Eleaml - Nuovi Eleatici

Di Andrea Costantini leggiamo ne "LO CUORPO DE NAPOLE E LO SEBBETO Anno II - parlata 176":

A V I S O- Lo signore Andrea Costantini, no vicchiotto che à sofferto quacche ppoco pe la causa justa, è prubbecato no lebretiello ntitolato Voti e Speranza. Essenno no lebbretiello zocuso, e che tanto lo popolo che lo governo se potarriano mparà quacche cosa, accossì nuje lo raccommannammo a tutte e dduje – Se venne dint'a lo negozio de carta de 'lo signore Dutereglie a la strata Quercia n. 27.

Dunque un vecchio liberale le cui lettere, che presentiamo agli amici e ai naviganti, rivelano il caos e la incertezza che regnavano a Napoli e in tutte le Provincie Napolitane. Provincie governate da Luogotenenti incapaci e stranieri che non conoscevano il paese e si fidavano di incapaci e arrivisti, liberali dell'ultima ora.

Troviamo nelle sue lettere, fra l'altro, una notizia che non ci è capitato di trovare altrove: il sistema monetario dell'ex Regno delle Due Sicilie era molto apprezzato da Giovanni Gandolfi*, a tal punto che il professore ne consigliava l'adozione nella nuova Italia.

Nelle lettere di Costantini ritroviamo anche la illusione di taluni liberali dell'epoca, che Napoli potesse essere sede del parlamento nazionale!

Zenone di Elea – 17 Febbraio 2017

* A tal proposito conigliamo la lettura dell'articolo:

(L'finfima femminuccia e il ducato napolitano - 9 agosto 2013)

LETTERE POLITICHE

DI

ANDREA COSTANTINI

per

LE PROVINCIE MERIDIONALI D’ITALIA

La necessità di dovere scrivere in Teramo e stampare in Napoli fu causa di qualche ripetizione, di non pochi errori tipografici e della perdita di due mesi e mezzo di tempo — S'implora il compatimento del benigno lettore; che per le parole sottosegnate darà uno sguardo particolare ali errata corrige.

Nel 1860 (voti ec. pag. 8 a 11) e nel 1861 (lettere ec. pag. 10 e 54) l'A. pregò più volte pel ribasso del prezzo del sale. Distrusse le difficoltà ed a tante ragioni aggiunge che, dandosi il sale alle pecore, dov’è molto utile? ne profitterebbero anche i Piemontesi ed i Lombardi e si conquisterebbe così anche il popolo della Venezia e di Roma.... Chi ama la patria e può servirla pensi di grazia a questo affare che pur troppo la interessa.


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1.° Un cattivo esempio
2.° Il popolo Siculo-Napolitano
3.° Età giovanile
4.° Uomini nuovi
5.° Antiveggenza, sperienza, prudenza
6.° Andar lentamente e per gradi
7.° Virtù e vizii
8.° Buoni libri e non giornali
9.° Rimedii
10.° Continua — Rimedii
11.° Continua — Costumi
12.° Opinione ed educazione
13.° Il Generale Garibaldi
14.° La moderazione
15.° Religione e Clero
16.° L’Austria e Mazzini
17.° Riforme, astuzia, malizia, lusinghe, amore della umanità
18. Signoria dell' ingegno
19.° L’impiego
20.° Pio IX
21.° Continua
22.° La nuova moneta
23.° La questione Napolitana
24.° Continua
25.° Continua
26.° Conchiusione per la quistione Napolitana
27.° Differenza de’ tempi
28.° Un fatto mio
29.° Circolare di S. E. il Presidente de' Ministri
30.° Il regresso
31.° La Lira
32.° Cose diverse
33.° Il 31 dicembre 1861 in Teramo

Teramo dicembre 1861.

1.° Un cattivo esempio

Io non leggo i giornali se non quando gli amici mi dicono osservi cosa interessante. Ciò mi è avvenuto pel Nomade dei 25 novembre ultimo e per l’articolo che dice, un cattivo esempio. Io trovo che il cattivo esempio lo dà chi ha scritto l’articolo che contiene menzogne e calunnie. La stampa, che nei governi liberi deve servire per illuminare colla luce della ragione, della giustizia e della verità; la stampa, che dev’essere la tutrice della innocenza e l’egida dei deboli; la stampa, che deve proclamare il merito e la virtù; la stampa si vuole anche ora deturpare. In vece di essere scuola di sapienza e strumento di salute (dice Gioberti) cooperò ad accrescere la follia delle sette ed i mali della Nazione. Gioberti parla del 1848 d’infelice memoria. Spero che il Nomade abbia semplicemente trascritto l’articolo di cui si tratta, ed in questo caso intendo parlare contro del primo fogliettante, e più contro l’impudente, che si copre col manto dell’anonimo... Si parla contro il rispettabile signor Luigi Marchese Dragonetti, ed il giornalista sostiene che quell’ottimo italiano scriva contro l'unità d’Italia. Una tale assertiva è lontanissima dal vero.

La illustre famiglia Dragonetti era la prima in tutti gli Apruzzi quando Carlo 3.° rendeva l’Italia meridionale de socio Princeps. Era famiglia di meglio che 300,000 ducati di possidenza, e stava alla testa di tutti gl’impieghi amministrativi e giudiziarii, come in un vice-regno apruzzese. Sorgeva poi appena il detto marchese D. Luigi Dragonetti, e disprezzando onori potere e ricchezze, ed affrontando pericoli, e vedendo che i Borboni si degradavano, si rendeva celebre pel suo liberalismo. Vi si mostrava costante, impassibile e con vera abnegazione, prima nel silenzio delle case, e poi nella famosa tribuna del Parlamento del 1820. Ecco l’uomo, che si dice di cattivo esempio, perché previde il male e fu forse l’unico a mostrarne a tempo il rimedio... Chi si critica, chi si calunnia?... Basta dire che il marchese soffrì moltissimo per volere la libertà, l'unione e la indipendenza d'Italia. Basta dire che per tale solenne professione di fede consumò forse due terzi del suo ricco patrimonio. Basta dire che il dispotismo non ebbe mai modo alcuno di farlo piegare di un pelo dal suo santo proponimento. Come ora, e senza la menoma causa, avrebbe potuto cambiare a diametro e tutto ad un tratto, e quando ognuno si fa unitario?

Allorché nel 1860 s’incominciò a parlare della unità d’Italia, il tetragono signor Dragonetti, che si trovava esule in Firenze, non si mise a stimolare ed a corteggiare il signor di Cavour, ma gli scrisse che alla unità doveva andarsi per gradi. Ora andare per gradi alla unità significa andar contro l'unità?... Ma sentiamo lo stesso marchese in qualche brano della seconda lettera che scrisse da Napoli, a di 10 marzo del cadente anno 1861 al detto conte di Cavour.

«Signore Eccellentissimo. Prima di venire come Senatore, alle Camere Legislative, mi è d’uopo di aprire nuovamente l’animo mio sul modo, onde V. E. accenna di voler a unire agli antichi e nuovi stati della corona Sarda que sto già regno delle due Sicilie. Io debbo umilmente confessare che non ho in orrore la parola, e desiderando che la nostra Italia riprenda il suo posto tra le principali potenze del mondo, fo plauso alle smembrate sue provincie che abdicarono ogni forma della loro personalità in riconoscenza dell’egemonia piemontese, ma oso farmi propugnatore di un municipio tanto grande quanto, dopo le due recenti guerre, lo era dall’Alpi al Tronto il novello regno di Vittorio Emmanuele. Questo Municipio è la vecchia Monarchia di otto secoli delle due Sicilie, regione prediletta dal Cielo, che, colle provincie distese lino al Rubicone, furono l’Italia degli antichi Romani, e che nei più floridi tempi, contennero diciassette milioni di ricchi e valorosi abitanti, i quali, colle aste Sabine e le aquile di Cesare, conquistarono il mondo. Per un tale Municipio non pare che io abbia a vergognare di esigere un qualche riguardo da chi voglia farne un membro indistinto e gregario del corpo della Nazione. Io voglio bene che esso con corra alla grande unificazione politica e militare della terra che il mar circonda e l’alpe e che l'unico scettro ne regga la gloriosa Dinastia Sabauda, perché Vittorio Emmanuele segga ne' primi seggi del concilio dei Re e vi faccia sentire il petto del detto suo scettro nobilissimo... Ciò che ora importa si è il supplicare l’E. V. dacché hanno fatto non buona prova i delegati finora scelti dalle successive Luogotenenze di non volere accrescere l’universale malcontento di queste provincie, considerandole al pari de’ piccioli stati digià uniti al Piemonte e togliendo loro quel resto di personalità di cui l’E. V. non riuscirà a spogliarle senza compromettere il suo maggiore titolo alla immortalità, che si è quello di aver bene avviata l’opera dell’unificazione di questa per tanti secoli sperperata e stranamente divisa terra d’Italia.

«Non isdegni Signore Eccellentissimo, di riandare la storia del popolo che in Europa è il più splendido esempio del 1’ unità Nazionale. Il gran fatto della francese unificazione a costò non meno di quattro secoli di stupendi conati, da Filippo Augusto a quel gran ministro di Luigi XIII, il Cardinale di Richelieu, e questi non sarebbe per avventura giuri to a superarne tutti gli ostacoli senza quello sgombro di paurosa memoria della Sillana proscrizione di Luigi XI, E se un sì lungo e faticoso storico processo fu necessario a a formare la Francia, può. la E. V, confidarsi di aver fatta a veramente. l’Italia in men di due anni 1 Per andar così defilato al suo scopo senza torcer costa, eome Farinata degli Uberti, io son del credere che l’E. V, avrebbe a far qual cosa di più di quel Luigi XI, il quale appiccò per la gola 40,000 discendenti dell’uom che non nacque e che si disse fatto ad immagine e simiglianza di Dio. V. E. deve con tentarsi di lasciare al tempo ed al senno italiano la cura di compiere la sua opera, perocché laddove le piaccia di tener da meno gl’insegnamenti della storia, indeclinabile maestra della vita, vi è tutto a temere... Il compito immenso che V. E. s’impose, dopoché pel soccorso della Francia fu vinta la guerra, e la francheggiata Lombardia, la Toscana e l’Emilia colla loro volenterosa accessione le ne fecero già in gran parte assicurato il successo, vorrà ora da V. E. vedersi fallire nella sua gloriosa integrità per disconoscere la importanza e la dignità di questa parte della penisola, che per la sua grandezza, la sua popolazione, i singolari suoi doni di natura e la sua antica e moderna storia è forse qualcosa di più di quanto da prima le venne fatto di mettere insieme? —Dall’Inghilterra, la più propizia delle Nazioni europee al suo generoso concetto, non le mancarono consigli e conforti, perché non prendesse a gabbo questa terra delle rivoluzioni... V. E. è certamente e a giudizio nostro, e di tutta l'Europa civile, un sommo e uomo di Stato, ma in questa parte ella tradisce il suo genio, é sul punto di recarlo in atto compromette l’adempimento del a suo maraviglioso disegno. Io non mi stimo certo da tanto di smoverla da suoi proponimenti, ma pur mi oso di pregarla a a concedere qualche momento di rinnovata attenzione al dia scorso, non degno inverò del sogghigno con cui fu accolto dalla destra all E. V. devota nel Parlamento sardo in ottobre ultimo, dal deputato Ferrari, ed a non isdegnare neanco di gittare uno sguardo all’opuscolo del già deputato del Parlamento Napolitano Costantino Crisci, ch’io mi prendo sicurtà d’inviarle, perché V. E. da questa produzione, che ha qui in Napoli eccitato il più vivo interesse prenda conoscenza dello stato dell'opinione della Capitale del già Regno delle due Sicilie, di cui Ella non farà mai retto giudizio, laddove si attenga alle pericolose illusioni di coloro, che ha qui messi al potere, e di quelli a quali le ingiuste e solennizzate persecuzioni del cessato Governo han dato un valore politico, che sventuratamente non hanno per la potenza della mente. V. E. ha qui già fatti parecchi esperimenti di governo, ma l’uno non fu più saggio e più fortunato dell’altro: a tutti parve che fossero ordinati a fare la propaganda del malcontento... Io al pari di V. E. fui ministro degli affari esteri in momenti difficilissimi, ma non perciò mi reputo dotato del mirabile ingegno, della stupenda capacità e del genio dell’E. V. per potermi dal mio basso luogo arrischiare a suggerirle alcuna cosa che aiuti ad incarnare l’altissimo suo concetto di mettere insieme le da tanti secoli divise e non tutte omogenee parti della nostra penisola, per sollevarla al grado di grande potenza. Ma io conosceva bene il mio proprio paese e tutte le sue condizioni, quando dalla Toscana le faceva riflettere che pel regno delle due Sicilie era vano l'augurarsi una accessione inconsiderata, come quella del gran ducato svigorito dalla molle e seduttrice dominazione dei Medici e de’ Lorenesi, e le insinuava di operare di sbieco la difficile impresa, lasciando al tempo la cura dell’assimilazione, col dare lo scettro delle due Sicilie a S. A. R; il Principe Umberto, come a Principe ereditario del regno sardo e delle già annesse provincie. Cosi tutto si sarebbe salvato di ciò ch’esisteva in questo florido reame. Il giovane Re avrebbe col prestigio della età innocente incantato i cuori e le menti di queste immaginose popolazioni, e se per poco avesse avuto d’uopo di un consiglio di Reggenza, non chiamandovi con la sapiente sentenza del Macchiavelli i reduci a dall’esilio, ma circondandosi di uomini di provata sperìenza e di chiaro nome, un giorno più che l'altro avrebbe avanzata l’opera della assimilazione di questa colle altre regioni d’Italia, ed il grande Impero sarebbe stato un dì formato sotto l'unico suo scettro. Ora Iddio voglia che per la fretta d’animo di volere la cosa a qualunque rischio, senza il divino concorso del tempo e senza il dovuto riguardo al particolare interesse de’ popoli ed alle loro svariate origini ed isteriche tradizioni, non faccia un giorno, dopo molte crudeli vicissitudini esclamare. Tantae molis erat romanam condere gentem... V. E. si degni di non ravvisare nella mia libertà di parola che la più viva premura di veder coronata di glorioso successo la sua magnanima impresa, la costituzione duratura della gran patria italiana che dai miei più teneri anni fu il più affannoso e geniale pensiero della mia mente. Ora accolga ecc. Napoli 10 marzo 1861 — L’umilissimo ec. L. Marchese Dragonetti».

Ecco le idee di chi per mezzo secolo è stato sempre l’apostolo del vero patriottismo. Non va egli né può andar mai contro l’unità italiana; ma perché l’idolatra, addita il mezzo più conducente e meno pericoloso per poterla lodevolmente conseguire.

Nell’ultima sua lettera de’ 31 ottobre ultimo vedendo abolita in Napoli anche la Luogotenenza, e conoscendo gli orrori del brigantaggio, non fa che declamare, perché si dia un rimedio: né può fare altrimenti chi ha l’animo del vero liberale. Egli si riporta a quel foglio, di cui ho qui trascritta la parte essenziale. Soggiunge che vagheggiava l'ordinamento regionario preconizzato dal già ministro cavaliere Minghetti e confessa: che la federazione sia ora divenuta impossibile. A che dunque tanto scalpore? Si dice che anche oggi l’ottimo pubblicista vorrebbe ih Napoli un vice-Re per qualche anno; ma che ci sarebbe di male? Sarebbe ciò dividere l’Italia? Certo che no. I Borboni, mandando sempre i Vice-Re a Palermo, smembravano forse il regno? Un vecchio venerando, dotto, savio accenna i mali, procura di darci rimedio e per questo è calunnialo è condannato da chi non prevedo a fa mostra di non prevedere… ma in fine che si deve ora prevedere di più se col brigantaggio sempre rinascente, vediamo pur troppo? Che si deve più prevedere se mai io non ho né il grande coraggio civile né il nobilissimo sentire dell’egregio signor Marchese Dragonetti, il quale in brevi ma eloquentissimi detti, da sommo politico, cennava i mali…

Io che li prevedeva come lui, perché come lui ho la sperienza del senno secolare e del martirio, mi restrinsi solo è già un anno (nell'opuscolo Voti e Speranze) a cennare taluni rimedii, e scrissi pel sistema delle regioni, ed aggiunsi che spesso il Re, lo stesso Re, avrebbe dovuto benignarsi di stare in Napoli; e talora anche col parlamento Nazionale. Perché mai noi Apruzzesi, noi che or ora abbiamo più facile l’andare a Torino che a Napoli, noi che nel primo caso andiamo per la comodissima ferrovia e nel secondo dobbiamo ascendere e di scendere per orribili montagne, noi che andando a Torino troviamo da per tutto gente colta ed ospitale ed andando a Napoli troviamo i briganti ed i lazzaroni, perché mai dico, pensiamo al bene di Napoli? Perché il bene di Napoli consolida l’unità e la indipendenza d'Italia—Perché il giornalista napolitano, lungi dal ringraziarci, maltratta il migliore tra noi? Forse perché ama la caduta della unità? Forse perché ama adulare potere? E’ forse pagnottista?Ah per questo combatte tutti gl'impieghi e tutt’i soldi del Marchese e del figlio del Marchese; ma nel fatto sta che quell’impieghi di 42000 lire nel totale, sono immaginarli. Il gazzettiere teme forse che segnalare un male al Governo onde non sia sorpreso, possa nuocere ai nostri nemici? Teme forse che costoro vedendo scoverti i loro disegni, possano frenarsi o fuggire?. Se questi sono i timori, il medesimo fogliettante Napoletano è tutto altro che unitario!... Ha l’audacia di asserire che un pubblico funzionario scriva contro lo Stato che lo stipendia! Si può ciò immaginare? Si può pensare e scrivere in questo modo da chi travede e non conosce affatto tutta la vita sommamente esemplare dell’uomo intemerato, dell’uomo, che mette alla cima de’ suoi doveri, e malgrado qualunque perdita, il dire la verità ai rettori della Nazione: ciò che forma la gloria rarissima di un vero liberale, gli si ascrive a colpa degna della destituzione, che si provoca!!!

Perché il gazzettiere non ha ravvicinato la lettera che àgli condanna a quella di cui ho riportato taluni brani? Leggere la seconda e non la prima è lo stesso che non volere intendere l’idea dell’Autore. È lo stesso che non intendere chi si condanna.

Asserisce il Giornalista che il Marchese combatte il principio e lo Stato.... Ma è immaginabile che combatta il principio, ossia l'unità della Nazione, colui che per essa ha sacrificato tutto, e più volte ha messo a pericolo la vita?

«Mediti il governo (soggiunge il Giornalista) se può mantenere in ufficio (e torniamo alla pesca degli ufficii) un uomo che coi suoi scritti proclama delle opinioni che servono ai briganti per colorire da imprese politiche i loro misfatti» — Quale schifosa assertiva! O i briganti sono ladri e non leggono né sanno leggere, o sono agenti delle imprese politiche e ne sanno assai più di noi. Forse i nostri nemici e borbonici e ducali e clericale e tedeschi hanno bisogno delle nostre opinioni per agire? Da quanto in quà il prevenire per un male il Governo, si chiama proclamare opinioni che servono ai briganti?.

Se da principio si fosse sentito il Marchese Dragonelti, e si fosse andato con più cautela, forse i briganti non sorgevano—-Se i briganti per esempio stanno per insorgere ed io ne prevengo il Governo; servo il Governo e non i briganti. Ecco precisamente quello che ha fatto il Marchese colle sue lettere e colle sue stampe. — Il Nomade vorrebbe che dal Senatore si fosse mostrata viltà e paura, lo che sarebbe stato di disdoro a lui ed al Governo. Forse un liberale del domani si sarebbe taciuto anche per non disgustare il Ministro!

Dice il giornalista che i principii non si possono combattere, e qui dice bene: ma chi mai combatte il principio della unità? — Sommo Dio! si giunge a confondere il mezzo per meglio assodare un principio col combattere il principio?! — Continua il giornalista e dice «chi combatte i moti e le particolari istituzioni, intende sempre di raddrizzare e correggere Io svolgimento de’ principii sui quali poggia lo Stato, e con ciò concorre non a disfarlo ma a migliorarlo». Ora che altro ha fatto il Marchese Dragonetti se non parlare dei modi migliori, onde stabilire l’unità? Perché ha scritto, se non per raddrizzare e correggere lo svolgimento del principio? Forse non è questo l’oggetto delle lettere di cui si tratta? É evidente che il confutatore non le ha lette!!

Chi ama, teme; ed il Marchese, che ama l’unità, teme di ricadere la quarta volta per opera degl’imprudenti. È colpa o è fedeltà verso il Governo l'esternargli i proprii timori e mostrarne i rimedii? Il Marchese Dragonetti, come ogni uomo illuminato, non contrasta l’unità, ma la impetuosità ch'è sempre nociva!

In fine il nostro fogliettista dice «Non permetta più a lungo il Governo che le parole del Signor Marchese Dragonetti acquistino maggiore autorità dalla dignità che riveste le cariche che copre (!!!) è l’esempio partorisca buoni risultamenti per la pubblica moralità». Rispondo: dal Signor Marchese Dragonetti imparino i servili a non corteggiare il potere col danno dello Stato, imparino a servire la patria a qualunque costo imparino a fare il proprio dovere e prego Dio, onde il nobile esempio partorisca davero buoni risultamenti.

Il nostro gazzettiere forse non sa prevedere, forse è troppo giovane, o è vecchio nato per essere sempre bimbo, o è vecchio rimbambito. Vediamo dunque i buoni autori, che forse il redattore del confutato articolo non ha mai letti e faranno meglio la causa dell’ottimo nostro Apruzzese. Vediamo tante altre cose che riguardano l’Italia e l’unità dell’Italia.

2. — Il popolo Siculo-Napoletano

Il popolo delle due Sicilie è popolo che si può tirare con un fio di seta, come si dice? Mettiamoci noi sempre dall’un de’ lati, noi che siamo i più settentrionali, noi che discendiamo dai Sanniti, o dai loro alleati, noi che siamo raffreddati dal gran Sasso d'Italia. Guardiamo per poco le altre provincie — Non voglio parlare delle Puglie con Dante, non amo dir cosa delle Calabrie e della Sicilia con Cicerone, nò dei Napolitani con Giacomo Leopardi, o con chi li chiama fedelissimi per aver fatto continue rivoluzioni; ma non posso astenermi dal citare qualche altro autore— «Qualterio (memorie storiche) dice «La plebe, più che altrove, a Napoli è numerosa. È un vero gregge di schiavi al servizio del Governo... e si parla del Governo borbonico—Cantalupo (piccola cronica) dice». Il carattere di Siculo Napoletano, pur troppo li sforza a sentire con eccesso ed eseguire con impetuosità, che gittandoli ne’ gradi estremi, è stato sempre l’onnipotente cagione di ogni loro disavventura.

Balbo (storia d’Italia) osserva che nel 600 gli Spagnuoli dominavano egualmente Milano Napoli e Sicilia, ed intanto Milano restò sempre tranquilla, ma in Napoli, in Palermo ed in Messina vi furono rivoluzioni. V'è differenza di popoli o no? — Per Napoli e Sicilia si tratta di popoli che vivono presso il fuoco del Vesuvio e dell’Etna; popoli che sentono spesso i caldissimi vampi dell’Africa e non mai le gelate bufere delle Alpi —I Napolitani sono vivacissimi.... Si dice: nell’entrata di Garibaldi in Napoli, come si condusse quel popolo? Assai bene, ma (messe da banda non poche altre ragioni) per Garibaldi che tutto dava e per i Garibaldini, che tutto promettevano — Si soggiunge: e nell’anniversario, di quella entrata, non è stato anche concorde quel popolo? SI, ma per avere avuto in dono denaro, pane e maccheroni. Se ogni giorno si facessero quelle feste e quei doni, ogni giorno tutto andrebbe assai bene.

Il popolo di Masaniello, il popolo, che nel 1799, prima si mostrava eroico contro i Francesi (giusta il Rapporto dello stesso Championnet al Direttorio, che ben si dovrebbe leggere da chi governa) e poi faceva mostra di amarli; prima si mostrava docile coi repubblicani, e poi li uccideva; il popolo che nel 1848 prima gioiva per la costituzione e poi, dopo il 15 maggio, mostrava ben altri sentimenti: il popolo, io dico, ch’era tutto di Francesco 2° ed il dì seguente era tutto di Garibaldi, è tale da potersi subito affidare ad un semplice Prefetto di Provincia? — Da quarantanni il popolo Napolitano è figlio della barbara polizia borbonica, che opprimeva solo il ceto medio, ma faceva mostra di amare la plebe, e la voleva superstiziosa e corrotta.

Si può ora trascurare quella plebe? Si può guidar bene dai meno abili? L’abbiamo noi guadagnata? Abbiamo guadagnato finora gli aristocratici? — I Napoletani sono ben conosciuti nell’alta Italia per poterli da colà governare? Ecco le domande che si fa il Marchese Dragonetti, ed ogni patriotta che abbia senno — Il sommo Gioberti (Rinnovamento) ci dice: «Vezzo dei politici subalpini si è misurare tutto il mondo dal loro paese, e deridere e sfatare quelle generalità che si adattano forse men bene a cotal contrada che alle altre della penisola». Dunque i Subalpini non hanno giusta misura per conoscere Napoli e Sicilia.

Leggiamo qualche buono Autore in politica, consultiamo la storia, prevediamo i nostri mali, troviamo i rimedii, seguiamo le orme del signor Marchese Dragonetti e non avremo di che temere.

Macchiavelli (e mi va più a sangue l’essere breve che l’essere chiaro) nel suo Principe al Cap. 3. trova «uno dei maggiori rimedii, e più vivi, l’andarci ad abitare»— Ecco perché il marchese vorrebbe in Napoli un Viceré ed io, come ho detto di sopra, ci vorrei spesso il Re galantuomo. — Lo stesso autore nella medesima opera (Cap. 5.) dice «che gli ordini antichi né per lunghezza di tempo, né per beneficii mai si scordano e per cosa si faccia e si provvegga, se non si disuniscono gli abitanti». Ecco perché, sebbene si tratti di caso alquanto diverso, io proponeva, nel detto opuscolo il modo di togliere i poveri da Napoli, con loro piacere, e rendendoli proprietarii, agricoltori, negozianti ec. senza spesa del Governo. Avrei voluto ridurre a stabilimento, o casipole, il forte di Civitella del Tronto, come, è stampato nel ripetuto opuscolo, ma l'hanno totalmente distrutto!

Intanto Napoli non è più una città di 300,000 abitanti, ma di oltre i 600,000, dove ciascuno aumenta i suoi vizii e prende moglie assai presto, per mandar presto elemosinando e moglie e figli.

Il detto autore consuma il Cap. XIX (opera citata) per dimostrare che si debba fuggire l’essere tenendosi il popolo satisfatto e contento — Ecco perché ho pregato ed ho stampato (detti voti ec.) pel ribasso del prezzo del sale. Alle molte ragioni da me addotte, per un oggetto tanto interessante, molte altre se ne potrebbero aggiungere— Se andiamo agli antichi troviamo che, anche quando nella espulsione de’ Tarquinii in Roma si voleva guadagnare il popolo, fu sgravato della gabella del sale. Se veniamo fino ai nostri tempi vediamo che lo stesso Ferdinando 2.° nel 1848, per avere amico il popolo, prima di fare ogni altra cosa, minorò il prezzo del sale. Previdi (voti e speranze) la inetta difficoltà che v’è bisogno di danar, e tra le altre cose, dimostrai che meno si paga il sale e più se ne compra. Oggi tra noi il Governo ha più introito per i sigari che pel sale!! Se v’è bisogno di denaro si può esigere dai ricchi, e si possono ridurre talune stravagantissime ed ingiuste pensioni —. Anche nel Cap. XVI lib. I. dei Discorsi, l’Autore assicura che il «maggiore rimedio che si abbia a cercare per un popolo, avvezzo a vivere sotto un Principe, è di farsi il popolo amico — Nel Cap. XXII soggiunge che un Principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle loro necessità, perché (nel differire) l’universale giudicherà non aver quel bene da te, ma dagli avversarli tuoi e dovendo temere che, passata la necessità; tu ritolga loro quello che hai forzosamente loro dato, non avrà teco obbligo alcuno». Ecco nuove ragioni pel ribasso del prezzo del sale!!! Leggo nello stesso autore che infiniti esempli delle storie antiche dimostrano come i popoli ricaddero sotto l’assolutismo (discorsi lib. I. Cap. XVI.): e gli antichi erano degni di libertà assai più di noi.

Dice espressamente quel segretario Fiorentino (loc. cit. cap. XVII), che «nessuno accidente, benché grave e violento, potrebbe ridurre mai Milano o Napoli libere, per essere quelli le membra tutte corrotte». Ora noi non abbiami avuto accidente grave o violento, né Milano è corrotta come Napoli, né Napoli fu mai corrotta come oggi.

Quale meraviglia se chi pensa vorrebbe in Napoli un Vice Re finché non avremo Roma?

«Le repubbliche, dice Montesquieu, finiscono pel lusso e le Monarchie per la povertà». Il regime costituzionale è nel giusto mezzo e deve combattere l’uno e l’altro estremo. Come combattere senza un augusto capo de’ combattenti? Trattasi di perdere la libertà e l’indipendenza; trattasi di consolidare la Unità e di far nascere la concordia e quindi la vera forza. Chi dei nostri governanti in Napoli è stato all’altezza massima, delle massime difficoltà che abbiamo?

3.° — Età giovanile

Ormai farò pochissime osservazioni per essere breve e per la certezza che tu, mio caro Amico, leggendo, le farai sempre in mia vece. Fa la causa dei vecchi come me, non essendo tu nel numero di coloro che della vecchiaia fanno un delitto.

«La prudenza è propria della vecchiaia, e la temerità è propria della età fiorente. (Cic. de senect.)

«Poderosissime repubbliche furono dai giovani atterrate e poi rimesse in piedi dai vecchi (Cic. loc. cit.)

«L’autorità è il più grande pregio della sola vecchiaia (Cic. loc. cit.)

«Nella gioventù è debole il giudizio, nella vecchiaia l’immaginazione (Melchiorre Gioia).

«I giovani vanno agli eccessi: o troppo amano, o troppo a odiano (Aristotile)..

«La gioventù è presuntuosa, si ripromette tutto da se stessa. Benché fragile, crede di poter far tutto, e non avere mai nulla a temere: si fida leggiermente e senza precauzione (Fenelon)

«Gl’ingegni fervidi, che sono agitati da violenti cupidigie, non sono maturi al maneggio degli affari...

«Gli errori dei giovani spesse volte precipitano i negozii... Nel maneggio e nel disimpegno degli affari abbracciano cose maggiori di quelle che valevoli sono a comprendere... Muovono più cose che non sanno poi disporre... si affrettano nel fine con passi e mezzi non bene maturati... tentano estremi rimedii fin da principio, e finalmente ricusano di conoscere ed emendare, lo che raddoppia gli errori; simili a puledri indomiti, che non vogliono fermarsi né vogliono volgere altrove il passo... I soli vecchi hanno il primato in politica (Bacone).

«L’età dà la sperienza negli affari ed il sangue freddo nelle deliberazioni (Rousseau, discorsi). Sia ufficio de’ giovani riverire i loro ben vivuti vecchi; e leggere gli ottimi e più a approvati, con l'autorità e consiglio dei quali si governino. (Palmieri, dell’ottimo Cittadino).

«Non basta il vincere, se si abusa della vittoria... Ogni abuso notabile suscita molti nemici, distrugge l’unanimità, e, separando i migliori dalla causa trionfante, ne prepara l'eccidio, (Gioberti, Rinnov.). Le astrazioni e le fantasie sono della età verde, usa di scambiare il fervore dello spirito, e le larve della immaginazione, colla sperienza. 1 giovani non possono operare utilmente senza il concorso delle provette generazioni… Nessun ordine umano è durevole, se non ha per fondamento e sostegno i padri di famiglia... I giovani quando vogliono fare da se, perdono i vantaggi ed i pregi della età loro, e per ispacciarla da uomini anzitempo, ritornano fanciulli. Trascorrono agli eccessi, ed invece di far prova di forti, si mostrano deboli; perocché la vera forza risiede anzi tutto nel moderare se stesso. Onde le loro fatture se ne vanno con un soffio, come gallozzole di sapone (Gioberti).

«L’uomo che pensa, travaglia a consolidare l'impero della ragione; l’uomo che ubbidisce senza pensare, si precipita nella servitù, perché favorisce il podere delle passioni (Mably).

«Fa d’uopo associare nelle menti giovanili il sentimento della e virtù alla prospettiva della privata ricchezza e della pubblica stima, alle affezioni sociali ed alle speranze religiose (Gioja).

Guardiamo la vecchia storia, e per brevità, vediamola solo riassunta in quella lapide che dice. Ingravescente iuvenum insolentia, spreta seniorum sententia, Romana Repubblica ruit: Si ogni bene perdevasi per i giovani e per tanti secoli e per tutto il mondo. Guardiamo la storia moderna. Nella prima Assemblea francese (la costituente) dice la Martine «vi figurarono i vecchi. V’erano i savii, i pensatori, gl’uomini di stato, gli uomini epoche. Attiva fucina del pensiero di un secolo, atto di fede perpetua nella ragione e nella giustizia, santo furor del bene li possedeva e li faceva consacrare intieramente alla propria opera (la Costituzione del 1791). Uomini universali, operai di Dio, chiamati da lui fi a ristaurare la ragione sociale della umanità, e rimettere il dritto e la giustizia per -tutto l'universo. Continua l’autore e dice, che vennero gli uomini nuovi, i giovani, che avevano bisogno di nome e di tutto. Allora quasi tutt'i capelli bianchi scomparvero... Più di sessanta deputati, che non avevano compito l’anno 26.° di loro età, si presentarono per essere segretarii, e non mancavano coloro che di ciò temevano».

I primi a parlare di Repubblica furono il giovane Barberous e la giovane Madama Roland — I primi a proclamarla, e già ex-abrupto, furono altri giovani e specialmente S. Tust, anche di anni ventisei. Che ne avvenne? Distrussero quella santa costituzione, formarono la repubblica, prima di formare se stessi ed il popolo, e fecero cadere 800,000 teste di francesi, per lo più innocenti. Fecero morire sul palco (dove morirono anch’essi) Luigi XVI, che aveva protetto i repubblicani di America e ch’era già costituzionale... Da ciò tutt i mali, tutte le stragi, tutte le guerre, tutt’i disordini di tutta l’Europa per settantanni ormai... Se i capelli bianchi non erano fugati, da quasi settant’anni, saremmo tutti costituzionali e felici!—Eccovi due esempii luminosi, che dimostrano come i giovani rovinano sé stessi, la libertà e la indipendenza. —Oh se parlassi dell'848! «L’uomo può quanto sa, dice Bacone»: ma che sanno i giovani?Che possono fare nell’amministrazione? Sono quindici mesi da che lo stiamo vedendo. E si vorrebbe che non si temesse un disordine? Chi non ha penato, per avere il buon governo, può essere a tutto indifferente; chi adora ogni dì il sole che nasce, può fare lo stesso: ma non è così per i vecchi che hanno consacrata la loro vita pel bene della patria.

In tutt’i tempi ed in tutt’i luoghi, (se si eccettuino i casi di tristo fine) tutte le repubbliche hanno dipeso dal consiglio dei vecchi. Gli Spartani ed i Cretesi chiamarono i loro Consigli direttori, Consigli de'  vecchi. Uno spartano, modello di virtù e di sapienza, non poteva far parte di quel Consiglio se non aveva compito i sessant’anni. In Roma vi era il Senato, ed altrove v’era il Consiglio degli anziani. = I Padri, i Patrizii, i Patriarchi significavano i vecchi: dice lo stesso anche l'etimologia della parola, Signore! Nei Consigli di tutt’i Sovrani, sieno o no assoluti, non troviamo che vecchi Consiglieri. Tra i selvaggi di tutto il mondo, un vecchio regola sempre le borgate. Che più? È lo stesso anche negli animali selvaggi. Eppure l'immortale Cavour mandò a noi per organizzarci i giovani, che lo avevano circondato! Il bene si fece male, ed il male si fece bene. I giovani sono buoni, sono ottimi, ma solo per difendere la patria, colle armi alla mano, e questo è molto, e questa è la loro missione, e qui sta il loro eroismo, che deve aprire la porta ai loro onori ed ai loro impieghi, com era ai tempi dei Romani — Una delle leggi di Solone era: che chi non aveva compito cinquant’anni non poteva arringare nelle piazze pubbliche.

4.° — Uomini nuovi

«L’Italia (Gioberti rinnov.) è debitrice agli uomini nuovi a di tante speranze svanite miseramente (si parla dell’848). Non è già che fra i democratici ed i conservatori della costituzione non si trovassero uomini oculati ed esperti, capaci di correggere gli errori, riparare i sinistri e condurre le cose a buon fine; ma se essi non vennero uccisi, cote me Pellegrino Rossi, furono però tutti soverchiati dagl’inabili, o in altro modo impediti di operare... In politica, come in tutte le arti e professioni umane, è necessario un o certo apparecchio, e a chi manca di esso è impossibile il ben governare; come a chi non sa di musica, il sonar bene di contrapunto. La buona riuscita, in ogni genere di cose, presuppone la perizia, e tanto è vano il promettersi l’una senza l'altra, quanto il volere l'effetto senza la causa». Toreno (storia delle rivoluzioni e guerre di Spagna ec.), dice «Non basta per governare nò lunga lettura (e si parla de’ buoni libri, non di gazzette e romanzi) né scienza astratta. V’abbisogna ancora l'attrito del mondo ed una lunga sperienza della vita. Tutto ciò è necessario all’uomo di Stato chiamato piuttosto ad operare il fattibile che a formare nel suo studio disegni inapplicabili o sterili».

Quali uomini avevamo in Napoli nel nostro Parlamento dell'820?

Vi brillavano i sommi lumi di un Galdi, un Delfino, un Sorelli, un Begani, un Visconti, un Ricciardi, un Bausan, un Giuseppe Poerio, un F. de Luca, un'Arciprete Giovine, un Tito Berni, un Gabriele Pepe... Un discorso del Barone Poerio per la partenza del Re fu tale che Sismondo Sismondi lo tradusse in francese. Un discorso del Borelli (per la guerra) mosse tale e tanto entusiasmo che il Presidente vecchio Cavaliere Galdi sulla stessa Tribuna gli disse: tu puoi morire poiché la tua gloria è giunta al suo colmo» (ved. casi memorabili antichi e moderni del Reguo di Napoli).

«I più imbecilli sono i più vani in parità di circostanze (Gioja).

«Il desio di comandare è il più ardente degli affetti (Tacito d’Alemb. Gioja).

5.° Antiveggenza, sperienza, prudenza

«Il presente è gravido del futuro — Adaggio di Leibuitz.

«È importantissimo per i capi di un popolo il sapere prevenire e prevedere le tempeste politiche (Bacone).

«La lettura della storia rende l’uomo prudente (Bac.)

Nella tribuna inglese e nella prima francese, non altro udivi che esempii tratti dalla storia.

«Non bisogna aver fede nei rifuggiti (Macchiavelli, Mamiani ec. ec.).

«Bisogna studiare la società negli uomini, e gli uomini nella società. Coloro che vorranno trattare separatamente la politica e la morale, non intenderanno mai né l’una né l’altra (Rousseau).

«Il non temere non sarebbe più scusabile dopo la grande sperienza dell’848 (Ranalli storia ecc.)

«L’antiveggenza è necessaria non solo per abilitarsi a poter a fare il bene, ma eziandio a canzare il male... Il difetto di antiveggenza è la miopia politica». (Gioberti, Rinn.) — Il Nomade vorrebbe che fosse miope anche il marchese Dragonetti!

«Per giudicare della felicità di una repubblica, basta esaminare il carattere ed i talenti di coloro che la governano (Platone).

Da chi siamo stati governati in Napoli?

«L’amore, superiore all’amore della patria, è l’amore della umanità». Mably conv. di Foc.

«Studiando nella storia le cause degli avvenimenti felici, o infelici, acquisterete sicure cognizioni. Il passato è l’augure o piuttosto una predizione dell’avvenire. Numerate le virtù ed i vizi! di un popolo, e, come Giove, che secondo i poeti, ha pesato nelle sue bilance d’oro i destini delle repubbliche e degl’imperii, voi saprete i beni ed i mali che deve attendersi. —Mably loc. cit.

Quale colpa aveva il sig. Marchese Dragonetti se prevedeva i mali?

6.° — Andar lentamente e per gradi

«S’è utile distruggere gli errori, non è però utile distruggerli in un’istante (Gioja).

Mably (storia di Francia) dice «L'arte di fare il bene lentamente e per gradi, di non saltare bruscamente gl'inter valli che siamo condannati a percorrere con pazienza, sarà eternamente ignorala dagli uomini?

«Perché non siete degni di essere liberi, voglio che ci divenghiate a poco a poco, e che non aspiriate da principio ad un governo troppo perfetto! (Mably dritti e doveri del cittadino).

«Basta essere stanco di una situazione per desiderarne un altra. Non esigiamo miracoli da tutti gli uomini. Fa d’uopo che le lagnanze circolino sordamente in tutti gli ordini di una Nazione; fa d’uopo che le passioni, ora inasprite ora calmate, preparino per lungo tempo una rivoluzione, onde giunga in fine un momento proprio ad eseguirne il desiderio (Mably, loc. cit.)

«Proponendo di ristabilire l’antico governo della Repubblica, Catone voleva far saltare ai Romani un troppo grande intervallo: bisognava contentarsi di qualche cosa meno perfetta e più proporzionata alla corruzione degli spiriti. Come non si cade dal colmo della virtù all’abisso de’ vizii che per gradi, la natura non permette di risalirci che passo a passo, e non si violano mai impunemente le sue leggi. Mably loc. cit.)

«Vi dirò oggi, con più ragione di quella con cui lo diceva Solone agli Ateniesi: le leggi che vi propongo non sono le più perfette che si possono immaginare, ma voi non a siete atti ad adottarne delle più saggie... Molli secoli di barbarie, di antichi pregiudizi (più forti della voce della e nostra ragione) di cattivi costumi, che ci tengono proli pensi alla servitù, e di cui, malgrado tutt’i nostri sforzi, conserveremo sempre qualche resto, ecco gli ostacoli, di cui la politica non può ora trionfare (Mably loc. cit.)

«Gli uomini non cambiano d’idee in un giorno. Più i nostri pregiudizii sono bizzarri ed assurdi, più hanno forza contro la nostra ragione. Le passioni hanno la loro abitudine, che. solo può distruggersi colla più grande lentezza e I progressi verso il bene, spesso debbono essere interrotti (L’Ab. Brizard)—«Carlo Magno e S. Luigi ci diedero grandi esempii per questa parte» Detto Abate e Mably — Altre notabili sentenze di questo autore si potrebbero riportare per rigetto in, esame; ed anche altrove ne ho trascritto dei brani dall'originale francese — Non si deve sacrificare all'ottimo, ora impossibile, il bene positivo. (Cantalupo ec. ec.)

«Si condurranno prudentemente gli uomini se nelle innovazioni prenderanno esempii dal tempo, poiché il medesimo innova moltissimo, ma tacitamente, a poco a poco ed a insensibilmente» Bacone —In talune cose bisogna imitar Fabio Massimo a Qui cunctando restituit rem. Virg.

«Il far pompa di ostinazione per supplire agli altri appoggi per mantenere la potenza, è vezzo dei Municipali e e conservatori volgari, che non si guidano col senso retto (Gioberti rinnov.)

«Ricercate le cause che han rovinato tanti popoli di cui parla la storia, e vedrete costantemente che non fù pel picce colo numero de’ soldati, né per la povertà; ma per qualche vizio del loro Governo» (Mably prin. delle LL.)

«Che peccato ha commesso il Marchese Dragonetti, se chi giunse a calunniarlo forse non lesse mai taluni autori sui quali il Marchese aveva meditato, e per cui scrisse al Conte di Cavour pel Reame di Napoli?

7.° — Virtù e vizii

«Lo stoico eroismo è fondato sul principio: che nulla debba con ardore desiderarsi nulla temersi per chi percorre il sentiero della virtù, onde gli animi ben fatti Sanno trovare la felicità persino nei patimenti. (La Martine).

«Il luogo naturale della virtù è presso fa libertà, ma non si trova meglio presso la libertà estrema che presso la servitù. (Montesquieu).

«Vi sono due specie di tirannie: l’una reale, che conci siste nella violenza del Governo, e l’altra di opinione che si fa sentire quando coloro che governano, fanno cose che urtano il modo di pensare di una Nazione. (Montesquieu) Allora può verificarsi quel proverbio che dice chi tutto vuole ad un tratto, tutto perde — Ecco il timore di chi pensa.

«Il merito consola di tutto... Non istimarsi abbastanza è vizio eguale allo stimarsi troppo Montesquieu. La democrazia non ha da temere altro nemico che sé medesima. Uccide sé stessa quando in demagogia si trasforma, perché questa, non essendo guidata dall’ingegno e dal senno, precipita necessariamente in mille errori ed eccessi, che sono la sua rovina. (Gioberti).

«Coloro, che hanno amato più la loro patria, o il loro Principe, che sé stessi, non hanno fatto mai fortuna e non potevano farla perché quando alcuno ha trasportato i suoi pensieri contro di sè, non può più ritrovare il suo cammino. (Bacone).

«L’amore di sé stesso rassomiglia la formica, ch’è un insetto utilissimo per se e dannosissimo in un giardino. (Bacone). Anche lo splendore della virtù irrita i tristi, perché li smaschera e li condanna» — Tacito — Non amo però che si dica così contro chi scrive a danno di un protomartire Apruzzese.

8. — Buoni libri e non giornali

«P. Giordani dice L’Italia da un pezzo ha abbandonato e gli studi solidi e profondi, anzi la più giovane Italia li disprezza.

Chi farà nascere la voglia di leggere in questa generazione tutta occupatissima nel fumare? «Giac. Leopardi dice i giornali sono maestri e luce della età presente. Uccidono ogni altra letteratura ed ogni altro studio, massimamente grave e spiacevole.

Soggiunge il grande Gioberti «I moderni domandano artici coli di gazzette, ma gli antichi domandavano libri.

«Vano e cootradittorio è voler supplire ai libri coi giornali... Nelle materie politiche la scienza è in gran parte la esperienza— Dal difetto di tali due cose (scienza ed esperienza) nacquero le nostre recenti disavventure» L'autore (nel Rinnovamnto) parla delle sventure dell’848 — Chi può dire che per io stesso difetto non nascano altre disavventure?

Per i giornalisti, salvo sempre i buoni, l’Alfieri dice:

«Chi dà fama? I giornalisti.

«Chi disfama? I giornalisti.

«Chi ha fame? I giornalisti.

«Gli oziosi, ignoranti invidi e tristi.

9.a — I Rimedii

Lasciamo i giornalisti, non parliamo dei mali, consoliamoci e pensiamo ai rimedii — Consoliamoci, perché Dio ha voluto l’Italia una, libera ed indipendente. Questa miracolo ha circondato appunto, ne’ primi tempi, di altri miracoli. Per darci validi difensori ora fa ben capire che la lega dev’essere fra i popoli, lega sempre forte; e non fra i re, lega sempre fragile. — Per riparare alla nostra difficoltà geografica oggi ci fa vedere altri miracoli colle strade ferrate e coi telegrafi elettrici. Avendo, pietà de’ mali nostri, ora ci dà buoni soldati, migliori generali ed ottimo re. Oggi ci sorregge (direi quasi con ambo le mani) la Francia e l'Inghilterra. Per i mali interni la giustizia e la longanimità ci salveranno — Per i mali esterni, se il tedesco comparirà sul Mincio, faremo anche un appello ai virtuosi popoli del savio progresso, e molti generosi ci aiuteranno. Il Governo non farà certe rinnovare contro di noi gli spaventevoli orrori del 799. Già si fa molto. Si lavora alacremente per le strade ferrale, si preparano grandi lavori per le strade rotabili e pe’ ponti su i fiumi, si pensa alla educazione della gioventù. In tutto altro ci giova sperare.

10.° Continua — Rimedii

«È il coraggio dei corpi e delle grandi compagnie, che serve di. salvaguardia e di punti di riunione ai buoni cittadini» Mably, (dritti). Dissi brevemente (Voti e speranze) che bisognava istituire una specie di società tutta favorevole al popolo e la chiamai Circolo. So per lunga sperienza con quanto fanatismo il popolano prende tra noi lo spirito di tali circoli (che dovrebbero servire esclusivamente Governo) allorché vede che sono religiosi tendenti al suo bene. Il vedersi unito ed eguale in dritto al gentiluomo, quasi lo fa infatuare. Dobbiamo servirci di tutt’i mezzi possibili per andare al nostro scopo.

 Per fare la rivoluzione nell’ex regno bastava un eroe, ma per consolidare il novello ordine di cose ci vorrebbero i semidei, o almeno dovremmo invitare al potere alquanti capelli bianchi, ed uomini amantissimi della giustizia e della virtù, e non del fatale egoismo — Walter Scott (vita di Nap.) dice «L’egoismo è necessariamente il principio opposto del patriottismo» Come si può andare avanti quando si va per le linee opposte? — Nullum majus boni imperii in strumentato, quam bonos amicos» Tacito. — Scrissi (loc. Cit.) per lo scrutinio degl’impiegati e degli aspiranti agli impieghi, ma nulla fu fatto finora, o s'è fatto più male che bene per quanto io sappia.

«Seditio incessit, nullis novis sensis, nisi quod mutatus Princeps licentiam turbarum ex civili bello, spem praemiorum ostendebat» Tac.

Martini al Cap. XVI Lib. l.° de’ discorsi dice nel tit, «Un popolo uso a vivere sotto un Principe se per qualche accidente diventa libero, con difficoltà mantiene la sua libertà. L’autore dimostra questa difficoltà e per rimediare dice non ci è più potente rimedio: né più valido né più sano né più necessarie che ammazzare i figliuoli di Bruto, i quali, come la storia mostra, non furono indotti, insieme con altri giovani romani, a congiurare contro la patria non per altro se non perché non si potevano valere straordinariamente sotto i Consoli, come sotto i Re; in modo che la libertà di quel popolo pareva che fosse divenuta la loro servitù. E chi prende a governare una moltitudine, o per via di libertà: o per via di Principato e non si assi cura di coloro che a quell’ordine nuovo sono nemici, fa uno stato di poca vita».

Lo stesso Autore (Cap. 3.° lib. 3. discorsi) ripete «con più perseveranza che per mantenere una libertà acquistata di nuovo è necessario ammazzare i figli del Bruto: è necessario, dice, una esecuzione memorabile contro i nemici delle condizioni presenti, e ne adduce un esempio.

 Io, che abhorrisco ogni estremo cennai (loc. cit.) una dolce e giusta via di mezzo; ma, ripeto, nulla veggo finora per qualche parte interessante dell'amministrazione.

L’Autore medesimo (Capit. XVU. Lib. l.° de’ discorsi) dice dove la materia è corrotta, le leggi bene ordinate «non giovano, se le non son mosse da uno che con una estrema forza le faccia osservare, tanto che la materia diventi buona.

L’autore insiste in fine dei €api (che ogni uomo di Stato dovrebbe leggere le mille volte) e dice ch'è necessario usare «grandissimi e straordinarii mezzi nella corruzione e poca attitudine alla vita libera.»

Talvolta, tra noi, chi è andato a riparare un disordine lo ha aumentato! — La Martine (storia dei Girondini) dice: «Non bisogna affidare giammai una rivoluzione ad uomini contro de’ quali è stata fatta.»

«Non è egli strano, per non dire assurdo, che uno Stato libero abbia per interpetri gli odiatori delle sue franchigie? Gioberti rinnov.

«Con duri ed aspri rimedii si guariscano le malattie inveterate. È lo stesso de’ rimedii tanto violenti quanto le loro passioni. Tacit.

Torniamo al Machiavelli (Cap. &.° lib. 1. ° discorsi). Egli £a la quistione. «Quando hanno maggiore ragione di tumultuare chi vuole acquistare, o chi vuole mantenere? Egli dice: chi vuole mantenere. Soggiunge nello stesso tit. «dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel popolo o nei grandi; ed è per i grandi.»

Ecco una delle ragioni per cui non avrei voluto disgustarli in nulla (voti e speranze).

11.° — Continua — Costumi

«Come i buoni costami per mantenersi hanno bisogne delle leggi, così le leggi, per osservarsi hanno bisogno de’ buoni costumi «Macchiav. discorsi ec.

La sentenza è motto antica.

«I costumi sono la sorgente e la base della felicità pubblica—.... da per tutto sono i baluardi delle leggi. L'Ab. Erizard. Mably ci ricorda che Licurgo s’istruì in Egitto del potere de’ costumi nella società, e dell’azione reciproca delle leggi su i costumi, e dei costumi sulle leggi.

«Le virtù ed i vizii di un popolo sono, nel memento che prova una rivoluzione, la misura della libertà o della servitù, che deve attenderne — L’amore eroico del bene pubblico, il rispetto per le leggi, il disprezzo delle ricchezze, e la fierezza dell’anima sono i fondamenti del governo libero. L'indifferenza pel bene pubblico il timore delle leggi, che si odiano, l’amore delle ricchezze e le bassezza dei sentimenti, quasi incatenano un popolo e lo rendono schiavo... Pochi stati hanno dovuto soccombere sotto il coraggio de’ loro vicini, ma quelli che a sono periti per i proprii vizii, sono innumerevoli... «Mably osser. su i Romani.

«È tale l'ordine stabilito nelle cose umane, mio caro Aristia, che la prosperità degli Stati è la ricompensa certa e costante delle loro virtù, e l’avversità il castigo infallibile de’ loro vizii.»

«Seguite i fasti della Grecia e vedrete sempre ì popoli, più o meno felici, secondo che la politica, più o meno. abile ha reso i costumi più o meno onesti. »

«I costumi sono sorgente e base della felicità pubblica! Ab. Brizard.

L'obblio de’ costumi trascina l’obblio delle leggi, il disprezzo delle leggi dà l’ultimo crollo ai costumi. — Non v’è più freno e la porta è aperta, al lusso, alla ineguaglianza, alla discordia all’avarizia all’ambizione a tutt’i vizii che precipitano la ruina della repubblica. Ab. Briz.

«L’amore della patria conduce alla bontà dei. costumi, eia a bontà de costumi conduce all’amore della patria.» Encic.

«I più grandi mali della nostra epoca ci vengono non dalla povertà, ma dal desiderio di comparir ricchi. Pope.

«Il rinnovamento civile non può sortire esito felice se non è preceduto dal rinnovamento degli animi e degl’intelletti. Giob. Rinn.

«In un regno dov’è più utile fare la sua corte che il suo a dovere, tutto è perduto (Montesquieu)

«Quando i costumi sono corrotti, quando la repubblica è infettata dall’avarizia, dalla prodigalità e dal lusso; quando gli spiriti sono occupati alla ricerca delle voluttà; quando il denaro è più a prezioso della virtù e della libertà, ogni riforma è allora impossibile: bisognerebbe cominciare da quella de’ costumi» Mably, studio della storia.

Bisogna premiare il buon costume e non il tristo intrigo, il merito e non il demerito. Sembra che nelle provincie meridionali siasi perduto ogni registro de’ reati ed ogni registro di polizia. Per riformare il costume in Napoli è anche necessario tutto il rigore delle leggi.

12.° — Opinione ed educazione

«l'opinione è la prima regina è la prima potenza del mondo» Montesquieu. L’opinione!.... Su questa regina del mondo è fondato ogni governo, tanto il più dispotico e militare, quanto il più popolare e più libero.» Hume.

È immenso il mio dolore (sono forzato a dirlo) nel vedere che taluni vogliono farci perdere l'opinione in faccia all’Europa!

«Il più sicuro, ma più difficile mezzo di prevenire i delitti, si è di perfezionare l’educazione... oggetto che tiene a troppo intrinsecamente alla natura del governo. Beccaria delitti ec.

«Nell’educazione dell’individuo, sta la somma di ogni radicale miglioramento politico» Foscolo «Ah perché la perversità umana ha distrutto il tribunale sacro della famiglia! Non è questo il regno della vera giustizia? Non è il più perfetto governo? Un simile monarca conosce tutte le parti del suo impero, penetra nell’anima di tutt’i sudditi, i loro interessi sono anche i suoi, non può fare ingiustizia ad uno senza turbare la propria felicità, che dipende essenzialmente dalla felicità di tutta la famiglia;. La pace la libertà i piaceri di tutt’i membri della società domestica, non possono essere meglio conservati che da questo capo rispettabile... ma le più belle istituzioni della natura sono distrutte «Loche, gov. civ.

«Il padre per legge di natura è re nato de figli, la madre è regina: questo è il primo regno e sorgente di ogni altro che sia tra gli uomini.» (Genovesi discorsi).

«Nessun ordine umano è durevole (dice Gioberti, Rinnov.) se non ha per fondamento e sostegno il padre: di famiglia, ché il consorzio è l'istituto originale, è il primo frutto della creazione civile, è il germe la base la guardia della città e della repubblica. Troppo è assurdo che signoreggi in sulla piazza chi è suddito in casa, e che tocchi l’ubbidire negli ordini pubblici a chi nei privati deve comandare» Ma che si può sperare da chi non ha né opinione né educazione?

«Aspirate (esclama ai buoni il ripetuto Gioberti, loc. cit.) al virile in ogni cosa, e per coglierlo seguite, i consigli e gli esempli de’ pochi uomini, che ancora si trovano, de’ quali non è spento il seme, pogniamo che affogati e quasi perduti fra la bambineria e barbogeria dominante, sia men facile a rinvenirli e farne giudizio».

«Sono le virtù domestiche che preparano le Virtù pubbliche» Ab. Brizard.

«Le virtù domestiche deridono in fine delle virtù pubbliche. Penserete voi o Aristia, che uomini avvezzi ad ubbidire alle loro passioni, nel seno della famiglia, e senza virtù gli uni rapporto agli altri, nel corso ordinario della vita, prenderanno ad un tratto un nuovo genio e novello abitudini entrando nella piazza pubblica e nel Senato? A che le loro passioni ed i loro vizii non oseranno ispirarli quando si agirà di deliberare sugl’interessi della repubblica e decidere della sua sorte? Licurgo, meno presuntuoso dei nostri sofisti e dei nostri Oratori, non loperava, ed ebbe un’attenzione particolare a formare i costumi domestici a Sparta». Mably, conv. di Foc,

13.° — Il Generale

Se, Dio non voglia, il popolo napolitano per poco tumultuasse, non dovrebbe andarci il Generale Garibaldi a tutto sedare. Bisogna prevenire il male e dar luogo ai proporzionati rimedii, lo ripeterò sempre, Il nostro grande italiano da una parte potrebb’essere vittima di coloro che volendo servire Mazzini, non sanno che servono il Tedesco; e dall’altra parte potrebbe soccumbere in vili e neri tradimenti come soffrì il Divino Nazzareno, a cui somiglia, o come soffrì il primo Cicerone ed il quarto Scipione e Focione e Barnevelde e Giorgio Scali ed i Girondini e via via; e come finirono il secondo Catone il secondo Bruto e Cassio e tanti altri eroi.

L'eroe nostro deve serbarsi a più alti destini pel bene della patria. Andrà a far sempre la libertà ai buoni e non mai le catene ai tristi.

Ripeto anche qui (tanto la cosa mi sembra interessante) che la piaga di Napoli sta in Napoli. É un anno da che misi a stampa questo vero (voti e sper.) persuaso che il dire essere la piaga in Roma fa più ostinati colà i nostri nemici. Non giova tenerla nascosta, ma bisogna guarirla Guardia Nazionale e polizia, pane e lavoro, premii e pene, giustizia rigorosa e truppa piemontese, utile emigrazione per i poveri e libertà di commercio per tutti, feste popolari e soccorsi necessarii, educazione e civilizzazione e tarda soppressione del giuoco dei lotto e sollecito ribasso del prezzo del sale, fabbriche più per diminuire le lordure de poveri che per aumentare il lusso de’ ricchi, rispetto degli usi e costumi, e più per materie religiose, buoni impiegati e non freddi egoisti, buoni stabilimenti di beneficenza e non arpie divoratrici, presenza talora del Re e del Parlamento in Napoli (oltre, delle altre cose cennate) ed eccone le principali medicine. È calunniare Napoli il dire che non ci possa stare il Parlamento!!! Generosa virtuosa italianissima è stata Firenze nel contentarsi di star senza regia Corte. Faccia lo stesso nobile sacrificio Torino e la piaga sarà sanata, forse più presto di quello che si crede.

14. — La Moderazione

La Martine (op cit.) dice: «I partiti medii e moderati nei tempi divisi non sono che la negazione del bene e del male». Nella crisi giova il rigore purché sia giusto e parta dal governo, perché la pace della società dipende dalla giustizia. Così sta scritto anche nelle enciclopedie.

«La Moderazione è la prima delle virtù politiche» (dice Balbo).

«La Moderazione disarma gli odii, guadagna cuori» (dice Brizard).

«Non v’è grandezza d’animo, non v’è giustizia senza idee moderate» (dice Pellico).

«La vera forza consiste anzi tutto nel moderare sé stesso» (dice Montesquieu).

«La Moderazione è la somma della civile saviezza (dice Costantino»), e dopo un savio ragionare, soggiunge: dove succedano fatti che spinti oltre un dato limite potrebbero viziarne lo spirito, colà il partito della moderazione è il partilo salvatore»

La moderazione e la base della unione, la forza il sostegno de’ Governi, e più se da poco costituiti (dico io); e viene definita specialmente il freno dell’orgoglio.

«Nulla e più orribile (dice La Martine) quanto il vedere che una idea novella lungi dal limitarsi a brillare e guadagnarsi gli animi dell'universale, si dia a tutt’uomo a martoriare i suoi nemici. Allora il combattimento si cangia. in supplica, il liberatore in oppressore ed il propagatore di essi in carnefice».

«Nulla più nuoce in politica al buon successo di una impresa, quanto la pervicacia esclusiva, la quale impedisce ogni sorta di transazione» Gualterio «Gli uomini nel procedere loro, e tantoppiù nelle azioni grandi, debbono considerare i tempi ed accomodarsi a quelli, e coloro che per cattiva elezione e per naturale inclinazione si discordano dai tempi, vivono il più delle volte infelici ed hanno cattivo esito le loro azioni — Al contrario l’hanno quelli che si accomodano col tempo» (Macchiav. dis. 3.) Salvo io dico il fare tutto quello che si può per conquistare l’onesta libertà quando ri Governo è tirannico.

15.° — Religione e Clero

«L’obblìo d’ogni religione conduce all’obblio de’ doveri dell’uomo» Rousseau, om.

«Non pensavano (nel 48 e 49) come fosse impossibile fare partecipare il popolo, e quello specialmente delle campagne, ad una rivoluzione qualunque, inimicandosi il Clero (Gualt. storia ec.) L’ateismo, non distrugge del tutto la ragione, la filosofia, le leggi, l’amore della pubblica stima; le virtù morali bastano a conservare i suoi sentimenti nell’uomo; ma la superstizione li distrugge tutti per la tirannia assoluta che esercita sugli spiriti. (Il Canc. Bacone) «In quanto ai partiti ecclesiastici si può osservare che in tutte le età del mondo i preti sono stati nemici della libertà… pel loro interesse e le loro ambizioni (Stume)

«Quod Clerici capiunt raro dimittunt» Rombaldi.

16.° — L’Austria e Mazzini

«L’Austria aveva compreso fin dall'821 (quando teneva in Piemonte agenti, che corrompevano, machinavano, provocavano diserzioni ec. ec.) essere in Italia molto facile il far cadere le rivoluzioni negli eccessi, e in questi essere la loro morte. Quindi cominciò a provvedere alla propria salute col render utile a se i cervelli più bollenti o la.. parte corrotta. (Gualterio storia) Mazzini è il primo alleato dell'Austria, senza ch’egli, per la sua bontà, sia mai giunto a sospettarlo. La formazione e Io scopo della sua Setta non potranno non essere germe di discordia e di divisione, di debolezza e di esaltazione» Gualterio.

«I liberali temuti dal Governo di Napoli erano i costituzionali del 1820, perché forti del dritto già posseduto; non i repubblicani che ben si sapeva essere di numero scarsissimi» Gualterio... Ma voglio lasciare per poco di riportare gli squarci degli Autori a titolo di togliere la monotonia — Diciamo qualche cosa del 1.° Mazzini, mentre ora ci mancherebbe solo ch'egli riuscisse in campo come stimolo della gioventù. Tutti sanno, meno i giovani, ch’egli nel suo bel cuore crede di poter essere padre di grande repubblica; sanno che non vuole guardare né luoghi né tempi né circostanze; che non vuole travagliare per la posterità (Io che è primo precetto di ogni Setta virtuosa); sanno che md vuole tirocinio, che non,vuole, scrutinio, che non pensa alla educazione del popolo, che non vuole chi ha compito quarant'anni, che non vuole gradi tra i suoi dipendenti, che non vuole andare pian piano ma a salti ed a salti mortali... Sanno che voleva profittare dei facchini, dei controbaudieri, dei birbanti; sanno che molte volte fece spargere stoltamente un sangue prezioso... Dove mai s’è veduta simile Setta? — Gli antichi popoli, i Caldei i Medi, gli Assilli, i Fenicii, gli Egiziani, tutti nelle spelonche e nelle catacombe e nelle cripte e dentro le piramidi, ebbero i loro misteri che avevano per base la religione e la politica, e tutti ebbero nei vecchi i loro Sacerdoti che andavano per gradi alle cognizioni della loro scienza arcana ed acroatica. Dagli Egiziani tale scienza secreta passò ai. Greci e poi ai primi cristiani. Più tardi ed in parte, agl’Illuminati ed ai Templari. In fine alle Sette moderne, e via via — Mazzini si oppose ai Savii di tutte le età e di tutte le nazioni. Si oppose a tutti i principii delle Sette ed a tutte le regole — Alla testa dei giovani è atto a farsi trascinare dalle avventataggini e dalle ambizioni giovanili. Sogna le sue vittorie, crede che à dì nostri possano aver luogo le sue utopie, e lungi di giovare, nuoce come sempre ha nociuto all’ltalia. Rilegga almeno lo spaventevole Cap. XVII dei discorsi del Segretario Fiorentino e nella parte trascritta nella mia lettera sul popolo Siculo-Napolitano — Mazzini capì solo che i costituzionali lo vincevano e se ne sdegnava.

Mably dice (Gov. e L. di Polonia). Una pura democrazia «è governo eccellente coi buoni costumi, ma è detestabile coi nostri... La democrazia vuole i migliori costumi... e non può reggere che in una repubblica, come quella dell'antica Grecia, dove tutt’i cittadini si conoscevano, a si servivano scambievolmente da Censori ec. ec. Questa dottrina la trovo in Platone, in Aristotile ed in tutt i politici antichi, e mi sembra di essere troppo bene provata a da tutta la Storia».

Che vedevano Bruto e Catone nell’uccidersi? Vedevano che per i crescenti vizii la loro patria non poteva risorgere. Questo vero fu la loro disperazione. Ecco perché lo stesso Bruto trovava inutile la sua virtù. Senza di essa non vi può essere libertà. Che dicevano i Vergneau, i Danton, i Robespierre andando all’estremo supplizio? Confessavano apertamente di avere errato, e che la Francia non poteva essere repubblicana. Eppure quegli uomini erano coraggiosi, generosi, virtuosi erano dotti ed avevano una fede, una costanza... Nobili qualità ora rimpiazzate dai vizii.

L’aquila bicipite s’è ora dipinta nell'alto di far l'uomo nel berretto frigio, ossia repubblicano colla seguente iscrizione.

«Augel bicipite — In questo covo

Conforme al solito — Torno a far l'uovo!

17.° — Riforme, astuzia, malizia, lusinghe, amore della umanità


«Per le riforme guardatevi d’impiegare l’astuzia e la malizia. Non calmerete gli spiriti che per un'istante. Chi è vittima d’una menzogna, non si fida della verità ed il male si rende incurabile — Guardatevi di voler condurre i cittadini all’oggetto che vi proponete, lusingando, come Solonc, la loro avarizia e la loro ambizione — Sarete obhligato dar loro delle speranze. Se queste non sono vane, non fate, che dare più energia alle passioni, che hanno fatto tutto il male che volete reprimere. Se quelle speranze sono false, la calma sarà corta: le passioni sono impazienti e chiaroveggenti, si vendicheranno cagionando i più grandi disordini» (Mably, studio della storia).

«Ciò che favorisce l’avarizia e l’ambizione dei Cittadini e dei Magistrati è pernicioso. Questa regola è generale in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza; questa regola non è soggetta ad alcuna eccezione e mi sarebbe favi Cile di provarlo colla storia della prosperità e della decadenza di tutti gli Stati antichi e moderni» (Mably, oss. sui Romani).

L’amore della patria, subordinato, all’amore della umanità, deve prendersi per giuda per non esporsi a produrre grandi sventure. Mably (conv. di foc.) lo ripete con Socrate, Platone, Foeione, Cicerone ec.

18.° — Signoria dell’ingegno

«Bisognava promuovere sapientemente la causa delle nazioni, delle plebe, e dell’ingegno (Giob: Rinn.)

«La signoria dell’ingegno può dirsi che tutte le sette politiche concorrono a combatterla almeno a trascurarla. E benché questo difetto sia stato più o meno comune a tutt’i tempi, in nessuno perù invalse tanto quanti l’-oggi, che il valor singolare non pure è schiacciato, ma avvilito, e la mediocrità sola ottiene non che gli onori e la potenza, come in addietro, ma la fama e la riputazione. Nè altro è l’ordine del pensiero, che il principato dell’ingegno dal e cui mancamento nacquero quasi tutt’i disordini dell’età nostra e in particolare quella delta vicenda incessante di progressi e di regressi, che ci travaglia da un mezzo se colo, giacché le rivoluzioni non governate dal pensiero, trapassano la giusta misura e quindi cagionano le riscosse, le quali, come cieche e guidate a caso, trasmodono anch’esse e partoriscono nuove rivoluzioni. Nè questo travaglioso ondeggiamento avrà fine, finché l’indrizzo delle cose è lasciato al volgo, e la mediocrità è principe» Gioberti, rinn.

«La virtù è il compimento dell'ingegno, che senza di essa è monco, mutolo, imperfetto; è prova nel male piucché nel bene e non risponde di gran pezza alla sua vocazione... e siccome presso i popoli guasti, che Cristo denota col nome di Mondo, e nelle età corrotte, che Tacito distingue a col nome di secolo, i mediocri ed i tristi prevalgono, cosi in tali tempi la saviezza si confonde colla malizia, e l’arte di governare gli uomini con quella d’ingannarli» Gioberti Rinn.

19. — L'impiego

«Bisogna badare alla re-pubblica e non alla re-privata, disse d’Azeglio».

L’Ufficio dimostra l’uomo virtuoso, disse Blande. Platone e Cicerone dissero che, coloro che desiderano far pro alla repubblica, debbono dimenticare ogni proprio comodo... che difendendo una parte non abbandonino l’altra — Palmieri dice: «Chi non per sé ma per altri virtuosamente si esercita, è ottimo; ma per contrario chi non per se, ma per altri fa male è pessimo... chi provede alla salute dei particolari cittadini e gli altri abbandona, semina nella città scandali e discordie gravissime donde spesso divisi i cittadini, nascono divisioni e guerre intestine... e in fine risse ribellioni servitù ed ultimi disfacimenti».

L'anonimo autore delle lettere ai tre giovani dice «ci vuole capacità per bene adempiere l’impiego, e chi non avrà le morali abitudini, che più si confanno all’oggetto, sarà un’impiegato cattivo... Se i cittadini riguardassero gli '«impiegati pubblici, come un campo di lucro... se li acquistassero solamente colla mira di goderne gli onori e gli emolumenti, la morale pubblica rimarrebesi infausta mente corrotta; e piaga gravissima ne avrebbe lo Stato, atta a divenire cangrena» — Mably Io dice (principii delle leggi)... e tutte le grandi sentenze si leggono nell'esimio autore.

«Chi non sa che la maggior parte, delle rivoluzioni sono l’opera della rapina dei Principi, dei loro Ministri e dei loro favoriti»? — Noi possiamo lodarci pur troppo dei Principi ed anche dei Ministri» ma salve poche eccezioni, quali uomini non hanno favorito i loro favoriti?

20.° Pio IX

Non vi può essere un cuore, veramente italiano» che non palpiti per la quistione romana — Supplichiamo il grande Iddio» onde, anche per questa parte ci ajuti e ci faccia ottenere effettivamente l'unità, la libertà, l’indipendenza..

Abbiamo due incomparabili ed immortali italiani, ed abr biamo due primarie Metropoli in Italia.... I primi sono I magnanimi Pio IX e Vittorio Emmanuele: le Metropoli sono Napoli e Roma.

Non sarebbe decoro di Sua Santità il restare nella città di Romolo appena sbarazzato delle cose terrene..... Andando il Re Galantuomo a Roma, non potrebbe andare il Santo Padre a Napoli? — Qui il popolo è devotissimo, e non poco religioso: ma non satirico come a Roma. Ivi Pio IX avrebbe certamente dal Governo qualunque palazzo, qualunque luogo di delizie e qualunque Tempio, anche come proprietà delta Chiesa. Ivi i Cardinali ed i Prelati nei Conventi, che si sopprimono, e nel. locale detto il Ministero» avrebbero anche i loro palazzi. Ivi i Capi del Cristianesimo vivrebbero vita tranquillissima ed indipendente, meglio assai che a Roma. Ivi la nostra Nazione pel suo interesse, e per gratitudine, dovrebbe fare di tutto» onde il Vicario di Gesù Cristo vi migliorasse condizione: e se Roma» col Re» avesse un irrequieto primato italiano; Napoli, col Sommo Pontefice, avrebbe un pacifico primato di tutto il Cristianesimo. La Corte del Santo Padre e le elemosine sarebbero di massimo sollievo al popolo Napolitano… La Corte e le Ambascerie delle Nazioni Cristiane, il concorso dei Vescovi, Arcivescovi, Prelati e Fedeli rimpiazzerebbero i primi sentiti bisogni di quell’immenso por poto mal conosciuto altrove. — La benedizione di Pio IX ci porterebbe l’amnistia generale, la cristiana carità; e farebbe scomparire per sempre il brigantaggio. Il dichiararsi Pio IX Protettore del regime monarchico costituzionale, porterebbe il freno di tutti gli eccessi e la pace di tutta l’Europa. Il vero Vangelo di Cristo tornerebbe ad essere codice di tutt’i Cristiani e la Santa Sede non sarebbe più la debole ausiliario de’ despoti, ma la massima rovina del dispotismo.

Quale alto, sublime e quasi celeste primato! Questo (e Dio lo vuole) dev’essere il primato temporale e mondiale di Pio IX!

Chi fu il primo Angelo per redimere l’Italia, darebbe il grande compimento alla nostra redenzione. — Se potessi, vorrei prostrarmi avanti al Sommo Pontefice (a cui gl’ingrati ed i frenetici danno pena da una parte, e gl’ipocriti e gli avari dall’altra) ed a mani giunte, vorrei umilmente supplicare «Santo Padre: per amore di Dio, della patria, della propria dignità, della purità della Chiesa della generale concordia e della Santa Religione, esaudite i voti dei buoni Italiani, che sono anche i buoni cristiani — Per amore di Dio (perché, come V. S. lo insegna a tutto il mondo, nulla succede senza il suo divino volere, e tutto dobbiamo soffrire per amor suo) per amore di patria, perché non v'è forse italiano che lo senta al pari della S. V., per amore della propria dignità e della dignità della Chiesa, perché quale orrore è mai quello di sentire che qualche Ministro del Santuario sia l'anima de’ masnadieri? Per € amore della generala concordia, perché senza di essa l’Italia s’è immersa in una guerra fratricida; pér amore della Santa Religione, perché infine, se V. S. non si libera dai Consiglieri egoisti e tedeschi, tutto finirà, presto o tardi, col male del Cattolicismo. SI, V. S. facendo tornar tutto al puro Cristianesimo ripara alla irreligione ed alla rivoluzione, al sacrilegio ed alla reazione, all'anarchia ed alla tirannide. V. S. non facendo sorgere la guerra civile in Italia soffoga uno scisma spaventevole. — Avranno detto alta S. V. di dover resistere come fece Pio VII, Augusto Precessore di V. S., ma il caso di allora era differentissimo dal caso di oggi. Allora si resisteva ad un despota ora si tratta di dare una patria a venticinque milioni di uomini... Allora si contrastava l'Italia ad uno straniero, ora si tratta di ridare l’Italia agl’Italiani.

«Allora un uomo incarcerava la Sacra Persona del Sommo Pontefice, ed ora tutta l’Italia supplica la S. V. Allora lo straniero riduceva Roma Città di provincia schiava del Francese, ed ora si brama elevarla a Capitale di tutta l’Italia libera ed indipendente. In breve: trattavasi allora di un male gravissimo, ed ora di un massimo bene. Allora Dio punì la superbia di un uomo, ma ora la voce del poe polo è la voce di Dio!... Gl’illusi Sacerdoti non veggono che. vanno contro il proprio interesse e contro quello della Chiesa. I tristi non vogliono. erogarlo»... Cosi,. 0 presso a poco, avrei voluto parlare... E poi?... £ poi (come diceva Voltaire) mi svegliai.

21.° — Continua

Che s’è fatto, in tre lustri, non dico per guadagnare, ma per mostrare un poco di gratitudine a Pio IX, al primo sommo Italiano che volle far risorgere l’Italia?... Nulla... Non dico altro — Ed ora, mentre ridono gl’innumerevoli nostri nemici per tanti nostri errori, e mentre tutto sperano contro di noi, come possiam credere che il Sommo Gerarca, possa cedere ad un semplice Capitolato? Forse tutti i. governanti di queste provincie meridionali hanno favorevole la Suprema Regina del Mondo, di cui ho parlato, k pubblica opinione?--Forse un governo, che nel Napolitano ha disturbato i primi amici, i liberali più onesti, può ispirare fiducia ai più offesi? Bramiamo da senno che torni a noi Pio IX?

Ebbene, mettiamoci nella buona via, a cui già accenna il Ministero... Il prete ed il frate disse il deputato signor Crispi alla tribuna, erano una eccezione in Sicilia; ora il frate ed il prete liberali formano una eccezione. Quando dicono questi fatti, funeste conseguenze di strana politica!... Io non fo il lungo e doloroso notamento dei commessi errori, ma si conoscono almeno dal quasi generale malcontento. — Quando lo vedremo diminuito?, quando i reazionarii di tutta l’Europa e di tutt’i colori, che circondano il Papa, vedendoci savii, armali, longanimi, concordi avranno perduto le loro speranze, quando le massime dei grandi uomini che (non a caso, ho riportato di sopra), saranno osservate; quando l'egoismo non sarà più all’ordine del giorno, quando lo scrutinio ci avrà liberato dai perfidi e dagl’inabili, quando si potrà dare un’amnistia, quando il basso popolo sarà beneficato, quando le più ricche pensioni non si daranno ai più colpevoli, quando la buona opinione sarà dalla nostra parte, allora sarà fatta l’Italia ed allora Pio IX tornerà a noi, perché senza tema di nuove offese, che bene dovè soffrire nell’infausto 48! — Innalzando Egli allora la bandiera del nostro riscatto benedirà l’Italia e saremo fe lici. Tutto dunque dipende dal nostro procedere.... Incominciamo ad agire — A basso gl'intriganti di prima forza, a basso gli avoltoi, a basso i partiti estremi, a basso gl'irreducibili e mascherati nemici di Dio e della patria. — Quando saremo degni Cristiani saremo degni di Pio IX. Allora il grande Pontefice- §orà conosciuto dal moltissimi (giovani o nati per non essere mai di maturo senno) che ne parlano con imprudenza senza conoscerlo adatto. — Allora la carità patria sarà immedesimata colla carità cristiana, e la carità sarà sorgente di unione, dall’unione risulterà l’unità, l’unità conserverà la carità, la carità formerà la gloria. È Santo Agostino che lo dice.

22.° — La nuova moneta

Quando il Principe Murat regnava in Napoli ordinò che. le monete, i pesi e le misure fossero tutte alla francese. S'introdusse quindi tra noi la lira, quella stessa, che ora si vuole riprodurre; ma non fu possibile che i Napoletani guardassero mai di buon occhio quella moneta.

Uno di essi, in pubblica strada, avendo alcune lire in mano e non potendone conoscere il preciso valore, gridava, come un’indemoniato «llira llira llira, chesla è ll’ira di Dio» — Ora perché dar causa al rinnovamento di quelle grida e di quel malcontento?—-È necessarissimo per noi l’unità di monete di pesi di misure, e direi quasi l’unità d’idee e di principii, ma tutto dev’essere italiano ed è chiaro che la nostra lira non ha l’obbligo di essere assolutamente il franco dei francesi — E vero che la nuova lira piemontese è eguale al franco, ma è anche vero che non è eguale ad alcuna moneta italiana, perché il centesimo del franco e della lira del Piemonte, non è centesimo di alcun’altra moneta nostrale. — Se per centesimo di lira italiana si prendesse il nostro quattrino di Napoli, a cui daremmo il nome di centesimo italiano, si darebbe veramente nel quattrino, perché tutta l'Italia riconoscerebbe subito con piacere, e senza menoma difficoltà, la nuova nostra moneta — Mostrandola si Siciliani si direbbe: questa moneta è perfettamente eguale a cinquanta grani di Sicilia. Bravo, bravo risponderebbero. Mostrandosi a Malta (e speriamo che ci sia presto restituita) si direbbe: questa moneta è eguale precisamente alla metà del vostro scudo, meno quattro centesimi, ossia meno un grano di Napoli; e s’intenderebbe benissimo dai Maltesi.

Mostrandosi in tutto l’ex Regno Cisfarano si proclamerebbe per moneta eguale a venticinque grani. Ognuno capirebbe assai bene. Nell’ex Stato papale la lira, di cui parlo, sarebbe eguale ad un papetto, e lo intenderebbero anche le donnicciuole. Quel papetto a Bologna si chiama anche lira, e nel bolognese sparirebbe anche meglio ogni difficoltà — Nel resto dell'Italia centrale la lira in esame sarebbe eguale a due giulii ed a due paoli, ed in Lombardia sarebbe lo stesso che venticinque carantani, come dicono. Da per tutto sarebbe eguale a venti bajocchi romani ed a venti crazie toscane. È vero che in alcune di queste monete vi sono pure delle menomissime differenze di valore di centesimi o di millesimi; ma queste differenze, da nulla, sono anche meglio annullate dall’uso di più secoli, uso, che, oltre di essere utilissimo, bisogna rispettare più di quello che si crede nella grande massa del popolo, dei diffidenti e degl’ignoranti — Dunque solo per la lira del Piemonte si vedrebbe notabile difficoltà ed imbarazzo.... ma i buoni Piemontesi, almeno qui, dovrebbero mostrare la loro gentilezza con meglio di venti milioni di fratelli, cambiando, per non farli delirare, la loro lira, ch'è cosa francese e non italiana, moderna e non antica. Si dice: ma l'Italia ha molto commercio colla Francia e la lira francese è moneta europea. È facile rispondere che se L’Italia ha commercio colla Francia, ne ha infinitamente più con sé stessa, e con tutte le altre potenze del mondo, che tutte conoscono benissimo, e da secoli, il nostro quattrino. — La moneta spagnuola p. e. il colonnato «pesos duros» che sarebbe eguale a cinque delle lire di cui parlo, è moneta mondiale, com’è lo scudo romano, che ha lo stesso valore del colonnato. La nostra piastra sarebbe ugualissima a cinque lire meno venti centesimi, ossieno Venti dei nostri quattrini. — Si dice pure, con molta leggierezza «le monete antiche si ritirano». Rispondo: per far ciò non basta una intiera generazione di uomini... e perché volere una generazione di malcontenti? — Il signor Gandolfi in Napoli ha dato in luce (Stamperia Nazionale 1860) una ragionata memoria sulle monete. Egli assicura, in una nota, che di solo argento si so-po coniate nell'ex Regno e stanno in commercio almeno centotrenta milioni di ducati. Egli dimostra la difficoltà grande e la grande spesa per ridurre a nuova moneta quella immensa massa di numerario. Egli dimostra molti altri gravi inconvenienti e propone per nuova lira, il nostro ducato di Napoli. Sono notabilissime le ragioni che adduce e che debbono tenersi presenti dai nostri Legislatori, trattandosi di affare non indifferente. A quelle ragioni aggiungo che col buon governo, l'ex reame di Napoli tornerà presto ad essere popolatissimo per cui noi formeremo non ma assai più della metà degl’italiani. È ben noto a che ascendeva. una volta la popolazione dell’antica Italia — Dall’altra parte non mi suona bene la parola, né mi sembra bello. che la nostra nuova moneta superi di molto la nuova moneta di Piemonte e il anche quella di Francia S'è difficile ai apoletani l'adattarsi alla lira piemontese, è egualmente difficile ai Piemontesi l'adattarsi al ducato dei Napoletani. — Facciamo tutti un qualche sacrificio — Il signor Gandolfì parla anche delle misure, ma di ciò non mi occupo ed anche per essere breve — Torno alla lira di cui ho parlato finora.

Perché vogliamo portar dubbii, imbarazzi, angustie alla maggioranza degl’Italiani? Perché potendo evitarlo, vogliamo creare nuovo fonte di malumore nella moltitudine provocata in tanti modi da tanti nostri nemici? È un folto che il valore di un centesimo francese non s’intenderà mai dal nostro popolo per differenza, quantunque menoma, che ha col nostro quattrino. È un fatto che se la nostra lira fosse di 25 grana di Napoli, se ne avrebbero tutte le divisioni possibili e le piccole monete si potrebbero accomodare sempre in modo, che da un quattrino fino a cento, vi sarebbero sempre degli aggiustarmi, che sono di massima utilità pel basso popolo. In fatti in Napoli abbiamo 1,2,3,4, è e 10 quattrini, oltre de'  bajocchi, delle erazie e decavantani detti di sopra; mentre la lira piemontese ha 5 e 10 centesimi, e non altro. Noi dunque avremmo almeno otto piccole monete diverse giungendo a sei centesimi (a quattrini); mentre la lira piemontese ha una sola moneta prima di giungere a dieci centesimi! Perché vogliamo mostrare anche qui l'inescusabile furia di cambiar tutto l'E perché in un governo popolare non vogliamo avere alcun riguardo al popolo di Masaniello? Perché non contare la prima moneta italica regnando il primo Re d’Italia? Perché non segnare la grande epoca del nostro riscatto con una moneta che si renderebbe celebre per tutt'i secoli? Il io amico signor Ignazio Professor Rozzi desidera che la futura nostra moneta si chiami lidia, e non lira, perché molto dice per noi la prima parola, nulla la seconda. Io mi uniformo a lui in questo desiderio. — Vogliamo copiare anche nelle stranezze i francesi, e non vogliamo imitarli nelle cose che animano il nobile orgoglio Nazionale? Se il franco è de’ franchi l'Itala sia degl’Italiani. — E poi mi svegliai... I più giusti voli non sono che sogni, almeno finora; ed almeno per me.

23.° — La quistione Nupolitana

In quasi tutte le precedenti lettere non altro ho fatto che copiare le sentenze dei migliori politici, non volendomi altrimenti spiegare, come l'ho anche notato.

Ora però un amico mi fa leggere quello che ottimi oratori hanno detto nel nostro Parlamento Nazionale, rapporto alla quistione di Napoli — Non trovo cose nuove, anche perché lo stare in Napoli nel 860 e nel cadente 861, mi ha fatto meglio conoscere quello ch'io pur troppo immaginava fin da principio. Ho notato che on. oratori, facendo il loro dovere, hanno detto nella tribuna Nazionale infinitamente pii» di quello che a stampa disse il signor Marchese Dragonetti.

Ora se molto potevano dire i deputati, perché un Senatore non poteva dire alcun poco?

Il deputato signor Ricciardi merita lode, o deve s’è gridato contro di lui, o s'è voluto ridere, forse conveniva serbare ben altro contegno... Per le inopportune ilarità il Ministero acquistava false idee dello stato di Napoli e delle provincie meridionali.... Oltre a ciò: Quod volumus facile credimus… e qui sta una scusa del Ministero.

Il signor Ricciardi rinnova l’idea della comparsa dei tedeschi sul Mincio, e fa bene. Io ricordo lo che avvenne nell’ex Reame di Napoli nel 799, quando apparvero i tedeschi nell’alta Italia, e Ferdinando IV non aveva né armi né denaro in Sicilia; ricordo che avvenne nell’815 per la stessa apparizione, e Ferdinando non aveva né armi né buona opinione, e Murat aveva un’armata agguerrita ed ottimi impiegati; ricordo quello che vedemmo nell’821, mentre dalla nostra parte agiva anche una Setta popolare, che aveva spaventato tutt’i troni dei despoti. Perché ora non vogliamo seriamente prevedere il futuro? Se non avremo la guerra, non dobbiamo temere nel grande il brigantaggio; ma giova prevenire il male per trovarsi al bene.

L’on. deputato parla del doversi trasferire nel 62 il Governo ed il Parlamento in Napoli... Amerei che si leggesse quello che scrissi sull’oggetto (voti ec.) seguendo il Macchiavelli e la mia intima convinzione.

Si lagna l'Oratore della trascurata riforma del personale, ed io ho lusinga ch'egli abbia sott’occhi il mio povere opuscolo per tale oggetto. — Dice tante altre cose che le debbo tralasciare, ma supplico il Governo di non trascurarle per non compromettere il bene dell’Italia.

Parla il deputato signor Ferrari è dice che siamo ventidue milioni e che dobbiamo esser così felici che ogni italiano divenga fremente di appartenere al nostro Regno; ma che si deve fare per ottenere questo nuovo miracolo? L’oratore non lo spiega e torna piuttosto a dire quello che non si doveva fare.

— In altra tornata esclama con ragione: il primo, il più savio fondamento della grandezza e della prosperità della patria è l'amore de'  figli suoi, è l’amore de’ suoi cittadini...

Ora direi al Ministero: perchè voler perdere questo amore? Qui dovrei pur troppo dilungarmi... Vennero a governar Napoli gli educati ed istruiti nelle terricciuole e tennero più dicasteri, nel solo privato interesse, ed in tempi tanto eccezionali che per tenerne uno solo avrebbero dovuto tornare tra noi varii Tanucci e non pochi Ricciardi.

Il signor Massari vede per noi due difficoltà gravissime. La prima provvedente dai Borboni, e la seconda dalla rivoluzione. Ma non addita i modi atti a tutto riparare.

Il sig. Musolini si lagna perché il Governo sciolse subito le compagnie de’ volontarii che marciarono contro i briganti, ma brigava anche taluno in quelle compagnie, né l’ottimo Generale Cialdini poteva fare buona scelta del personale, per cui doveva pensarsi prima ed a cui non s’è pensato mai (scrutinio degl’impiegati e dei pretendenti a qualunque impiego Voti ec.).

Il sig. Pisanelli dice che il Napolitano era soggetto ad una bieca e brutale tirannide... Lo so ben io più di ogni altro, ma so anche bene che il basso popolo n’era eccettuato. Se non si fa nota questa eccezione il Ministero può Credere che i popolani sieno tutti per noi — Dice l’on. deputato che la unificazione si doveva fare con mano risoluta, ma quale mano risoluta ebb’egli stesso? Dice che si doveva andare per gradi, ma come si va per gradi se si ha mano risoluta? Bisognava distinguere mano risoluta pel ripurgo del pestifero personale: andare per gradi nella unificazione di talune leggi. Una strana politica volle tutto al contrario e lo stesso sig. Pisanelli è scusabile se doveva ubbidire a quella politica. — Soggiunge l'oratore che colle elezioni popolari i Municipii sono andati in mano dei retrogradi, ma poteva anche dire: sono tornati in mano dei borbonici, tanta è stata l'audacia delle impunite combriccole. Anche ciò io aveva preveduto e desiderava e desidero, in modo transitorio, non lievi pene in tutt’i casi di intrighi, di frodi e di violazioni di legge nelle elezioni de-gli Agenti comunali o provinciali (voti ec.) — Dice l’egregio sig. Pisanelli che nelle novelle elezioni si ricaccei'anno i retro-gi'adi, ma dove si fonda questa profezia se prima non si rianima il vero patriottismo? E chi vede depressi i patriotti vorrà seguire il patriottismo? Si, le elezioni sono andate in mano dei retrogradi, perché i briganti delle città hanno buccinato agli elettori che il governo non dura! Ecco altro mezzo efficace per disanimare i buoni! Potrei addurre esempii d’intrighi, dispetti, soprusi, ed anche di arresti arbitrarli degli amici del governo; ed operati dai nemici prima caduti per lo slancio patriottico sotto Garibaldi e poi rialzali per una insana politica. Le loro millanterie, i loro raggiri e le loro pretese vendette farebbero rabbia a chiunque.

Dice il sig. Pisanelli che appena Francesco 2° partirà da Roma il brigantaggio sarà finito per le popolazioni napolitane: ma chi non sa che tutto fanno i comitati? Se Francesco 2.° andrà p. e. a Venezia, i briganti ci potranno venire in maggior copia anche dalla Germania... L’ex re lontano da Roma potrà essere più attivo, meno guardato ed anche meno accusato. Se vogliamo il fine del brigantaggio dobbiamo dar fine al malcontento guadagnando anche il popolo, a cui s’è pensato ben poco. Il mezzo massimo per guadagnarlo è il ribasso del prezzo del sale, cosa che ho spiegato fino alla nausee e che ripeterò in tutta la vita. Faccia Dio di non essere noi obbligati ad esclamare un giorno: è troppo tardi.

Il deputato sig. Zuppetti ragiona benissimo per la quistione di Roma e di Napoli. — Nello scorcio dell’860 si proclamava in Torino essere in Roma la quistione di Napoli. Io dissi (voti ec.) che la quistione di Napoli era in Napoli, né volli spiegarmi di vantaggio... Ma ormai la stessa prudenza è un delitto contro la Nazione.

Il deputato sig. Crispi dice: la vera causa del malessere del Governo sono gli uomini che amministrano il paese, o, almeno poteva dire, coloro che l'hanno amministrato in Napoli — Egli cita i Romani e gl’Inglesi, che ne sono i più felici imitatori per dimostrare che non giova andare in fretta nella febbre unificatrice; ed io citai più volte i Romani (Voti ec.) — Chiama i Magistrati in Sicilia «Giudici insipienti, giovani che ignorano il loro mestiere. Che si può dire per Napoli?

Il deputato sig. Saffi dice: L'Amministrazione fu commessa a mani incapaci od infide. Parla di malcontento e di sfiducia.

Il deputato sig. Mancini, parlando di Napoli, se la piglia col passato luttuosissimo governo e colla tirannide senza nome e senza esempio; ma si dimentica troppo la storia quando non si rammentano esempii di tirannide. Dice che i Borboni furono gli oppressori del popolo, ma furono gli oppressori dei liberali e quasi sempre delle provincie, e poco o nulla del popolo di Napoli, come l’ho cennato poc’anzi. — Continua il signor Mancini, e dice assai bene, che la nostra storia nuovissima presenta sublimi esempii di generosità, di emulazione, di abnegazione e di sacrificii; ma non rammenta il ne quid nimis e non vede che può verificarsi il tristissimo caso in cui la virtù calpestata degeneri in vizii — Dice che tanta generosità in Napoli non può tralignare, ma la generosità e l'abnegazione ed i sacrificii per le cose politiche non furono mai del basso popolo e specialmente di Napoli — Continua,: la Napoli visse ognora ardente gagliarda il sentimento nazionale, lo spirito della italianità Ma temo che ben pochi di quei popolani intendono o vogliono intendere queste sante parole — Chi può contare (soggiunge) le vittime che in quel paese hanno fallo sacrificio a questo sentimento della loro vita e della loro libertà? Ma forse potrei dire che in tutto questo secolo in Napoli non v’è che contare parlando sempre dei Napoletani—La patria di Vico e di Pagano (prosiegue l’Oratore) ma Vico e Pagano non erano Napoletani!… La Madre di Miriadi di Martiri che diedero il loro sangue per la libertà.... Ma dove stanno queste miriadi di martiri Napoletani?... forse e senza forse l’on. deputato confonde Napoli con tutte le provincie dell’ex Reame!... Egli loda poi a cielo la Guardia Nazionale di Napoli, ma domando solo (per quanto riguarda il malcontento dei Napoletani) se la Guardia Nazionale di Napoli sia composta di Napolitani o no?! — Si loda la Leva. Si ma il Governo è stato saggio nel lasciarvi in essa le nostre leggi con buone abilitazioni. Io debbo lodarlo tantoppiù per quantoppiù veggo in ciò esaudito alcuno de'  miei voti. Si guardi però lo stesso Governo di tenere per ora i nostri coscritti ed anche tutt’i nostri soldati sul confine senza molti soldati dell’Alta Italia. — Gennai pure una specie di salutare innesta tra i soldati, e veggo con gioia che in ciò. si sta operando assai bene — Soggiunge che i militari dovrebbero esercitarsi sempre e che dovrebbero dimorar poca nelle nostre città — È notissimo quello che avvenne in Capua ai soldati di Annibale... Parla l’Onore dei Comitati d’ordine e di azione, ma giova non parlarne perché tra gli ottimi si unì qualche pessimo, ed uno ne guasta mille. — Dice che Cialdini per distruggere brigantaggio accordò la sua fiducia anche ad uomini del partito il più esaltato, ma che doveva fare il Generale? — Ho detto e ripeterò sempre che manca e si vuole mancante lo scrutinio rapporto al personale.

Il sig. Mancini o confondendo, come credo i Napoletani colle altre provincie meridionali, o calcolando il liberalismo altrui dal suo, o per iscusare la sua Amministrazione, o per qualunque altra causa ha messo troppo in auge il liberalismo di Napoli, e più quello del popolo; ma anche qui sta il modo di far cadere il Ministero in non lievi errori.

Quello che il sig. Mancini governando in Napoli, doveva far presso (migliorare il personale degl'impiegati) non lo fece mai; quello che doveva far tardi (abolire i Conventi) lo fece presto e con furia tale che il decreto di abolizione precede di un anno (se basterà) la chiusura dei Conventi, quasi per dar mollo tempo e comodo agl’intrighi, ai furti ed alle rapine — Quando bisognava guadagnare alla meglio Vescovi Arcivescovi e Prelati, Preti Frati e Monache, non che le immense turbe de'  loro aderenti, dipendenti, ed amici, si operò per disgustar tutti. Bisognava guardare almeno il divide impera. Un Parroco spesso deve vivere con 405 ducati al mese ed il medesimo più di tutti può educare e tirare a noi il popolo. Un Vescovo ha 1000 ducati al mese, ed appartiene al non possumus. Chi non vede che se ci fosse giusta politica si darebbe un soldo conveniente ai Parrochi, ed anche ritogliendo un poco dalle ricche mense Episcopali? Si vuol perdere il moltissimo ed utilissimo, pel pochissimo ed incertissimo.

Il deputato sig. Miceli dice «I Ministri e la destra hanno per esagerati i nostri mali. Si chiama al governo dell’ex a Reame ed alla Magistratura, gente ignota o odiata, e si mettono in disparte ì patriotti. Questo oltraggio desta a l'ira di tutti. Nuove offese patite, nuove speranze deluse. Si poteva avere la fiducia del paese se questo vedeva ogni giorno nuove ingiustizie? La quistione del personale, nel paese che si libera dalla tirannide per mezzo di sanguinose lotte, è quistione di principale importanza. Il patriottismo ha il suo orgoglio, il suo legittimo orgoglio, e chi si attenta di offenderlo da luogo a reazione ed a vendette.

«I popoli del mezzogiorno dopo tanti patimenti si son visti con raccapriccio condannati a subire la legge dei loro nemici, ch'erano i nemici della patria, e non potevano che raddoppiare nell’odio contro i premiati carnefici dei loro fratelli, contro le spie che avevano vituperato il paese ed ora soprastavano e deridevano le vittime... Oh fortunate, io dico, fortunate le stesse vittime innocenti, che vidi morire incatenate nell’orribile bagno di Procida! non si trovarono almeno fra le nuove consorterie e le nuove ingiustizie; ma torniamo all’Oratore…

«Volete compire, egli esclama, volete compiere un sì vasto programma, l'aver Roma e Venezia, e cominciate col bandire il mezzo che solo può condurvi allo scopo? Questa contraddizione nella politica è la vera causa che ci fa indietreggiare nella speranza di aver Roma e Venezia. Ecco la ragione per cui siamo deboli all’estero, e la Francia non ci ascolta; ecco la ragione per cui imperversa il brigantaggio, e, piaga peggiore del brigantaggio, l'indignazione del popolo che va sempre crescendo»... E continua l'Oratore su questo tuono ragionando Sempre da storico e dà politico profondo. In quanto il brigantaggio però è più storico, almeno per noi il Ministro sig. Cordova; mentre i briganti si nascondono d’inverno, come i serpi, non potendo agire tra le montagne e le nevi, e si ripresentano a primavera e spesso con più audacia. Non si dica dunque da alcuno che il brigantaggio sia distrutto per sempre. Volesse Dio che non si rivedesse nel 62 e negli armi susseguenti, come s’è veduto nelle altre epoche. — Ecco il timore per cui scrivo. Oggi per riprodurre i briganti ci sono molti elementi, che non furono mai tra noi. — L'inviso ed onesto liberale, per evitare il dispotismo, poteva almeno isolarsi in campagna curando miseramente i suoi affari campestri. Ora ci andrebbe per vedersi aggredito col ferro e col fuoco, per cui anche questo meschinissimo sollievo ha perduto, o per dir meglio, abbiamo perduto. Si dice: lo spirito pubblico è buono e si vede per la regolarità della Leva; ma anche prima l'era regolarmente la Leva e vedemmo come tutto finì in un baleno. Se non si agisce diversamente, se non finisce il malcontento, oggi vedi la Leva e domani puoi vedere la diserzione, ch’è il massimo del brigantaggio, e pure l’abbiamo veduto più volte. — Si incaponisce e si ripete: lo spirito pubblico è buono perché si pagano i balzelli, ancorché vadano in aumento. Rispondo; non cadiamo in troppa fiducia, essendo meglio abbondare in cautele. Se aumentano i balzelli può aumentare anche il fuoco sotto la cenere.

Non meno che del sig. Miceli, fo omaggio al sig. Brofferio per le poche ma verissime cose che disse per gli affari di Napoli. Io saluto questi nobili Oratori come i primi, per quanto io sappia, che hanno fatto onore alla tribuna italiana per una quistione d interesse maggiore di quello che si crede.

24.° — Continua

L'on. sig. Presidente Rattazzi dice: per estinguere il brigantaggio (e mi addolora il tornar sempre a quelle masnade ma sento in ciò un preciso dovere) vi sono due mezzi — 1° La diplomazia, ma il ricorrere alle case altrui, per le sventure di casa nostra non è la miglior cosa dei mondo — 2All'azione interna cioè alla Guardia Nazionale ed ai cittadini, Ma la Guardia Nazionale non è bene armata, non è animata, non è organizzata, non è ripurgata, non è abbigliata, non è esercitata e non è neppure chiamata al tiro del bersagli Tutt i giovani, dico sempre, dovrebbero abituarsi al maneggio delle armi. Ciò dovrebb’essere primo dovere e prima passione patriottica per essi; ma come conseguire questo santo scopo se ogni patriottismo si va perdendo? — È ora inutile, è anzi dannoso negare un vero sì dispiacevole! I giovani veggono che non è premiato il merito ma l'intrigo. Quindi imparano ad essere intriganti e non curano di essere meritevoli. io non rammento, da che ho l'uso della ragione, né militi né legionarii così mal messi e trascurati, come ora veggo le prime speranze della patria e le prime nostre garanzie per l’onore, per le sostanze e per la vita. — I cittadini ci sono o amici o nemici. Che si può sperare dai primi se sono in gran parte annichilati? — Che si può sperare dai secondi se sono nemici?

Si continua — Il brigantaggio è stato distrutto. — Ammettiamolo anche qui, ma finora siamo stati sul nascere di quella pianta velenosissima ed abbiamo veduto i lodevoli e grandi sforzi dell'ottima armata dell'alta Italia per estinguerlo. Abbiamo avuto buoni volontarii, e, ripeto, l’egregio Generale Cialdini. I buoni volontarii, memori dei passato, hanno giurato per quanto mi dicono, di voler fare un’ultima prova di patriottismo. Dei pochi tristi non parlo Che sarebbe se ci mancassero quei buoni volontarii e quel Generale e quella truppa? Io torno sempre su questa trista idea. — Nel decennio ci vollero cinque anni per estinguere il brigantaggio, che sempre si rinnovava, ed allora i briganti non venivano dall’estero; allora il Tedesco non poteva comparire sul Mincio; allora non avevamo nemico il Clero, e ci governavano uomini grandi e giusti, che conosceranno i bisogni del popolo; allora il Borbone non aveva né mezzi, né rapporti, né compagni, stava quasi rilegato, non era giovane, non era stimolato, non sapeva-stimolare, non s'incaricava di affari di Governo, era circondato da pessima opinione, era occupato solo alla caccia, ed era dominato dalla sua notissima Carolina… Eppure allora, per distruggere veramente i briganti, ci vollero i primi eroi del primo Napoleone, ci volle l’unione perfetta e la vera concordia di tutt’i grandi patriotti del 99; ci volle ch'essi soli avessero la somma degli affari e che fossero i soli impiegati; ci volle che tutti finissero di compromettersi pienamente ed anche colle armi alla mano; ci volle un eccidio spaventevole di borbonici, di aristocratici e di coloro che si credevano segreti organizzatori de’ briganti.

Io stava in Napoli nell’806 e nell’807 in mezzo ai patriotti, e sapeva quando la notte s’erano arrestati molti, e s’erano fatti scomparire per sempre; io vidi gli altri lazzari tremanti, io vidi morire sulla forca il Marchese Palmieri ed sig. Palliotti, ch'erano innocenti; e vidi in quel dì gittarsi frenetica la truppa sopra il popolo inerme, ed empire di sangue il largo del Castello. Vidi dove fu fucilato il Marchese Rodio, ch’era innocentissimo, come lo era il giovane figlio del Duca Frammarino, giustiziato con inaudita ingiustizia. Senza questi atti d’inevitabile terrore e senza il grande senno e la grandissima forza di quell’epoca, il brigantaggio non si poteva distruggere... e noi con politica che disanima i buoni e dà coraggio ai tristi, noi che con tanti errori serviamo tanti nostri nemici, noi crediamo di avere estinto per sempre il brigantaggio? Noi non abbiamo un solo nemico, com’era nel decennio, noi non siamo forti com’era Napoleone il Massimo, noi non siamo uniti com’eravamo una volta, noi non vedemmo i briganti solo in questi Apruzzi e nelle Calabrie come era nel decennio. Noi che per non lasciare un inetto procedere vogliamo perder Napoli e Sicilia, ci crediamo ora atti a conquistar Roma e Venezia? — Dio mi liberi dal pensar menomamente che si debba copiare per poco le barbarie dei francesi contro i nemici dell’interno, ma non amo, e lo temo che qualche nostro signore inesperto, che sta sicuro in Torino, possa far credere al Governo che sono puerili i. nostri timori. Io ripeto, lo che conchiusi altra volta (Voti) Giova mettersi per altra via, finché non avremo esatta giustizia, morale politica, virtuosa non avremo motto da sperare, e, mentre gridano Viva Vittorio Emmanuel e Viva l’Italia una ed indivisibile, temo che altri non volendo, ed altri, volendo, sieno di fastidio al magnanimo Vittorio Emmanuele e di nocumento alla Italia ed indivisibile.

25.° — Continua

Se chi ha servito i Borboni è abile ed è stato sempre onesto, e serve anche oggi religiosamente la patria, e tutto risulta dalle più esatte informazioni, resti pure nell’impiego; ne abbia anzi uno migliore. L’ho detto e l’ho scritto anche a stampa... ma chi ha la marca d’incancellabile infamia, chi Ita calpestato vilmente le leggi e s’è reso spergiuro per servire i tirarmi e per tenere in catene l’Italia, chi s’è coverto di. delitti infamanti, abbia almeno il ritiro, mentre il tenere in carica un perfido degrada il Governo.

Si è saputo anche inventare che il patriottismo ed il martirio pel patriottismo si debbano calcolare in ultimo luogo... Vi si calcolasse almeno! La invenzione fu perché meglio si andasse a seconda degl’impegni e degl’intrighi. Infatti l’ultimo luogo si inette tanto nell’ultimo, che non si vede più affatto! — Anche cosi si cavalcano i patrioti, ed anche cosi si cavalca la capra. io verso il chino!

L’on. sig. Rattazzi dice che rinnovandosi il brigantaggio dobbiamo pensarci noi, trattandosi della nostra vita e della nostra roba: ma che sarebbe se per salvare l'una e l'altra, tra la disperazione ed il tradimento, tra il disordine ed il disinganno, tra gl’incendii e la strage si trascurasse l'Italia una? Siamo certi che tutti pensano come noi ed iu qualunque caso?—Siamo sicuri che tutti preferiscono a tutto l’unità? Chi non ha idea del brigantaggio, che si potrebbe rinnovare tra noi, crede che si tratta di semplici ladri Continua l’oratore e dice: il brigantaggio un tempo era scala al trono ma quel tempo è passato — Dio lo voglia, ed io spero, ma è pur troppo nella storia che i tristi tempi tornano con più frequenza de’ tempi felici, e più se domina la corruzione e se agisce la superstizione. — Ben dice però in seguito l'egregio sig. Rattazzi: è dovere del governo il far cessare il brigantaggio, e (mi si permetta di aggiungere) far di tutto onde non più risorga. — Modifica l'on. deputato la politica, che fu per noi pomo di discordia, e contro di cui scrissi a bastanza (voti ec.). Vuole con noi, anche coloro che sostengono una opinione, che non sia la nostra, e dice che quando il paese sarà costituito, allora sta bene che coloro si lascino in disparte. Almeno il sig. Rattazzi ha la virtù di non fingere e di essere chiaro; ma come possono essere con noi, e più nei momenti di pericolo, coloro che non hanno la nostra opinione? Non è questa (bisogna ripeterlo mille volte) la suprema regina che ci spinge dove vuole, anche nostro malgrado? Quantunque rimasti al potere, gli uomini di diversa opinione videro benissimo, e dal primo momento, che debbono restare tra noi solo per simulare o dissimulare, e fino alla completa rivoluzione, o alla piena reazione. Videro, sapendone assai più di noi, che un Governo, ch'è ingiusto cogli amici, non può essere giusto, coi nemici... Preveggono anche quello che non può essere nella mente del Be galantuomo, perché misurano gli altri da loro stessi, e soffrono póne infernali nello stato che dicono provvisorio. — Io dissi, e bramo ardentemente, che si stabilisca una politica alquanto diversa... Quando il paese sarà costituito, allora sta bene che tutto il passato si dimentichi; ma non bisognava dimenticarlo, o peggio, fer mostra di dimenticarlo fin da principio. Costituita l’Italia un’amnistia generale farebbe rientrare ogni cittadino nella pienezza de’ suoi dritti, e sarebbe ciò un mezzo onde prima ognuno stia tranquillo ed ubbidiente alle leggi. Si compensi da ultimo ciascuno della utile rassegnazione o si punisca della dannosa pertinacia. I premii e le pene produrrebbero un felice risultamento, ma si errò fin da principio.

Dice infine l'ottimo sig. Rattazzi: la concordia è indispensabile perché si organizzi il paese; ma dove si sono gittati i semi della discordia non è facile farne nascere la concordia.

Il sig. Rattazzi ed i migliori patriotti dell’alta Italia, ed anche i signori Ministri, che sono stati in Napoli, non possono conoscere i Napolitani. I Ministri p. e. de’ lavori pubblici e della giustizia, sono ottimi ed accortissimi, ma è quasi certo che saranno stati circondati solo dai buoni e forse anche da taluno atto a dir paroloni: ma è immaginabile che in Napoli volevano parlare perfettamente chiaro ai signori Ministri per far conoscere il loro paese?

26.° — Conchiusione per la quistione Napolitana

I deputati del Parlamento, ed i Ministri, hanno impiegato molti giorni per ispiegare le cause del malcontento nel Napoletano. Non v’è stato alcuno però, per quanto io sappia, che abbia saputo o voluto indicarne la causa principale e molto meno v'è stato chi ha saputo additarne un’efficace rimedio per quella gente grossolana, ignorante ed orgogliosa. Io ne cennai vani (voti ec.) ma il rimedio migliore era quello del sig. Marchese Dragonetti. La mancanza di una Corte agita pur troppo il fanatismo di quell’immenso popolo, e su dò non tutti sanno o vogliono prevedere le conseguenze. Il cennato sig. Marchese scrisse a tempo, e con molto senno, al fu sig. di Cavour, che avrebbe voluto in Napoli S. A. R. il Principe Umberto, cioè il Principe ereditario del trono d’Italia. Il Marchese gli avrebbe voluto dare un Consiglio di Reggenza, e, dice con Macchiavelli, non chiamandovi i reduci dall’esilio, per cui con abnegazione oggi inaudita, se n’escludo a anch’egli. Io ora modificherei questa idea a segno di dare a quel Consiglio la forza di una semplice consulta ai Ministri ed al Parlamento, ed anche senza pubblicità, nelle occorrenze, ma in modo che i governanti prendessero le petizioni del Consiglio di Napoli in vera e seria considerazione; mentre quantoppiù quel Consiglio sarebbe sentito dal Governo tantoppiù la perfetta assimilazione si farebbe con calma e sollecitudine... Amerei che i rappresentanti della provincia e del Municipio di Napoli riuniti, formassero p. e. nove terne di Consiglieri del Principe, scegliendo i signori Napoletani che godono la migliore opinione pubblica, e che sieno i più savii, i più popolari ed i più amanti della patria. Da quelle terne il Re sceglierebbe nove Consiglieri, e questi (che colmerei di onori, appena se ne rendessero degni) formerebbero il Consiglio di S. A. R.

Vorrei che solo avessero una buona gratificazione e che spesso si riunissero con dignità nella Reggia. Tranquillità, sicurezza, felicità del paese... lavori necessari! e continui per formare l'Italia una ed indipendente... educazione e miglioramento di fortuna pel basso popolo e per i poveri... abilitazioni in tutto e più per affari di commercio, di beneficenza, di Stabilimenti pubblici... Ecco i primi sacri e nobili oggetti, che dovrebbero occupare incessantemente il Consiglio del giovane Principe, nella prima delle nostre Metropoli... Ma mi sia lecito dire un’altra verità ben dolorosa. Perché non si pensa (lo scrissi e l’ho ripetuto) a donare ai poveri di Napoli, e specialmente se sono alquanto benemeriti, quelle casipole, che si avrebbero con pochissime spese in tanti luoghi spopolati delle provincie? Perché manca tra noi il vero e generoso patriottismo... quale grande e primario oggetto di beneficenza sarebbe mai pel Principe Ereditario! L’umanità darebbe la mano alla giustizia ed alla politica!

Il Presidente del Ministero, l’egregio Sig. Ricasoli disse al Parlamento parole santissime, che, se si fossero dette e messe in pratica da principio, l’Italia a quest’ora forse sarebbe consolidata; e senza forse, il malumore non avrebbe distrutto l’entusiasmo. Egli diceva. «Dichiara solennemente per mia bocca il Ministero (che ora ha l’onore di reggere i destini del paese) che non transigerà mai con coloro i quali furono pel passato i satelliti, gl’istrumenti del dispotismo (bene, bravo da tutt' i lati della Camera). — Fin d'ora dichiara il Governo che sarà lieto di stringersi con tutti quelli, i quali hanno nel cuore sinceramente il patriottismo, che qui tutti abbiamo giurato (Bravo) -— In questo solo sta, signori miei la verace concordia, ma questo, ho la coscienza di aver sempre mantenuto e manterrò». (Segni di assenso).

A queste belle parole, nell'ex Reame corrispondono i fatti? Vediamone uno solo, e già per Napoli, che sommamente ci deve interessare.

Quanto, per l'ultima volta, il Governo borbonico incominciò a sentirsi cadente, non aprendo mai gli occhi per leggere che le istituzioni libere sono ora necessarie anche nella Monarchia, come lo spiega Guizot; quando per tenersi sempre attaccato alle istruzioni Austriache, volle meglio rincrudelire, mandò in questa infelice mia patria (la città che più odiava) un ossesso, il quale, per volere la proprietà dì una carico, divenne anche frenetico... Il giovane Aless:; a cui l’Intendente faceva provar durissima fame, emigra con regolare passaporto e va a trovar Garibaldi, assai prima della celebre andata in Sicilia — Per suo dovere il giovane scrive al padre, dandogli nuove di sé; e saluta, come al solito, i zii e gli amici. Solo per questa innocentissima e doverosa lettera, l’impiegato di cui parlo, fa ammanettare e gettare in duro carcere quel padre, quei zii, quegli amici ed altri non solo non nominati; ma neppur noti all’Aless: il prelodato signore faceva tutto nel suo particolare interesse! Fece eseguire rigorosissime perquisizioni in molte case, solo per trovar cosa, che l’aiutasse a salire nella proprietà dell’impiego. Nulla trovò di criminoso, ed intanto mise sossopra, di giorno e di notte, la Città, che stava tranquillissima — L’impiegato, per quei non fatti, mette in disperazione molte oneste famiglie e mette in belle speranze i giovani novatori.

Uno di essi in Atri fa trovare affissa una carta, dov’è scritto «Viva Vittorio Emmanuele» — L’impiegato và nelle furie, và in Atri per ridurla in cenere... Dio lo frena tenendolo colà moribondo, per infermità acquistata nell’intempestivo viaggio... Ma torniamo agl’infelici carcerati Teramani — Dopo lungo tempo ebbero tutti la libertà assoluta dalla G. C. C. e dal Giudice locate. — Era tra essi un vecchio padre di famiglia, (il signor de F.) reo di aver dato una elemosina all’Aless: quando, elemosinando, partiva da Teramo — De F., dopo giudicato, e trovato innocente, faceva suppliche e premure per tornare a casa, perché infermo nel pestifero carcere, e. perché bramava di curarsi — Mancava solo ii biglietto di scarcerazione, che non si negava dalla polizia al dichiarato innocente e nella piena mancanza di fatto criminoso. De F. voleva dare anche qualunque garanzia o cauzione, voleva tenere a sue spese i gendarmi in casa, onde lo guardassero; e voleva fare quanto altro si poteva ordinare dall’Autorità. Gridando e gemendo diceva «Muojo in questo carcere se non torno presto a casa L'impiegato ce lo fece morire... Ottenuto quel barbaro trionfo mandò, quasi per ischerno, il biglietto di scarcerazione... Quale pena ebbe quel Signor nel cambiamento che ci portò dalla tirannia alla libertà?.. Ebbe aumento di soldo ed in Napoli, dove (se si esclude il signore La Marmora che non conosce il personale) occupa il primo posto quasi fosse un Vice-Re! Il Marchese Rodio era Presidente in Teramo dopo il 99 — Venne l'indulto per i politici, mentre il Presidente pranzava... Fa andare i piatti per aria, lascia tutto, corre alle prigioni... Siete liberi, esclama ai detenuti me ne rallegro, andate dove volete... Il Marchese che scarcerò subito molt’imputati, fu fucilato, come ho detto; e l’ipocrita che fece morire di crepacuore un vecchio innocente, n’è premiato... I Francesi per distruggere il brigantaggio fucilarono Rodio. Oggi per distruggerlo, una col malcontento dei Napoletani, si dà ad essi per governarli chi è, ingiusto ed inumano. — L’innominato sa bene ingannare i suoi Calabresi, che per essere buoni, lo credono buono.

Ma dove andremo a finire in questo modo? Questi fatti come si accordano colla dichiarazione solenne del nostro Ministero di non transiger mai coi satelliti e cogl'istrumenli del dispotismo? L’esaltamento di un tristo, ed ora in Napoli è nei.. primi ufficii, ci fa perdere da vero una miriade di patriotti.

Il deputato sig. Panieri, nel Pungolo de’ 18 dello spirante mese ed anno, dice anche. troppo per dimostrare che finora s’è avuta una politica totalmente opposta e contraria a quella da battersi — Continua e dice: che da Napoli a Portici v’è un milione di malcontenti... e che nello stesso tempo v’è ferma, inalterabile, invincibile, sempiterna e sacrosanta fede nella unità della patria... Come si spiega questa contraddizione? Mi fiderei di spiegarla, almeno in parte, ma non tutto è bello a dire.

27.° — Differenza de'  tempi

Si dice con orgoglio: il popolo dell’860, non è quello delI’ 806... Sta bene, e per questo non dobbiamo ringraziare i pochi vecchi rimasti in vita, che produssero le grandi ed utili rivoluzioni, a partire da quella delle idee... ma dobbiamo denigrarli e calunniarli per far mostra di essere migliori di essi, ora che impunemente si può chiacchierare, e che da ciò tutto si spera. È la smania di’ innalzarsi, dice Guizot, ed è il desiderio di abbassare chi trovati innalzato.

I vecchi però, in tutto questo secolo, hanno costantemente lavorato pei bene della patria, stando come dicesi, colla mannaja del carnefice sul collo. Sono stati intrepidi, perseveranti, ed anche temerarii, nel volere educare ed illuminare il popolo, coll’esempio, col contegno, colla ragione e con ogni sorta di sacrificii. La longanimità era la loro divisa, l’abnegazione era la loro bandiera. Ora vogliamo tutto, tutto per noi, e quindi tutto in. una volta..... Attacchiamo di fronte anche il Marchese Dragonetti, perché Indicava la via da tenersi, e perché ha fallo le sue lamentazioni qual novello Geremia. — Ora sento che il Nomade copiava l’articolo del cattivo esempio dalla Monarchia Nazionale di Torino.... Temo forte che il ripetuto sig. Marchese non volendo, si fece I nemici, o per dire la destra a V. E. devota, o per dire» dei signori emigrati, citando Macchiavelli, o per dire hanno fatto cattiva prova»... e che so io... Ma che colpa hanno i vecchi se debbono essere le Cassandre? Declamano perché preveggono le conseguenze degli errori, perché bramano di farli evitare, perché anelano di vedere prodotto il bene, e non il male, da un’opera di cui, per lo meno, hanno la massima parte.

Mi si perdoni se torno ai libri, che poco si leggono; ma non posso astenermi dal riportare qui due sonetti del sommo Alfieri. L'uno descrive il falso liberale, l’altro il liberale vero.

I.

«Uom, che devoto a libertà s'infinge

«Vile all'oprare, al favellar feroce,

Profano ardisce, con mentita voce,

«Dirsi un di quei, cui l'alta Dea costringe.

«Sola natia bassezza a ciò il sospinge,

«D'altrui pensieri usurpator veloce;

«Dotto in latrar, dove il latrar non noce,

«Degli affetti non suoi se stesso pinge.

«Timido incerto intorno a se sogguarda,

«Lontani addenta e prossimi lambisce

«I grandi, ognor con libertà bugiarda.

«L'occhio, il contegno, il dir, tutto tradisce

«Del reo liberto l'anima codarda

«Cui Schiavo in fronte la viltà scolpisce.

II.

«Uom di sensi e di cor libero nato,

«Fa di se tosto indubitabil mostra,

«Or co' vizii e i Tiranni ardito ei giostra,

«Ignudo il volto e tutto il resto armato:

«Or pregno in suo tacer d'alto dettato,

«Sdegnosamente impavido l'inchiostra;

«L'altrui viltà la di lui guancia innostra,

«Nè visto è mai dei dominanti a lato.;

«Cede ei talor, ma ai tempi rei non serve,

«Abborrito e temuto da chi regna

«Non men, che dalle C schiave alme proterve.

«Conscio a se di se stesso, uom tal non degna

«L'ira esalar, che pura in cor gli ferve;

«Ma il sol suo aspetto a non servire insegna».

Ciascuno può veder bene il suo ritratto in questi tratti. Chi non si vede nel secondo, non sia tanto nel favellar feroce.

Chi raccogliendo la trista eredità, degli eroi del 799, lavorando sempre nelle pene e nei pericoli, or ora cennati, ha riunito, diciamo così, immenso combustibile in tanti anni, non ha alcun merito. Chi ha ordinato di accendersi il fuoco, o che solo lo ha veduto ardere, e ne ha profittato, è un’eroe... Sia pure, ma se lungi dall’alimentario si vuole spegnere, non torniamo noi alle orribili tenebre? — È duro Io scorgere un malcontento ed è durissimo vederlo nascondere da chi dovrebbe indicare i mezzi opportuni per darci riparo.

Ci vuol poco per perdere un popolo, e, quando non si pensa a guadagnarlo, non è il brigantaggio che fa la scala al trotto... Sì, non siamo nei tempi dell’806, non siamo nel 799, ma taluni ci vogliono mettere in condizioni tali, che non mi dà coraggio parlarne... Ho udito uomini di tutte le condizioni e di tutte le provincie dell’ex Reame... Non si dica che mi metto in contraddizione con me stesso — Altrove parlai del fatto, e del grande Iddio che ci ajuta. Qui accenno ai mali, che si potrebbero verificare, ed alle cose da farsi, onde prevenirli. Qui fo il caso, non raro, che il giusto Dio si stanchi per le nuove colpe dei falsi liberali. I migliori patriotti sono disgustati, i più tristi borbonici sono insuperbiti: i primi non veggono alcun compenso al vero amore di patria, i secondi (guardando solo un nuovo palazzo di un Generale in Napoli) veggono come dai Borboni si compensavano i briganti. — Massimo stimolo a mal fare per essi, massimo controstimolo a ben fare per noi. Come si forma cosi una Nazione di venticinque milioni d’Italiani? L’illustre signore Rattazzi dice La concordia è indispensabile perché si organizzi il paese... Ma dove sono gittati pur troppo i semi della discordia come può nascer subito la concordia?

28.°— Un fatto mio

Ecco uno solo dei mille fatti che mi riguardano — Io, che, nell’ex Regno, non sono secondo ad alcuno per continui patimenti e per nessun compenso; io che fin dai tempi di Murat agiva per la nazionale indipendenza; io che allora, per essa, era forse il solo a tener corrispondenza tra l'Italia meridionale e l’Italia settentrionale; io ch’ebbi udienza da Ferdinando 1° e più volte da Ferdinando 2°, e per ben diciassette volte dal Ministro del Carretto, e sempre per le mie politiche sventure; io, che qual deputato della mia patria, faceva omaggio al Re Galantuomo, quando per la prima volta veniva tra noi; io infine, che avrei dovuto essere raccomandato almeno per l'età, per i bisogni e per tanti mali fisici e morali; io in Napoli, malgrado tante suppliche e tante insistenze, non ebbi mai neppure l’onore della udienza da un signore Nigra, a cui voleva parlare pel bene dell’Italia; né dal signore Conte Ponza di S. Martino, a cui infine, scrissi a stampa, inutilmente per me, ma utilmente pel mio borbonico calunniatore, che fu promosso nel suo impiego. Chi poteva capire che dimostrarsi, anche colle stampe, vecchio e moderatissimo patriotta, lungi dal servire per l’udienza, era mezzo efficace per non averla? — Non parlo degli altri signori Luogotenenti, a cui non feci domanda.

Nulla dico dei Dicasteri di Napoli... Non parlo delle bestemmie di taluni infelici, che, come me, avevano trascinate le dure catene, quando, nel cadente anno i Sergenti Dicasteriali ci chiudevano i cancelli in faccia, e quando trovavamo chiuse le porte Dicasteriali... e noi andavamo nei giorni ed ore di udienze, ma le trovavamo cambiate... Se nei casi rarissimi, tra una immensa turba di giovani avvoltoi, si giungeva a dire una parola a qualche autorità, si doveva sentire un dolore più grande... Come non generarsi il malcontento?—In quanto a me ho avuto solo un nuovo disinganno, ma non oso lagnarmene. Ho riparato sempre, quando ho potuto, e qualunque disordine, e spero, ripararci per tutta la vita; ma il torrente straripa, se non ha mai il suo corso ordinario.

In Napoli, nel 48, dissero molto male del Ministro Bozzelli, eppure Bozzelli aveva sempre sott’occhio l’esatta nota de’ migliori patriotti del Regno, ed anche per gli accurati lavori che ne aveva fatto eseguire nella polizia generale. Egli animava un carteggio amichevole con essi e lasciava tutto, (anche dopo, il 15 maggio) quando si trattava di ascoltarli. Anch’io ebbi più volte quell’onore in quell’anno del disordine. Perché non accordarcisi nemmeno l’udienza nel 60 e nel 61?

29.° — Circolare di S. E. il Presidente de’ Ministri

In una Circolare dell’Ecc: Presidente de’ Ministri, de’ 20 dello spirante dicembre, diretta ai signori Prefetti delle provincie, si dicono ottime cose; come p. e., doversi coltivare relazione colle persone, che hanno più credito nelle provincie... accettare tutte le cooperazioni oneste e disinteressate... ed atte a produrre il miglioramento della cosa pubblica, e che per tanto ottenere i signori Prefetti debbono essere in relazione con coloro, che hanno dato segno di coraggioso patriottismo. — Ma questi uomini difficilmente accostano le autorità.;. Per lo, contrario gl’intriganti, oggi camuffati da liberali non solo accostano, ma quasi assediano, tra noi, gli agenti del Governo — Come debbono fare i signori Prefetti per distinguere i buoni dai tristi? — Qui sta il per tutte le provincie, e specialmente per la provincia massima, ch'è Napoli. Il 1° mezzo, per conoscere i migliori ce lo ha gentilmente favorito la passata polizia. È quello di cui si avvalse il Ministro Bozzelli, come ho detto poc’anzi. Il 2° sta nei riportati sonetti dell’Alfieri, e specialmente nel verso.

«Nè visto è mai dei Dominanti a lato».

— L’uomo onesto e liberale è dignitoso è quasi eremita, è quasi annichilato, lo che piace tanto alla consorteria. Si vada dunque a trovare, ed a rianimato il merito dova età — 3.° Il liberale vero non ha vagato mai nei partiti estremi e nocivi —4.° Bisogna trovare chi sappia e voglia fare il bene, e quindi non si vada, per quanto si può, tra la gente nuova ed i sùbiti guadagni; ma si trovino coloro che i segni di coraggioso patriottismo l’hanno dato lungamente, costantemente, sul campo di battaglia, contro il dispotismo e per solo amore di patria. Questi uomini tantoppiù sono rari, tantoppiù sono utili alla Nazione — 5.° Non si abbia tanta avversione per i capelli bianchi. — I vecchi direbbero chiaramente, e più in Napoli, le cause del malcontento; e meglio di ogni altro darebbero nel segno, circa i rimedii, per farlo cessare — 6.° Si badi pure che la nobiltà in Napoli dava il suo sangue nel 799, per la santa causa, e nel secolo corrente s’è mostrata sempre moderata — 7.° I liberali vecchi, ricchi, nobili, e che godono tutta la stima del popolo sieno preferiti a tutti... mulgitque animos et temperat irae.

Se non si vorrà adottare l’idea di dare, in Napoli, un Consiglio ai Principe ereditario, sarà cura del Prefetto di supplire ai Consiglio col farsi circondare dai veri patriotti. Ma se il Governo non dà ad essi una veste ed un incoraggiamento, non si và avanti neppure per questa parte — Ecco perché sono tre o quattro mesi da che supplicai il Ministro, dando talune mie idee sull’oggetto, ed a quelle idee pienamente mi riporto.

30.° — Il regresso

S’è detto di sopra che il popolo dell'860 è nel progresso... SI, ma a nostra vergogna; perché noi non sappiamo dargli buoni esempii, e perché il liberalismo nei gentiluomini, che si fan sempre avanti, è nel vero regresso. — Nel 99 (ormai è detto proverbiale) avevamo i veri eroi, nel-l’820, avevamo uomini degni di libertà. Che si deve dire delle epoche più recenti? — Ci vorrebbe un grosso volume per tutto dimostrare... Non tutto è oro quello che luce.. S’intende che io parlo sempre dell’ex Reame di Napoli.

31.° — La Lira

Era sotto il torchio, ed in Napoli dove stampo, la lettera num. 22. La nuova moneta, quando ho saputo esservi già una legge che ci obbliga ad avere la lira eguale al franco.

Ora dunque il mio desiderio resta ex-desiderio anche per questa parte. — Alla legge tutti dobbiamo piegare la fronte. — Prego gli abitanti di queste provincie a mostrare anche in ciò la massima rassegnazione, ed anche per carità di patria. — Supplico dall’altra parte il Governo, onde le piccole nostre monete, cioè un quattrino, due, tre, e quattro quattrini, per legge, sieno equiparati ad uno, due, tre e quattro centesimi per i soli aggiusta-conti, onde non sorgano quistioni nel basso popolo.

32.° — Cose diverse

Torno a dire due sole parole per l’ottima armata, ch'è prima speranza della patria, dopo Vittorio Emmanuele e Giuseppe Garibaldi..

L’armata di Annibale non era men prode della nostra, eppure si perdè in Capua, come tutti sanno. Napoli di oggi è peggiore di Capua dei Romani, ed anzi oggi ogni Città della Italia Meridionale è una Capua. — È utile quindi, ed anche per altre ragioni, di cui per brevità non parlo, che corpi di armata non restino lungo tempo in un luogo.

Non mancano coloro che fanno combriccole per denigrare i buoni e gli onesti. — Non mancano coloro, che si mostrano zelanti ed hanno la repubblica sul labbro, e la reprivata nel cuore — Non mancano impertinenti, che brigano e concertano i modi, onde rovinare le famiglie dei voluti borbonici, e con mezzi infernali, angustiano i tranquilli cittadini. Non mancano i calunniatori per conquistare gl’impieghi — Ecco altre svariate, e non piccole, cause di malcontento. — I briganti dei paesi non sono meno nocivi dei briganti delle campagne — Che si deve fare per frenarli? — É necessario un castigo esemplare, e più se i rei sono in carica.

Ormai il partito moderato ha veramente la missione di compiere e salvare l'Italia. Deve destarsi, deve fondersi nel Governo, deve distruggere i partiti estremi, il dispotismo da una parte e l’anarchia dall’altra. Mi addolora il dirlo, ma i moderati, per eseguire un’opera si grande, debbono innalzare per poco una bandiera non propria dove stia scritto: veteres ferendo novae invitantur injuriae. La stampa, la ragione, la costituzione e la giustizia del Governo, che dovrà ajutarli, sieno le loro armi.

L’essere sempre e troppo buono, è altro fonte di sventure per la patria. È tempo di cambiar sistema. È dovere di un buon cittadino di combattere gli eccessi, che sono le prime remore della concordia. È suo dovere di smascherare taluni e d’illuminar tutti, ed anche la storia, l’onesta censura fu sempre utile pel buon Governo. Dio nol voglia, ma riprendendo la penna, sarei trascinato chi sa dove da questo dovere, che mi pesa sull’anima.

33.°— Il trentuno dicembre 1861 in Teramo

Io aveva fatto proponimento di gittar via la penna, e forse per sempre, prima che spirasse il 1861. Ben presto però debbo riprenderla.

Un concerto clericale ed un concerto popolare abbiamo veduto in questa provincia nell’ultimo di dell’anno, il primo consisteva nel doversi astenere i preti dal nominare il nostro Re, nel ringraziamento all'Altissimo, pel fine dell'anno = Il secondo è stato per ispargere voce allarmante pel voluto aumento del prezzo del sale; e quindi s’è veduto un principio di agitazione popolare, che, nulla da principio, poteva finire con disordine. Vi fu vendita di moltissimo sale prima che venisse il primo albore del 1862.

Sia lode al nostro Prefetto di Governo della provincia signor de Caro,  il quale, solerte sempre, è stato solertissimo nella indicata circostanza. — Tutto ha preveduto ed a tutto ha riparato, ed anche con apposito ed eloquente manifesto. Anche questi due contemporanei tentativi dicono qualche cosa, e specialmente perché fatti dove le autorità sono vigilanti, dove ora non v’è brigantaggio, ed anzi v’è molta guardia mobilizzata e la brava truppa di linea.

La temerità è sempre notabile, e dal poco si può calcolare Tassai, che forse stà nella mente di non pochi.

Profitto di questa occasione per dare un tributo di lodi ai signori Deputati Mandoi-Albanese, Pepoli, de Blasiis e sopra tutti al signor Plutino, che si opposero nel Parlamento, alla idea di aumentare il prezzo del sale, pel decimo di guerra. Deve pensare a quell'aumento, chi ama fare il piò grande dei benefici ai nemici d’Italia; come, per lo contrario, fa ad essi il massimo de mali, chi ribassa il prezzo del sale.

Mi reca anzi sorpresa come non si voglia pensare a questo sublime mezzo, per guadagnare un immenso popolo. — Ne parlai a lungo nel Capitolo 3.° de’ voti e speranze, ne ho riparlato nella lettera pel popolo Siculo Napolitano, ma sempre inutilmente. Giovasse almeno il pensare colla politica moderna!!.. Messo a ribasso il sale, basterebbe una voce di nuovo aumento, per tutta l'Italia, e ben tosto se ne venderebbero delle montagne, che non ne mancano!!!

— Trovo notabilissimi i disordini, (tanto bene indicati dall’on. signor Plutino) che si veggono in Sicilia, ed i contrabbandi, che si fanno nelle Calabrie, pel sale. Se questo si vendesse più a mercato, quei disordini e,quei contrabbandi scomparirebbero. — Le difficoltà che si fanno nascere, contro i miei voti, per questa parte, credo di averle spianate pienamente fin da principio, e credo di avere indicato buona parte dei vantaggi che ne avremmo; e più per la sospirata e sempre ripetuta concordia.

Vogliamo roba e figli dal basso popolo, vogliamo che operi e pensi come noi, vogliamo che ad un tratto dimentichi ogni amore, ogni passione per gli uomini e per le cose, vogliamo che cambii tosto usi e costumi civili, politici e superstiziosi; e poi, in compenso, vogliamo continuare a vendergli caro il prodotto dell’acqua del mare di cui quasi non v’è che fare elle Puglie, nelle Calabrie e nella Sicilia? I miei sentimenti sono notissimi. Io scrivo perché, per troppa fiducia, non si chiamino novelli malanni sulla misera Italia.

Teramo 3 gennajo 1862.

FINE.

INDICE

Lettera pag.
1.° Un cattivo esempio 1
2.° Il popolo Siculo-Napolitano 8
3.° Età giovanile. 11
4.° Uomini nuovi 13
5.° Antiveggenza, sperienza, prudenza 14
6.° Andar lentamente e per gradi 15
7.° Virtù e vizii 16
8.° Buoni libri e non giornali 17
9.° Rimedii 18
10.° Continua — Rimedii ivi
11.° Continua — Costumi 20
12.° Opinione ed educazione 21
13.° Il Generale Garibaldi 23
14.° La moderazione 24
15.° Religione e Clero 25
16.° L’Austria e Mazzini ivi
17.° Riforme, astuzia, malizia, lusinghe, amore della umanità 27
18. Signoria dell' ingegno ivi
19.° L’impiego 28
20.° Pio IX 29
21.° Continua 31
22.° La nuova moneta 32
23.° La questione Napolitana 34
24.° Continua 40
25.° Continua 42
26.° Conchiusione per la quistione Napolitana 44
27.° Differenza de’ tempi 47
28.° Un fatto mio 50
29.° Circolare di S. E. il Presidente de' Ministri 51
30.° Il regresso 52
31.° La Lira ivi
32.° Cose diverse ivi
33.° Il 31 dicembre 1861 in Teramo ivi

ERRATA CORRIGE

Pag. Verso

3

5

egregario

e gregario del
A 44 dìsbieco di sbieco
3 ult. e fa o fa
6 3 se mai io se… ma io
d. 5 imbrevi in brevi
d. 8 del senno secolare e del martirio del semi-secolare martirio
7 11 clericale clericali
d. 28 moti modi
8 24 Qualterio Gualterio
18 17 ne’ primi tempi ne’ nostri tempi
19 16 novis sensis novis causis
d. 19 Martinelli Machiavelli
d. 36 del Bruto di Bruto
20 3 dei Capi del Capitolo
21 12 (a)
23 22 far dar
24 3 tempi divisi tempo di crisi
d. 16 Costantino Cantalupo
d. 28 essi esso
25 14 Stume Hume
d. 27 esultazione esaltazione
d. 33 1.° Mazzini signor Mazzini
26 9 eripte cripte
d. ult. l’uomo l’uovo
27 3 ugel Angel
d. 3 Uovo ovo
d. 31 Bisognava bisogna
d. 32 delle plebe della plebe
d. 37 ingegno ingegno...
2$ 22 Blande Biande
d. 37 impiegati impieghi
29 18 Qui Ivi
30 23 s’immerse s’immerge
31 1 crederlo vederlo
d. 22 quando quanto
d. 24 conoscono conoscano
38 26 Soggiunge Soggiunsi
d. 29 l’Onore l’Oratore
39 7 405 quattro o cinque
40 25 del al
42 10 vedemmo vedremmo
d. 15 debba debbano
45 40 Quanto Quando
46 ult. Presidente Preside
47 1.° Presidente Preside

(a) Sentenza ripetuta per errore, meno male, anzi sarebbe bene ripeterla spessissimo.

















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