Eleaml - Nuovi Eleatici


Si ringrazia la Biblioteca Alessandrina che ci ha autorizzato alla pubblicazione di una serie di articoli sul Mezzogiorno, tratti dai giornali TERRA NOSTRA e L’AZIONE CALABRESE del 1914, la cui lettura consigliamo agli amici naviganti.

Gli originali in formato JPG delle pagine del giornale sono consultabili all'indirizzo:

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Zenone di Elea - Luglio 2015

Fonte: TERRA NOSTRA, n. 6, 1914 -  https://www.alessandrina.librari.beniculturali.it/

La seconda fase del problema meridionale

Come l'on.  Ruini traccia il disegno dei nuovi bisogni e dei nuovi rimedi

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L’on. Meuccio Ruini, che è oramai una buona e cara conoscenza per tutti i Calabresi, in una conferenza tenuta a Milano ed a Roma, ad iniziativa dell Associazione per il Mezzogiorno, del cui Consiglio direttivo egli fa parte, ha magistralmente tracciato un quadro vasto e compiuto dei nuovi aspetti del problema meridionale, dopo quindici anni di molte esperienze e di moltissime parole.

 Ci siamo procurati un larghissimo sunto della conferenza, e lo pubblichiamo, sicuri di fare un vero regalo agli studiosi. Ai nostri lettori di Calabria — a quelli sopratutto che hanno la...  bella abitudine di saltare a pie' pari gli articoli lunghi — rivolgiamo l'esortazione di leggere attentamente e di meditare su questo magnifico documento, che è destinalo a segnar l'inizio di una nuova èra nel campo delle attività rivolte a favore del Mezzogiorno. In esso i problemi, nostri sono riguardati da nuovi e più precisi punti di vista. L'on. Ruini ha tesaurizzato quanto l'esperienza è venuta insegnando in tanti anni intorno alla fallacia di talune direttive, ed indica le nuove vie da seguire. Ecco perché il documento che pubblichiamo è importantissimo.

Segnalandolo all'attenzione dei Calabresi, non abbiamo bisogno di aggiungere parole di lode per l'autore. Meuccio Ruini è oramai largamente conosciuto ed amato in Calabria. La sua geniale attività, che noi siam venuti illustrando e commentando in queste colonne, gli ha guadagnato i migliori titoli alla nostra riconoscenza e al nostro affetto.

Ed ecco la conferenza.

Come risorge la questione meridionale

L’oratore comincia, osservando che un recente episodio parlamentare ha rimessa sul tappeto la questione dea Mezzo durante la guerra libica. Bene è risorga come coscienza di un compito che è preminente nella vita italiana, ma convien dar opera acchè astii ed equivoci non la avvelenino ed esasperino ned gorghi del regionalismo e della partigianeria politica. L’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno si sforzerà di dire una parola serena; essa si compone di nomini di ogni partito e di ogni angolo d'Italia che sentono il diritto ed il dovere di occuparsi di una questione come questa che è essenzialmente nazionale. Non è senza significato che la seconda fase del problema dal Mezzogiorno si apra forse oggi, a Milano; e l’Associazione farà propaganda perché sia seppellito il luogo comune del Mezzogiorno peso morto d’Italia, perché sia chiaro e consaputo l'interesse che l'alta Italia ha nell'esser congiunta al sud ed i vantaggi che ne ha tratto, e perché gli uomini del nord si appassionino all’argomento con semplice fervore, senza quelle arie di patronato e di protezione che urtano i fratelli meridionali più dell'offesa e dell’ingiustizia sostanziale.

Esamina l'oratore come la  questione possa porsi, questa volta, con caratteri in parte diversi, da quelli con cui si pose, quindici anni fa. Meno a frammenti; con minore accentuazione ed esagerazioni (forse necessarie allora ad attrarre la mente del pubblico), temendo conto del più vasto materiale raccolto e sovratutto dalla esperienza concreta. La riaffermata valorizzazione dall'idea nazionale può consentire tentativi ed ordinamenti che non parvero possibili pel passato. Bisogna sovratutto sostituire al lamento ed alla generalizzazione vaga delle proposte precise; è lo spirito di concretezza che deve informare e dirigere la nuova vita italiana. Chiusa è la fase letteraria brillante, pseudoscientifica della questione del Sud: l’oratore con rapida e sicura analisi mostra come siasi abusato dei risultati della geografia e dell'antropologia, divenute dottrine di antinomie regionali per trarne note di pessimismo sconsolato. Se vi sono due Italie, la Padania e l’Appenninia, la continentale e la mediterranea, quella del burro e quella dell'olio, come dicono i geografi, non è vero che la seconda sia dannata alla miseria, sebbene l’abbiano con amara voluttà ripetuto tanti meridionali. L’on Ruini, esamina le differenze effettive non solo tra nord e sud, ma fra regione e regione del mezzogiorno; osserva che accanto al problema di latitudine v’è quello di altitudine, ossia della montagna che è povera sotto ogni cielo; e nota che nelle piane del sud, ove piove poco meno che in quelle del Nord si può con il lavoro assiduo dà più generazioni evitare la dissennata dispersione della dovizia idrica, e conquistare la fertilità, come avvenne nella Olanda italiana, nella valle del Po, fabbricata veramente dai suoi abitatori che non sono figli, ma padri del suolo da essi creato. E se il Nord ha il privilegio di una posizione favorevole nel continente, l'Italia che non ha finestre nell'Oceano ed è essenzialmente mediterranea, non può progredire che sviluppando lo sue attività marinare e spostando, sempre più in giù il suo asse, economico; ciò che per vari segni si comincia a verificare, mentre in questi giorni è forse men rapido il ritmo di accelerazione progressiva di alcuni centri industriali del nord.

Eclitismo di sforzi

Troppo, si è cercato, nel passato, la ricetta unica, lo specifico meraviglioso e solo per i mali del Mezzogiorno; ma le soluzioni unilaterali si son rivelate insufficienti e caduche. Tutto si sperò, un tempo, dal credito, ma oggi molti, disillusi dal malo esperimento fatto, per mancanza di fiducia solidale dei proprietari, ne diniegano (ed hanno torto) ogni effetto utile. Poi si predicarono gli sgravi; ma quelli due volte concessi — lo dicono Faina e Cavasola — non diedero sensibile vantaggio alla terra, forse perché male congegnati ed elisi dalla corsa delle sovrimposte. Tutte le popolazioni vogliono lavori, ma parecchi liberisti (Salvemini, De Viti) li dicono denaro buttato via. Or è la moda dei boschi; che sono una necessità assoluta, ma non bisogna neppure crear soverchie illusioni, perché economicamente il bosco non è quel buon affare che si dipinge, e perché non è neppure, dal punto di vita idrogeologico un vero toccasana; tanto è vero che le recentissime conclusioni degli scienziati ne mettono in dubbio, in molti casi, l'utilità. Rimboschiamo, dice Ruini, ma non creiamo una nuova mitologia forestale, e ricordiamoci, che anche rimboschito e rassodato, il Mezzodì sarebbe sempre povero se non traesse sue risorse maggiori dai tepidi mari che ne bagnano le costiere. Altra speranza — sopravvalutata — è l'emigrazione, utilissima per la capitalizzazione monetaria che induce in un paese povero di denaro, ma non sufficiente per sé a redimere il popolo. E purtroppo le rimesse degli emigranti non vanno che per minor parte in miglioria stabile del suolo, non si immedesimano nella terra d’origine per la rinascita meridionale.

Lo Stato non può far tutto

Il vero è che bisogna tener un po’ conto di tutto; non vi è una ricetta sola; occorre un sano ed organico eclettismo di sforzi, non dimenticando mai che le teorie sono sempre imperfette e che fare vuol dire adattarsi. Non è necessario buttar giù le leggi speciali pel Mezzogiorno che nel loro empirismo burocratico un po’ scucito hanno dei lati abbastanza buoni. Completarle, sì; ma sovratutto occorre applicarle; e qui è indispensabile il coraggio di affermare duo punti: primo, che lo Stato non può fare tutto; secondo che anche quello che lo Stato fa non ha piena efficacia senza il concorso delle energie locali. Nelle sue leggi lo Stato promette troppo e traccia nella carta programmi che sono poi inattuabili; ed anche se fa ciò in buona fede, per smania di accontentare, si tratta sempre, di una improbità obbiettiva, contro cui conviene con ogni vigore reagire. E un assurdo poi credere che il problema del Mezzogiorno possa risolversi con la sola opera dello Stato, che costa tanto più e rende tanto meno, quanto maggiormente si svolge in un ambiente che non la assecondi. Due fasi ha attraversato la legislazione italica: in una prima, fino al 900, si cercava di integrare le iniziative spontanee delle amministrazioni minori e dei privati, e poiché queste difettavano nel Sud, fu fase di privilegio settentrionale. Dopo, per reazione, tutto si è voluto addossare lo Stato-provvidenza nel Mezzogiorno; ma la impossibilità pratica si è ormai rivelata. Conviene, esaurita la tesi e l'antitesi, cercare hegelianamente la sintesi in una fase nuova m cui azione statuale ed energie locali, dallo Stato medesimo eccitate, cooperino alla grande meta della rinascita del Sud. Naturalmente, affinché questa terza auspicata fase non appaia un regresso ed un tentativo dello Stato di lavarsi le mani da compiti troppo gravi, bisogna ohe esso, nel tempo in cui confessa di tutto non potere, faccia addirittura e con ogni sforzo tutto ciò che può.

L’efficacia dalle opere pubbliche

Questi criteri direttivi svolge a lungo l'oratore, per i vari aspetti ed i vari i ordini di provvedimenti necessari. Specialmente interessante è la parte dei lavori pubblici, che diedero occasione al recente dibattito ed a numerose mozioni.

Sembra che vi sia contraddizione interna fra il punto di vista di vari scrittori meridionali della inutilità delle opere pubbliche, ed il lamento generale nel Sud che se ne fanno troppo poche ed il Nord soverchiamente si avvantaggia di analoghi lavori. L'on. Ruini dimostra esaurientemente che può discutersi se date opere non sieno troppo costose per lo scopo che si prefiggono (e bisogna evitare ogni eccessivo spagnolismo ed attenersi a modalità economiche) e può discutersi se la graduatoria dei lavori non sia talora dettata da ingerenze parlamentari (ma quale dei critici ha riveduto con criteri obbiettivi i programmi allegati alle leggi?); ma non può dubitarsi che una strada, ad esempio, col diminuire i costi per il carretto sostituì e io al somiero, non sia utile come e più che abbattere una barriera doganale; e va sepolto il luogo comune dei lavori inutili; in contrasto con quanto avviene e nei paesi tutti del mondo, ove l’entità ed urgenza delle pubbliche opere è in  ragione inversa dal grado di prosperità della terra.

Sperequazione?

Quanto al lamento che il Sud è a trascurato in confronto del Nord, esso germina della amara constatazione  delle popolazioni che le leggi speciali non sono appieno applicate. E’ colpa della improbità della promessa; e la gente non ha obbligo di discriminare le cause dell'incolpevole ritardo. Sebbene le statistiche citate di solito: quelle Lacava del 1892, elaborate dal Nitti) abbiano enormi errori metodologici, sta di fatto che nei primi tempi dell'unità il Mezzogiorno non approfittò delle opere pubbliche in proporzione del bisogno che ne aveva. Ebbe si maggiori spese per strade; ed anche per bonifiche (ma per queste con scarsissimo rendimento): invece l'errata politica idraulica che spese più di mezzo miliardo in arginature vallive a quindici milioni soli (per lavori idro-forestali al monte, nel primo cinquantennio dell'unità italiana, tornò più proficua al Nord. Oggi però le cose son mutate; e lo Stato spende pel Sud ben più che al Nord, in lavori pubblici.

L'on. Ruini documenta ciò con moltissimi dati. Fra l’altro, nel triennio 1910-12, essendo ministro Ettore Sacelli, si appaltarono nell'Italia settentrionale 50 milioni di lavori 65 nella centrale, 127 nel mezzodì (1) e si concessero muove ferrovie per 370 chilometri nel nord, per 250 nella media Italia, per 1700 nella meridionale. Rimane tuttavia, nel Sud, la inferiorità delle strade, ferrovie, bonifiche, in questo: che la loro percentuale, per abitanti e superficie, è assai più bassa che altrove. Dal che non deve trarsi l’assurda conseguenza che il nord deve cessare dal camminare ed attendere che il sud lo raggiunga; ma l’altra, doverosa e giusta, che lo Stato deve concentrare il suo sforzo per lo sviluppo delle opere nel Mezzogiorno.

Due sistemi per l'esecuzione dei lavori

Qui l’on Ruini fa proposte precise e concrete. Egli vorrebbe che, con il nuovo sistema legislativo, lo Stato non si assumesse più l’esecuzione diretta di alcun lavoro nell'alta Italia, ove possono bastare le energie locali (tranne, in via d'eccezione, per alcune zone montagnose e per la sistemazione idro-forestale); mentre tutte le opere pubbliche dovrebbe lo Stato  direttamente eseguire nel Mezzogiorno, che più ne hanno bisogno. Quanto alla competenza passiva della spesa la quota a carico dello Stato dovrebbe essere maggiore nel Sud che nel Nord, in proporzione inversa alla potenzialità ed alla ricchezza dei luoghi. Con questa radicale differenziazione di attività, si avrebbe modo di ridurre gli uffici, divenuti ispettivi, nel Nord; e mandar gli Ingegneri qui nel Mezzogiorno ove c’è tanto da fare. Mentre noi pel sud sarebbe questione di stanziamento di bilancio, pel nord sarebbe piuttosto di agevolazione di mutui dal grande banchiere degli  enti locali, la Cassa depositi; né i meridionali avrebbero ragione di dolersi se questi mutui non inaridissero, ma assorbissero una giusta porzione delle disponibilità della Cassa. L’on. Ruini dice come potrebbe congegnarsi la concentrazione diretta di sforzi dello Stato nel Sud, e propone organi decentrati, non solo con autonomia amministrativa ma pur anco finanziaria, e cioè con assegni determinati sul bilanciò generale, che potrebbero perfino foggiarsi a guisa delle addizionali pel terremoto. E’ ardimento notevole; ma bisogna tentare.

“Suscitare le energie locali”

Però, ripete l'oratore, a tutto lo Stato, checché faccia, non può bastare. E la sua efficacia dipende dalla natura varia delle opere, ed è maggiore ad esempio, per le strade, di più facile studio e fedele esecuzione, che per le bonifiche, le quali sono un organismo vivo, che si, plasma, muta, et adatta in corso d’opera alla materia mobile ed infida che si vuol dominare; né del resto la bonifica idraulica può con buoni risultati, eseguirsi se non da chi si ripromette i suoi utili dalla susseguente bonifica agraria; mentre infine lo Stato, se filosoficamente è un continuum, è praticamente l’essere più discontinuo che vi sia, per mutare cinematografico di ingegneri, di uffici, di criteri tecnici, cosicché le bonifiche di Stato sono veri lavori di Sisifo. Di qui la necessità di suscitare — accanto allo intervento ad oltranza dello Stato nelle opere pubbliche del Mezzodì — energie locali, educandole, sorreggendole, premiandole quando si facciano avanti a surrogare l’azione statuale. Non siepi, di burocratica diffidenza, ma premi e maggiori contributi ai Comuni che vogliono fare; basterà cautamente vigilarli; e bisogna pensare, se non ai consorzi obbligatori, come vorrebbe l'on. Zaccagnino (giacché il consorzio è pianta millenaria di questa valle padana che mal si trasporta ad altri climi sociali e «mal fa, come diceano i veneti, olii spontaneamente non fa») a forme nuove, adatte ai luoghi, a speciali enti intermedi, in cui i rappresentanti dello Stato cooperino con quelli degli interessati. L'oratore rammentava un tentativo da lui fatto per sincere il pigro possesso fondiario ed i capitali inerti di cui non difetta la Calabria a foggiare un istituto fondiario per le bonificazioni che avrebbe avuto dallo Stato larghissimi sussidi anco per le migliorie agrarie. Continuare su questa via bisogna, con tenace fede.

Due nemici: l'invidia e il sospetto

E non aver paura, ma ricorrere alla speculazione privata. La succhionifobia ha fatto del male al Mezzogiorno; ed è pericoloso confondere la proba e rigida difesa dell'erario con le antipatia per ogni speculazione che guadagni. Che la privata iniziativa di capitali possa riescir benefica al Mezzodì lo prova l'impresa della Sila, ove, senza un soldo di contributo dello Stato, dei capitalisti vogliono costruire tre laghi, vasti più di quel di Varese, con oentocinquantamila i cavalli di forza a basso prezzo, che serviranno ai servizi pubblici di vaste regioni, animeranno forse i motori per la agricoltura agevolando la più grande delle rivoluzioni culturali, ed imprigionando l'azoto gratuito dell'atmosfera, creeranno sul lido della ellenica Crotone il centro idi rifornimento dai nitrati per il Mediterraneo, sforzo stupendo di rinascita meridionale. Ma quanti ostacoli non trova questa intrapresa!

Due sono i più forti nemici da vincere per seguir queste tendenze nuove nel problema del sud: l'invidia ed il sospetto. Finché una regione, un campanile, guarderà astiosa ciò che avviene vicino, e griderà alla più piccola differenza di trattamento, non sarà possibile un tentativo davvero decentratore. perché decentramento vuol dire libertà di criteri da luogo a luogo. E poiché i funzionari vedranno ogni loro atto sospettato per lo meno di favoritismo e di ingiustizia, saranno spinti, per legittima difesa, a trincerarsi nel più gretto regolamentarismo, sostituendo alla responsabilità viva dell'uomo la pesantezza lenta della norma irresponsabile ma ritardatrice.

 Il risveglio dell'Agricoltura

I capitali

In ogni modo i lavori pubblici non bastano e non sono neppure di maggior coefficiente della rinascita del sud. La grande molla è il risveglio deell'agricoltura, ed il razionale impianto di alcune industrie naturali di quei luoghi. Il Mezzogiorno ha bisogno di capitali; né convien far viso arcigno se sono stranieri; dappoiché noi italiani, con politica finanziaria da cui l’oratore dissente, abbiamo realizzato il paradosso di aver la rendita in casa e molte industrie in mano a stranieri.

Il Mezzogiorno non può essere considerato come una grande Balkania; ma dovrebbe, più che è possibile, essere un punto franco di capitali dai vari angoli d'Europa. Ma 'il capitale, del resto, italiano vi è; ed è quello che gli emigranti sono andati a conquistare oltreoceano. L’on. Ruini parla a lungo dell'emigrazione, che è una necessità ed è un bene, anche se per l'avvenire dovesse tendersi alla meta di Clemenceau: tener i nostri figli in patria per far dell'Italia una potenza di cinquanta milioni di uomini, baluardo e forza dell'idea latina. Non vi si potrà arrivare che attraverso il Ruini calcola a mezzo miliardo all'anno le rimesse dei nostri emigranti d'Italia tutta; e. La maggior parte, quasi quattrocento milioni, son di meridionali. Dove va quest’oro che rappresenta tanto sudore o fame?

Con minuti calcoli l'oratore dimostra che buona parte va alle casse postali, e cioè fluisce negli scrigni del gran banchiere dello Stato, la Cassa depositi e prestiti. Dati recentissimi della Direzione del credito e della previdenza mettono in luce che, malgrado l’alimento della emigrazione, il Nord è più risparmiatore del Sud (di 7 miliardi circa di risparmio italiano oltre la metà appartiene all'alta Italia, e quasi due miliardi a quella, centrale), e, di fronte ad una percentuale di 1,658 lire per abitante in Lombardia si scende a 57 e 49 lire in Basilicata e Sardegna.

Comunque, di somme sempre abbastanza cospicue si dispone ormai anche nel Sud; ma non vanno questi risparmi investiti se non scarsamente in credito agrario e fondiario, in migliorie permanenti della terra; proprio al contrario di ciò che avviene per i risparmi del Nord.

I pochi istituti ordinari di credito meridionali preferiscono anche essi comprar rendita. Sono gli emigranti, queste formicoline nere, che han contribuito maggiormente a rendere possibile la conversione della rendita e l'impresa di Libia. Ma sorge qui un problema di giustizia: come si possa far sì che non solo a finanziare lo Stato, ma a fecondare le regioni da cui vennero i risparmiatori, siano diretti i capitali ormai raccolti.

L’oratore, contrario a tutti ii sistemi artificiali, crede però che il problema del credito vada riesaminato senza lo scetticismo che succedette alla tristissima esperienza del passato; oggi c’è un fatto nuovo di mezzo e cioè l'emigrazione risparmiatrice. Espone possibili trasformazioni ed adattamenti del Banco di Napoli; ed accenna anche all’idea di tentare le Casse di risparmio di Stato come in Francia, sebbene sia da prevedersi la opposizione dell’attuale politica di tesoro.

La terra agli emigranti

Un altro problema è quello della terra, di cui i reduci dall’America han fame, ma son strozzati dalla neghittosa ed approfittatrice proprietà terriera. Anche questo è problema di investimenti nei capitali, meridionali nella terra meridionale, per aiutare la nascita di piccole proprietà e di un ceto di piccola borghesia lavoratrice, rinnovando le parti logore dell tessuto economico del Sud. Abbandonando i vieti e macchinosi progetti di colonizzazione interna, l’on. Ruini crede opportuno che lo Staio fondi un istituto per l’acquisto di beni rustici ed il loro spezzettamento fra i piccoli acquirenti, e coordini a questa azione il costruire numerose borgate rurali. Meglio se a tal compito accanto al meno svelto congegno statuale cooperassero società, magari di speculazione, cui lo Stato potrebbe concedere la bonifica idraulica dei terreni, epperò guadagnerebbero anche come appaltatrici. Vasta è la bisogna, e c'è da lavorare per tutti.

Gli sgravi fiscali e l’istituzione agraria

Oltreché di capitali, l'economia meridionale, essenzialmente agricola, ha bisogno di respiro fiscale e di ammaestramento. Sugli sgravii si fondarono e fondano speranze eccessive, e pel Mezzodì ne ha mostrato le illusioni l'on. Cappelli; ma certo è che, come la libertà politica irrobustisce un popolo, la libertà economica latamente intesa è sprone efficace a progresso. Pur riconoscendo come di sgravii assai forti non sia ora il caso di parlare, e le questioni doganali vadano in maggior parte rimandate ai trattati di commercio, l'on. Ruini traccia quali vie dovrebbe prendere una riforma fiscale per essere propizia all'agricoltura del mezzodì e mostra come sia preminente il problema delle finanze locali. Quanto all'ammaestramento, esamina la situazione delle cattedre ambulanti e delle scuole agrarie del sud, e propugna modifiche, ed impianti di campi sperimentali, specialmente per lo culture arboree, pur affermando, col neoministro Cavasela, che è errore predicar l’abbandono delle culture erbacee, che sono state e possono, essere ancora migliorate. Richiede i sussidi, dello Stato nelle piccole irrigazioni, giacché, ben dice il Pareto, anche i minuscoli serbatoi sono utilissimi accanito ai mostruosi colossi come i tagli silani. Tratta della organizzazione delle vendite e della esportazione all’estero e dello slancio che prende l’industria delle primizie. Non è lo Stato che deve sobbarcarsi questi compiti; e nulla più senza le energie locali: ma, quando queste sono eccitate, deve e può in vario modo aiutarle.

Problemi morali e di amministrazione

Tutti però à problemi materiali del lavoro, del credito, della terna, non possono risolverai senza che si risolvano alcuni problemi più essenzialmente etici, come la scuola od il funzionamento delle amministrazioni locali. Mentre ancora non si applica, già si addimostrano alcuni difetti e la necessità di integrazione della legge nella scuola elementare per ciò ohe attiene al Mezzogiorno e specialmente per gli edifici scolastici, mentre occorre pensare agli asili, e cioè seguire fin da principio e formare le generazioni venture che vedranno un Mezzogiorno più libero e più ricco. Per gli enti locali fino ad un certo punto è possibile obbiettivare in riordinamenti istituzionali l'organismo dai comuni,  dalle provincie; l'oratore esamina il tipo dei borgomastri tedeschi e rievoca l’idea della regione di Minghetti e le campagna oggi tenacissima in Francia per l'abolizione delle prefetture.

Riformi sono possibili, ma non ancor mature: comunque osserva che il punto vero nel funzionamento, nell'azione dell Governo, nel rinvigorimento del costume pubblico, che non deve esser impossibile in un popolo che ha virtù private non inferiori alle altre genti italiche.

L’on. Ruini conchiude esprimendo l’augurio che Milano fervida ed operosa s'interessi e senta anche suo il problema del Mezzogiorno, ed aiuti l’azione modesta dell’Associazione, a cui nome l'oratore parla, e che si propone dà tener viva la coscienza di questo problema come problema nazionale.

(1) Ci permetta l'on. Ruini di essere su questo punto in disaccordo con lui. La cifra dei 127 milioni va considerata coi criteri di relatività, che sono illustrati dal nostro Ambrosio nell’articolo che pubblichiamo in altra parte del giornale. E allora essa perde il significato che l'on. Ruini le attribuisce.

(N. di R. ).


Fonte: TERRA NOSTRA, n. 6, 1914 -  https://www.alessandrina.librari.beniculturali.it/

TERRA NOSTRA, n. 6, 1914






















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