolati, e col solo requisito di crimini d'ogni genere stimolato sol dalla promessa d'impunità e di saccheggio, senza vessillo che lo stemma della moneta, non poteva abortire che nell'ombra de' tradimenti, o negli agguati delle foreste.

La corte di Francesco sogghignando befardamente a tali progetti, senza soddisfacenti risposte, abbandonava le cose alla balla delle circostanze, e riducevasi solamente a confortare il tradito Borjés con qualche autografo del generale Bosco, e dei generale Lamoricière, che come l'idra riergeva dalla sua prostrazione l'ultima testa 9.

In mezzo alle sconfitte toccate ed alle opposizioni degli altri capi briganti Borjès erasi ridotto Co' soli ventidue fidi compagni spagnuoli, ed apprestatosi a muovere verso homo a fine di partecipare all'ex-Re le vere e genuine notizie di casi scompigliati movimenti. Però l'ora dell'espiazione di tanti delitti, e dell'Attentato ai nuovi era giunto. Il di otto Dicembre 186 1 era l'estremo per Borjès e suoi empagni!! Cedo di buon grado la narrazione di questa fine memorabile al valorosissimo Maggiore Franchini comandante nelle R. Truppe Italiane, il quale l'annunziava officialmente al Governo che alla lettera trascrivo 10.

Tagliacozzo , a dd ì 9 Dicembre N. 450

«Alle ore 11 della sera dei 7 una lettera del signor sotto-prefetto del circondario m'avvisò che Borjès con 22 suoi compagni a cavallo era passato da Paterno dirigendosi. sopra Scureula; ed altra, alle ore 3 ½ del mattino degli 8, del signor comandante i Reali Carabinieri da Coppelle mi faceva sapere che alle ore 8 di sera dei 7 avevano i medesimi traversato detto paese, e che tutto faceva credere avessero preso la strada per Scorcola e S. Maria del Tufo.

«Dietro tali notizie io spediva tosto uno forte pattuglia comandata da un sergente verso la Scurcula colla speranza d'incontrarli, ed altro a S. Maria comandata da un caporale per avere indizii se mai i briganti fossero colà arrivati; ma costoro prima degli avvisi reca voti avevan di già oltrepassato Tagliacozzo e traversato. chetamente S. Maria dirigendosi, sopra la Lupo, grossa a cascina del Sig. Mastroddi.»

«Certo del passaggio dei briganti io prendeva con me una trentina di bersaglieri, i primi che mi venivano alla mano, ed il luogotenente Staderini che era di picchetto; ed alle due prima di giorno mi metteva ad inseguire i malfattori.»

«Giunto a S. Maria trovava la pattuglia colà spedito, e da questa e dai contadini aveva indirizzi certi del passaggio de' briganti, ed ajutato dalla neve, dopo breve riposo celeremente prendeva le loro tracce per alla Lupa.»

«Erano circa le 10 antimeridiane allorché io giunsi a alla cascina Mastroddi; ma nulla mi dava indizio che essa fosse occupala dai briganti, quando a una cinquantina di metri circo da quel luogo, vedo alla parte opposta fuggire un uomo armato. Mi metto alla carriera, lo raggiungo e chiudo la strada; i miei bersaglieri si slanciano alla corsa dietro di me; ma il malfattore, vistasi impedita la fuga, mi mette la bocca della sua carabina sul petto e scolla: manca il fuoco; lo miro alla mia volta colla pistola ed ho la medesima sorte; ma non falli un colpo sulla testa che lo stese a terra. I bersaglieri si aggruppano intorno a me ed a colpi di baionetta uccidono quanti trovano fuori (cinque): altri circondano la cascina; ma i briganti avvisati fanno t fuoco dalle finestre e mi feriscono due bersaglieri.»

«S'impegna un vivo combattimento, ed i briganti si difendono accanitamente. In fine, dopo mezz'ora di fuoco, intimo loro la resa, minacciando d'incendiare la a casa; ostinatamente rifiutano; ed io volendo risparmiare quanto più poteva la vita ai miei bravi bersaglieri, già faceva appiccare il fuoco alla cascina, quando i briganti si arrendevano a discrezione.»

«Ventitré carabine, tre sciabole, diciassette cavalli, a moltissime carte interessanti cadevano in mio potere, a tre bandiere tricolori colla Croce di Savoja, forse per servire d'inganno, non che lo stesso generale Borjès e gli altri suoi compagni descritti nell'unito stato, che a tutti induceva meco a Tagliacozzo assieme ai cinque morti, e che faceva fucilare alle ore quattro pomeridiane, ad esempio dei tristi che avversano il governo del Re, ed il risorgimento della nostra Patria.»

«Alcune Guardie Nazionali di S. Maria col loro capitano che mi avevano seguito, si portarono lodevolmente, per i quali mi riserbo a fare delle proposte per ricompense al signor Prefetto della Provincia.»

«Il luogotenente Signor Staderini si condusse lodevolmente e mi secondava con intelligenza, sangue freddo e molto coraggio.»

«I bersaglieri tutti grandemente si distinsero.»

«Rimetto alla S. V. Ill.ma lo stato dei candidati per le ricompense, non che tutte le carte, corrispondenze a interessantissime del nominato generale Borjès e suoi compagni, persuaso che da queste il Governo potrò trarre grandissimo vantaggio.

«Il Maggiore Comandante il Battaglione

«Franchini

I nomi de' compagni fucilati di Borjés si leggono nell'elenco de' capi-banda e capi-squadra principali a pag. 41. 11

Non appena divulgatasi la notizia della morte di Borjès e compagni, si destò in Roma e ne' legittimisti il raccapriccio ed il terrore. Il Borbone e i preti, dopo averlo illuso e beffeggiato vivente, a non iscreditarsi soverchiamente cogli altri campioni onor superstiti, furono solleciti esagerar compassione e corruccio sulla loro vittima esangue.

E per dar cominciamento a tali scene, da un delegato del Comitato borbonico ne venne richiesto il cadavere al Generale LA MARMORA rappresentante di S. M. VITTORIO EMANUELE, in Napoli. Indi nel febbraio 1862, nella CHIESA DEL GESÙ di Roma venne celebrato una solenne messa funebre in suffragio di quell'anima, la quale non vo’ turbare con rancori oltre la tomba.

Son convinto che ove le illustri esorbitanze di Monsignor PIE Vescovo di Poitiers, recitate nella chiesa di S. Radegonda, pregando pace all'anima del vivente ribaldo Luigi Gicquel creduto morto nelle milizie di Lamoricière, non avessero provocato il pudore ne' RR. PP., avrebbero costoro sicuramente magnificato pel Borjès l'argomento sdrucciolevole di un altro elogio funebre che consacrasse I'apoteosi gloriosa di un altro malvagio, noverandolo nel martirologio di Francesco II e di Antonelli. Si limitarono questa volta alla sola eloquente dimostrazione di un sommesso requiescat, col quale però venivo a stabilirsi argomento di più a favore delle tenere simpatie per la causa brigantesca, e della reazione fomentata in modo non dubbio dalla Corte Romano.

LAMORICIÈRE

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I precedenti di Borjès, le piacenterie e gli onori che si stimò necessario anticipargli per irretirlo nella reazione hanno una mirabile coincidenza con quanto deve aver necessariamente precorso la chiamata di Lamoriciére operata dal De Merode, come preambolo alle sue gesta famose. La complicità mostrata per le aderenze con Borjès, manifestate per gli stessi suoi scritti sorpresi all'ajutante di quest'ultimo, mi autorizzano, senza uscir dai limiti assegnati, a consacrargli una parola.

Quest'uomo intrattabile, orgoglioso, sprezzante e privo per anca di quella gentilezza che d la nota esteriore e più comune di un Francese, fin dall'epoca della sua prima missione papesea sembrava ognor compreso da una posizione anormale. La sua alterigia ntlresi pronosticava che qualche grave disegno volgesse il cruccioso capitano da poter forse levare un di la sua fronte non pur rimpetto a' suoi colleghi, ma a favore di una restaurazione universale, nella quale sognava pur anca una rivincita contro l'Imperatore di Francia suo nemico.

Altri coll'insigne Liverani scorge nel Lamoriciére un raro esempio di abnegazione, e di puro zelo verso la causa del Pontefice. Ad altri veggenti pero, coerentemente ai suoi precedenti, ed al piano colossale tuttoché immaginario, de' suoi padroni, è sembralo men simile al vero che un buon militare, quantunque venuto in fama più pel risuono delle sventure che per la gloria delle sue gesto, potesse adagiarsi di buon grado a capitanare un pugno di gente indisciplinato, e indisciplinabile per elementi eterogenei di nazione e di religione, dopo avere spaziato per estensioni vastissime, ed aver assuefallo lo sguardo ad eserciti quanto formidabili, numerosissimi. Invece con migliore diritto può osservarsi che La moricière (lasciando stare le sue vedute privale dirette ad aggiustare gli affari di casa propria) avesse in mira di far capo io Roma con un piccolo esercito ampliabile in seguito ecumenicamente a forza di contingenti europei; ingrossare per via i suoi fianchi a mo delle vecchie crociate, e premunirsi una via spaziosa idonea a procacciargli gli onori redivivi di un Buglione o di un Tancredi, colla sola differenza di direzione dalla volta di Palestina a quella di Parigi, dove avrebbe voluto adorar qualche tomba e s ciorre il voto.

Soldato non inglorioso sotto il vessillo francese, non isdegnò il soldo straniero dalle mani del Papa; e il Municipio di Roma a dargli una prima prova della fiducia che gli prestavano, lo insigni del nome di cittadino romano non solo, ma gli fe' coniare una medaglia colla leggenda e «se et anteactos triumphos pro Petr i sede lubens devovit.»

Ultimamente poi non rinsavito dalla sfortuna, s'intruse sotto lo stendardo di una sona reazione condannata da tutto il mondo civile.

Buon per esso se ai colpi di tanto traversie avesse piegato la fronte; ma dopo avere scassinato amendue i poli dell’Emisfero per farsi sbaragliare la grand'armata in diciotto giorni; dopo di aver co' proprii piedi defilato sullo la spada vittoriosa dell’antico suo emulo 12; dopo essersi seriamente ripresentato in Roma per cingere i lauri trionfanti del suo Campidoglio al Gesù o a S. Ignazio 13, sembra non avere ancora percorso intera la sua carriere li.... Se per altro egli ha sacrificato se stesso, e le sue glorie militari alla Santa Sede, questa lo insigniva di medaglia commemorativa pel suo sacrifizio.

MARCHESE ALFREDO DE TRAZÈGNIES DI NAMUR

Fra le vittime più segnalate spinte sul campo de' briganti dal fanatismo o dall’inganno dee noverarsi il Marchese Alfredo De Trazègnies di Namur. Di questo nobilissimo Belga non saprebbe ben definirsi se, irritato da contese domestiche, isdegnasse la vita: ovvero se, per un sentimento verace di affetto alla causa della legittimità, che reputava difendere nel Borbone di Napoli, si tosse gettato perdutamente nel golfo reazionario.

Scevro di vedute ambiziose in mezzo a quelle masnade, doviziosissimo, e di una nobiltà insigne, per esser affine dell'Ambasciadore italiano nel Belgio, del Maresciallo Saint-Arnaud e di sito fratello in Francia; nipote della contessa di Nassan imparentata col Be di Olanda: possessore poi di un reddito di circa trecento mila franchi, la sua apparizione tra quelle feccia di uomini era veramente misteriosa ed inesplicabile. Egli stesso ne rendeva più tardi la strana ragione di trovarvisi come dilettante (en amateur).

Il di 11 Novembre 1861 in Isoletta e S. Giovanni Incarico, paesi posti a un miglio e mezzo l'un dell'altra sull'estrema linea di confine col territorio pontificio di Ceprano, avvenne un forte scontro fra le truppe italiane, ed una colonna di circa 500 briganti.

Non abbastanza in numero le milizie regolari, Isoletta in breve era preda li furioso saccheggio; ma sopraggiunto buon numero di soldati, riguadagnarono il paese, e dispersero i briganti.

Il Marchese Trezègnies, rito veniva chiamato Colonnello, durante il sacco era andato follemente percorrendo il paese coi revolver alla mano, e penetrando da tino casa all'altra tra le ruine e le fiamme, non essendo riescito a fuggire co' suoi, s'era occultato nella più prossima cosa nel vicolo Soccorte presso le carceri comunali. Però resone avvisati i soldati, vi penetrarono, e dopo avere scassinato a viva forza la porta di una soffitta, lo rinvennero rannicchiato nello estremo angolo di questa, da dove, già spezzati molli embrici, tentava fuggire. Avea intorno a se una carabina rigato, un revolver a sei colpi, e in dosso un pugnale dall'elsa dorato.

Depose volontariamente le armi, ma rifiutando di escir da quel caviglia, ne fa estratto a forza, e presentato al Maggiore Savi ni allora sopraggiunto da Ponte-Corvo, con nuovi rinforzi.

Il Belga, vista imminente l'inesorata sentenza che lo avrebbe spazzato dai viventi, tentò d'imporre alla risoluzione di quel Capitano, allegando lo splendore di alti titoli e di elevati rapporti, e per attestarne un qualche cenno trascrisse su di un brano di carta queste parole: — Alfredo di Trazègnies di Namur, Belga. — Madama di Montalto moglie dell'Ambasciadere del Re Vittorio Emanuele è mia c ugina. —

Ma la legge uguale per tutti, lo condannò alla fucilazione, come venne di fatti indi a poco eseguita.

Era questo sfortunato giovane di belle forme, in età di circa trent’anni. Vestiva decentemente abiti da città e cappello alla calabrese. Appesa ai ciondoli dell'orologio avea uno medaglia coll'effigie di Pio IX; pendeagli al collo un abitino della Vergine. In tasca avea qualche carica da revolver, lettere affettuose ed un ritratto; una piccola carta geografica d'Italia spezzata, dove non iscorgevnnsi che le sole province del mezzodì; una nota delle principali opere di strategia militare; alcune sentenze classiche militari in varie lingue testuali; recapiti al Vaticano, e pii biglietti di visita.

Trazégnies, era stato sepolto insieme agli altri suoi compagni, quando, il giorno diecinove Decernbre 1861 , un
Maggiore Francese comandante le truppe di frontiera dello Stato Pontificio, con un suo capitano, e certo prete per nome Bryan proveniente da Roma, scortati da due uscieri, si portarono in S. Giovanni Incarico, ed a nome del Generale Francese Govon dimandarono permesso di disumare ed asportarsi il suo cadavere. Il Sindaco autorizzato dal Governo di Napoli cesse a quella deputazione, previa la seguente ricevuta.

Io qui sottoscritto dichiaro aver ricevuto il cadavere del Marchese Alfredo de Trazègnies, fucilato come brigante facente parte della banda de' Chiavoniali, trovato armato e comandato di dare il sacco ed il fuoco a questo comune. — S. Giovanni Incarico 21 Dicembre 1861. Il prete belga Bryan.

Il giovine Marchese di Trazègnies figlio di onorata e nobile famiglia nel Belgio è una vittima di più che grida vendetta contro le tigri sitibonde e insanguinate di Roma e di Napoli...

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BASILICATA

Non ultima fra le stragi commesse dalle orde reazionarie è da noverami con terrore quella della Basilicata presso Lagopesole.

Il 7 dello Aprile 1861 la comitiva de' briganti, che da qualche tempo scorrazzava poi distretto di Melfi si presentò ai casali di Avigliano presso Lagopesole; incitò la plebe e seguirli per ristaurare il caduto re, il quale dava carta bianca di saccheggiare ed uccidere i galantuomini.

Si fece molta gente, ma la sera stessa essendo accorsa la Guardia Nazionale di Avigliano, quella masnade si cacciò nei boschi vicini.

Il centro di riunione per essi era a Ripacandida, dove si raccoglievano tutti i soldati sbandati de' luoghi vicini.

Il capitano di quella G. N. non potendo fare resistenza, si strinse nel corpo di guardia fino che giunse il brigante Crocco Donatello con la grossa masnada di Lagopesole: uccisero barbaramente il capitano, ed unitisi ai preti proclamarono Francesco Borbone.

Il 10 la banda capitanata da Croceo e D'Amato, accresciuta dall’altra di Saccomnnno composta, la maggior parte di galeotti evasi dalle galere, presero la direzione di Venosa. Quivi era preparata qualche resistenza, che dové cedere alle forza superiore de' briganti, avendo questi fatta spargere ad arte la voce che gli avrebbero salvi dal saccheggio.

Entrata quivi la banda, si presentò all'esattore di fondiaria, al cassiere comunale, al procuratore delle monache: presero da questi tutte le somme che poterono avere spogliarono le case de' più noti e ricchi liberali: uccisero tre individui, il vecchio venerando Nitti, un giovane di nome Matone ed un tale Ghiura.

Per tre giorni consecutivi fu continuato il saccheggio: nominarono un nuovo Sindaco, bruciarono gli Archivi, e per soprappiù, onde ingrossare le loro fila, aprirono le prigioni.

A tali scene di sangue la plebe di Ravello, piccolo paese nelle vicinanze di Venosa, agitata, e capitanata dal famoso arciprete D. Ferdinando Maurizii, inalberando la bandiera bianca pose in tumulto tutto il credulo paese, comandando il furto alle case de' liberali, menandone taluni a morte, gridando e proclamando Francesco II.

Nel giorno 12 entrò trionfalmente in Ravello Croceo, annunziandosi, e dando ordini col titolo di Generale di Francesco II, in un col suo colonnello Amato.

Il 15 la banda con a capo il reverendo arciprete cd il generale mosse verso Melfi, dove commisero molti furti ed assassinii favoriti da un Colabella ex-consigliere d'Intendenza, da un Aquilecchia ricevitore generale, e da un Parrini: in seguito arrestati.

L'Intendente del distretto, avuta appena notizia di questi fatti, radunò colla maggiore prontezza la milizia cittadina di Avigliano, S. Fele, Belle, Muro, e Ruoti; non poterono peraltro mettersi in marcia per le dirotte pioggie.

Un corpo di militi però si mosse da Rionero e ad onta della sproporzione di numero si batté eroicamente per più ore nelle vicinanze di Atella: ajutati poscia da 200 soldati di milizia regolare riescirono a mettere in fuga i briganti.

la Atella quel corpo fu raggiunto dall'Intendente del distretto. — A Barile venne attaccato furiosamente, dove il fuoco darò per bene 7 ore, uccidendo 50 briganti.

Rinforzati da circa altri 500 militi di Acerenza, e Spinazzola, comandati da' valorosi d'Errico e Bachicchio, diedero la fuga a' briganti arrestandone soli 350.

TERRACINA

La notte del 15 Ottobre 1861 un orribile caso perpetrato in queste contrade soggette ancora al potere di Roma clericale, merita registrarsi in queste dolorose pagine, onde riescire a sempre più dimostrare la complicità assoluta de' due poteri fòlleggianti.

Loffredo Gaetano, giovane impiegato al telegrafo, si recava a Napoli della diligenza da Fondi, avendo ottenuto colà un impiego. — Aveva a compagni nella vettura un tal Bianchi prete profugo di Terracina, un tal Mancini proposto del registro e bollo di Fondi, ed altre persone.

A poche miglia da Fondi furono fermati da una ventina di assassini della squadra di Chiavone, che preso loro denari e roba, trassero con sè i descritti tre individui. All'infausta notizia il padre di Loffredo, uomo venerando di anni 70 a nome Giuseppe, i parenti del Bianchi, e quelli del Mancini, ammassarono un pó di denaro e lo consegnarono ad un messo spedito loro dai briganti. Tornò il messo, e non contenti della somma mandata ne richiesero altra. Fu necessità trovare a forti stenti altri mille ducati, ed il messaggero assicurò loro che il giorno dopo avrebbero riabbracciati liberi i catturati parenti.

Un fratello di Gaetano Loffredo con i fratelli del Bianchi erano a Fondi in attesa dei ritorno de' parenti quando, visto un affollamento fuori la porta della città, ivi trassero, credendo fossero i fratelli rilasciati liberi. Orribile infamia a dirsi! Le tre teste di quegl’infelici situate su di un muro facevano atroce spettacolo di loro.

L'addolorato Pietro Loffredo si getta convulsivamente sul capo dell'assassinato fratello, lo abbraccia, lo bacia, e si bagna di sangue il petto, le mani, ed il volto…!

La barba di tutte tre le teste era rozzamente recisa, ed al capo dell'infelice Gaetano mancavano sulla tempia sinistra buona parte di capelli strappati visibilmente. Sulla fronte delle tre teste v'era un cartello attaccato coll'aggrumito sangue portante i nomi respettivi di quelle vittime. Sotto di esse v'era aperto un foglio ove si leggeva:«Serva di esempio perché noi vogliamo assolutamente Francesco II nostro re. »

I tronchi di quegl’infelici furono rinvenuti poco dopo non lungi dal luogo dov'erano le teste, crivellati da pugnalate, e amputati in più parte. Il Loffredo lasciò superstiti un desolato padre, una giovane sposa quasi morente dal dolore, e tre infelici figli; ed il Preposto di Fondi numeroso prole ed una infelice moglie, che tutto vendeva per accozzar denaro al riscatto del proprio consorte.

Vollero quelle tigri sitibonde di sangue provare con tale esempio il verace attaccamento alla legittimità di Francesco, e della Santa Madre Chiesa di Roma, la quale atterrita per tanto assassinio punisce que' malfattori con inviar la sera del 20 dello stesso Ottobre un rinforzo di 75 briganti: e la mattina del 24 ad ore 5 soli altri 130 diretti tutti per la montagna di S. Francesco presso Sera. Sono le gloriose e magnanime gesta che si compiono caritatevolmente sotto l'egida delle Santa Chiesa della nuova Coblenza!!...

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CASTELLUCCIO

Una fra le tante scene di barbarie commessa da' masnadieri diretti e comandati dal famigerato Luigi Alfonzi, conosciuto col nome di Chiavone, fa d'uopo ch'io narri, per avvicinarmi sempre più allo scopo prefissomi ed allo assunto impegno di provare correa la Corte di Roma nella reazione Borbonica.

È Castelluccio un piccolo paese posto tra i confini Napoletano e Romano, preso di mira dal Chiavone onde avere un libero e sicuro accesso nella Terra Santa in caso di solita fuga. E difatti, ne' primi del passato Novembre; un'ardita masnada di 300 individui con alla coda il valoroso loro Duce, e vestiti con divise borboniche piombarono d'improvviso in esso gridando che «v'accedevano in nome della Religione e del legittimo Re Francesco II». E sotto tali auspicii commisero uccisioni, rapine, saccheggi, incendii. Qua' nuovi Vandali essi completarono a segno la loro devastazione da disgradarne forse anche gli stessi patroni di Roma, che è tutto dire.

Furono preda del fuoco divoratore fra le tante anche le abitazioni de' Sig. Scarpelli e Palermo, e per primo l'archivio comunale. Poscia sazii dl vendetta la' vampiri, e carichi di ricco bottino riguadagnarono l'inviolabile territorio Romano, dove sotto l'ombra delle sante chiavi meditarono altri misfatti da compiere.

Cotante scene di barbarie indussero quel Generale francese De Gèrandon ad emanare un ordine a' posti francesi de' diversi confini col quale autorizzava i respettivi Comandanti metterai di concerto con le truppe Italiane per l'andamento e dovere de' proprii servizi. Fu in forza di tale ordine che il sottotenente Antonmarchi alla testa di 80 Francesi partirono da Veroli, dove stanziavano, per alla volta del convento di Scifelli e dl Fontanafusa onde snidare gli eroi del Chiavone colà rimpiattali. Ed in vero in quei dintorni esplosero all'improvviso due colpi di fucile contro i Francesi azzardati dagli avamposti Chiavonisti, i quali in prova del loro coraggio si diedero a precipitosa ruga urlando come indemoniati. Uno di essi fuggiva a cavallo portando una enorme bandiera Borbonica. Un bravo granatiere Francese però gli tolse l'incomodo suo scavalcandolo con una fucilata che lo gettò freddo al suolo, e impadronendosi della bandiera e del cavallo. I compagni superstiti fuggivano sempre sparando contro i Francesi che instancabili gl'inseguivano. — Restarono feriti quattro briganti, quattro forano fatti prigionieri, ed i rimanenti si sparpagliarono per la montagna. Dagli arrestati venne indicato a' soldati francesi una prossima casupola per il quartiere generale dei valoroso assente Chiavone. — Colà pervenuti furono obbligali atterrarne l'ingresso; e datisi con ogni cautela ad eseguire una perquisizione, vi rinvennero, non senza sorpresa, molti effetti, fra i quali la spada dello stesso Chiavone che nella pressa della valorosa fuga l'avea dimenticata. Vi rinvennero pure nove fucili, quattro baionette, una pistola, una valigia con camicie, un cinturone, delle cravatte, speroni, guanti, un porta monete vuoto, due vocabolari (!!), una carta del regno di Napoli, un dizionario tedesco-italiano, 56 palle di revolvers, capsule e munizione, una quantità di gallone di lana rossa, polvere, cartucce, lettere, note, rapporti e finalmente uno stato di tutti gli uomini componenti la banda con indicazione della qualità delle armi di ciascuno, delle cariche, dei gradi. Il cavallo venne tantosto restituito al proprietario di Castelluccio cui era stato rubato. Fra le cose le più importanti colà rinvenute furonoDue dispacci di officia est bolla papale della Gendarmeria Pontificia, scritti dal brigadiere di Vallecorsa Sig, Gaetano Bolognesi diretti al Generale Chiavone il giorno 5 dello scorso Se ttembre.

Non sarà discaro avere sott'occhio i nomi dei capi principali di tale eletta schiera.

267. Mattei Vincenzo, aiutante maggiore.

268. De Villiers Giorgio (zuavo papale) capitano.

269. Salvati Antonino, capitano.

270. Alunno Pasquale, capitano.

271. Zimmerman Luigi Riccardo (tedesco), capitano.

272. Balkoult (irlandese), capitano.

273. Gallozzi Giuseppe, tenente.

274. Gesi Antonio, tenente.

275. Daigres Pietro (francese), tenente.

276. Deamici Vincenzo, tenente.

Non sarà qui fuor di proposito ricordare che in Roma in piena luce si fanno approvvigionamenti e forniture regolari onde equipaggiare le orde brigantesche, del che ci somministra prova storica il detto di certo Luigi Schiribenii li quale si portò dall'Isdraelita Samuele Pontecorvo, e gli comprò 300 mocciglie, scarto dei finanzieri del Papa. — E’ noto poi che la Ditta Rignano e C. seguita a fornire i reazionarii di calzoni bleu e cappotti grigi, avendone consegnati ben 700 fino all'epoca di questa narrazione.

E dire che tutto si opera ad insaputa de' due perdenti poteri!!!

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PROVINCIA DI AVELLINO

In Montefalcione e Montemiletto piccoli paesi dipendenti dal Capoluogo Avellino situato a 24 miglia da Napoli fu tentato dai reazionaria abbattere lo Stemma Sabaudo onde supplantarvi quello del Borbone. E di tatti nel fine di Giugno del passato anno un' orda di 60 malandrini invase la piccola terra di Salsa, senza trovarvi resistenza alcuna, difettando di armi quella G. N., e fors'anco per essere privi di slancio civile i pochi assediati: dove con tutta pacatezza inalberarono già la borbonica bandiera.

Dopo questo primo successo i briganti resi baldi s'inoltrarono nell'altra prossima terra di Sorbo, dove però a loro sorpresa trovarono una qualche resistenza della G. N., mercé la quale venivano arrestati due di essi. Però maggiori di numero, e favoriti dalle tenebre, riescivano a viva forza riprenderli.

Ingrossando di numero i malfattori s'inoltrarono ne' boschi di Prota, Montefalcione e Montemiletto dividendosi in tante piccole bande. Una dl esse volse verso Lapio, che tacendo comune causa con qualche tristo naturale di colà, obbligarono in massa il concerto musicale dei paese a seguirli. Assalirono poscia Tufo dirigendosi dal captano della G. N., il quale reso timido dalle minaccie consentì o somministrar loro armi e denaro.

Il 6 Luglio, in seguito di non interrotte scorrerie che si commettevano, aggranellatisi in una grossa banda comandata da un ex-uffiziale Borbonico. di nome Baldassarre, assalirono Montefalcione. Ivi stabilirono con tutta pacatezza una specie di governo provvisorio, disarmarono i pochi armati della G. N., e supplantarono all'Italiano lo stemma di Francesco II Borbone.

Montemiletto dunque era in quei giorni il centro de' circonvicini briganti da dove spiccavano ordini a prossimi paesi onde doverosi si sottomettessero al proclamato governo Borbonico.

Di tutto tenevano informato l'onorevolissimo comitato reazionario residente in Napoli, organo instancabile di ogni scorreria commessa in quelle provincie, il cui nominativo mi fo un dovere mettere sott’occhio al mio lettore, a pag. 139, i quali tutti vennero sorpresi ed arrestati dalla instancabile solerzia della Questura di Napoli, con massima soddisfazione di tutti — e più del Governo che con incessanti mezzi nulla resta intentato onde schiacciare l'audacia di tal sciagurati nemici della Patria.

Tali arditissime scene furono però di corta durata dapoiché nel vicino paese di Montemiletto raccoltisi non più che una ottantina di ardenti giovani, ragunati da un appello patrio dei prode Tenente della G. N. di Avellino Sig. Carmine Tarantini, incominciarono dallo schernire le folle intimazioni di quegli audaci che si facevan credere forti di 8000. — Fu risoluto di attaccarli nella fiducia anche qua' valorosi giovani di ricevere pronti soccorsi dai circonvicini paesi, nonché fidando molto nella naturale disposizione dei luogo adatto a resistere, poiché l'ingresso del paese veniva garantito da due grandi edifici, uno del Principe di Montemiletto, l'altro dei Principi di Fierrimonto, ne' quali quel pugno di giovani eroi, una col loro valoroso Duce si raccolse. li mattino vegnenle (8 Luglio 1861) la numerosa masnada si appressava, ed una vivissima fucilata e' impegnavo con energia tale da sembrare lo scontra di due potenza nemiche in campo.

L'attacco darò mollo ore. senza che alcun rinforzo sopravvenisse a' racchiusi giovani. La fucilate ferrea sempre più frequente tra gli assaliti ed assalitori. Ad ogni intima di resa si rispondeva con eroica resistenza, In fine dopo ben 10 ore di tanta ineguale lotta mancò ai difensori la munizione, non già l'ardire e fu spirito patrio, che crescevano a misura della perdita de' mezzi di difesa. I briganti addatisi dello indebolimento della resistenza, circuirono da tutte le parti que' generosi figli d'Italia, e barbaramente appiccarono il fuoco ad entrambi gli edifizi da cui avevano resistito con tanta costanza.

Carmine Tarantini, con tutti gli altri eroi chiusi nelle irrompenti fiamme divoratrici morivano baciando e stringendosi al petto il glorioso Vessillo della Patria.

La sera precedente il capitano di Sangiorgio la Montagna Domenico Nisco, vedendo grave il pericolo, si rivolgeva al Governatore di Benevento il quale tantosto ordinava che si mobilizzassero tutta le Guardie Nazionali disponibili nel mandamento di S. Giorgio. Il mattino, 8, una colonna di 120 militi comandato da Domenico Nisco ed Achille Rainone Capitani: da' TenentiDomenico La Monica,Giustiniano Soricelli, Mirra Fiore, Lorenzo Arze, ed Andrea Cozza: uniti con la G. N. di Montefusco, e 20 bravi soldati Italiani, marciavano verso Montemiletto nel momento di quell'eccidio esecrando. Fu impossibile unire altra forza per avere i briganti destato un moto reazionario in più punti della provincia. Si aggiunga che il carcere di Montefusoo contenente 180 reazionarii giudicabili, veniva minacciato d'imminente aggressione allo scopo di far evadere i detenuti. In guisa cito fu forza restare a custodia di quel carcere 40 soldati, e 180 guardie mobilizzate di Montefusco, S. Giorgio, e S. Martino. Intanto la colonna già distava di un quarto di miglio dal luogo del conflitto quando s'ebbe avviso che i briganti reazionarii avendo abbandonato Montemiletto aveano invaso Dentecane, vicino paese.

Lo colonna mosse repente verso quella direzione, parte della quale con strategia piegando verso Montaperto, scambiò molte fucilate, guadagnando tre bandiere borboniche.

L'orda brigantesca dopo gli orrori commessi si concentrò tutta in Montefalcione, cresciuta mollo di numero.

A che l'intrepido e valoroso Cittadino Governatore De Luca raccolta quanta forza potè, mosse intrepido alla testa di essa verso il centro dei briganti e sulla percorsa linea l'ordine rimetteva arrestando ogni promotore di rivolta. Forte egli con 2000 armati, fra i quali la magnanima legione Ungherese, ed un distaccamento del 62.° di linea, attaccò i briganti con energia, in Montefalcione, tutti li sconfisse, facendo pagare ben caro il prezioso sangue di tanti animosi e prodi cittadini, vittime tutte della loro inaudita barbarie!

Sono queste le conseguenze degli eccidii preconcetti nell'animo dell'innocuo Francesco di Borbone, il quale tutto compunto vorrebbe tirarsi fuori da ogni responsabilità de' suoi onorandi fidi, proclamando essere egli ignaro, e quanto un popolo fedele commette onde rivendicare i suoi usurpati diritti; su che spera e si fonda pervenire al riacquisto.

Ei crede tuttora che le provincie del Napoletano brulichino di suoi partigiani; che oggi l'Italia meridionale vada in fiamme al grido di Francesco II. Egli si rincara nel ricevere delle lettere da qualche Illuso suo partigiano, nelle quali è detto con esagerazione che in forza delle crescenti scorrerle de' briganti essere possibile e vicina una restaurazione.

Le sue sorti sono anche commesse nelle mani del partito conosciuto sotto il nome di camorristi, la più ardita feccia di popolo schivala da ogni piacevole consorzio. lo ne dissi che il 16 Luglio 1862 cómmettevano in Napoli l'orribile misfatto nella persona d’uno de' più onesti, e probi funzionarii, Ferdinando Mele, uomo liberalissimo, che sotto la tirannia de’ Borboni avea sofferto per fatti politici ben otto condanne, due carcerazioni, due esilii: d'una probità o tutta prova, nel fiore dell'età. Fu da uno di loro ucciso con una pugnalala al collo alle ore pomeridiane mentre pacifico rientrava in casa. Era il Mele capo del servizio di pubblica sicurezza nel rione S. Giuseppe, ed avea con la sua solerzia scoperte e svelate le trame di Lui tristi che commettevano enormi estorsioni contro coloro che tacciavano il Borbone di conserva col nobile comitato di esso. Generale fa la indignazione di questo fatto gravissimo, e profonda la impressione che da esso venne prodotta nel paese, sì per l'individuo amato e stimato da tutti, si per cagion del fatto, avendo egli subito quel martirio per avere adempito esattamente i suoi doveri a prò della giustizia e della patria.

E intanto Francesco convinto, che dopo tal successi infausti testé narrati, da' quali si attendeva un esita favorevole mollo pel suo richiamo al dispotismo, scrisse di proprio pugno una lettera all'onorando Costantino Crisci chiedendogli conto dello stato del paese; della forza disponibile, della estensione del brigantaggio, e se credeva facile e prossima la sua restaurazione. Crisci però rispose da uomo onesto qual dovea, manifestandogli che «un Re il quale tenta ritornare nel suo regno preceduto dal brigantaggio, e coll'ajuto delle passioni le più selvagge, le più scellerate, non può avere l’approvazione degli uomini onesti — Soggiunse che il brigantaggio empirà di stragi e d'incendi le nostre provincie, ma non lo ricondurrà al trono. In lui ve ne resta uno solo, quella cioè di partirsene da Roma rinunciando ad ogni speranza di dominio.»

E son certo che Francesco II ebbe di che rallegrarsi nel leggere un tale assieme; ed avrà scorto di leggieri il parere ed il volere degli onesti Napoletani sul conto suo, e sul conto degli onorevolissimi partigiani suoi.

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Quadro nominativo dei Comitato Borbonico annidato in Napoli

265. Barone Achille Cosenza ex-Maggiore, creato Generale negli ultimi tempi ip Roma da Francesco II.

266. D'ambrosio ex-Commendatore, con suo figlio.

267. Vincenzo d'Ambrogio. — Marchese Lancellotti.

268. Torrenteros fratello dell'ex-Maggiore ora in Roma.

269. Gatto Michele, fratello del noto Monsignor Gallo, confessore in Roma di Francesco II e Maria Sofia.

270. Tommasini, ex-ispettore di polizia borbonica in Sicilia.

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NAPOLI

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L'incalzar degli eventi succedutisi in poche lune lungi dal consigliar senno a sciagurati e pertinaci dei partito di Borbone, essi si resero sempre più turbolenti ed audaci, — aizzati dalle sedicenti promesse inorpellate dalla fucina di Roma.

Innumeri sarebbero i successi di tal natura che potrei mettere sott'occhio del mio lettore onde assiomaticamente provare di quali nefandezze si valsero due perduti poteri onde giungere per qualsivoglia via a riassidersi sul seggio del cieco dispotismo.

Un ultimo e dettagliato fatto avvenuto in Napoli, teatro perenne delle sventure pel giogo de' Borboni, spenti una volta al potere, basterà o chiudere il mio assunto, con il seguito di un legale indispensabile spicilegio de' più rimarchevoli e miserandi casi osati dalla reazione, que' fatti vennero estratti da voluminoso registro conservato nel Dicastero della Polizia in Napoli, e del quale patentemente si rileva di quale accozzaglia di canagliume si servivano i clericali e l'ex-Re onde tenere acceso il brigantaggio, divenuto sogno dorato del quale si muore!!

Dopo di che, e dopo la serie de’ non pochi documenti da me promessi, il mio libro acquisterà se niun altro merito, guello di essere storico. Tanto precipuo argomento son certo che gli darà vita, ed ogni biasimo o censura sul conio di chi doveroso ne assunse lo impegno viene smentito dopo lo apparato di fatti e circostanze passate sotto i suoi proprii occhi, noti agl'innumeri fautori, e più all'universale.

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Fu scoperta in Napoli nello Aprile 1861 che la reazione s'avea molte fila, tessute specialmente da vecchi poliziotti borbonici, dagli uffiziali e soldati del disciolto esercito, sotto In direzione di alcuni aristocratici, e Preti (sine qua non). Fra i primi fu compromesso un Montemiletto, il duca della Regina, oltre a padre e figlio Ceccarelli, genero del Principe diCajaniello. E nulla di meno nel palazzo del Duca Cassano Serra posto sul ponte di Chiaja, si sorpresero 300 fucili, polvere in quantità, ed arme corte. Venne arrestato tra i preti il Canonico Fontana, il quale per essere affezionato alla causa di Francesco, e par essere ministro di Dio facevo fabbricare per suo cento pugnali, aventi sull'elsa il giglio. — Arrestato venne pure in Cisterna il parroco Manzi, destinato questi o comandare ano squadra con in mano la Croce ed il pugnale, simboli della loro fede: un prete Luciani nella cui caso a Pietatella convenivano ad arruolarsi e prendere istruzioni i disciolti soldati. Nella casa di costui si trovarono pure diverse donne di mala vita da lui sedotte e ricettate, (esempio di rare virtù sacerdotali!) In una scuderia poi dietro la nuova Posta a Monteoliveto si rinvenne un gran deposito di fucili ed altre armi che servir dovevano per la reazione ordita dal comitato testé nominato. E siccome tento la scuderia che le due case laterali erano menate in fitto da uno svizzero-tedesco, cosl pria di procedere ad una perquisizione si dové, giusta le regole dl etichetta, adibire il Console Elvetico Meuricoffre per l'onorevole mezzo del Delegato e Maggiore della G: N. Martinez. Alla presenza di quegli si procedé alla ricerca, e di fatti si rinvennero e sequestrarono nient'altro che 750 fucili, 1200 daghe, moltissime uniformi di Guardia Nazionale. Furono anche rinvenute molte casse vuole compagne identiche a quelle che contenevano i 750 facili, lo che le' supporre senza tema d'inganno, che il resto de' fucili corrispondenti al numero delle daghe rosse già distribuito. Vennero contemporaneamente arrestati nelle vicinanze di Napoli lungo la ferrovia, un 50 soldati cacciatori a cavallo Introdottisi dallo stata romano, armati di pistole, stili, e fruste, dai cui manico spingendo una molla ne sortiva un pugnale. A molti uffiziali arrestati si trovarono delle corrispondenze pericolose, sulle quali la Polizia tracciava il modo di eseguire molti arresti, merci i quali lesi si scoprivano in una casa a Santa Margherita a Fonseca molte armi nascoste; come pure si rilevò dalle corrispondenze di sopra che l'innocuo Francesco II chiamava lo scoppio di questa attesa reazione, «i no stri Vespri siciliani». che il Principe di Cajaniello sarebbe stato il Dittatore: che il primo luogo da saccheggiare per far danaro sarebbe stato il Monte della Misericordia uno volta sotto la direzione dello stesso Cajaniello. — E l'ignaro Francesco II motu proprio scriveva a costui, fra le tante belle conghietture, che egli «concedeva tutto il promesso a COSE FATTE».

Lo sviluppo però di tante vaste congiure che hanno avuto vita nell'ex-reame, aborti mai sempre effetti illusori mercé i pronti avvisi dei telegrafo, e più l'incomparabile energia della Truppa Italiana e della G. N., i quali energicamente han sempre di conserva ristabilito l'ordine.

E qui fa d’uopo che risponda per quel che valgo, ad una opposizione che mi sento slanciata dal Vaticano e dal Quirinale, cioè[ quali sono te prove autentiche a carico del Governo Clericale e di Francesco II per incolparli personalmente di connivenza a quanto per mero spirito di affezione ad un regale infortunio si é attivato dal partito reazionario?

Il porporato di Sonnino in un suo scritto ufficiale nega ricisamente la partecipazione della corte pontificia nel brigantaggio, chiamando a testimone «la lealtà de' rappresentanti delle Potenze, fra le quali la lealtà dell'armata francese».

E Francesco II pure alla sua volta, col conte di Trapanidicono calore estranei a tutto quanto si opera da' loro sudditi fedeli per la difesa del tradito loro sovrano.

E evidente, è vero, che il governo romano non abbia agito apertamente, ostensibilmente, negli affari napoletani; e quasi azione aperta, positiva, officiale, non può dimostrarsi se non con certa misura da parte di Francesco II e del Quirinale.

Siffatte negazioni sono in fatti prive di valore, valevoli soltanto più o meno diplomaticamente! Non v'è senso comune per altro che possa negare che il Quirinale non abbia raccolto le bande; che non abbia inviato loro dei rinforzi; provocali gli arruolamenti; ch'egli non abbia fallo pervenire del denaro fino negli Abruzzi.

E di fatti che Francesco II ed il Conte di Trapani non hanno agito personalmente; e certo non, è un Principe della famiglia reale quegli che arruola nel palazzo Farnese, e negli altri convegni come dissi di sopra né v'è d'uopo di ordine scritto su qualche pergamena a timbro di corte onde autorizzare attività e spesa per la santa causa!

6 fallo polente ed innegabile però che nella zecca romana nel Sloggio 1861 furono coniate per conto di Francesco II delle monete false, e queste in buona quantità trovale nelle mani degli arruolatori, e dalla corte antonelliana emesse in circolazione: I Francesi ne catturavano una quantità, facendone una rimostranza al governo pontificio. E siccome nulla sfugge all'arguto finanziario ministro di Stato di Santa Chiesa, allegò in risposta a che in quell'affare di nulla entità trattavasi di rendere un lieve servizio all'orfano Re di Napoli in angustie, nel quale il paternale governo e la zecca nulla vi rimettevano.

Questo solo indizio basterebbe di per se stesso a provare la cooperazione della corte clericale nel mantenimento del brigantaggio, per essere questo il movente primo ed il più. indispensabile: ma v'ha di più.

Difficili sono le prove n prodursi onde dimostrare che buona parte del, denaro di S. Pietro serve ed alimentare la reazione borbonica. Cionnullameno è un fatto che in Roma vi erano e vi sono molti Comitati borbonici. In questo caso apparisce il comitato Brunet, legittimista francese, puro fiore di giglio: il comitato del famigerato abate Eugenio Ricci di Faenza (oggi per avventura ben tardi cacciato da Roma dai Francesi) quello del Merenda, del De Cesare, dell'Ulloa, di Monsignor. Gallo, e di quanti furono cennati nella storia, e tutti agiscono sempre d'accordo per essersi fusi fra di loro.

Ciò é storia perchè il fatto esiste, le conseguenze si succedono, e il denaro di S. Pietro è generalmente portato a Roma da emissarii, i quali e pari passi sono diretti chi al Vaticano, chi ai Comitati di sopra nunciati.

Come negare poi l'esistenza e la tolleranza in Roma e nello Stato dei comitati borbonici, di armi, di arruolamenti periodici, della partenze di arruolati sotto gli occhi di ogni autorità romana, e degli attoniti romani stessi, del soccorso della polizia nel sussidiare gli arrestati dai Francesi munendoli anche di regolare foglio di via onde farli sopraggiungere senz’altro pericolo nelle fila del Chiavone, e di un Antonelli che li attende a Terracina? Come negare l'accordo dei Governo pontificia colla reazione installata in Roma, mentre il sergente maggioreMilcovich, ed il vicebrigadiere Tosell i, entrambi dell'artiglieria papale confezionano per comando di De Merode cartucce pei reazionarii nel palazzo Salviati, di proprietà del governo, e le depositano poi nella nota Farmacia Vagnozzi a Campo di Fiori, da dove i borbonici colà agglomerati. ne ricevono la partizione? Periodiche sono le spedizioni di armi e munizioni ai briganti per mezzo decani accampati sul prato di Campo Vaccino.

Il 18 ottobre un ex-capitano borbonico si porta in Albano ad accompagnare un carro portante 80 fucili e 100 mazzi di cariche. Tre depositi di armi seno noti a tutta Roma, uno al Quirinale, uno a S. Bartolomeo all'isola, il terzo a S. Michele In Trastevere da dove a pieno giorno si fanno carichi e si portano fuori porta Salare. Magazzino generale poi per approvvigionamento di Vestiario è il Ghetto. Un nuovo merodiano il 19 ottobre dia commissione colà di 200 cappelli: 200 calzoni di panno bleu d'Alatri: 200 cappelli: 200 cravatte: 200 sacchi, il tutto di robe usate.

Anche Francesco è ignaro di quanto i suoi fidi oprano per la sua restaurazione, mentre poi (ciò sia detto ad esuberanza, dappoiché i fatti che lo comprovano sono, potenti e periodici) il giorno 20 Ottobre 1861, di domenica, era atteso fuori porta Salara da cinque briganti con un carico di mucciglie e sacchi. Colà giunto l'innocuo Francesco si fermò e parlare con tai degni soggetti, consegnando loro delle carte sigillate, accomiatandoli poscia con garbo tutto d intelligenza.

Ma non sono però prove autentiche mi può dire qualche Figaro clericale. E quali più patenti e manifeste di quelle che si succedono da circa tre anni salto l'egida delle Sante Chiavi, e senza interruzione?

Tutto è provato allo appoggio del trascino di mille fatti storici che i contradittori stessi sanno di per se non potere smentire, essere cioè Roma non gita l'asilo di una corte decaduto, ma una Coblenzo, evidentemente pericolosa!

Per chi poi volesse ostinatamente asserire essere esclusiva volontà de' fedeli ex-borbonici il sostenere le battaglie di reazione onde rinsellare in trono Francesco II a sua insaputa, d d'uopo che si approfonda pria sulla origine del movente primo che que' tristi e sventurati insieme induce in una abnegazione colpevole imbeccata loro dalla stretta delle circostanze, e più dalla miseria incomparabile che li circonda; e poscia emettere il suo ragionato e fondato giudicio.

La storia che Ferdinando II Borbone, con suo padre Francesco I, aveva dal 1815 al 1860 rubato alla Sicilia una bagattella di circa QUATTROCENTO MILIONI di ducati. Morendo quegli lasciò ai poveri di Napoli e Sicilia Venti Milioni. Nella Sicilia si trovarono 750,000 ducati in tante fedi di credito al portatore per la Banca di Palermo, le quali nella maggior parte furono negoziate con S. E. il Principe Torlonia. Francesco II, che preventivamente volle ritirare a sé tale somma, non avendo potuto coscienziosamente adempiere la volontà del padre, pensò bene di usare almeno in qualche modo di quei 750,000 ducati, e domandò al Papa (povero dei poveri) la dispensa per erogarli a vantaggio e soldo degl'impiegati, poliziotti, birri e boia di Napoli e Caserta, non esclusa, donne di malo affare, che oggi sono pure in Boma. Il Papa naturalmente dispensò, e Francesco II ligio nominò una commissione ad hoc. Essa fu composta del Monsignor Niccolò di Marzo, palermitano; quel desso che dallo sua abitazione al Corso in casa del Sig. Pietro Bersani il 19 Marzo 1860 con la voce e col fazzoletto bianco eccitava i Gendarmi a sciabolare il popolo: di Monsignor Domenico Guadalupi, napoletano, vicario in Palermo dell’Eminentissimo Pignatelli, di cui fu erede universale; e di Monsignor Carlo Borgnana, noto lippis et t onsoribus; più del Segretario Barone Trasmondo. E siccome questi compunti Ministri di Dio non per difetto, ma per mera precauzione, ritenevano a se una non lieve parte delle somme che ogni settimana dal Quirinale passavano alla Farnesina, domicilio del Tresmondi, così fu previdenza dell'ex-Re, astuto nella sua parte, nella lusinga di migliorare, togliere la gestione dalle loro mani, e passarla in quella del Molto Rev. Abate e Monsignor De Cesare e Compagni, come si è visto d'innanzi, i quali, sibbene più novizii nello assunto, pure con arte di nuova matematica sommano, sottraggono, e poi dividono in modo congrue.

Conchiudo quindi che non può negarsi lo complicità della Corte di Roma coi capi delle bande reazionarie per essere un fatto storico universale; e che tanto le studiate ed argute denegazioni di Antonelli, quanto la innocuità Lojolitica dell'ex-Re, nulla possono togliere per distruggerne almeno apparentemente la correità.

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SPICILEGIO GENERALE

DE' FATTI DELLA REAZIONE

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1. Avellino. —

20 Agosto, ore 2 40 p. — L'Intendente di Sant’Angelo de' Lombardi avvisa essere seguito un vivo combattimento al Castello di Lagopesole. 150 briganti sono rimasti sul terreno, mentre gli altri dispersi dapprima, sonosi indi riuniti novellamente nel Bosco Castiglione. — Le Guardie Nazionali di Lacedonia ne hanno arrestati molti di essi, e si accingono ad arrestarne altri.

2. Avellino.—

20 Agosto, ore 10 a. m. — I briganti un'ora fa hanno invaso Mercogliano, due miglia distante di qua, disarmato il paese, sequestrate, persone. Il Governatore è subito partito a quella volta con cento Guardie Nazionali, e altrettanti soldati regolari.

3. Sora

— 20 Agosto, ore 7. a m. — II Delegato di S. Germano avvisa che i briganti battuti in Benevento sono quelli stessi attaccati in San Pietro Infine, i quali ora cercano di raggiungere la frontiera Pontificia verso Pontecorvo, Aree, Sora. lo truppa di S. Germano, Aree, Pontecorvo, e la G. N. di S. Germano, San Vittore, Cervaro, Villapiedimonte, Palazzolo, Rocca Secca, Arcepignatnra, Pontecorvo, Aquino, sono lotte in movimento.

4. Caserta

— 20, ore 6, 00 p. m. 1 briganti hanno occupalo stanotte San Pietro Infine, saccheggiate e incendiate le case dell'arciprete e dei sindaco. Accorso in tempo un distaccamento di truppa da San Germano, a colpi di fucile assali e disperse i malviventi ammazzandone uno e guadagnando cinque cavalli. I briganti a cavallo ed a piedi hanno preso' la volta di Selva d'Evandro, poscia di Pignatara.

5. Eboli

— 20, ore 5. p. m. — Si è presentato in Valva il topo masnadiero Vito Torsiello e tolta la sua banda. Domani saranno qui tutti tradotti.

6. Campobasso

— 20, ore 2. di notte. 1. briganti invasero Cantalupo, indi Roccamandolfi. Ucciso un tenente della G. N. nel primo paese: cinque altre persone nel secondo. Carceri aperte; armi prese; soliti saccheggi ed eccessi. Da Isernia è già spedita la forza.

7. Campobasso

20. — Campochiaro assalito dai briganti. Accorsa prontamente la forza di Boiano, Vinchiatura, e Colle d'Anchise.

8. Isernia

21, ore 12. m. — I briganti che invasero Guardia Reggio saccheggiarono lotte le robe dei proprietaria assenti, offrendone parte olla plebe che rifiutò. L'archivio comunale incendiato, ed altri danneggiamenti.

9. Avellino

21, ore 5. p.. m. — La banda di Donatelli Ira tentato d'invadere Monteverde. La G. N. e gli abitanti si sono sollevati contro i briganti, e gli hanno respinti e fugati fino all'Ofanto, dove tenta so di riunirsi con quella di Caponate.

10. Avellino

22. — Questa notte è stato arrestato il famoso Joanno di Lapo che ebbe parte nella reazione di Montemiletto. Ha fatto importanti rivelazioni.

11. Sora

21, ore 9. p. m. I briganti minacciano Croce d'Evandro, e sono pochi della banda stata ieri dispersa; ma dello Comune é protetto dalla G. N. di Corvaro e San Vittore. Il grosso della banda è tra Aquino e Pontecorvo. Tutti i posti di truppa e G. N. dei dintorni sane avvisati, e sperasi di prendere l'intiera banda. Molti briganti feriti ritrovatisi sú monti di Venafro: Le truppe e la G. N. perlustrano quei luoghi.

12. Sora

22, Agosto ore 12,30. p. m. — Il sindaco di Arce avvisa che la nota banda di briganti penetrò nello Stato Romano inseguita dalla G. N. di detto Comune, e dalla truppa quivi residente, i quali s’impossessarono degli oggetti abbandonati dai detti briganti nel fuggire. Avvertite pure che la truppa francese arrestò alcuni briganti che da Foìvalerra passarono a S. Eleuterio, o altrimenti detta Isoletta. II telegrafo rotto dai briganti è già ripristinalo.

13. Caserta

21, ore 10, 50. p. m. — Ieri in Laino-Barca uno sbandato ha ucciso in piazza il consigliere provinciale Sig. Barletta per astio personale.

14. Teramo

21. — Questa notte I briganti hanno saccheggiato Castilenti; hanno disarmalo la G. N. di Elice ed ucciso il parroco.

15. Campobasso

21, min. 20. pom. — I briganti che occuparono jeri Compochiaro sono stati dispersi da una compagnia di truppa regolare spedita da Bojano. Venti di essi restarono uccisi.

16. Castellammare

22, ore 4 pom. — Nove sbandati sonosi jeri presentati al Sindaco di Lettere. Spediti a questo comandante di piazza. Sperasi che altri si presenteranno.

17. Sora

22 Agosto, ore 10. — I carabinieri han perlustrato la passata notte la;selva di Santo Padre, e non vi han trovato nessun brigante. I Francesi stanziati a Ceprano perlustrano il confine, e ne hanno arrestati cinque che cercavano introdursi nello stola romano.

Le truppe Francesi ieri alle 2 pom. arrestarono tra Popi e Coccano 60 briganti. Altro scontro sostennero pure coi briganti presso Ceprano.

17. Sora

25, ore 5. 40 pom. — Questa mattina una compagnia di truppa é anello da Isola a dar caccia a Chiavone. Si sentono le fucilate. Il Colonnello ha mandata.. da altre parti altre due compagnie per accerchiare Chiavone. I Francesi sono usciti da Casamari per impedire che Chiavone entrasse negli Stati Romani. Due briganti della banda di S. Pietro Infine sono stati presi dalla G. N. 03, ore 5. 40 pom. — Questa mattina una compagnia di truppa é anello da Isola a dar caccia a Chiavone. Si sentono le fucilate. Il Colonnello ha mandata.. da altre parti altre due compagnie per accerchiare Chiavone. I Francesi sono usciti da Casamari per impedire che Chiavone entrasse negli Stati Romani. Due briganti della banda di S. Pietro Infine sono stati presi dalla G. N. di Piedimonte, e portavano addosso gli oggetti saccheggiati nella casa dell’arciprete di S. Pietro. Essi sono consegnati al potere militare.

19. Caserta

22, ore 4 pom. — Distaccamenti di G. N. e truppa mandati presso Maddaloni la scorsa notte hanno preso dodici briganti: uno é morto: presi quattro fucili con molte munizioni.

20. Avellino

22 Agosto, ore 1. 40 poni. — Gli evasi del carcere di Mercogliano sono stati ieri arrestati in Pietrastornina dal Capitano della G. N. mobile di Altavilla Sig. Massimino Severino.

21. Avellino

22, ore 4. 40 pone. — Delle persone catturate dai briganti in Mercogliano sono ritornate dopo avere sborsato ducati 520.

22. Salerno

22, ore 4. pom. — Il comune di Sant’Egidio invaso la notte scorsa dai briganti in numero 150. I militi della G. N. furono costretti e consegnare tutte la armi che avevano. Il Sindaco minacciato per una tassa di ducati 1,000 non la pagò, e venne rilasciato.

23. Isernia

25, 11, 40 a. m. 11 famoso brigante Angela Patulla di Bojano è stato arrestato or oro da RR. Carabinieri e G. R.

24. Avellino

23. — La notte del 16 una banda di briganti attaccò Teora; ai primi colpi delle sentinelle della G. N. tutto il paese fu in armi. Donne, fanciulli, vecchi, preti, tutti accorsero alla difesa; ed al suono delle campane i contadini, lasciati gli abituri campestri, con falci e scuri attaccarono i briganti alle spalle. Questo contegno veramente ammirevole fugò quell'orda di malvagi per qualche tratto.

25. Pozzuoli

23, ore 8. 55 pom. — Non passo giorno che non si costituiscano briganti, e soldati sbandati, che vengono rimessi al potere giudiziario.

26. Castellammare

24 Agosto, ore 19, pom. —Nove briganti del Comune di Cesoia si sono presentati jeri a quel Capitano della G. N.

27. Mura

ore 11. 40 pom. — Chiavone inseguito dalle nostre truppe ha potuto ritirarsi nello stato pontificio. I nostri soldati ferirono i Chiavonisti alle spalle fugandoli. Essi hanno bruciato una casa sulla montagna di Sora, della di Sant’Elia che serviva di ricovero ai seguaci di Chiavone, rinvenendovi provvigioni di viveri, acquavite, biancherie ed armi.

28. Avezzano

24, ore 4 a. m. — L'orda di Matteis, che nei passati giorni ha infestato Trasco, Collefonzo, Ortucchio, è state completamente dispersa dalla truppa. Presi diversi oggetti, tra cui due muti e la lista dei briganti.

29. Sora

24, ore 1, 50 pom. — I soldati sbandati esistenti in questo castello sono già 437.

30. Sora

26, ore 2 paio. — Questa mattino la C. N. ha arrestato due briganti che tacevano parte della banda di San Pietro Infine. !tarmo confessato il luogo ovo si provano armi nascoste e gli altri briganti riuniti. Partita lo truppa e la G. N. per impossessarsi delle une e degli altri.

31. Maddaloni

24, ore 6. 15 pom. — Il comune di Masserie

30. Sora

fu perquisito dalla truppe e vi si rinvennero 23 fucili e munizioni. Arrestati Raffaele Barone coi figlio prete Aniello, con due guardiani del laghetto di Maddaloni.

32. Salerno

25, Agosto ore 7. 50. —In S. Giacomo circondario di Sala vi fu attacco fra la G. N, ci briganti: 4 di questi uccisi, 3 arrestati. Morto nel combattimento un sergente della G. N. Uno dei briganti Pietro Pasquali ha reso molti servizi.

33. Cheti

24, ore 3. 40. — Nei comuni intorno alla Majella continuano ad arrestarsi briganti isolati che il freddo e la fame spingono al basso. Alcuni si presentano spontaneamente.

34. Aquila

24, ore 8. pom. — La G. N. di Poggio Piacenza ha arrestalo il capo di briganti Saccoccia, con altri due del Teramano, che si recavano a Roma con oggetti rubati.

35. Sera

24, ore 8. 40 pom. La truppa e la G. N. di S. Germano, dietro indicazioni date dal briganti presi sfamane, hanno arrestato altri briganti ed un colono, che li ricettava, nella cui casa si sono trovate armi e denaro.

36. Avellino

24, ore 4. 45 pom. — Ieri alle 3 pom. una banda di briganti assali Quadrelle piccolo comune, ma fu respinta dalla G. N. Sopraggiunse un distaccamento di truppa de Bojano, che colta G. N. diè la caccia ai briganti che li dispersero.

37. Avellino

25 Agosto, ore 8,25 pom. — Ieri sera R briganti ferivano gravemente il colono Michele Siccardi, a cui chiedevano grossa somma di denaro. A' gridi accorse la G. N. di Volle, Tonette, e Mercogliano chegl'inseguivano a colpi di fucile. Questa mattina si è trovato il cadavere d'uno dei briganti, ucciso mentre fuggiva. Avea indosso uno stile e munizioni.

38. Mele

24. —Il Sindaco di Roccamonfina avvisa che i briganti minacciano Tora. Sono accorse la G. N. mobile e la G. N. di Sessa.

39. Campobasso

24 — La notte scorsa i briganti hannoassalito Filignano,bruciato l'archivio comunale e saccheggiate alcune case.

40. Mola di Gaeta

26. — I briganti hanno catturato il Capitano della G. N. di Campomele nel luogo detto Serrascaglione. Sono spediti soldati da Foneli ed Itri.

41. Caserta

Michelangelo Marpiglia di S. Niccola, brigante, si presentò al luogotenente della G. N. di Masserie, e offri di far sorprendere i suoi compagni e le loro armi. Difatti, in un podere del Sig. Gaetano Fraschini fu sorpreso un brigante, alcune donne,

cinque pistole, quattro facili e molte munizioni. Una delle donne era la moglie del capobanda Lettieri, già arrestato. Il brigante sorpreso ha fatto importanti rivelazioni.

42. Tagliacozzo

— Una pattuglia di cinque bersaglieri assalì 15 briganti, e li pose in fuga prendendo loro un sacco di munizioni.

43. Foggia

— Il 15 la truppa di linea arrestò nel Bosco di Tentiveri il famigerato Vincenzo Giambattista, sotto capo della banda Alberane. Egli fece importanti rivelazioni intorno oi fautori del brigantaggio.

44. Sora

28 Agosto. — La colonna mobile della truppa ha scontrato la banda di Cintrillo presso Condito. Un brigante morto, un altro ferito e prigioniero. Inseguiti fino a Castellone.

45. Benevento

21 Agosto. — Numerose bande di briganti scorrono il monte Taburno sequestrando gente e chiedendo viveri. Cinquanta briganti entrarono in Bucciano, disarmarono il posto di Guardia. Lo stesso seguì in Forchia da altri briganti. Due bande minacciano dal Monte Taburno. 200 briganti sono nelle pianure di S. Marco presso Colle e Circelli. La Corriera che da Arpoja si dirigeva a Montesarchio fu aggredita da nove briganti armati di carabine. Il corriere ed il postiglione sono stati spogliati di quanto avevano.

Il 28 Agosto. — Questa nelle il Delegato di Lupi con 12 sole guardia di p. s., recatosi a Pietralcina ha catturato il capo brigante Michele Joeli di Alberona. Questi è autore della reazione e saccheggio di Volturino, S. Giorgio, Pietralcina g fu quegli che sparò il primo colpo contro l'infelice Sindaco di Montefalcione. — Fu catturato anche colui che gli dava ospitalità, brigante pur esso.

46. Reggio

26 Agosto, ore 7 poni. — Un capo brigante e tutta la sua masnada sono stati distrutti del valoroso Capitano della G. IV. Sig. Mandatari Giacomo dopo due ore di vivo fuoco. Due sole guardie ferite, nessun morto. È questo un altro bel tratto di bravura fra i molli praticati dal lodevolissimo Mandalari. — Onore al merito.

47. Campobasso

27. — Il villaggio di Conca assalito dai briganti. Quindici entrati in paese: il resto rimasto fuori. Saccheggio e presa d'armi.

48. Caserta

26. — L'intendente di Soro avvisa en. vero partiti da Velletri (stato romano) 200 briganti. Si sorveglia.

49.

S. Germano

25, ore 9 ant. — Quella brava G. N. instancabile ad inseguire i briganti dietro i fatti di San Pietro.

Infine, dopo averne catturati 4, colla insinuazione di uno di essi scopriva esservi un nido nel territorio di Roccasecca. Accedeva ivi con alla testa il Capitano Pasquale Rinaldi, e con un drappello di truppe comandato dall'Uffiziale Adolfo Zoli. Circondarono la casa rurale di un contadino Viola e trovarono in un nascondiglio dieci briganti, armi, denaro, e diversi oggetti d'oro.

50. Avellino

27, ore 12. 15. — La G. N. mobile di Mugnano ha arrestato it celebre brigante Salvatore Iuliano di Sirigliano.

51. Avellino

27, ore 12. 35 pom. — Dal prode Capitano della G. N. mobile Sig. Severino, si è arrestato un tal Felice Sasso, spia dei briganti, in casa del quale si trovò una lettera al capo brigante Niccola Picioc chi ed un bonnet di soldato borbonico.

52. Salerno

27, ore 10 e 30. — Questa mattina a Nocera i Carabinieri RR., i Bersaglieri, e la G. N. si sono attaccati coi briganti. Tre di questi uccisi, nessuno dei nostri ferito.

53. Monteleone

27. ore 2 pom. — Ieri dopo accanito combattimento fra la G. N. di Laureano, e la banda di Rombiolo, caddero morti 10 briganti, fra cui il capo Giuseppe Siropoli, tre suoi fratelli, e Francesco Esposito.

52. Salerno

27, ore 10 e 30. — Questa mattina a Nocera i Carabinieri RR., i Bersaglieri, e la G. N. si sono attaccati coi briganti. Tre di questi uccisi, nessuno dei nostri ferito.

54. Manfredonia

— Agosto — Nel Gargano merci l'operosità incessante del Cavaliere Vittorio Martini, Maggiore del 30.° reggimento di lirico, il brigantaggio é quasi spento.

55. Nicastro

31 Agosto, ore 14 ani. — Si sono presentati all'Intendente i tre capi brigantiVincenzo Chioda, Michele Chiodo, Antonio Caligiuri, col famigerato P ietro Pascucc1.

56. Benevento

31 Agosto, 9, dS ani. — A cura di questa Delegazione provinciale, con un distaccamento di G. N., e un drappello di G. di P. S. diretto dal Delegato circondariale Sig. Babusciu, si sono colturali in Fragneto l 'abbate, dieci principali reazionarii di quel Comune.

57. Foggia

31 Agosto. — Oggi una compagnia del 62.° coadiuvata della G. N. di Lucera, Pietra e Castelnuovo, comandato dal maggiore Granata di Lucera, incontrò 60 briganti, di cui 6 rimasero uccisi e gli altri dispersi. Una forte comitiva pro' veniente da Molise fu viste ieri ne' dintorni di Castelnuovo da un distaccamento spedito da San Severo che la insegni.

58. Sora

31. — La truppa agisce con alacrità alle Mainardo contro la banda di Centrillo. Presi ieri due briganti.

59. Avellino

Si Agosto, ore 7. 40 pom. — La G. N. di Ajello ha arrestatiGiuseppe d'Amore, Michele Ricciardelli, e Giovanni Croce tta, sbandati, che datisi al brigantaggio, infestavano Lauro. Ila pure arrestato Vi tantonio Luciano che loro dava ricovero e vitto.

60. Cosenza

2 Settemb., ore 11, 25 ant. — Fino alla sera del 29 scorso 36 briganti s'erano presentati in San Giovanni in Fiore.

61. Eboli

2 Settemb. ore 8 pom. Crocco coi suoi briganti tentò entrare in Calitri, ma fu respinto. Prese la volta di Pescopagano. Stasera parte da qui un distaccamento misto. I briganti sono in numero di 200.

62. Avellino

2 Settemb, ore 9 pom. —Sono stati presi 7 briganti; 3 dalla G. N. mobile di Altavilla, e 4 da quella di Sant’Angelo all’Esca.

63, Aquila

2 Settemb. ore 8 pom. — Il Capitano Grillanti con soldati e guardia nazionale ha fugato i briganti in Forca, di Penne, inseguendoli nel Teramano.

64. Pozzuoli

2 Settemb., ore 1, 45. pom. — Si sono costituiti 19 sbandati del Comune di Chiajano. Ciò è dovuto allo zelo del Sig. Odoardo Minieri.

65. Potenza

7 Settemb., ore 1, 40. pom. — La Guardia di Pubblica Sicurezza arrestava jeri l'altro Donato Bruno, ex-ufficiale borbonico, capo brigante, sulle montagne del Paturso in Avellino, e Gaetano Troise capo degli arruolamenti di briganti, uno dei più compromessi e ricercati della giustizia.

66. Avellino

7 Settemb., ore 1. pom. —Parecchi briganti il giorno 5 arrestarono poco lungi dall'abitato, Raffaele Minacci ed il figlio Giuseppe, sordomuto. Legato e consegnalo il primo in custodia dei briganti, fu Intimato al figlio pel riscatto del padre pagare una somma. Allora il giovane si scagliava impetuosamente su di essi, ne uccideva uno, ne fugava l'altro, ed ajutato dal servo fedele Ciriello, scioglieva il padre: e benché perseguitati da altri briganti, si riducevanosoni e salvi nella loro essa. Il cadavere del brigante non fu rinvenuto perché fu sepolto dai proprii compagni.

67. Reggio

8 Settemb. ore 12,10 pom. — Arresto in Oppido del brigante Ant. Sibilio. Gli si rinvenne una lettera proveniente da Sicilia scritta da Lorenzo Virdia diretta e M onsignor Ferrara, per arruolamenti borbonici. R già arrestalo a Messina il Virdia.

60. Benevento

9 Settemb., ore 10 sol. — In Molinara si sono presentati al Capitano della G. N. 6 sbandati con 8 briganti, tra i quali il capo a nome Angelo Girolami.

68. Benevento

9 Settemb., ore 10 sol. — In Molinara si sono presentati al Capitano della G. N. 6 sbandati con 8 briganti, tra i quali il capo a nome Angelo Girolami.

69. Campobasso

6 Settemb., ore 8001. —Si sono costituiti il capo brigante Giovanni Pietroniro di Castelluccio, cd Angelo Rossi di Ripalta: arrestato il brigante Orazio Colantonio dalla G. N. di Tavenna.

70. Benevento

10 Settemb. ore 8 ant. — In Cerce Maggiore si sono presentati 24 sbandati dello stesso Comune e sono tradotti a Campobasso,

71. Avellino

9. — La brava G. N. di Montaperto ha catturato, e qui tradotto il famoso Pasquale Mosto reazionario e brigante evaso nel Maggio ultimo dalle prigioni di Montemiletto. La Guardia Mobile di Mugnajo e Sperone dalla caccia di 4 briganti fuggenti.

72. Reggio

9 Settemb., ore 2,35 poso. — Dietro perlustrazioni attive fatte e dirette dal bravo Capitano del 29.° Sig. Aronni con la sua compagnia, e dal Tenente del 29.° Sig. Balbone con guardia mobile mista e truppa del Circondario di Gerace, si sono presentati tutti i soldati sbandati di S. Luca, Plati, Benestare, Stilo, Bivonci e Gerace. La G. N. di Stilo arresta 3 sbandati.

73. Cosenza

10 Settemb. ore 3, 40 pom. — Si è presentata tutta la banda di Cuccari, col, suo capo nomato Panaro .

74. Cosenza

— I RR. Carabinieri e la G. N. di Parenti hanno ucciso i famosi briganti Luigi e Francesco Gallo, uccisori questi del Comandante la G. N. di Parenti Sig. Cardamone.

75. Sora

10 Settemb. — E’ tornata In truppa. Furono ocrisi 12 briganti e 5 fatti prigionieri. 26.

76. Benevento.

ore 9, 50 ant. — Sette briganti di Foriano si sono presentati a quel Sindaco, profondo delle benevoli intenzioni del Governo.

77. Catanzaro

Il Settemb. —Molti briganti arrestati, altri morti in un conflitto: altri presentati, fra i quali dei capi banda, eri si costituì Luigi Mucaca capo brigante.

78. Potenza

11 Sett. — Un distaccamento di truppe e G. N. spedito da Rionero sulle tracce dei briganti dispersi nel tenimento di Atella ne arrestò 4, oltre un cavallo e molti oggetti. La truppa in Picerno arresta Francesco Cappiello, e la 'G. di P. S. in Potenza arresta Pietro Cloppise, ambidue briganti.

I RR. Carabinieri, e lo G. di P. S. hanno arrestato in Pietrafesa l'arciprete Costantino Gagliardi, il sacerdote Aurelio Gagliardi suo nipote, e Maria terrea Longone Serra, cospiratori contro l'attuale Governo.

79. Benevento

9 Sett. ore ant. —Al capitano della truppa di S. Marco dei Cavoli si sono presentati 9 briganti. 'Tre briganti di Fragneto d'Abbate si sono presentati al Sindaco.

79. Benevento

9 Sett. ore ant. —Al capitano della truppa di S. Marco dei Cavoli si sono presentati 9 briganti. 'Tre briganti di Fragneto d'Abbate si sono presentati al Sindaco.

80. Avellino

11 Sett. ore 3.50 pom. — ieri la G. M. di Ariano ha eseguito in Montemolo l'arresto di due capibriganti di Paduli, ed in Montecalvo ha arrestato 12 sbandati.

81. Caserta

12 Sett. ore 12. 15 pom. — A S. Germano fu arrestato Antonio Grasso di Costellacelo, capo dei briganti che infestavano il tenimento di Biccari, ex-sergente dell'esercito borbonico.

82. Benevento

13 Sett. ore 2. 7 poca. — 1 briganti useili da Montefalcone furono ieri mattina battuti nel bosco Vetruscelli, lasciando 15 morti, 6 prigionieri e 25 cavalli. — I bravi nostri soldati fecero prodigi di valore, e furono ben secondati dalla G. N. mobile condotta dal prode Maggiore Vitali.

83. Avellino

13 Sett. ore 2. 40 pom. — In Roseto 16 briganti uccisi, 8 prigionieri, 25 cavalli presi, ucciso il loro capo chiamato Caldararo.

84. Reggio

14 Sett. — La notte del 13 al 44, cento borbonici sono sbarcati fra Bruzzano e Brancaleone, prov. di Reggio, diretti a Precacore. La forza é partita a quella volta. La truppa e la G. N. hanno circondata la banda dei borbonici sbarcati l'altra notte.

85. Catanzaro

15 Sett. ore 6 poca. — Oltre a quelli di S. Giovanni in Fiore provincia di Cosenza, qui si sono presentati 400 briganti per ora fatti rientrare in famiglia.

86. Potenza

15 Sett. ore 41. 50 poca. — La G. N. di Figlici ha arrestato 5 briganti, ed ha liberalo Antonio Cassuto di S. Giovanni, che essi da 19 giorni tenevano sequestrata si. Benevento.

87. Benevento

— Si sono presentati 7 briganti di Pietralcina.

88.

— 16 Sett. ore 12.15 mer. — Tre briganti di Colle ed uno di S. Marco si sono presentati al Sindaco di Colle.

89. Teramo

18 Sett. ore 11.10 ant. — Il giorno 18 è stato ucciso dal contadino Antonio Pasquali, il famoso brigante Angelo Florio di Isola: indossava la divisa di capitano borbonico e montava un cavallo armato di tutto punto.

90. Palmi

20 Sett. ore 9 pom. — Mittlea e i sedicenti spagnoli sono sempre inseguiti. La G. N. di Reggio ha guadagnato le montagne di Monteleone. La banda è sbaragliata e dispersa: si fanno molti arresti.

91. Benevento

20 Sett. ore 9. 20 pom. — Cinque briganti, perseguitati dalla G. N. di Castelvetere, perduta ogni speranza di scampo, si sono presentati e quel Sindaco.

91. Benevento

20 Sett. ore 9.20 pom. — Cinque briganti, perseguitati dalla G. N. di Castelvetere, perduta ogni speranza di scampo, si sono presentati e quel Sindaco.

92. Nicastro

21 Sett. ore 9 pom. — Si sono presentati a quell'Intendente il capo banda Pietro Guazzi, alias Carravetta, e il brigante Carmine Tallarico, entrambi di Carlopoli.

93. Benevento

21 Sett. ore 6. 55 pom. — La G. N. di Santa Cnace di Morcone, guidata da quel Giudice, sorprese ed arrestò il brigante Antonio Mucciacciaro, soprannomato pelo di capra, col suo compagno Niccola Migliarese. Confessarono atroci. nefandezze. Molto si distinsero gli uffiziali di quella G. N. Signori Giuseppe Capozzi, ed Antonio di Maria; non che il caporale Ermenegildo Gioje ed il sergente Costanzo Ronza.

94. Benevento

22 Sett. Ore 1 pom. — Niccola Coltura capo-brigante, di Colle, con altri due, si presentò a quel Sindaco. Si contano 31 briganti presentatisi a quell'autorità. Tre altri briganti vennero arrestati dalla G. N. di S. Giorgio di Molara.

95. Caserta

22, ore 10.30 ant.— Salvat. Del Greco di Gioja, capo brigante, e Lorenzo Miletto si sono presentati all'autorità di Piedimonte. Si è anche costituito un tal Calabrese capo di altra banda.

96. Sora

22. Sett. Da soldati sono alati attaccati i briganti di Fondi, e presi alcuni capi. I Francesi hanno avuto uno scontro co’ briganti verso Veroli: arrestarono un ex-ufficiale borbonico e nome Ricci: un soldato Francese ucciso.

97. Reggio

30 Sett. Ore 9:45 ant. — Il capo brigante Tommaso Romeo, che aveva formato una banda in Castelvetere, è arrestato con tutte la masnada, parte de’ quali si costituirono volontarj.

98. Campobasso

29 Sett. ore 9 ant. — Lo brava G.. N. di Civitanova, ieri notte venuta a conflitto con un residuo di briganti che si aggiravano in quel bosco, ne uccise due, e due ne arrestò. Con gravemente ferito rifuggivasi nel bosco. Molto si distinsero gli uffiziali Cesare Valeria, Francesco Danese, e Giuseppe Caldarelli. Ferito un soldato, uno morto nel combattimento.

99. Cosenza

30 Sett. ore 12.90 m. — A Piedimonte é stato arrestato il brigante Jannuccelli, già appartenente allo banda del Matese: era armato di scure e stile. Altri due briganti vennero arrestati, colpevoli di saccheggio ed incendii in Valle di Prato.

100. Comune di San Pietro

(Terra di Lavoro) 10 Agosto 1861. — N.° 130 briganti saccheggiarono la casa del Sindaco e del Parroco, poscia appiccarono il fuoco a tutto il paese.

100. Comune di San Pietro

(Terra di Lavoro) 10 Agosto 1861. — N.° 130 briganti saccheggiarono la casa del Sindaco e del Parroco, poscia appiccarono il fuoco a tutto il paese.

101. Mercogliano

(Principale Ultra) 10 Agosto. — N.° 45 briganti disarmarono la poca Guardia Nazionale, commisero furti, traendo seco in ostaggio 7 abitanti, rilasciati dopo una riscossa di somma non lieve.

102. Rosarno

(Calabria Citra) 16 Agosto. — N.° 30 Guardie Mobili uscirono a dar la caccia ad una banda che scorazzava nei dintorni, e che giorni prima aveva tratto in ostaggio un tal Federici. Segui uno scontro: furono dispersi abbandonando il Federici. Molti morti: ucciso un milite.

103. Cotrones.

(Calabria Ultra B) 16 Agosto. — Viene impossessata da 200 briganti. Truppa e Guardia Nazionale corrono e liberarla.

104.

— ll 24 Agosto, un buon numero di Carabinieri e Guardie Nazionali, assalirono sulle falde del Vesuvio una grossa banda di briganti, e la batterono: 6 briganti morti, molti feriti.

105.

— Il 20 Agosto, a Cicciano (Terra di Lavoro) scontro della Guardia Nazionale con la banda di Cipriano la Gala: 6 prigionieri: due morti: il resto fugato.

106.

— Il 24 Agosto in Campochiaro (Molise) ben 100 briganti a' impossessarono del paese, commettendo enormi barbarie. Accorso la linee, li assali gagliardamente restandone 20 sul suolo: il resto inseguiti per più miglia.

107.

— Il 20, alle falde di Mont’Albano (Terra di Lavoro) i bravi Bersaglieri con la Guardia Nazionale ebbero uno scontro con i briganti: tre merli, diversi feriti.

108.

— Il 22, Sant'Egidio (Principato Citra), una banda sorprese e disarmò la. G. N., rubi loro i fucili, e si diede alla fuga.

109.

— Il 23 a Cremona (Principato Ultra) una pattuglia di fanteria incontrò grossa banda di briganti. Sei soldati caddero nelle loro mani, i rimanenti quattro preferirono pronta morte precipitandosi in un burrone anziché darsi preda di que’ manigoldi.

110.

— ll 23 a Cerneto (Benevento) seguirono delle perquisizioni: arrestali sei complici di briganti, tra i quali due preti: il Vescovo fuggi onde non subire la stessa sicura sorte.

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L'occupazione francese a Roma sarà ancor’essa per durare?

Non è mio sistema di sciorinar polemiche, o mio lettore, perciò vengo al (alto, con quella concisione che più mi è concessa.

L'invio delle truppe Francesi a Roma nella sua critica contingenza del 1848 provò al mondo intero che i costanti sforzi della Francia assicurarono temporariamente al Papato la sua sicurezza, In sua indipendenza, e tutelò la sua sovranità temporale per quanto lo permisero la forza delle cose, e la resistenza a savii consigli.

Oggi però debb'essere alla perline l'ora di applicare n Roma I saggi provvedimenti del sistema di nonintervento, e coi ritiro delle sue truppe la Francia lasciare l'Italia padrona assoluta de' suoi destini.

Lo statu quo, che aggiorna oramai all'intolleranza uno scioglimento, non è più possibile, mi duole il dirlo, e per uscirne esso é raccomandato dai principii della Francia stessa, dalla necessità assoluta della stia politica, dall'interesse dello Stato; ed oserei aggiungere dalla dignità stessa della Santa Sede.

E impossibile che io per poro mi provi ad agitare una tale astrusa questione senza turbare molle coscienze oneste, senz’affliggere le anime deboli, senza infine contristare coloro che erroneamente ed accanitamente collegano l'autorità del Papa al suo potere temporale.

Sdegnare questi sintomi sarebbe fatto ingiusto, impolitico, ed imprudente, tanto più che il Papato, rispetto al suo potere temporale, è in preda ad una controversia molto indegna dell'alta sua origine. Esso si difende colla stessa sua debolezza, unica forza rimastagli; e se fosse possibile rappresentare una figura drammatica fra tutte quelle trattate dalla storia, al certo non se ne troverebbe una che incontrasse più simpatia e più interesse di quella di Pio IX nello stato quo.

Chi è quegli che può aver dimenticato gli eventi del 1847? Chi 0 quegli che negar piote che dopo l'Inflessibile regime di quel Gregorio XVI che innumerevoli vittime dava al supplizio, alle galere, agli esilii, sia comparso come astro di puro giorno Pio IX semplice, amo roso, di costumi evangelici? Pio IX che aveva fatto sentire dall'alto del Valicano una parola di libertà all'Italia attonita e stupefatta!! Vi fu in Italia tutta un prolungato movimento di sorpresa, di ammirazione, di estasi, d'inattesa felicità; e in un momento solo tutti dovettero credere essere alla perfine il Papato riconciliato colla indipendenza italiana, e che questa grande Nazione stava per uscire dal sepolcro, condotta per mano dello stesso Principe.

Ma ohimè! Fu sogno dorato del quale presto si mori. Sventuratamente tutto era una illusione! Il sovrano di Roma avea promesso ciò che gli era impossibile mantenere, dappoiché se egli avesse studiato gli ammaestramenti inflessibili della storia, avrebbe scorto che per una fatalità Papato e libertà sono due potenze che non possono toccarsi senza che una delle due sia condannata a perire. Ne venne quindi per legittima e fatale conseguenza che l'illusione fu di breve durata, malgrado forse le generose intenzioni di Pio IX stesso. Egli tentò è vero di stabilire ne' suoi stati il regime costituzionale: ma sorta la rivoluzione del Febbrojo, ed impresso alla politica del Papa un movimento che egli non prevedeva, fu allora che riconobbe sorgergli d'intorno delle quistioni di soluzione non che difficili, impossibili.

Il contraccolpo solo degli avvenimenti della Francia avea tutto precipitato in Italia. Gli Austriaci erano stati respinti con energia al di là del Mincio, e la guerra non mancò di scoppiare fra essi ed il Piemonte. E l'Austria non poteva accettare questa sconfitta , lorché la Francia rimaneva estranea alla lotta, e non v'interveniva che con voti da non valere né un fucile né un soldato.

Grandi furono gli sforzi della indipendenza italiana, e invitato Pio IX qual'era a fornire il suo contingente, questi benedì la bandiera tricolore sì, ma d'un lampo la sua coscienza fu turbata, e con una memorabile enciclica ordinò il ritiro delle sue truppe, In un punto di quell’oracolo era scritto:

«Si è domandato che noi dichiarassimo la guerra all’Austria. Noi protestiamo contro siffatta risoluzione intieramente contraria ai nostri pensieri, attesoché, malgrado la nostra indegnità, noi facciamo le veci di Colui che è l'autore della pace e propagatore della carità nel mondo e fedeli alle obbligazioni del nostro sublime apostolato, noi abbracciamo tutti i paesi, tutti i popoli, tolte le nazioni in un eguale sentimento di amore paterno.»

Erano queste le parole del Pontefice che regna sulla cristianità, e questa volta era il Papa, o meglio detto il Vicario di Cristo, che si ricordava della suo sublime missione.

Allora si lasciò cadere la spada dalla sua mano perché rappresentava in terra Colui che è l'autore della pace e propagatore della carità nel mondo. Oggi la spada é la condizione prima ed essenziale del suo potere temporale. Era dunque il sovrano che allora abdicava facendo risplendere la profonda incompatibilità tra i due poteri.

Quali dovevano essere però le conseguenze di quella condotta? Se Pio IX cessava di essere il sovrano del 1847 per essere il papa del 1848, egli faceva cessare tutte le speranze che aveva risvegliate, egli abbandonava le popolazioni all'anarchia cosi nessuno si é sorpreso che la breve repubblica di Roma sia stata la separazione del potere spirituale dal temporale del Papato. Egli però non volle accettarla, e vedemmo che si ritirò e Gaeta: e se a quell'epoca la fortuna avesse favorito il Piemonte, se l'Austria la si fosse voluta ricacciata al di là delle Alpi, oh la separazione cardinale de' due incompatibili poteri sarebbe oggi un fallo compiuto d'innanzi ai quale l'Europa tolta si sarebbe inchinata.

Quando l'onoranda memoria di Re Carlo Alberto fu vinto a Novara che fece allora la Francia? La Francia i... Essa inviò una spedizione e Roma, e vi ristabilì con le armi il potere temporale del Papa Roma però e i popoli, non vollero la restaurazione del potere temporale del papato, e la stessa Assemblea, depositaria allora della sovranità nazionale, non intese, e dirò miglio non volle ristabilirlo, ma tutt'altro invece.

Le Francia, infatti, si turbò vedendo l'Austria assoluta padrona in Italia; in vista di che il 50 Marzo 1849, il Presidente del Consiglio de’ Ministri domandò con energia all'Assemblea legislativa l'autorizzazione per il potere esecutivo onde occupare un punto qualunque del territorio della Penisola a fine di mettere al coperto il Piemonte, proponendo il 16 aprile a tale oggetto la spedizione di un corpo d'armata. Quale ne era però il pretto fine assegnato alla spedizione? Oggi ogni Italiano lo vede.

Quello di una resistenza alla dominazione minacciante dell’Austria, dominazione che incomodò sempre la Francia, e che sempre ha combattuto.

Nel seno della commissione nominata ad hoc, ben due Ministri, il presidente del consiglio, e il ministro degli affari esteri, diedero la loro parola d'onore che nulla sarebbe tentato contro la repubblica romana, ed il rapporto della commissione registrò tanto solenne dichiarazione, la quale fu anche rinnovata più esplicita d'innanzi l'Assemblea, ed alla presenza de' sospetti manifestati da alcuni onesti previdenti. É il M oniteur incancellabile che mi conferma questi fatti.

E mi limiterò soltanto in questo caso rammentare delle parole pronunziate allora da un membro atollo commissione, il cui nome ù autorevole in questa quistione, il generale Lamoriciére, si, egli stesso.

Lamoriciére dichiarava che se la commissione avesse creduto che la, Francia andasse in Italia per agire nel senso austriaco, essa si sarebbe creduta colpevole di darvi la sua adesione. Egli stesso aggiungeva che se la repubblica romane non avesse altro pericolo a temere che l’occupazione delle truppe Francesi a Civitavecchia, essa non aveva nulla a temere.

Fu al cospetto quindi di queste solenni dichiarazioni che venne volata la spedizione delle truppe Francesi in Roma.

Ebbene! In quel momento stesso si annunziava a Pio IX in seno de' Borboni a Gaeta, ch'egli veniva ad essere restaurato!!

L’Assemblea dunque era ingannata! Fu dunque in grazia di una sorpresa che la repubblica Romana fu rovesciata.

Si, fu la Francia, o miei confratelli, che lontani commetteva, quella Francia che oggi é pur la nostra prima alleata...

respice finem……………………………………..!!

E questa volta l'angelico Pio IX, ristabilito sul suo trono puntellato da bajonette straniere, obliò essere egli Papa, ricordandosi solo essere il sovrano; e se non avesse dimenticato la sua enciclica, oh al certo non avrebbe consentito rientrare in Roma sugli ammonticchiati cadaveri del suo prediletto popolo.... punendo con una mano le colpe che avea coll'altra suscitate con tanta abnegazione!!...

Vincitrice tu Francia di lotta ingiustissima ed ineguale, coloro i quali avevano trascinato il presidente della repubblica a questo eccesso violento contro le intenzioni dell'assemblea intuonarono l'inno del trionfo — delusi!

Questi ciechi strumenti delle loro cieche passioni credettero di buon animo avere ristabilito la sovranità temporale del papato. Invece la distrussero per sempre, mentre dal giorno che Pio IX rientrò in Roma con l’appoggio delle armi straniere, da quel giorno stesso egli ha cessato d'esserne il sovrano. Chi niega questo fatto universale, potente, è da brev'ora ritornato dal Chili dopo un'essenza di 16 anni.

Difatti, l'autorità non ha per base che la fiducia, l'affotto, e la paura; e disgraziato quel potere che non riposa che su quest'ultima base! Il Papa ricondotto in Roma dalle armi di Francia, ha egli ritrovato il cuore de' suoi popoli? No per certo: egli si mantiene tutt'ora con la spada della Francia: ritirata questa il suo potere cade.

A misura che questa triplice esperienza si è prolungala, il Papa ha potuto acquistare questa certezza, che nulla si era se non mediante l'appoggio di coloro che l'avevano ricondotto e mantenevano ne' suoi Stati: e la sua sovranità temporale oggi non è che nominale: essa è stata sepolta nelle pieghe vittoriose del nostro vessillo tricolore, e l'Europa alla sua volta ride degl'imbarazzi della Francia, baluardo del papato, ed alleata dell'Italia.

Essa in vero nelle sue intenzioni ha assunto la più grave delle responsabilità ricostituendo in Italia una forma di potere, che essa stesso ha sovente volte condannata con tutto l'Europa, non escluse le stesse cancellerie austriache.

Il Signor Thouvenel il 12 Febbrajo 1860 scrisse al Sig. di Gramont già ambasciatore di Francia in Roma, domandandogli:

«È egli vero che l'Insurrezione sia unicamente l'opera di agitatori stranieri?» Chi è su quegli che ignora però la precaria condizione dell'autorità pontificale? Chi dissimula la situazione creata da un sistema d'amministrazione, della quale unanime una opinione domanda riforma fin dal 1851; regime aggravato dall'occupazione estera, la quale dal 1815 al 1848 non fu interrotta che a vani intervalli, e che dal 1848 ha preso un carattere permanente?

Si consulti il dispaccio del Sig. Barrot, Ambasciadore di Francia in Ispagna del 24 Aprile 1860, e si vedrà che quegli stesso disse «che Il Santo Padre ha dimenticate oltre alle lezioni del 1848, anche il provvidenziale soccorso che lo ricondusse ne' suoi Stati.»

Passato il. pericolo, egli si ti una legge dimenticare le promesse di riforme; e mancato egli cosi solennemente ai suoi impegni irritò le popolazioni, e rese per lui necessaria, indispensabile l'occupazione di una parte de' suoi Stati da guarnigioni austriache, facendosi casi anche solidale dell'odio che esse inspiravano. E non anderà guari e vedremo che quella stessa ragionevole indignazione nazionale che si rivoltò contro gli occupanti Bologna, sarò uguale su quella di Roma, ove un assennato consiglio non determini il loro allontanamento. P l'Europa tutta oggimai che condanna questa triste dominazione imposta alle libere popolazioni d'Italia, e più viene essa condannata puranco dagli stessi uomini di Stato di Francia, e Ambasciatori, e Ministri, i quali solennemente dichiarano che un tal continuato regime E alla intolleranza, mentre tanti servigi resi al papato sono stati già soddisfatti con ingratitudine e derisione del suo vacillante governo stesso.

Chi non vede oggi nella tenace, occupazione della Francia in Roma che essi, i soldati del suffragio universale, essi i rappresentanti di un paese che si altamente proclama la libertà di cui crede godere, essere stati coooperatori onde inevitabilmente approfondire vieppiù la già esistente separazione tra il papato e le popolazioni Pii ed è in forza di tale difficile situazione che grandi ed inestricabili imbarazzi essa si ebbe al sopraggiungere degli eventi del 1859. L'Italia rivendicò la sua indipendenza, e l'immortale re Vittorio Emanuele immedesimò in una stessa impresa la riabilitazione del valente ma sventurato Padre suo, e la rigenerazione della patria sua.

Di Lui e della sua eroica abnegazione parlarono le Nazioni.... in Francia destava sorpresa, e dirò anzi disapprovazione; mentre questo generoso Monarca, in un tempo la cui tutto che lo circondava era incertezza e periglio, facea giuoco del pomata onde riconquistare l'avvenire, esponendosi a certa morte, come l'onorato padre suo, esule, martire, sul pagliericcio di un convento, considerato qual cavaliere di ventura cui l'evento diniegavagli favori!... Il Re d'Italia però snudava la sua spada per l'unità, che da tempo esisteva, oggi trionfante!

Poteva allora le Francia restarsene indifferente a tanto movimento? Poteva essa ristringersi ad una neutralità da addivenire pusillanime! La Francia! Il suo Governo non Io volle. Il capo dello Stato consultò la suo coscienza, il diritto, l'interesse nazionale, e d'un impulso eroico corse e strinse la sua nella mano di Vittorio Emanuele, dando alla guerra d'Italia una si nobile e profonda origine. — La guerra d'Italia quindi ebbe la sua ragione necessaria. Il vessillo piemontese avea anca sventolato in Crimea a fianco del vessillo eli Francia. L'eminente uomo di Stato che segui con tanta perseveranza l'opera dell'emancipazione della patria sua, nel 1856 reclamava a prò della sua indipendenza i consigli d'Europa, e segnalò la causa permanente di agitazione che dallo stato d'Italia risultava. Invano dunque taluni s'ebber ricorso ad imprudenti insinuazioni da non poter ottenebrare da alcun lato la gloria di tanto eroica guerra. La spada Nazionale fu tratta dalla sua vagina, e la Francia disse «che i passi dei suoi soldati schiaccerebbero sul suolo Ila. liane i troni di qualsivoglia tiranno. E qui fa d'uopo ricordare che il Presidente del Consiglio di Stola tacque lorquando in assemblea gli venne fatto il quesito. «Che farete voi ove il trono dei cardinali sia pur esso rovesciato?» — Quel silenzio però fu eloquentissimo: esso era ispirazione di fina politica, e nel paritempo un omaggio reso all'eterno principio della Francia, che in pro della libertà spenda sangue, intelligenza, forza, devozione: è un fatto che non può negarsi, messe da banda le incidenze condizionali della loro indispensabile cessione di Nizza e Savoja.

Fu tale il principio della Francia per la guerra d'Italia; e lorquando l'Imperatore Napoleone III annunziò nel suo programma l'emancipazione d'Italia dall'Alpi all'Adriatico, il potere temporale da lui conservalo si scosse, ricevendone una inevitabile agitazione.

Le splendide vittorie de' duo alleati fecero indietreggiare vergognosi gli Austriaci fino all'Adige: si occupò Firenze, ed il tedesco, temendo vedere rotte le sue comunicazioni, abbandonò Bologna. Quale ne fu il successo? Il governo del Papa colà stabilito fuggiva negli stessi frugoni degli Austriaci, essendoché l'amministrazione pontificia era inettissima ad opporre resistenza di sorta.

Ora io domando agli affascinali difensori del potere temporale del Papa: che sia quel governo che non si regge senza lo straniero, e che quando questi ritirasi egli diserto? Non è menzione in questo caso di diritto divino, dappoiché, cadrebbe dalla cerchia della questione. — I popoli vi appartengono, o potere temporale; eglino sono eternamente minori! e voi nell'ora del pericolo fuggite Co' loro oppressori? — Se questa i la vostra potenza, l'esempio di Bologna sarà di scuola in Roma, oh non temete no, che ò bene apparato!! Ed ora! Qual posizione per la Francia, per quella Nazione si gloriosa, sì maestra infatti di libertà? Italia freme. La Francia è compagna nelle vittorie, e la Francia stessa reprime un tanto entusiasmo nella eterna Città, essa che lo suscitava!.... É questa una giustizia, una onorevole politica, se politica addimandar si voglia tanta loro ostinazione? Potrà egli più oltre durare un tale stato? Può, domando alla Francia in nome della mia Nazione, può essa costringere a chiudere la bocca agli Italiani nel fare appello del loro diritto, il riscatto dei proprj fratelli da un servaggio disconosciuto da lutti i Popoli? L'Italia non l'ha domandato le cento volte, e sempre con reiterate proteste, con pacifiche dimostrazioni ed inermi? Si è sempre risposto dagli ancora dominanti con l'immutabile non possumus.

La Francia dopo la pace di Villafranca solennemente disse a non voglio intervento straniero» ma per me lo riserbo, fu lo sua politica.

Ecco la posizione della Francia in Italia! La pace di Villafranca rese e rende sempre più impolitica l'occupazione di Roma. E per onor del vero fin dal 1848 la Francia ha dato sovente de' salutari consigli a Roma stessa, ma il suo governo cinicamente sempre li respinse.

Il mio lettore ricorda quel documento appellato la lettera ad Edgardo Ney. Con essa s'invitava il Santo Padre a voler cambiar forma governativa. Ma che! Era forse da sperare che la dimane della vittoria il Papa acconsentirebbe ad abdicare una benché minima parte dei stia potere con le riforme a buon diritto domandategli dalla Francia restauratrice? Non era da aspettarlo, né è da sorprendersi esserne falliti i negozii, perché justa regola, il Papa Pio IX ridivenne prete qual era, ed in tal guisa la Francia con la sua protezione consacravo quel governo che disapprovava: E fu in tel seguito, e dopo la pace di Villafranca che essa cercò far cessare la suo occupazione in Roma: che la invitò a provvedersi di una armata da rimpiazzare la sua; mai! L'impresa di Garibaldi però fece mutare tali buone disposizioni! Pur nondimeno si crearono imbarazzi alla Francia. Bologna e Firenze avevano volata l'annessione al Piemonte; Napoli e Sicilia segni la stessa corrente, e fu allora che In Roma ombreggiava uno de' consigli della Francia, munirsi cioè di altro corpo di armata. Essa aven detto a Roma. Cera tate di difendervi ed organizzate l'Armato vostra: a ma se per raggiungere questo scopo, il governo pontificio andò a cercare in ogni parte soldati mercenari, e segui tosi le più cattive tradizioni del medio evo, ciò non doveva riguardar la Francia, che ero innanzi suo interesse lasciar fare. Roma però qual madre caritatevolissima domandò ajnto ed autorizzazione ad so Generale Govon, onde comporre questa armata, affinché per ingrossarla si. fossero voluti prestar nomini del loro territorio, e la Francia ne diè l'autorizzazione, in onta ad una pena del Codice di Francia stessa pronunciata contro chiunque abbandona il paese per andare a servire lo straniero; e questa stessa provvida legge ordina la ignobile decadenza della qualità di Francese per coloro che prendono servizio all'estero. Ed alla sua volta la Francia. protettrice si senti l'ignobile rimbrotto del suo protetto per esser in cattive mani, essere un martire de' tristi tempi!!...

Che si ebbero per conseguenza tai fatti?

La Santa Sede aveva riunito un' armata che s'ingrossava ogni giorno, e lanciava contro la rivoluzione provocanti reclami. Si trattava di prenderla per la strozza, di trascinarla ai piedi di S. Pietro di Roma per offerirla fu olocausto al cattolicismo.

Il Piemonte dovea commuoversi nel sentirsi dire nel frequenti concistori aver violato il diritto delle genti!

No che il Piemonte non ha violato il diritto delle genti, mentre quando vide che un'armata si formava nelle sue frontiere, egli nel suo diritto intimò al Ministro di Stato Pontificio a voler sciogliere quella riunione che era per lui una minaccia, dappoiché è a sapersi che il papa non avea d’uopo di ulteriore difesa dacché la Francia era in Roma, ed alla sua cintola. Vittorio Emanuele quindi, secondo il diritto delle genti, dovea operare quale operò; e san certo che se 60 mila Prussiani si radunassero a Brusselles, la Francia per seguire il diritto delle genti imiterebbe il procedere del Piemonte.

Il Piemonte dunque nel suo diritto dissipò la riunione e più perché di fronte alla sua armata sorgea una truppa indisciplinata, poco agguerrita, quantunque forse valorosa; ed era inevitabile che questa si potesse sostenere di fronte all'agguerrito soldato Italiano. Ed invero però Castelfidardo fu un fatto di guerra: ma è da rimpiangere che in virtù della tolleranza degli occupanti in Roma, il sangue di Francesi ivi fu sparso, avendo anco subita la umiliazione disgradevole di vedere un Generale di Francia darsi prigioniero!!...

Di fronte a tai fatti come non addebitare oggi la responsabilità al Governo Francese per il ritardo al possesso della nostra Capitale? Qual è l'attuale suo stato? Quali saranno per essere le sue estreme determinazioni?

Il Piemonte è rimasto padrone d'Italia, in forza di eventi e voleri di unanime nazioni, quantunque gli spodestati cloro consorti avevan osato far tralucere essere stato l'annessione poco sincera, ed era anzi improbabile, essi dicevano, che i popoli ratificassero col loro voto ciò che si era. usurpato con le armi.

Senza perdermi in inutili dispute, ricorderà solo che su tali assurde loro congetture, che, per trionfo della loro dottrina il governo pontificio ero ed è in ogni dove ugualmente detestato dalle popolazioni.

Oggimai Italia è quasi libera. Chi è quegli che si oppone perché non lo sia interamente? È Roma, o la spada della Francia? È forza conchiudere, che questa ritiratasi, non v'ha più alcun ostacolo. — E quindi ingiusto, impolitico serbarla ancora, né la Francia potrà, e dirà meglio dovrà più a lungo reprimere quel movimento da essa stesso provocato. Ed è oggi illazione non essere stabile l'unità italiana se Roma non è la sua capitale. È sola questa patria de' Cesari che può far tenore le rivalità delle altre consorelle Città. — Ma è forse il retaggio di una famiglia perché si contrasto con tanto diritto? In vista di questo universale volere io voglio sperare e credere che la Francia sia logica alla sua volta, e che facendo astrazione a qualunque convenienza, o tacito concordalo, la sua pressione cessi su Roma onde compiere un suffragio universale. E la sola soluzione pratica: ogni idea anche di Congresso é impossibile, e non voluto al postulto anche dalla stesso Pontefice, il quale non può sottomettersi all'arbitrato delle potenze. E questa per lui teoria elevata a Domma, perciò dalla sua parte non i nemmeno da idearlo.

Due soli partiti restano allo Francia e sortire di convenienza: abbandonar Roma, o riconquistare gli Stati della Chiesa: lo statu qu o è incompatibile ed impossibile.

Vi fu pure chi esseri, con falso proposito è d'uopo ch’io pensi, che la restaurazione del potere temporale era un interesse anca della Francia. Indegno cancello che non lo si potè dimostrare! E di fatti che la Francia abbia interesse a mantenere in se il rispetto delle idee religiose; che il culto, ch'è quello della maggiorità de' Francesi, sia l'oggetto di particolari favori, è da accconsentirlo. Ma che nel decimonono secolo sia egli possibile comandare agli uomini di correre a morte perché i preti restino sul trono, non v'é chi v'acconsenta a crederlo.

Ogni storico ci ha trasmesso, che il papato per ben otto secoli fu privo del potere temporale, durante i quali fu sempre l'iniziatore della civilizzazione. Ma a contare dal giorno in cui egli conquistò la sua temporale dominazione, cominciò la oppressione de' popoli e de' re. E Bonifazio VIII stesso diceva «i Papi dominano i re; eglino donano e tolgono le corone».

Di qui sorse la conseguenza forzata dello innesto del poter temporale con la religione. Che fecero però i re di Francia? Essi vi opposero una diga alla orgogliosa ambizione della corte di Roma. Il pio de' suoi re San Luigi si trovò nella necessitò di promulgare la prammatica sanzione, e certamente essa non fu favorevole al potere temporale del Papa, dappoiché S. Luigi disse: «Le azioni in tollerabili con le quali il papato ha miserabilmente impoverito il regno, cesseranno...»

In seguito Filippo il Bello, che l'aveva completamente rotta con la Sante Sede, ricevé da Bonifacio VIII una bolla con la quale gli si ordinava d'inchinare la sua fronte nella polvere in segno di sommissione e rispetto. Che fece Filippo Re? Prese la bolla, la fe' portare in piazza di Grève, ed alla presenza della magistratura, dei clero, e di accalcata moltitudine la fe' bruciare per le mani dei boja. Papa Bonifazio Vili allora fece appello al Clero di tatto l'orbe cattolico, e denunziò l'empio condotta dell'Anticristo. Filippo Re di Francia si umiliò forse vilmente? All'opposto: egli fece appello alla nazione, convocò gli Stati generali, e loro sottopose la questione.

Ben cinquecento anni sono trascorsi da quel tempo, ed ecco oggi i medesimi fatti produrre gli stessi risultati!

Lo stesso Luigi XIV, quel re religiosissimo, non fu meno esposto all'anatema papale per aver firmato la revoca dell'editto di Nantes, e precipuo argomento. ne era lo interesse peculiare.

Tanta disgrazia colpiva quel buon re perché rigatossi a lasciar raccorre dal Papa gl'introiti de' benefizii vacanti in Francia, rispondendo «che l'autorità del Papa nna è di questo mondo: ch'egli non può toccare i diritti delle corone:» ciò che vuol dire una condanna assoluta del suo potere temporale.

Se dunque a sano giudizio il Papa non ha poteri terreni su' sovrani non potendo dominarli, non potrà a mio corto dire molto meno toccare la nazionalità che é lo dipendenza immediata del primo nazionale, qual è il suo sovrano. Un luminoso esempio ratificherà la mia tesi.

Un uomo il cui genio la Francia ha celebrato, che l'ha ingrandito collocandolo alla testa delle nazioni, e i cui errori debbono essere cancellati dalle sue grandi azioni, questo Capitano, elevato sul suo trono come si condusse di fronte al Papato?

Egli lo incontrò parecchie volte sul suo glorioso cammino. Di semplice Generale inflisse al Papato Il trattato di Tolentino. Poscia un Pio VI menato prigione a Valenza cessò del suo potere temporale. Napoleone in seguito ristauratolo ottenne che Pio VII si muovesse ad incoronarlo a Parigi.

Cinque soli anni trascorsero, ed essendo quel Grande impegnato in una guerra strepitosa contro l'Austria e la Prussia, mentre era al punto di battere un gran colpo, il Papa tradivalo patteggiando de' nemici nello intento di aumentare i suoi imbarazzi. — E Napoleone in vista di tanto sfacciato tradimento nel 17 maggio 1809 emanò un decreto, dove fra gli altri considerandi disse.

«Considerando che quando Carlo Magno Imperatore re de' Francesi e nostro predecessora fece dono di diversi territorii al Papato, egli li cedè a titolo di feudi, senza che abbiano cessalo per questo di essere una parte del suo impero:

«Considerando che l'unione delle due potenze temporale e spirituale È LA SORGENTE PERENNE DI CONTINUE DISORDIE; che le cose spirituali che sono immutabili si trovano confuse colle cose temporali che cambiano continuamente

Decreta

«IL POTERE TEMPORALE DEI PAPI E’ ABOLITO.

NAPOLEONE.

Ecco, o Francesi del Papa, ciò che fece quegli di cui vai celebrale e il valore e la grande abilità, come amministratore e come Sovrano!

Ma v'è di più.

Lo stesso Imperatore a Fontainebleau ottenne da Papa Pio VIII il celebre concordato del 25 Gennaio 1813, ed in essa fu ratificato il decreto del 17 maggio che di sopra cenai, assegnando egli sovrano temporale al sovrano spirituale la città di Avignone per residenza, con una lista civile di 2 milioni, ed il Papa accettava in tale atto la qualità di funzionario dell'Impero Francese.

Si dirà forse che fu volontà forzata del Papa a tanto discendere perché ere prigioniero! — Falso: dappoiché non solo Pio VII ma qualunque Papa, anco Sisto V stesso si sarebbe adattato, mentre di buon grado vi si poteva consentire per non trattarsi di capitolare un articolo di fede, a che oggi l'angelico Pontefice vorrebbe elevare il contrastatogli potere.

Non trovate in ciò, o miei lettori, essere prova evidente, manifesta, che il cattolicismo è intieramente distinto, separalo dal potere temporale, e che é un assurda, anzi lo mi si permetta, è un'audacia volere uniti cotanto distinti poteri, mentre la religione cattolica posa al disopra delle nostre unione miserie? Farlo partecipe delle condizioni dei poteri civili, far dipendere la suo sorte da tutto quello che v'è di variabile negli umani eventi, non è una empietà che si sorprende ne' difensori del papato.

Questi farabutti invece di parlar di Cristo, invece di
porre in luce le sante verità degli Apostoli e de' Padri della Chiesa, pervertono ogni divino ufficio, onde sostenere uno straccio di porpora impunemente tenuto da essi; e da ministri di Dio si fanno agitatori delle coscienze, perturbatori della pubblica quiete; si studiano, senza punto celare i loro intendimenti, di fare della dignità del santuario strumento di volgari e vituperevoli passioni.

Vedonsi Vescovi, Arcivescovi, Cardinali lasciare il pastorale, e dar di piglio alla penna cangiarsi in, scrittori virulenti di cose mondane. Si è visto un DupanIoup un Pie, farsi battaglieri, vedemmo i Gousset, i Donnet, i Morlot farsi oratori nelle Assemblee politiche di Francia, e quivi incriminare nient'altro che gli usurpatori Italiani, e con una violenza di linguaggio da richiamare alla mente le tempestose tornate della Costituente del 1849, bestemmiando che l'unità di questi miserabili d'Italia è un orribile sogno per essi.... Oh profeti di disgrazie, chi non vi conosce?

Questi Italiani miserabili non hanno essi a vostro scorno mostrata la calma e la moderazione la più perfetta nelle continue loro vittorie? Firenze, Bologna, Torino, Napoli non dimenticheranno forse di essere capitali perché divenute eterne città Italiane, e che tanto da esse già fallo risponde di quel che faranno ancore sulla vostra Coblenza?

Macchiavello diceva a Lorenzo de' Medici «Capo di una gran casa illustre, cominciate questa grande opera col coraggio,e le speranze che fanno il successo delle cause giuste, affinché sotto la vostra bandiera, la nostra patria sia riabilitata, e che sotto i vostri auspizii. si verifichi quel motto del Petrarca: la virtù s'armerà. contro la brutalità, e la lotta sarà breve, perché. l'antico valore vive ancora nel cuore dell'Italia » .

Signori: questo redentore venne. La Francia gli porse la mano, lo indusse alle vittoria: l'ha fallo sedere raggiante 01 consiglio delle nazioni perché potesse difendere la rozza latina, quegli della civiltà e della libertà.

Riepilogando dunque, noi non domandiamo alla Francia la sua spada per far cessare un'azione che é una oppressione per la volontà nazionale d'Italia; questa non ne ha d’uopo. E il suo dovere che deve compiere allontanandosi da Roma, mentre la presenza delle sue troppe oltre a ritardare sempre più l'intiero e finale svolgimento della quistione Italiana, toglie al nuovo Regna il suo centro naturale; ed d pertanto causa di gravissimi danni e di non lievi imminenti pericoli.

Ed é bene all'ombra del suo vessillo Imperiale che la turpe genia del governo Antonelliano si fa ardito scagliare anatemi contro di noi che con unanime abnegazione sortimmo dal servaggio di despoti; è all'ombra della Francia che essi cospirano contro il nostro Governo, ed a favore delle espulse dinastie da popoli respettivi, ed arma ed eccita genti qualunque nello intento folle di ritornare qual'era per la dabbenaggine di assopite Nazioni.

E per essi in fine che colui che fa le veci di Cristo prende vezzo con le continue allocuzioni sue, scagliate dal Vaticano qual arma micidiale col quale mezzo anche egli spera d'ingannare i popoli cattolici con arti dalle quali rifugge la morale ed il buon senso, affine di eccitare genti contro di noi con furibonde e truculenti parole vergate dalla mano insanguinata ancore della assassinata vittima Cesare Locatelli. Egli bassamente mentisce quando discende a e narrare che in Italia si calpesta la giustizia,. che in Italia si opprime la religione.

«Tutti sanno, dice il Papa Pio IX, in qual modo i a satelliti del Governo Italiano e della ribellione, pieni e di ogni astuzia ed inganno, e fatti abominevoli nelle loro a vie, rinnovando le macchinazioni ed i furori degli antichi eretici, ed imperversando contro ogni covo sacra, si sforzino di abbattere dalle fondamenta, se pur fosse possibile, la Chiesa di Dio... Indi conculcati i diritti a divini ed umani, sprezzale le censure ecclesiastiche, a espulsi e posti in carcere i Vescovi, mollissimi popoli a privati dei loro pastori, membri dell’uno e dell'altro clero vessati e perseguitali con qualsiasi ingiuria, religiosissimi templi di Dio spogliali e convertiti in spelonche di masnadieri, beni sacri saccheggiati, instituite pubbliche scuole di depravate dottrine.... pestiferi ribelli.... Negli scritti si combatte la fede, la religione, le pietà, la onestà, la pudicizia, il pudore, ed ogni virtù, e si sovvertono i veri ed inconcussi principii, e precetti della legge eterna e naturale, si contrasta la libertà e, proprietà legittima di ciascuno, e si scrollano. le fondamento della società domestica di ogni famiglia e della società civile.»

Però, o Santo Padre, l'universo è testimone che qui in Italia la religione dei padri 8 un culto caro alle genti; che il Governo la promuove e la rispetta, e che la giustizia, e non altra legge, é le base del nuovo edifizio Italiano. — Che passarono ben oltre quei tempi beati nei quali la voce di un Papa era quella della verità. Oggi questa si annunzia di per se stesse, quasi emanazione di Dio,ed i fulmini del Valicano non sono bastevoli per farle cangiar di natura!

Si può dunque a buon diritto gridare alla Francia che essa prima alleata d Italia porge anca la sua amico mano, e con tutta la sua potenza, a chi tenta scompaginare questo meraviglioso, ordinamento che gl'Italiani si imposero di libera volontà. Qual è dunque il suo scopo, quali le sue mire in tonta colluttazione?

Si conchiuda. Non è più tempo di soffrire l'occupazione dello straniero sul suolo dello nostra terra redenta.

Essa é di onta e di vergogna e 25 milioni d'Italiani che hanno il voto solenne sciogliere da ogni servaggio i fratelli di Roma e Venezia..... Immutabile è il suo giuro..... l'Italiano lo compirà, perché ha fede nella bravura e nella disciplina del suo esercito, ha fede nello slancio di molli suoi volontarii, ne' ossi prodi Generali; qual fede è fondala nella sicurezza che l'esercito, i volontarii, i Generali sono devoti e sottomessi allo Statuto, al Re, al Parlamento; nella sicurezza che la loro azione è subordinata ai consigli d'opportunità, dei quali il Governo è il solo responsabile in faccia alla Nazione.

La posizione de' Francesi a Roma è di fatti insopportabile: essi male accetti alla stessa Curia Romana, sono tuttavia costretti a proteggere quel governo già agli estremi contro le popolazioni. — Soldati della Francia Napoleonica! È sotto la vostra protezione che si agitano gli avversarii del Governo Imperiale, con sempre il grandissimo pericolo di un movimento insurrezionale, che tutti i veri amici dell'Italia condannerebbero altamente, ma che malgrado i loro sforzi potrebbe scoppiare inatteso.

AI cospetto quindi di tanto imminente pericolo: alla inevitabile conseguenza di un tristo grido di allarm e che un indispettito popolo è per emettere, vorrete voi rione. vettore ai vostro cospetto le stragi di Carini, un Vespro di Sicilia? Il mondo tutto non vorrà scrivere nella storia' dei suoi eventi: «Il soldato di Francia fu il solo ostacolo alla. Indipendenza Italiana, rompendo il sacro petto d'alleanza!!! Sarebbe sventura, sarebbe disonore!!... »

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Documento I

Lettera dell'Autore al Cardinale Giacomo De Andrea onde avvertirlo della reazione

Eminenza Reverendissima,

L'umile sottoscritto si prende la libertà, e sotto il più alto mistero, di metterle sott'occhio il proclama accluso da lui debolmente compilato, quale deve a sue esclusive spese pubblicarsi nel regno di Napoli quando sarà tempo, sul che é in attesa di avviso anche per altra incombenza affidatogli da Trani sua patria in provincia di Bari.

E siccome fra due o tre giorni sarà e riceverne i fondi non scorsi per le sue occulte operazioni, casi anche per tutta la decenza fin qui usala colla real corte non si sente forte, né lo deve far noto, essere oggi digiuno.

Non le sembri assurdo, Eminentissimo, perché non sono uso a mentire. Ella al certo, più che altri, anche per amor patrio, é il solo che può serbargli mistero, pregandola di una ben lieve sovvenzione qualsiasi, e vada certo sovvenire una fra le infinite vittime del nostro ubertoso e derubato regno.

Alta é la missione affidatomi da ben quattro provincie; e se l'Eminenza sua reverendissima mi onora di qualche istante d'udienza, le metterò sott'occhio il pieno di esecuzione con una nota nominativa d'individui di cuore e di borsa. Tutto questo è all'Eminenza sua reverendissima soltanto che si affida, sapendola nostro grandissimo nazionale.

Ove si volesse degnare ricevermi questa sera, sono vicinissimo al domicilio — Vicolo Sforza Cesarini N. 9. 1.°.

Le bacio intanto con ogni rispetto il lembo della sacra porpora.

ANTONIO FIORE

Servo Dev.mo dell'E. S. R.

Documento II

Proclama per la svelata reazione delle Provincie Meridionali

«Fratelli,

«I vergognosi fatti che si svolgono tuttodì sotto gli occhi nostri ci confermano sempre più che le settarie promesse furono per noi una vera illusione; mentre il positivo scopo di tonto politico travolgimento é stato quello di apportare aspra guerra onde sperdere l'ordine sociale, distruggendo in massa le sostanze pubbliche e private col confonderne il preteso diritto, sulle stesse tracce di Faypoult, che diceva. tutto appartenergli per diritto di conquista. fermo patto di che ne largheggiava la prepotenza della rivoluzione e della sella. Quando con la forza c'impose risolvere sul suo capo il passaggio dei sacri e vetusti diritti della borbonica dinastia si fu la promessa di un miglioramento in qualsiasi andamento civile, lusingandoci rosi, deludendoci, e conducendosi alla consumazione di un regicidio che in oggi siamo dolorosamente a deplorare.

«Ma qual fu poi tale miglioramento? forse nel dispotismo, nel vandalismo, nella ferocia, nel libertinaggio, nel sacrilegio? Ah no! sopraffatti da un uso cieco e violento di forza siamo involti in un sistema rovinoso ai privati, non profittevole all'universale. Si sono imposti scandalosi tributi su tolte le proprietà, su tutte le consumazioni, su qualunque segno di possesso, sulle vesti, sul vitto, sulla vita, sull'onore... Si fanno infine degli arresti di persone private e pacifiche purché sieno ricche, e possano con l'oro ricuperarsi la libertà. — E ben a ragione temono poi i dissolventi l'adunanza degli uomini e de' pensieri, per evitare cioè i pericoli minaccianti, e l'onta alla odiosa legge la quale, non ancora satolla di tanto ostinato lavoro di demolizione, nella speranza di sostenersi, è venuta a partiti estrani, sperdendo per primo i beni falli del demanio regio, dando poscia a prezzo, ed a gene ignorata ed ignorante titoli di nobiltà, magistrature, poteri; e poco manca che s'ipotechino perfino le future imposte del lisca. E non meno della finanze è mal provvista l'amministrazione de' beni e delle ubertose entrate comunali le arti e le industrie divenute nulle, o meschinissime: Il popolo misero e decrescente!

«Ed in vista di tanti mali estremi continueremo ad esser noi le pazienti, le tolleranti vittime? No, vivaddio! Io per me, leggendo la nera perfidia, veggo pure i vostri animi compresi da orrore per fatti che disonorano l'umanità.

«A noi quindi, e non ad altri, spella il liberarcene. da eroi, facendo radere ormai dal volto di lutti lo maschera dello inganno nel quale è da un anno che camminiamo, millantando costoro, e falsamente lusingando con infami promesse di era novella e riformo, con la dorala pillola con cui si tentò sedurre le nostre menti: ed invece si è conculcato ed usurpato il diritto della conservazione e dell'ordine, ponendo a mercato la corruzione, ed in pratica la violenza onde giungere n dominare. Le nostre provincie tutte furon tocche da lati storiche verità, e son pronte a sostenere quel dritto di difesa che viene protetto da Dio, ed ammirato dalle nazioni della intiera Europa, le quali se silenti si stettero fin qui a scene di raccapriccio, applaudiranno oggi per giustizia il comune volere di una oppressa nazione.

«Corriamo dunque, o fratelli, alla rivendicazione di quel trono proditoriamente usurpalo ai nostro legittimo sovrano Francesco II Borbone, calcando la via dell'eroismo da lui mostrato nel cimento della propria vita, non meno elle della di lui augusta consorte la quale, qual nuova Giovanna d'Arco, correva intrepida là dove il pericolo era maggiore. — Corriamo noi pure, e pronti siamo a sacrificare la vita stesso onde conservarci gli altari, lo roba, il vivere, le pace domestica, l'onore. Mostriamo unanimi a costoro con fatti, che se la prudenza tacque in noi fin qui non lo fu piè per voto, no; ma per la mera lusinga di trovare quell'ideale miglioramento che ci si assicurava con false promesse, ma sacre per essi. Era il primo pollo che si pillava sulla bilancia dello scrutinio onde ammaliarci!

«E giunta però l'ora fatale del disinganno, o straniero, e tn stesso ne porgesti gli argomenti fin da tempo. Oggi, oltre al nostro volere, è Iddio che c’impone il ravvedimento, ed è terribile il volere e il grido di una nazione oppresso e che vien da lui proietto. Noi in numero poderoso corriamo ad esterminarvi imponendovi armate mano, vita per vita, l'abbandono delle nostre ubertose contrade, parte derubale, languenti e deserte, non che il ritorno a noi, che unanimi lo vogliamo, del nostro legittimo sovrano datoci da Dio qual padre e modello di eroiche virtù, il clementissimo verso i suoi più chiari nemici, e traditori della venduta patria, l'esempio della gloria, che si sosteneva ristretto nelle mura di Gaeta, resa per la codardia e pel tradimento di vili e felloni prezzolati, i quali simulando zelo e valore marziale venderono tanti eroi che colà erano a difesa de' nostri diritti, usurpati dalla violenza e dalla prepotenza. Maledetta é per essi la terra dove camminano, e lentamente gli uccide il rimorso della loro ribalderia, e più le lagrime ed il lutto di tante orbate e gementi famiglie!!

«La vittoria per noi è certa, o fratelli, perché se in terra potesse occultarsi la giustizia della causa che difendiamo, abbiamo in cielo volente mediatrice che la reclamo, quella Realissima Madre che nel dare al figlio la vita a se diede la morte. Per le di lei preci vediamo giù ne' petti de' nostri nemici trascorrere il terrore e lo spavento,'la confusione e lo sbaraglio con che ci darnunn la giusta rivincita; e quand'anche salano dovesse restar vittima nello avvenimento non sarà essa diversa da quelle che adoriamo sull'altare, perché morendo muore fra gli evviva di Francesco II e la gloria di Dio.

«Coraggio, dunque, paghiamo colla stessa moneta, gli assassini, e rivolgiamo contro la stessa testa di costoro quelle armi che ci affidarono per sostenere non altro che i loro delitti, e ci beeremo nel salutare il nostro adorato Monarca nel suo primiero splendore, reso più vivido a scorno di colui che più misero è divenuto con le sue rapine, per le quali sarà eternamente corroso.

«Non aspettiamo che una mane straniera venga a sollevarci da tanta schiavitù, per poi volerne schiavi della stessa nostre vittoria.

«E domani l'astro maggiore del firmamento risplenderà più vivo sulla liberata patria nostra: le nostre famiglie saranno calmate de' panici timori che le uccidono per lo sterminio ad esse minacciato se si scuoprono amiche dell'ordine; accertati saranno i diritti delle nostre sudate proprietà, e non più mano rapace ci obbligherà a dividerne la massa; vedremo addivenuta sorda certezza la persuasiva in cui fummo del ritorno della pace domestica e dell'ordine sociale; non più delitti di sangue, non più visite domiciliarle, non maltrattamenti, minacce, spionaggio, fucilazioni.....

«Non più infine la nostra patria sarà ingombre dall'indigente di ogni classe, perché ricomposto un ministero di nuovi ed idonei personaggi sapranno rappresentare al monarca i nostri veri bisogni, applicando per essi le rendite del governo, e non estorquendole come coloro che le spendevano in vece per il lusso delle loro famiglie, e le trattenevano in parte per sollevare il pubblico malcontento, ed aprirsi così più larga la via ai premeditati tradimenti. Dopo di che vedremo istantaneamente riattivato ed incoraggiato il morto commercio, aperti ad ordine i pubblici uffici, riaperte le immense beneficenze e sollievo del misero tutto infine sarà per noi nuova vita di beatitudine.

«Sta anche l'arme venefico, onde uccidere e disperdere lo straniero che ne decide, il comune e spontaneo grido di viva Francesco II, sotto il cui vessillo stretti e riverenti corriamo al cimento.

«E voi, o nostro legittimo Monarca, armatevi di nuovo coraggio a tanto annunzio del vostro popolo tutto, il quale vi acclama e vuole e suo Salvatore. E insito oggi né nostri petti il volere di vincere o morire. — Guai per coloro che vi resistono!

Documento III

Lettera dell'autore scritta a S. E. R.

Monsignore Francesco Speroni.

Eccellenza Reverendissima,

«Lungi dal riconciliarsi co reni figli il comun Padre de' fedeli anca una volta imporporava di sangue la stola candida della Sposa di Cristo!

«Cesare Locatelli veniva ultimamente consegnato olocausto sull’ara di Babilonia.

«Co' miei fratelli ne piansi, e segnalai alla atona l'atroce misfatto, affinché dalla universale riprovazione discendesse almeno una tregua alla passione, ed un efficace pentimento per l'avvenire. Dacché ben rilevasi per tal fatto, come in tanti consimili, il cozzo tremendo dei due poteri, mentre di fronte alla ritenuto imponenza del reo fino alla negazione della ecclesiastica sepoltura, il diritto di apoda, troncalo avrebbe ad sia tratto la via della grazia, e consegnato impassibilmente all'angelo delle tenebre un' anima di valore infinito, trasceso sacrilegio dal sangue preziosissimo di Gesù con un corollario inesorabile di una legge terrena.

«Ma più benigno il comun Padre che è ne' Cieli ponendo in lance di sua eterna giustizia l'irritante ipocrisia di carnefici ministri di sangue, e l'ultimo senso di una immacolata coscienza, oh certo raccolse nel ano bacia di misericordia colui che con un frego di penna veniva dannato a temporaneo insieme ed eterno supplicio da quella mano istessa che addita al mondo cattolico le piaghe del Redentore.

«Sembrami spediente una speciale partecipazione di uno dei tonti legali assassinii della corte di Roma alla E. V., Presule insigne della Chiesa, affinché, quando e comecché stasi, al comune compianto degnasse tuonar nuovamente la severa autorità della sua parola.

«Ove ingrato non vi riesce il mio buon volere, o Monsignore, un contraccambio oso domandarvene; una preghiera all'Altissimo affinché nel sacro fosco dell'amore di Patria scendo ogni di più, al povero padre di famiglia scrivente, gioia e pazienza nel tollerare i dolori dell'esilio con che insieme e tanti eredi confratelli rie colpi del Vaticano il dispensatore di pace e di perdono.

«Supplico frattanto l'E. V. di degnarsi credermi colla più profonda devozione.

Livorno... Gennajo 1862.

Umilissimo Servitore.

ANTONIO FIORE.

A Sua Ecc.za Rev.ma

Mons. FRANCESCO LIVERANI

Prelato domestico — Protonotario

Apostolico partecipante.

FIRENZE.

Documento IV

Lettera di A. Fiore scritta al Generale Garibaldi

Invitto Generale,

«Uno de' più atroci misfatti che insanguinano gli annali infausti del civile dominio de' Papi' doveva segnalarsi specialmente al più inesorabile propugnatore della libertà di Roma.

«A debito così giusto io adempio.

«Non isdegnate, o Generale, la povere penna che scrisse; ma il mio cuore mirate che nel parteciparvi l'annunzio ferale dell'assassinio di un nostro fratello, supplica Voi Protomartire vivente della nostro redenzione ad iscrivere nell'immortale martirologio della Patria anso il nome di CESARE LOCATELLI.

«Su i dolori dell'esilio del povero padre di famiglia scrivente, bandito dotta capitale d'Italia per avere sventale le trame di scellerati traditori della Patria, una stilla di gioja ineffabile spargerete ove egli colga una parola sola dell'ambito Vostro gradimento.

«Ho intanto l'onore colla più sincera e devota affezione di dichiararmi Livorno... Gennaio 1862.

Vostro Affezionatiss.

ANTONIO FIORE.

Documento V

Risposta autografo del Generale Garibaldi

ad Antonio Fiore.

Mio caro amico,

Caprera 8 Febbrajo 1862.

«Vi ringrazio tanto per le parole vostre gentili, e per l'invio dell'opera interessante da voi scritta. Io la leggerò con molto interesse.

«Con gratitudine vostro

G. GARIBALDI.

Al Signor Antonio Fiere.

Documento VI.

Poteri accordati dal Generale Basco a Chiavone

«Il Re nostro Signore vi comunica per mio mezzo. che quando avrete Sora ve l'abbandonerà intieramente al saccheggio ed al fuoco, con facoltà di obbligare con la forza i liberali a somministrarvi somme di danaro e tutto quant'altro vi fa bisogno, e passare per le armi i renitenti. — Primo vostro pensiero sia quello di piantare la bandiera di Francesco II. e proclamare il suo governo: al quale scopo avete illimitati poteri; e soprattutto non date quartiere al nemico.

Roma 16 Novembre 1861.

G. BOSCO.

Documento VII

Fra gli oggetti trovali in dosso a Giuseppe Addieghi capo reazionario arrestato dal Francesi il giorno if Giugno corrente anno, gli si rinvenne una nota d'individui, sul che egli depose «esser tutti i nomi dei brigadieri Pontificii, i quali sono sempre a parte con essi, ed hanno coadiuvato molto alla loro gita e dim ora in quei luoghi».

I Francesi stessi poiché arrestarono ben 27 briganti nella montagna di Velletri, per ordine del Colonnello comandante li rimisero all'autorità pontificia, che è quanto dire restituiti in libertà al pieno esercizio del brigantaggio. In buona fede dirò pure che mentre il signor Di Lavallette crede di avere poteri Illimitati onde distruggere il brigantaggio col mezzo dl consegnare alle autorità pontificie gli arrestali, questi ignora forse il bel Documento nella circolare segretissima testè diretto da Monsignor delegato di Frosinone a tutti i governatori della provincia, colla quale s'ingiunge (vedi nota a pag. 74).

«Che qualunque ordine dovesse abbassare il Comando francese di Frosinone non si deve attendere per verun conto, anzi rifiutarsi: mentre LE TRATTATIVE CHE HA IL GOVERNO PAPALE CON QUELLO FRANCESE non sono quelle che il comando francese di Frosinone crede appropriarsi».

E mentre da un lato il soldato francese si vede a dir vero animatissimo nel sopportare ogni fatica onde arrestare briganti, dall'altro la ferocia pretina ride di loro facendo ogni accordo col Generale in capo Goyon — almeno è un Monsignore Delegato di Frosinone che tanto ha dichiarato, e tali dichiarazioni non sono in vero da tenersi in dubbio perché oltre il detto v'è anche il fatto.

Documento VIII

Questo documento è prodotto nel già narrato fatto avuto luogo in Terracina, a pag. 128 e seg.

Documento IX

Eccomi bell'argomento per dimostrare quanta simpatia v'era fra il noto D. Giacomo Giorgi, ed il prode Colonnello F. G. Luverà.

Il famigerato abate Eugenio Ricci nel N.° 75 del giornaletto Il vero amino del popolo, stampò per preghiera dei collega Giorgi un lungo articolo firmato E. R. ridondante delle sue lodi; in cui fra le altre si paragona ai più cospicui personaggi di questa secolo, i quali non hanno il privilegio di essere risparmiati nel vituperi o.

Si vantano colà i grandi servigi resi dal Giorgi negli Abruzzi sotto il comando del Colonnello F. G. Luverà, e si asserisce che il detto Colonnello gli dava l'incarico d'intendente e gli conferivo cavalleresca. on orificenza, lasciandogli il comando in capo per l'attacco ili Scurcola e Magliano. Questo disse il biografo abate svisceratissima amico del Giorgi: per disgrazia però tanto del Giorgi quanto del collega Ricci nel detto giornaletto al N.° 70 si legge la seguente lettera del Colonnello F. G. Luverà, il quale a riguardo del Giorgi così si esprime:

«Dirò solamente che il Giorgi mi ha seguito negli Abruzzi non per mia richiesta, ma per grandi impegni fatti da lui appo persone autorevoli.

« EGLI NON H A MAI OCCUPATO ALCUN GRADO N E’ MILITAR E NE’ CIVILE, MA FORNIVAMI SOLAMENTE NOTIZIE LOCALI. Dopo i fatti della Sc urc ola, AVVENUTI PER SUA COLPA E CONTRO I MIEI ORDINI, profittando della mia mo mentanea assenza , il Giorgi è stato per mio v o lere espresso allontanato dalla colonna che io comandava; alla quale, stante appunto i summentova t i disastri della Scurcola, ed i reclami pervenutimi da ogni parte, di con t ri buz ioni arbitrarie da lui OPE R ATE, mi sono trovato obbligato a non permettergli più il ritorno, ANCHE PER NON ESSERE COSTRETTO AD USARE VERSO DI LUI I RIGORI DELLA LEGGE MI LITARE, (cioè a farlo fucilare).

La camarilla borbonico-cattolica però lo riabilita, lo decora di un ordine cavalleresco, gli promette il grado d'intendente, e lo destina a Malta come si vide innanzi. — E poi dire che non si fa onore al merito anco nelle sventure!

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Documento X

Disposizione delle bocche da fioco dei corponassediante sotto le mura di Gaeta

il giorno 9 Febbrajo 1861 fino alla resa.

Tortono - Posto comandato dal Maggiore Dhò Pezzi N.°

19

Sotto il comando de! Capitano mortaj rigati

13

Monte Cappuccini — Posto comandalo coi signori Capitani

Berevale e Pleu, pezzi da 32

10

Pezzi rigati da rigati da 16

5

Sotto il comando del Capitano Vimej, da 60

10

Totale e segue

55

Riporto

55

Capitano Orfengo, mortaj da 32

11

Mortaj da 22

2

Lombone — Posto comandato dal signor Capitano

Gusberti, mortaj da 27

10

Capitano Covacalli, obici

8

Capitano Modinghieri, mortaj

8

Capitano dimarina Pepe, rignti do 40

8

Capitano Olivieri, mortaj da 27

8

Capitato Iacassio, da 40

7

Pezzi rigati da 16

5

Capitano Sterpone, rigati da 8

6

CASA MASSENA — Posto comandato dal Capitano Grifi, rigali da 16

5

SAN MARTINO — Posto comandato dal Capitano… rigati da 16

3

Rigati da 80

2

Borgo CASA ALBANI — Capitano Rizzo, lisci da 40

5

ALLA TRATTURA — Capitano Duprè, da 40 detti da Cavallo

4

Totale pezzi

147

I corpi che occupavano ed occuparono fino allo resa della fortezza Borgo di Gaeta erano:

Il 6.° Bersaglieri comandato dal Maggiore cav. Radicati di Passerano.

Il 7.° Battaglione Bersaglieri comandato dal Maggiore conte Negri.

Il

11.° (Salvo errore) Bersaglieri comandati dal Maggiore cav. Ferrari.

Il 4.° Battaglione del 15.mo di linea sotto il comando del Maggiore Filipponi di Mombello.

Il 16.° di linea comandato dal Maggiore cav. Bracco.

Documento XI

Proclama del sedicente maresciallo José Borjès, pubblicato nello sbarcare in Calabria

Napoletani!

« Quando, or son due anni, l'Italia fu scossa dallo strepito delle armi e delle battaglie pugnace sui campi della Lombardia, un grido unanime risuonò da un capo all'altro della penisola, un voto solo parti da tutti i cuori: affrancarsi dallo straniero. Sventuratamente quel grido e quell'ardente volo furono soffocati dall'ambizione Subalpina, che avida d'ingrandimento, slanciò da pria i suoi avventurieri, indi i suoi battaglioni alla conquista di dodici milioni di abitanti. Calpestando le più gloriose tradizioni della Patria, insultando alla fede dei nostri padri, violando il diritto, e la santità dei trattati, ha voluto il Piemonte imporsi per signore assoluto di tutta Italia, egli che non è Italiano, se non di nome. I suoi governatori, alla maniera dei proconsoli romani; ne hanno spogliato. I suoi generali hanno fatte deserte le più belle e floride province di un regno che aborre la loro violenta signoria.

«Stanchi omai di soffrire, né trovando rifugio che in una lotta disperata, ci siamo abbandonati alla sorte delle armi. Soli e senza ajuti stranieri, ma fidenti nella giustizia della nostra causa, abbiamo esordito una lotta che non sarò senza vantaggio per la nostra indipendenza, per la nostra autonomia. Secondate i nostri sforzi; intentate guerra a quei Drusi delle Alpi; rivendicale i vostri diritti. L'umanità è sorgente di servitù, di oppressione, di miseria.

Mirate i campi saccheggiati, le città distrutte, i vostri fratelli scannati. Soffrirete ancora pazientemente tante stragi e rovine? Patirete voi più a lungo lo scherno, e lo insulto? Dimenticate forse che nelle vostre vene scorre il sangue più generoso d'Italia? Alle armi adunque, all'armi! Si scuola il giogo del Piemonte che ci opprime, e si rivendichi la nostra indipendenza. Fra oppressi ed oppressori non può esser dubbia la sorte; la nostra causa è giusta, santa e è causa di Dio, né permetterò egli più a lungo il trionfo della tirannide Piemontese. All'armi!

«Se la vittoria ci sorriderà non temano i nostri nemici; noi non saremo crudeli come i loro legionarii, che pria di vincere, gridan guai ai viventi:

Viva la Religione

Viva il Re

Viva la Indipendenza Nazionale

Documento XII

Secondo Proclama

«Calabresi !

La vostra patria e oppressa dallo straniero, il vostro magnanimo Re, figlio della Santa, la giovane ed eroica Consorte, e tutta la stirpe di Carlo III, di quel Re che vi riscattò dal servaggio straniero, richiamando a vita la vetusta Monarchia delle Due Sicilie, tutti gl’intrepidi principi di Gaeta, gemono nella terra dell'esilio, deplorando lo strazio che di voi fa lo straniero.

«Pronti tutt’i membri della famiglia reale e sacrificarsi per la vostra felicità, essi aspettano con fiducia dal vostro patriottismo, dalla vostra fede, e dal vostro coraggio, degni delle tradizioni dei vostri padri, che hanno sempre respinte le invasioni, che vi leverete come un solo uomo, per iscacciare il crudele invasore del vostro paese, e riacquistare colla indipendenza il vostro legittimo signore.

«Insorgete dunque, fieri e generosi figli delle Calabrie. Tutto può il vostro coraggio contro coloro che han manomessa la patria, conculcata la religione, violato le vostre donne, saccheggiate le Vostre proprietà, e che col ferro e col fuoco vorrebbero consolidare la loro aborrita dominazione.

«All'armi, Calabresi! Alzate il vostro grido di guerra, e mostrate all'Europa, che attonita vi guarda, quanto può il vostro patriottismo e la fede. Coll'ajuto di Dio lo ho la speranza di condurvi alla vittoria, ispirandoci mutuamente quella fiducia che abbiamo nella giustizia della nostra causa.

Viva la Religione

Viva il Re

Viva la Indipendenza

Dal Quartier Generale li 16 Settembre 1861.

Il Maresciallo di Campo Com. in Capo

JOSE BORJES.

Documento XIII

Contemporaneamente facendole da plenipotenziario mandò la seguente circolare a diversi Sindaci di que' dintorni.

«Signor Sindaco

«Nel giungere la presente Ella ingiungerà, in nome di S. M. il Re Francesco II nostro augusto Sovrano, a tutti i soldati della disciolta armata napoletana, il cui impegno di servizio non é spirato, di recarsi senza indugio in questo Quartier Generale.

«Ella mi renderà conto di coloro che non ubbidiranno: i medesimi saranno giudicati quei disertori, e puniti come tali.

«Io ho ferma fiducia che i soldati, che han dato l'anno scorso tante prove di valore e di fede, concorreranno solleciti a mettersi sotto le bandiere del nostro augusto e legittimo Sovrano.

«Abbia intanto la bontà, Signor Sindaco, di accasarmi la ricezione della presente, mentre con sensi di stima sono

Il Maresciallo di Campo Com. in Capo

Josè Borjès.

Al Signore

Signor Sindaco di....

Documento XIII . A.

Lettera di Borjès all'ex-re di Napoli scritta da Marsiglia

Marsiglia 2 Agosto 1861.

«La causa, il danaro e gli uomini di S. M. vengono qui trattati come una mercanzia. In tutto ciò scorgono una miniera da sfruttare con poca spesa, ed é a questo che bisogna ovviare. Sarebbe perciò necessaria di stabilire una severa controlleria, per mezzo del comitato di Parigi. I miei nomini che avrebbero dovuto partire con me direttamente per le Calabrie or fa quindici giorni, giungeranno a Marsiglia domani a sera, per ripartire lunedi alla volta di Malta come semplici passeggieri. Per mettersi in strada non abbisogna alcuno; soltanto vorrei dei danaro; che se lo avessi avuto a quest’ora sarei già partito, ed avrei ottenuto due resultati: quello di trovarmi colà dove avrei fin da primo dovuto essere, e diminuire l'elenco delle spese che non mancheranno di aumentarsi con questa bella e buona occupazione, in seguito...

«Il signor:... che giunge lunedi da Roma (che noi dovremmo riconoscere per De Lagrange), portò seco i mezzi per procurarsi il danaro che desideravamo, e quindi mila ordinato di avere in pronto gli uomini pel tre, onde partire al cinque alle 7 di mattina a bordo di un bastimento inglese, se vi sarà posto! Che cosa ne dite di tutto questo?

«Oggi siamo ai due del mese, e non so ancora che somma mi si destini. C..... si circondo di mistero e di dissimulazione; e quando intavolo qualche questione che va dritta allo scopo, si mette al sicuro con delle assurdità, alle quali rispondo con un sorriso, perché tanto sono ridicole, che non meritano uno seria discussione.

Partirò senza fucili preferisco di farli comperare a Malta per diminuire lo scandalo che qui sarebbe prodotto dal nostro armamento.

Questi signori vogliono ottenere grossi vantaggi, senza compromettersi col Piemonte e col loro Imperatore: nulla vogliono fare di nascosto od irregolarmente. Così agendo, i nostri avversarii sanno tutto e possono seguirci ad ogni passo, per gittarci al fondo quando loro più sembrerà opportuno.

Io veggo l'agguato e devo subirlo perché i miei principii m'impongono di procedere Innanzi ad ogni coste, ma sarebbe conveniente per l'avvenire di rimediare n codesto inconveniente.

«Ho sempre proposto tal cosa; datemi un bastimento con un carico per Malta, ma lasciatemi la facoltà di comandare al capitano. Impossibile, mi rispondono coloro. Se avessero condisceso alla mia domanda, avrei lisciato Marsiglia convinto pienamente della riuscita, stanteché nessuno al mondo avrebbe conosciuto le mie intenzioni, né dove avessi voluto sbarcare. Quando fossimo giunti in una delle Calabrie avrei detto al capitano: voglio guadagnar terra in questo luogo;. e quando fossi sbarcato egli avrebbe potuto continuare la suo strada senza compromettersi in modo visibile; ma questi signori temono che un semplice sospetto possa comprometterli col loro re d'Italia, e compromettere quindi i loro affari. Alle corte, essi vogliono far sembiante di servire due padroni, non servendone in vero che uno con detrimento dell’altro. Si fa la guerra ed essi ne approfittano... Malgrado tutto questo, non é conveniente di disgustarli, anzi bisogna accarezzarli da vicino affinché non si arricchiscano alle spalle del nostro sangue e del danaro di S. M. C...... comprese ciò quanto io stesso, e potrà dirvi altre cose che io tralascio.

Gen. José Borjés

Documento XIII . B.

Lettera di Borjès scritta al General Clary

«Io sperava sempre, mio caro generale, di ricever vostre lettere da Roma; non poteva credere che Monsignor Merode fosse tanto inetto da non accettarvi, e che il generale di Lamoricière non 'porgesse ascolto alla domanda di un suo confratello d'armi. Spiegatemi dunque il vostro abboccamento con quest'ultimo, perché non me ne avete mai parlato. Si crede sognare quando si legge nei giornali tutto quello' che avviene in Italia, e quando piacerà ai rivoluzionarli di attaccare gli stati delta Santa Sede, temo che sorgono gli stessi tradimenti che fanno arrossire quando si pensa ai fatti di Napoli. Il buon Dio vi conservi per altre occasioni, e se la marea cresce nelle stesse 'proporzioni, non. sarà forse inutile la vostra spada valorosa., Se è vero che a Roma. sieno arrivati a mila Spagnuoli col generale... vi avrà dispiaciuto d'incontrarla, e quanto a Napoli, è chiaro che non si volevano atti di vera devozione perchbsi conduceva il giovane Re al punto a cui giunse là sventurato Luigi XVI.

«Mi fate deplorare amaramente di non essere vicino a voi, e di non poter offrirvi una ospitalità, che mi onorerebbe. Ma, io sono con mio padre. Armando non vi é quasi mai, è non sono padrone di attirare a me i miei amici. Mi occupa con tutto il cuore per trovarvi qualche lezione, ma non ho speranza di riuscirvi a meno che Dio ed il vostro buon angelo non m'ispirino. So per buona sorte posso giungere a qualche risultato, state tranquillo ché non perderà un minuto senza rendervene avvisato.

«Perché temete di scrivere il francese? Non solo voi dite cose graziose, ma usate eziandio di espressioni felici, e le due lettere che mi scriveste prima di partire da Roma attirarono l'attenzione per tutto quello che contenevano. Che giorni son quelli in cui i grandi e nobili caratteri sono ridotti alla miseria, mentre le nullità trionfano ed i furfanti trovano fortuna! Speriamo che tutto ciò stia per finire: il manifesto di Mazzini é fatto per aprir gli occhi ai più increduli, e se il Papa e il generale Lamoriciére non vi fossero di mezzo, sarebbe cosa ben divertente un duello tra Vittorio Emanuele ed i corifei della rivoluzione.

«Addio, mio cero generale: rispondete tosto a questa lettera che io vi scrivo col carattere più grosso che sia possibile, perché non duriate fatica a leggermi; raccontatomi la vostra partenza da Roma, ditemi la vostra opinione su ciò che avviene perché la udirò con molto interesse. Vi prego di ricevere la espressione dei miei affettuosi sentimenti.

Gen. José Borjes.

Documento XIII . C .

Altra, allo stesso Clary.

Mio Generale,

«Mi trovo qui fin dall'otto corrente, latore di una lettera che doveva consegnarvi; ma siccome voi non siete più ritornato dopo quell'epoca e non potei presentarmivi, stante gl'imbarazzi pecuniarii, sono costretto a spedirvela con la posta. Credo, mio Generale, che vi si parli della mia nomina a generale di brigata nel nostro esercito: se ciò fosse, oso sperare che vi degnerete di farmi giungere i vostri ordini e te istruzioni che crederete necessarie ad appianare le difficoltà che potrebbe trar ecco tal nomina, come io spero del pari che mi avviserete del contrario nel caso non si trattasse di questo affare.

«E opportuno che sappiate, mio generale, che in caso di negativa, io conto d'imbarcarmi di nuovo per le Francia al 5 del mese venturo, ed in questa ipotesi potrete incaricarmi con tutta confidenza di quelle commissioni che crederete di avere per Parigi ed altrove.

«Pieno di questa confidenza, sono, mio generale, rostro umilissimo, subordinalo ed obbediente servitore.

Gen. José Borjès.

Roma 26 Luglio 1861.

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Documento XIV

Talismano tolto ad uno de' briganti che accompagnavano Borjès

«(Il Papa mandò questo carta all'imperatore Carlo V. quando era stanco di tante sue battaglie)».

«E questo sovrano decretò che la si leggesse a tutto il popolo e a tutto l'esercito, e che ne cavassero copie per tutti coloro che volevano portarla addosso. Ognuno che la serberà o le leggerà, non sarà in quel. giorno soggetto ad alcun male; e chi sarà in mezzo a de' nemici non potrà ricevere alcuna offesa, ma la sua sorte vieppiù prospererà, e tutte le sue imprese avranno un felice termine. Se alcuna moglie malata non può partorire, ponendosi questa orazione sulla paziente, subito il partorir le sarà facile; se essa cade in disgrazia del marito, avvedendosene, riacquisterà l'affetto di lui; se alcuno ha chiamato su di sé l'ira divina, negli ultimi momenti, della sua vita recitando queste parole, la disarmerà e otterrà la sua remissione; se alcuna perde l'amicizia di un altro, subito la riacquisterà. Se alcuno va a combattere, (e non è detto in favor di chi, per modo che potrebbe esser contro la patria) sarà vincitore de' suoi nemici, chiamando gli Dei (ad uso pagano)».

HACLON, ORESTE, DOMINATOR, AMABILIS, E SALVATOR.

A chiunque esca il sangue dalle nari e non possa rattenerlo, cesserà d'uscire ponendo sulle nari quest'orazione. E quelli che non voglion credere all'efficacia di questa specie di talismano, che lo ponga su qualunque animale, e procuri ferirlo con qualunque arma, e vedrà che non potrà averne alcun danno. Filippo re di Francia decretò tagliassesi il collo a un cavaliere, il migliore dell’esercito, e perché portava addosso quest'orazione non v'ebbe alcuno che il potesse ferire. E ognuno che l'abbia addosso, non esperimenterà gli effetti delle armi da fuoco, né dell'acqua, né delle armi da taglia, né potrò ricevere alcuna ferita di qualunque natura sia.

Documento XV

Elezione del consiglio Municipale di Velletri.

Il giorno 3 del Marzo 1861 il consiglio Municipale di Velletri si adunava per formare la terna del nuovo Gonfaloniere per presentarla quindi all'approvazione di Rame. È da notarsi che ogni consiglio municipale ha la sua origine da nomine fatte dal Governo in onta della legge data da Portici all'epoca della dipartita di Pio IX, poiché questa restò lettera morta. Immagini il mio lettore quali uomini si trovarono scritti nella maggioranza delle schede! Quelli di Vittorio Emanuele II , Conte di Cavour, Napoleone III. E questo fatto storico registrato nel processo verbale di quella sessione, il quale fu condannato alle fiamme per ordine supremo da Roma: non per questo il fatto cesserà di essere accaduto. 14

Documento XVI

Dichiarazione di un ufficiale Borbonico

intorno alla spedizione di Borjès.

«Trovandomi circa un mese fa in Roma ebbi l'ordine dal generale Clary di partire tosto per Malta, e mettermi alla disposizione del generale spagnuolo Borjès.

«Arrivato a Malta trovai il generale suddetto con altri ufficiali forestieri. Pochi giorni dopo fu colà dal Consolato di Napoli noleggiata una nove su cui salimmo, e partimmo in numero di 20. Approdati in Calabria e giunti e Pregrenore, pochi contadini si congiunsero a noi; ma avanzandoci alla vicina città di S. Agata, si fece contro noi una scarica di moschetteria.

«Siccome il capitano Merenda, ajutante di campo del Generale Clary, ci aveva assicurati a Roma che il generale Borjès avrebbe avuto una spedizione regolare da comandare; appena mi avvidi dello inganno, e che invece di far parte di questo corpo di esercito, appena poterono resistere alle popolazioni Calabresi, mentre che gli altri assoldati commettevano atti di brigantaggio specialmente nella Sila; io risolvetti di abbandonare quietamente Borjès, considerando indegno del mio grado il divenir brigante.

«Ad onta dell'opposizione di Borjès mi separai da lui, e mi unii ad un tal Giuseppe Carbea. Valicai monti fino che arrivai a Catanzaro, donde m'ingegnai, seguendo la via postale e sempre camminando, d'arrivare insino a Napoli. La notte dormiva sulla terra, lontano dallabitato onde allontanare ogni sospetto, non avendo meco carte né certificati.

«Quando fui carcerato avevo passato, Rogliano e Cosenza dove comperai provvigioni. Ma ad un miglio oltre Cosenza fui fermato dalla Guardia Nazionale, e non avendo le carte che mi furono domandate, fui detenuto.

«Tale è la vera storia dell'inganno per cui venni condotto in Calabria, e il modo come venni arrestato.

«Non ho altro da aggiungere».

Cosenza 15 Ottobre 1861.

Achille Caracciolo.

ATTI COMPROVANTI L'ACCORDO DEGL'ITALIANI CON LA CORTE 

PONTIFICIA GIUSTA LA DOTTRINA DI QUEL MINISTRO
Dl STATO CARDINALE GIACOMO ANTONELLI.

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Documento XVII

Proclama del solere comitato di Roma per la

solennizzazione delta festa Nazionale del 2 Giugno.

Romani!

«Per volontà del Parlamento e per Decreto del. Governo del Re sarò d'ora in avanti sacra alla Patria redente la prima domenica del mese di giugno. S'approssimo il primo di questi giorni memorabili che ricorderanno ai nostri posteri più lontani il risorgere di un gran popolo dopo secoli di sventure, e quasi l’intiera Italia da un capo all'altro lo festeggerà colla gioja di un popolo libero benedicendo a Dio, al Re, a quanti soffersero, a quanti morirono per. essa, a quanti coll'ingegno e col braccio concorsero ad affrancarla dal servaggio nostrale e straniero.

«Il vostro Comitato sarebbe lietissimo, o Romani, di potervi invitare a manifestare con segni esteriori la gioja a cui partecipa l'animo vostro. Ma lo stato deplorabile e cui siete ridotti in nome del Dio delle Misericordie, il rispetto dovuto ai soldati di una Nazione amica, i quali per una necessità sono aurora costretti a puntellare un Governo che disprezzano, comprimendo un popolo che amano e stimano, hanno invece consigliato al vostro Comitato di esortarvi e rimonti tranquilli astenendovi da qualsivoglia. pubblica dimostrazione. D'altronde nello stato attuale il servaggio a cui Roma è tuttavia condannata le pubbliche dimostrazioni non valendo che una protesta contro il Governo oppressore il Comitato ha creduto che, dopo le molle da Voi fatte nl compiervi dei maggiori avvenimenti del risorgimento nazionale, sarebbe per lo meno inutile a migliorare la nostra situazione il provocarne una nuova nello stato presente delle cose. Qualunque dimostrazione poi perderebbe pregio a fronte della solenne manifestazione via vostri desiderii, testé fatta con bella prova di coraggio civile in faccia ai vostri oppressori, sottoscrivendo in numero di oltre DIECIMILA le due petizioni al RE D’ITALIA ed ALL’IMPERATORE DE’ FRANCESI, per la liberazione di Roma.

«Romani! Mentre il vostro Comitato vi ringrazio sin da ora per aver casi bene corrisposto ella fiducia che aveva di Voi, è lieto di potervi annunziare che, a solennizzare la festa nazionale, la presentazione della petizione al magnanimo nostro Re sarà fatta probabilmente nel giorno 2 del prossimo Giugno. Roma, divisa dalla Nazione, soggetta suo malgrado a gente straniera per istinto, ridotta allo squallore, e prossima all'estremo della miseria, non potrebbe in miglior modo solennizzare la santità di quel giorno: è dovere che essa si compiaccia dello prosperità nazionale traendone speranza a parteciparvi, ma non deve mentire al proprio stato atteggiandosi a festa.

«Una sola cosa, o Romani, può ancore concorrere per parte vostra a santificare il giorno solenne; e questa è l’esercizio di una virtù cristiana e cittadina; I'esercizio della carità. Il Comitato ha stanziato sui proprii fondi una somma da distribuirsi alle classe indigente; ma insieme a ciò fa un dovere e chiunque fra voi od abbia più del bisogno, o possa ai proprii bisogni sottrarre qual che cosa, di soccorrere ai miserabili senza distinzione di partito. Mostrate col fatto che la libertà è virtù, e che amo il prossimo chi ama la patria. 15

«Del resto il vostro Comitato vi esorta a rimanere quieti e tranquilli; e voi non temete che la quiete in un momento, che d pur solenne, possa rimproverarvisi come una viltà. Rigettate sdegnosamente da voi chi l'osasse: egli sarebbe od un nemico scaltro o un amico dissennato.

«Il sacrifizio che chiede a voi l'Italia è il sacrificio della pazienza, che non è certo il meno difficile a compiersi, né il meno meritorio. L'avete saputo compiere sino ad ora, e l'Italia ve n'è grata; che se per l'avvenire dovesse chiedervene anche prove maggiori, voi dovrete darle, voi saprete darle.

«Ricordatevi, o Romani, che per voto unanime della Nazione la vostra città nativa è chiamata ad essere la prima tra le grandi città italiane; voi col vostro contegno, col vostro senno, coi vostri sacrificii dovete mostrare che le nazione non al é ingannata, che Roma é degna dei grandi destini che l'attendono.

Roma 30 Maggio 1861.

IL COMITATO NAZIONALE ROMANO

Ecco trascritto il testo ufficiale ed autentico dei due indirizzi firmati dai Romani, che tanto fecero impaurire la polizia, e la diplomazia, e non avevano torto; e di tatti la vista di un popolo intero che lo una simile dimostrazione contro il suo governo non è certo la cosa più consolante pel governo stesso. Quando per altro questa governo t; cordialmente abborrito e disconosciuto dai suoi sudditi, tutte le polizie, le armate, le corruzioni sono inutili mezzi per frastornarli. — Prova evidente che ogni celo di persone concorse a Inni' opera, si legge nella distinta delle firme per classi, cioè:

Clero.

117

Patriziato.

50

Professori di scienze:—istitutori, avvocati, procuratori, notari, letterati, medici, chirurghi, farmacisti e veterinari.

636

Professori di belle arti: — pittori, scultori, architetti, ingegneri, agrimensori; incisori, professori di musica, musicisti, artisti teatrali.

1049

Possidenti

674

Militari e impiegati

576

Studenti di scienze, lettere ed arti.

627

Riporto e segue

3565

Negozianti, industriali, orefici, gioiellieri, agenti di cambio, sensali, computisti, commessi.

1276

Arti meccaniche, commercio minuto, mestieri e professioni diverse.

4448

Totale

9589

Se a tali firme si fossero aggiunti almeno duemila illetterati, edoltre a quattromila emigrati romani (oggi circa 20 mila), che è una protesta vivente contro il governo pontificio, si aveva la cifra enorme di quasi Sedicimila Romani che protestarono contro il governo dei papa domandandone la distruzione; e sedicimila di quelle firme sono la maggioranza sulla popolazione di Roma, e lo dimostro.

Roma da un complesso di 170,000 abitanti: togliendo gli stranieri che sono sempre circa 10,000, restano dunque 160,000 Romani. Da questi si detraggono 80,000 donne: restano 80,000 in popolazione: da questi al minimo sono per una metà bambini, vecchi, assenti; resta la popolazione di 40,000; si detraggano almeno 10,000 fra preti e frati: si tolga almeno una massa di tremila impiegati che non firmarono per la paura di perdere il pane: si tolga lo stuolo infinito di servidorame de' cardinali, e prelati, la birraglia, almeno ed altri tremila, e si trovo un residuo di popolazione di 24,000 persone: vuoi dire quasi due terzi di firmati, i quali furono la crema della popolazione. — É provato quindi con questo quadro che il vero partito del governo temporale consiste su quei 13,000 chierici, birri, frati, e servidorame, e con ciò è tutto dello.

Segue il testo dei due indirizzi..

INDIRIZZO DE' ROMANI A SUA MAESTÀ VITTORIO EMANUELE II

Sire!

«Roma, a cui è disdetta sinora la sorte delle altre affrancate sorelle, non ha avuto, nd poteva avere chi la rappresentasse al grande atta Col quale l'Italia, costituita la prima volta dal suo nazionale Parlamento, vi ha proclamato suo Re.

«Ma Roma era presente col desiderio e quell'atto solenne, e come già ebbe collocata in voi la sua fiducia, e raccolta sotto la vostra bandiera la sua speranza, cosi oggi si reca a debito d'uscire da un silenzio, che potrebbe tristamente interpetrarsi da chi ha il suo interesse nel calunniarla. Essa quindi, nel modo, che l'è unicamente possibile, associa In propria voce a quella dell'Italico Parlamento E VI PROCLAMA SUO RE.

«Accogliete dunque, o Sire, con questo indirizzo i voti del patriziato e del popolo romano che i sottoscritti facendosene interpreti si onorano di presentarvi, dichiarandovi ad un tempo, che questi voti e non altro, uscirebbero dall'urna del suffragio universale, quando fosse dato a Roma di esprimerli col mezzo di esso.

«L'Europa civile non può non pensare, o Sire, che so una nazione ha diritto di scegliere la sua capitale, Roma non può essere contrastata all'Italia, salvo che la forza non si sovrapponga al diritto e alla giustizia. Roma pertanto vi attende, o Sire; essa solleva a voi le braccia, essa reclama sull'antico Campidoglio la vostra bandiera, la bandiera d'Italia.

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INDIRIZZO DE' ROMANI A SUA MAESTÀ NAPOLEONE III

«Il rapido svolgersi degli avvenimenti in Italia, le condizione ogni di più misero di questo città, impongono al patriziato e popolo di Roma di levar la voce, affinché Voi e l'Europa possiate intendere la vera espressione dei nostri desiderii, e dei nostri bisogni. L'indipendenza d'Italia, il ricostituire le stirpi italiane in essere di nazione una e compatta, fu il sogno di dieci secoli, fu il sospiro di cinquanta generazioni. Se questo sogno divenne ora una realtà, se alle venture nostre generazioni non toccherà in sorte il pianto e la servitù delle generazioni passate, è gloria, o Sire, che la storia unirà al Vostro none, la unirà a quello dei generosi Egli di Francia, che hanno combattuto a Magenta e a Solferino.

«Vincendo sul campo, costituendo base dei trattati il principio del non intervento, Voi ci rivendicaste in libertà, ci affrancaste dall'interno ed esterno oppressione. Me perché l'opera sia compita, e l'Italia passi posar tranquilla, resta, o Sire, che il principio dei non intervento, la espressione dei suffragio universale, fondamento del nuovo diritto Europeo, e dei nuovi Governi, non venga invocato inutilmente per Roma, centro naturale dell'Italia risorta.

«Voi faceste quanto era In poter vostro per salvare il dominio della Santa Sede. Se non riusciste, causa ne fu la forza degli avvenimenti, fu la possibilità di ridar vita ad istituzioni e convinzioni troppo avverse ai principii del 1789, troppo aliene dall'accordarsi coi bisogni della nazionalità italiana.

«Ora il momento è solenne, o Sire, ed è forza dire lotta la verità. Se la resistenza. della Corte Pontificia a soddisfare questi bisogni sia più luogotenente mantenuta, non solo ne verrà la totale ruina del, già guasti interessi morali e materiali di Roma, ma ne andrà altresì compromessa la esistenza del cattolicismo in Italia. L'avversione sempre più crescente degl'Italiani al procedere della Corte Pontificia può prorompere in uno scisma fatale all'Europa, alla Chiesa, di cui professiamo la fede e veneriamo le tradizioni.

«E’ dunque necessario, per l'interesse del mondo cattolico, come per l'interesse nostro nazionale, che si separino due poteri oggi incompatibili in una sola persona; e che salvo tutte quelle garanzie che possono tutelare la spirituale autorità del pontefice, sia questa ridonata alla Chiesa, e sia Roma riunita in Italia, della quale non può e non vorrebbe restare diviso.

«Sire, la nostra coscienza c’impone d'affermare, a Voi e all'Europa, che sono questi i voti della città di Roma: noi ci affidiamo, che Voi vorrete porre il colmo alla riconoscenza che l'Italia vi dove, permettendo elle i voli di Roma sieno soddisfatti.

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«In seguito di questi atti solenni ed insanii, inutilmente la polizia di Roma cercò, frugò, domandò, annusò onde venire in possesso di un indirizzo che esisteva, che girava per le mani di tolti, e che esso coll'appoggio de' suoi agenti si resse impotente e vederlo soltanto, o a sapere almeno qual era una delle diecimila firme che lo coprirono. Non v'era che un solo espediente onde venirne a capo, ed a questo si ottennero dandone l'onorevole incarico al loro capo sapremo Pio IX. — Questi per lo scopo santo, di buon grado assunse l'impresa, e tosto si occluse all'opera vestendo la divisa di

Pio IX. agente di Polizia funzionante da giudice fiscale

a carico dell'Eccellentissimo Patrizio Romano

Principe di Piombino.

Il Santo Padre onde provare ce fatti ch'egli, il servo dei servi, obbedendo a' suoi discepoli Antonelli, Merode, Matteucci, Dondini, Pasqualoni, nello scorcio del Maggio 1861 mandò a chiamare con invito diplomatico l'onorevole Principe allo scopo di sentire da quello se e recitò aveva opposta la firma allo indirizzo che per prudenza la Polizia non avea voluto intercettare; sul quale proposito facendola alla Dondiniana egli ebbe seco il seguente dialogo:

«Dunque, signor Principe, Ella ci vuole detronizzare?

«No, Beatissimo Padre, io non ho mai avuta questa intenzione.

«Come non ha Ella firmato un certo indirizzo al Re e all'Imperatore, perché ci venga tolta la nostra sovranità?

«Si, Beatissimo Padre, io l'ho firmato, cd ho creduto di farlo in coscienza.

«Ah! Ella lo confessa; e le pare questa piccola colpa? Nessuna colpa, Santità, perché non v'è coscienza di male. Se io l'ho fatto, l'ho fatto perché ho creduto giovare al paese, che la Santità vostra oleoso converrà non poter più andare avanti in questa situazione; all'Italia, alla quale sento di appartenere, ed alla religione stessa, minacciata pur troppo da uno scisma pel conflitto impegnato fra l'autorità ecclesiastica e il sentimento nazionale.

«Oh! l'avrete questo vostro Re, vedremo allora cosa vi faranno.

«Beatissima Padre, non mi faranno cicale, perché io non cerco niente, e non cercherà mai niente; e sono in tale posizione sociale, e in tali condizioni di fortuna da essere in grado, grazie al cielo, di non volere e non dovere cercare niente od alcuno.

«Mi vien detto che Ella ho sovvertilo anche i suoi generi.

«I miei generi non son tali da venir sovvertiti, avendo. essi l'età della discrezione; certo che se avessero dimandato un consiglio li avrei consigliati n fare quello elio io medesimo ho, giudicato onesto e doveroso.

«Sappiamo pure che Ella fa educare suo figlio da un certo precettore di cui siamo poro contenti.

«Non so cosa possa rimproverarsi al sig. Meucci, precettore di mio figlio. D'altronde questi cresce nei sentimenti della religione, va a messa tutte le mattine, e riceve i Sosti Sacramenti ogni tanto.

«È, andato al triduo alla Minerva!

«Veramente non saprei.

«E poi è un gran pezzo che Ella non si è fatta pila ardere da noi.

«Ma, Beatissimo Padre, tra tante gravi cure che assediano la Santità Vostra, io credevo di poter essere importuno; ma ora che vedo questo desiderio della Santità Vostra, non mancherò formi un dovere di venire ad ossequiarlo, e prima di partire per Francia domanderò una udienza di congedo.

«Si, venite, coro principe, che ci farete piacere e lo accomiatava.

«Sapete; o mio lettore, qual esito s'ebbe l'interrogatorio?

Eccolo:

S. E. il Principe di Piombino dopo otto giorni mandò a ritirare il suo passaporto onde partire per Parigi. La risposta si fu una chiamata d'ufficio di Monsignor Matteucci direttore di polizia, il quale dopo molte proteste del mestiere, rovesciando il già disposto sulle spalle del Papa, gli significò essere volontà del Santo Padre che ritrattasse fondamentale insieme col Duca Fiano la firma opposta allo indirizzo, o firmasse l'obbligo di non potere ritornare a Ramo se non dopo chiesto il permesso all'alta polizia: ed ove non facessero né l’uno, né l'altro, si avessero il passaporto senza poter ritornare, cioè a dire l'esilio, il probo Principe di Piombino dichiarò ch'egli non poteva ritrattare una cosa fatta per coscienza, e che non firmava obbligo di alcuna sorta verso la polizia.

Prese perciò il suo passaporto senza il ritorno, e onoratamente Egli parti da Roma come esiliato.

Mi duole conchiudere che l'angelico Pontefice carpiva in un colloquio di fiducia informazioni per dare poi un' arme alla polizia, adempiendo casi l'obbligo del servo dei servi verso suoi figli Antonelli 16) e De Merode!!

Elementi di saggio governo, secondo la pensano il Sonninese. ed il Belga, sono l'arbitrio, ed il terrore; l'angusto settuagenario n'è il zimbello e lo stromento. Questi due ministri quantunque si esilino scambievolmente e sparlino a vicenda l'uno dell'altro contrastandosi la supremazia del potere; pure evvi un terreno sul quale s'incontrano volentieri, e si stringono cordialmente la mano: su quello hanno sacro il patto di non avere altre leggi che la propria volontà malmenando chiunque ricusi di piegarvi il collo.

Fin dove abbia condotto il governo questo loro sistema non v'è chi non sappia, e tutti possono capire facilmente che cosa abbia guadagnato la religione che cosi fan servire di mantello ai loro soprusi. È noto che Antonelli di conserva col suo antagonista de Merode, ordinò l'esilio di molte oneste e probe famiglie Romane specchio di ogni virtù, per semplice misura di precauzione, fra i quali veniva colpito l'Eccellentissimo principe di Piombino, dandone la colpa in genere al volere del Santo Padre. Inveleniti i due Ministri di Santa Chiesa per non aver potuto scoprire le fila degl'Indirizzi a Re Vittorio, ed a Napoleone III, non lasciarono intentato verun mezzo di abuso e sopruso per isfogare la loro burbanza. — Bisogna atterrare, diceva Antonelli col suo satanico ghigno — il faut écraser tout le monde, gridava il De Merode tempestando coi piedi dentro un cestino, suo posizione abituale quando parla di cose serie. Peccato per altro che i loro urli, le minaccie, i terrori non possano alterare la convinzione profonda che è nel popolo Romeno che il dominio temporale del Papa, fondato sulla negazione dei suoi diritti politici e civili e con manifesto danno della religione, è già per crollare materialmente, come è da gran, tempo crollato moralmente!

I pacifici Romani si sdegnano anziché atterrirsi alle nuove persecuzioni ed ai sempre crescenti propositi della crudeltà clericale; e se l'influenza de' più stimati cittadini non cospirasse ad impedirlo, trascorrerebbero forse ad eccessi.

Lode dunque al merito — Pio IX. portò bene la sua parte, e non impropriamente gli fu per celia detto da Antonelli e De Merode nel complimentarlo del colpo fatto,il nostro agente di polizia con le funzioni da fiscale.

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Documento XVIII

PROCLAMA REAZIONARIO 17).

Allarmi, all'armi, o Napoletani, a ll'armi!

«Se per qualche tempo tacquero le nostro famose carabine lo si fu per far maturare viemeglio i destini della nostre patria, per vedere disingannati i nostri contrarii, e per attender che si fossero mitigati i rigori della stagione. Ma ora é già scoccata. Non vi muova la mie voce, ma il tutto che da gigante passeggia per le nostre floride contrade, i dirotti pianti di tante donne vedovate per empia strage fatta de' loro mariti, l'affliggente miseria di più migliaja di orfani, le borgate, i paesi messi a sacco e a fuoco, che con ansietà attendono ancora la giusta vendetta; in fine la dura, infame condizione, cui sotto ogni rapporto siete ridotti.

«Su via, adunque, come un sol uomo meco movetevi a riscattarvi dall'incubo piemontese, e dalla diabolica e lurida setta garibaldina. Di qualunque natura sia il ferro che da voi m’imbrandisco, sarà sempre sufficiente ad annientarli, essendo già ormai ridotti a mali termini.

«Co' miei imperterriti volontarj sarò, entrando nei paesi, buono coi buoni, duro coi tristi. Saranno grandemente rispettati lutti quelli che non opporranno resistenza. Guai e coloro che vorranno mettere ostacolo al nostro infallibile trionfo. Purghiamoci una volta della taccia vergognosa di vili e di codardi, che non pochi traditori della patria presso gli esteri ci han fatto indebitamente attribuire. Scuotiamoci, e diamo all'Europa, che attonita ci guarda, non dubbie prove del nostro coraggio, quante volte trattasi di conservare o riacquistare, la nostra prosperosa autonomia sotto il glorioso scettro del figlio della Santa, che grandi cose opererà dopo il suo prossimo trionfale ingresso nella Capitale.

«Viva la Religione, viva l'autonomia, viva il nostro augusto sovrano Francesco secondo.

Il Comandante in Capo

CONTE Edwino.

Documento XIX

ALTRO PROCLAMA DEI. GENERALE CHIAVONE PER LA REAZIONI A SORA
 (ABRUZZO ULTERIORE) USCITO DALLE FUCINE DI ROMA.

Popolo delle Due Sicilie !

«Il Piemontese nemico del nostro Re, della nostra Monarchia, delle nostre leggi, nemico del patrizio, del burghese, del contadino, nemico di lotti gli ordini militari Civili e religiosi; il Piemontese che arde culli, scanna i fedeli n Dio ed al loro Sovrano, fa macello di sacerdoti, svelle dalle loro chiese i Vescovi, e per sospetti caccia nelle carceri, negli ergastoli, negli esilii quanti non vede piegar la fronte all'idolo d'ingorda e bugiarda rivoluzione; il Piemontese che copre con l'orgoglio la stia nudità, e che si gloria di non sentir pietà nello sgozzar vecchi, vergini, pargoletti, né ritrosia nel dar di piglio nella roba altrui o pubblica o privata; il Piemontese che profana le nostre donne ed i nostri templi, ubbriaco di libidine, fabbro di menzogna e d'inganni, schernitore di vittime da lui tradite; il Piemontese fugge innanzi allo scoppio dei nastri moschetti rugginosi; e nelle città dov'egli area fondate le case di prostituzione ed il servaggio, ormai sventola il vessillo della libertà e della indipendenza del Regno al grido di viva Francesco II. La bandiera del nostro Sovrano è già inalberata in Sora.

«Popoli degli Abruzzi e delle Paglie, delle Calabrie, dei principati, all'armi! Sopra i gioghi degli Appennini, ciascun macigno è fortezza, ciascun albero è baluardo. Ivi il nemico non potrà ferire alla lontana coi proietti dei cannoni rigati, né con l'unghie dei cavalli (sic). Combattendo uomo con suino, egli che non ha fede in Dio ed in Gesù Cristo, né può avere carità de' fratelli, dovrà soccombere al tremito del nostro coraggio, alla forza dei petti devoti alla morte per una causa che merita il sacrificio della vita. Allarmi! le falci, le ronche, i massi valgono nelle nostre mani più che le bajonette e le spade. Un milione di anime oppresse si confortano con un grido alla pugna sessantamila dei nostri stendono le braccia dalle carceri verso di noi, le ombre di diecimila. fucilati ci dicono vendicateci. Corriamo dai boschi alle città, dai monti alle pianure, dalle provincie e Napoli.

«L'Arcangelo S. Michele ci coprirà col suo scudo, la Vergine Immacolata col suo manto, e faranno vittoriosa In bandiera che appenderemo in voto nel tempio. ti Piemontese che ci deride, svilisce, conculca, tiranneggia, spoglia, e uccide eco l'ipocrita maschera della libertà, ritorni nei suoi confini tra il Po e le Alpi. Ritorni a noi quel Sovrano che Iddio ci ha dato, e do te' generare nella viscere di 'una madre santa, e crescere in virtù candido come il giglio che adorna il borbonico stemma.

Francesco Il e Sofia, ed i Reali principi c'insegnarono esame si debba star saldi ed intrepidi nella battaglia.

Vinceremo. I potenti dell'Europa compiranno l'opera nostra, rimenando la pace all'Italia; ed il nostro regno all'ombra della religione cattolica e del papato, si riabbellirà di quella gloriosa borbonica dinastia che ci ,sottrasse ai duri ceppi dei piccoli tiranni, e ci diede ricchezza e franchigia vere, e la indipendenza dallo straniero.

All'armi!»

Il Comand o in Capo

Luigi Morsa: (Chiavone).

Luigi Ricevano Ajutante.

Documento XX

PROCLAMA COL QUALE I BORBONICI TENTARONO INVANO
SUSCITARE DISSIDII E PERTURBAMENTI NELLA GUARDIA NAZIONALE DI NAPOLI.

Comitato Patriota della Guardia Nazionale

«Compagni d'arme! La rivoluzione dalla quale aspettavamo mirabili beni, ha dati) frutti tristi ed infelici. É trascorso un anno e mezzo di sofferenze, di privazioni, di lotta e di miserie: eppure ancora non riposiamo; ed anzi prevediamo l'avvenire più misero e tempestoso. Gli uomini che si annunziavano nostri liberatori non han fatto che saccheggiarne; e siamo rimasti nudi senza decoro, senza sicurtà, senza leggi, senza religione, e fatti schiavi e miserevole spettacolo di pietà e di vergogna all'Europa stupefatta della nostra stoltezza. Il Piemonte colle sue enormezze, colle sue miserie, coi suoi debiti e colla bestiale ignoranza che lo muove s'è reso incompatibile al Napoletano. ll Piemonte fiacchissimo è per lasciarne al primo urto. E qual sarà la nostra sorte? Resteremo preda del primo occupatore? o agitati dalla plebe? o vittime delle ire popolari o delle vendette dei nostri avversari che a ragione ne accusano dei mali accumulati culla patria?

«Noi, é mestieri confessarlo, abbiamo molto errato: siam serviti di strumento alla conquista del nostro paese; abbiam porto lo braccia ai ceppi; abbiam plaudila alle nostre colone; ci siamo inchinati a corruttori e saccheggiatori di questa patria, e siamo stati abbietti a segno di andare insieme cogli stranieri violando i domicilii dei migliori cittadini per carcerarli o esiliarli (ole) dal suolo nativo. E, oh viltà! non è mancato fra noi chi scendesse all'arte della spia.... E che abbiam guadagnato? La miseria, le tasse di guerra, le leve sforzate, i debiti, i contrabbandi, i furti notturni, la perdita della fede; e la privazione ben anca della civile libertà.

«È tempo di pensare e salvezza. Mostriamo al mondo, che queste armi nostre se concorsero alla perdizione, possono bensì servire di emendo e di salute. Noi pure siamo un popolo e possiamo avere una volontà, ed abbiamo diritto a farla rispettare.

«Compagni! Col Piemonte nulla abbiamo da fare; ci deve andar via, ed anzi render conto di quanto ne ha rapito. Restiamo noi Napoletani a risolvere le cose nostre. La Nazione riunita e non lo straniero ha Birillo di provvedere ai suoi destini.

«Il ravvedimento non é vergogna; lavoriamo lutti ad intenderci, a comporre gli animi, a dimenticare (aie) gli errori comuni, n deporre gli odii e le vendette e a salvare il nostro paese dalla irreparabile. rovina. Uniamoci tutti; e vietiamo che altro spargimento di sangue insozzi ancora questa sventurata terre. Fine, fine al servaggio! Fine alle guerre fratricide! E se si deve combattere si combatta almeno per la patria e per la Fede dei nostri padri.

Napoli 8 Gennaio 1862.

Il Presidente P. D. V.

Il Segretario V. J.

Documento XXI

PROTESTA DEL MARCHESE O. TUPPUTI GENERALE
DELLA VALOROSA GUARDIA NAZIONALE DI NAPOLI CONTRO IL SOPRA CITATO PROCLAMA.

Illustriss imo Signore,

«È mestieri che io denunzi a Lei, che rappresenta in questa città di Napoli l'autorità della Legge, le nuove e pertinaci traccie con cui i borbonici cercano di suscitare dissidii e perturbamenti nella bella e valorosa Guardia Nazionale da me comandata.

«Hanno i borbonici foggiato di loro capo un Comitato della Guardia Nazionale, e con pertinace impudenza van pubblicando proclami nei loro giornali diretti da quel sedicente Comitato a' Battaglioni della Guardia Nazionale Napoletana.

«L'Incivilimento nel suo numero 18, ha riportato un proclama rivolto alla Guardia Nazionale di Napoli dal sopradetto Comitato Generale.

«Quel Comitato non ha esistenza che nella mente dei borbonici. La Guardia Nazionale ha prestati tali e così grandi Servigi all'Italia che, niuno al certo vorrà supporre che tra le sue file si accolgano animi così perfidi ed insidiosi da giovarsi, come di una maschera, dell'onorata divisa cittadina. Sin comunque, bisogna che cessi questa corrotta e quotidiana produzione di proclami, i quali potrebbero trarre in inganno la pubblica opinione, e far credere che ne' battaglioni della Guardia Nazionale si annidano borbonici, parati a generare il disordine tra le sue file nel giorno del pericolo.

«La Signoria Vostra Illustrissima. proceda contro quel giornaletto; io glielo domando efficacemente, e con me glielo domandano tutti i Battaglioni della Guardia Nazionale nobilmente sdegnati delle inique pratiche dei borbonici.

«Leggo nello stesso numero del Picco lo indipendente alcune parole di Francesco Borbone inviate alla Guardia Nazionale di Napoli, e se non m'inganno la Ga zette de France pubblicò prima quell'indirizzo. Chi non sale arti scelleratissime dei Borboni? Sanno che alla Guardia Nazionale di Napoli si deve principalmente se la loro dinastia cadde, e non venne perturbato questa bella Città, e se l'Italia del Sud s'uni senza scosse all'Italia del Nord in un solo e fiorente stato, e con quelle parole il Borbone verrebbe far credere ai gonzi, che se la milizia cittadina a Napoli conservò l'ordine pubblico, il conservò per mostrarsi fedele agli ultimi suoi comandi!

«In verità, consenta pure, sig. commendatore Trombetta, che io gliel dica, quella parola mi ha fatto ridere. La Guardia Nazionale, disdegnosamente respingendo false assertive, ricorda all'Europa ed al mondo intero ben 18 mesi d'istoria. In quel corso di tempo ha troppo con evidenza mostrato quanto sia devota alla gran causa dell'Italia unita a Nazione per aver bisogno di discolpa. Na tant'è; i Borboni sono usati colle menzogne a puntellare la loro autorità già caduta, e proseguono nell'arte vile ed ormai notissima.

«Signor Procurator Generale, lo con questo mio ufficio nel rivelar le pessime trame dei borbonici; chieggo a Lei che proceda con l'autorità e la forza della Legge contro quei giornali che si fanno diffonditori di Proclami con lo specioso titolo diComitato Centrale della Guardia Nozionale di Napoli.

«L'infame calunnia è d'uopo che cessi. Ricorderà ella il gran detto di Cesare: bramo, disse quel grand'uomo, che nessuno sospetti della moglie di Cesare. Così io desidero che ninno sospetti per poco che tra gli onorati Battaglioni della bella Guardia Cittadina si nascondano traditori. No, concorde è la Guardia Nazionale Napoletana; contro quella concordia, come contro ad uno scoglio, andranno inutilmente o percuotere le male arti dei borbonici in Italia.

Napoli 19 Gennajo 1862.

Il Luogot. Gen. Sen. del Regno.

Marchese O. Tupputi.

Documento XXII 

LETTERA AUTOGRAFA DEL GENERALE GARIBALDI DIRETTA 
AI COMANDANTI I BATTAGLIONI DELLA VALOROSA GUARDIA NAZIONALE DI NAPOLI

Sono profondamente commosso della testimonianza di nello espresso nel vostro indirizzo. Ringrazio voi, ringrazio i militi patriotti, che da voi dipendono, del saluto che mi volgete nello esordio dall'anno.

Laonde io rimando a voi il mio saluto. So per esperienza come vi sia a cuore il sacro onore della nobile Patria. Stranieri armati non debbono calpestare le terre d'Italia, senza che 22 milioni d'uomini liberi non ne abbiano la guancia rossa per la vergogna.

Voi meditate su codesto vero. Inspiratelo a tutti, il mondo civile ci guarda e sentenzierà sui nostri atti.

So ch'io parlo ad uomini capaci di forti prove.

E con soddisfazione rammento avervi affidato la custodia dei castelli nel di del pericolo. Vi chiamai allora benemeriti della Patria.

lo voglio salutarvi sempre con lo stesso nome.

Da Caprera 16 Febbraio

Affezionato Vostro

GIUSEPPE GARIBALDI

Documento XXIII.

LETTERA DI MONSIGNOR TROTTA DI NAPOLI SCRITTA AL GENERALE BOSCO.

«Caro Generale,

«Le tengo ragguaglio della mia attività nella cooperazione della nostra Santa causa.

«Sono giunto ad armare diecimila operai bravi e volenterosi, e questo al modico prezzo di seimila duelli.

«A tale scopo ho venduto quanto mi apparteneva. II movimento deve scoppiare il 5 corrente mese, lo so questo perché tanto esige la mia coscienza. Le raccomando la più stretta segretezza, e che non lo sappia neppure il nostro padrone.

Documento XXIII

Curioso documento che offre un profilo caratteristico delle bando reazionarie negli Abruzzi.
DAL QUARTIER GENERALE DI S. GREGORIO

17 Gennajo 1861.

Per la diramazione e pubblicazione all'Ill. sig.

Alessandro Vanarelli, capitano del 1.° ballagl.

di riserva in montagna.

STATO DELLA CHIESA

RELIGIONE CATTOLICA

Ordine del Giorno

Soldati,

«Nel mentre che debbo rallegrarmi seco voi delle grandi prodezze già operate contro l'inimico e lodare il vostro sommo valore, sono costretto con sommo mio dispiacere e rammarico per le lagnanze di molti buoni e fedeli al nostro legittimo Pio IX, a rimproverarvi delle soverchierie e disturbi che fate a questi patire, e per i viveri, e per tanti altri tedii che a loro di continuo voi date.

«Ricordatevi che assoldati vi siete per difendere la religione di un Cristo. Egli è il nostro sommo Padrone, il nostro primario condottiero, ed è però che lungi dovete essere e dalle ubbriachezze, e dalle bestemmie, e da qualunque discorso maldicente e immodesto.

«Rispetto dovete avere alla Santo Chiesa, rispetto ai ministri di Dio, a pro dei quali dobbiamo esporre le nostre sostanze e le vite nostre.

«Miei prodi! Il coraggio che avete dimostrato nelle passate battaglie, lei dà a sperare la vostra vittoria, e la distruzione degli inimici di Dio.

«Coraggio! mentre risorgeremo. dalle nostre miserie, dimenticheremo le nostre sventure, e fiduciati nell'aiuto del Sommo Iddio, e dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima (sic) e del nostro inclito protettore Sant'Emidio seguiremo con maggior forza, con maggior valore a battere e conquistare il nostro nemico.

Il Maggiore

F. io Giovata Piccioni

Per copia conforme all’Ufficio del Capitano.

ALESSANDRO VANARELLI.

Indispensabile documento onde provare di quali efferati principii si è sempre pasciuta la dinastia Borbonica, nulla temendo gli apparati terribili che la colpirono.

PROTESTA DI FRANCESCO II. EMANATA DA ROMA
AI SUOI RAPPRESENTANTI ALL'ESTERO, DELEGANDO ALL'UOPO L’EX SUO GENERALE DEL-RE.

Roma 16 Febbrajo 1861.

«Nel momento in cui dopo maturo esame fu presa la dolorosa risoluzione di abbandonare Gaeta, S. M. vuoi far conoscere a tntt'i gabinetti d'Europa i motivi della sua condotta. Si è questo dovere che io ho l'onore di compire per ordino di S. M.

«Il risultato al quale si giunse, dopo i più eroici sforzi, era facile a prevedere dal momento che le circostanze particolari delle grandi Potenze europee non permettevano, malgrado i reiterali appelli del governo del re, di mettere un freno all'ambizione del Piemonte.

«Un sovrano che si trova cinto dalle circostanze più difficili appena salito sul trono dei suoi avi, al quale il tradimento, l'intrigo e la rivoluzione non davano tempo di studiare la situazione del suo paese, eri degno di qualche appoggio, e meritava, credo, efficaci simpatie. E quando questo sovrano medesimo era slealmente attaccato, il giorno nel quale accordava una costituzione (quand'era colma, I. misura!!) e le più grandi guarentigie ai suoi sudditi, egli si poteva credere in diritto di fare un appello al tribunale delle grandi Nazioni, che si sono poste, pel bene comune, come arbitri del diritto pubblico e dell'equilibrio del mondo, nelle diverse circostanze che l'Europa ha traversato a partire dal 1815, ed in epoche relativamente antiche, come pure in tempi più recenti.

«Il re credette (cioè, gli fecero credere) che se il secondare le legittime aspirazioni dei suoi popoli ed il lottar contro la interne rivoluzione, era per lui dovere, poteva altresì senza scrupolo fare appello al tribunale europeo, quando avventurieri d'ogni paese, rinnegati ufficialmente dal governo sardo, ma sotto l'egida dei suo vessillo, traversavano a migliaja il Mediterraneo per farcampo di battaglia il territorio delle Due Sicilie.

«Una intera armano, marina, parco d'artiglieria, munizioni, tutto fu impiegato per disseminare In desolazione e la morte negli Stati d'un parifico Sovrano non altrimenti che ai tempi dello barbarie.

«Colpito all'impensata ( 18) da tali avvenimenti, mancatogli il sostegno della legge comune il re si ritrasse cogli avanzi della fida sua armata dietro le rive del Volturno per risparmiare allo capitale gli orrori di un bombardamento (diritto devoluto soltanto alla sua illustre prosapia, giusta il non scarso esempio del 15 Maggio 1848, e seguenti), o per difendere i propri diritti. Videsi tosto che le truppe erano sufficienti, malgrado la scarsità delle risorse loro, per riconquistare il regno. Allora, senza motivo di sorti, senza dichiarazione di guerra, violando la santità dei trattati, il re di Piemonte entrò alla testa della sua armata ed occupò il territorio delle Due Sicilie, quasi paese conquistato.

«Malgrado i sospetti, che la disleale politica della Sardegna da tempo lunghissimo inspirava, il re potevi credere ch'ella avesse osato tanto e che l'Europa l'avesse tollerato? Attaccare un sovrano in pace coi mondo intero (meno che col suo regno), che aveva offerta al Piemonte la sua alleanza, e che lasciava ancora a Torino i proprii rappresentanti per trattare in proposito, che vedeva a Napoli un ministro Sardo accreditato presso di lui (era una gran cosa davvero!) violare ogni trattato, calpestare ogni legge, distruggere in pro suo il diritto, delle genti, egida e patrimonio di tutti, era tale una enormità che niuno avrebbe mai potuto supporre, poiché qualunque nazione avea dovere ed interesse di punirla (del che niuno essendosene dato carico ne diedero lo esempio i suoi sudditi rifugiandosi sotto il vessillo tric olore). Il Piemonte violava il pubblico diritto e l'impegno in ispecie preso a Parigi nel protocollo del 14 Aprile 1856, a forma del quale non potessi muover guerra tra due stati, che avevano accettata quella dichiarazione (senza consultare la propria coscienza, e pili il volo dell'op pressa sua Nazione), senza sottomettersi dal bel principio alla mediazione degli altri. Egli ere precisamente il caso in che si trovavano Napoli e il Piemonte. Da ciò si rileva come S. N. non potesse credere possibile l'aggressione ( ma lo sapevano già i suoi lidi ministri.... ) ma che attaccato, ell'abbia palato e dovuto credere che le grandi potenze. d'Europa l'avrebbero infallibilmente assistito.

«Nulla di ciò.

«Fidente nella giustizia della causa propria e negli interessi degli altri sovrani, il re affrontò i perigli di un assedio, che prolungato, poteva originargli risorse nella politica (lei regnanti d'Europa. L nota la condotta magnanima della giovane regina, del re e dei duo giovani principi napoletani durante una 10110 cotanto disperata (eroi smo impareggiabile!).

«Le circostanze politiche obbligarono infine l'Imperatore a ritirare la flotta da Gaeta (non già l'alleanza coi Piemonte). Il re senza illudersi sull'esito di una pugna ineguale (di opinione e no di forze), credette non abbandonare quella posizione, in che, come in altre, difendere non solo la suo corona, ma l'indipendenza dei suoi popoli, il diritto pubblico, e la legge in virtù della quale i sovrani regnano e le nazioni sono indipendenti e rispettate (quale è stato il regno de' Borboni dalla loro origine fino ai. nostri tempi). Fuor di tal legge, non giustizia, non sicurezza; essa è il fondamento della società che il re ha con orgoglio sostenuto tanto quanto le forze sue lo permisero.

«Contro soldati nuovi e crescenti ognora noi non potevamo opporre se non se pochi valorosi stanchi per i combattimenti che sostenevano dall'Agosto, da Palermo a Messina, da Messina al Garigliano, dal Garigliano a Mola, da Mola a Gaeta, esposti al rigore della stagione, dormenti sul suolo, senza tende e coperte! Alle stragi elio faceva d'essi il cannone nemico, si aggiunsero quelle della malattia. Il coraggio e lo zelo mai vennero meno in tanti grandi sacrifici! Fino a tanto che il re sperava soccorso (dagli antipodi), egli credette dover continuare a difendere la causa della giustizia e quella del suo popolo (non che quella del suo interesse).

«Che un sovrano non debba domandare, né sperare alcun appoggio esterno nelle agitazioni puramente interne de' popoli, che lo intervento straniero non possa venire ad assicurare alternativamente il trionfo della rivoluzione o delle autorità; in una parola che si lascino i governi ed i popoli liberi di modificare il regime politico del loro proprio paese, questa dottrina pare essere stata ammessa da tutti come teoria generale ed essere fondata sai principii di libertà e di giustizia che reggono in oggi la politica dei grandi Stati d'Europa. (Era tempo!)

«Ma quando un monarca combatte lealmente per assicurare l'ordine pubblico, per l'indipendenza e, per la libertà dei suoi popoli, egli può almeno domandare la garanzia delle leggi comuni fra le nazioni, che non permettono ad un governo di violare il diritto pubblico, i tratti solenni che formano il solo legame, la sola guarentigia della società politica in Europa. Il re delle Due Sicilie palesa credersi nella medesima posizione degli altri Sovrani, ed aveva diritto alla medesima protezione contro l'aggressione straniera, che non reclamerebbero invano la Porta Ottomano, il viceré d'Egitto, e le reggenze barbaresche dell'Aprica — (se lo stesso suo Popolo però non fosse stato costretto ricorrere allo straniero per liberarsi da un servaggio ind omabile per ferocia e prepotenza).

«E non basta il dire, per negare le conseguenze di questa principio, che si tratta di una questione fra Italiani. L'Italia, quale l'ha fatta la storia, quale l'Europa l'ha costituita, si compatte di diversi stati con governi indipendenti. Ecco il diritto riconosciuto (dal dispotismo). Che i popoli, se si vuole, sieno liberi di spingere fino agli ultimi limiti la teoria della loro sovranità, di rinunziare alla loro indipendenza; ma non si può ammettere, senza calpestare tutti i principii, che questi medesimi popoli sieno invasi senza una dichiarazione di guerra, sotto pretesto di unità e di libertà, lasciando una sola potenza violare nella sua ambizione il diritto comune delle nazioni.

«La resistenza ai mezzi di guerra diveniva impossibile quando il tifo ne uccideva ogni giorno da 60 a 80 uomini; 1500 soldati erano all'ospedale; una suora di carità era perita, 7 erano in letto, non ne rimanevano di valide che 7. Nella casamatta del re e della regina, il tifo portava via il duca di Sangro e il sig. Ferrari, luogotenenti generali. Si temevano dei sintomi di peste. Allora il re convocò un consiglio di guerra composto dei generali e dei capi dei corpi. Le resa fu deciso all'unanimità(era bene da aspettarsi per essere una idea preconcetta dai suoi stessi consigli). La guarnigione rinnova persino in questo orribile momento il suo giuramento di abnegazione, che non nera pensato mai a smentire. Il re avrebbe preferito di soccombere alla testa di questo pugno di valorosi che aveano rialzato talmente l'onore dell'armata napoletana (quale virtù è più rial zata per le prodezze del brigantaggio ignorato dal tradito Borbone!).

«Ma il cuore di un padre doveva porre un limite ai sacrifizii de' suoi figli, d'ora innanzi senza utilità, senza speranza alcuna. S. M, autorizzò le negoziazioni per la resa. Appena si ebbe sentore di questa decisione, che il nemico, invece di sospendere il suo fuoco, l'aumentò in un modo straordinariamente barbaro, ricuoprendo di bombe e di materie incendiarie una piazza che dimandava di capitolare.

«Si era d'accordo sulle basi della cessione, non mancavano che le formalità, e la ratificazione, ma il fuoco continuava con una crudeltà senza esempio da parte di una nazione considerata come civilizzata. Vi fu durante le ore che si trattava un massacro di soldati e di famiglie che non avevano più scampo in alcun luogo ( 19).

«Il re desolato di separarsi dai suoi bravj soldati, s'imbarcò con la famiglia reale sulla corvetta francese Mouette che l'imperatore Napoleone III (che la sa più lunga di tutti) lasciava nel porto di Napoli a disposizione del re. Gentile previdenza che ebbero pure la regina di Spagna e l'imperatore di Russia, lasciando a Civitavecchia l'una, nel mar Nero l'altro dei vascelli agli ordini di S. M. (fu il loro intervento... )

« Alla partenza del ree della suo famiglia, la guarnigione, formando due ale durante il stia cammina, e la lolla che seguiva le loro Maestà, piangevano ed acclamavano con delle grida entusiastiche il loro giovane, valoroso e sfortunato sovrano (che non pareva credibile essere campati da certa mor te!).

« Arrivando in questa città ove le LL. MM, hanno ricevuto la più lusinghiera accoglienza dal Sovrano Pontefice (all'accoppiar ti veggo) e da un pubblico immenso, il re crede essere dovere di far protestare ancora una volta da parte sua, ed in suo nome contro la violenza di cui è vittima, riservando tutti i suoi diritti ( anche nascituri), e deciso di appellarne alla giustizia dell'Europa. Sua Maestà non vuoi provocare affatto agitazioni nel regno; ma quando i suoi fedeli sudditi, ingannati, traditi, oppressi, spogliati ( da lui) alzeranno le loro braccio animale da un sentimento comune contro l'oppressione, il re non abbandonerà la loro causa (meglio detto la sua). Per evitare ciononpertanto l'effusione del sangue, e l'anarchia che minaccia di rovinare la penisola italiana, S. M. crede che l'Europa riunita in congresso, dev'essere chiamata a decidere degli affari d'Italia — ( una con Vittorio Emanuele).

« Il solo scopo della sua politica estera sarà quindi innanzi di manifestare questa idea e di lavorare allo sua realizzazione ( l'idea è sublime, ma poggiante su qual principio?) Quanto al reggime interno le suo convinzioni non hanno cangiato. Le promesse del manifesto dell'8 dicembre sono sempre il suo programma unico e invariabile (amnistia generale: il solito vicolo di una potenza decaduta, ma che non ha mai sortita: non è d'uopo che lo dimostri per essere ogni Italiano un esempio manifesto).

Firma t o

DEL-RE .

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FORMULA DEL GIURAMENTO DA PRESTARSI DAI MEMBRI DEI COMITATI BORBONICI
 — SOTTO LA DITTA DI ASSOCIAZIONE RELIGIOSA
 — CADUTA NELLE MANI DELLE AUTORITÀ' NEL COMUNE DI GIOJA PROVINCIA DI BARI.

« Noi qui sottoscritti, membri del comitato di Gioja, che faparte ed é dipendente del comitato generale residente in Roma, sotto la denominazione di Associazione religiosa, con la direzione generale di Comitato borbonico, e presieduto da S. A. R. il conte di Trapani, giuriamo innanzi a Dio e a tutto il mondo di essere fedeli al nostro Augustissimo e religiosissimo sovrano Francesco II. (che Dio sempre guardi), e promettiamo di concorrere con tutte le nostre forze per il ritorno dello stesso nel nostro regno non che di obbedire ciecamente a tutti gli ordini e comandamenti che perverranno o direttamente o per mezzo dei suoi delegati del Comitato centrale residente a Rogna. Giuriamo di mantenere il « scordo, onde la giusta causa voluta da Dio, che è il reggitore dei sovrani, abbia il suo Trionfo col ritorno al suo regno di Francesco IL re per la grazia di Dio, difensore della religione, e figlio dilettissimo del nostro S. Padre Pia IX, il quale lo conserva nelle sue braccia. per non torto inciampare nelle mani degl'increduli, e. perversi sedicenti liberali (20) i quali hanno per principio la distruzione della religione, dopo avere scacciato. il nostro amatissimo Sovrano dalla sede de' suoi avi, promettendo pure coll'ajuto di Dio di rivendicare tolti i diritti della Santa Sede, e di abbattere il Lucifero infernale di Vittorio Emanuele e suoi seguaci. — Tanto promettiamo e giuriamo.

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Presidente di quel comitato era un tal Filippo Del Testa figlio di Giovanni al quale nell'inviarglisi da Roma il diploma di nomina a presidente nel 6 Giugno 1861 gli si manifestava che Francesco II era alle porte del regno(dei cieli), che l'Austria, la Spagna, e la Baviera sono con lui (sud giornale il Lampione), che l'esercito Austriaco coi materiali da guerra ingrossava sul Po (nelle ultime inondazioni) per invadere le provincie romane oppresse dalle truppe Piemontesi: che la Busso aveva pii spedito i primi legni per Francesco II (negli arsenali onde costruirs i corazzati): che il partito clericale di Francia, dietro la morte di quel malvagia (si allude all'onorandissima memoria del conte di Cavour) aveva preso il disopra, e già l'imperatore Napoleone si poteva dire dalla banda loro per sostenersi sul trono (!!!!). Si ammoniva in ultimo a non promulgare i nomi del comitato centrale di Roma.

Ecco un saggio della dotta intelligenza del generale Chiavone, comandante l'esercito borbonico-clericale sui monti e nelle foreste

COMANDO DELLA GENDARMERIA REALE

Num. 99. — Oggetto

8 G i ugno 1861.

Al Signor D. Francesco Palermo — IN CSTELLUCCI

« Signore,

« Siete precato alle stando di mandarmi la somma di ducato centi che meneranno i miei omme della suddetta massa per pacamento che sarete relasciate uno firmato da me che vi saranno reborsate dalla fondiaria subito nella mia transito nel Regnio e meglio non sia necabele la mia domanda che per ordine di superiore comando che avevate uno bone da me della suddetta somma e subito per il porgitore.

CHIAVONE Capitano

N. R. Questa documento è pubblicato nella suo integrità per dare altra prova ai miei lettori quali sieno gli uomini che combattono per la causa dei Borboni, ed in quale abisso di prostrazione è caduta una tale dinastia che non ha rossore o rimorso di commettere le sue sorti ad eroi di tal fatta.

Il Papa ed il sua governo sono in buona intelligenza cogl'Italiani — Tale teoria è provata con i Proclami del Comitato Nazionale di Roma, e con la seguente

PETIZIONE DEGLI ONOREVOLI CITTADINI DI VITERBO AL PARLAMENTO NAZIONALE.

Al Parlamento Nazionale gl'Italiani della Provincia di Viterbo.

«Il dominio temperale dei Papi, divenuto un anacronismo e uno scandalo, fu condannato dalla coscienza universale delle nazioni civili, respinto e distrutto dall'unanime consenso degl'Italiani, e ridotto a tale, che cessalo il diritto dovunque, non può restare in piedi che negli sventurati paesi, ai quali è imposto da eserciti stranieri.

«Gl'Italiani della Provincia di Viterbo, sicuri di esprimere il voto delle altre regioni, occupate per nostra sciagura dai soldati di Magenta e di Solferino, a Voi si rivolgono, eletti dalla Nazione, perché con la vostra autorità, col vostro senno, vogliate affrettare il giorno della redenzione, quel giorno che asciugherà nella gioia del trionfo le lacrime di tutte le madri, darà tregua all'universale dolore. Noi siamo oppressi, ormai è noto al mondo, dalla più irragionevole e feroce delle tirannie, che volendo elevarsi al di sopra del genere umano, non pensa che alla vendetta e alla persecuzione, e punisce le parole, i pensieri, nei sospetti suscitati dalla convinzione che hanno i governi dispotici delle proprie colpe, e del ribrezzo che destano dovunque.

«Non solo noi, popoli civili e vostri fratelli, abbiamo difetto di ogni libertà; non solo sono fra noi disconosciuti i diritti della famiglia, quelli della coscienza; non solo la stampa é considerala come cosa sacrilega dai nostri governanti; ma la giustizia vi è ignota, la legge è scritta a ludibrio, l'arbitrio è norma costante, la calunnia e la menzogna sono portate in trionfo; e niuno di noi è sicuro della vita e della libertà personale, consegnati come siamo agli sgherri e a bande feroci, rifiuto di ogni parte della terra, che la corte di Roma armò a pubblica oppressione.

«La nostra volontà, le nostre aspirazioni, le nostre opere per partecipare alla costituzione della comune nazionalità, sono ormai fatti acquistati alla storia. Quando il vessillo delle nobile Francia non lo impedì, noi rovesciammo il governo dei Papi; in presenza delle truppe francesi, dei gendarmi pontificii, noi votammo per la monarchia italiana e per Vittorio Emanuele; rioccupata Viterbo e molta parte della Provincia, noi ci costituimmo in lega dei Comuni, ed ordinammo milizie cittadine a guarentigie delle libertà. Dovunque i soldati della Francia lasciarono il luogo, quelli della corte di Roma furono fugati, e la bandiera tricolore sventolò tra le acclamazioni, fra i palpiti che rispondevano sinceramente a quelli risuonanti dall'Alpi a Palermo.

«Con quote diritto una volontà tanto unanime sarà così lungamente attraversata? Perché i fratelli saranno trattenuti dall'abbracciare i fratelli? Perché tolta Italia non dovrà essere Italia? Potrebbe mai aversi lo scandaloso spettacolo di genti italiane poste al bando del diritto universale, condannate alla schiavitù, non padrone delle proprie sorti? No: è tempo di luce, e il trionfo della ragione è assicurato. Il mondo risaluta nella ebbrezza la risorta Regina delle Nazioni, la madre dell'antica civiltà, la propagatrire del risorgimento, la patria dell'Alighieri; e l'eco dei plausi viene dai due emisferi a rallegrare i discendenti degli antichi trionfatori del Campidoglio, che riprendendo la spada, si sono rialzati in nome della giustizia eterna.

«Elevate, o signori, altamente la vostra parola, ditela per noi, per i nostri diritti, e il primo Parlamento Italiano non avrà parlato al deserto.

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CONCLUSIONE

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I fatti, da me qui sopra prescelti più a dimostrazione dei tristi effetti dell'operosità e della truculenta barbarie borbonico-clericale che a regola di storia, reputo sufficienti al mio assunto, essendo l'argomento impreso a trattare ben limitato negli eventi succedutisi in breve periodo di tempo, e sotto i miei propri occhi, che ad esser giusti fur noti dirò quasi all'universale.

Tutto che mi fu dato quindi raccorre in Roma come testimone ho fedelmente esposto ho all'epoca della mia dipartita, la quale adesivamente al primo proposto, non appena comunicato a chi di ragione le importanti notizie con tanto studio da me cumulate, dovei rapidamente procacciarmi ad evitare il risico della testa.

E di fatti, nella credenza di sollecitarmi a capo delle scellerate spedizioni borboniche, non era la polizia romana che fornivaci di passaporto, conforme alle convenzioni tra loro, ma dalla stessa cancelleria napolitana veniva io munito di un foglio di via contrassegnato a timbro rosso borbonico (segno convenzionale dei passaggi borbonici) col il quale superati senza impaccio i picchetti stradali pontificii fino alla frontiera, mi resi in Livorno; né da quel di Roma mai più mi rivide.

Dopo alquanti giorni tremavano i molti compromessi in Roma, e fuori, e molti si ricacciarono nelle tenebre; tutti si apparecchiavano a scuse o giustificazioni, temendo, o meglio vergognando di esser segnalati a strumento di tradimenti e d'assassinio, o vomitando contro me come d'usato, querele, recriminazioni, vituperii...

E chi per primo tentava giustificarsi scagliandomi contro quanto é detto nella riprodotta nota a pag. 6 di questa mia storia?

Il Cardinale Giacomo De Andrea.

Ivi è che il Cardinale De Andrea respinsemi sdegnosamente, scendendo perfino al sofismo di censurare i miei errori di senso e di grammatica!

Con un mio primo argomento ho ad evidenza dimostrata la complicità sua nello aderire alla reazione, inoltrandomi fino ne' penetrati più sacri di sua magione, in cui con tanta eccezionale sollecitudine davami familiare accesso ad onta dei suo inalterabil sistema, ricevendomi ad ora inconsueta e con tutta affabilità, immaginando già egli avere a trattare con un fido a Francesco Borbone, quindi con uno de' suoi.

L'Eminenza sua De Andrea, adunque; ignaro che io mi fossi in terra libera e tale da poter levare la voce ad ogni tentata discolpa sua, fece bella pompa di quelle stesse armi per cui ebbe convinzione ad intrudersi nei cooperatori al brigantaggio onde apparentemente sdebitarsene mentre in fatto oggi posso con orgoglio levare il grido dicendo ch'egli è sempre, e sempre sarà per essere il prete che era, e lo provo.

Il Clero romano ha testé solennemente fatto udire la sua querula parola colla allocuzione del Papa pronunciata nel concistoro del 9 ultimo Giugno, e l'indirizzo inoltratogli da' Vescovi.

In quello l'episcopato, che fu sempre la prima e più scelta rappresentanza del clero e della Chiesa cattolica, abdica apertamente ad ogni iniziativa ed autorità a favore del passato, ed i vescovi s'inchinano alla parola del pontefice di Roma, senza dissentirla legalizzandola con l'apposizione delle proprie respettive firme. Con tale operato al certo i mitrati non han recato l’autorità del loro consiglio, ma la sottomissione, e l'obbedienza cieca alla infallibile decisione del loro Angelico Pontefice, in guisaché i vescovi non sono più i successori degli apostoli, rettori supremi della Chiesa; ma i funzionari meccanici dell'autocrazia papale, distruttrice di tutte le più belle tradizioni evangeliche della Chiesa stessa.

Ad esempio del curiale romano, monsignor Gazzola, che prima fu amico de’ preti, pancia della repubblica, quindi ritornato amico di preti stessi, da questi astuti condannato all'ergastolo perpetuo: evaso quinti si affibbiò alla cintola de' liberali, ed io ultimo nel 1856 ritornava al vomito ridivenendo il prete che era, cosi il nostro porporato Giacomo De Andrea Vescovo di Sabina, mi duole il dirlo, ma la forza dell'accusa datami lo impone, che Egli dopo le belle mostre fatte delle sue controversie col collega Cardinale Antonelli riportate nell'opuscolo, La Curia Romana e i Gesuiti, nelle quali si scorge un attacco diritto ai componenti il Concistoro, fino a domandare la sua dimissione, che pacatamente gli venne accordata, ridivenne il prete che era.

Lo stesso Cardinale De Andrea che censura il prelato Malon qual dedito intieramente al partito opposto in tempi in cui la Santa Sede è da tutte le parti attaccata vorrebbe far tralucere un principio di abnegazione dalla congrega de' preti, e darsi liberale.

Ma è molto soddisfacente però che con altri possa seco lui congratularmi nel vederlo annoverato fra i 21 Vescovi Cardinali che s'ebbero la dabbenaggine di firmare l'indirizzo al Padre Santo, dichiarando legalmente, e solennemente, e per cieca obbedienza, che il potere temporale del Papa è necessità della Chiesa, della Religione, è legge di giustizia e di provvidenza, è volere del popolo Romano trasmesso di generazione in generazione fin dai primi tempi della Chiese.

La storia però, ed i fatti ci provano tutt'altro;. imperocchè se vi è popolo che abbia di continuo aspirato alla libertà, e contrastate sempre ai papi le usurpazioni del potere, e protestato in ogni tempo di voler vivere indipendentemente dal loro dominio, questo fu il Popolo Romano, il quale, lungi dal farsi corrompere dal clero, e di affievolire la sua ira antica di popolo liberale e magnanimo, ha conservato sempre, come per istinto, il sentimento della propria dignità, se pure per popolo romano essi non vogliano intendere quella miriade di servi che striscia in seriche o gallonate vesti intorno alle mura del Vaticano Pontificio, e del Quirinale Borbonico.

Ed è qui mestieri indispensabile scorrere di volo diverse epoche della storia onde smentire i pietosi e dommatici asserti dei Porporati Mitrati, e Reverendi, fra i quali in quinto posto riluce l'Eminentissimo mio accusatore. A prescindere dall'influsso divino che metteva nelle parole degli Apostoli e dei primi banditori dell'Evangelo il fuoco dell’amore e la luce della verità, è a credersi che una delle ragioni per cui a Roma, più che in ogni altra città d'Italia, e prima di tolti i paesi d'Europa, si abbarbicasse e si estendesse cosi rapidamente il cristianesimo fin da quando era ancora bambino nell'Asia, sia che i santi principii della nuova legge di Cristo, maestra allora di libertà ai popoli e nemica di ogni schiavitù, trovavano nei cuori romani più facile adito a comprenderli, risuscitando in essi le grandiose memorie dei loro avi, e di quella libertà che gli stupidi e feroci tiranni avevano ad essi rapita. Fu a Roma che si sparse il primo sangue per la nuova fede, e vergini e fanciulli la confessarono arditi In mezzo a tormenti, e le maggiori persecuzioni in essa incominciarono; perché era ivi maggiore il pericolo per i tiranni. Né a Caligola o a Domiziano importava molto di Giove o di Venere, ma essi perseguitavano i cristiani perché il seme di libertà nascosto nella loro religione scavava manifestamente il terreno sotto il trono de' Cesari.

Ai tempi di Costantino i cristiani erano cresciuti di tal numero a Roma che egli stesso dovette abbracciare il cristianesimo, e se i teologi dell'allocuzione attribuiscono cotali avvenimenti all'opera della grazia divina, gli storici però più evangelici de' nostri Reverendissimi ne rintracciano le cagioni nelle condizioni civili de' popoli, e nella loro maggiore o minore altitudine o comprendere e ad abbracciare quelle sante e liberali dottrine.

Costantino vedendo crescere più tardi la popolarità dei papi a Roma, ed aumentarsi sempre piú quello spirito di libertà che all'ombra dei concistoro si dilatava col favore dei clero, allora unito col popolo trasportò la sede dell''Impero a Bisanzio; lasciando Roma quasi in balia di se stessa e dei papi.

Qui non è d'uopo disputare se la donazione di Costantino rosse apocrifa o no. E storia che da Costantino in poi, e fino ad una certo epoca, i papi non esercitarono mai che una languido autorità in Roma, su cui sempre conservavano un dominio gl'Imperatori. È storia che il popolo romano per varii secoli si governò in massima parte a municipio, e che i papi non arrischiavansi attribuirsi la vera e reale dominazione per timore degl'Imperatori, e più del popolo.

Il Papa Stefano soltanto nel 754, dopo le famose cessioni di re Pipino, cominciò a voler usare la sovranità temporale, ed e appunto da quell'epoca che il popolo romano si allontanò 'dai papi, facendo uso di tutte le sue resistenze e ribellioni alla dominazione di essi: ed eccone un sommario fedele.

I Romani nell'anno 799 capitanati dai principali cittadini, fra' quali eranvi Pasquale Primicerio, e Campulo Sacellario, si ribellarono a Papa Leone III. malmenandolo gravemente. Questi salvato da Guiginisio di Spoleto fu riposto in seggio dalle armi di Carlo Magno, morto il quale, il popolo nell'875 ritornò a ribellarsi ( 21).

I Romani nell'895, disgustati delle inaudite crudeltà di Stefano VI, si sollevano contro di esso, lo caricano di catene, lo traggono in prigione, ed ivi lo strangolano ( 22).

Il popolo romano nel 932 vista la nullità di Giovanni, fatto. papa di soli 24 anni per opera di Marozia sua madre, si ribellò al medesimo, e lo cacciò insieme colla madre dentro Castel Sant’Angelo, dove lo fecero morire ( 23).

Nel 956 Ottaviano Sporco, nipote di Marozia era stato eletto papa alla sola età di 18 anni, che si chiamò Giovanni XII. Fu questi il primo che cangiò nome nello ascendere il soglio papale, il primo che chiamò in Italia i Tedeschi per frenare le continue ribellioni de' Romani contro di esso ( 24).

L'Imperatore Ottone nel 963 fece succedere a Giovanni Leone VIII. Il popolo romano indignato da questa usurpazione di diritto, fecelo deporre da un Concilio. —L'Imperatore tornò a riporlo in seggio; ma appena questi ritornassi in Germania, il popolo si sollevò di bel nuovo con maggiore energia: imprigionò il papa, e ristabilì le antiche forme della repubblica (25).

Giovanni XIII. nell'anno 965 con la sua alterezza, coi suoi modi dispotici, si attirò l'odio dei Romani, ai quali voleva togliere dispoticamente ogni ingerenza nel governo. Ne venne che í Romani si sollevarono e lo cacciarono in esilio ( 26).

Nel 974 Bonifacio VII. uvea spogliare le chiese dei loro tesori. I Romani indignati della sua avarizia, presero le armi contro di lui, e lo costrinsero e fuggire in Costantinopoli ( 27).

Crescenzio, patrizio romano, nei 987 solleva il popolo o per la libertà scacciano Giovanni XV. ( 28).

Lo stesso popolo romano nei 996 capitanato ancora dal patrizio Crescenzio scaccia papa Gregorio V. parente dell'imperatore Ottone, e successore di Giovanni, e non trovando modo di conservare le sue libertà sotto il papa, che facevasi torte per lo appoggio delle armi tedesche, scese ad accordi con l'Imperatore d'Oriente ( 29).

Giovanni figlio di Crescenzio ristabilisce nei 1010 i Consoli eil Senato; ed il popolo romano tornato e libertà costringe Benedetto Vili a fuggire da Roma.

Nell'anno 1033 nel giorno di S. Pietro il popolo si ribella a Giovanni XIX. e lo scaccia dalla sua sede ( 30).

Avendo la mala signoria di Benedetto IX. nel 1044 irritato il popolo romano, questo produsse una sollevazione e la espulsione da Roma di Benedetto precisamente nel giorno di Natale. Rientrato il papa in città per forza delle armi, quattro mesi dopo veniva discacciato di bel nuovo ( 31).

Nell'anno 1046 Gregorio VI. fu nomato dal popolo romano il sanguinario, e creduto indegno di occupare il seggio pontificio. Mentre il popolo si ero ammutinato per discacciarlo venne Enrico III. e lo fe' deporre da un Concilio ( 32).

Cencio Prefetto di Roma nel 1075 d'accordo col vescovo di Ravenna, che ambiva al papato, aveva con altri suoi partigiani tentato di Uccidere Gregorio VII. mentre pontificava nella Chiesa di S. diaria Maggiore. Il popolo lo salvò: ma poscia stanco anch'esso della sue severità ed ostinazione gli si sollevò contro, costringendolo a rifuggirsi a Salerno, dove mori ( 33).

Il popolo Romano dopo vani parziali tumulti, si sollevò tutto contro il Papa Pasquale II. nel 1116, il quale avea rifiutalo di riconoscere il Prefetto di Roma eletto dal popolo stesso. Quel pontefice, dopo una vana difesa, si dové rifuggire a Monte Cassino onde campare la vita ( 34).

Arnaldo da Brescia, Giordano, ed altri Patrizii romani aveano risuscitate nel popolo nel 1159 le idee di libertà, facendo ad essi manifesta la differenza dei governo senatorio dal clericale. Gli animi si accesero al segno che proruppero in ribellione. l Romani accorsero tutti al Campidoglio, e ricostituirono il Senato come principio della riforma repubblicana che volevano ristabilire, lo che importò far morire di cordoglio Papa Innocenza VII ( 35).

Nell'anno 1144 Lucio II. succeduto al pontefice Innocenzo, i Romani continuarono la loro opera di ricostituzione della repubblica. Un bel giorno, che Lucio, circondato dal clero e dai suoi partigiani armati, si mosse per andare in Campidoglio ad assalire e discacciare dal potere i Magistrati di Roma, il popolo irritato lo accolse a colpi di pietre al segno che Lucio stesso ne restò ferito sì gravemente, che poco tempo dopo ne mori ( 36).

Nel 1155 sotto il pontificato di Adriano IV, il popolo romano adirato per la morte di Arnaldo da Brescia tumultuò; ma respinto dalle armi imperiali dové cedere. Mentre però Federico si' era recato al campo, i Romani si sollevarono di bel nuovo, e vi fu tra essi e gli Austriaci un'accanita pugna per molte ore. Essi ed in ispecial modo i trasteverini, combatterono con inaudito accanimento lasciando sulla piazze di Ponte Sant’Angelo e e piè del Gianicolo mille morti e 200 prigioni. Ad. onta di tale vantaggio il Barbarossa non si tenne sicuro, ed insieme col papa Adriano si allontanò da Roma ( 37).

I Romani nel 1167 volevano che Alessandro III. deponesse il dominio temporale. Il papa onde compare dalle insidie del popolo si rifugiò precariameote in casa dei Frangipane, poscia raggi a Gaeta. Vi furono allora trattative di accordi, ma i Romani non volendo in verun modo riconoscere il papa come loro signore, Alessandro s'irritò, e ritirossi in Anagni (38 ).

Lucio III. nel 1181, incoronato Papa a Velletri, non riuscendogli persuadere i Romeni allo abbandono delle proprie libertà, restossene costantemente in quella città, né prevalse onde farlo dominare l'appello delle armi tedesche, dappoiché sendogli mancate, egli se ne mori a Verona ( 39).

Per una sollevazione dei Romeni nel 1203 il papa Innocenzo III dové repente fuggire da Roma e ricoverarsi a Ferrentino ( 40).

Nel 1218 Onorio III per la mostrata intolleranza dei Romani al suo dominio temporale fu costretto allontanarsi da Roma, fissando la suo Sede a Viterbo (41).

Solfo il pontificalo di Gregorio IX nel 1235 amministrava la giustizia in Roma il Senatore Brancaleone, il quale, mantenendo ferme le libertà popolari, non permise mai che il papa comandasse In Romn. Gregorio non altro poté ottenere che la sua indipendenza e quella della sua corte (42 ).

Nel 1257 Brancaleone continuava a ben governar Roma, ed avendolo Alessando IV, successore di Gregorin, scomunicato, Brancaleone ajutato dal suo fido e riconoscente popolo, lo scacciò con tutta la suo corte non solo, ma sottopose la città d'Anagni dove il Papa s'era ricoveralo coi suoi, alla repubblica romana ( 43).

Anche i successori d'Innocenzo nel 1305 non poterono mai tranquillamente dominare Roma, e papa Clemente I per questa ragione trasferi la sede del pontificato in Avignone.

Nel 1562 durante la dimora dei papi in Avignone, Cola da Rienzo, di origine popolana, educato peraltro agli studii legali, sollevò il popolo, e ristabilì la repubblica, della quale egli di un volo unanime fu fatto tribuno col bel nome di liberatore di Roma ( 44).

Urbano I nel 1367 torna da Avignone a Roma: ma dopo breve tempo fu costretto e ripartirne ( 45).

Venuto a pontefice nel 1376 Gregorio XI fece una convenzione col popolo, promettendo di conservargli i magistrati, che chiamerebbe esecutori di giustizia. Ma questi per altro continuarono ad amministrare la repubblica come magistrati di un popolo sovrano, senza che il papi osasse resistere alla foro volontà ( 46).

Nel 1405 fra i soldati del papa e il popolo romano eravi stata battaglia al ponte Milvio; ciò perché i Romani reclamavano come proprio diritto la difesa di quel ponte contro Ladislao re di Napoli. Sopraffatti i Romani dal numero delle milizie papali accorrono al Campidoglio, ed armatisi di tutto punto muovono ad assalire la dimora del papa. Alcuni cittadini vollero tentare una conciliazione, ma nell'uscire dal Valicano vennero assaliti, ed undici di loro folti barbaramente morire da Lodovico Migliorotti nipote d'Innocenzo VII. Il popolo romano allora sciolse il freno, alla giusta ira sua. Fuvvi grave ed ostinato combattimento fra esso e le truppe del papa, in seguito di che Innocenzo dové sollecitamente fuggire ( 47).

I Romani nel 1434 capitanali da Stefano Colonna tentano una ribellione contro il papa Eugenio IV, fino dal bel principio del ano pontificato. Eugenio la doma, e toglie a Roma le sue libertà; dopo alcuni anni di simulato assopimento però il popolo romano, stanco delle di lui avarizie e crudeltà, prese le armi, chiuse il Papa nella Chiesa di S. Grisogomo in Trastevere e gridando libertà, ricostituì come per incanto la repubblica. Riusci al papa fuggire travestito, e rifuggirsi a Firenze ( 48).

Nell'anno 1453, mentre i Cardinali, dopo la morte di Eugenio IV, eleggevano in Conclave Niccolò I papa, il Consiglio Municipale di Roma si adunava Contemporaneamente nella Chiesa di Ara Coeli per deliberare sulle sorti della patria. Stefano Porcari, integerrimo cittadino di Roma, pronunzia nel Consiglio parole generose di libertà, ricordando le glorie avite, e come venuto fosse il tempo di sottrarsi ad ogni dominazione papale. Ne venne che Porcari fu prima allontanato da Roma, poscia mandato in esilio e Bologna. Il pontificato però di Niccolò era dispotico più che non lo far sempre gli antecessori suoi, e per esso governavano uomini viziosissimi. Porcari si stabili dovere a costo della vita restituire la libertà al suo diletto popolo romano, e tal fu. La vigilia della Epifania Stefano Porcari apparve in Roma come per incanto, ove Io attendevano altri congiurati. Mentre però deliberavano di assalire il. Papa a S. Pietro, furono per tradimento circondati dalle milizie papali. Stefano Porcari fu preso ed appiccato con altri 11 compagni martiri ( 49).

Il popolo romano da Isle epoca lino al XVIII secolo non cessò mai di protestare contro la mela signoria dei Papi; i quali fatti esperti dagli antecedenti avvenimenti, non usarono più il crudele o avaro governo dei loro antecessori, e lasciando alcuni privilegi al Magistrato romano, ed alcune libertà al popolo; procurarono con ogni apparenza usare mitezza di freno, dando al medesimo largo ed agiato vivere ed abbondanza di ricchezze; e se vi furono atrocità di dispotismo, i Papi studiarono che questi mali venissero meno sentili o sofferti dal popolo romano, i cui generosi slanci temevano mollo, più di quelli delle altre città. Gli spiriti liberali però dei Romani si riaccesero con ogni vigore.

Nel 1798 e di 15 Febbrajo, giorno commemorativo della elezione di Pio VI, il popolo cominciò ad agitarsi ed a gridare libertà. Le pubbliche vie si affollano di popolo innumerevole che si reca sul Campidoglio stendendosi per tolto Campo Vaccino, ed una voce si eleva da quel colle: — Popolo romano vuoi tu esser libero? —Tutti ad un tempo risposero: — Si. — Allora cinque notai rogarono un alto in cui si diceva: «avere il popolo indipendente e sovrano rivendicali i suoi diritti, dichiarandosi libero e franco; ripudiare il governo del Papa; volere vivere libero in repubblica, e libero morire». — Fu una gioia universale. Si andò poscia al Vaticano e dire al Papa che deponesse l'autorità temporale. Pio VI ricusò, protestò: ma vennero i Francesi e lo trasportarono e Valenza ( 50).

Nel 1825 segui la congiura e morte di Targlioni e Nontunari ( 51).

Nel 1831. tentativo di rivolta sulla piozza. Colonna con uso di armi, dove furonvi alcuni morti, feriti, e prigioni ( 52).

Il 15 Novembre 1848 il popolo romano disgustato con Pia IX per l'abbandono da lui fatto della causa della indipendenza Italiana, ed irritato dalle tergiversazioni del clero a seguire la via delle concesse libertà, si leva in armi, e costringe il Papa a creare ministri liberali e popolari.

Nel 1849, per esser Pio IX fuggito a Gaeta si aduna in Roma una costituente, le quale dichiara la decadenza della sovranità temporale del Papa, e proclama la Repubblica il 9 Febbraio dello stesso anno.

Si vorrebbe dal clero in seguilo di tutti questi esempi dedurre che II popolo romano d turbolente! Per Iddio:,se il rifiutare costantemente di sottoporsi ad un governo arbitrario ed illiberale, e l'opporsi atte ingiuste sue Usurpazioni di potere d turbolenza, dov'é il diritto di un popolo a conservare i suoi privilegi e gli ordini di libertà? Come farà esso a difenderli e a rivendicarli quando un prepotente principe glie li foglie?... Che se poi i Romani tornarono al pesante giogo della oppressione e della tirannide fu sempre o per fronde di menzognere promesse, o per forza di straniere armate, né più né meno di quello che accade ai giorni nostri.

Non si dica d'altro canto per sarcasmo che i Romani sono le più mansuete pecore del gregge, i più affezionali servi della Chiesa, i PIU’ FEDELI E SODDISFATTI SUDDITI DEL DOMINIO TEMPORALE DEI PAPI! La loro intolleranza a tale dominio é antica più di quella che abbiano avuta o possono avere altri popoli per altre dominazioni: il loro desiderio di libertà é antichissimo più di quello di qualunque altro popolo d'Italia e d'Europa, e se hanno errato talvolta nei mezzi, oh non hanno al certo errato nel fine! Quando non si parlava d'Italia i Romani volevano la libertà: quando si é gridato viva Italia essi han ripetuto quel grido com'eco fedele, ed han versato sangue per la redenzione della Patria: quando si è detto che Vittorio Emanuele doveva essere iI salvatore e Re della Nazione, essi han riposto fidenti in lui le speranze, i desiderii, lo affetto. Che si può dunque dire del popolo Romano? Si é necessitati conchiudere che esso da lungo tempo soffre; che da lungo tempo cerca e chiede libertà, che esso pure appartiene all'Italia per esserne la parte più cara, e che è già tempo di liberarlo dal servaggio divenuto indegno per coloro che impunemente lo contrastano.

M’è forza quindi conchiudere con l’Evangelista «Vuoi tu riconoscere i falsi profeti che ti vengono innanzi vestiti d'agnello, mentre nel loro interno sono lupi? Li riconoscerai dal loro frutti. Bella, infallibile verità che a’ nostri tempi ci rende il cento per uno. Non sarà dimora anche al mio lettore ch'io metta sott'occhio il nominativo de' porporati Vescovi che con tolta compunzione firmavano lo indirizzo testé mentovato onde ascrivere anch’essi con una certa distinzione alla lista dei simpatici alla nostra causa….

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NOMI DE' VESCOVI CARDINALI CHE FIRMARONO L'INDIRIZZO

1. Mario Mattei, Vescovo Ostiense.

2. Costantino Patrizi, vescovo di Porto e Santa 0u6na.

3. Luigi Amai, vescovo Prenestino.

4. Antonio Maria Cagion di Azevedo, vescovo di Tusculo.

5. Gerolamo D'Andrea, vescovo di Sabina.

6. Lodovico Al Sieri, vescovo di Albano.

7. Lodovico Giacomo Maurizio De Bonald, Arcivescovo di Lione.

8. Federico Giovanni Giuseppe Swarzemberg, arcivescovo di Prego.

9. Domenico Carafa di Trojetto, arcivescovo di Benevento.

10. Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli.

11. Giacomo Maria Antonio Cesar, arcivescovo di Besangon.

12. Tommaso Gousset, arcivescovo di Rennes.

13. Niccolò Wiseman, arcivescovo di Westminster.

14. Francesco Nicolò Maddalena Morlot, arcivescovo di Parigi.

15. Francesco Augusto Donnel, arcivescovo di Bor dea no.

16. Giovanni Scitowscki, arcivescovo di Strigonia.

17. Giuseppe Maria Milesi, abbate.

18. Michele Gorgia Cuesta, arcivescovo di Compostella.

19. Gaetano Redini, vescovo di Viterbo.

20. Ferdinando De la Fuente, arcivescovo di Burgos.

Come carnefici de' miei fratelli io vi compiango tutti; ma come nostri persecutori.... attendete il giusto e finale reso conto.

E alla vostra volta ch'io vengo, e se non vi ricambiai le cortesie di commiato, sento il debito di buona creanza inviarvele da questo Paese che in onta alle maledizioni e bestemmie di che lo ricolmate infruttuosamente, vivifica e prospera sotto il vessillo tricolore che come già in S. Francesco di Paola, più o meno rapido raggiungerà la metà de' suoi trionfi sulle vette del Campidoglio.

Nel riepilogo ideale di quanto ho sopra discorso, sentomi sospinto a dimandare a voi non so se men folli o più perversi, contro chi mai apparecchiaste colante stragi, e ruine? Ed a quale intendimento?.... Che un re di vetusta prosapia sbalzato impensatamente da un trono in mezzo allo scorno di mille sconfitte, careggiato da lusinghevoli apparenze, diasi rigoglioso in preda a sconsigliato vendetta è certo riprovevole, e da piangere; fra lo incomprensibile sfascio di tante monarchie secolari avrebbe lo storia inorridito agevolmente e sepolti tra gli altri orrori di tante nequizie per registrarli tra le altre lacrimevoli vicende dei regni transitorii.

Ma che ministri d'una religione d'amore e di pace conquistatrice, maestra e risedio d'ogni civiltà, lungi dall'intercedere la parola di consiglio e di perdono, non arrossiscano di farsi banditori di discordie, di guerre, di tradimenti, di carneficine, d'assassinii, prestar suggestioni, opere e soccorso in faccia ad no mondo formalizzalo ed attonito, evocando il nume dell'ira e della vendetta in mezzo all'umile preghiera che sorge dal pacifico tempio del Signore, è tale empietà da non aggiustarvi fede senza la triste verità di un fatto incontestabile.

Che poi gli uni e gli altri a tal punto di cecità sien pervenuti da non addirsi della inutilità di tante opere, della formidabilità di tanti ostacoli, e dell'abisso sul riti orlo tranquilli s'adagiano, supera ogni credere, ed è d'uopo conchiudere che Dio abbia tolto loro il lume dagli occhi perché, colma la misura di tanfi delitti, è imminentissimo il giorno che dovrà perderli irrevocabilmente.

E di fatti un giuoco puerile per voi la riscossa tremenda che sobbalzò l'Europa dall'89 al 1815? Tornaste dopo quest'epoca vittoriosi ed arbitri d'imporre tolte quelle condizioni che la ubriachezza e la insolenza d'una finale vittoria poterono suggerire alla vostro mente non tonto del presente sollecita quanto trepidante del futuro. Un Waterloo permise solo a quattro teste del vostro calibro spezzare, sminuzzare territorii, sbrancare, dividere nazioni e genti, rovesciar ordini, snaturare le consuetudini, dettar leggi consegnate a tutt’agio di vincitori baldi e ingenerosi all'onore gelosia di tremanti restaurate dinastie, le quali parca che cogli eserciti innumerevoli, le mannaie, gli ergastoli, gli esuli dovessero promettervi indefinitamente spenta nel mondo la tace di ogni progresso, d'ogni libertà, e che ai popoli non restassero che le miche lutulente di un Lazzero fetido e spregiato, avanzo superbo delle vostre mense dorate, suppellettile impudica delle vostre orgie?

Ebbene, quante lune andarono da quel sociale cataclisma che l'Europa dagli squarciati suoi seni mostrava già sotto gli attoniti vostri occhi per mille rime la sanguinosa cancrena che dilatata fino al lembo dei vostri troni quà minacciava un'angosciosa agonia, là una morte ignominiosa, dappertutto una vita malconcia o tracollante?

Speravate forse che inaugurato l'inno delle lembo sul vasto cimitero d'Europa, sotto coi digrinavano frementi milioni di martiri, da quel suolo benedetto e fecondo non ripullulassero centuplicali e più rigogliosi germi immortali che rivivificassero la tradita e conculcata stirpe d'Adamo vera signora dispotica della terra assegnatale nel tempo dal supremo fattore del tutto?

Eran per voi un trastullo puerile le vittorie sverno. rande d'un Eroe popolare, che potè, quasi sol lambendo, trascorrere in un baleno da Palermo a Capua, in mezzo ad una selva di scherani della tirannide?

Fosti tradito, o Francesco? Da chi? Da me ministro forse? Da un funzionario, da un assassino? A mille a mille s'inchinarono le bajonette dinanzi al glorioso vessillo della rivoluzione. Milioni di già tuoi sudditi si prostrarono e l'adorarono. Le milizie Nazionali raccolta e protezione de' patrii Ieri si schermiscono contro gl'imbelli colpi lanciati da te fin nella perduta tua Capitale. Altre più animose escono al campo e terrore de' tuoi briganti. Il tuo oro che a stento potè comprare pochi miserabili rinnegati, valse e verrà provvidenzialmente e rimondare il lezzo di quella terra benedetto contaminate da te, a dagli avi tuoi spergiuri, dal cumolo di delitti, di che la bruttarono i tuoi padri ingloriosi, e ad estirpare piante bastarde e parassite di quel terrestre paradiso.

Come potè Garibaldi, questa gloria d'Italia, maraviglia allo stupefatto straniero, protomartire vivente della Patria nostra, come potè preconcepire il sublime disegno di penetrare in una terra dove ogni zolla era una palla di moschetto, ogni sasso uno strumento di morte, gli edilizii e le torri una macchina di fuoco, e di spavento? Come potè con soli mille dei suoi figli serrarsi tranquillo una ritirata alle spalle tra gli abissi del mare, e spinger trionfante alla vittoria se non avesse contato su quel sunto incendio di carità e di patrio amore, soffio ispirato e primigenio dell'artefice eterno in ogni petto d'umana creatura che quanto più è oppresso e seppellito sotto lo squallor della cenere, tanto più scosso divampa inesorabile al per delle fiamme volteggianti sterminatrici de' vulcani che li rigettarono?

Quanti de' tuoi sgherri non ambirono alla miseranda parodia de' nostri eroi? Con quanto maggiore apparato di ricchezza, di regale sontuosità, di potenti soccorsi con che disseccasti ogni fogna europea, non (sbucasti baldanzoso tra' rottami del tuo trono, tra le rovine accumulate su i focolari domestici de' carezzati tuoi figli? E se il mondo tutto empiesti di ululati non osasti ancora muovere e scompigliare il cielo seducendone i ministri ed impiantando coll'orgoglio di Belzebù, colla fronte di Lutero e di Maometto il tuo seggio sacrilego per fino in mezzo al sacrosanto tempio di Cristo?

Ebbene! Ti rifacesti tu ed i tuoi consigli d'un passo sulla vostra via? Riguadagnasti un brano della tua corona? Potè certo come Garibaldi il Primo Napoleone a scorno di un fantasma inetto in parte restaurato in mezzo ad un popolo plaudente rifarsi dall'Elba alle Tuilleries: potè lo stesso Pio IX in men di un mese scrollar quattro dinastie, e finché ai popoli o' attenne correr un sentiero di vittorie dal Quirinale a Venezia. Ma sul vostro cammino che mai oprarono i vostri mille?

Si è visto conquiso e sbarattato un malfattore svizzero, ed uno de' valorosi paladini del potere temporale a Perugia ( 53): eeclissorsi fra ribaldi una gloria di Francia a Castelfidardo ed Ancona ( 54): cedere un legittimista di Spagna, arrabbiato e ambizioso a Tagliacozzo ( 55): uno spudorato dilettante del Belgio in S. Giovanni Incarico ( 56); sbaragliarsi e disperdersi ogni lordura d'Eu rapo a Corsola, Avezzano, S. Maria del Tufo, Sora ( 57)....

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Non deve qui andare defraudato il lettore anche del come un perdente potere sa dar ricambio a qualche folle sciaurato che nel darsi animo e corpo paladino de' loro signori, che tutto risicava in difesa del dispotismo.

In Roma menò gran rumore una procedura intentala innanzi il Tribunale militare contro niente più che del loro più accanito difensore. L'accusato fu il Barone Engelberto De Brockel nato di nobilissima famiglia Prussiana.

Era quello stesso che diede tante riprove dei suo inarrivabile valore nelle stragi di Perugia da meritare le lodi di Schmidt, e lo stesso Pio IX in satisfazione dei suoi fedeli servigi, con Breve dei 19 aprile 1859, dato sub anulo piscatoris, gli conferì la croce dell'Ordine Piano in premio d'essersi addimos trato fortissimo nel castigare i ribelli Perugini. Il nobile Prussiano prestò poi altri rilevantissimi servigi alla Santa Sede, essendo andato a Vienna nel 1859 per seguitarvi quelle nobili schiere, che il Generale de Lamoriciére capitanò in oppresso quel reclutamento egli fece di concerto col Nunzio Apostolico, colla Corte Imperiale di Vienna, e con gli Onorandissimi e Reverendissimi arcivescovi di Vienna, di Praga, di Colonia. Ed il Brockel f'u tanto fortunato da raccozzare quattro battaglioni di volontarii uno de’ quali fu affidato al vincitore di Costantina, per la disfatta indecorosa di Castelfidardo.

Entrato l'esercito Italiano nelle Marche e nell’Umbria, la sorte impedì al Brockel di raggiungere il corpo di Lamoriciére, e di guadagnare a Castelfidardo la croce del merito, come se l'ebbe guadagnato nelle prodezze di Perugia.

Disfatto in brev'ora Lamoriciére, fu affidato al Brockel il comando militare di Velletri, dove dava nuove riprove di affetto per la Santa Sede. Minacciato Velletri dalle armi italiane egli si dispose ad una disperata difesa: dava a spese del Municipio da bere generosamente ai suoi prodi, affinché il vino infondesse in loro quel coraggio di cui mancavano; e poi caso in cui la difesa fosse riuscita inutile aveva preparato un certo composto infiammante da ubriacare in poche ore mezza città. Tanti meriti però verso la santa causa non impedirono che il maggiore Brockel fosse accusato: 1.° di abusi di potere, e di ufficio; 2.° di ubriacarsi,e d'avere ubriacato in truppa; 3.° di tolleranza dalle contravvenzioni disciplinari; 4.° d'ingiurie e minaccie ai componenti in specie la magistratura comunale; e 5.° d'indebita percezione di scudi 500: larga messe di incriminazioni da lui operosamente raccolta nei 15 o 16 giorni che tenue il comando militare di Velletri.

Qui non è scopo di fare molte riflessioni su tale processara, né sul modo col quale monsignor Merode rimunera i difensori dell'altare, né sul poco senno che hn dimostrato il governo pontificio dando rumore di pubblicità ad un processo, nel quale era da incriminarsi il governo più del Brockel, che compartiva con una mano l'apostolica benedizione, e coll'altra gli costituiva un processo.

È mestieri però ritrarre due conclusioni che lo stesso avvocato Bruni difensore del Brockel ci mette sott'occhio.

La prima ai è che il governo degli Stati Pontifici è la vera torre di Babele. La secondo le schiere accorse a difesa della tiara da ogni parte d'Europa, erano, e sono una masnada di briganti, tutti presti alla rapino e al saccheggio, pochi vogliosi di combattere sul serio, niuno forse degno del nome di soldato.

Il breve periodo del comando militare di Brockel a Velletri, dal 13 al 30 Settembre 1860, dà idea molto esatta dell'orribile confusione che regnò mai sempre nell'amministrazione romana. Quella povera Città di Velletri fu senza colpa messa in istato d'assedio; ed il peggio per essa era che non si sapeva chi comandasse, perché tutti comandavano. Il Brockel però la faceva da legislatore; con leggi e bandi emanati di quando in quando gliene veniva la volontà, ora ordinava una forzosa illuminazione della città, ora metteva contribuzioni sul municipio per dar bere ai soldati, ora pubblicava regolamenti di polizia con minaccia di multe enormi ai contravventori; ora andava a cuoprir d'invettive il Gonfaloniere e gli anziani se non eseguivano presto i suoi ordini, dicendo loro che se Garibaldi fosse venuto a Velletri sarebbe stato obbedito più prontamente (bravo l'indovino!); in Une, per tacer d'altro, indispettito una sera di non aver trovato botteghe aperte per sorbire un caffè, comandò che la notte stessero aperti forzatamente due botteghe da caffè.

Il legislatore Brockel però non era solo nel comandare. La delegazione apostolica era gelosa della sua autorità, e quindi continui conflitti fra il militare ed il civile, continui ricorsi da una parte e dall'altra, ordini e contrordini, incertezza ne' giusdicenti provinciali sull'autorità a cui dovevano deferire: e se la città non sapeva da chi dipendere, molto meno il Brockel sapeva a chi obbedire, perché il Mortillet maggior comandante di tutta la provincia gli ordinava a mo' d'esempio un arresto, monsignor Merode ordinava la liberazione dell'arrestato; se non obbediva al primo gli era minacciata la fucilazione; se non obbediva al secondo, correvano risico le sue spallette di maggiore: Il Brockel chiese 1500 scudi per pagare la truppa tumultuante; e monsignore Merode che forse non gli avevo per gli altri, gliene rimetteva soli 500. Brockel allora per ogni buon fine ed effetto se ne ritenne 500 presso di se a conto del suo soldo in caso di aggressione, di ritirata, e di altre simili circostanze.

Per lo meno fossero stati d'accordo fra loro gli uffiziali! Nemmeno. Brockel scriveva al ministro delle armi che non mondassero denari all'ufficial pagatore, perché non era persona sicura: questi alla sua volta scrivere al semplice Antonelli, al zelante Merode che il Brockel eraun matto forestiere, che desiderava l’ arruolamento di birbanti, che non voleva dipendere da lui, e"che avrebbe al certo condotto la Gendarmeria a battersi dove più gli fosse piaciuto; e che al primo fatto d'armi se il Brockel non fosse stato ammazzato era d'accordo con gli altri di legarlo, e farlo prigioniero. Il Brockel comandava una cosa, e l'ufficiale comandato o non faceva nulla, o faceva perfettamente il contrario. È questo un piccolo saggio dell'ordine e della disciplina che regnava nell'amministrazione civile e militare del governo papale.

Quanto poi fossero rispettate le schiere del Merode a difesa della fede, vien dello dallo stesso difensore del Brockel. — Si diceva che i Piemontesi negli ultimi di Settembre si avvicinavano a Velletri: fu tale notizia da rimescolare il sangue agli ufficiali. Il tenente O.... si cacciò a letto, e si fece applicare mignatte: il tenente A.... si ammalò egli pure, e si applicò le mignatte; il capitano G..... con altri ufficiali non trovando più mignatte a Velletri andarono distati a Roma dove fu fatta altra copiosa applicazione di mignatte, e la guarigione, sempre tarda in simili casi, non venne se non dopo passato il pericolo. Vi fu un solo ufficiale nemico della eva siano del sangue, e questi corse invece a nascondersi nello Villa Lancellotti.

Deve dedursi come illazione dal coraggio degli afficiali che mai si fossero i soldati!

Brockel accusato quindi d'avere dato troppo da bere ai suoi valorosi soldati si fe' a dire:

«Che doveva io fare quando vedevo la poca ed inesperta mia truppa avvilirsi, abbandonarsi e per la ninna educazione militare, e per i suggerimenti delle relazioni a incontrate, e per la fuga di alcuni ufficiali, e in fine per la niuna volon di battersi, e soldati prodi sol o per la pagnotta. Mortillet empi di liquori i suoi soldati prima. di attaccar Ponte Corvo; Da Nord fece il medesimo prima di battersi Montefiascone; O' Reilly fece altrettanta alla Rocca di Spoleto».

E se il generale in capo Lamoriciére avesse meglio conosciuto la nostro truppa, non avrebbe forse più utilmente distribuito a Loreto quel vino, che dopo la battaglia perduta venne scandalosamente tracanna to?

Questi erano e sono i guerrieri della Fede; queste le schiere che governano le felici popolazioni rimaste sotto il paterno e soave reggime del Papa: ecco l'esercito che bisogna conservare come palladio del Cattolicismo..... ecco il potere temporale che bisogna salvare e conservare per la gloria della religione...... SI, son questi i vostri trofei, le vostre glorie son questo...... così rispondono ai tiranni I popoli oppressi.

Fate senno una volta, piegale le vostre fronti nella polvere, adorate i giudizii terribili del Nume che dispregiaste, e al tocco delle sue folgori vestite di cenere e cilicio, prostratovi dinanzi alle ore contaminale. Alla scuola di cotante sventure riconoscete una volta il patto immortale d'inestinguibile fratellanza che come in capo alla croce di Cristo risplende prologo e sintesi di quel codice immutabile, principio e fine naturale e soprannaturale, umano e divino d'eterna giustizia.

FINE.

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NOTE

1 B ri g an tesche (sic): ra ppresentante (s i c).

2 Liverani, l Papato, I'Imp. e il regno d'Italia pag. 121 in princ. Firen. 1861.

3 Lamoricière e Pymndan consorti.

4 Docum. al corpo legislat. di Francia 4 Febbraio 1862.

5 Fra i documenti che si leggono in fondo dell'opera saravvene uno emanato in questi giorni analogo a quest'ultimo argomento (Doc. VII).

6 Un bel giorno mentre egli sortiva dalla casa del Luverà abitante all’ultimo piano di uno stabile sulla Piazza della de’ Gaetani, la gioventù Romana che s’era addata essere quegli un alacre direttore per arruolamenti della reazione, lo accompagnò per lungo tratto di vita con canori fischi che lo indussero a rifugiarsi in casa del’’ex-ministro Carbonelli, Palazzo Lozzano. Terzo piano.

7 Contrade oltremodo rumorose di Napoli.

8 Il modo imperativo col quale costui intestava i suoi passaporti era aNoi D. Francesco Galera per lo grazia di Dio Console Generale di S. M.. il Re dei Regno delle Due S icilie, ecc. ecc. ecc.

9 Tutti questi documenti parte furono rinvenuti in dosso a Borjés, parte io una valigia del suo ajutante Langlois arrestato presso Napoli. Essi sono prodotti ne' Doc. XIII. e seg. co' quali dimostrasi il pieno accordo fra l'ex-Francesco clericale col comitato di Marsiglia.

10 Questo documento per essere indispensabile nella mia storia ho dovuto riportarlo testualmente, quantunque sia stato in antecedenza prodotto dal dottissimo scrittore Marco Monnier nel suo libro Notizie Storiche sul Brigantaggio.

11 In dosso al cadavere di uno degli Spagnuoli rinvennesi il documento N. XIV. che mostra evidentemente di quali fatui mezzi si servisse la reazione per riscaldare le menti, e quanta ancor sia la ridicola superstizione improntata alla Spagna dal rogo e dagli auto da fè.

12 Il Generale Cialdini.

13 Lamoriciére e il Marchese Pimodan erano devoti penitenti de' Padri Gesuiti.

14 Tai fatti nulla significano pei clericali. Quando la generosità delle popolazioni ancora soggette ai Governo Papale dimostra a chiari segni e con fatti, che sentono di appartenere all'Italia, non tenendosi per esilii, per prigionie e per altre persecuzioni pretesebe dall'esprimere i loro voti eccoti là un bell'imbusto abatino che stimolato dal mio maestro Lojolita ti stampa un sonetto, e a nome della gioventù romana, lo affigge alle porte di S. Pietro, ed ottiene dall'autorità che sia guardato da due soldati veterani, che all'antica si dicono soldati del Santo Sepolcro.

15 La classe degl`indigenti in Roma, che non è in scarso numero, non ha mai ricordato nelle sue penurie le prodighe elemosine che a sua sorpresa le venivan porte dello mano del cittadino romano, al segno che nelle ore pomeridiane no povero storpio, vistosi gittato uno scudo nei suo logoro cappello, si trascina corposi per più passi dappresso l benefattore gridando Iddio vi mandi del bene, signore; oggi anch'io farò la testa co liberali.

La carità cittadina soccorreva pure In quel giorno solenne molte famiglie decadute facendo loro con nobiltà ignorare la mano e lo scopo del benefattore.

16 Questo fortunato mortale sceso dai monti di Stonino credete voi to buona fede abbia egli la brama di salvare il papato, addivenendo il D. Chisciotte della Chiesa? Non è così bestia. Egli ha sempre di mira l'interesse della sua persona e della sua famiglia. —Gli sparvieri non covaron mai le colombe: è un assioma di storia naturale; e se egli per uno di que' casi inesplicabili di natura avesse degenerato dalla ma tradizione, questa l'avrebbe rinnegato. Le sue mire non divergono d'una linea, e mercé la costanza di esse egli solo domina sopra un augusto vecchio timido e su di un popolo incatenalo: egli l'ispiratore di una resistenza passiva a lutti i consigli della diplomazia e a tutte le volontà d'Europa: aggrappato al potere, non curando l'avvenire, abusando del presente e aumentando ogni dì la sua fortuna alla moda di Sonnino. Mercé sua e del suo sistema i quattro suoi fratelli Filippo, Luigi, Gregorio e Angiolo di Ciocciari divennero parallelamente conti.

Il Filippo è anche governatore della Banca, e dopo la condanna dell'egregio Marchese Campana, il Governo di Roma, ossia il Cardinale Antonelli lo creo amministratore del munte di pietà. R Luigi è Conservatore di Roma sotto un senatore di nullità; in altri termini è l'aggiunto di una comune dove il sindaco ha il merito del solo zero.

Il prediletto è Gregorio quartogenito, e tal predilezione deriva dall'esser esso l'incitatore di ogni derrata, di conserva sempre col protettore Cardinale, dal quale ha le facoltà illimitate di proibire o permettere l'esportazione di esse, a seconda che 1 loro magazzini sieno pieni o vuoti. — Il più innocuo è ti giovane Angelo, datosi a scimmieggiare la diplomazia.

In una parola, questo negoziatore Ministro di stato nel suo pasto riproduce quegli Ebrei del medio evo che demolivano il Colosseo (l'Anfiteatro Flavio) per portarsi via il ferro delle incassature.

17 Il mattino del 28 Maggio 1862, per ordine del Sindaco di Maranola, partiva in perlustrazione un distaccamento di Guardia Nazionale e soldati dell’11°. Sulla vicina montagna furono sorpresi e catturati 4 briganti, li capo di essi era un uomo di circa 40 anni, «pittorescamente vestito. I suoi proclami portano la Arma di conte Edwino; ma in sostanza codesto sig. conte era certo Carlo Mager di Gotha, nominalo Alfiere dal Borbone durante lo assedio di Gaeta. L’altro, ex gendarme borbonico, chiamavasi Storco Quintiliano, nativo della Provincia di Aquila. Il terzo di nome Niccolo Zappa di Piedimonte di Alife, dopo avervi fatta la reazione, erasi 'arruolato coi briganti del Matese, e quindi passato al confine pontificio (refugium peccatorum). Il quarto, d’ Uri, era cognato del famigerato Cozzino. Nelle loro valigie furon trovati tre revolvers, una pistola, un pugnale, 1000 proclami, coccarde rosse, insegue per gradi militari, 3 carte geografiche dell’ Italia, un magnifico binocolo, 4 decorazioni, una delle quali dell’assedio di Gaeta, un Kepì da gendarme borbonico, 100 franchi in oro e 20 scudi romani. Il voluto conte ed il Zappa furon passali per le armi; gli altri due rimessi al potere giudiziario. Il Mayer non volle confessarsi; scrisse una lettera al console sassone in Roma, e morì dando prova di fermezza d’animo comandandosi il fuoco.

Disse essere stato ingannato da’ reazionarii di Roma, che gli avevano fatto credere le popolazioni di Terra di Lavoro in piena rivolta.

18 Falsa la protesta di essere stato colpito all’impensata dappoiché Francesco II. Borbone sali al trono nel Gennajo del 1859, e non più tardi del 25 maggio dello stesso anno Vittorio Emanuele scrivevagli la lettera seguente: «Cugino, un momento solenne è giunto per l'Italia, che deve cessare d'essere ghibellina o teutonica. L'Italia deve essere emancipata dalla perniciosa ingerenza dell'Austria; il momento é giunto nel quale fa d'uopo pronunziarsi. Riuniamo i nostri sforzi; facciamo marciare le nostre armate, e così assicureremo la felicità dei popoli a noi confidati. Oggi gli eventi corrono; domani sarebbe tardi, e lo scettro nostro spezzato,» il Borbone non intese adatto questo leale appello, ed egli nulla fece pel suo popolo durame quattordici mesi del suo regno. V'hanno istanti terribili nella vita delle nazioni in cui fa mestieri rispondere alle idee del popolo!

19 E sfuggito in questo caso all'Intermediario Del Re che gli assediati durante l'armistizio e le trattative promisero solennemente di non riparare la breccia aperta dall’armata piemontese: fu conseguenza di tale violazione la mitraglia che pioveva sulle riparazioni tentate.

20 Caecus caecum ducit et ambo in fovea cadunt.

21 Muratori, vita di Leoue III.

22 Sismondi.

23 Storia Bianchi Giovini.

24 Storie Liutprando, Platina, Sismondi.

25 Liutprando in vet. ital. script.

26 Baronio.

27 Aucalrico Augerio, Pandolfo Pisano.

28 Muratori.

29 S. Nili presso Baronio, Arnolfo, Storia del medio evo.

30 Glaberto monaco, e Fleury.

31 Glabro, Villani, istoria.

32 Fleury, e Pagi.

33 Baronio, Sismondi, Fleury

34 Pietro Pisani, e Cronache Cassinesi.

35 Ottone da Frisinga.

36 Ottone da Frisinga, Goffredo da Viterbo

37 Baronio, Guntero, cardinale d’ Aragona, in vita d’Adr. IV

38 Romualdo Salernitano, e cardinale d’ Aragona.

39 Baronio, Pugi, Muratori.

40 Giovanni di Ceccano, Muratori.

41 Muratori.

42 Vitali, Senatore di Roma.

43 Raynald, annali ecclesiast.

44 Murai, antiq. ital.

45 Sismondi.

46 Raynald, annal. ecclesiast. Roscheto, stor. di Greg. XI.

47 Leon. Arei, Pietro Minerberli, Sief. Infess.

48 Dilli Sismontli.

49 Stef. Infes. En. Silv. Piccolomini.

50 Bolla.

51 C. Cantù.

52 Gualterio.

53 Schmidl, e Barone Engelberto De Brockel.

54 Lamoricière, Pymodan.

55 Borjés.

56 Trazegnies.

57 De Lagrange, Luverà, Giorgi, Chiavone, con tutta la immonda accozzaglia di ogni perduta genie.

























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