Eleaml - Nuovi Eleatici


Malta appartenne al Regno di Sicilia fino a quando le alterne vicende legate alla rivoluzione francese non la portarono sotto il tallone inglese.

La sua collocazione, nel cuore del Mediterraneo, ne fece la piattaforma ideale di tutti i rivolgimenti e i fuoriusciti di varie tendenze che gli inglesi a volte foraggiavano, a volte tolleravano e a volte perseguitavano.

Dopo la caduta del regno delle Due Sicilie vi si rifugiarono vari esponenti borbonici. La complessa situazione vissuta dall'isola emerse nel 1864, quando il passaggio di Garibaldi, che vi fece tappa nel suo viaggio in Inghilterra risenti degli antagonismi presenti. Infatti vi furono manifestazioni a favore e manifestazioni contro Garibaldi, prova ne sia che non esiste alcun monumento a ricordarne il passaggio! Se si esclude la cattedrale, dove (si dice) nel 1886 lo scultore siciliano Giuseppe Valenti Incaricato di compiere le statue di Mosè e di San Giovanni, immortalò il volto di Garibaldi in quello di Mosè, ed il volto di Anita Garibaldi in quello di San Giovanni.

Il testo che vi proponiamo, di autore anonimo, venne stampato a Malta, rifugio di tanti borbonici sfuggiti all'invasione italiana.

Zenone di Elea – 18 Luglio 2013

LA ITALIA DISFATTA

DALLA RIVOLUZIONE PIEMONTESE

MALTA 

1862

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Nel vergare queste linee ascondo il mio nóme per che scrivo non per brama di gloria, ma per amor solo de' miei concittadini ingannati ed illusi da sensali da piazza, che mentre gridano di far la causa d'Italia, ricevono lo stipendio dalla diplomazia straniera, servono vilmente a questa, ed al privato loro interesse, depauperano la Italia, la vendono al maggior offerente. L'italiano che freddamente medita sulla sorte infelice del suo paese non può disconoscere che i Mazzini, i Rossout, i Ledru-Rollin, ed altri capi agitatori che si ascondevano tra le folte nebbie del Tamigi erano e sono materiali istromenti di un partito che per Futile proprio specula sul sangue de' popoli, e getta ovunque il seme della discordia fra governanti e governati per aprirsi il varco ad estendere il suo incetto ed il suo monopolio. Per questa discordia artificiosamente diffusa è turbato il continente europeo da più anni da moti rivoluzionarii, e vedemmo consumarsi tanti attentati alla vita de' Sovrani, ch'è impossibile trovare esempio nella storia de' secoli andati. E i Sovrani d'Europa al vedere questo abbrutimento delle popolazioni, al veder l'incertezza di questa loro esistenza, al vedere come andavasi preparando il più grande cataclisma sociale si mostravano incerti sul da farsi, come si mostrano ancora, ne seppero mai apportare il rimedio colà d'onde il male sorgeva.

I.

Videro impassibili la diffusione della libera stampa che servendo alla volontà di chi la prezzolava si faceva maestra di massime avverse ad ogni principio religioso, e civile; affaticavasi a cancellare dal novero

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de' delitti il crimenlese, l'alto tradimento, che magnificava con effetti di amor patrio; appellava eroe il vile assassino; lo stesso regicidio glorificava. Intanto la libera stampa in Italia più che altrove fa fiaccola di rivoluzione: perché gl'Italiani sono più facili a lasciarsi illudere dalle utopìe, e sono affetti dalla insanabile malattia di volere imitare lo straniero, e seguire qualunque dottrina viene da oltre mare, e da oltre alpi, dimenticando perfino le loro tradizioni, le loro glorie, e le loro grandezze. Il che torna a vergogna di noi italiani che insegnammo la civilizzazione a quanti sono popoli del mondo, come possiamo provare colle istorie, ed ora ci facciamo condurre per mano a guisa di fanciulli da chi ci odia a morte, e solo il nostro bel cielo vagheggia.

Niuno ignora come fin dal 1850 il Ministero torinese comprò a prezzo d'oro i capi di setta, e loro dipendenti perché si adoperassero ad ingannare gl'italiani collo screditare, riprendere, mettere in odio ne' libri, ne' ritrovi, ne' famigliari discorsi ogni disposizione, ordinamento, e atto governativo delle corti italiane. A sostegno di quel Ministero surse il radicalismo inglese, che nelle stesse discussioni parlamentari di Londra senza cognizione di fatti si permise di appellare infernale la politica austriaca in Italia, di riprovare con note collettive il Governo di Napoli, rompere i rapporti diplomatici con lui, ed eccitare gli animi in mille guise contro il Governo papale (1).

Così ebbe vita quel giornalismo bugiardo e calunniatore, diretto ad eccitare l'odio alla spirituale

(1) Bobbio suo opuscolo Fra un mese ipotesi Genova, Marze 1859. pag. 14.

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autorità della Chiesa, e al suo temporale modi continue apologie del regicidio detti e della miscredenza. Qual giornalismo schiavo dei varii partiti rivoluzionarii non imparò mai né la dignità, né il rispetto di se medesimo, e de' suoi avversarii. Fu ed è sempre liberale di violenze e di personalità contro ogni uomo onesto, e dabbene. Fu ed è ognor pronto a professare i principii, che per lo innanzi riprovò, a encomiar l'uomo che tiene al potere, ad inveire contro quello caduto, a vestire ogni colore come un' arlecchino, ad innalzare ogni bandiera che al suo interesse maggiormente convenga. '

E quasi ad ingannarci non bastasse la immensa mole che ora ci opprime di cantilene, di libercoli, e di giornali, si abusa oggi anche del telegrafo, che sotto la influenza del Gabinetto di Torino annuncia con la prontezza del fulmine la prosperità ov'è miseria, l'ordine e la pace ove signoreggia la discordia, fa apparire le sconfitte vittorie, suscita speranze che un'ora dopo spariscono, e così si mantiene saldala incertezza sul presente e sull'avvenire, si agitano gli animi, si favoriscono le fraudolenti speculazioni di borsa, e si va facendo della Italia una nuova Babele; più non c'intendiamo fra noi, più non comprendiamo il vero significato delle parole. E questa è conseguenza del male oprare nostro che per seguire saltinbanchi abbiamo la diritta via smarrita, ci siamo dalla verità allontanati. Cosa fanno i monarchi della terra al vedere questo torrente che straripando da ogni parte minaccia di sommergere Principi, e popoli? Proseguiranno a starsene inerti colla mano sull'elsa della spada, che Dio diede loro per sostenere la giustizia? Ricordino che la libertà della stampa, come insegna uno storico non sospettai rivoluzionari

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“È un fiume furibondo e senza freno che tutto seco trasporta, e innanzi al quale niuna formi di Governo buono è più possibile: la libera stampa è capace più dei cannoni di atterrare qualunque più sodo edificio: gli stampatori sono più forti dei Re,, (1).

Dalla libera stampa si diffusero fra noi le più storte idee di liberalismo, di riforme governative, di costituzioni, d'indipendenza, e di unità italiana. Simili parole cominciarono ad andare per la bocca di tutti, e furono tema di quistioni politiche pei maldicenti alla bottega del caffè, pei legali senza clienti, per quei medici che errando fra l'allopatia, e l'omiopatia ti mostrano ignorare la scienza salutare, pei scolaretti di umanità, per quella immensa turba di Figari, per gli uomini da bettola, e per li scarni sciati da trivio. Questa schiera d'ignoranti che non comprende ciò che dice è quella che fa plauso, e presta il braccio alla rivoluzione, che opprime la misera Italia.

II.

Facile ad ognuno è il ravvisare che i poveri stolti realmente non comprendono ciò che dicono. Costoro per vezzo si vantano liberali. Se si chiedono cosa intendono per liberale, o non sanno cosa rispondere, o rispondono uno sproposito, come rispose un giorno il Segretario di una Legazione Sarda che definiva il liberalismo, essere un vivo desiderio dell'individuo, che il Governo sia giusto. Bella dottrina! Ogni Governo ha per base e fondamento la giustizia, per ciò colle sue leggi da le norme ai sudditi per condurre le loro azioni,

(1) Botta Storia d'Italia lib. 50.

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ne determina i diritti, ne prescrive i modi di esercitarli. La giustizia è voluta da ogni retto Governo più che desiderata dai governati, e questa volontà tanto più è manifesta, quanto più le sue leggi sono conformi alla sana ragione, e al gius comune. Se il diplomatico in caricatura avesse studiato, si sarebbe vergognato di appellarsi liberale, che nel vero significato politico vuoi dire inimico del proprio Governo, e denota colui che cospira per abbattere le istituzioni governative. Caduto il primo Napoleone, tutti coloro che avevano figurato nelle più alte cariche sotto l'impero, privati di queste alla restaurazione della legittima Monarchia, si fecero ad avversare il Governo restaurato, e formarono la fazione chiamata da principio dei malcontenti. Li suoi statuti furono quelli stessi del giacobinismo. Siccome però questo nome era addivenuto odioso in Francia, cosi si appellò liberalismo è quindi i malcontenti si dissero liberali (1). Costoro come i Wighs in Inghilterra avversano ogni saggio e ben ordinato Governo, il regime popolare desiderano, come quello che può loro aprire la via agl’impieghi, alle maggiori cariche militari, e civili, ad usurpare il potere, ed opprimere quindi quel popolo, che incautamente si fece sgabello per innalzarli. I capi dei liberalismo operano come i capi di ogni altra setta: mentre agitano le masse, essi si tengono occulti; ne' popolari movimenti, se favorevoli riescono alle loro mire, saltano in piazza per far proprii i fratti della vittoria; se poi avverso è il risultato, essi prontamente si sottraggono colla fuga, e lasciano il povero popolo ingannato a subirne le conseguenze, e solo da lungi lo chiamano il martire della patria,

1) Journal de Bruxelles dei 23 Novembre 1858. N. 827.

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quando fa martire solo della loro frode e della loro seduzione. Questi sono fatti ohe giornalmente si verificano, sono verità troppo conosciute

III.

Per conseguire il perverso loro fine i liberali vanno per gradi; ti presentano progetti di ammodernamenti filantropici ed umanitarii che accolti, mirabilmente servono a smuovere, dal suo centro il sociale edificio. Per tal guisa si fecero strada a calunniare i Governi d'Italia, a rilevar de' difetti che seppure taluno esisteva era dell'uomo, e non delle istituzioni governative, ed era minimo in confronto dei gravissimi che si riscontrano ili taluno degli altri governi europei. E quei difetti, de quali si esagerava l'indole e il carattere servirono di argomento a prezzolati scrittori per gridare ai quattro venti esser necessarie delle riforme ne governi italiani, per le quali anche il popolo chiamato fosse al reggimento della pubblica cosa e che ciò era voluto dai tempi, e dal civile progresso.

Filosofo qual mi sento di essere, e che nulla ho a temere o sperare dagli uomini dirò ai sapientoni del giorno che i tempi so»o oggi quali furono in addietro, e seguono e seguiranno sempre mirabilmente quell'ordine che dal Creatore fu loro assegnato. Le civili società! formarono, e si diedero norme di reggimento, non in ragion de tempi, ma in ragion di natura che volle l'associazione delle varie famiglie sotto la dipendenza di. un autorità che ai comuni bisogni provvedesse, all'esempio dì ogni singola famiglia che volle alla paterna autorità soggetta. Che se le menti di molti si sono sconvolte, ed hanno perduto il bene

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dello intelletto, non è per questo necessario di cangiare l'ordine governativo, che nulla può giovare all’indole del male ma è necessaria una cura, ed un'energica cura da manicomio. Intenda chi vuole!

È peraltro positivo andar molti ripetendo fino alla nausea esser questo un secolo di civilizzazione e di progresso senza che alcuno di costoro ti sappia addimostrare in che consista l'odierno progresso, e la odierna civilizzazione da richiedere riforme nel regime dei governi. Non so veramente se noi siamo tornati al secol d'oro, ai poetici tempi di Saturno, o meglio ci si vuol trascinare fra gli orrori tutti di un secolo di ferro. Vede ciascuno come gli ammodernatovi fanno ogni sforzo per sbandare la Religione e sostituire l'ateismo; per anteporre all'utile industria la materiale speculatone;e già fatto hanno del commercio un giuoco di borsa,un mercato di usure e di frodi; della libertà commerciale un incetto vergognoso; e del diritto di proprietà un monopolio.

Chi può mai appellare;! tempi in cui viviamo, tempi di civile progresso, quando la setta fin dal 1853 va predicando in Italia, che abbiano ad usurparsi le proprietà, i mobili, danari, arredi sacri delle corporazioni religiose; che abbia a dichiararsi estinto ogni debito de' coloni verso i proprietarii; che debbano infine sottoporsi i ricchi a forzose imposizioni? (1) È civile progresso la guerra a coltello predicata dai rivoluzionarii italiani, il far del pugnale dell'assassino la spada del popolano? (2) Sono conformi alla civilizzazione quei bandi scritti col sangue dai Cialdini,

(1)Istruzioni ai Comitati insurrezionali del Febbraio 1853.

(2)Stampa, del Martini II partito et azione

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dai Pinelli, dai Fumel, coi quali si autorizzano le milizie alle stragi, ai saccheggi, agl’incendi di città, e villaggi? Siamo ai tempi di civile progresso, quando udiamo gli uomini di Torino anelare il rinnovamento delle carneficine del 1793, e peggio; quando un Ministro torinese non ha vergogna di minacciare il Clero dell'ira delle passioni popolari? (1) Chiameremo progresso, e civilizzazione l'abbandono quasi totale dei pacifici studii, delle utili arti, dell'agricoltura, logorandosi invece gli umani ingegni per inventar macchine da render inerte le braccia degli operai; per fabbricare istromenti da guerra atti a distruggere più facilmente uomini, e cose? È conforme al civile progresso lo aver richiamato a vita nelle pugne il combattimento all'arme bianca, alla baionetta, che in brevi ore fa barbaro strazio di migliaia, e migliaia di esseri? Stando a questi fatti conviene confessare che l'odierno civile progresso non fa altro che portare al colmo l'arte dell'ammazzarsi, e che gli uomini nulla pia. hanno a desiderare per toccare la meta della barbarie.

IV.

Ne provveder possono al male le reclamate riforme del reggimento governativo Le masse popolari che sono la forza di ogni Regno, non si occuparono mai delle forme di governo. Il ben' essere di queste sta tutto in una saggia amministrazione di giustizia, e nell'annona. Perla prima sono demarcati i diritti e i doveri, per la seconda viene provveduto ai loro bisogni. E quando un popolo trova ne' mercati come

(1) Circolare del Ministro Mìglietti dell'Ottobre 1861.

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provvedere alla vita, né il prezzo de' generi che abbisognano alla sua sussistenza è lasciato all'arbitrio di pochi monopolisti ed incettatori, questo popolo benedice sempre al Principe che lo regge. La necessità delle riforme predicata in mille guise da prezzolati scrittori, ed insinuata solo da invidiosa diplomazia non è che un giuoco di parole, un' inganno immaginato a nostra sola rovina, e diretto ad abbattere le istituzioni fondamentali dei Regni d'Italia per prepararne la disparizione dalla carta d'Europa (1). E le riforme che si pretendono nello Stato Pontificio sono appunto una macchina di guerra inventata dalla rabbia dei protestanti e degl'increduli per rovesciare il potere temporale, e conseguentemente il potere spirituale del Papa (2). Così chiedevasi, come ancora si chiede la secolarizzazione delle principali cariche nello Stato Pontificio, perché passando il potere in mani di laici, e potendo questi esser meglio influenzati dallo straniero, più facile si rende la via per giunger per gradi ad abbattere il temporale dominio del Papa. Noi stessi vedemmo come a questo infame fine precipitosamente si giunse, quando s'intrusero nei ministeri i Mamiani, i Galletti, li Sterbini, ed altri di simil calibro. Ed a questo stesso fine più presto o più tardi si giungerebbe, se si rinnovasse la prova, se ci lasciassimo illudere da stranieri suggerimenti. Lo stesso conte di Cavour nella sua nota formulata al Congresso di Parigi li 27 Marzo 1857, dichiarava apertamente che la secolarizzazione in Roma, ove riposa l'edificio della potenza temporale del Papa, ne scaverebbe le fondamenta,

(1 ) Lemoinne Affaires de Rome Introduction Paris 1859.

(2) Pantet Le Pape, l'Autriche, et l'Italie Parts 1859.

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e lo farebbe crollare. La testimonianza di tale uomo, cui niuno poté negare ingegno, e che ben conosceva gl'intrighi di Corti nemiche d'Italia non può non persuadere che le riforme consigliate o pretese mirano unicamente ad abbattere le istituzioni conservatrici dei regni per cangiar dinastie nell'interesse di un qualche ambizioso, e non mai del povero popolo. Imperocché tutte le storie italiane ammaestrano, ed è ripetuto dallo stesso Terenzio Mamiani, che il popolo che chiama un dominatore nuovo a cacciare l'antico va necessariamente ad incontrare la più dura schiavitù (1).

V.

Per giungere alla rivoluzione e ad abbattere il trono, serve opportunamente la Costituzione. Per questo udimmo i capisetta, gli ambiziosi, coloro che volevano arricchire delle nostre sostanze, andar predicando per ogni dove convenire, in Italia un reggimento costituzionale. Ponevano innanzi l'Inghilterra, facevano credere che pel suo regime parlamentare fosse addivenuta la signora de' mari, e quasi arbitra della sorte delle nazioni. À questi panegirici facevano eco gli scrittori da romanzo, gli uomini del radicalismo inglese, e niuno avvertiva esser diverse le condizioni de' popoli, come i loro costumi, i loro bisogni, le loro abitudini, la loro educazione, il loro carattere, e perciò il governo degli uni non può convenir sempre al governo degli altri. Niuno avvertiva che qualunque

(1) Lettera del Mamiani a Ferdinando Ranalli datata da Torino li 16 Febbraio 1859.

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fosse la forma del governo inglese, fatto è però positivo vedersi colà ammassate le ricchezze in mani di pochi, e la miseria tiranneggiare le masse; fatto è che colà migliaia di cittadini annualmente abbandonano la. terra natale per correre in lontane parti in cerca di un pane; fatto è positivo che colà annualmente migliaja di uomini periscono di fame.

Niuno italiano può esservi così stupido ed insensato da desiderare tanta felicità inglese! Né la costituzione servì mai in Inghilterra a migliorare la sorte di quel povero popolò. Io non appellerò col Romagnosi quella costituzione una mostruosità feudale e popolare (1), ma bensì un'organizzata tirannia aristocratica, che niun potere conosce sopra di se; che seconda ogni passione all'esterno capace di turbare gli altrui regni, e ne' soggetti la soffoca per la pace propria; Futile proprio antepone al giusto e all'onesto. Pubblicata la Magna Carta nel 1215, il parlamento si elevò ben presto a giudice dei re, e contro il diritto costituzionale giunse perfino a cacciarli dal trono come avvenne ad Edoardo II, e a Riccardo II. Favorì le persecuzioni contro il Cattolicismo, e lo sfrenato dispotismo di Enrico VIII, di Elisabetta, e di Giacomo I. Nel seno del parlamento ebbe vita la cospirazione di Simone di Montfort Duca di Leicestèr che tolta dal capo di Enrico III la real corona si fece esso signore del regno. Sotto il governo costituzionale vide l'Inghilterra il Duca di Glocester armare il braccio di pugnale, ed uccidere il suo re Enrico VI nella torre di Londra.

La costituzione fu scala ad Oliviero Cromwel per

(1) Scienza delle costituzioni par. 2. lib 1. cap. 4.

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abbattere il parlamento, che appellò con ironico motto „fantoccio„ per trascinare nel 1649 sul patibolo Carlo I, per costituir quindi il regno in repubblica, che governò poi col terrore, e colle carneficine. Nel decimo quinto secolo il parlamento die vita alle due fazioni della rosa bianca, e della rosa nera, che bruttarono l'Inghilterra di sangue coi supplizii e coll'assassinio, come sul declinare del secolo decimo settimo die vita ai due partiti che si urtano fra loro, l'uno dei Torys, che tiene pel re, l'altro dei Wighs che il potere popolare seconda, quali partiti avvolsero il regno fra gli orrori delle guerre civili, costrinsero Guglielmo II a salvarsi ricovrando in Olanda, favorirono l'ambizione di Guglielmo di Nassau, che usurpò la corona d'Inghilterra, e si fece a reggere un popolo, di cui neppure comprendeva il linguaggio. E le civili guerre possono in Inghilterra da un momento all'altro rinnovarsi: la troppo estesa sua grandezza, la influenza che in mille guise vuole esercitare sulle popolazioni europee suscitano le gelosie delle nazioni, che non vogliono essere governate né trascinate a rimorchio dal ministero e dal parlamento di Londra: le nazionalità predicate dalle sue camere parlamentari si vanno comprendendo anche dai popoli della Scozia, della Manda, e delle Isole Jonie: il vasto piano del blocco continentale, che può privare la grande nazione della forza del capitale, tanto vantata dall'Inghilterra nella guerra di Crimea, è conservato ancora negli archivii militari di Parigi. Ricordi il nobile Palmerston come spesso avvenga che si abbia il male colui che il male altrui procura.

Il regime costituzionale nel pratico esercizio è il più terribile istromento di corruzione pel governo e pei governati.

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I soli intriganti che nelle discussioni parlamentari trovano l'occasione di fare i loro proprii interessi, e non quelli della immensa maggioranza della popolazione, sono appunto coloro che chiedono a tutta gola le istituzioni costituzionali, come quelle che mirabilmente servono a porre il comando in mani di molti, e moltiplicare il numero dei padroni a tutto danno del popolo. In Italia poi più che altrove la costituzione è germe. costante di accanite lotte fra i tre poteri, dalle quali ne sorge sempre trionfante il democratico, che prontamente converte la costituzione in repubblica, e questa passa ben presto all'anarchia. È impossibile il contenere nella sua cerchia Ja libertà costituzionale, perché la democrazia sa bene come convertirla in sfrenata licenza; così fa del giornalismo un'istruzione di cospirazione, e della guardia cittadina un mezzo per attuare i suoi disegni, ed abbattere il regio potere.

Il saggio re di Savoja Emanuele Filiberto ammaestrato dalla esperienza volle nel suo regno abolite le camere parlamentari, perché in quelle congreghe, come egli si esprimeva, non si poteva far mai nulla di buono; perché i sudditi volevano far la legge al principe, e non erano mai d'accordo fra loro medesimi di ciò che volevano. Molto più oggi si rendono arditi i costituzionali in voler far la legge al principe,, per la stolta teoria insegnata dall'Inghilterra, e predicata da Massimo d'Azeglio, che il re costituzionale regna, e non comanda, eh' è quanto dire un salariato dell'aristocrazia, e della democrazia, un simulacro inerte e muto. Così il povero popolo diviene scherno e ludibrio di un ministero che se appellasi responsabile, fatto è che i suoi atti non sono mai a rigoroso sindacato soggetti; di un ministero il cui

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principale interesse è quello di conservare il portafoglie e per riuscirvi guadagna col pubblico danaro gli oratori delle tribune, è compra i principali agitatori di piazza per applaudire alle sue inconsideratezze, o per provocante delle nuove. Ogni ministro considera sotto il regime costituzionale precaria la durata del governo, come precaria la durata della sua carica, e da ciò deriva che senza aver riguardo alle precedenti leggi, in ogni giorno, in ogni ora, ad urgenza nuove leggi provoca o pubblica da servire alla opportunità e non da provvedere all'avvenire.

Quei pubblicisti che sognano ordinamenti governativi ne loro gabinetti di studio, se si ammaestrassero alla scuola della esperienza si persuaderebbero non poter mai convenire in Italia il governo costituzionale. A consiglio dell'Inghilterra fu data nel 1812 là costituzione alla Sicilia, e nel seguente anno sursero subito moti insurrezionali per abbatterla. Il 7 luglio 1820 fu nuovamente data la costituzione al regno delle due Sicilie. I carbonari innalzarono la bandiera coi tre mistici colori della loro setta. Seguirono subito civili discordie, rivoluzionò la Sicilia, pericoli di sanguinose scene in ogni parte dei regno. Per impedirne le conseguenze, li stessi potentati d'Europa videro la necessità di un intervento austriaco che restaurò nel piene suo esercizio la legittima monarchia. Nuova prova di ordinamento costituzionale in quel regno si volle fare sul cominciare del 1848, e nuova ribellione seguì nel maggio di quell'anno che fii forza spegnerla colle armi. Si richiese pur la costituzione, e si accordò dal re nel 1860, e questa servì alle sette per cacciare il re dai suoi stati, per stabilire nel regno una nuova signoria,

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che avversata generalmente, ba fatto di quel reame un teatro della più orribile e civil guerra.

Né solo Napoli ebbe a sperimentare come sperimenta ancora i tristi effetti del governo costituzionale.. Nel 1848, ebbe pur la Toscana il regime parlamentare, che si cangiò prontamente in repubblica, per cui fu costretto illegittimo principe di abbandonare il trono. In Roma in quello stesso anno la costituzione diede prima all'Europa l'umiliante spettacolo dell'assassinio del conte Rossi nell'atrio stesso del palazzo del parlamento, ove maggiormente doveva esser garantita la personale sicurezza; corse quindi ad. assalire sagrilegamente il più mansueto de' prìncipi nella sua stessa residenza al Quirinale; fu infine sgabello al Mazzini per innalzare la sanguinosa bandiera dell'anarchia. E un'evidenza adunque che il regime costituzionale è in Italia il peggiore de' governi; ch'è solo desiderato e valuto dalle sette, perché è scala per giungere ai loro fini, abbattere ogni .ordine politico, ed usurpare le nostre proprietà.

VI.

Né miglior prova diede il Piemonte; del governo costituzionale. Anche colà nel 1821 si mise dalle sette il regno a tumulto; si volle la costituzione; per debolezza di animo li 14 marco di quell'anno si accordò quella di Spagna del 1812. I rivoluzionarii corsero tosto all'esorbitanza: altri invasi da municipalismo volevano l'ingrandimento del regno nella occupazione di Lombardia; altri proponevano di fare il regno unito d'Italia sotto lo scettro di Savoja. Le milizie parteggiarono per la rivoluzione, il trono rimase deserto,

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ed il re poté solo riconquistarlo col soccorso delle armi austriache. Ne migliori risultati si ebbero dalla costituzione accordata nel 1848. Il partito rivoluzionario chiamato allora degli Albertisti mandò per l'Italia i suoi emissarii, fra quali figurò specialmente quella buona lana dell'abate Gioberti, i quali eccitarono gli Italiani a collocarsi sotto la bandiera, e sotto lo scettro della casa di Savoja per formare un regno unito, esclusa momentaneamente Roma, che lasciata si sarebbe al Pontefice sua vita naturale durante (1).

Si corse subito all'attuazione pratica di tali utopie. Si spinse il re Carlo Alberto ad inconsiderate guerre che perdute in Milano e in Novara l'obbligarono di abdicare la corona, e cercare un ricovero in terra straniera, ove ben presto terminò la vita. Tanta catastrofe doveva rendere accorto il re Vittorio Emmanuele. Ma o fosse inesperienza di età, o la influenza che aveva sull'animo suo la fantastica mente di Massimo d'Azeglio, e di altri gravi consiglieri, fu trascinato a mantenere la data costituzione, ossia lo stato rivoluzionario, che doveva necessariamente tornare a suo danno, e a danno d'Italia tutta. La Camera infatti addivenne quindi una congrega di aperti cospiratori contro i principi italiani, e contro la stessa casa di Savoja. Spogliato il re della dignità regia, reso impotente a far uso del veto, si convertì in un materiale istromento di un ministero di saltinbanchi, e si costrinse a firmare decreti inspirati da speculazioni straniere, o da orgie settarie, e diretti a fare oltraggio alla Cattolica Chiesa, a gravare i popoli di balzelli, e a dilapidare le

(1) Ventura Essai sur le pouvoir public. Paris 1859, pag. 607-12.

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pubbliche sostanze per organizzare tradimenti, e comprare traditori.

Costituiti i clubs della massoneria, della carboneria, e del mazzinianismo all'aperto, ed a guisa di pubblici Dicasteri, dettavano leggi agli affigliati, spargevano le loro dottrine coi giornali del loro colore, mandavano deputati al parlamento per far prevalere le loro massime, prezzolavano i Pianori e gli Orsini per assassinare Monarchi, spedivano emissarj per ogni parte d'Italia per guadagnare al loro partito aristocratici falliti o imbecilli, per solleticare l'ambizione dei mercanti di campagna, e per comprare la plebaglia perché fosse pronta a far eco al grido di chi alla circostanza scendesse in piazza per sollevarla a tumulto. Ne le camere costituzionali dissero mai parola di biasimo, né mai si opposero a tante esorbitanze. Approvarono anzi "ogni dispersione del pubblico danaro, sanzionarono ogni proposta di rovinosi prestiti, ogni imposizione o aumento di tasse per mandar spogliato il popolo dalla testa ai piedi, e per saziare l'ingordigia di uomini senza nome o per infamie celebri e degni di forca, che da ogni parte d'Italia e dall'estero correvano a cercar ricovero in Piemonte.

Il Deputato Pier Carlo Bobbio, uno di quei molti emissarii spediti da Torino nel 1858, il quale percorse le principali città italiane per avvertir gli uomini della rivoluzione a tenersi pronti per secondare gl'intendimenti dei cospiratori torinesi, ci offre questo lagrimevole quadro delle finanze di quel regno. ,,Ogni anno, egli dice, il bilancio del Piemonte si chiude con un aumento del suo passivo, ogni anno è necessità ricorrere a sussidii straordinarii, a prestiti quasi sempre gravosissimi per provvedere alle spese ordinarie dello stato.

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Invano il Ministero delle Finanze, e le commissioni parlamentari si assottigliano il cervello in cerca di spedienti e di risparmii:, una muta permanente di dissesto finanziario è inerente alla condizione nostra politica,, (1). E qual è mai codesta condizione politica del Piemonte che rende pjenpanente il dissesto finanziario che va annualmente alimentandosi? Ognun vede non essere altra che il mal governo, lo stato rivoluzionario in cui versa quel Regno, trascinato appunto dalla rivoluzione a turbare la pace europea, ad abbattere dinastie, ad usurpar regni, a conculcar patti, a diffondere il comunismo, a violare quanto vi ha di sacro fra gli uomini. Se questi mali non si ebbero mai a deplorare sotto l'assoluto dominio dei Re di Savoia, è forza concludere che “In Costituzione è un pessima sostegno per la libertà, perché da troppo appicco alle ambizioni agli scandali, ed alle sedizioni.... Le ciancie nelle assemblee mirano al comandare. Una illusione deplorabile opera in alcuni, un desiderio funesto di primeggiare e di signoreggiare spinge gli altri, e cosi tra gli errori e l'ambizione la patria, e la libertà se ne va. Sono certo che chi vuol dare le assemblee all'Italiana, o per ignoranza, o per ambizione, o per un compassionevole errore d'intelletto, nemico della sua patria n (2).

VII.

Le ciancie appunto delle assemblee torinesi fecero della Italia nostra un ostello di dolori. Poiché da quelle tribune si predicò la indipendenza italiana, la, necessità di affrancare la Italia dalla dominazione straniera,

(1)Bobbio — citato opuscolo § 28 paa, 23

(2)Botta — Storia dItalia lib. 50. in fine.

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cacciando l'Austriaco oltre le Alpi. Idea facile a concepirsi, ma difficile a mandarsi ad effetto! Si abusò però della parola indipendenza, perché questa opportunamente serviva a sollevar gli animi, e spingerli a favorire le ambizioni del Piemonte. Si tacque sempre il grave avvertimento dato da Cesare Balbo, che la parola indipendenza fu ben tredici secoli sorgente fra noi di rivoluzioni che chiamarono sempre sulle nostre terre armi straniere per porre termine alle nostre discordie, allo strazio che facevano di noi stessi (1). Ma i cospiratori non vanno tanto pel sottile, mirano solo alloro interesse, al guadagno che ritrarre possono da politici sconvolgimenti. Contrattarono perciò collo straniero, allo straniero ci venderono, in una parola sono essi sfacciati traditori della patria.

Imperocché è manifesto che mentre ci parlavano d'indipendenza, segrete intelligenze tenevano col Gabinetto di S. Giacomo, gli occulti suoi consigli seguivano sul da farsi, e così facevano l'interesse dell'Inghilterra, e non quello d'Italia. Il Farini che ancor sudicio di fango giunse per mezzo della rivoluzione ad insediarsi al potere, ed assumere di un tratto vita, aspetto, ed atti principeschi, ci ha colla stampa manifestato ,,Il Governo piemontese non ha detto parola, non ha fatto pratica, la quale abbia trapassato i confini di quel sistema, che dall'Inghilterra era stato pienamente collaudato,, (2). Qual confessione non può non persuadere chiunque conservi sanità di mente, che la fazione piemontese nel sollevar gli animi a rivolta non ebbe mai in animo di dare all’Italia la sua indipendenza,

(1) Oper. — Le speranze d'Italia.

(3) Sua lettera a Lord Russel datata da Torino li 20 febbrajo 1859, intitolata — La quistione italiana.

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ma servì vilmente alla maligna gelosia, alla rivalità, all'egoismo dell'Inghilterra, che vorrebbe estendere anche sull'Italia il suo protettorato, farne una colonia, e provvedere ai suoi mercati colle nostre ricchezze.

I Capi di setta, o di fazioni furono e sono sempre istromenti d'invidiosa diplomazia, sono attori da teatro che assumono ogni carattere, simulano passioni, mostrano desiderii in ragione della parte che rappresentano. Ed invero come crederli passionati di buona fede per la indipendenza d'Italia, quando sono mossi da influenza straniera, e quando chiamano a soccorso il braccio straniero? Fin sotto il Regno di Luigi Filippo l'ambizioso Gabinetto di Torino chiedeva l'aiuto della Francia per tentare le sue avventure contro l'Austria, cui volle dar vita nel 1848 col pazzo movimento di Milano (1). Conosciamo tutti come simili pratiche si rinnovassero colla Francia nel 1858, si stipulasse con essa un trattato di alleanza li 19 gennaio 1859 per indurla a scendere in Italia per cacciare l'Austriaco dalla Lombardia. E quando il Piemonte facevasi a combattere col braccio di genti straniere, non poteva non essere convinto che invece di apportare alla Italia la sua indipendenza, obbligavala come in ogni tempo si è verificato ,,a servir sempre o vincitrice, o vinta,,.

E quella battaglia del 1859 su i campi lombardi da ricordare le stragi di Anni baie al Trasimeno fu fatta per una idea utile solo alla Francia, e non per una necessità. Perché il Piemonte, quando avesse voluto

(1) Gualterio — Gli ultimi rivolgimenti italiani cap. 46. pag. 660.

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estendere il suo dominio sulla Lombardia, non ignorava come l'Austria fin dal 1848 con lettera del signor Barone Wessemberg datata da Inspruck li 13 giugno proponesse al Marchese Casali la cessione amichevole della Lombardia, proposta che fu allora imprudentemente ricusata «Ha voluto oggi conseguirla con sagrificii di uomini, e danaro, e quel ch'è più colla cessione alla Francia di due Provincie italiane. Quali Provincie anche in altri tempi tentò Francia far sue e dare in cambio al Piemonte la Lombardia, ma uomini amici del loro paese si opposero sempre, ed il Marchese d'Albarey diceva infamia qualunque accordo di tal fatta (1). Ed infamia appunto fu quella cessione, perché si consegnarono a forestiera potenza le chiavi delle Alpi, che furono e sono naturale barriera d'Italia. Ne vantaggio ha ottenuto il Piemonte coll'acquisto di Lombardia, che non potrà certo signoreggiare lungo tempo, perché quei popoli quasi ingovernabili per indole, odiano il suo dominio più del dominio austriaco, e già non vi ha città, non vi ha villaggio che non vada cospirando per insorgere alla opportunità contro il Governo di Torino»

Il gabinetto sabaudo non avvertì che l'alleanza con Francia per far guerra ingiustissima all'Austria, doveva destare rivalità di Corti, che presto o tardi apporterà amaro frutto alla misera Italia, Fu poi violato colla invasione di Lombardia il trattato di pace fra il Piemonte e l'Austria dei 6 agosto 1849, in cui si convenne all'art.4 di osservare strettamente il trattato dei 9 giugno 1815 intorno alla demarcazione degli Stati Austriaci. Si violò la dichiarazione emessa nel Congresso

(1) Bòtta — Storia ci Italia tom. 1. lib. 5.

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di Parigi li 18 marzo 186 ch'escludeva ogni intervento straniero nelle cose d'Italia. Si violò quanto' si promise all'Inghilterra nel 1857 che la Francia cioè non sarebbe mai scesa contro i trattati in Italia a dare aiuto con intervenzioni più o meno dirette, nè il Redi Sardegna avrebbe mai passato il Ticino, e rotta la guerra all'Austria, e molto meno avrebbe posto in pericolo l'assetto dato all'Italia dal trattato del 1815 (1).

La violazione di trattati, e di solenni promesse consumata dal Piemonte coli appoggio di Francia è una perfidia congiunta alla ingiustizia, che facendo crollare il fondamento della pubblica tranquillità, ed offendendo tutte le Nazioni porge a queste giusto titolo di riunirsi contro il violatore ad oggetto di reprimerlo (2). La illustre Nazione inglese che conviene distinguere da quella fazione del radicalismo rivoluzionario, non soffre che le sue glorie di Waterloo, registrate nel trattato del 1815, siano cancellate quasi con un tratto di penna. Essa è nel momento un Leone che dorme: guai se si desta! Né vogliono conculcata i trattati le altre grandi Potenze europee, che già stanno tutte colle armi al braccio, per piombare sul capo a quei stolti che vanno gridando che il diritto pubblico sancito dalla S. Alleanza col trattato del 1815 dev'essere cancellato (3). La Prussia ha già fatto sentire chiaramente, e senza reticenze ai sapientoni di Torino voler rispettato l'inconcusso principio dell'unicuique suum,,.

(1)Lettera di Farini alt onorevole sig. Gladstone dei 24 dicembre 1857, stampata in Torino nel 1858.

(2)Di Vattel — II diritto delle genti, tom. 3. cap. 4. § 42.

(3)Opusc. — Il Conte di Cavour, e l'Italia, pag. 14.Torino 1859.

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Intanto possiamo, francamente fare rimprovero ai Gabinetto Savoiardo di avere abusato della parola indipendenza per illudere ed ingannare gl'incauti italiani, perché in realtà non mostrò ne' suoi atti tutti che una schifosa servilità verso forestieri patteggiando or per l'Inghilterra ora per Francia e quel che più monta che mentre l'Austria ha conservato e conserva; k dominazione della Venezia, per fatto del Gabinetto torinese, e della sua bigoncia parlamentare si è data pure alla Francia una signoria in Italia col farla padrona della Contea di Nizza, e della Savoia, si è ceduta alla Russia la baja di Villafranca, e così è padrona di mandar quando vuole i. suoi cosacchi a cambiare aria in Italia.

VIII.

Così egualmente fu lettera moria, fu illusione per uccellare li sciocchi la vantata unità d'Italia. Né ciò deve sorprendere minimamente, perché le rivoluzioni conducono sempre a scopo opposto dal desiderato (1), Ciascuno conosce cornei Cavourriani fin dal 1852 cominciassero a screditare in mille guise i Mazziniani, per cui. molti di questi specialmente dopo la pazza ribellione di Milano del 1853 abbandonarono la bandiera dell'apostolo dell'idea, s'intrapresero quindi nel 1854 pratiche attivissime con Daniele Manin, Valerio, e Pallavicino per la fusione dei due partiti piemontese e repubblicano, onde proceder d'accordo per conseguire la indipendenza cometa di tutto il territorio italiano, e la unzione di tutte le parti d'Italia in un sol corpo politico. Rammenta ciascuno come si elevassero dapprima

(1) Boetti — Della monarchici e nazionalità italiana, pag. 8 Torino 1855.

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quistioni di parole, se doveva dirsi cioè unione o unificazione d'Italia. Si discusse poi se la Italia rigenerata ed unita dovesse avere un Re, e si convenne non poter esser nel caso altri che il Re di Piemonte. Scriveva in proposito Manin da Parigi li 15 settembre 1855 ,,Dite alla casa di Savoja che faccia la Italia, ed i repubblicani saranno con essa, altrimenti nò. Dite pure ai costituzionali che pensino a fare la Italia, non ad ingrandire il Piemonte, siano patriotti italiani, e non esclusivamente sardi, ed i repubblicani saranno con essi, altrimenti nò.

Varie altre quistioni di minor conto furono discusse, e finalmente i così detti amici politici, si diedero la mano, e fu stabilita la società nazionale italiana, che venne annunciata con circolare a stampa firmata da Manin nell'agosto 1857. Scopo unico di tale società doveva esser quello di unificare la Italia, niuna parte esclusa ed eccettuata, col mezzo dell'azione popolare, e del concorsa del Governo di Piemonte (1). Per guadagnar le plebi s'incominciò subito a predicare che la Italia unita elevata a nazione si sarebbe convertita in un Eden, i suoi ruscelli dato avrebbero latte, e miele; le sue Aquile avrebbero trionfanti spiegato il volo da Battro a Tile. Colla solita arte ingannevole si cantò del Re Vittorio Emanuele qual redivivo Alessandro, gli si diede il nome di Re galantuomo. Si effigiò in mille guise, ne vi fu squaltrina, o scimunito zerbinotto che non si ornasse del ritratto di quel Re. Con questi ridicoli mezzi s'incominciò ad esaltare le menti, ad edificare il nuovo regno d'Italia immaginato nei clubs dei visionarii e dei poeti, ed impossibile di attuarsi praticamente.

Imperocché la Italia ha in se un germe innato di divisione.

(1) Chassin — Manin et l'Italie, Paria 20 fevrier 1859.

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Separata in più parti è da natura con navigabili fiumi, e con lunghe catene di monti. È ingenito in Italia il municipalismo. Infatti fin dalla sua origine troviamo che quasi ogni città costituiva un regno separato, e distinto. I suoi popoli in ragione dei varii regni prendevano denominazione propria, appellandosi Sabini, Equi, Etruschi, Sanniti, Volsci, Rutuli, Latini, Siculi, Romani, e così discorrendo. Né la Repubblica, ne l'Impero servirono minimamente a far dimenticare ai diversi popoli d'Italia le spariate loro autonomie. Perché caduto il Romano Impero tornò a rivivere il municipalismo in tuttala sua forza, ogni città si rese indipendente, si eresse in Repubblica, si governò con leggi proprie, ricusò con accanite lotte ogni associazione. A prova di questa verità stanno le storie tutte delle repubbliche italiane de' secoli di mezzo.

Né le patite miserie, ne le tante invasioni dello straniero servirono a cangiare l'indole propria de' popoli italiani. Anche oggi ciascuno vanta le sue glorie, le sue grandezze, che non vuole divise colla città vicina. Ogn'italiano si appella col nome patrio o della Provincia, e non mai col nome della nazione. Così ciascuno si dice o Piemontese, o Toscano, o Genovese, o Lombardo, o Siciliano, quasi l'un popolo niuna comunanza avesse coll’altro. La stessa lingua italiana può dirsi lingua de' dotti, perché il popolo di ciascuna provincia conserva un dialetto proprio, che difficilmente si comprende da quello della Provincia limitrofa. E sebbene per tali motivi vide l'Europa necessario di tener la Italia divisa in più regni per secondarne possibilmente l'indole, e la natura, nondimeno riuscì sempre difficile il Governo di singoli Regni, respingendo ogni Provincia l'associazione coll’altra,

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congiurando ciascuna per conseguire la propria indipendenza. Così vediamo che il Lombardo aspira tenacemente alle vecchie sue Signorie; la restaurazione delle aristocratiche repubbliche chiedono Genova, e Venezia; dimanda il suo Senato Bologna, ed un regime proprio la Sicilia. E per queste diverse aspirazioni hanno appunto vita in Italia più che altrove quelle svariate consorterie settarie, che ad ogni lieve spinta si agitano, si lacerano, si combattono con danno immenso e morale è fisico delle popolazioni.

IX.

Anche la giacitura geografica d Italia e d'insormontabile ostacolo alla sognata unificazione. Come ognuno conosce la Italia dalle Alpi si estende per lunga striscia entro un mare che divide in Adriatico e Mediterraneo. La sua lunghezza geografica dal capo Spartivento in Bruzia o Calabria fino al Monte Bianco nelle Alpi Pennine è di circa 625 miglia, e la sua larghezza nella parte continentale tra le Alpi Cozie e le Alpi Giulie 325 miglia, e nella parte peninsulare fra il Monte Argentano sul mar Tirreno ed Ancona sul mare Adriatico 125 miglia. Lo sviluppo poi delle coste d'Italia, e delle sue isole può considerarsi presso a poco di 1800, o 2000 miglia (1). Or si dimanda in qual punto d'Italia si costituirà la capitale del regno da avvicinare più possibilmente le opposte sue estremità? Se la Sicilia spesso si solleva perché si crede troppo lungi da Napoli capitale di quel regno, e chiede perciò una Corte a se, come la terrete soggetta,

( 1 ) Marmocchi — Prodromo della storia naturale generale, e comparata et Italia — Firenze 1844.

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se la capitale la stabilirete alla estremità opposta, a Torino? Se poi si pensasse fare Roma capitale del regno, giova considerare che anche questa dista dal Monte Bianco miglia geografiche 331 circa e dal capo Spartivento miglia 294. Quali distanze renderanno allora arduo non solo il governo di Sicilia, e di Napoli, ma maggiormente quello di Piemonte, della Lombardia, e della Venezia.

Pensano forse gli italianissimi di mandare i moderai Cesari, i Piacili i Cialdini al di là del Rubicone per tener soggetti i popoli dell'antica Gallia? Manderanno costantemente le loro flotte come fece un tempo la Libia per tenere in soggezione la Sicilia, la Corsica, la Sardegna? Per gli accennati motivi neppure Napoleone I, che credevasi Signore di Europa, concepì mai il pazzo disegno di far la Italia unita, ma la divise parte in Impero, parte in regno d'Italia; del reame di Napoli fece un regno indipendente, tenne la Sicilia il legittimo Re Ferdinando, e di Toscana fece altro regno chiamato d'Etruria che diede prima all'infante di Spagna Carlo Lodovico, e nel gennaio 1807 nominò granduchessa di Toscana Elisa Bonaparte sua sorella, che al dir di uno storico dilettavasi dei soldati, niente occupandosi del governo del paese. E se Gioacchino Murat nel 1813 si lasciò da mestatori sedurre per far l'Italia unita, e cingerne il diadema, l'ambizioso progetto lo rese maggiormente odioso a' popoli che dominava, per cui incontrò a Pizzo miseramente la morte (1). Voglia il cielo che il triste esempio non abbia a rinnovarsi! Fra i settarii italiani è più facile trovare i Bruti, che i Pericli, o li Scipioni.

(1) Colletta — Stona del Reame di Napoli, lib. 7 e 8.

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Non conviene poi dimenticare che la Italia ebbe sempre, come ha presentemente, più città capitali, che per lo splendore delle Corti, e per la munificenza dei Principi offrirono protezione ed incoraggiamento al genio e alla industria, e addivennero l'ammirazione dello straniero. Sostituire oggi al fasto delle Corti, l'avarizia o la miseria dei Proconsoli spediti dal Piemonte, avidi più dei Verri del pubblico danaro, e bisognosi delle altrui vesti per cuoprire la propria nudità e quella delle loro famiglie, è Io stesso che provocare Tira delle popolazioni, e suscitare la più ostinata divisione fra popolo e governo, che alla immaginata unificazione diametralmente si oppone. Né si pensi da moderni politici di poter tenere uniti, e soggetti i vari popoli d'Italia colla forza delle armi, e col terrore delle pene. Oltreché non si vide mai dal sangue germogliare la virtù, è positivo e la storia ne ammaestra, che non vi ha regime più vacillante e fiacco della tirannia militare. Imperocché questa non può lungamente durare, perché costituisce uno stato anormale della civile società, è uno stato di continuata violenza, che lo stesso soldato si stanca di esercitarla, e mosso da naturale istinto passa a far causa comune co' pò poli per abbattere il tiranno.

X.

Lo stesso Gualterio considerando la diversa indole de' popoli italiani fin dal 1850 faceva intendere ai suoi amici politici la impossibilità di unire la Italia in un sol regno, così esprimendosi,, io tengo per fermo, che fosse il più vano de' sogni lo sperare che tutte le popolazioni italiane avrebbero per opera delle società segrete riconosciuto

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concordemente in Re Vittorio il Re d Italia (1). E mentre gli uomini della rivoluzione sono convinti essere un sogno la unificazione italiana, altre difficoltà si troverebbero al di fuori per conseguirla. Ed invero sarebbe delirio lo immaginare che la Italia quale oggi è, potesse venire a guerra con Francia per ricuperare le italiane provincie che questa possiede. L'Inghilterra farebbe siepe di sue navi intorno Italia nell'Adriatico e nel Mediterraneo se gl'italiani tentassero di privarla di Malta. L'Austria nel suo quadrilatero imperturbabile veglia a difesa della Venezia, ed attende l'ora per dare una buona lezione ai chiacchieroni di Torino, ed al briaco Garibaldi, e suoi sanculotti.

Né il gabinetto Sabaudo può molto sperare nell'alleanza col Signore di Francia. Se questi mandasse nuovamente i suoi eserciti in aiuto dei Piemontesi non, li manderebbe mai per far la Italia unita, ma solo per secondare i suoi disegni ornai palesi, per restaurare cioè in Italia certe dinastie, che nel cominciar di questo secolo nacquero, e morirono. Troverebbe perciò opposizione nella stessa Francia che non vorrebbe sagrificati i figli suoi per un' interesse di famiglia, e non della nazione. Non troverebbe poi più l'Austria disposta ad accettare colla generosità mostrata in Villafranca dimande di pace. Molto più che oggi per l'interesse europeo è posta in condizione di affrontar Y inimico che scendesse in Italia per farsi sostegno di rivoluzione. Sono pronti a coadiuvarla alleati potentissimi, che facilmente valicherebbero il Reno, per far argine a qualunque ambizioso disegno, ed impedire le conquiste e la rinnovazione delle scene del primo Napoleone.

(1) Gli ultimi rivolgimenti italiani Memorie storiche cap. 37 pag. 556.

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L'Inghilterra osteggia oggi all'aperto in mille guise la preponderanza che il dominatore di Francia vuoi prendere in Italia. Non dimentica la Gran Brettagna di essere stata dominata dai Romani fin verso Fatino 448, «perciò non può concorrere a formare una nazione che le sarebbe nemicissima. Ha pertanto chiaramente manifestato non volere la unione italiana sotto qualunque forma o monarchica o repubblicana. Scriveva diffatti il signor Russel fin dai 16 settembre 1847 al sig. De Broglio ,,Se si tratta di eccitare o di sostenere popolazioni insensate in rivolto nella intrapresa di attaccato il governo austriaco sul suo territorio, e di fondare un regno d'Italia, o una repubblica' d'Italia non conviene contare su noi”. Molto meno i rivoluzionarii di Torino contar possono sull'appoggio delle altre potenze dopo le manifestazioni fatte da uno dei capi della stessa rivoluzione, dal medico Carini, ch'essi cioè insidiano attivamente le monarchie europee (1). Ed i fatti che si sono succeduti, e che vanno succedendo provano la verità delle manifestazioni del Farini, poiché dai comitati di Torino presero vita i movimenti di Polonia, dell'Ungheria, quelli dell'Andalusia in Spagna, gli odierni movimenti di Grecia, e quelli che si tentano nella Germania. Vanno ovunque cercando con profusione dell'oro italiano o gli Orsini, o i Romano, o i Nunziante, mandano ovunque i Boncompagni per complicare in mille modi le condizioni delle altre nazioni, perché possa aver più lunga vita la rivoluzione in Italia, e proseguire a gavazzare nel sangue, e nelle rapine.

(1) Sua lettera al sig. Gladstone datata da Torino li 24 dicembre 1857.

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E mentre la Inghilterra osteggia colla sua politica influenzala unificazione d'Italia,quantunque pe' suoi interessi faccia buon viso alla rivoluzione mentre la osteggiano Austria e Francia per conservare integri i loro possedimenti italiani, mentre la osteggiano pei loro interessi tutti gli altri potentati di Europa, si confessa pure dal gabinetto di Torino essere il Papato insormontabile ostacolo a conseguire la unità d'Italia. Imperocché non può disconoscere che il civile regime dèi Pontefici fu voluto dai bisogni de' popoli. Fra la potenza barbarica, rapace, sanguinaria; scapestrata a tutte brutalità, e i popoli inermi, atterriti, e dispogliati di ogni fortuna, solo i Papi furono quella forza mediatrice, come lo saranno sempre, che opponendo il petto generoso, e tutelando e soccorrendo gli oppressi, giunsero prima ad impedire gli eccidii, poi ad amicare i forti coi deboli, come padri a figli. La forza morale del Papato fu la più acconcia a consumare questa difficile impresa, e la recò ad effetto con pazienza, attività, moderazione, e sapienza veramente divina. E se ancor oggi il Papa reclama e vuole la integrità de' suoi stati legittimamente posseduti da' secoli, se respinge ogni stolto progetto, tendente solo a farlo paggio di corte, o a cacciarlo nelle catacombe, egli non fa che difender la giustizia, tutelare i diritti di tutta la Cristianità, di tutto il mondo cattolico, salvare la Italia dal socialismo, ed i popoli dalla più tirannica, e brutale oppressione '

Sanno i rivoluzionarii del Piemonte, e lo confessano dalle tribune, che la civile potenza del Papa, e la sua spirituale autorità non si abbattono per volere degli uomini.

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Egli non guerriero, non conquistatore, non oppone a' nemici suoi ne armi ne armati. Vinse le barbarie de' tempi con la pazienza e la rassegnazione, e stringendo il gran vessillo della Croce mantenne, e manterrà incrollabile, più che scoglio fra le tempeste, la Sede di Pietro. Egli è il solo fra tutti i monarchi della terra, che può dire a ragione,, Son la forza di Dio, nessun mi tocchi,,. Qual verità confessavate perfino l'alta Camera di Londra nella sua tornata dei 21 luglio 1849, in cui l'illustre Lord Lansdowne esprimevasi che ,,il Papa pel suo potere spirituale gode una sovranità che non ha pari nell'universo mondo. Ogni paese che ha sudditi cattolici romani ha un interesse nella condizione degli Stati Pontificii, e nel vegliare onde il Papa possa esercitate la propria autorità senza essere impedito da. veruna influenza temporale, che sia tale da offenderne il potere spirituale (1)”. Questa verità ripetevate in Francia il sig. Thiers, che pur mostrava esser necessario che il Papa abbia uno stato, in cui regni indipendente, e lungi dalla mano di qualunque monarca della terra (2). Li stessi capi di setta che siedono nella Camera dei deputati in Torino ammettono che il dominio spirituale e temporale del Papa è unito nelle coscienze dei fedeli a ciò che vi ha di più sacro; il Papato è una potenza morale, immensa, straordinaria, la più antica, e ad un tempo la più venerata potenza d'Europa: non si vince né coi cannoni né colla forza (3).

(1)Times dei 22 luglio 1849, Journal des débats del 23 citato mese

(2)Storia del Consolato, e dell'Impero.

(3)Atti officiali riferiti doli Armonia dei 19 gennaio 1862 N. 15, dal giornale di Verona dei 21 del citato mese N. 463, e da altri giornali.

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E quei monarchi che non venerarono la potenza del Pontefice, s'inimicarono i popoli stessi a loro soggetti, videro di mano in mano fiaccarsi il loro potere, e perderono quindi il trono e la corona. Senz'andar cercando nella storia antichi esempii, basta ricordar quello che a tempi nostri vedemmo. Napoleone I conculcando i trattati ed ogni principio di diritto invase gli Stati della Chiesa, e trascinò T immortale Pio VII prigioniero a Fontainebleau. Quest'atto inumano e sagrilegò fece in un subito declinar la sua stella. Cangiarono le sorti; il prigioniero di Fòntainebleau tornò trionfante alla sua Roma, colui che credévasi poter trionfare del mondo intero andò prigioniero a S. Elena. Un moderno scrittore molto a proposito osserva che se Napoleone I nel Pontefice non avesse insultato il Sacerdozio e la Chiesa, e non avesse offeso la nazionalità per estendere il suo impero, non sarebbe stato costretto dalle armi alleate di abdicare (1). Mediti su questo avvenimento chi deve! Io rido iii sentire le Camere Torinesi che fanno proposte per insediarsi in Campidoglio, e costringere così il Papa ad abbandonare la sua Roma. Lascio la quistione del diritto, che può ciascuno da per se risolvere, se sia lecito cioè spogliare altri di ciò che legittimamente possiede. Faccio solo osservare con Guerrazzi agli uomini di Torino, che presso il Campidoglio vi è la rupe tarpea. Potrebbero esser facilmente dal Tarpeo lanciati dal novello Cola di Rienzo che afferrerebbe il potere appena il Papa fuggisse di Roma. Faccio osservar pure ch'essendo Roma di tutto il Mondo Cattolico, non può essere che la sede dei Papi. Non vi ha nazione che non abbia in Roma chiese, istituti,

(1) Marini La Pace, e la Repubblica § 5. Firenze 1859.

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collegii, ospizii, ed altri stabilimenti (1). Diceva perciò un sommo politico, che Roma co' suoi monumenti innalzati coi tesori dell'Europa intiera; Roma centro e capo del Cattolicismo spetta ai cristiani assai più che agli stessi romani. Assicuratevi che noi non vi lasceremo decapitare la Cristianità e ridurre il Papa fuggitivo a chiedere un asilo (2). E Napoleone III ohe ben conosce qual interesse abbia tutta la Cristianità per tutelare il Papato ed il suo temporale dominio, allorché accorreva nel 1859 a sostenere colle sue armi le insensate ambizioni del Piemonte, assicurava solennemente la Francia ch'egli scendeva in Italia per salvarla dalla invasione dello spirito demagogico, e perché il Capo Supremo della Chiesa fosse rispettato in tutti i suoi diritti di Sovrano temporale (3). Anche il Re Sabaudo quando erroneamente credeva di poter" da per se guidare il movimento rivoluzionario, ripeteva in Milano nel giugno 159 le parole del suo potente alleato, dicendo alla Deputazione per le quattro Legazioni,, che il Capo del Cattolicismo non ha nulla a temere dagli avvenimenti, e che sarebbero garantite la neutralità, e la integrità de' suoi stati,,. Queste solenni promesse accettate dal Mondo Cattolico, e registrate dalla storia, come si sono rispettate? Coll’invadere prima le Legazioni, quindi le Provincie delle Marche,. dell'Umbria, e della Sabina, assassinando vilmente di mano in mano le piccole guarnigioni Pontificie. Cosa fa la Francia, quella onorata nazione in veder

(1)Vedi — Geografia politica d'Italia di Celestino Bianchi,cap. 8. Stati Pontificii § 17.

(2)Rivista dei due mondi tom. 24. pag. 1837.

(3)Circolare del Ministro de" culti sig. Rouland dei 4. maggio 1859.

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calpestate sotto i suoi occhi la data fede, e le sue solenni promesse?

Vorremo credere che si faccia assonnare dai commentarii al discorso del Principe Napoleone, regalatici di recente dal Senatore signor Pietri? Ma quale meschinità di argomenti adduce, costui per dedurne che il papa può spogliarsi de' suoi stati? Il Pontefice, egli dice, ha riconosciuto che. il potere temporale non è un dogma (1). Ha sostenuto però essere un diritto. Lo ha sostenuto pure l'Imperatore Napoleone, allorché ha dichiarato dover'essere il Papa rispettato in tutti i suoi diritti di Sovrano temporale. Infatti la Santa Sede possiede ab immemorabili i suoi stati: la legittimità del possesso niuno ha ardito fin qui contrastarla: la sua Sovranità temporale è la più antica di qualunque Sovranità del Mondo. È forza adunque che sia in tutta la sua integrità rispettata, ne può lasciarsi in preda alla rivoluzione per secondare l'ambizioso Piemonte, ed una subdola politica estera senza violare ogni principio del diritto comune, e delle genti..

Il signor Pietri quando è abile a preordinare il suffragio universale a favore di chi lo stipendia, altrettanto è inesperto nell'arte di ragionare. Imperocché col fissare il principio, che può spogliarsi il Papa del suo potere temporale,, perché questo non è un dogma, verrebbe a stabilire, che le Monarchie della terra non essendo un dogma, è egualmente lecito di abbatterle. Se taluno ardisse predicare e diffondere questa massima in Francia, scommetto che il signor Pietri, dimenticando la sua dignità senatoria, farebbe al povero uomo un brutto scherzo, trascinandolo nel carcere.

(1)La Politica francese, è la quistione italiana § 8.

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E se desso in Francia ama, e vuole rispettata la Sovranità napoleonica, che non è un dogma, perché del pari non deve rispettarsi la Sovranità temporale del Papa in tutti gli Stati della Chiesa?

XII.

Ammette il signor Pietri che per quietare le coscienze cattoliche è necessario che sia guarentita la indipendenza del Papa. E qual guarentigia avrà più il Papa se lo priverete de' suoi stati, in cui regnò sempre indipendente, per poter esercitare indipendentemente da ogn'altro Monarca la sua Sovranità Spirituale? Propone il moderno pubblicista' spuntato come un fungo nell'orto de' semplici di garantire la indipendenza del Pontefice col far siepe intorno a lui delle armi italiane e francesi, ch'è, quanto dire di tenerlo guardato a vista come un prigioniero. Così si obbligherebbe a far tutto quello che a' Custodi suoi non dispiacesse, e vietandogli colla forza di riprovare le violazioni delle leggi divine, #ed ecclesiastiche che si andassero da costoro commettendo con danno delle anime.

Non sono molti anni che udimmo pure intuonarci dai rigeneratori d'Italia ,,Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza nell'esercizio della potestà spirituale,, (1). Ebbene quali furono queste guarentigie? Fummo noi stessi testimonj, vedemmo noi stessi diffondersi in ogni parte della nostra Roma, e d'Italia massime di ateismo e

(1) Decreto dell'Assemblea costituente romana dei 9 Febbraro 1849. Art, 2.

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di protestantismo, insultare Cristo in sacramento, profanare le chiese, spogliar gli altari, imprigionare illustri Porporati e Vescovi, perseguitare Ecclesiastici fino ad assassinarli per barbaro trastullo nel Convento di S. Calisto presso S. Maria in Trastevere. Questi sono fatti, che non si possono impugnare. Anche oggi si va gridando sulle norme dettate dal Mazzini „libera Chiesa in libero Stato,,; anche oggi dai Sapientoni di Torino ci si e annunciato di voler insegnare alla Italia la morale, e la civilizzazione eh essi mai non conobbero; anche oggi con farisaica ipocrisia si dice di professare venerazione al Capo Supremo del Cattolicismo. Vediamo intanto farsi ogni sforzo per sostituire alle Chiese nostre Cattoliche templi valdesi e protestanti; si mandano per le piazze i Pantaleoni, i Gavazzi, i De Sanctis a bestemmiare ogni verità conosciuta: si chiamano Reverendi dall'Inghilterra seguiti dalle loro mogli,'e svenevoli figlie per insegnar massime acattoliche, e per rapire agl'Italiani il miglior retaggio eh' ebbero ' dai padri loro la Religione nostra santissima: si fa insulto ogni giorno al Pontefice in mille guise; gli s'impedisce l'esercizio della Suprema Sua Autorità col perseguitare i suoi Ministri, imprigionando Cardinali, Vescovi, e Parrochi; si convertono le più gentili città d'Italia in bordelli per fiaccare il cuore e la mente del le popolazioni, e bruttamente insozzarle più che porci nella braga.

Qual guarentigia può attender mai il Papa da codesti reggitori italiani predominati dai Comitati rivoluzionarii che a loro talento imperano in ogni città, in ogni borgo, in ogni villaggio d'Italia? A che servirono le solenni promesse del Sire di Francia, e del Re Sabaudo fatte nel 1859 che sarebbe stata garantita

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la integrità degli Stati del S. Padre? I preliminari di pace di Villafranca, il trattato di Zurigo, ponevano termine alla guerra fatta per una idea e non per necessità, ed assicuravano la tranquillità della Italia. Non ostante la rivoluzione non depose le armi, occupò i Ducati, usurpò le migliori Provincie della S. Sede,, si spinse nel regno di Napoli, e con accanita lotta obbligò il giovine, e magnanimo Re a cercare un ricovero in terra amica. E questa lotta si consumò a nome del Re Vittorio Emmanuele, e si rinnovò così il truce esempio che l'un congiunto calpesta il capo del congiunto per assidersi nella sua Regia, per estendere la propria dominazione.

Se il S. Padre adunque riprova ogni usurpazione consumata in Italia, se rigetta ogni, proposta di chi non serbò mai fede, rispondendo ,,non possumus,, bene, ed ha ragione. Se scenderanno i barbari alla violenza, egli farà appello a1 suoi figli, e questi più che per ' istinto di natura accorreranno alla difesa del padre, nè il loro eroismo verrà meno ai supplizi, alle carneficine. Ricorderà la Francia che fece suo vanto il ricondurre dopo il 1849 il Pontefice sulla Sede di Pietro, e ripristinarlo Signore de' suoi Stati. Cancellata sarebbe di un tratto la sua gloria, se tollerasse più a lungo che fosse insultato e vilipeso. Vedrebbero le altre Potenze, che se la demagogia riuscisse ad abbattere il Papato, la più antica e venerata Potenza del Mondò, facilissimo le riuscirebbe di rovesciare i loro Troni, sotto i quali si va già da gran tempo ascondendo. Ed il Re di Piemonte proseguirà a dormir tranquillo fra gli amplessi di Atta e Poppea, proseguirà ad accarezzare la rivoluzione, le sue esorbitanze, i suoi soprusi? Essa è pronta ornai a divorarlo. Lo ha reso suo paggio per

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fargli eseguir e delle comparse teatrali nelle Romagne in Firenze, ed in Napoli. E forse in ogni suo viaggio gli tiene al fianco il pugnale del Gallenga, che minaccio già i giorni del padre suo» Perché se Garibaldi va all'aperto sollevando le genti per creare in Italia Una Dittatura, non lascia il Mazzoni di armare in occulto il braccio dei sicarii. Per la brutale sua ferocia erano già pronte in Genova le bombe all'Orsini (1),

XIII.

E mentre come vedemmo, è impossibile conseguire la unità d'Italia per le sue condizioni naturali, politiche, e religiose, la rivoluzione stessa mirabilmente coopera per dividerla in brani. I rivoluzionarii si sono divisi fra loro, pochi or sono gli unitali monarchici i più sono federalisti costituzionali, altri murattiani, altri repubblicani uni tari, altri repubblicani federali. Tutti hanno innalzata la loro bandiera tutti combattono su campi diversi, tutti diffondono in mille guise le loro dottrine. Videro i popoli eseguirsi la vendita di provincie italiane senza il consenso delle Camere parlamentari. Sanno esser già convenuta la cessione di altre Provincie, che per soli riguardi diplomatici non è fin qui mandata ad effetto. Conoscono le occulte brighe che si vanno facendo per collocare sul soglio dei Principi spodestati signori stranieri. Non possono ignorare come oggi vadasi proponendo di trasferire il Governo di Torino in Napoli per dare il regno di Piemonte a Potenza che pe' suoi disegni vede

(1) Atto di sequestro della Questura di Genova degli 8 maggio 1862.

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necessario di tenere in soggezione l'Austria e la Germania. A ragione perciò diceva il Pianciani,, che {ministri del Piemonte hanno cercato di far i loro affari e non i nostri. Se fosse altrimenti essi non avrebbero prostituita il paese allo straniero, 'perché ne usasse a piacere, quasi della libidine sua non potesse sospettare neppure: non avrebbero a lui venduto provincie, altre oppignorate (1).

E che realmente abbiano badato a fare i loro affari, e quei dei capi di partito, e degli emissari, abbiamo a prova fatti evidentissimi. Predicarono riforme non per altro scopo che per fiaccare i governi de legittimi Principi per poterli più facilmente assalire, e rubare le ricchezze delle regie, delle quali niuno fin qui ha dimandato conto. Predicarono la utilità dei regime costituzionale, perché conoscevano quanto sia facile formarsi nelle camere un partito col far eleggere dei pecoroni, che ogni desiderio del Ministero applaudissero. Ci parlarono d'indipendenza italiana, mentre servirono vilmente allo straniero. Ci parlarono di unità d'Italia, e l'Italia venderono. Chiamarono tiranni i legittimi Principi, che commettevano ai Tribunali legalmente istituiti il conoscere e giudicare secondo le leggi delle colpe de' sudditi, e dessi tollerano, che si mandino fucilati individui a cento a cento per militare licenza senza legge, senza giudizio, negando perfino ai pazienti i conforti della Religione. Si rimarcarono calunniosamente difetti dei Magistrati eletti dai legittimi Governi, ed a questi si sono oggi sostituiti uomini ignoranti, senza nome, o sortiti da poco da galera, e che portano sulla loro fronte l'indelebile marchio della infamia.

(1) Dell'andamento delle cose in Italia Rivelazioni Milano 1860.

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Si accusarono di malversazioni le amministrazioni dei vari Governi italiani, si dissero eccessivamente gravati i popoli di tasse; ed ora le imposte si sono triplicate, si sono usurpati i beni delle Chiese e delle corporazioni religiose, le rendite dei quali servono unicamente ad ingrassare gli Amministratori, a stipendiare emigrati, e si creano di semestre in semestre centinaia di milioni di debito per riparare al dissesto ogn'ora crescente, perché sempre sono vuotate le casse dalla turba dei peculatori. Così si spogliano i popoli, e si espone la Italia ad esser venduta all'asta pubblica per soddisfare alle enormissime passività. .

Si fece credere all'Europa che le popolazioni italiane volessero la Signoria piemontese, ed intanto i continui tumulti di Ro magna le recenti cospirazioni lombarde, gli ostinati conflitti nel Regno di Napoli mostrano quanto si avversi l'unità d'Italia, e il ferreo giogo imposto dal Piemonte colla forza sul collo dei poveri popoli. Sgomentata è la pubblica opinione in vedere crearsi immensità d'impieghi per dar pane a uomini che non hanno altro merito che quello di aver appartenuto a consorterie settarie. I ladri, i malfattori, i truffatori, gli omicidiari impune mente sfogano sulle masse le perverse loro tendente; sbandita è la pubblica sicurezza; obliato è dai governanti ogni principio di 'equità e di giustizia. Le soldatesche si vanno assottigliando ogni giorno perché molti cadono ne conflitti, i più stanchi de soprusi, e dei patimenti abbandonano le bandiere. Ne a riempirne il vuoto servono le coscrizioni, perché generalmente avversate non producono altro effetto che di fare emigrare i giovani, i quali o vanno raminghi attendendo Torà del riscatto,

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o corrono ad offrire il loro braccio a difesa della legittimità. Tutte queste vergogne del Governo parlamentare di Torino compendia vale ad una ad una in pubblico parlamento lo stesso Brofferio, e logicamente quindi concludeva che l'Italia non è fatta anzi non fu mai tanto disfatta come in questi giorni.

Questi fatti costituiscono la prova la più concludente che la rivoluzione è incapace di edificare, ed abilissima per distruggere perché i rivoluzionarii non mirano mai al bene pubblico, ma ad ingannare le masse per farle preda di malvagi e ispirazioni dello spirito di rivolta, e servirsi delle loro braccia per soddisfare all'egoismo di pochi, e a pregiudizio della generalità. Lo stato anormale della rivoluzione non può aver mai lunga durata. Perché al primo entusiasmo subentra l'indifferenza, alle illusioni il disinganno, agli osanna ciecamente tributati ai capi di fazioni l'odio e il disprezzo ai tripudii e ai baccanali la noia, e così un freddo calcolo sospinge per naturale impulso r popoli al ristabilimento dei governi, e della loro legittima indipendenza per tornare alla generosa e pacifica attività dei grandi istinti di civilizzazione. Ciò e omai per verificarsi in Italia a fronte degli sforzi tutti dei cospiratori piemontesi, dei Mazzini e dei Garibaldi.

XIV.

I mali che ci hanno oppresso, e ci opprimono ancora per opera di quelli che dicevano volerci beneficare siano per noi salutare lezione per l'avvenire! I miei concittadini imparino una volta che la felicità dei popoli non si consegue coll'opera delle sette e delle rivoluzioni, le quali fruttarono sempre pianto e mina.

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La unione fra i principi italiani, e l'armonia fra i popoli possono restituire la Penisola alla sua grandezza.. Questo insegnamento da vaio a noi nel; 1848 il grande. Pontefice Pio IX (1). Oh si fosse ascoltata la voce del Sommo Principe, che solo aveva a cuore il bene d'Italia, e non le altrui ambizioni, e le speculazioni straniere! Che or non vedressimo desolarsi il bel paese con fraterne lotte, per guisa che più non vi è punto dove non abiti il dolore, non gleba senza sangue. E in mezzo a queste discordie, la quistione italiana è addivenuta sorgente d'irritazione fra due grandi governi che ambiscono dominarci, che vogliono dell'Italia fare un pegno di loro alleanza, e sincera armonia, dando agl’Italiani nuovi padroni che li governino secondo l'originale identità di viste e di principii dell'Inghilterra, e della Francia. Questa è la indipendenza che ha conseguita la Italia per opera dei D'Azeglio, dei Cavour, dei Ricasoli, e dei Rattazzi. Bulbo e Gioberti conoscitori delle condizioni d'Italia, riputarono stoltezza la unificazione. Lo stesso Manin riprovò sempre la idea di una repubblica unita, ammettendo solo la possibilità delle repubbliche federative. E la confederazione appunto degli stati italiani è la sola che può all'Italia convenire. Anche pubblicisti francesi nel trattare del riordinamento d'Italia proposero la confederazione sotto la presidenza del Romano Pontefice (2). E nei preliminari di pace di Villafranca confermati dal trattato di Zurigo convenne lo stesso Piemonte

(1) Arthur de Grandeffe Pie IX et l'Italie Farò 1859, pag. 49,

(2) Opusc. Napoleone III e la Italia § 12 a 14; De Girardin La Guerre Paris 1859.

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con Austria e Francia per la federazione degli Stati Italiani ponendo a capo il Papa. Quali patti e convenzioni, se ne persuadano pure gl'insensati rivoluzionarii che presto o tardi saranno alla lettera eseguiti, perché i trattati segnati colla spada alla mano, finché non sono annullati per consenso dei segnatarii, si fanno osservare colla spada. L'Europa che intervenne in Siria, in Turchia, nel Messico, in paesi lontani e barbari, per far cessare sanguinose lotte intestine, non può più a lungo assistere in silenzio ai tanti orrori che si compiono fra le civilizzate popolazioni d'Italia, in cui cadono a migliaia fucilati i cittadini, e le città e i villaggi altri sono mitragliati, altri distrutti dal saccheggio, e dall'incendio.

E savio consiglio fu di stabilire nel Papato la presidenza della confederazione italiana, come quello che può rendere la Italia grande e temuta. Perché il Papa, come bene osserva l'onorevole sig. Disraeli, se non è più potente d'un altro qualsiasi duca italiano, come Principe spirituale invece egli esercita un grande potere in tutti i paesi del mondo, ed in tutti i paesi egli è rappresentato da un corpo intellettuale organizzato (1). Geloso depositario, e custode delle divine leggi rammenterà ai Principi il diligite justitiam, comanderà ai popoli honorate reges. Per l'osservanza de' quali precetti strette in dolce amplesso la giustizia e la pace, tornerà il genio italiano a spiegare il suo volo, ed a farsi ammirare dallo straniero per la coltura delle lettere, delle scienze, e delle arti, che inspirate nella Religione nostra santissima, pare che fuori d'Italia non trovino terra che pii loro convenga per sorgere e grandeggiare.

( 1 ) Atti officiali del parlamento di Londra dei 9 maggio 1862.

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All'ombra della pace vedremo di quali forze può abbisognare la Italia per combattere gl'interni nemici, per difendersi da straniere aggressioni: studieremo di mettere possibilmente in armonia fra loro le varie legislazioni italiane, uniformandole al romano diritto, di cui si correggerà la druidica ferocia colla equità e mitezza delle canoniche leggi: spogliati dal fanatismo per lo straniero, pondereremo all'appoggio de' fatti e della esperienza se ne' criminali giudizii offra maggior sicurezza per l'accusato il processo inquisitorio, o il processo orale: vedremo come dare maggiore sviluppo all'agricoltura, per la quale sembra creata la Italia, e risolveremo se più convenga abbandonare i grandi tenimenti alla pastorizia esclusivamente, o commetterli all'industre colono chela prima non trascurando sappia pure col sudore di sua fronte far sorgere gialle orride glebe la spiga per provvedersi del pane. Un libero scambio fra i Governi confederati delle produzioni nostre agricole ed industriali offrirà mirabilmente la ricchezza e l'abbondanza ne' mercati italiani, e farà cessare il tirannico monopolio, e la speculazione. Lungi infine dalle influenze di altre atmosfere potremo concludere rapporti di amichevole reciprocanza finanziarii, commerciali, e politici colle più lontane parti del mondo. Così colla confederazione conseguiremo la unità d'Italia, e col provvedere saggiamente ai bisogni nostri otterremo la reale nostra indipendenza..












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