Eleaml - Nuovi Eleatici


LO TROVATORE

Giornale del Popolo - ANNO VI Aprile 1871 Dicembre 1871 (2)


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MAL PRO HA RITRATTO L'ITALIA DAL 2 LUGLIO

TUTTI ALL'URNA!

Scrivono in Malta

Noi siamo i rei?

MAL PRO HA RITRATTO... I MAGICI EFFETTI DELL'ORO ITALIANO!

BUGIARDI! Sull'Albergo dei Poveri

CORRETE ALL'URNA!

CHE INGANNO!

IL PRINCIPE DI PRUSSIA E IL RE FRANCESCO DI NAPOLI

MUSEO NAZIONALE

NUOVA LEGGE, NUOVO ABUSO

SI BASTONA E S'INCARCERA

IL 23 AGOSTO 1871

O SALGONO O SCENDONO LA CATASTROFE NON MANCHERA'

IL 23 AGOSTO 1871

Nuovi delitti, nuovi balzelli

SEQUESTRO

Portatelo al Manicomio

QUESTO E' TROPPO FORTE!

Portatelo al Manicomio

SON TUTTI POLITICI MA NON SANNO QUELLO CHE DICONO!

E STORIA!

UN ALTRO SEQUESTRO!

LA SITUAZIONE D'ITALIA

NOI ED IL FISCO!

ED UN ALTRA OPERA SI DISTRUGGERÀ


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ANNO VI N. ° XX XXXXXXXXXXXXXXX

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

MAL PRO HA RITRATTO L'ITALIA DAL 2 LUGLIO

Questa domanda tuttodì si fanno coloro che non facendosi imporre dalle parvenze spesso bugiarde, e sempre ingannevoli... Ora che il delirio è cessato, che la grande sfuriala si è compiuta, poiché il famoso edificio del 1800 à ottenuto il suo coronamento, ci si permetterà dire la nostra parola in proposito. Ed eccola. Il giorno 2 del mese di luglio 1871 il governo italiano à commesso l'ultimo errore, la coppa della bilancia é traboccata, e nelle liete previsioni in riguardo al contegno della diplomazia, si è avuto un solenne disinganno. A conto fatto dunque, ciò che à brillato non è stato oro di coppella... Vediamolo. È troppo conosciuto che la rivoluzione à tanto sbraitato per istallarsi il governo in Roma, a solo fine che in omaggio alla teorica dei fatti compiuti; essa rivoluzione sarebbe rimasta tranquilla nell'uti possidetis. Sicché ogni difficoltà sariasi distrigata, la tanto temuta quistione Romana (o per dirla come va) questione Italiana sarebbesi sciolta pacificamente tra le grida di gioia dei ventimila schiamazzatori, l'odor delle vivande, lo spumeggiare dei bicchieri, e la voluttà d'una galoppata...

Vi sorprende? Siete all'oscuro allora, poiché dal 1860 al 1871 non compito, i nostri padroni ànno sempre magnificamente intrecciato il serio al ridicolo accomodando le faccende le più rilevanti con una buona scorpacciata, od un walzer... laonde, pranzi, balli, feste e via... Così il popolo se non può mangiare, poiché senza la croce di un quattrino, può godere dello spettacolo graditissimo di veder pranzare, ballare e fumare i suoi arcinobilissimi padroni. Ecco tutto. Eccovi dunque a Roma. 11 Ministro ViscontiVenosta improntando un nuovo uso diplomatico (poiché tutto dev'essere nuovo nella Italia nuova ) fece non comunicazione ufficiale del trasporto della Sede del governo a Roma, ma invito sic et semplìciter di un pranzo a Roma a tutti i rappresentanti esteri... Ma di questi, soli pochi accettarono, che gli altri trovandosi un po' gravati di stomaco, declinarono al grazioso invito. Laonde il Ministro Lanza anche in questo rincontro, dal quale impromettevasi moltissimo, non è stato mica felice, giacché mai come per quel fatto, si può ripetere la nota favola: Han, partorirono i monti un topolino.

Questo Ministero sembra proprio di essere il Nicola Valletta di questa pulzella d'Italia... Nato per equivoco, vive di equivoci e di errori, esso sembra chi si abbia un prestabilito disegno di accelerare l'avvenire, poiché condotta l'Italia come vittima ornata di fiori sull'orlo dell'abisso, l'à messa in tale situazione che altro non gli ripiana se non la famosa rupe tarpeìa... Questo noi diciamo non por spirito di op posizione., ma per calmo ragionamento, e perché grazie al cielo, non abbiamo le traveggole... Da parte tutti gli sballoni della stampa cointeressata, e della carotata Stefani; lasciamo la teatrale comparsa dei ventimila gridatori rappresentanti il popolo di Quirino, che con quanto di fiato avevano nei polmoni ànno assordato l'aria con urrà e viva... Sicché i cinque franchi pagati da un certo fondo segreto (avviso a Sella e Gadda) non sono andati perduti. Astrazione alle feste ed illuminazioni (Miniane alla pioggie di fiori, al viavai, al tramestio che per trentaquattro ore trasformò Roma in un manicomio, ove voci alte e fioche udironsi e varie favelle, giacché il popolo romano in quel tempo per una di quelle metamorfosi di cui ci à lasciato ricordo il Curletti, parlò il dialetto di tutte le Provincie d'Italia, sicché se tra i gridatori l'accento romano si avrebbe voluto sentire, meno quello del ghetto, era speranza delusa... domandiamo di tutto quel diavoleto, signori Ministri d Italia quale lo scopo, quale l'ottenuto vantaggio? Esso fu, ed or non resta di tanto delirio che l'eloquente e inesorabile cifra di parecchi milioni sul bilancio passivo dello Stato. Viva voi dunque, o eccellenze! In 34 ore? Signorsì, poiché al dire del giornale libéralissimo la Libertà, se le feste sarebbero durate di più, sarebbe stato difficile mantenere tra i plaudenti l'entusiasmo e la gioia, ammenoché un altro milioncino non si fosse aggiunto al passivo. Però di questo a noi non riguarda, che quello che ci appartiene si è il conoscere lo scopo avuto dal Ministero nel voler fare la comparsa ufficiale in Roma, ed il vantaggio ottenutone a prò dell'Italia. Scopo del Ministero fu di sondare sino al fondo le acque estere, facendo la presa di possesso ufficiale e diplomatica di Roma. Ma il disinganno fu completo, inaspettato, terribile. I Ministri esteri che fecero onore all'invito Viscontiano furono quello di Prussia e l'altro di Baviera, poiché Spagna e il Portogallo sono roba di casa e gli altri sono piccoli astri minori;..

Ora i liberaleschi che dal fatto di avere i rappresentanti di Prussia e Baviera mangiato con buono appetito le squisite vivande del pranzo del Capitolino, ne traevano l'oroscopo di una alleanza ItaloGermanica, àn dovuto rimaner di sale come Lot nel sentire da quei due diplomatici officialmente e per ordine dei rispettivi governi, protestare al Venosta che a loro presenza in Roma non implicava alcuno impegno circa la questione di dritto in quanto al fatto d'Italia, poiché essi governi su di questo mantenevano invariabilmente tutte le loro più. ampie ed assolute riserve. In altri termini si è detto a Venosta noi siamo venuti perché invitati da voi ad una corsa di piacere, abbiamo mangiato per saggiare la cucina romana, ma del resto la questione rimarrà sul tappeto verde della diplomazia... Crediamo che non vi sarà stato mai nei riscontri diplomatici una corbellatura maggiore...

I Ministri poi di Russia, Austria, Francia, Belgio ed Inghilterra ricordandosi dei consigli di Catone: fuggi i rumori; pensarono andare a Roma, ma a cose finite,, trattenendosi nel viaggio in certi studi topografici... eccetto il Ministro di Francia che postosi in. cammino sbagliò la. via ed invece di andare a Roma,, corse a Versailles... Arrogi che il signor Visconti Venosta non à mancato avvisare i nobili rappresentanti esteri, che egli ed il suo gabinetto, col due luglio avrebbe cambiato domicilio, passando da Firenze in Roma, e quei rappresentanti àn detto va bene, dunque se abbiamo bisogno dei vostri servigi verremo a trovarvi in Roma.

Posto ciò noi abbiamo che lo scopo dei Ministri d'Italia di indurre le potenze estere a riconoscere diplomaticamente il fatto compiuto, non è stato raggiunto, che anzi ora più che mai il governo italiano deve esser convinto che il rendiconto verrà... e lo stesso Capo dello Stato nelle poche parole! che ha detto nel ricevimento d'occasione à accennato a grossi i nugoloni che gravitano sull'Italia... Il vantaggio poi che à ritratto l'Italia da questa scena comicobuffa è stato quello: di una umiliazione di più da parte dell'estero e di un vuoto imprevisto tra i tanti che anno le sue pezzentissime finanze.

Dunque la questione romana, o meglio italiana, restando insoluta ed aggravata è da attendersi a fatti seriissimi, forse molto prossimi, precisamente da parte della Francia... Parliamoci franchi; tra tutte le potenze, quella che avrebbe un certo interesse indiretto per lo statu quo d'Italia relativamente a non far risorgere la Francia è la Prussia; ma le altre, odiando la rivoluzione non le par vero di disfarsene. Eppure la Prussia il giorno in cui potrà essere sicura che il ristoramento in Francia non sarà per lei pericoloso, credetelo pure che in un sol giorno dimenticherà le simpatie verso l'Italia malgrado i 45 milioni dati pel traforo del S. Gottardo... Ricordiamoci che Ottone di Bismarck è uomo di vecchio stampo, e l'assolutismo, il dominio, l'odio alla rivoluzione l'à nel cuore, e l'Imperatore Guglielmo è quel sovrano che ad ogni girar di lingua protesta essere Re e Imperatore per grazia di Dio, minacciando guai a coloro che anno lacerato i trattati—

La Perseveranza di Milano fin dal maggio ultimo intravedeva tempeste per l'Italia, precisamente se in Francia salivano al trono i Borboni... La Gazzella di Augusta dice, che quali essi fossero i partiti in Francia non esclusi i comunisti, ànno tutti un sol punto di contatto, cioè: odio all'Italia, vendetta contro l'Italia... Il Piccolo di Napoli vede tutto nero per l'Italia da parte della Francia; il Roma sente già il puzzo della polvere da cannone, ed il governo istesso con richiedere d'urgenza le fortificazioni di Roma, di Bologna, della Spezia e di Alessandria, chiaramente dinota che le paure vengono dalla Francia e dall'Austria, ornai prossime ad allearsi, ciò che turba i sogni del signor di Bismarck, e donde le simpatie sue per l'Italia... ma parleremo in altro articolo di questa alleanza che non dispiacerà né alla Russia, né all'Inghilterra... Mentre dunque il Minisrero LanzaSella à voluto chiudere la inonesta e sleale sua gestione con provocare la terribile ora in cui (se le incessanti pratiche del Thiers riusciranno, si avrà un Congresso, in altro caso alla parola diplomatica subentrerà la parola del cannone). Nè si guardi con calma l'avvenire, essendo certi, che ornai l'ora della grande riparazione sta per suonare, ed ì ecco come le speranze di Lanza e soci sono andate frustrate, e l'Italia non vi à guadagnato che odio maggiore interno ed esterno, e l'affilamento delle spade da parte della Francia e dall'Austria!!!

LO TROVATORE.

TUTTI ALL'URNA!

Concittadini Napoletani. A voi è noto di quale fede noi siamo, poiché sei anni volgono che impavidi sulla breccia pugnando non desistemmo un solo istante dalla lotta. Dunque, la nostra parta à un eco presso di voi, e ce ne avete date reiterate prove, per cui ve ne ringraziamo. Ora però dobbiamo dirvi. Tutti all'Una. Tra non molto vi saranno le elezioni del Consiglio Comunale. Oggi che dal Municipio dipendono tutti i vantaggi che un popolo può ottenere da una saggia Amministrazione, sentiamo il dovere dirvi correte air Urna. Ivi non trattandosi di politica, ma di onesta, di probità, di patriottismo, di moralità, è mestieri che ormai finisca una volta la vergognosa gazarra del camorrismo politico che da undici anni si è imposto con l' intrigo la cabala, e la minaccia al paese, taglieggiandolo e tiranneggiandolo barbaramente.

Concittadini, se le sventure politiche da cui siamo colpiti non ce l'abbiamo procurate noi, quelle però Amministrative, la colpa e stata nostra, perché da undici anni ci siamo astenuti di esercitare un dritto accordatoci dalla legge. Noi per ripugnanza ai tempi e non farci complici di delitti, di ogni sorta ci siamo dati un volontario ostricisnio, lasciando ai nostri nemici libero il campo alle loro inique imprese, e perciò in dieci anni abbiam sofferto quanto mai uomini soffrir potevano; noi abbiam visto tutto manomesso, i dritti sconosciuti, l'odio mutato in legge, la vendetta personale in giustizia, il furto a sistema ed ogni più turpe cosa che non solo i codici condannano, ma ogni onesta coscienza riprova... E per colpa del Municipio quante grandezze patrie, quanti vantaggi, quanti dritti non abbiam perduto? Ebbene forse che laddove al reggimento civico del paese Uomini saggi ed onesti sariano stati, noi Napoletani avremmo deplorato tanto sperpero dissonesto del pubblico denaro, tanti gravosi balzelli che urtano sinanco col buon senso, tante insulse persecuzioni da parte dei settentrionali sino a trattarci da un popolo d'iloti con mandar tra noi, artieri, commercianti, impiegati, e fino gli accenditori di fanali e paratori di feste come due volte si è fatto? Credete che se si avesse avuto un Municipio morale, avremmo noi Napoletani visto tanti pubblici oltraggi fatti alla nostra fede, alla nostra dignità, alla Città nostra?

Sarebbe troppo arduo il voler numerare per sommi capi il male fattoci dalle pessime Amministrazioni Municipali in questi due lustri di rivoluzione... Uomini oscuri, speculatori, intriganti, o partigiani andarono ad assidersi a quei seggi ove sedettero intemerate e nobilissime persone, e la pubblica azienda divenne un monopolio dei più furbi e degli scaltri... Quando un popolo languiva per la lame, per la carezza dei viveri, quando a torme s'incontravano sulle vie i nostri operai senza lavoro e senza tetto, il Municipio tacendo di cappello al Ministero plaudiva alle ibride misure alle draconiane leggi di esso contro di noi... e tra feste e baldorie, danze, e conviti, mascherate e corse di piacere, doni e culle, scale, inaugurazioni di strade, lapidi a stranieri, monumenti, pazze spese di giardini di piantagioni, di tiri a segno, tra i quali l'ultimo teste compiuto all'emiciclo di S. Giovanniello, ove si sono spesi 13 mila ducati, ed altre stranezze niente affatto utili, niente affatto morali, dannevoli anzi ed inoneste, scialacquava il nostro denaro che a noi estorqueva a furia d'imposte e col carabiniere e l'usciere alla porta, vendendosi l'ultima camicia che ricopriva le carni del povero operaio, l'ultimo lenzuolo dal letto dell'ammalato.

Noi, poiché questo è un argomento che c'interessa tanto da vicino da fermare tutta la nostra attenzione, ne faremo oggetto di pochi articoli, onde cosi, specialmente il popolino, vegga la necessità di accorrere all'urna, senza che in inutili piati sfoghi il proprio dolore, lasciando inerte quell'arma legale che la legge istessa gli da tra le mani onde difendere i propri dritti, e scacciare il camorrismo... Esso ormai è trapotente nella pubblica Amministrazione Civica, e semprepiù dilatasi nelle varie branche di lei, per cui all'urna tutti.

(continua)

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Nzomma, Si Tò, fernimmo lo trascurzo nuosto; ve pare possibele chello che bonno sti quatto pedocchiuse e sciacquatrippe de la nternazionale?

Trov. Che à da essere possibele, pò soccedere che se non s'arrepara a tiempo, pò nascere lo fatto de Parige nn'Italia, ma che ll'Europa potesse addeventà na chiaveca comme lloro desiderano... è no suonno...

D. Crisc. E che l'Europa potesse ritornare clericale e retrograda è una pazzia...

Gnaz. Sentite a me, sò fernute chille tiempe, e chi cade nterra e more, non se sose cchiù.

Caf. Mperò lo defficele sta a bbedè chi sarrà chillo che cadarrà nterra... pecche nfi a mo se nuje chiagnimmo vuje manco redite...

Ann. E pò, lo puorco magna, veve e sciasceja nfi a ohe bene lo Carnevale. no lo ssaje?

D. Crisc. Ora alla fin fine tutte queste ciarle si riducono a questo, cioè, che voi clericali e borbonici non volete ammettere il progresso amando restar schiavi di spirito e di corpo, mentre noi liberali riconoscendo questa suprema legge diciamo che 1 umanità non debba essere stazionaria, e che lo sviluppo della scienza distruggendo l'inceppamento del pensiero e dello spirito porta conseguentemente a discernere il vero dal falso, la superstizione dal fatto, e tutto sottoposto al libero esame dell'uomo ne consegue che questo venuto nella piena cognizione dei proprii dritti, non sarà più il giocattolo dei preti speculatori delle coscienze, né dei Re dominatori dei popoli, né dei ricchi tiranni dei poveri. Ora se questa sia una dottrina cattiva, se ciò sia un male me ne appello al vostro giudizio ed alla vostra esperienza, Si Tore...

Ann. Si Tò, D. Criscenzo parla turco stasera?

Gnaz. Ecco ccà, vedite che bò dicere non essere cevelezzata, mo non avite capito no parlà accossì spappato che à fatto D. Criscenzo...

Ann. Io non songo stata maje na ciuccia cevile comme a te, e manco aggio avuto lo male de fegato e la struzione, onne sto pparlà ngermene che fanno li patrune tuoje io no lo ccapesco, né lo boglio capì, pecché l'ommo sincero, parla schietto e se fà capè, non già comme a buje che chiammate Io nniro janco e lo ghianco niro, capisce? E pò, oje Gnaziè, sà che te dico? che chiacchiere e tabacchere de lignammo lo banco non ne mpegna?

Trov. Sentite, D. Criscè, vuje avite studiato e perzò sapite cchiù de me, ma io co la sperienzia che tengo e co quacche libro che aggio leggiuto e da discurze ch'aggio ntiso da uommene addotte, ve pozzo dicere che buje sbagliate a parla de chella manera...

D. Crisc. E dove sta il mio errore?

Trov. Stà, ca pigliate pizze pe tortane. Ve lo provo: vuje avite ditto ché nuje clericale e borbonece volimmo che lo ni unno stesse sempe de na manata e non ce fosse progresso, ccà avite sbagliato, pecché nuje sapimmo che Io munno à da cammenà, ma comme vò Dio e non già comme vò la setta, e perzò à da cammenà nò pe la via de lo delitto e de lo peccaro, ma pe chella de la virtù, e de lo buono costume pecché nce songo doje cose che non cagnano maje e sarranno sempe le stesse nfi a che lo munno e munno, e songo la verità e la justizia. Onne nuje clericale e borbonece autro non bolimmo che la verità e la justizia e perzò simmo nuje li progressiste e non buje. D. Criscè, a li popole poco le riportano tutte le chiacchiere de li Rinarde de la revoluzione; lo popolo và trovanno lo posetivo; pò ca vuje vorrisseve che ogne ommo s'avesse da dà na religione seconno lo crapiccio sujo, e avesse da ragionà ncoppa a ccose che nce perdarria la capo e fernarria pe non credere a niente cchiù, e lo stesso che buje volarrisseve la nfelicetà de ll'ommo... Ah, D. Criscè, che consolazione è pe n'ommo a pensà che se patesce ccà nterra s'avarrà no godemiento a ll'autra vita? Vuje non bolite li Rri, ma na casa addò non ce stà no capo che comanna pò ì nnanze? Non bolite le gente ricche, e allora li poverielle co chi camparriano? D. Criscè, non mettimmo la vocca a chello che à fatto la sapienza nfenita de lo Signore, e pensammo cchiù priesto a essere buone nuje, a correggere le passi une noste, e a no ngannà lo prossemo co ste boscie de libertà de cevirtà e de progresso.

Ann. Che nce ànno rotta la capo, nce anno scasato e fatto addeventà sicché e peliente...

D. Crisc. Sentite, le vostre ragioni sono convincenti, ma io veggo le cose di altra maniera...

Caf. E quanno è chesto non serve a ne parlà cchiù.

Gnaz. Ogneduno se fà le ssoje...

Trov. Figliù, sentite a me, fuite comme a demmuonie sti mbrogliune che ve vonno arrobbà la pace e nfelicetà la vita; pensate che chi non stà co Dio non pò avè bene. Avite visto che n'è soccieso a Parigi? figliù, fuite; nuje napolitano figlie de S. Gennaro non c'avimmo da fà coffià da sti demmuonie de terra...

D. Crisc. Avete fatto nna predica. Addio. Gnaz. Simmo arrivate a Quaraesema, jammo, jà... Ann. Si Tò, non dubitate che a nnuje non ce la fanno.

Trov. Accossì ve voglio, e fede a Dio che le ccose fernarranno. Santa notte.

CORRIERE DEL TROVATORE

Scrivono in Malta — Le fortificazioni che si operano dal Governo Inglese in Malta sono sempre più impónenti. Esse per lo innanzi erano sempre accessibili ai Maltesi, ai quali era permesso il percorrere i bastioni in mezzo alle sentinelle ed ai mortari, immensa essendo la fiducia del Governo verso di loro, ma quelle che si stanno effettuando presentamele sono secretissime ed inaccessibili. Una gran quantità di grossi cannoni si provano contro il mare a grande distanza con ingente spesa e profusione. La alacrità dei lavori e incredibile e migliaja di operai vi sono adoperati. La flotta è uscita da Malta e trovasi nelle acque di Corfii, per la voce sparsasi che il Governo Russo abbia intenzione di comperare quell'isola dalla Grecia per parecchi miliardi. Siamo vicini a qualche gran fatto. Le ultime notizie, difatti, ci segnalano che la Russia arma una numerosa flotta. Molti giornali male interpetrando questo fatto, portano le loro previsioni ad una guerra con la Porta: ma considerando gli ultimi passi dell'Inghilterra, e l'armamento eseguito in Malta, si può supporre che l'acquisto dell'isola di Corfù, sia il pomo della discordia fra Londra e Pietroburgo.

ANNO VI N. ° 83 Sabato 15 Luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

Noi siamo i rei?

È proprio vero che in questo pazzo mondo tutte le cose debbano andare a casaccio, e che in vece di meritar premii si abbia o dispiaceri e molestie, si soffrano noje e pene. Il progresso, che oggi sta in predicato à distrutto le teorie del merito e delle ricompense del Romagnosi: tutto è dovuta al martirio, e non vi è chi di quelle più s'imbarazzi. Indipendenti per principio abbiamo detto sempre con franchezza la nostra opinione: propugnatori della monarchia, sostenitori dell'ordine, della giustizia, del diritto ci si è guardato in cagnesco, e si sono ricevute continue carezze dal Fisco; mentre ai nostri avversarli si mostra buon viso, e si è larghi di deferenze, quantunque questi non gli serbino neppure gratitudine. Affinché non si creda che esageriamo, ci piace riprodurre un articolo tolto di peso dal giornale l'Apostolato che si pubblica in Catania, Numero 14, onde l'onorevole Fisco vegga la verità dei nostri criterii. E pure una è la legge che dall'un capo all'altro dell'Italia deve regolarne la popolazione! Noi registriamo quest'altro fatto insieme ai tenti che ci sono accaduti. Quel giornale può esser sicuro che le sue filippiche non sono incriminate, come per noi si elevano a reato tutte le parole di cui uno scrittore può innocuamente servirsi. I lettori intenderanno qual barbaro fato ci avvinca, e ne tireranno le giuste conseguenze H Ecco intanto l'articolo:

Ed ora che la legge liberticida è approvata quasi all'unanimità, ed ora che tale disposizione, la quale offende il principio della personalità e della padronanza giuridica, che nega ogni principio di civiltà e di progresso, è già un fatto compiuto, ora il re è in Roma, e in questa città un tempo di Bruto e cincinnato, la sanzionerà e la promulgherà.

Le città italiane hanno goduto per illuminazioni ufficiali ed hanno festeggiato per mezzo delle autorità, il faustissimo evento dell'entrata di Vittorio Emmanuele in Roma; ma la nazione il vero nerbo de'  cittadini, coloro che aspirano alla vera unità e alla libertà vera, coloro che volevano bensì fosse Roma tolta a'  preti ma non data a un re, costoro invece sono stati tristi ed abbattuti al vedere che si è osato cercare d'imporre la gioia in uh paese dove la libertà non esiste che di solo nome, e dove questa stessa sbiadita ombra di libertà dileguasi a poco a poco. Ora che in virtù della legge sopraccennata, il governo del re è investito del potere di mandare a domicilio coatto sino a cinque anni, coloro che a'  suoi poliziotti saranno sospetti, vi par forse che quello straccio di statuto carpito da un popolo ad un magnanimo, nel momento che questi avea gran paura, vi pare, diciamo, che tale straccio non sarà per essere totalmente calpestato? Si manderanno a domicilio coatto i sospetti. Ma sospetti di che? di qual reato? la legge non lo dice. Sospetti per che? per aver commesso qual crimine? la legge è muta come un'ostrica. Dunque? dunque in questa categoria de'  sospetti si potranno racchiudere, coloro che si vorranno mandare sino a cinque anni fuor di patria, purché si possa loro addebitare una parola colpevole, un gesto dubio, un rigo equivoco.

In tempi più felici, allorché questa legge non esisteva, noi vedevamo tutt'i giorni consumarsi all'ombra delle leggi che garantivano per esempio, la libertà della stampa, la libertà individuale, l'inviolabilità del domicilio, la libertà di riunione, ecc. noi vedevamo consumarsi quelle lunghe, interminabili litanie de'  soprusi e delle illegalità, degli arbitrj e delle iniquità monarchiche, che sarebbe inutile ricordare con le date perché tutti i paesi dell'Italia retta da un potere sacro ed inviolabile, ne ricordano qualche fatto. A che accennare sequestri di logli innocui e gli arresti di gerenti e redattori innocenti? a che le detenzioni nelle caserme e nelle carceri senza mandati legali? a che gli assalti di notte e a viva forza nelle abitazioni di onesti cittadini? a che lo scioglimento di associazioni tendenti ad uno scopo ottimo e legalmente riunite?... Tali fatti sono pur troppo conosciuti, perché replicati spesso in tutte le città italiane, e sarebbe ozioso volerne accennare qualcheduno.

Epperò in quei tempi più felici i sequestri, gli arresti, le detenzioni, gli assalti, gli scioglimenti, essendo fatti in barba alle leggi, non duravano a lungo: per ragione o per forza doveasi rientrare più o meno nella legalità, e que' soprusi ed arbitrj, quelle illegalità ed iniquità monarchiche non potevano durare a lungo e ricevevano un riparo pronto e sicuro, quantunque il fatto avvenuto non potesse più cancellarsi..., Ma oggi, oggi che per un sospetto abusivo può mandarsi non uno ma cento individui a domicilio coatto, provatevi a scrivere o a parlare quantunque la stampa e la parola sieno libere, provatevi a fare ciò e non riceverete più sequestri o arresti preventivi, ma sarete mandato come sospetto di voler sovvertire l'ordine pubblico, in uno o in altro luogo; provatevi in una riunione a mostrare idee progressiste e quell'associazione in massa potrà venire deportata!

Ebbene, ciò non monta, noi abbiamo Roma a nostra capitale; noi siamo uniti e liberi, almeno lo dicono tutti i fogli che appoggiano la monarchia e lo credono tutti ì gonzi che popolano l'Italia dall'uno all'altro capo.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, nce simmo addormute... non c'è ohe ffà... lo Cielo s'è fatto surdo.

Trac. E pecche tutto chesto mo?

Caf. Si Tò, io spiate pure?

Trov. Già, me fa maraveglia che ve sento parlà de chesta manera, quanno maje avite chiacchiariato accossì?

Ann. Neh Si Tò. e soppuorte ogge, suopporte dimane, pacienzia ogge, pacienzia dimane... e po, e sì, e mo, a la fine pure de carne vattiata simmo... e lo sango se resente.

Trov. Che bolite dicere co tutto chesto?

Ann. Voglio di, che a nnuje restano le pparole e a ll'autre li farte, nuje nce struimmo nfradetanto, e cchille fanno lo cuollo chiatto... che comme ve pare?

Gnaz. È doce o è amaro?

Ann Guè, non me pognere stasera che a comme stongo te dongo no muorzo nfaccia e t'abbeleno...

Gnaz. Chiano, chià, io lo ssaccio che buje autre femmene site tanta vipere. ma pò avite da vedè se io me farraggio mozzecà...

Caf. Comme staje contento, che? Avite ragione pecché Farfariello ve sta proteggenno, ma...

Trov. Ma nzomma non pozzo capì, pecché stasera state accossì collaruse...

D. Crisc. Forse qualche cosa vi frulla pei la testa.

Ann. Autro che pesta site vuje...

D. Crisc. Si Tore le cose nostre vanno benissimo, e se il Papa non pensa ai fatti suoi, peggio per lui.

Gnaz. Ma che biecchio ncocciuso. Se vede propio che tene la capo tosta... chello nò, chell'autro manco, e che bò? Vo essere pe forza Re?

Trov. Statte zitto, Gnaziè, e famme la finezza de non parlà de chello che non saje, e né può sapè...

Ann. Chillo comme sente parlà, accossì lebbreca isso pure, che nce volite fà? Gnaziello che non sapeva manco se era vivo o muorto, mo te là l' addotto, e lo siente parlà a spaccastrommola...

Gnaz. Pecchesto songo juto a la scola liberale, e tratto co le persone de consequenza.

Ann. Comme fosse chille che canosciste dinto Sant'Amelio quanno nce fuste pe marionciello; chill'autre che sapivealo pontone de lo Peliero che facevano li ntreppete a li forastiere che benevano a Napole, e tanta autre signure de carrettella, che mo songo accellenzie e Ilustrisseme...

D. Crisc. Ma lasciamo queste inutili parole; dunque le nostre cose vanno benissimo.

Trov. E ccomme?

D. Crisc. Perché i legittimisti e clericali fanno tante bestialità, che più non possono...

Ann. Avite capito, doppo che ne è benuta chesta chioppeta ncuollo, simmo porzì bestie...

Caf. E non saje che simmo ncunia?

Trov. E qua songo le bestialità che ànno fatto?

D. Crisc. Vi sembra poco il fatto del Conte di Chambord che à detto voler rialzare l'odiosa bandiera bianca? Quella bandiera la quale è stata sempre lo stendardo della più feroce reazione, della schiavitù e della tirannide? Ecco chi sono i Borboni sempre gli stessi. Ma il loro tempo è finito.

Ann. D. Criscè, quanno parlate de cierte tale e quale lavateve primma la vocca.

Gnaz. L'è ghiuto ntra li diente a na perzona!

Ann. Te lo ddico io che se poco stongo te faccio aunà li diente e le mmole pe terra...

Trov. Avite ditto che la bannera janca nFrancia è signale de riazione, de tirannia? Che v'aggio da dì? Se lo munno s'è revotato e lo mmale se chiamma bene, e lo bene male? Che ve pozzo di, quanno vuje autre signure volite annià pure li fatte, e la storia? io saccio che co chella bannera lo munno è stato cojeto, e quanno è comparza la treccolore lo munno s'è mbrogliato e li popole non ànno avuto cchiù n'ora de pace.

2). Crisc. Tutto all'opposto, poiché non ànno avuto pace i retrivi e i sanfedisti non già i galantuomini.

Ann. Avite ragione, pecché sicuramente li galantuommene de Chiazza francese, de la Vicaria e Tremmola a ramare songo addeventate tutte signure e proprietarie... chi lo pò annià?

Caf. Co lo sangp nuosto e le ffatiche noste...

D. Crisc. Sia, come sia, in Francia appena si è saputo la intenzione del Conte di Chambord, tutti i legittimisti si sono sciolti...

Ann. Chesto non è defficele, pecché mo essenno che nce stanno le pommadore, no sciogliemiento de cuorpo pò soccedere...

Trov. Sapite che ve dico le chiacchiere stanno a nniente. Chello che à ditto lo Conte de Chambord à ditto na verità, lo munno s'à d'acconcia, e la revoluzione à da fernì ntutto e pe tutto; bastante è lo male ch'à fatto nfì a mo, e ve dico che fernarrà, pecché la Francia vò chello che à ditto lo Conte de Chambord...

D. Crisc. Lo vedremo. Addio.

Gnaz. A craje a craje comme la cornacchia.

Ann. Comme non v'à da veni lo tiro?!

ANNO VI N. ° 84 Martedì 18 luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

MAL PRO HA RITRATTO L'ITALIA DAL 2 LUGLIO

I MAGICI EFFETTI DELL'ORO ITALIANO!

Dal 1860 in qua l'oro d'Italia à fatto miracoli... e quel vecchio volpone di Lord Palmerston non s'ingannò quando disse che l'Italia nuova saria durata tanto por quanto le sue casse avrebbero contenuto dei belli marenghi. Gli inglesi protestanti, che per la maggior parte vendono la coscienza a peso di oro, anno avuto un bel guadagno a fare con l'Italia nuova, e precisamente il Times e lo Standard ne anno fatto una delle speculazioni le più sicure e fruttuose, quella di tenere aperte le loro colonne alle diatribe della rivoluzione e spezzare ogni dì una lancia in favore di essa; salvo domani a voltar di casacca...

Lo Standard dunque parlando del fatto del 2 Luglio, se ne compiace, e vede in esso il compimento di un grande avvenimento, storpiando malignamente le parole del Papa che disse il più pericoloso nemico essere oggi il voluto liberalismo Cattolico. La parola infallibile del Rappresentante di Gesù Cristo non poteva essere più terribile pei nostri liberaleschi, che appositamente si vogliono chiamar Cattolici, mentre delle leggi del Cattolicismo non vogliono saperne una acca. Questi sono i farisei dei tempi nostri. Ora se lo Standard crede veramente che il Papato sia morto il 2 luglio, aspetti un poco, e frattanto interroghi il suo governo perché lord Paget non fece atto di presenza nel ricevimento ufficiale tenuto al Quirinale in quel giorno. Che per l'Austria, Francia e Belgio la Gazzetta d'Italia avesse voluto colorire l'assenza dei loro rappresentanti a quel ricevimento, come un atto di alta deferenza verso il Sommo Pontefice, essendo quelle potenze Cattoliche, passiamolo pure. Ma l'assenza del Ministro Inglese, e del Ministro Russo come s'interpetrerà, se sono esse due potenze l'una protestante e l'altra scismatica? E poi se l'Italia à coronato il suo edifizio il 2 luglio, sembra non sia necessario l' apostolato che instancabilmente si fa precisamente dalla stampa inglese, al soldo del governo d'Italia, onde convincere e persuadere i popoli. Dove parla. no i fatti, le parole sono inutili. Or poiché i fatti dicono onninamente all'opposto delle parole di questi Apostoli pagati, ne viene. che essi debbano raddoppiar di zelo, e a l'uria di ciarle vedere di riuscire a niegare la luce... Poveri matti! La questione del Papato, è troppo ardua, troppo elevata, e di un ordine eminentemente superiore, perché potesse un articolo di giornale dare un giudizio degno della pubblica accoglienza. È quistione di vita o di morte della Società. È quistione di progresso o regresso del mondo. È quistione di raffermare o scrollare la base su cui poggiano le Nazioni culte e civili... Essa appartiene all'intero mondo... Ciò posto, checché ne dicano i prezzolati menestrelli inglesi, piucché la diplomazia, questo problema, se cosi vuolsi chiamare, lo risolve la coscienza universale dei popoli, che trascinerà dietro di se la diplomazia. E questa coscienza già à parlato eloquentemente con milioni d'indirizzi, ed il denaro di S. Pietro!!!...

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, vuje state vedenno che mortaletà nce sta a Napole?

D. Crisc Si, è la incostanza del tempo, caro Si Tore.

Trov. Chesta è la soleta pezza a colore, ma a ll'infuore de chesto nc'è pure la mano de ll'ommo...

Ann. Overo ch'è no spavento de vede tanta carrettune passa pe le bie, manco se fossemo a lo tiempo de lo colera, (arrossosia!.. )

D. Cinse. Che volete farci? Chi nasce e chi muore, ecco il mondo...

Trov. Gnorsì, ma lo Signore vò che tutte nce cautelassemo la vita co li mezze che Isso nce à dato; onne lo Munecipio nchesta circostanzia avarria da bada no poco a lo popolo, e mmece de pensà a statue e pitaffie avarria d'abbadà a l'assenziale.

Caf. Seh e che le mporta a cchille magnafranche de nuje?! Basta che nce spogliano, e sulo chesto sanno fa...

D. Crisc. Ma cosa vorreste che facesse il Municipio?

Trov. Primma de tutto, vede se le Commissiune de vigilanza pe ogne quartiere fanno l'aflicio lloro de girà pe le bie, pe bedè se sò polite, nformarese addò nce stanno malate de ste malatie nove, se le ffamiglie le ponno ajutà, le ccase comme songo, e se li muorte songo levate da le ccase, non già che. ste Commissiune non se ne ncarrecano no cuorno, e manco vigilano pe fa atterrà li muorte tanto che a na casa a la sagliuta de Capodemonte, uno che era muorto da 48 ore steva ancora llà, e la sera appriesso morette na sora de chisto co la stessa ancina malegna e pure restaje 48 ore...

Ann. Sciii pe la faccia lloro, che briogna è chesta? Comme nce vonno tratta pevo de l'animale?

Caf. E dicere che Napole maje à patuto tanta malatie... Sulo da quanno avettemo sta chioppeta de strafalarie ncuollo che nce venette a dà la libertà, da tanno n'avimmo avuto cchiù bene...

Ann. E ccomme volimmo avè bene co sti scommunecate mmiezo a nnuje?

D. Crisc. Ecco sempre lo spirito di parte. Che cosa entra il fatto politico con le malattie che corrono?

Trov. Nce trase, ve dico io, pecché da tanno venenno autra gentaglia d'ogne paese se songo accresciute le malatie; da tanno saglienno a lo potere li martere non s'è pensato cchiù à la salute de Io popolo, pecché fernette chella paterna vigelanza che nce teneva lo governo. Mo tutto è camorra. Li venneture venneno chello che bonno fosse pure fetente e fraceto, le strate songo na chiaveca co tutto che nce stanno tanta scopature, la llummenazione de le bie a gas e a scisto! è no fieto continuo, la popolazione pecché cresciuta co! tanta forastiere non ave addò stà, e la miseria fa stà aunite dinto a na casarella doje e tre famiglie, certe ppovere famiglie d'artiste sette a otto perzune li bidè dinto a ccierte sottoscale che manco li cane nce starnano aunite; a cchesto la famme e ll'aria guastata da ll'acqua fraceta de vasche e lontane de pazzielle addò se mette l'acqua co li varrecchiune pe farle menà, e pò diciteme se qualunche malatia che schioppa non à da piglia pede...

Ann. E cchisto è lo bene che nce ànno portato, nfamune, mpechiere e mariuole.

D. Crisc. Ma cosa ci deve fare il Municipio ripeto?

Caf. Non c'àve che nce fa è bero? Ave ragione... ma non se diceva accossì na vota, quanno appena sciroppava na malatia lo governo non arreposava né notte e né ghiuorno pe nce dà reparo, spennenno denaro, danno biancarie, miedece, medicine e tanta vote lo stesso Re jenno giranno pe le bie cchiù ammorbate de la cità, capite? e mannaggia che non se pò parla!

Ann. Luì, astipa e miette ncore; quanno è tiempo caccia fora... ched'è non à da asci lo sole pure pe nuje?

D. Crisc 'Voi siete bugiardi; mai come adesso i Municipi ànno pensato all'utile del popolo...

Trov. D. Criscè, non dicite eresie pe carità, pecché se non stessemo sotto de chisto governo, quanta Sinnace, Consigliere zucagnostia non ngalliarriano, capite? Lo Munecipio ch'à da fa avite ditto? Tanta Commiente che s'à pigliato pe fà case pe lo popolo addò stanno? tanta meliune de diebete ch'à fatto pe là opere prubbeche, addò stanno? L'acqua che aveva da veni a Napole da seje anne pecché non è benuta nfi a mo, quanno lo Municipio à avuto tanta progette, e sempe l'à rifiutate pecche la camorra non ce poteva capè?

D. Crisc. Ma per fare come dite voi ci vorrebbe denaro senza fine, ed il denaro non vi è.

Ann. E già, e tutto chille che ce levano da la sacca nosta, che se ne pozzano accattà funicella pe se mpennere, addò stà? Va dint'a la cascia sfonnata non è bero?

Caf. E si no comme vedarrisse tante propietarie e signure de carrozza mperzona de cierte gente che m'arricordo io che se vénevano a fà arrepezzà le scarpe sotto a lo portone nuosto addò Masi' Antonio?

D. Crisc. Ho capito, con voi non si può ragionare. Addio.

Ann. Non avite capilo niente, pecché pe ve fà capì non nce vorriano le pparole, ma n'autra cosa... mperò! lassa fà a lo cielo...

Trov. Zitto, le chiacchiere non servono, pecché se ogge lo Signore castica a nnuje comme a Patre, dimane connannarrà a lloro comme a ghiodece, e pò vedarranno se Dio ce stà. Santa notte.

ANNO VI N. ° 85 Giovedì 20 Luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, nzomma se pò sape quà è la capitale de ll'Italia ogge?

D. Crisc Oh bella, e non lo sapete? è Roma.

Caf. Addonca lo Governo a Roma, e li Menistre stanno pure llà?

D. Crisc. Ci sono stati, ma ora non vi sono più.

Trov. Che bolite! quanno se corre de furia pe trovà na casa succede spisso che appena nce se mette lo pede, abbesogna ascirsene se non se vò fà ll'urdema carrozziata...

Ann. Nientemeno che chesto, neh Si Tò, e pecché poverielle, songo tanta buone signure che lo Cielo li pozza aonnà e sprofonnà de bene...

D. Crisc. Voi lo dite in doppio senso, ma io vi rispondo che col fatto i nostri governanti sono dei galantuomini.

Caf. Chesta è cosa canosciuta, e n'avimmo le pprove.

Trov. Li stammo sperementanno da unnece anne, vedite vuje ino!

D. Crisc. E che cosa avete osservato di male?

Ann. Niente, nisciuna cosa; sulo che simmo rommase a la prevetina e mpettolella, e porzì sta pettola se la vonno piglià, fuorze pe farne fasciatore pe Taliella, la quale pare che tenesse sciogliemiento de cuorpo.

Caf. Addonca a Roma mo non c'è nisciuno?

D. Crisc. Del governo, nessuno; e la ragione è quella che l'aria di Roma è cattiva...

Ann. Neh? embè pecché non la mannate a domicilio crovatto?

Caf. Che mmalora accucchie, vuò dicere domicilio coatto.

Ann Io mo saccio comme se dice? O domicilio, o forticillo è una cosa... embè, Si Tò, e tutte le ffeste ch'ànno fatto, pecché sò ghiute?

Trov. Pe fà no poco de sfracassatorio, e pe fà na campagnata a li Menistre.

D. Crisc. Niente affatto, è stato per prendere possesso di fatto della nostra Capitale, aspettando che venga il novembre per ritornarvi...

Ann. Pe fà che? pe magnarese le ricotte?

D. Crisc. No, per piantarvi il governo.

Ann. Neh, neh, e lo governo è chiantimma allora? vorria sapè se è chiantimma de cerefuoglie o porchiacchielle.

Caf. È ghiusto a novembre volile fà chesto, neh D. Criscè?

Ann. Fuorze non è a novembre che se canta l'afficio de li muorte?

Trov. D. Criscè, io veco no brutto ndizio a cchisto fatto, avisa che mmalosca nce stà sotto.

D. Crisc. Non vi è nulla credetemi, poiché tutto è aggiustato e lo vedrete...

Trov. Lo ssaccio, ma st'agghiusto non sapimmo comme sarrà...

Ann. Pare che non se sape, neh Si Tò? Chi male fà, male aspetta.

D. Crisc Ah... ah... quanto siete originale.

Ann Ve volite acconcià li stivale? chesto lo faciveve na vota, quanno non era venuta ancora la libertà bella! D. Crisc. Ho capito. Addio.

Caf. L'à avute dinto a l'ascella...

Trov. Lo fatto de Roma chi sà che farrà succedere; state alliere e non dubitate. Santanotte...

ANNO VI N. ° 86 Sabato 22 luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

BUGIARDI!

Sull'Albergo dei Poveri

Trattando noi questa vastissima Opera Pia che fu l'Albergo dei Poveri; eccellente creazione della carità cittadina e del patriottismo dei nostri venerati maggiori, oggi purtroppo per la tristizia degli uomini divenuta oggetto, di disoneste speculazioni, dappóiché non più risponde, ali/alto concetto per cui venne formata, discacciandone i veri poveri, nel primo articolo, dicevamo:

Chè le arti principali donnesche erano nello Albergo fin dal 1815 mantenute sempre fiorenti e lucrative su vasta scala, onde le leggende apposte sotto i saggi di esse messi in mostra nell'Esposizione Marittima, che ne indicavano la introduzione nell'Albergo erano erronee, false, bugiarde...

Nel secondo articolo dimostrammo come moltissime altre arti appropriate alla condizione del Pio Luogo, e tutte sorgenti di pubblica utilità e ricchezza, sono ormai scomparse dallo Albergo, e le ripetiamo quali esse furono: Stamperia, Litografia, Ponzoni di acciajo, Matrici di caratteri a stampa, fabbrica di spilli, idem di piccoli chiodi, idem di piastre di fucili, idem di lime e raspe, spaccio di piccoli lavori di bronzo, lavori Ai pietre del Vesuvio, fabbrica di vetro bianco e colorato, Lanificio, Manifattura di telerie, fucine di fabbriferrai, Scuola ed esercizio di fabbri muratori, aggiungendo che eravi benanche una fabbrica di matite e lapis, una oreficeria, o per dir meglio, un'officina di lavori così detti di biscotteria. Dalla vasta fabbrica di panni tenuta da Raffaele Saca in S. Caterina a Formiello periodicamente spedivansi all'Albergo balle di tessuti, pannini, affinché un numero sufficiente di donne, meno atte al lavoro, venissero applicate utilmente ad una specie di apparecchio di quei tessuti. Abbiamo detto utilmente, giacché sonovi ancora varie di quelle donne che la mercé di quel lavoro costituironsi una tal quale agiatezza relativa.

Or bene, a tante specie di fabbriche, d'industrie, a tanti e si svariati mezzi d'insegnamento pratico che mentre educavano l'individuo al lavoro, erano eziandio per gli operai sorgente di lucro, poiché nella massima parte questo a vantaggio dei lavorieri andava, oggi che potrà contrapporre l'attuale Albergo dei Poveri, del quale ben può dirsi Et fu?

Forse opporrà la famosa Statistica che l'attuale Amministrazione dello Albergo, non sappiamo con quanto vantaggio, riportar fece da parecchi giornali e precisamente dal Pungolo? Ebbene noi riporteremo qui una di quelle statistiche del 1870 (giacché pel 1871 crediamo stiasi compilando) affinché i nostri lettori imparzialmete ne giudichino... Oh, signori della greppia, i confronti e i paralleli vi fanno troppo male... l'atto pratico, il fatto annienta tutte le vostre mistificazioni...

Ecco le parole che riportiamo dal Pungolo in data del 12 luglio di quell'anno:

«Abbiamo ricevuto dal Governo dello Albergo dei Poveri i soliti quadri statistici del mese di giugno ultimo. Ne rileviamo che durante questo mese il numero dei maschi nello Albergo raggiunse la cifra di 1157 (diciamo millecentocinquantasette), e quello delle femmine di 1843 (diciamo milleottocentoquaratatre) totale Tremila» (cioè aggiungiamo noi tremilatrecentodiciannove di meno di quanti erano nel 1833!!! Non è, questa una splendida dimostrazione del premesso fatto dall'Albergo?!... Ma lasciando dire al Pungolo «Dei 3mila individui competenti la famiglia dello Albergo impararono a leggere e scrivere 395 uomini, e 564 donne».

Ebbene, rispondiamo noi, nel 1835 i maschi che imparavano a leggere erano settecento (si riscontri, il fascicolo XIV degli Annali Civili 1835, pag. 24).

Dei 700 scolarelli, settanta apprendevano elementi di matematica, e questa Scuola fu sì proficua che da essa uscirono egregi matematici, e grandi letterati.

Ora lasciamo la parola al Pungolo:

«Gli addetti alle varie arti e mestieri furono nomini 824, e donne 917. Il prodotto di questi 1241 individui lavoratori fu il seguente: Gli uomini produssero per L. 492,50. Le donne per lire 6327,43. Si ebbe dunque un totale di «prodotto di L. 6821,99... » Quale enorme differenza dallo antico? Quale miseria per sè stessa? e la causa, e la ragione? La taciamo per ora... Continua il Pungolo:

«Dividendo ora questi individui per le varie arti e mestieri in cui esercitano la loro attività, si à che gli uomini al numero di 64 apprendono disegno — 11 scoltura — 125 musica — 15 cesellatura — 3 pittura — 12 flebotomia— 65 calzoleria — 8 si insegnano falegnami — 72 sarti — 4 ferrai — 4 tessitori — ed 8 carrozzieri.

Tutta questa gente lavoratrice ammonta alla cifra di quattrocento: secondo la Statistica essa lavorando durante un mese à lucrato L. 494,56 che divise per 400 lavoratori maschi addetti alle varie arti e mestieri, si à che ciascuno di essi à lucrato in un mese lira una, centesimi 20 millesimi tre. Non è soddisfacente un tal risultato per un mese?!

E qui punto: riserbandoci nell'altro numero trattar delle cause di sì scandaloso deperimento, analizzando il resto della Statistica riportata dal Pungolo nel 12 luglio 1870!

(continua)

LO TROVATORE.

ANNO VI N. ° 87 Martedì 25 Luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CORRETE ALL'URNA!

Ciò che ora diciamo non è che un richiamo a quanto abbiam già detto nel N. 81 del nostro giornale. Il tempo stringe Cattolici; i partiti a noi ostili si arrovellano, si agitano, lavorano instancabili e senza posa, e già ànno organizzate riunioni, stabiliti comitati, fatti inviti, e promesse, tutto messo in opera perché il campo resti a loro libero, come lo fu per circa undici anni. Laonde per noi è questione di dimostrar loro che volendo, possiamo e sappiam fare; è questione nfi onore e d'interesse. Oggi dai nostri avversari si va sino all'arrambaggio. Noi abbiam visto per pruova che né moderati, né cosi detti rossi, né altri, purché rivoluzionari, ànno saputo e volato fare alcun bene al paese, ma egoisticamente àn pensato solo e sempre per essi, àn pensato ad organizzar camorre sopra camorre, donde àn tratto illeciti e scandalosi guadagni... Ed il popolo? trattato al di sotto delle bestie... Dite, o lettori, quali conti in circa undici anni àn dato le diverse Amministrazioni Municipali succedutesi? Quante inchieste si sono iniziate per scoprire concussioni, inganni, scandali e bistrattazioni del pubblico danaro? Dite qual prò di quelle inchieste? A avuto il paese la giusta soddisfazione di sapere come ed in qual maniera la pubblica azienda venne amministrata? A potuto il paese conoscere il perché di tanti debiti, e di tanti prestiti? perché non si soddisfano del loro e che ad essi spetta per contratto, i vari appaltatori di opere pubbliche, tanto da costringerli adire il Magistrato? Come e perché si profonde il danaro del popolo con una prodigalità riprovevole in cose che al popolo punto non riguardano? La ragione per la quale il Municipio di Napoli sia oggi il più miserabile di tutti, benché abbia rendite vistosissime, ed amministri il patrimonio della prima Città d'Italia? Concittadini è tempo che ci risvegliassimo dal sonno che pur troppo è durato... col nostro danno. Ripetiamolo ancora una volta. Qui non è questione di politica, poiché di essa non ce ne impacciamo essendo che verrà risoluta dalla Provvidenza più che dal volere evirato degli uomini. Ma è questione d'interna amministrazione: se siamo costretti con leggi vessatorie a pagare, abbiamo il dritto di sapere cosa si fa del nostro danaro...

Questo dritto ce lo accorda lo Statuto che impera. Questo dritto noi non possiamo abbandonare senza colpa. Questo dritto è l'arma legale, ma terribile che sventerà usandola, tutte le organizzate camorre... Non è più tempo di sentire ed esser burlati con proclami bugiardi e vani di rossi e verdi. Per noi sta il merito, e l'onestà; il colore non è nostro compito. Onestà, giustizia, saggezza, probità, ecco di che abbiamo bisogno, e poiché tra i mestatori politici e municipali che sinora ànno mestolato quelle qualità non si trovano, andiamo noi tutti all'urna, e facciam vedere come tra i Cattolici sonovi uomini capaci e degni della confidenza del popolo, e di amministrarne gl'interessi. Se saremo infingardi, o non curanti, il danno sarà nostro, tutto nostro, ed il paese avrà il dritto a rinfacciarci questa colpevole astensione. Noi, o Cattolici, siamo gli uomini dell'avvenire; ebbene spianiamo la via alla giustizia... strappiamo dalle mani dei truffaldini il nostro patrimonio, apportiamo un rimedio opportuno ai mali che ci travagliano internamente cagionati, da una perversa ed immoralissima amministrazione, ed allora avremo fatto impallidire i nostri nemici, e comprendere al governo the i Cattolici e Conservatori di Napoli sono gli uomini a cui spetta l'onore di rialzare il paese natio al primitivo rango di prima Città italiana, se per trama settaria non è più Città Capitale di un Regno!...

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, vuje sentite sto caudo? A mme me veneno l'abbasche... starria sempe dinto a ll'acqua...

Caf. A visse da essere papera... già na femmena e na papera facettero no revuoto...

Trov. Sentite che facesse caudo, tiempo nc'è, e nc'avimmo da stà, ma che a la seccatura de lo caudo s'aunesce pure lo pericolo de morì co na colica, o de piglià na perniciosa pe lo fleto che stà mmiezo a le bie, io non saccio addò stà scritto.

D. Crisc. Che cosa dite. Si Tore?

Trov. Ch'aggio da dì, dico che ccà starnino propio a uso de piecore, pecché nce stà lo Prefetto e ccomme se non ce stesse, lo Sinnaco porzì, Vicesinnache, secretarie, commesse, meze setiglie e guarda pontune, ma ntanto li venneture fanno chello che bonno, e lo Munecipio pensa sulo ad acchiappà denare e a fa diebete.

D. Crisc. Ma il Municipio à fatto tante leggi, di talché à previsto a tutto.

Ann. Comme nò! A provisto tanto buono a li fatte suoje, che manna li camorriste attuorno pe cunto sujo...

D. Crisc. Ma infine dite: il Municipio cosa deve fare?

Caf. Chello che ànno fatto sempe tutte li Municìpie tiranne de na vota... quanno non avevamo avuto la bella libertà... llarà, llarà...

D. Crisc. E sempre mi parlate del passato? Non vi persuadete che egli è morto, e mai più non tornerà.

Ann. Lo ghi e lo bbenì lo ssape Dio, ma ve dico che buje comme ll'avite visto aguanno non lo bedarrate l'anno che bene.

Trov. Diciteme, D. Criscè, nce stà nisciuno che viseta le sporte de tanta frutte e nce mette lo prezzo? Se facettero le Commissiune medeche pe fà che? pe là denare. E la polezia de le bie se pò avè?

Ann. E lo vino, le limonate, l'uoglio che non se sape da addò vene?

D. Crisc. Se è così vorreste che il Municipio andasse visitando tutti i tegami...

Caf. Gnernò, avite pigliato asso pe fiura, pecché non potarria manca a lo Sinnaco o a chi le venarria sto tirrepetirro na paccariata co lo senzo l'aglio [9 lo zuco de pommadore.

D. Crisc. Sì, neh! E quando non volete che le autorità non s'impicciassero, perché far tanto chiasso?

Trov. Nuje, o se impicciano o nò, non ce ne mporta; volimmo la justizia, volimmo che lo popolo fosse reguardato de n'autra manera e che lo Sinnaco, Prefetto e quante songo sti nobele sguigliate se facessero na vota na passiata pe dinto a li viche e vedessero comme sta jettata la povera gente, e ponzassero armeno a darle no sollievo...

D. Crisc. E ce ne vorrebbero sollievi?

Ann. Avite fatto scrupolo? se servevano pe fà fà a ll'Accellenzie voste na tavolatiella, n'asciutolella e che saccio mo, li denare esciarriano; capite?...

Caf. Po co sti calure, a non badà la carne che se venne, lo pesce ed autra rrobba che le gente s'accattano pavannola cara e amara...

D. Crisc. Ma che prima non si pagava?

Ann. Sì, ma lo ghiusto... e primma na cosa guastata se iettava a mare, capite?

Trov. Ntra na parola, lo Munecipio à da penzà a fà l'obbrego sujo, abbadà a la ngiene prubbeca, co ste malatie che corrono e la miseria che nce sta, na povera famiglia s'accatta duje frutte e se li magna, ma quanno chiste pò non sò buone che ne vene? Le malatie cresceno, le mortalità, li tutte e chi vene a Napole vedennola accossì fetente diciarrà: addio Partenope... Certo che lo Municipio a tutto pensa fora che a lo popolo...

Ann. E se li sentite parla pò a sti sciacqualattuche non nce songo uommene cchiù liberale de lloro, che le pozzano canta overo la libbera...

D. Crisc. Voi siete cattiva lingua. Addio.

Ann. E buje la tenite nchiajata e non ce trovammo...

Trov. Faciteve na resata de tutte quante, pecche se a ll'elezione sta vota li Cattuolece jarranno tutte, li maste francische fernarriano de irese ad accoccià a uso de cane mazziate... perciò mmece de fà chiacchiere jammo a botà e accossì la matassa se pò sbroglià, e lo popolo pò vedè quacche cosa de buono. Santa notte.

Ann. Volesso lo Cielo, e fosse mo!!!..

ANNO VI N. ° 88 Giovedì 27 Luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHE INGANNO!

L'Italia nuova dice che l'Italia è stata cagione di due grandi benefici all'umanità, quello del non-intervento, e l'altro della separazione della Chiesa dallo Stato. Ecco ciò che i settari chiamano benefici fatti dall'opera loro all'umanità, quandoché sono state queste appunto le due leve che ànno rovesciato l'ordine morale e fisico della società, e l'umanità fu immersa in una gravissima sciagura. Non potevasi trovare espressione più subdola ed irrisoria di quella del non-intervento; mentre alle apparenze esso sembra il riconoscimento e la sanzione del maggiore dei dritti di un popolo e di una nazione, quale è quello di essere padroni in casa propria, poter fare ciò che meglio credono per il proprio vantaggio senza che altri potasse importunali od impedire l'esercizio di questo legittimo dritto, dall'altra poi si spalanca una porla a tutte le ambizioni, a tutte le malvagità, a tutti i delitti, e quindi la distruzione di ogni dritto, e precisamente di quello che ogni pòpolo, ogni Nazione, ogni individuo deve avere, cioè la libertà li adoperarsi al proprio vantaggio. Il nonintervento non è che la sanzione della brutalità del più forte contro del più debole, esso è la giustificazione del forte e dello assassinio politico-sociale, l'oltraggio alla coscienza della umanità, la negazione delle leggi Divine e di natura. Col non-intervento e pel non-intervento si assalgono proditoriamente i popoli spogliandoli delle loro ricchezze, privandoli della loro libertà, strappando loro la propria secolare autonomia. Ancora pochi anni, e si vedrà mercè il nonintervento l'Europa tutta infeudata forse, o ad una sola Dinastia, o alla setta, poiché quando i più forti avranno distratto i deboli, si guerreggeranno a vicenda ed a vicenda distruggendosi finirà che o il più fortunato diverrà il despota di cento popoli e cento Nazioni, o la setta sulle rovine di tutti gli Stati rizzerà l'insanguinato suo trono più infame ed abbominevole di quello di tutti gli antichi tiranni che fecero nei secoli andati raccapricciare l'umanità...

Ma veniamo ad un esempio pratico. Cosa è mai il nonintervento? Esso è la proibizione a chicchesia di porgere aiuto al debole che si vede assalito dal più forte. Gli antichi Stati d'Italia furono assaliti dal Piemonte unito alla setta, e quindi più forte di essi; ebbene il nonintervento proibì che l'assalitore venisse impedito nella impresa, e quei popoli dovettero soccumbere loro malgrado. E quel proditorio fu detto dai giullari politici aspirazione nazionale.

La Prussia dopo la guerra del 1860 scacciò l'antica dinastia dei Guelfi dall'Annover, e quello eroico popolo sottomise al duro suo giogo; ebbene, la mercè del nonintervento nessuna potenza vi si oppose, e tutte guardarono con ributtante cinismo la barbara opera distruttrice di una rispettabile Monarchia. Ora se il nonintervento dicono i ciarlatani della setta, serve appunto per non far violare da un popolo, la libertà e il diritto di un altro popolo; perché con quello e per quello si viene ad impedire il dritto che ciascuno à di difendere sè stesso, la sua casa e la sua terra dall'ambizione di un turbolento ed ambizioso vicino? perché, anche contro la manifesta volontà propria, si costringe un popolo a rinnegare la sua storia, la sua libertà, il suo dritto? Ma vi poteva essere e vi può essere maggior iniquità di questo strombazzato nonintervento? È egli giusto che mentre un brigante assale un viandante sotto gli occhi della pubblica forza, questa in vece di accorrere in aiuto della vittima, se ne resta indifferente a guardare lo strazio, o vigliaccamente gli volge le spalle? Le leggi Divine ed umane non chiamano complice e responsabile dell'istesso delitto che commise quel bandito, quella pubblica forza che non lo à voluto impedire? E se per isventura questo esiziale nonintervento, divenisse davvero un precetto diplomatico, e quindi tradotto in dritto, dove si andrebbe a parare? Poiché esso dalle regioni diplomatiche passando in quelle governative, e da queste nell'ordinamento sociale e domestico, tutta l'Europa diverrebbe un campo di assassini e di assassinati...

L'omicida, il ladro, il libertino consumando il suo delitto non potrebbe esserne impedito, poiché non saria permesso intervenire contro di esso... E le leggi allora, i tribunali, la questura, a che potrebbero servire? Ma ci si risponde, il nonintervento s'intende solo in quanto alla diplomazia ed alla politica, non già in che concerne l'ordine pubblico. No, rispondiamo noi, quando voi avete elevato a dritto il nonintervento, e ne avete fatto un patto internazionale, non potete impedire che esso pian piano s'imponga benanche nell'ordine sociale. Infatti non è forse quasi un nonintervento quello che impedisce all'agente del governo impossessarsi del delinquente se noi trova in flagranza? Quelle tali libertà provvisorie che si accordano «ai rei, mentre prende il giudizio, non è un nonintervento imposto alla legge? Quel proibire la prevenzione contro il delitto, permettendo solo la punizione dopo avvenuto e consumato, non è effetto del non-intervento, che vieta al potere d'investigare le cause produttrici del delitto, impedendo a tempo la perpetrazione di esso? Certo che il nonintervento è un crimine diplomatico-politico-morale-sociale, esso è la dorata vesta che ricopre la deforme e lurida figura dell'emporio di ogni delitto. Il nonintervento osta al Decalogo, ai precetti, alla Religione, allo stesso Dio che comandò agli uomini di amarsi a vicenda e soccorrersi. Osta alle leggi di natura,che impongono financo ai bruti l'istinto di soccorrersi tra loro. Osta alle leggi umane le quali prescrivono lo scambievole aiuto, la reciproca difesa. Abbatte la civiltà perché è la negazione di essa; dunque aureamente sentenziò l'anatema contro di esso il Sommo Pontefice nel Sillabo.

L'altro beneficio, secondo l'Italia nuova, è la separazione della Chiesa dallo Stato... cioè il nonintervento della Religione in quanto concerne il governo dell'uomo interiore ed esteriore, della famiglia, della società. Assurdità nefanda che intende separare l'inseparabile, e rovesciare tutta l'armoniosa economia con cui la Provvidenza governa il mondo. Separazione della Chiesa dallo Stato, ma cosa intendono dire? Se si vuol riguardare la Chiesa nella sua parte divina o morale essa è inseparabile dall'individuo, dalla famiglia, dallo Stato, poiché senza religione non si vive, ma'  si delinque; è inseparabile, poiché come son necessarie le leggi umane per il benessere fisico e materiale della società è necessaria altresì la legge divina per il benessere spirituale e morale della medesima società; diteci che potrete separare l'anima dal corpo senza che questo perisca divenendo cadavere, e noi vi rispondiamo che potrete separare la Chiesa dallo Stato; diteci che un grandioso e vasto edifizio potesse reggersi senza fondamenta, e noi vi diremo che lo Stato potrà reggersi senza la Chiesa, provateci come una famiglia può fiorire senza religione ed uno Stato prosperare senza culto, e noi vi diremo che la separazione della Chiesa dallo Stato, è un fatto possibile. Ma quando nò senza Fede può vivere l'uomo, ne senza Religione la famiglia, né senza Culto lo Stato, è mestieri che conveniate con noi essere un assurdo la separazione della Chiesa dallo Stato. Piuttosto, e così avreste il merito della franchezza, dite distruzione della Chiesa e dello Stato, ed allora avrete detto il vero... Se poi la Chiesa volete considerarla come istituzione umana, ebbene noi vi diciamo che essa è inseparabile dallo Stato, poiché sono due istituzioni che si sorreggono a vicenda, e se staccate l'una rovescerà l'altra... I fatti odierni ci danno troppa ragione...

Sarebbe troppo lungo l'enumerare qui tutti i mali arrecati allo Stato ed alla società da quella voluta separazione; Le coscienze costernate, continui conflitti tra le autorità delle due istituzioni, lo Stato fatto usurpatore, spoliatore e tiranno, la Chiesa derubata, spogliata, perseguitata... e la società? e i popoli? Camminate per le pubbliche vie, fermatevi ad ascoltar quei figli del popolo e ne udirete delle tante da farvi fuggire per l'orrore. Non diciamo del ceto medio, né dell'alto... Salve le eccezioni, il resto ànno una smania per mostrarsi atei. Ma chi vi perde in questo caos è lo Stato e non la Chiesa. Lo Stato che vede montar la marea e vorrebbe rattenerla... Però i liberaleschi sono tristi... Nel mentre che essi strombazzano libera Chiesa in libero Stato, questo de jure, secondo lui spoglia la Chiesa de suoi beni, ne cancella le festività, ne proibisce il Culto esteriore. Ma dunque allora è uopo dire Chiesa Schiava in ateo Stato.

Se il non intervento dunque e la libera Chiesa in libero Stato sono due benefici per l'umanità ce ne appelliamo al saggio giudizio degli onesti, sieno o no cattolici!!!

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. Ma è na vera vriogna vedè Napole doppo unnece anne de progresso, de cevertà, de regenerazione, pare no paese de montagna...

Ann. Volesse lo Cielo e fosse accossì, pecche io credo a senso mio che non ce po essere cosa cchiù schifosa de le bie de Napole tutte chiene de monnezza, de fleto e de schifezze che simbè non ce fossero malatie, pure ànno da veni a fforza.

D. Crisc Questa è una esagerazione.

Ann. Volite na piccola co lo limone? lesto: guaglione guagliò...

Caf. Nnarè tu che dice...

Trov. Ma, D. Criscè, non fosse vero chello ch'à ditto la Siè Nnarella? E lassammo stà la sporchizia de le bie, diciteme se vò o nò abbadà armeno a la salute prubbeca?

D. Crisc. E che cosa credete si potesse fare?

Trov. Che io ve lo ddico, e chill'Amice fanno vacca pasce e campana sona, che ve lo dico à fà...

Ann. È tiempo perzo Si Tò... ve pare, vuje mo volarrisseve che lo Mulecipio se ntrecasse de certe ccose che non l'apparteneno, comme diceno lloro?

Caf. Comme àje ditto che non ll'apparteneno? Àje pigliato no zarro...

D. Crisc. Tutto appartiene al Municipio...

Ann. Purzì lo bocale de la notte non è bero D. Criscè?

Trov. Lo vero fatto è che se stà vennenno pe Napole la monnezza de la rrobba, frutte fracete e acierve, pesce fetente che manna n'addore autro che bascioli, na carne che sulo no cane se pò magna, e pò tutto lo riesto de lo riesto che è na cosa veramente degna de li tiempe cevile e de li perzonagge annorevole che nce sò benute a porta la scajenza e lo malojuorno...

D. Crisc. Ma vi sono delle Commissioni vigilatrici per ogni Sezione.

Ann. Vuje che prommone e prommone jate accoccbianno.

Caf. Ma ste Commissiune ch'anno da fà?

D. Crisc. Come non lo sapete? Debbono verificare i commestibili vedere se sono buoni a mangiarsi il prezzo è regolare, e se tutto procede bene...

Trov. Benissimo, nce sta na difficordà, chella che de tutto chesto non se ne fà niente.

Ann. E se fosse vero che nce stà, sta Commissione, allora pecche non se ncarreca de vede tanta cose che porzi li cecate vedono?

D. Crisc. Quali sono?

Ann. Nfra ll'autre chella de li venneture de cose fritte, che schitto lo fleto quanno passe pe bicino a na bancarella de chella te fà veni lo vuommeco.

Caf. Co lo fatto, e non sulo è na schefienzia, ma quanto è no male che sé fà a la salute de le gente... pecché, mentre teneno pe mosta appese le bessiche chiene de nsogna, pò frijeno co ll'uoglio de semmenta, capite...

D. Crisc. Questo non è possibile.

Trov. E tanto possibele che accossì non fosse.

D. Crisc. E che cosa potrebbe fare il Municipio?

Trov. Verefecà sto fatto, e farele pavà na grossa murda a chi trova nfallo... D. Criscè, nuje ccà starnino combinate pe le ffeste, tenimmo malatie d'ogne manera e d'ogne specie, mmece de pensà comme farle fenì, mmece se fà de tutto pe farele mpossessà e piglià pede, e bedite comme se và bello...

Ann. Ma de sta gente che ne volite sperà?

lì Crisc Basta, mi voglio incaricare io di questo fatto, e vedere se è vero. Addio.

Ann. Quanno ve ne ncarrecate vuje... è comme a lo mariuolo che bò i ad arrestà lo latro. Chiste a chi vonno coffià, neh... Anno ragione, ma...

Caf. Pare che non à da fenì...

Trov. Chisto pò tenitelo pe lo quinto Vangelio. Santa notte.

ANNO VI N. ° 89 Martedì 30 Luglio 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

IL PRINCIPE DI PRUSSIA E IL RE FRANCESCO DI NAPOLI

Grande è pur quegli che luccicante di oro, cinta la fronte di verdeggianti allori, smagliante dello splendore di strepitose vittorie, curve innanzi a sè vede milioni di. teste, piatir denti ode milioni dii labbra, batter per. giubilo ascolta milioni di mani... Esso è Oh fortunato mortale cui la sorte ricinse del più fulgido ammanto invidia dei suoi pari, venerazione dei soggetti, ammirazione. di tutti. Eppure sotto quelle dorate vesti, palpita. Agitato un cuore e. su quella maestosa fronte leggera ombreggia una ruga. Frammezzo a tanta grandezza ei pur non sentesi felice, avvegnaché ogni fronda di quello alloro aprì Una tomba, e all'eco di quei plausi, risponde l'ululato di mille madri, di mille vedove, di mille orfani, l'ultimo lamento del soldato morente, il rintocco della funebre campana del cimitero... Ebbene, questa superba, vanitosa possanza ebbe un incontro, e vide là nelle mura di; un modesto castello starsene obbliato e solo il figlio di cento Monarchie, la cui fronte scoronata e serena porta l'impronta divina del Re, ed il suo cuore tranquillo batte, poiché la coscienza non conosce il rimorso... Ecco due splendide e singolari figure che in loro compendiano tutto il fasto della umana. follia da un canto, tutta la sublimità della sventura dall'altro. E questi due Grandi Rincontrarono, il temuto e glorioso Principe volle far visita al leale e virtuoso Esule... La grandezza quindi che s'inchina al cospetto della virtù, la potènza che riverisce la più augusta debolezza... Essi si videro, si strinsero la mano, parlaronsi da soli, e né orecchio importuno, ne occhio profano ascoltò e vide...

Oh quale e quanta commozione di affetti in quell'incontro! La virile e maestosa figura del vincitor dei Franchi, ripercossa dalla serena maestà del Re scoronato, riverente chinossi dinanzi a tanta sovraumana grandezza, ed un arcano pensiero rannuvolò l'abbronzata fronte del figlio di Prussia, trovatosi al cospetto del figlio di Napoli... Esso l'eroe delle cento battaglie a quella vista tremò, poiché vide e comprese quanto fugaci siano le grandezze di quaggiù, e come instabil fosse il favore della volubil sorte... Vide e tremò, dappoiché si sovvenne che anche la sua casa ed il suo paese niegarono aiuto all'oppresso, sconobbero la virtù, tradirono la giustizia... Vide e tremò, poiché una mano di ferro strinsegli il cuore ed una segreta voce gli mormorò all'orecchio anche il Padre tuo non levossi a difendere 1 innocente...

Il Principe imperiale di Prussia sentissi confuso innanzi a Re Francesco di Napoli, poiché se in lui era la potenza del guerriero fortunato, del Principe temuto, in Francesco splendeva la Maestà del Re sventurato, la virtù del cittadino amoroso, la sublimità del cristiano rassegnato, il tipo dell'eroismo portato all'apogeo dell'ideale, nell'innocente che pur tradito, scacciato, vilipeso, che Re erede di cento Monarchi, vede la corruzione, la blandizie, l'astuzia, l'inganno, la menzogna, il tradimento, l'ingratitudine strappargli corona e scettro, eppure non un lamento muove, un rimprovero, ed anziché a sè prender cura, ai diseredate suoi, figli pensa, i loro dolori divide, del loro piantò. si crucia, mangiando condito dì lagrime il pane dello esilio, poiché della sua patria diletta odé il disperato urlo, senza che Egli accorrer potesse in suo aiutò e difesa, poiché la giustizia si è eclissata dal mondo.

Allorquando sulla rocca di Gaeta, ultimò baluardo, ove rifugiate si erano virtù, Verità, giustizia, Ei volle fare il suo testamento politico, disse: Io ho fiducia netta Provvidenza... Ebbene questa Provvidenza. che per suoi arcani misteri provar lo volle in ventenne, età, e sull'aprile della sua vita da Re con tante e svariate dentate, gli à purtroppo dimostrato che essa veglia in difesa del Giusto, e che se pur questi soffre e piange, ogni dolore, ogni stilla di pianti quella Provvidenza raccoglie e con quelle ritempra la spada della sua vendetta contro Colui che il giusto opprime, i popoli schiaccia, Iddio tiene in beffa.

E Francesco vide il calunniatore e falsario Cavour scendere coperto di delitto e di obbrobrio precocemente nella tomba, vide il suo fiero nemico Carlo Luigi Napoleone precipitar da vile dall'usurpato trono di Francia, vede ed ascolta. la vergogna e la confusione della massonica Bahele, della ciurma settaria, i di cui destini sono orribili, e le sue ore contate, come quelle del condannato... E perché non ci si tacciasse di esagerazione, o maligna parola, ecco ciò che dice un organo settario cointeressato nella ebraica cricca... «Quale è la nostra posizione, la nostra significazione in Europa? Diciamolo senza reticenze: Le potenze Cattoliche ci odiale no, le potenze bene ordinate come l'Inghilterra e là Germania non ci stimano... alcuna potenza, alcuno Stato o bricciolo di Stato non ci teme, neppure Tunisi! Il Belgio ordina al suo Ministro in Italia di non seguirci a Roma...

È la Gazzetta d'Italia del 23 — ecco dunque come la vindice Provvidenza incalza inesorabile gli oppressori del giusto e dell'innocente...

Ma perché il figliuolo di 'Guglielmo à voluto visitare Francesco II? Sarebbe troppo audacia giudicare delle azioni dei Principi e dei Re, e voler penetrare nei loro altissimi segreti... Certo che non per semplice atto di delicatezza o sterile cerimonia il Principe di Prussia si è recato alla dimora di Re Francesco... Oggi pei Sovrani e pei Principi le visite di etichetta e di cortesia sono fuori uso, e quando sembra che. essi vadino a zonzo per passatempo, e fanno delle visite per riguardi, o si ritrovano a questo o quel convegno per caso, allora è che essi compiono qualcuna di quelle combinazioni che preparano 1 avvenire... Che almanacchino pure a loro posta i politici della rivoluzione, essi sono otri pieni di vento, poiché se l'oggi è loro, il dimani sarà per quelli che ragionano. Il grande volume dei destini che tiene nelle Mani Iddio... e la visita del Principe di Prussia al Re esule di Napoli à avuto il suo grande significato politico!!!

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

L. Crisc. Dunque, Si Tore, avete saputo la risposta data da Thiers alla interpellanza circa il potere temporale?

Trov. Saccio rutto, e che bolite dicere?

D. Crisc Voglio dire, che finalmente anche questa illusione è sparita pei clericali...

Trov. Ah... ah... ah... lassateme ridere co tutte li luotene mieje...

Ann. Si Tò, che dice D. Criscenzo, che parla de valanze? Ched'è, se volesse mettere a bennere vrenna e sciuscielle?

Caf. Tu non àje capito; D. Criscenzo à ditto nterpellanza.

Ann. Le prode la panza? E che se la raspa, l'assegna a nnuje?

Trov. Levammo la pazzia, ccà se tratta de cosa seria.

D. Crisc. Cosi è, poiché è un affare che à fatto venire la terzana a più di un caporione clericale... Poveretti! e dire che non gliene venghi una buona... Fidavano sulla Prussia e la Baviera, e queste stanno per muovere guerra al cattolicismo, fidavano sull'Austria e questa gli volta le spalle, fidavano sulla Francia e precisamente su Thiers e questo gli dice: Scusate, voi forse avrete ragione, lo conosco, ma oggi quello che è fatto è fatto, ed io non mi esporrò al pericolo di una nuova guerra, poiché l'Italia è forte...

Ann. Oh mmalora! lo Si tieneme che mo cado, s'à mparato pure isso la canzone ll'Italia è forte? Vi che te fà a essere figliola? tutte la vonno bene... Ma mperò àje da vedè quanto durano sto bene e sti carizze...

Caf. Nfi a tanto che li nnammorate anno da scroccoglià quacche cosa a sta ciuccia d'Italia, la quale è addevencata no portone addò ogne cane che passa, va, addora, e fuje...

D. Crisc. l'ingannate, cari miei, lasciate stare tutte le vostre fantasie... vedete 0 no che nessuna delle tante cose che speravate è riuscita? pensate meglio ad accomodarvi col progresso, io ve lo dico per vostro bene...

Ann. D. Criscè, sti consiglie lloco teniteville pe buje, pecché nuje ne volimmo vedè lo costrutto, o dinto o fora... o esce lo sole, o vene lo delluvio, che mmalina! mo sò tanta juorne che fà caudo, non à da veni a chiovere na vota?

Caf. Autro che chiovere, sarrà na tempesta...

D. Crisc. Poveretti! Come vi hanno rovinati i preti?

Ann. Volite fà a pprete? Sarria ll'arte antica de coppa a li fuosse..

Trov. Avite parlate tutte? lassateme dicere doje parole a me pure... D. Criscè, vuje mo site accossì de pococereviello da persuadereve de le chiacchiere che diceno lo Pungalo e Roma? e credite veramente che la risposta de Thiers fosse stata favorevole a U' Italia? Ma è possibele che manco le pparole se vonno capè pe chello che diceno? Comme poteva parlà cchiù chiaro lo Capo de lo governo nFrancia, contro a ll'Italia?

D. Crisc. Contro all'Italia? avete sbagliato, contro i clericali dovete dire...

Trov. Allora contro a la Francia sana sana... pecché li francise o reprubbecane o legitemiste songo tutte clericale: lo potite annià?

Ann. Si Tò, clericale che bo dicere?

Trov. Vò dicere perzona fedele a la Cchiesia e a lo Papa.

Ann. Allora simmo tutte clericale anema e cuorpo, da dinto e da fora, mo e sempe, e schiatta chi non lo pò vedè.

Guè, D. Criscè, lo malojuorno stà sempe dereto a la pòrta e avisa quanta caperiole avimmo da vedè, e quanta sciammerie s'ànno d'appennere a la Jodeca, e a lo Ilario de lo Castiello... lo munno stà mbrogliato, e la matassa tene paricchie nodeche...

D. Crisc, Appunto perciò non avete di che sperare...

Ann. Justo perciò, perciaje, e facette no pertuso, e ba trova comme fernarrà coriuso.

Caf. Ma nzomma, lo fatto è che lo Papa è fritto, li cattuolece sò arrostute, e la Chiesia è fatta a la scapece?

Ann. E li librare songo strascenate... Vi se nce ponno essere cchiù pazze de chiste... chi sà qua fattucchiara de vammana (ogge è sapato) avette d'attaccà lo vellicolo a sti frate nuoste consuprine... che le pozza afferra dolure ncuorpo...

D. Crisc. 0 il Papa, la Chiesa ed i Cattolici si adattano al progresso dei tempi, e riconoscono la civiltà di oggi, o per loro non restano altro se non i deserti dell'Arabia.

Ann. E io ve dico, o mettite judicio, e ve facite li fatte vuoste acconciannove le ccape, o avisa qua juorno ve la cagnarranno co chelle de pecoriello...

Caf. Si Tò, vuje sentite che dice D. Criscenzo?

Trac. Lo sento, ma...

D. Crisc Conoscete che ho ragione e per cui, non rispondete.

Trov. Nò, anze veco che avite tuorto, e pecche ve vorria responnere pe comme ve mmeretate, e parlarve a lettere de scatola, no lo pozzo e me sto zitto... Mperò ve dico che né lo Papa, né la Cchiesia, né li cattuolece recanosciarranno maje le sbriognatezze e le boscie de la revoluzione; pe lo Papa non ave abbesuogno de consiglio de nisciuno, pecche io consiglia lo Spireto Santo, e quanno lo Papa à parlato pe la vocca soja à parlato lo stesso Dio... pe la Chiesia non è la primma vota che commatte, e non è la primma vota che à visto cadè li nemmice suoje; oje, D. Criscè, vuje sapite de lettere, jate a leggere la storia e là vedarrate comme la Chiesia non à perzo maje nisciuna battaglia, e cchesta mo manco la perdarrà... pe li cattuolece pò, vinciarranno certo co la Chiesia... vuje potite ridere mo, la revoluzione se pò sfrena comme se stà sfrenanno, ma la scommuneca de lo Papa arriva, e v'à arrevato, pecche v£ site accossi confuse tra vuje, che non sapite cchiù né chello ch'avite da fà, né Chello che potite fà... Avite d'abbesuogno sempe de chi ve protegge, avite da pria lo diavolo che lo munno stesse sempe arravogliàto, avite da fà vuto pecche le ccose jessero sempe accossi, ma si nò... D. Criscè, ve lo dico io che sciacquarrate senza vevere... Vuje mo ve credite che la Francia non ve ncojetarrà, e io ve dico che fuorze non venarrà lo vierno e sentarrate la botte... allora pò ne parlarrammo... Co Dio non se pazzeja, D. Criscè!

D. Crisc. Le solite parole e le solite minacce... quanto siete infelici. Addio.

Ann. Sciù pe la faccia vosta, io no bolarria essere manco pollece dinto a le cammise voste... vi che diceno!

Caf. Chiste se non vedono non credono.

Trac. E io ve dico che bedarranno, e tanno lo credarranno, quanno avarranno perzo Cicco e lo panaro. Santa notte.

Ann. Accossì sperammo.

Caf. Lassatele di, che appriesso parlammo. Stateve buono Si Tò.

ANNO VI N. ° 91 Giovedì 3 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, che nce sta pe ll'aria?

Trov. Assomma lo ponente e maisto, Si Luì...

Ann. Comm'è a dicere?

Caf. Che sarrà male tiempo.

Ann. E quanno! mme pare mill'anne...

D. Crisc. Bravo, ecco i cattolici, apostòlici, romani, che vanno cercando la tempesta...

Ann. Nn'avimmo ragione de cercarla, pecché se nò comme se pò levà sta peste che tenimmo ncuollo. e tuttala Iota che nce sporca comme se pò polezzà?

Trov. D. Criscè, vuje dicite che li cattuolece vonno la tempesta, ma se li patrune vuoste non fanno autro che chiammà sta tempesta, comme potite dì che la vonno li cattuolece?

D. Crisc. E come la chiamano i miei padroni?

Caf. Co fà chello che nisciuno ommo aonesto avarria manco penzato de fà...

D. Crisc. Dunque credete ancora che ciò che sinora si è fatto è stato male? Dunque per voi la grande unità della patria è stato un male?

Trov. D. Criscè, non parlammo de unetà e de patria, lassammo sta chesto, pecché nce sarrà chi se ncarrecarrà de dicere se è stato buono o malamente. Ma parlammoce da uommene, nuje co tutto chello ch'avimmo fatto, la faccia addò la jammo a mettere?

Ann. Avite da dicere addò la vanno a mettere... e pecchesto pò non mancano né uommene affummecate, e né mappine de scisto... e pò, neh Si Tò! Se la faccia desti signure de stalla è fatta a prova de bomme ve pare a buje mo che se potessero piglià collera pe tanto poco?

D. Crisc. Sia Annarella, non offendete vi prego...

Ann. Scusate, io non me credeva che se poteva fà na macchia nfaccia a n'otra d'uoglio... aggiate pacienzia!

Caf. Si Tò, è overo che li francise vonno fà la guerra a ll'Italia? t

Trov. Pe mo la farranno a pparole, pò venarranno a li tatto, se co le pparole non se combina niente...

Ami. È ghiusto, pecché quanno uno vo vattere a n'autro, à da trova na scusa, e sta scusa se trova mparolejannose.

D. Crisc. Queste sono belle ciarle, poiché la Francia se intende questa volta far la gradassa, avrà il resto del carlino che non le anno dato i prussiani, capite?

Ann. Ma comme, ma comme, ve pare? Non se fà pe dicere, ma vuje site gente che no cantaro e miezo ve lo fidate d aizà ncoppa a le spalle, e pó pe fui, site propio cavalle de corza...

Caf. D. Crisc, prijate meglio che le ccose s aggiustassero co la cojeta, si nò...

D. Crisc. Che si no, e si no, oggi per bacco ce la vedremo.

Trov. Se co le chiacchiere se potessero fà e bencere le gguerre, non ce sarria abbesuogno d'armate cchiù, e buje autre liberale sarrisseve a cchest'ora patrune de lo munno.

D. Crisc. Voi dunque desiderate le sventure della patria?

Trov. A cchesto nce avite portate vuje, pecché se vuje avisséve veramente amato la patria, non avarrisseve preparata l'arroina soja, onne site vuje e non nuje li nemmice de la patria, capite?

D Crisc. Va bene. Addio.

Ann. Jate, jà, acqua appriesso.

Caf. Si Tò, che ve ne pare?

Trov. Songo capetuoste, e bonno tene la lengua, peggio pe lloro, pecché lo Signore pensarrà...

ANNO VI N. ° 93 Martedì 8 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè. che belle cose che sanno fa li governai ture e li consigliere de ll'Incurabele?

D. Crisc. Cosa àn fatto?

Trov. Pe fà economia ànno levata da lo Spitale de ll'Incurabele la corzea addò stevano tutte li guagliune malate.

Ann. Non dicite chesto, pecche porzì ncoppa addò stanno le ffemmene ànno levata la corzea de le ppeccerelle, e io ll'aggio visto ll'autro juorno che songo juto llà pe trovà na serva mia che nce stà malata...

Caf. Addò se fà la economia che?

B. Crisc. Sentite, qui non vi è stata l'idea della economia, perone gli ammalati sempre vi sono, e non si può economizzare che solo la biancheria dei letti: torse ci sarà stata qualche altra ragione...

Trov. Qualunche fosse la ragione, non se pò passa pe coppa no fatto immorale, e che lo Statuto de lo Pio luoco aveva preveduto tanto, da stabelì na sala apposta pe li gnagliune, pecche nn'ogne ccosa nce vò la morale, e s'anno da guardà li costume...

D. Crisc. Ma io non vi trovo l'immoralità che voi dite.

Caf. Non ce la volite trovà, ma essa ne è... Trov. Onne pe buje non è na immoralità chella de mettere li guagliune malate dinto a le corzeje de li gruosse, azzò li guagliune se imparano chello che non sanno, e bedono cose che maje anno visto?

Ann. E le ppovere peccerelle? Ma ste gente anno perzo le ccerevella? Chesto ched'è addò simmo arrivate? Ma che pretenneno davero de fà li crapicciuse ntutto e pe tutto? chesto succede quanno s'ave che ffà co gente che non tene coscienzia e sapienzia.

D. Crisc. Insomma voi date tanto peso ad una cosa da nulla?

Trov. Me scusate, se tratta de morale prubbeca, se tratta de scannalo, se tratta de n'abuso, e volite che nce stessemo zitte?

Ann. Gnorsì, e a cchesto nce stammo zitto, a cchello non parlammo, a cchell'autro non pepetammo, e cchiste aizano le scelle e a no poco a la vota fanno tutto chello che le vene pe capo... ve pare ch'è buono sto fatto? E nuje napolitane fuorze che fossemo ll'urdeme de la via, o che l'avessemo acciso quacche figlio a la cònnola a sti ssetiglie revotate tale e quale?

D. Crisc Io me ne voglio informare, poiché ritengo che senza una ragione, quella novità non poteva succedere.

Caf. Gnorsì, chesto jammo trovanno nuje.

Trov. E pecchesto ve l'aggio ditto, onne vuje ve ne nformasseve, pe sape le rragiune pe le quale anno fatto chello a ll'Incurabbele ch'à fatto parlà Napole sano...

D. Crisc Va bene, restiamo così... Addio.

Ann. Che razza de facce toste, se ne rideno de fà tutto chello che bonno.

Caf. Quanno mo nce anno puosto la sella e la varda che buò?

Trov. È tiempo lloro... ma pocopotarrà durà la cuccagna... e tanno parlarrammo pò... Addio.

ANNO VI N. ° 94 Giovedì 10 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

D. Crisc. Adesso sì che non si sentiranno più ferimenti ed omicidi per la città.

Trov. Pecché, neh D. Criscè?

D. Crisc. Come? Con la legge sulla Pubblica Sicurezza che il governo à fatto adesso vi dico io che nessuno più andrà armato e perciò non si sentiranno più reati di sangue.

Caf. Chesta è stata na bona cosa pecché non se ne poteva cchiù...

Ann. Eramo arrevate che tutte li guagliune portavano lo cortiello, e no poverommo basta che diceva na parola nfaccia a no moccusiello, che passava lo guajo de s'abbuscà na cortellata, pecché la libertà aveva fatto scetà a tutte li muscille.

D. Crisc. Dunque, sembra che il governo abbia fatto una cosa buona.

Trov. Sissignore e non c è che di, ma nfradétanto non à fatto na cosa compreta, pecché à lassato l'uso de la pistola, e ogneduno la pò portà abbasta che sia de la lunghezza stabeluta da la legge, accossi se non è zuppa è pane nfuso...

Caf. Seh, embè, che bene a dicere chesto?

Ann. Allora à fatto comme a cchillo de lo cunto e tutto lo fatto sta a portà l'armatura comme la vò lo governo, che bella legge!...

D. Crisc. Ma avreste voluto che il governo l'avesse proprio impedito?

Ann. Già, accossi aveva da fà, e si nò che cosa à fatto? è stata na coffiatura chesta legge... pecché tutta sta libertà de portà l'armatura? Che Napole fosse vuosco? Già mo, è autro che no vuosco...

D. Crisc. Questo poi sarebbe stato un abuso, e noi non siamo più ai tempi dell'assolutismo in cui si commettevano gli abusi, oggi tutto è legalità e giustizia.

Trov. Uh... uh... D. Criscè, ché ghiastemme ve sò scappate da la vocca... pe l'amraore de lo cielo, comme ll'avite ditto mo, e ccà dinto non lo dicite n'autra vota, e addò ce stanno gente, pecché potisseve passà no brutto totano, capite?

L. Crisc. E che forse non è vero?

Caf. Che bero e bero, mo me dicite che so tiempe che se fà la justizia? e ccomme? e quanno?

Ann. Fuorze chiammarranno justizia, li mbruoglie, li empicce, e le sbriognatezze de tale e quale, che mmece de sta ngalera, te li bidè nchicchera a fà li capodiece... Nn'ànno ragione che ve pare? a llengua lloro chiste sò tiempe de. justizia, ve pare che chi à magnato lo Daniello de la Vicaria, ed è stato a la scola de le quarantaquatto non à da parlai accossi?

D. Crisc. Certo che gli abusi di un tempo non si commettono oggi...

Trac. Ogge, D. Criscè, non se fanno abuse, ma birbantate; ogge non ce stà né annore, né dignetà, né veretà, ne giustizia. Ogge l'ommo aonesto patesce e lo birbante gode...

Ann. Già pecché essenno che comannano tutte li strafallarie, li stracquachiazze, li mariuole e li piecore, accossì, l'ommo da bene non è potuto vedè, e li cane s'addorano ntra de lloro, s'alliccano, se proteggeno... Facite che no pòverommo avesse na contrajustizia, o l'abbisognasse na cosa, vedite se non tene no strascino de la commettiva che lo canosce, ne pò recaccià niente?

D. Crisc. Questa è una calunnia.

Trov. No, è na verità, e m'è soccieso a me, D. Criscè, mo tutto se fà pe protezione,, pe crapiccio e pe denaro, senza de chesto non se ne recava niente... Mo, D. Criscè, ncè sta tanta lotamma sotto, che se pe pjpoco jate pe smovere cierte ccose, sentite lo fleto da no miglio lontano... D. Criscè, mo da coppa, nfì abbascio, è dà vascio a sagli ncoppa; songo tutte de na manera...

Ann. Pecché sò tutte figlie de na sola mamma.

D. Crisc.. Ho capito, siete sempre ingiusti accusatori del governo.

Ann. Mo. stampo a lo mese d'austo e buje dicite ch'è bierno? lo vierno à da veni, e tanno aggio àppàura che buje non starrate ccà...

D. Crisc. Perché?

Ann. Lo ppecché ve lo diciarraggjo appriesso...

Caf. Mo se campa a ghiornata...

D. Crisc. Ah... ah... ah... non vi lusingate. Addio.

Trov. L'abbenì non lo sape nisciuno... e chi sà che sarrà. Santa notte.

ANNO VI N. ° 95 Sabato 12 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

MUSEO NAZIONALE

Sono diversi giorni che nelle sale del Museo leggesi la seguente scritta:

«Per ordine del Ministro della Pubb. Istr. —È proibito agli «impiegati di proporre o agevolare in qualsiasi modo la vendita «di copie, libri o fotografie, sotto pena di destituzione. — È «vietato agli artisti di vendere le loro opere nelle sale del «Museo. — Il Soprint. Generale Fiorelli. »

Domandatone la cagione, ci si disse, esser ciò avvenuto per un alterco verificatosi tra un impiegato ed un artista per frivoli ragioni. Tal risposta ci fece ricordare di due cose, del risum teneatis amici, e di quel bel motto napoletano che trova il suo equivalente in tutt'i dialetti d'Italia: S'è abbrusciato lo ppane, non se fanno cchiù forna. Veniamo un pochino all'analisi di questo sapiente ordine. «E proibito agl'impiegati di proporre o agevolare in qualsiasi modo la vendita ec. sotto pena di destituzione». Questo potrebbe passare come giustissimo, e c'inviterebbe ad un bravo di cuore al Ministro, ed a chi ha provocato tale disposizione; se pur non sapesse di eccessivamente rigoroso. In seguito: «È vietato agli artisti di vendere le loro opere nelle sale del Museo». Or bene, chiediamo noi, fanno a calci o no queste due disposizioni fra loro? Si, per grammatica e per logica de'  fatti; perché la prima frase suppone la vendita di copie, libri, fotografie ec: mentre la seconda la distrugge parlando di divieto agli artisti: questo in quanto alle incoerenze. D'altra parte poi se si vieta agl'impiegati è appunto perché non facessero monopolio nelle vendite che fanno gli artisti, ed al contrario inibendo agli artisti di vendere, a che prò quella spampanata per gl'impiegati? Entrando poi un pochino più addentro, diciamo che questo ordine direttamente ferisce gli infelici artisti che vivono sull'eventualità del sudore della loro fronte; giacché gl'impiegati o per storto o per diritto verso, ricavano sempre alla fin del mese il soldo di che mangiano, bevono e veston panni. E se il signor Fiorelli é stato tanto pronto e corrivo a scrivere al Ministero per far emanare tale ordine, nella istruzione de'  fatti, avrebbe dovuto far conoscere che buona mano de suoi impiegati, fanno i negozianti, e che negozianti! E forse un giorno o l'altro potranno negoziare altresì gli oggetti del Museo, come per lo passato è successo, ed il sig. Soprintendente dovrebbe conoscere, benché prima della sua savia direzione, e ciò perché vi erano impiegati negozianti! Caro, il sig. Fiorelli, siete tanto giusto, e pure dando un passo indietro dovreste fare un tratto di vera giustizia ribadendo nel Museo ed in Pompei le botteghe di cui avete promossa l'apertura e la licenza, botteghe le quali recano gravi e positivi danni a'  negozianti che sono in piazza costretti a pagare tasse, controtasse, e tutto il ben di Dio. In riguardo a questo affare, un certo maldicente esternò, che Fiorelli si è premurato a fare emanare tale ordine a solo scopo di accrescere lo smaltimento nelle cennate officiali botteghe, perché anch'egli ci tiene la sua piccola parte d'interessi. Noi però calorosamente abbiamo risposto che egli è troppo conosciuto e che non è capace a lordarsi le mani per simili inezie! Ma siccome quei sto egualmente che tutti gli altri ordini, vanno sempre in discapito dei più infelici, così conchiudiamo: Che lo cane mozzeca sempe a lo straccialo!

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Gnaz. Si Tore, Siè Nnarè, Si Luì, ve saluto nsoleto comme state?

Ann Oh... Gnaziè tu si comparzo? ched'è, t'àje fatto li i denare... e già mo sì tutto tu, zompa chi pò, dicette lo granavuottolo.

Gnaz. Siè Nnarè, non aggio avuto no poco de tiempo, e io mm'ascevoleva pe ve vede a tutte quante.

Trov. Chesto lo ssapimmo, e nnuje pure avevamo piacere de te vedè...

Caf. E accossì, comme te truove co lo mpieco ch'àje avuto?

Gnaz. Che bolite che ve dico, è na vita che non troppo fa pe me... già mo avisa se lo tenarraggio assaje sto mpieco, pecché lo tiempo se ntrovoleja...

Ann. Sì, è overo, da paricchie juorne sta jenno attuorno.

D. Crisc. Oh Gnaziello? bravo, cosi ti voglio; stai bene?

Gnaz. Gnorsì, a li comanne vuoste, vuje state comme a no turco; e me ne conzolo...

D. Crisc. Dunque che ne dici di buono?

Gnaz. Mm' avite da dicere vuje quacche cosa de buono.

D. Crisc Oh sì, caro mio, avremo la guerra fra poco.

Ann. Co chi, neh D. Criscè?

D. Crisc Chi lo sa, forse con i francesi...

Caf. Oh bonora, co li compagne che v'anno ajutato a fà primera a lo 1860?

Trov. Chesto succede a chi non tene ne parola e né scuorno.

D. Crisc. Come a dire?

Trov. Come a dicere che I'Italia doppo d'averne fatta cchiù essa ca Catuccio, à voluto sparà ll'urdema bomma, pigliannosella contro a lo Papa, e affennenno la Francia.

D. Crisc. Queste sono le solite ciarle di voi altri Clericali; giacché l'Italia andando a Roma non à fatto che prendere possesso materialmente di ciò che già era suo...

Ann. Neh, neh... e chi nce l'aveva lassato? fuorze la vava, o lo vavone? già chesto non vò dicere niente, pecché lo mariolo doppo che v'à spogliato, non dice pure che la robba arrobbato è rrobba sqja?

Gnaz. Siè Nnarè vuje tenite ancora chella capo?

Ann. Chesto te volevo addimmannà mo, pecché me credeva che te ll'avive cagnata co quaccheduna de pecoriello...

Caf. Io saccio una cosa, che da quanno s'è ghiuto a Roma, li mbruoglie sò cresciute cchiù assaje...

Trov. Se capisce... e accossì aveva da essere...

Gnaz. Tutte li mbruoglie succedeno pe li prievete, e perzò à ditto justo chillo grann'ommo de Zi Peppe co la lettera ch'à scritto a'  ll'amico sujo che la guerra non se pò fà da ll'Italia, tenenno n'eserceto de prievete a le spalle...

Ann. Guè, Gnaziè, tu se vuò parlà de li muorte, aspetta che beneno li duje de novembre, se vuò parlà de lotamma vattenne ncoppa a lo Mulecipio addò s'auna, se vuò parlà de ciavarelle vattenne a trovà quacche deputato, ma dinto a lo cafè mio non fà cchiù Sii discurze... àje capito?

D. Crisc. Cosa avete detto? Non ho capito neppure io?

Caf. Moglierema à parlato ngerme, volenno dicere che n'autra vota è asciuto mmieze sto Zi-Peppe, doppo tanto tiempo ogne tanto lo fanno sentì?

Trov. Se capisce, quanno n'anno abbesuogno... Ma sta vota s'àve fatto malamente li cunte, pecche li prievete nce la ficcano a isso.

Gnaz. Seh! lo boglio vedè... Addio.

D. Crisc. Son ciarle, ne parleremo l'altra volta...

Ann. Lo bedarrate...

Tra». La vota che bene lo spiecarraggio... Santa notte.

ANNO VI N. ° 96 Sabato 15 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

NUOVA LEGGE, NUOVO ABUSO

È ornai deciso ohe in questa Italia rigenerata di farabutti e dagli scortichini gente esser deve pensarlo, che le leggi servano per legalizzare gli abusi, disseminare scontento, inasprirò gli animi e provocare il popolo? Chi della parte eletta ed onesta di esso popolo, non desiderava si ponesse un termini ai delitti di sangue che tuttodì funestano il paese, reprimendo il mal talento ed il cattivo oprare di gentemalvagia mercé una legge rigorosa ed anche eccezionale, se così era necessario? Ebbene oggi che la nuova legge sulla Sicurezza pubblica è stata tradotta in fatto nel brevissimo periodo di alquanti giorni, essa si è trasformata in strumento di tirannia stupida e capricciosa nelle mani di alcuni della polizia di questo Corpo la cui istituzione è quella appunto di tutelare i diritti dei cittadini, perseguitando i nemici della pace e dell'ordine, il canagliume che vive di delitti...

Ma purtroppo siamo in Italia!!! in questa Italia in cui il delinquente è ornai ufficialmente protetto, poiché la giustizia è un mito. Onde con grave discapito della dignità del governo vediamo oggi la nuova legge eccezionale di pubblica sicurezza divenuta mezzo potente per le vendette di pochi polizieschi i quali ornai sonosi resi insopportabili.

Le strazze, le bestialità, gli abusi che tuttodì commettono gli agenti della pubblica forza (salvo delle eccezioni) sono tali e tante, che vi è luogo a temere qualche gravissimo sconcio, laddove le Autorità locali non provvedano.

Noi abbiamo letto gli articoli della novella légge: essi son troppo chiari ed espliciti, perché dagli Agenti che debbonsi farli eseguire si potesse errare; ebbene, precisamente si fa all'opposto, dappoiché mentre si vede tuttavia fornita di armi insidiose la canaglia delinquente, i pacifici cittadini, le persone oneste e probe son fatte segno a villani e brutali trattamenti da parte delle polizia, la quale (salvo le debite eccezioni) è tale un aggregato di soggetti, che ornai per la dignità della corporazione e l'interesse dell'ordine pubblico dovrebbe venir depurata, giacché più che alla morale si è badato al colore.

Sicché all'ombra della nuova legge si è potentemente svegliato l'istinto feroce in moltissimi individui di pubblica sicurezza, i quali arieggiando&i a Sancio Panza nulla rispettano, e tutto violano. E uno spettacolo ributtante vedere un poliziotto,qualunque; fermare un gentiluomo sulla pubblica via, strappargli coi modi villani il bastone, spezzarglielo sotto i propri occhi, accompagnando tale atto eroico-buffo con parole ingiuriose. Né da sì duro trattamento vanno escluse le donne, le quali oggi seguendo il capriccio della Francia usano intrecciare nei capelli una spadina di argento, ottone, ed anche di osso, giacché questa piccola spada riguardata come ci si dice dallo zelo della P. S. come arma insidiosa di cui tratta l'articolo 456 e seguenti della legge, viene immediatamente tolta dal capo delle donne e spezzata, sicché abbiamo a vedere di tali sconcezze ed abusi villani tuttodì sulle pubbliche vie. A noi sembra che siffatto rigore sia il colmo del ridicolo, e vorremmo che le autorità ponessero un veto.

Compendiamo benissimo che ordini di commettere simili abusi non à potuto dare alle guardie di pubblica sicurezza l'onorevole sig. Questore, del quale è ormai nato il savio pensare, e la stretta legalità in tutto; ma è per questo che lo scongiuriamo nello interesse dell'ordine pubblico a porre un termine a tanto abuso dei suoi subordinati, molti dei quali sperano forse la mercé di siffatte buffonesche villanie potersi meritare qualche ciondolo o cordone... Affè! Che ben può dirsi essere divenuta l'Italia un pandemonio di abusi, poiché dal Ministro sino ultimo poliziotto ciascuno esercita la sua parte di tirannucolo onde si sta al libito di essi. Ed allora perchè non abrogarsi il famoso Statuto? Quando esso ornai divenuto un logoro cencio perché più tenerlo e servirsene solo per perpetrare in nome suo un terrorismo ingiustificabile, una tirannide ributtante, dei quali non si ànno riscontri neppure nella storia dei governi Musulmani? E si ardisce ancora squittire dal ciarlatanismo liberalesco giornalistico, le parole libertà, giustizia, fratellanza! Libertà! Ma dove è essa mai? è questo dunque il frutto raccolto dal popolo italiano dopo 11 anni di Costituzionalismo? Dunque la famosa riparazione del moralizzatore governo dovevasi ridurre alla più succiata e ridicola tirannide e ributtante spoliazione?

Si promise libertà, e da undici anni si governa a furia di leggi eccezionali. Si disse, la Religione Cattolica è la Religione dello Stato e intanto la si baratta, la s'insulta, la si vilipende in tutti i modi, negandole sinanco, assimilarla in quanto a rispetto alle sette protestanti,.. Noi abbiamo visto i Dignitari della Chiesa Cattolica, tratti in carcere, Sacerdoti tradotti nelle prigioni come volgari malfattori, le Chiese profanate, le Immagini Sacre spezzate, irrisj i Santi riti, insultato il popolo sinanco ai piedi degli Altari, e tenuto come delitto politico l'esercizio del Culto esteriore cattolico. Abbiam visto e tuttogiorno vediamo prigionia dello Augustissimo Capo di questa Divina Chiesa, dopo di avergli rapita la Corona di Re, sfondando le porte della Città di Roma a furia di cannonate. Abbiam visto e vediamo tuttodì laide ed infami caricature contro Cristo, la Vergine, i Santi, il Papa, e tutto ciò che yì è di Santo e Sacro in fatto di Religione.

Udiamo con raccapriccio le nefande bestemmie di una stampa atea e libertina contro il Cielo e la terra. Che più? l'immoralità, la corruzione, e la prostituzione camminar giganti e progredire nei popolo, poiché un triste esempio gli viene dagli stessi governatati. Si è detto che ornai saremmo stati liberi, che il cittadino era sacro, il domicilio inviolabile, ebbene la libertà si è ridotta ad una celia, giacché non mai schiavitù simile alla odierna si è conosciuta. Il cittadino è fatto bersaglio di vendette di partiti e la sua sicurezza individuale sta al capriccio della spia, e del birbante, il domicilio violato ogni giorno dagli Agenti della pubblica forza. Arresti capricciosi, illegali perquisizioni, prigionie abusive, persecuzioni tiranniche, ecco ciò che da undici anni stiamo vedendo e soffrendo noi sconsacrati italiani... Ad ogni stormir di foglia i governanti dell'Italia forte tremano a verga, ed ano stupido rigore; spiegando regalano al popolo oppresso dallo enorme peso di cento e più tasse le leggi Crispi, gli stati di assedio, le misure eccezionali ed in ultimo questa famosa legge sulla pubblica Sicurezza la quale invece di venire applicata contro i camorristi e gli assassini, è divenuta uno strumento di partito... Ma togliete, sì togliete, o Ministro Lanzay lo Statuto, dichiarate una volta la Dittatura, non ci corbelliamo più; l'affare è facilissimo, poiché trattasi solo di cambiare una formola, essendo che lo statuto e già da un pezzo morto e sepolto, e del Costituzionalismo non resta che il ricordo storico della Guardia Nazionale ridotta ornai ad una squallida ombra, i tre colori sbiaditi della bandiera italiana; ed il teatro Comico-buffo del così detto parlamento... Togliete, togliete, o Ministro, questi gingilli, a che servono essi? Forse abbiamo noi più Costituzione? Crediamo di no, giacché se per avventura si avesse, né voi, o Ministro, né il Sella dovreste stare a cotesto posto, e le galere avrebbero dovuto esser popolate da migliaia di uomini che oggi rivestono carattere ufficiale, e tiranneggiano il popolo. Ecco la verità... Mai tanta jattura e tirannide ebbe a soffrire l'Italia in altri tempi che dalla Ciurma settaria si dissero, e diconsi con sfacciata menzogna, barbari. Concretiamo. Signori Ministri, badate a ciò che fate, vedete che si sta sulla china, guai se si scivola.... Signor Prefetto Marchese d'Afflitto, la vostra ordinanza, o come l'avete voluta chiamare Avvtertenza messa in calce al bullettino della legge di pubblica sicurezza è la dimostrarsene più chiara e limpida del poco tatto politico vostro, giacché essa constata offlcialmente la paura, e rafferma quella che ornai è generale convinzione cioè l'incertezza dell'avvenire...

In ultimo, sig. Questore, per quanto potete e sapete, riparate agli abusi, giacche se e destino fatalissimo di questa Italia essere emporio di tirannie, voi che alla tutela e custodia dell'ordine pubblico state, proibite ai vostri dipendenti le loro eroiche gesta contro gl'innocenti bastoncini dei galantuomini, e le spadine delle donne, giacché con essi non si potrà, siatene sicuro, diroccare il famoso edificio.....

Che la legge sia bene studiata, e coscienziosamente applicata.

S'investighi il delitto, e ovunque lo si trovi si colpisca. Non pietà, non perdono. Chi manca sia punito. Ma la punizione deve colpire i rei veri e non quelli supposti o voluti, per vedute di partito, e voi c'intendete, signor Questore. Portiamo fiducia che le nostre parole siano ascoltate, giacché noi che stiamo in mezzo al popolo, sappiamo di quanta indignazione esso è compreso!

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, ma ccà a che ghiuoco se joca? Sto Munecipio che tene ncapo a isso?

D. Crisc. Ma se non mi dite di che intendete parlare, non posso rispondervi...

Trov. Menno de parlà de ste ttasse, sti sequeste, e sto bennete che se stanno facenno accossì a muzzo, lo governo da na parte che s'à puosto ncapo de nce levà la pelle e lo Munecipio da n'autra. A la fine de li cunte lo troppo è troppo...

D. Crisc. Ma caro il mio Si Tore, quando lo stato à bisogno, ed i Municipi puranche, cosa volete che si facesse?

Ann. Neh anno abbesuogno? E pecche fanno tanta cose che non l'anno da fà? Lo governo pecche tene tanta magna franche e mariuncielle attuorno? No governo buono chesto non lo ffà, a dà a magnà a li mariuole, e dà canzo a tanta scauzune d'addeventà signure co carrozza, capite, e accossì lo Mulecipio, spenne e spanne a deritta e a manca e li messere pavane... che piacere neh?

D. Crisc. Ebbene tutte le necessità del governo non le calcolate? Vi pare poco la spesa che s'è fatta andando a Roma? E le spese che si debbono fare per le nuove fortificazioni?

Ann. E nce l'avessemo ditto nuje che ghieva a Roma? Chi l'a voluto, chi l'à ditto, che nne speravamo nuje da sto fatto? fuorze mo che site jute a Roma, le ttasse fossero fernute, o se pavasse cchiù poco de primma? fuorze che ghienno a Roma avite fatto ll'utele de lo popolo... o v'avite voluto passà no crapiccio, v'avite voluto vennecà de lo Papa? Che nasceta vosta nn'avite cacciato jenno a Roma? V'avite accattato no totano, e no chiappetiello pe ve lo stregnere ncanna. Ntanto a nnuje nce scortecate e buje tacite la panza chiatta... Ma, D. Criscè, a lo pparlà siente li dolure...

Caf. Ebbiva moglierema, sta de vena stasera. Nc'avite che dicere, neh D. Criscè?

D. Crisc. Avrei molto da rispondere, ma, quando si parla per passione non si ragiona...

Trov. D. Criscè, la S. è Nnarella a mmuodo sujo à ditto la verità; lo vero fatto chillo è stato, e v'assicuro io che se nuje chiagnimmo, li patrune vuoste manco rideno... Ntanto lo popolo è scortecato... e mo lo Menistro Sella vò n'autre 150 miliune d'aumento l'anno: addò se pigliarranno?

Ann. Pozza avè 150 meliune de butte de corda. Signò, falle scolà comme a cannela de sivo... Comme non ll'avasta chello che se stà arroccai)no? A

Caf. Pare che nce volesero mettere co la spalle a le misura, e pò diceno che li prievete e li borbone ce fanno comprotto, e stizzano lo popolo contro a lo governo? Ma chi pò dicere bene, chi pò essere contiento ogge? Neh, D. Criscè, fuorze pecché tenimmo la libertà avessemo da morì de famme e ghi co la pettola da fora?

D. Crisc. Ma come può succedere questo che voi dite?

Trov. Comme pò succedere? Stiatencello a Sella e a tutte li scortecature che se chiammano Percetture, Riceviture, esattore, e autre sanguette...

Ann. D. Criscè, vuje che facite l'avocato de le ccause perze, sapite che soccedette l'autro juorno co lo Percettore de S. Giuseppe?

Trov. Siè Nnarè, che nce lo dicite a ffà, pecché io me ne faccio na resata... e se metto nterra aggio voglia de janchià. Isso m'à mannato a fà viseta da li scortechine che tene, embè io arricordarraggio a cchille signure che la storia de lo paese, e mparticolare de cierte tale e quale la saccio... e pozzo e saccio janchià sempe dicenno la veretà, e fatte canosciute... capite?

D. Crisc. Io non so niente... Ma infine non vorreste pagare?

Ann. Gnorsì volimmo pavà, ma volimmo sape che se ne fà Io denaro nuosto, volimmo pavà, pecché si nò nce fanno pavà, ma pe quanto potimmo non già pe crapiccio. Ntanto, Si Tò, n'amico de Luige no viecchio artista e nioziante àve avuto na tassa de recchezza mobele de 1500 lire, e pecché lo poverommo non l'à potuto pavà, mo l'ànno mannato Io sequestro, so ghiute a sequestra a la casa de lo patrone de casa, saputo che chella rrobba non era de lo debetore, ànno fatto zimeo, e ànno sequestrato.

Trov. Chesto pure se pò fà, neh D. Criscè? Chesto pure se faceva?

D. Crisc. Ma quando tutti usano dell'astuzia e della frode per non pagare?

Caf. E quanno uno no lo ttene, che fà, và ad arrobbà?

Ann. Ma le nfametà non è cchesta, pecché è che mo lo Percettore saputo da li carrubbeniere che lo debetore stà dinto a cchella casa vò fà comparè lo patrone de casa nnanze a lo jodece de lo quartiere pe sbroglia lo fatto de l'affitto io debetore, Io quale pe levà l'accasione, mo leva poteca e santa notte... e accossì n'artista viecchio, no commerciante che da 45 anne sta mpiazza, lo costregnarranno a chiudere poteca e morirese de famma.

D. Crisc. Questo è esagerato, e non lo credo...

Trov. Nò, è no fatto e troppo vero, che governo riparatore?

Caf. Comme non ce à arreparate?

Ann. Da che neh? E che nce mancava quacche mascella a nnuje, o pecché non dicere che ne' ànno nnabbessate?

Trov. È na vriogna! Maialoni, dinto a na jornata aggio avuto cinco visete de sanguette scorteca gente... Da la matina la viseta de lo percettore pe la fonniaria, cchiù tardo n'autro strascinafacenne pe la ricchezza mobele, cchiù tardo n'autro pe lo Mpriesteto Nazionale, pò n'autro pe lo corso forzuso, n'autro pe mosta e tabelle, e autre ccose e accossì nce ne jammo tutta la jornata... Ve pare buono?

D. Crisc Ho capito ne parleremo. Addio.

Ann. Nisciuna freva malegna l'afferra neh? E quanno, quanno...

ANNO VI N. ° 98 Sabato 19 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

SI BASTONA E S'INCARCERA

nella Italia costituzionale, anno 1871, undecimo della riparazione e civilizzazione!!!!!!!

Quando ai tempi della voluta negazione di Dio, in cui al dire di quello ingannato Gladston, seoondoché suggerivagli quel povero giullare del Poerio, di non lodevole memoria, d'ordine del vecchio nemico dei Borboni lord Palmerston, la giustizia era un desiderio, le leggi un ammasso informe di brutalità, e gli agenti governativi talvolta buffoni, e tal'altra barbari, ma sempre ingiusti, capricciosi, e vili strumenti della esosa tirannide Borbonica, un impiegato od agente della pubblica forza che permettevasi uscire dai limiti ad esso assegnati dalle leggi e dai Regolamenti, usando nello esercizio delle proprie funzioni modi brutali; vi era un tribunale ove giudici imparziali richiamavano alla stretta osservanza della legge il manchevole, e severamente lo punivano. Oggi viceversa, quando maggiormente da qualunque miserabile scalzagatti che occupa una carica governativa vuoi pure di usciere, bidello, ed inserviente, chiunque veste un'uniforme sia anche di Doganiere, altra volta detti pubblicani, esercita le proprie funzioni a furia d'illegalità, di soprusi, di abusi e tirannie, lo si chiama attivo, zelante energico, e conseguentemente lo si premia invece di mandarlo all'Assisie... Effetto della libertà! I nostri lettori vorranno conoscere il perché di queste nostre parole, ebbene, leggano e fremano.

In Bacoli, villaggio presso Baja a Pozzuoli, e propriamente alla spiaggia detta Mare morto, mercoledì scorso 9 agosto, due giovanetto portandosi ad una palude prossima (ossia orto) per comprare dei peperoni poco discoste da quella vennero proditoriamente aggredite da due guardie daziarie le quali ostinandosi a dire che le fanciulle andavano a prendere del sale sulla Marina, ove si forma naturalmente, ove anticamente la povera gente sotto il governo dei Barbari andavasi a provvedere di sale gratuitamente, mentre oggi colà evvi una forza imponente affin d'impedire agl'infelici quel tenue sollievo!... le percossero barbaramente, malgrado le ragioni che quelle due malcapitate figlie del popolo adducevano, e senza muoversi a pietà delle grida di dolore che esse alzavano... tanto, che trovandosi colà dei lavoratori a raccogliere la rubbia, uno di essi volto» ai compagni disse: avrebbero dovuto essere sorelle a me quelle disgraziate... parole minacciose è vero, ma provocate dallo sdegno che metteva in ogni sensibile cuore la vista di quella crudeltà usata verso due donnicciuole... udite dai due eroici bastonatori di povere fanciulle quelle parole, corsero a chiamare i compagni nel vicino posto, e ritornati in numero di 9 gettaronsi furiosi sul poveretto che avea parlato, spietatamente percotendolo in ogni parte del corpo; al che accorso il colono del fondo certo Sozio Caramante affin di rabbonare quei furiosi, questi lo colpirono sì fieramente col calcio dei fucili che fattolo cadere a terra ivi legaronlo a guisa di un bandito, menandolo poscia tutto ammaccato e pesto innanzi alle autorità costituzionali e liberali di Pozzuoli, le quali senza ascoltar ragione lo fecero rinchiudere in carcere ove tuttora sta...

Sono tali fatti questi, che si commentano da se... poiché oggi gli agenti del governo riparatore e nazionale sono tanti aguzzini da galera, e le autorità (salvo l'eccezioni,) tante mummie ministeriali, o capricciosi tirannucoli in ottantaquattresimo...

Per la croce di Dio! Ma che dunque siamo un branco di pecore noi? o asini cui spetti portar la soma, mangiar paglia e ricever busse? Ma, signori Ministri, signore Autorità, 1 popolo à dritto, o no, di venir rispettato da chicchesia? Ovvero ciascun cittadino deve essere impunemente accoppato, se non vuole reagire con la forza contro la forza? Signor Prefetto della Provincia, signor Direttore delle Gabelle, esiste, o no, una legge per le guardie di Dogana che vieta loro rigorosamente gli atti brutali? Ed è giusto bastonar cosi per un supposto ed immaginario delitto non tentato, né indiziato due povere fanciulle che andavano a comprar peperoni onde sfamar se stesse e le loro famiglie, giacché oggi a tale ci à ridotti ii governo dei ladri? E poscia bastonare ancora un povero uomo che voleva farla da mediatore?

Ma dunque in che tempi siamo, dove sta la garentia e la inviolabilità dell'individuo? Signori, pensateci. ». Noi nel nome di tutti gli onesti vi cerchiamo una esemplare punizione per i rei, e che quelle guardie di Dogana imparino a proprie spese come vanno rispettati i cittadini... La legge deve esseryi per tutti, o sivvero il popolo potrà farsela da se...

Fate senno, o signori, e ricordatevi che mai come ora la misura è colma... guai se trabocca... Aspettiamo quindi che giustizia sia fatta, e che quelle guardie risarciscano del patito danno le due fanciulle, e l'altro che giace nelle prigioni.

Sappiamo che oggi le leggi sono una fiaba, ma potrebbe accadere qualche fatto deplorabile il quale non sarebbe certo piacevole!!! Ecco un esempio parlante del come si rispetta il figlio del popolo in questi tempi, in cui si governa per volere della Nazione, ed il nome popolo si usa come mantello per coprire le birbantate di un partito immorale, disonesto e furfante.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, è bero che ne' è stata na commertazione ntra li duje Mperature chillo d'Austria e cchillo de Germania?

Trov. Gnorsì, e ffuorze chi sà che ghiesciarrà da chella commertazione:..

Ann. Si Tò, e che nn'à da asci!... nce stammo pascenno d'aria comme a lo camalionte...

D. Crisc. Meno male che lo confessate con la vostra bocca medesima... dunque persuadetevene una volta.

Ann. A me! me faciarraggio fà frecole frecole primmo de là paca co tutte sti jettatune che songo venute co li tallone da fora, e mo teneno cavalle e carrozza... Io mo nce vò, aunirme co tanta mappine? Neh non sia pe ditto, ma Nnarella Roseca è na femmena che se rompe ma non se chieja...

Trov. D. Criscè, pe grazia de lo Cielo lo caso nuosto non è niente disperato... ed io non cagnarria lo stato mio pezzente, co chillo de no Menistro de lo rignone, lo quale ogge sta nffura e dimane nsepordura, capite?

D. Crisc. Lo dite voi questo; ma intanto gli anni passano e voi che conchiudete!

Caf. A nnuje non ce ne mporta, se lo Cielo à destinato che non avi ramo nuje da vede lo juorno de la justizia, simmo sicure ohe lo vedarranno li figlie nuoste, e nnuje a lo mmanco morarrammo contente, pecché sapimmo certo che lo Signore farrà la justizia soja...

Z. Crisc. Che fanatismo! peccato che questa costanza non ia per una causa più nobile e giusta quale è quella della civiltà...

Trov. La causa nosta, D. Criscè, è tanta justa pe quanto e ghiusto Dio, pecché è la causa soja... è tanta nobele, pe quanto è nobele la verità ncoppa ala buscia... la causa vosta Criscè, è na causa sballata, una de chelle tale cause che fanno arrecchi li pagliette mbrogliune, e mpezzentì li oriente.

D. Crisc. Si Tore, vi credeva più da senno, ma mi avveggo che anche voi non state più in cervello...

Ann. Lo Si Tore tene tanto cerviello ncapo che buje e tutte li D. Liccarde mposomate de li patrune vuoste non ve lo potite smacenà...

Trov. Grazie, Siè Nnarè, è bontà vosta...

D. Crisc. Io so chi è il Si Tore e per questo mi rincresce che anche lui si faccia burlare dal partito dei preti...

Trov. Ah... ah.,, ah... D. Criscè, mme facite ridere.

Caf. Ccà s'à da ridere a fforza, quanno se sentono cierte parole... Ma nfine, Si Tò, che ve pare a buje, le ccose s'acconciano o nò?

Trov. Autro che s'acconciano, vuje vedarrate cierte ffatte a poche autre juorne che restarrate co la bocca aperta...

Ann. Sperammo che fossero d'Angelo le pparole voste, pecché non ce fidammo cchiu, e ncuorpo a nnuje s'è nfracetato tutto cose pe la collera e lo beleno de vedè fà li mastrisse a tanta magnafarenella che me pareno li guappo de lo criento de Donna Peppa.

Caf. Siente Nnarè, sti Suprane che s'aunesciano ntra de Moro ànno da combinà na cosa...

D. Crisc. Combineranno per dare l'ultimo colpo a voi fanatici e dire al Papa contentatevi, in opposto peggio per voi.

Ann. Pevo pe lloro, pe buje e pe tutte chille che songo comme a buje, ca pe lo Papa nuosto, pe chillo Santo Viccbiariello primma nce stà lo Signore da coppa che lo defenne, e pò nce stanno no zeffunno de gente che se faciarrà taglia a pezzullo ndefesa de lo Papa...

D. Crisc. Ma perché tutto questo fanatismo?

Trov. Non è fanatismo, D. Criscè, ma è sentemiento, obbreco, dovere, ammore e fede, e nuje tutte le speranze noste le tenimmo a cchisto Gran Papa, lo quale avisa quanta requiammaterna diciarrà primma de mori, pe chille che lo voIarriano vedè muorto arrassosia...

D. Crisc. Bene lo vedremo.

Caf. D. Criscè, che oolite vedè cchiù de chesto?

Ann. Non s'addona che la menesta à pigliato de fummo, pecché Monzù Luige lo cuoco à fatto felone e non tornarrà cchiù.

D. Crisc. Date tempo ancora, e vedrete. Addio.

Ann. Se sape che bedarrammo parecchie sciammerie appese a la judeca...

Trov. Figliù, non le date audienzia,ca resteranno stracque e strutte e co la capo rotta... cchiù non ve pozzo dì, ma ve basta chesto che v aggio ditto pe fà istà alteramente. Santa notte.

Caf. E pe mill'anne pure a buje...

ANNO VI N. ° 100 Giovedì 24 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

IL 23 AGOSTO 1871

Jam explevit

In questi giorni selvaggi nei quali la società vuol incivilirsi col petrolio e col socialismo della Comune. In questi tempi di calamità, che ripetono i! servaggio del popolo Ebreo, le piaghe d'Egitto, ed i martiri delle catacombe. In questa èra di barbarie, di ateismo, d'irreligione, d'immoralità in cui si è tatto man bassa di ogni diritto, e si som innalzati trofei alla forza bruta. In questa epoca nuova nell'istoria delle Nazioni, in cui un Sovrano si trova prigioniero nel proprio regno, per volere di prevaricati figliuoli, ed una intrusa accozzaglia domina e dispone degli averi e delle sostanze dei poveri, degli orfani, dei pupilli e della Chiesa. In quest'età in cui la frammassoneria imbaldanzita dei suoi trionfi, con gli occhi di fuoco, medita stragi, tutto e, rovine. In Questa Babele di ogni legge, in cui gli altri Principi avviliscono la dignità reale per far comunella con la setta, con l'Internazionale; e mentre un nuvolo di sciagure si addensa per iscaricarsi sulla misera Italia, che sente il peso dell'anatema, spunta un'alba foriera di grandi avvenimenti, e di gaudio per quanti sono i veri figliuoli del Vangelo sparsi nel mondo.

L'Onnipotente à voluto largheggiare di grazie verso di questo Benedetto Pontefice, e dargli in tante dure pene, in tanti affanni una pruova sicura dell'amor suo. Questa sola gemma mancava al suo triregno, e Dio volle adornamelo. Gli uomini a martoriarlo a più non posso: Iddio a salvarlo e ad esaltarlo! Sì, l'immortale Pontefice dell'Immacolata à veduto quei giorni, che solamente al Principe degli Apostoli furono accordati. Nel 23 agosto 1871 Pio IX à compiuto i giorni del Pontificato di S. Pietro in Roma, ed una seconda vita, una vita novella gli si schiude d'innanzi. Sacro dovere obbliga i Cattolici a non farlo trascorrere inosservato. Provvidenziali sono le vie del Signore: tutto fu singolare in Pio IX, ed ogni cosa è straordinaria nella sua vita. Oggi si danno la mano, e si confondono come un dì sul Calvario glorie e dolori. Il S. Padre in carcere soffre le pene dei martiri, e l'Altissimo 1 arricchisce di quest'altro privilegio. I suoi persecutori assisi in trono tremano ed assistono ai trionfi della Provvidenza!!

Il movimento Cattolico, che ha scosso tutta la terra è opera di Dio, ed à anticipato 1 estrema e finale divisione: questa eco ripercossa fa tremare i Potentati che l'ànno abbandonato prigioniero! — I buoni, si sono segregati dai tristi, correndo sotto lo stendardo della Croce.

I perversi vedono con terrore questa meravigliosa maggioranza, questo ingrossare delle fila, questo destarsi della Fede, e si arrabbattano con perversi pensieri...

Che sarà del mondo? I Un solo faro di luce risplende fra tante tenebre, Pio IX! Egli è rimasto per conforto agli uomini in questa vita di pene, ed ai quali la lena sarebbe venuta manco, se non fosse la fidanza in Dio. Siamo certi, che un Angelo gli aprirà quelle porte, come già a S. Pietro, e sarà salvo, e vedrà fiorire la pace!.,...

Or nella commozione di affetti per questo giorno straordinario, a cui porteranno invidia i più tardi nepoti, il nostro entusiasmo deve restar infrenato, e non ci è dato ricordarlo, che con le sole preghiere. E giacche la voce ci manca, e gli occhi sono inumiditi dal pianto; corriamo ai piedi degli Altari e stanchiamo con le preghiere l'Altissimo lddio. onde abbiano termine fante amare pene: e la prigionia di Pio IX, le sue catene unite alle lagrime dei Cattolici, offerte in olocausto, saranno accette al Signore!

Beatissimo Padre, accogliete in questo giorno memorabile nel giro dei secoli, accogliete. gli. auguri di duecento milioni di Cattolici, e dei vostri Fedeli Napoletani, che,in mezzo agl'insulti dei perversi vi acclamano come Papa-Re, Pontefice Supremo ed Infallibile Pastore della Chiesa; e benedite i vostri figli, che la benedizione di Pio IX è arra sicura di salvezza! Benedite le nostre fatiche, i nostri voti, i nostri dolori, le nostre speranze: e noi vedremo i giorni del trionfo che non saranno lontani, e gloriosissimi!

Benedite tutti quelli che vivono all'ombra della Croce, ed Essa c' infonderà coraggio per difendere i nostri diritti, e sbugiardare i nemici della Chiesa Cattolica. Con questi sentimenti prostrati in ispirito ai piedi del vostro Trono, del Trono del più antico dei Re, del Successore del Principe degli Apostoli, dell'Infallibile Maestro della Verità, yi attestiamo anche questa volta il nostro liliale affetto, la sudditanza, l'ubbidienza, esclamando:

VIVA PIO IX,

VIVA L'INFALLIBILE PONTEFICE DELL'IMMACOLATA,

VIVA IL PAPA-RE.

La Direzione

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, comme vanno belle le ccose dinto a lo paese i nuosto, la moda de la libertà à fatto veni lo votamiento de capo porzì a li relorgie, tanto che quanne uno sona miezo juorno, ll'autro sona l'una... e accessi no povere scasato a Napole ma se pò regola manco pe fa li fatte suoje.

Trov. Che nce volito fà, quanno l'è beaste lo golio a lo Munecipio de fà aggiustà li rilorgie co lo tiempo meridiana de Roma.

Ann. Oh bonora, Si Tò, vuje che dicite! li rilorgie se tanno a k tiano? e che ll'avisseve pigliato pe porpette?

D. Crisc. Monsignore, tempo meridiano, capite? E questo ai è fatto appunto per conciliare le porse dei convogli della ferrovia, affinché i passaggieri non abbiano a soffrire sbaglio.

Ann. E pe chille che non inno da correre ncopp'a ii con voglie, pecché non ànno da sape che ora è? E comme pure a cchesto avite voluto mettere mano, e manco site state buone, e che scommoneca tenite ncuollo a buje?

D. Crisc. Ma se voi non ne capite niente...

Ann. Tante grazie, lo cchiù canosce lo meno. E già nuje pare che sapevamo fa niente? Mannaggia la gatta pecché si nò quanto, volarria parla I

Trov. D. Criscè, quanno se fà na cosa s'à da sapè fà, e a è da fa pe utele e commeta, non già pe crapiccio.

B. Crisc. Ma quale capriccio?

Trov. Ausoliate. Da lo 1890 nfi a mo lo Munecipio de Napole è stato na scola cavajola, e na cuccagna. Se s'è fatto quacche cosa bona se ne sò fatte ciento malamente, li denare se sò ghiettate, e lo popolo è stato sempe cornato. Guardate li lume a gas se sò arreddutte pevo de li lume a uoglio, co la differenzia che armeno chille non puzzavano; lo scopamiento de le bie è na pazziella, e tanta vote no ncommeto e no danno, pecché a le mmeglio ore de la joraata ve vedile li scopature che ve jencheno de povera e lotamma, quanno a ll'autre paise sto servizio se fa co doje ore de matina. Se dicette che se voleva porte l'acqua a Napole, e stìngo cinco anne che se quistioneja, e ll'acqua? Avimmo d'aspetta quanno vene a chiovere... s'è ditto che li venneture avevano da vennero CO li chilo, e chille venneno co le rrotela. S'è ditto che li Mercato servevano pe commodetà de lo popolo, e mmece songo li reciette addo se fà la camorra; a'  è ditto che li Monastierie che lo Munecipio s'à pigliato servevano pe nne fà case pe li popolane, e mmece sò servute pe nce mettere li speculatore, li commediante, e quacche autra cosa... E tenta autre fattecielle che buje sapite e nuje pure sapimmo, D. Criscè...

D. Crisc. Come parlate voi, non ragionato, perché il Municipio à pensato sempre per il bene del paese, ed infatti oggi Napoli non si conesce più...

Ann. E che bolite canoscere s'è addeventato no vuosco, e l'arrecietto de tutta la «colazione de quanta funancanne ne' erano pe Io riverzo munno? Neh, D. Criscè, primma se faceva a Napole chello che se fà mo? primma se magnava comme se magna mo? primma ne' erano cheste scartoffie fetente che nce stanno mo? O vediveve li dudece cartine jettate pe ogne pizzo de cagnecavalle, e pe strujere no dudece carrine nce volevano cinco juorne? D. Criscè, stateve zitto, faciteme la finezza...

Caf. Sule li rilorgie ne' erano rommase e pure l'anno volato sconcecà.

D. Crisc. Voi sempre vedete male ogni cosa, e perché? perché siete appassionati di un passato che non più ritorna. Addio.

Trov. D. Criscè, vedite che chesta è na primera che se stà jocanno, chi lo sape se la carta s'avota?

Ann. E tanno mm' aggio da fa na risa, e aggio da cecà n'uocchio a D. Criscenzo, e a quacche autra mesa setiglia.

Caf. Nnarè, penzammo a cose cchiù serie pecché se esce lo sole li sportigljune nò li bidè volà cchiù, tu capisce?

Trov. Dice buono lo Si Luige, e avite fede pecché lo buono uomo à da veni... Sante notte.

Ann. Accossì sperammo...

ANNO VI N. ° 101 Sabato 26 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

O SALGONO O SCENDONO LA CATASTROFE NON MANCHERA'

Se altre mille prove non vi fossero per dimostrare cosa è il famoso governo d'Italia, basterebbe solo quella della commedia dei Ministri. Sono 11 anni da che le crisi succedono alle crisi, ed i Ministri si cangiano con tanta faciltà e prontezza, quale neppure vi sarebbe sul cangiare di domestici. Ma il fatto non è solo nel rapido cangiamento di Ministri, sivvero nella sporca farsa che si rappresenta. Dal 1860 sinoggi non si è visto e non si vede che una schiera di uomini, i quali tra loro si dividono il tempo del potere, e quello del riposo: Scendi tu, che salgo io, ecco il loro programma.

Oggi i democratici menano rumore perché la loro porzione alla greppia governativa è scarsa, immantinenti le solite trombe giornalistiche cominciano a squillare, ed uno o due sinistri, o sia democratici saltano al potere, diventano Ministri, e quindi il partito democratico zittisce, poiché avendo i propri correligionari afferrato il potere, i loro affari vanno un po' meglio, e le patriotiche che si possono maggiormente arrotondire. Allora altri lai, altre grida, altri armeggiamenti, il partito consortiero alza la voce di allarme contro l'indirizzo dei nuovi Ministri. Con poche ciarle dette a modo e qualche gruzzoletto di marenghi viene su come può un partito, cominciano le mormorazioni, poi le censure, indi le minacce, e poi? Tutto è aggiustato, eccovi la crisi Ministeriale, i democratici capitombolano per dar luogo ai consorti che salgono.

Però in tutto questo saliscendi Ministeriale, credete forse per avventura di sentire qualche nome nuovo?... Oibò, sarebbe follia sperar... I nomi son sempre quelli, poiché fuori dei saltimbanchi politici scritturati dal grande impresario di questo teatro che si chiama Italia Una, che fu quel furbone del mugnajo ili Leri, sor Camillo Cavour, d'infelice memoria, i quali onorevoli saltimbanchi scritturati, furono i soli ed unici che vennero messi a parte dello intreccio della commedia e quindi a ciascuno assegnata la propria parte non vi può essere altri che li sostituisca.

Cosiché, come di leggieri potete comprendere, cari lettori, il Governo dell'Italia Una non può sfuggire dalle mani degli iniziali e quando gli uni scendono, gli altri salgono; e quando questi si ritirano, i primi ritornano. È una surrogazione continua né più e né meno... Ma infine, quali vantaggi ne anno i popoli da questo cambiamento di Ministri? I popoli? Oh è grossa questa, dappoiché i rispettabili popoli, con gli inincliti eserciti sta sempre lì a bocca aperta, come tanli asini innanzi ad un orchestra, e tutto al più, come questi si contentano di ragghiare, così quelli si contentano di bajare... come i cani alla luna.

Ogni cambiamento di Ministero vien preceduto da una filatessa di promesse, di paroloni, di ciarle a buon mercato, giacché non è poi tanto difficile infinocchiare i bamboloni che nel 1800 comprarono la gatta nel sacro... Ma passati pochi giorni tutte le promesse, tutti quei paroloni, tutte quelle ciarle se li à portati la brezza mattutina, ed eccoci nuovamente alla stessa solfa di prima, a bisticci, cioè, ad abusi, a tasse, a debiti, a leggi eccezionali, a stati di assedio e a quanto altro ci àn regalato coloro che martiri risorti, anno avuto il talento di saper fare i fatti propri con le mani e le forze altrui... Ne volete una pruova? Ebbene, diteci, quante volte si è cambiato un Ministro di Finanze non si è ripetuto sino alla nausea che il nuovo Ministro avrebbe fatto il famoso ed aspettato pareggio? Ma invece, che si è avuto? deficit, deficit, e sempre deficit; e perciò, tasse, tasse, e sempre tasse. Ogni volta che si è cambiato il Ministro della guerra, si è detto che il nuovo Ministro avrebbe dato di mano ad organizzare l'esercito, ebbene, il nuovo Ministro lega al suo successore l'esecuzione di tale progetto. Dite così di tutti gli altri Ministri, e troverete che i continui cambiamenti di governanti altro non sono che piccole avvisaglie di partiti, che sfoghi di ambizione, avidità di lucro, e tutto quel che segue

Lettori, persuadiamocene una volta, per tutte. Quando dal principio si è sbagliato, per correggere il male fatto, è mestieri che si cominci da capo; e per incominciar da capo bisogna non tener conto del già fatto, anzi ripudiarlo, condannarlo. Ma se invece si crede poter raddrizzare la cosa pubblica sulle basi fradice della settaria politica, ritenete pure che più si guasterà; ed allora si finirà che un bel dì quando meno si crede tutto andrà in fascio.

Quindi già mistificazione con questi cambiamenti di Ministri ornai è troppo ridicolo. Sia Lanza o Rattazzi, Sella o Scialoja, Gadda o De Vincenzi, per noi è lo stesso, giacché questi signori con tutt'i loro amici son figli della rivoluziono, e come tali lontani le mille miglia dal nostro modo di vedere, impotenti a farci del bene. Sarà piuttosto affrettare più o meno la catastrofe che si attende, ma la si andrà?

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. Neh, vuje voi volite ridere?

Ann. Ched'è, Si Tò, quacche bona notizia?

Trov. De chiste tiempe? Sarria no frutto fora stascione.

Caf. E ched'è?

Trov. Lo boglio fà sentì a D. Criscenzo.

D. Crisc. Dite, io vi ascolto.

Trov. È bero che l'Agente de le ttasse anno avuto ll'ordene da Io Menistro de se fà consegnà le cchiave de li muline da li mulenare, e cchiste ànno da tene sempe lo molino apierto de notte e de juorno, azzò che l'Agente pò i e pò mannà a chi Ile pare e piace a visetà lo molino, e se Io trova chiuso lo molenaro pava na murda e pò avè rebazzato io molino?

D. Crisc. Sì, è vero, ed io lo trovo giusto; perché quando con i contatori meccanici non si è riuscito a contare i giri del mulino è necessario che si trovi un altro mezzo per non essere rubato il governo.

Ann. Sciù, e non sapite che uno ch'arrobba a no mariuole guadagna le ndurcenze?

Caf. Ma dico io pò, e cchesta se pò chiamraà legge, justizia, cosa bona?

D. Crisc. E perché no? Che ci trovate di mate voi?

Ann. Vi comme è pastoso D. Criscenzo, è lo Menistro chi è isso che dice nfaccia a me: guè, damme la chiave de la casa toja, e tiene sempe la porta spaparanzata pe quanno me prodeno le cciavarelle a me de veni o mannà a chi voglio io? Ma onesto è chello che dieeno lloro, e se mmece de trova la porta spaparanzata ànno quacche viaggio ncuollo de torriaca de Venezia, o na virgolata ncapo, chi nce corpa?

Caf. Ma pò, nce stà n'autra cosa, lo molenaro à da dà là chiave a l'Agente de lo governo, e la rrobba che tene dinto a lo molino pò stà cchiù sicura?

D. Crisc. Oh questo è troppo! dubitare degli Agenti del governo?

Ann. Io me metto appaura cchiù de li llustrisseme, che de no scauzone, e ogge non saccio a chi se potarria dà la mano deritta nfra cierte sciammerie revotate che se pigliarriano lo ttecchete-ttecchete de S. Lazzaro, e no mariuolo che t'arrobba lo moccaturo da dinto a la sacca, capite?

D. Crisc Vi compatisco perché siete voi...

Ann. E si nò mme faciveve na mazziata ncoppa a lo scarpone... D. Criscè, a dicere e a fà sò doje cose.

Trov. Ma lassammo stà le cchiacchiere de la Siè Nnarella, sapite che le ffemmene non ànno tenuto maje pilo a lengua.

Caf. E fosse moglierema, che quanno chiacchereja mme fare na terocciola.

Trov. Addonca, ma diciteme, D. Criscè, quanno lo Menistro canosoeva che lo contatore non era buono pecche spennere meliune pe lo fa fà?

D. Crisc. Allora non si conoscevano i difetti.

Ann. E quanno na cosa non se canosce non s'accatta. Ma siccome a lo Menistro non le cionca nisciuna mano quanno caccia denare pe crapiccio, accossì lo povero spata ncuorpo fà lo smargiasso co lo sango de li peducchie.

Trov. E si no, comme s'accattano li paluzze e le massarie?

B. Crisc. Ecco subito la maldicenza!

Ann. Vuje qua siè Vicenza me jate contanno ca ccà nce vorria Austeniello de la Vicaria.

B. Crisc Ma infine come dovrebbe fare il governo per tutelare i suoi interessi?

Ann. E ch'è sango de la mamma soja, o nce l'à portato isso a tenere che bo la camorra?

Trov. Lassammo stà ste pparole... Ma quanno li Menistre librare se vonno mparà a fà quacche cosa de buono, jessero a lleggere comme s'arregolava lo governo passato... lo quale senza piantune, contature, e chiave, siggeva le tasse licete e spriceta e se nce pavavano co piacere.

B. Crisc. Ma allora vi erano i preti che appoggiavano il governo...

Caf. E mo nce stà la camorra.

Trov. Basta, lo fà è cchisto, lo governo vó siggere la tassa de lo macenato?

D. Crisc Ma come, precisamente oggi che si sta senza denari.

Ann. Che nce pezzate stà overo, pe chello ch'avite fatto a nnuje... guè ma na jastemma à da cogliere.

Trov. Addonca se vò siggere la tassa, la riducesse pe quanto se pavava mmano a lo governo passato.

D. Crisc. De passato niente era buono. Addio.

Ann. E buono lo ppresente, che nne carfettejano, nce spogliano e ce cofFejano appriesso.

Trov, Lassatele fà, ca cchiù fanno, e cchiù priesto s'arricetta la tavola. Santa notte.

Caf. Si Tò, o dinto o fora fernesce de na manera!!!

ANNO VI N. ° 102 Martedì 29 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

IL 23 AGOSTO 1871

O cacciate del del, gente dispetta,

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Ond'està ollracotanza in voi s'alletta!

Perché ricalcitrate a quella voglia,

A cui non vuote 'l fin mai esser mozzo,

E che più volte v'à cresciuto doglia?

Solenne, spontanea, universale fu la parola detta il dì 23 agosto 1871, la quale dall'uno all'altro capo del mondo echeggiando, piombò qual fulmine sulle superbe anime dei nemici di Pio IX. Essi rodendo il morso, da livor presi e da ferina rabbia non seppero contenersi da villane provocazioni, dappoiché quella miriade di gente d'ogni rango e sesso riunite dalla medesima preghiera, ed in un sol voto, fu spettacolo grande, dimostrazione superlativa, condanna solenne dello intrigo, e della cabala che ornai da undici anni forma il sedicente dritto di cui si vanta la cosmopolita setta per giustificare gli abbominevoli atti del suo ladroneccio. 1 truffaldini, gli scrocconi, i sanculotti, i settembristi e i petroliesi allibiti ed esterrefatti alla vista della compatta falange cattolica prostrata nel maggior Tempio del Mondo, la di cui unisona preghiera sulle ali portata dei Cherubini assistenti all'Altare, fra la gioia degli Angeli superni giungeva accetta al Trono di Dio, agitaronsi squassando la face del disordine, oltraggiando alla maestà del popolo romano, che finite le preci di grazia nel Tempio, come onda di calmo mare tranquillo moveva per la piazza di S. Pietro, contegnoso sebben lieto. Ed essi quei mendaci liberaleschi, che ad ogni girar di lingua strombazzano libertà di coscienza, libertà della Chiesa, libertà per tutti, mentre la immensa calca pacifica e modesta faceva sua via, una carrozza mandarono da quattro tricolori bandiere, parata, con circa 30 scalzacani schiamazzatori che a squarciagola urlavano, Viva l'Italia!... Ma una voce potentissima a quella stolta provocazione rispose, e 50 mila bocche gridarono: Viva Pio IX....

La sera altre provocazioni furonvi, e nuovi oltraggi, un pugno di cenciosi fece al popolo tranquillo, all'Augusta Maestà del Pontefice, ed al Governo italiano che ancora conserva nel suo Statuto il primo articolo, e governo cattolico si fa chiamare. Sì, il maggiore oltraggio di quella canaglia, da voi, o Lanza, Venosta, Sella e Gadda, portata e mantenuta in Roma, venne fatta al vostro governo, dappoiché esso che sforzasi fare accettare dai potentati d'Europa le famose guarentigie offerte al Papa, che vuolsi far credere dagli altri governi, forte e giusto, grave affronto, fatale smentita ebbe in quel rincontro dai suoi devoti e prezzolati, che punto curando la presenza vostra, o Ministri, gridarono come energumeni Viva la Repubblica, Viva il petrolio!

Or bene, questi fatti turpissimi riporta e chiosa malvagiamente l'officioso Giornale di Napoli col primo articolo del uo N. 236. Esso mal celando il proprio dispetto, si studia a l'orza di storcere anche il senso comune a far cadere sui

Cattolici di Roma la responsabilità di quelle scene da selvaggi che i listar barano la maestosa, e non clamorosa dimostrazione del giorno 23, amareggiando la grande anima dell'Augusto Santo Vecchio del Vaticano, e di quanti sonovi onesti nel mondo, sia qualunque la loro confessione religiosa, o la loro politica. Ed infatti, l'accaduto del 23 non fu politica dimostrazione per parte dei promotori, ma provocazione contro cui si alza severa la voce della legge, e la coscienza di un popolo.

Checché ne dica l'articolista del Giornale di Napoli ponendo malignamente la questione sul terreno politico dei plebisciti, ed insinuando che le grida dei Cattolici erano contro la bandiera e la patria, esso mentisce. Se i Cattolici al grido di Viva 1 Italia, risposero Viva Pio IX, essi parlarono il linguaggio del cuore e della verità. Dappoiché è a Pio IX, a questo Grande Pontefice, a questo Augustissimo Monarca, a questo splendidissimo astro di luce che mai si ecclisserà, che come dall'alto del suo trono reale, così dal recondito recesso dell'attuale sua prigione Vaticana, vibra sempre limpidissimi i suoi raggi l'Italia, questa povera tradita andrà fra poco debitrice della sua salvezza, e del riacquistato onore. Ed allora queste bisce velenose che ne ànno isterelita la vita col loro veleno, e fatto a brani l'eburneo suo seno, contorcendosi spireranno mordendo la polvere che l'Italia sorretta dal gran Pio, calpesterà.

Insulto ai plebisciti, disse l'articolista. Ma di quali plebisciti a inteso esso parlare? Non è serio oggi invocare la ricordanza di alcuni atti su cui si è severamente pronunziata la coscienza pubblica, e contro cui àn parlato svelandone il turpe intreccio gli stessi fautori e promotori, nonché tuttodì protesta il medesimo governo con le sue leggi repressive con il militare e poliziesco rigore che a stento bastano a contenere l'esasperazione di 25 milioni di uomini traditi!

E giacché siamo a trattare di plebisciti, quale più vero e incontrastabile plebiscito non è la sempre crescente offerta dell'obolo di S. Pietro, quale più grande e valido plebiscito a favore del Papa-Re, non sono le mille proteste che da tutto il mondo cattolico si fanno contro il consumato delitto del 20 settembre? Sic. articolista, si è detto che in Roma non furonvi che soli 46 individui, i quali nel dì del combinato plebiscito fatto sotto l'impero di 00 mila bajonette, e la minaccia del pugnale di 12 mila e più sanculotti, votarono per il Papa-Re; ebbene, come va ora che in Roma non si contano più neanche 46 liberaleschi se ne togliete il canagliume ivi importato, e colà mantenuto appunto per far gazzarra a prò del governo?

Dite su, voi che avete ricordato i plebisciti, la vi sembra da non calcolarsi la spontanea e solenne protesta fatta nel dì 24 luglio ultimo, in cui al Vaticano depositavansi i volumi contenenti ventisette mila firme di cittadini romani, maschi, maggiori di età, e godenti i dritti civili? e dire che simili atti non sono forzati, anzi essi si compiono con virile coraggio nulla curando i rigori del governo, e la vendetta della piazza... Sicché è uopo convenire che il vostro plebiscito fu farsa ed effetto delle 200 mila lire date ai Comitati resilienti in Roma, nonché le cinque lire a testa distribuite agli affamati vagabondi di tutta l'Italia cui si diede viaggio a modicissimo prezzo sulla ferrovia, affin di far numero il giorno della votazione.

In guisaché è stato ornai offlcialmente provato, e diplomaticamente constatato che il plebiscito fatto in Roma nell'ottobre dello scorso anno fu una solenne menzogna; come dissero gli stessi giornali di Roma, e d'altre parti d'Italia, e fra questi l'Apostolato di Catania N. 14, di cui noi riproducemmo un articolo, che. censurava precisamente il fatto che si era data la. città di Roma ad un Re, e non al popolo: articolo cue noi sottoponemmo all'attenzione del Fisco» dopo avere ricevuto un ingiusto sequestro.

Ma passiamo innanzi. Avete detto che i cattolici rispondendo ai loro provocatori, col grido Viva Pio IX abbiano insultatala bandiera italiana e gridato c nitro la Patria. Non sono tra i cattolici i tristi che anno di questa bandiera fatto il simbolo della ruina del popolo. Non sono i cattolici che all'ombra di questa bandiera anno violato, e tuttodì violano ogni legge e dritto, che tenendo in pugno questa bandiera, van gridando morte al Papa, morte al Re, morte all'ordine, Viva Mazzini, Viva Garibaldi, Viva la Repubblica. Viva il petrolio come è avvenuto in varie Città d'Italia, ed in Roma; dunque siete voi, liberali falsi, che avete trascinata nel fango una bandiera che la Nazione cri deva esser simbolo di pace, di ordine pubblico, di onore Nazionale. E così si è fatto anche di questo povero paese, ornai irriconoscibile. Dite, chi à venduto Nizza e Savoja alla Francia? Chi à firmati i disastrosi trattati di Commercio con l'estero tanto da distruggere il Commercio Nazionale? Chi à infeudata la ricchezza d'Italia ad esteri. speculatori, e giudei d'ogni paese? Chi à ridotta l'Italia misera ancella, trastullo dei gabinetti, obbietto di scherno e manrovesci diplomatici, tanto che neppure il Bey di Tunisi la teme e rispetta? Chi à cacciata l'Italia nello, scredito in cui trovasi, nello avvilimento in cui è, spalancandole sotto i piedi un abisso? Chi à distrutta la gloria militare d'Italia con le due incancellabili vergogne di Lissa e Custoza? Andate là, o ciarlatani officiosi, e se non avete meglio da dire per impiastricciare poche menzogne a favore dei vostri padroni che vi pagano, siate cauti e prudenti almeno di non provocare le giuste risposte che tutta la gente onesta indignata dalla vostra audacia, vi dà: Noi sappiamo che per voi il Papato è la morte. Conosciamo che ornai ad ogni stormir di foglia temete: lo scoppio dell'uragano, ma so da un lato le vostre parole ci rivelano la vostra paura, dall'altro non possiamo né dobbiamo lasciarle correre inconfutate, sebbene col disprezzo, del nostro silenzio il castigo, sarebbe, maggiore, poiché dei morti è vano parlare... Però, signor Articolista, del Napoli, siamo vicini allo scioglimento del Dramma... ed i fatti del giorno 23 in Roma, accuratamente raccolti, ed ocularmente visti dal Corpo Diplomatico accreditato presso l'Augusta Persona del Pontefice-Re sono stati un altro peso, perché la coppa della bilancia diplomatica trabocchi a vostro danno, e fra breve lo vedrete!!!

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. Neh D. Criscè, Che ve ne pare de lo mbruoglio socciese a Roma nn'occasione de la festa pe lo Papa?

D. Crisc. Sentite, io e tutti i liberali non l'abbiamo approvato, ma non è poi da darsi la colpa di tutto quel tafferuglio a quei pochi giovinotti ardenti di amor patrio, capite?

Trov. No, spiegateve meglio.

D. Crisc. Vi dico che i cattolici li ànno provocati con quello affollarsi nelle Chiese, con quello preghiere affettate, e con quella gioia insultante...

Trov. Addonca mo se li cattuolece vanno a la Cchiesia e prejano, li liberale lo teneno pe n'affesa?

D. Crisc. Sicuro, quando si fa in date circostanze...

Ann. Ahuf... lassateme sbafà che non pozzo cchiù! Neh, D. Criscè, e quanno li librare s'ànno rutto lo musso a ffà vivo a cchisto e a cchillo, a mena pretate pe là mettere li lume a le ffeneste, a ppiglià le gente pe piatto pe li fa alluccà, tanno li cattuolece pure s'avevano d'affennere e piglia le ramazze?

H. Crisc. Niente affatto, allora quelle dimostrazioni erano patriotiche e si dovevano rispettare.

Caf. Addonca lo gai a la Cchiesia a pria non è cosa patriotteoa, e perzò li scommunecate ànno lo deritto de disturbà le gente? Ma quanno pò è cchesto, allora d'ogge nnì sa avimmo da ì a dì no paternosto nce avimmo da porta 1» mazza pe li sconcecajuoche? e cchesta me la chiammate libertà?

Ann. È funa ncanna, nò libertà. Vide chi nce l'aveva da dicere che aveva, da veni n'ebbreca che non sulo avevamo da restà senza la cnmmisa ncuollo, quanto che manco potevamo ì dinto a na cchiesia a sfoca lo dolore nuosto a prià lo Signore...

Trov. Chisto è no castigo che nc'avimmo mmeretato pecché lo ggrasso ne' era arrevato ncanna, e ghievamo trovanno de magnà le ccepolle comme a ll'abbrieje antiche...

D. Crisc Non dite così, Si Tore, poiché quando si tratta di pregare e far feste religiose nessuno ve lo impedisce, ma quando si tratta di festeggiare il Papa per far dispetto all'Italia, allora poi i patrioti sono nel loro dritto di revindicare l'onore della patria...

Trov. Addonca lo Papa à da essere pe nuje cattuolece chello stesso che è pe buje?

Ann. Ca ccà l'è caduto lo ciuccio... li schiattate ncuorpo anno na mazzata dinto a le chiocche quanno sentono che nuje volimmo bene a lo Papa... Ma potino nfracetà la meuza cchiù che non la teneno, pecché nuje cattuolece simmo e sarrammo sempe pe lo Papa, pecché isso è lo vero patre nuosto, e isso nce à da liberà se lo Signore vò da sto guajo niro che nc'è benuto ncuollo...

D. Crisc. Si, aspettate, poiché Pio IX farà scendere gli angioli dal Cielo contro di noi..

Caf. Non c' è abbesuogno che scennessero l'Angiole; pecché lo Signore ve sta facenno distruggere da vuje stesse.

Trov. Chisto è no fatto, pecché ogge lo governo d'Italia è na varca scassata, e ll'uommene che nce stanno ncanneliere non sanno lloro stesse chello ch'ànno da fà... pecché non stanno né nCielo e né nterra... Orine fanno comme a li jocature de jornata che pensano sulo comme mbroglià.

D. Crisc. Prego di non parlare così, perché se foste voi al posto di un Ministro oggi, non fareste diversamente...

Trov. Io Menistro d'Italia, io?' Mme farria portà a la Vecaria cchiù priesto... che fà pure io lo boja a lo simmele mio...

Ann. Io manco pe pollece voglio essere dinto a la cammisa lloro!... che, fà che mo comannano, e se fanno ricche, à ghiuorno pò vedarrammo le ffacce noste... Avisa quà pizzo le stà astipato...

Caf. Ma nfine, Si Tò, che né asciuto de lo fatto de Roma?

Trac. Lo ssaparrammo appriesso, quanno s'è fernuto de fà la prociesso, e se mettarrà mano a li fierre.

D. Crisc. Allora vedrete come voi altri cattolici vi pentirete di quello che avete fatto...

Trov. Nuje pentì?

Ann. O vuje ve disperarrate?

D. Crisc Staremo a vedere. Addio.

Caf. E c'avite da vedè! ch'è meglio che ve facile fà lo tavuto vuje autre comuniste...

Ann. E chi mastodascia nce vorria perdere doje tavole co lloro...

Trov. Figliù, la mesura è chiena, e ma è arrevato lo nudeco a lo pettene pe li rivoluzionarie. Santa notte.

ANNO VI N. ° 103 Giovedì 31 Agosto 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

Nuovi delitti, nuovi balzelli

Se lo storico che adempirà allo ingratissimo ufficio di scrivere la storia d'Italia dal 1860 sino a quell'epoca che Dio in Cui avrà termine questo insulto continuo a Dio ed all'umanità, detto rivoluzione italiana, si sgomentasse raccapricciato ai tasti delitti ed alle tante sciagure di questa Italia, e convulso dovesse lasciar la penna, allora, perché il suo incominciato lavoro non restasse monco, potrebbe scrivere' questa poche parole:

Italia Una surse col delitto, visse col misfatto, giacque misera ed affamata; fede non conobbe, giustizia mai ebbe, onore ignoro; la sua storia compendiasi in pochi nomi, Cavour, Minghetti, Sella, Ministri delle Finanze. Ecco tutto. Quintino Sella, questa fiera che dopo il pasto à più fame che pria, per dono ai rejetti Cittadini d'Italia i presenterà fra giorni quando si riaprirà la Camera, una richiesta per 150 milioni per ora, salvo ad aumentarla a 500... Altri 150 milioni, e perché? per pagare le spese fatte dal governo nella presa di possesso di Roma; dunque l'acquisto di Roma che dai giornali settari era predicato come il termine di tutte le sciagure d'Italia vuoi politiche che finanziarie, invece à prodotto all'Italia la più terribile recrudescenza di questi due mali che ormai neppure Iddio sottrarre potralla dall'orribile destino che le setta... L'Italia è al proflcisere, e ve la condussero non mica i partiti, no, ma i suoi Ministri;... l'Italia avrà sciagure ma non per mano dello straniero, il quale avrà aliro da fare che piangerla, ma perché uccisa dai suoi Ministri delle Finanze, ed in ispecial modo dall'iniquissimo Quintino Sella, il quale ben può chiamarsi come il feroce Attila flaciellwm Bei... Sembra impossibile, che da undici anni altro non facciasi dai Ministri delle Finanze d'Italia che debiti, e debiti, e leggi d'imposte, l'una più immorale e perfida dell'altra, poiché i popoli italiani sono armenti da doversi tosare insino alla pelle, e ad essi di quanto avevano e possedevano, altro restar non deve che la crudele rimembranza, ed appena gli occhi per piangere l'enorme fallo commesso, quando prestarono incauti l'orecchio alle lusinghiere ed ingannevoli parole degli scellerati seduttori comprati dallo iniquissimo Cavour. E poiché questo ammasso infame di ogni sorta di delitti, il quale con impudenza lo si chiama governo d'Italia non può reggersi senza la seduzione e la corruzione, à mestieri perciò di una sorgente incessante di oro, per procurarsi amici, che lo sorreggessero. E quindi tutto quanto l'Italia fa essendo un delitto, conseguentemente è un nuovo furto una nuova rubba, anzi una rappresaglia contro del popolo il quale deve pagare con denaro coloro che lo spogliano, Io deridono, lo disonorano, lo martoriano, l'uccidono. Coloro, che le sue carni dilaniano, e del suo sangue si abbeverano. Coloro che tutto barbaramente rubarongli, financo l'avita fede di Cristo... Quintino Sella, questo Cerbero maledetto vuole dunque altri 150 milioni, e quando Sella li vuole siatene certi che li avrà, poiché chi contro di lui? Ma dove prenderli? Che importa ciò? Manca forse al tristo e ferocissimo ingegno malefico dal tintore di Biella trovare donde ritrarre questi 150 milioni? Niente affatto, ed esso già 4 pensato. Si aumenterà la tariffa doganale, la tassa sulla rendita del debito pubblico, il prezzo del sale e laddove non bastasse, si faranno altri aumenti sulla fondiaria, si creeranno altre imposte, giacché i 150 milioni debbonsi portare sino a 500. Sì, o lettori, ecco il dono preziosissimo che il governo liberalesco ci fa per la conquista della famosa capitale. Aumento d'imposte,, nuovi furti, dunque, nuove bestemmie, nuove lagrime. Il sagrilegio e la rapina non potevano' fruttarci altro. Mentre che l'Italia oberatissimà dì debiti, non le manca che il solo preventivo dell'usciere, mentre che in pochi anni à già divorato circa 7 miliardi, poiché uno sciame maledetto d'assassini e di affamati le ànno mangiato sino le carni, ed ogni cosa, le àn fatto pagare con fiumi d'oro, senza mai che un sol conto si fosse fatto, mentre infine che il popolo d'Italia, òmai è lo spettacelo ributtante di un lebbroso da capo a piedi ridotto una piaga, il Sella, questo parbarissimo e volgare uomo con un cinismo che. supera quello del più famigerato tiranno, mentre il popolo agonizza per fame, fumand osi un sigaro guarda ed esclama, non son contento, vi è ancora in questo corpo moribondo qualche libbra di sangue da cavare, si cavi dunque che io lo voglio... Si è andati a Roma, e colà sonosi sprecati milioni, e perché? per comprare la furia schifosissima che pi audir doveva all'ingresso dei famosi eroi del 20 Settembre, e dei famosississimi Ministri d'Italia, ed il popolo dovrà pagare. Sonosi rifusi milioni per deturpare lo storico Quirinale e le grandiose e ricchissime sue sale trasformare in sale da giuoco, da ballo, e da teatro, ebbene il popolo pagar deve. Si gettano danari alla impazzata per edificare edifici di legno e deturpare Roma dei suoi grandiosi e maestosi monumenti, ed il popolo paga.

Ora conosciuto il passo pericolosissimo dato e che Roma sarà fatale, si pensa a premunirsi contro al vindice che manderà Iddio, ed il popolo si aggrava di altri pesi che forse faranno traboccar la bilancia, perdio!

Il Sella vuole aumentare il dazio sui generi esteri; sì, ma che diranno gli stranieri con cui l'Italia à fatto i suoi trattati commerciali? È vero che l'Italia è avvezza a lacerar svergognatamente trattati, poiché non ànno né fede, né onori, e né parola, ma non è men vero che Francia, Inghilterra, ed altri paesi con cui si ànno dei trattati commerciali non si terranno in pace questa rappresaglia del Sella. Si aumenterà l'imposta sulla rendita pubblica, ed allora i valori italiani già discreditatissimi, resteranno del tutto annientati, e poi il Sella non può obbligare i detentori delle cariche pubbliche ad accettare per forza il suo furto, nessuno. riscontro simile presenta la storia. Si aumenta il prezzo del sale? E si avrà allora colpite le infime classi del popolo, dande così all'Internazionale un vasto campo per reclutare affiliati, dunque? Ne parleremo con altro articolo.:

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Uh, Si Tore mio, e che m'à ditto n'amico neh, de la tempesta de ll'autro juorno, io ancora tremino pe la paura. Trov. Siè Nnarè, è stato no vero castico de Dio...

Caf. Ve lo ddico io chesto, pecché lo Signore non ne pò cchiù...

D. Crisc. Ma siete originali voi altri clericali, poiché ad ogni cosa ci volete vedere un castigo di Dio...

Ann. E ched'è non fosse vero? Comme, dinto a mez'ora fa chella sciorta de tempesta che schiantate l'arbere sane sane da terra, e arreddotta la campagna senza no pede de granodinnia, ve pare che fosse na cosa de niente?

D. Crisc. E una disgrazia, ma non già un castigo di Dio... ah... ah... ah...

Trov. Vuje redite, D. Criscè? e co Dio non se pazzeja... Avite visto comme dinto a niente distrugge tutto?

Caf. E pperzò state ve attiente pe buje...

D. Crisc. Perché non fossimo distrutti?

Ann. Ma a buje che site mieze strutte non ce vò che na vottata, pe ve fà rompere la noce de lo cuollo, nsarvamiento de echi mme sente.

D. Crisc. Qui è il forte, chi è che sarà che verrà a darci questo urtone...

Ann. Uh pe chesto non dubetate, pecché tutte quante ve ponno vedè comme a io patrone de casa...

Caf. Si Tò, e che danno à potuto fà la tempesta?

Trov. Che bolite che ve dicesse? Saccio che quase tutte le ccampagne de Seconnigliano, Arzano, Afragola, Casoria, Santo Pietro e tutte ll'autre paise à fatto no sfracassatone; ll'Afragola nfra ll'autre danne à schiantato dduje arbere de tiglio che stevano rifaccia a lo commento de S. Antonio, li quale tenevano no fusto che quatto uommene non lo potevano abbraccia, pe le ccampagne à arroinato tutto; ad Arzano dice che sò muorte quatto perzone ncampagna sotto a l'arbere; a Poceriale à sceppato na ventina de pratene viecchie da coppa a la via nova, non ve dico pò de le llastre rotte pe tutte le feneste de sti paise... è stato lo finemunno.

Ann. E D. Criscenzo, dice che non è stato castico de Dio? Ma sapite, D. Criscè, le gente comme diceno?

D. Crisc. Cosa dicono?

Ann. Che se non ve rompono le ccorna a buje e non ve jate a ffà squarta, avisa quà autro castico nce mannarrà lo Signore...

Caf. Chisto è no fatto...

D. Crisc. Questo è ciò che vi dicono i preti...

Trov. Che prievete e muonece jate dicenno, pecché chello che s'è fatto e se fà mo, nisciuno se l'arricorda.

Caf. Neh, Si Tò, e pe cchiste poverielle ch'ànno perzo tutto ncampagna, lo governo nce farrà sparagnà le ttasse?, Trov. Se avesse coscienzia accossì avarria da fà...

Ann. Ah se tenesse coscienzia... Ma addò stà? Io lupo à tenuto maje coscienzia?

D. Crisc. Allora se ad ogni disgrazia il governo dovesse sgravar delle tasse chi l'à sofferta, addio, le casse dello Stato resterebbero vuote.

Trov. Avite capito comme parlano li liberale? Ma non parlavano accossì li tiranne de na vota, che quanno succedeva na disgrazia de chesta li bedive fà ciento cose mbeneficio de 'o popolo.

Ann E cchille erano birbante, mo sò galantuommene a la mmerza... avimmo avuto la mala nottata e la figlia femmena.

Caf. Ma dàlle e dàlle, lo carro mmerteca.

D. Crisc. Vi ho capito. Addio.

Trov. E che avite capito, lo Signore nce castica e lloro rideno? Ma va trova se l'anno che bene redite. Santa notte.

ANNO VI N. ° 104 Sabato 2 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

SEQUESTRO

Giovedì fummo felicitati, anzi beatificati da un sequestro di cui ci onorò il Fisco di Napoli. Ma che! E che forse potrebbe essere il Fisco di altro paese, dirà taluno? No certo. Ma diciamo FISCO DI NAPOLI, per dinotare quanto ci è di stupendo, di meraviglioso, di sublime nella scienza e nel Foro; quanto ci è da potere ecclissare le glorie dei Papiniani, degli Ulpiani, de'  Labaoni, de'  Capitoni, e di tutti quei grandi con la desinenza in me. In altro numero, noi poveri scolarelli gli conteremo le nostre ragioni.

Portatelo al Manicomio

Eppure cosi doveva finire! quel povero sciancato del romito di Caprera ora che sta con una gamba a cavalcione del sepolcro, fissatosi su di una sua idea comincia a dar manifesti indizi di mania... Egli il disgraziato eroe delle imprese da Paolo Cineili, il Cincinnato della balla di baccalà, divenuto ad un tratto profondo diplomatico, ed agitato da bollenti spiriti in un pistolotto diretto ad una signora (che noi dobbiamo ritenere per una donna completa, ad uso Morelli) si dichiara lo più focoso partigiano della guerra, mentre dice che una fatalità nella prima sua gioventù ve lo avesse trascinato... E questa fatalità noi ricorderemo ai lettori, che fu quel tale complotto che egli, il Garibaldi, combinò sulla Corvetta Sarda l'Euridice contro del Governo. Quindi la sua militare carriera fu causata da un tradimento, da una fellonia contro del proprio Re, poiché fuggito il Garibaldi nell'America, ivi per mangiare di essi a fare il soldato di ventura, giacche altra scienza allora non aveva, essendoché l'ebbe acquistata come per incantesimo dopo i famosi fatti d'Italia... Quali siano state le sue militari gesta non vi è chi non conosca... poiché da tutti si sa come egli sia stato sempre bravo tenendo le spalle ed i fianchi coperti... E se nel 1860 si rese padrone delle Due Sicilie, le rivelazioni de! Persano e di altri suoi consoci ci anno fatti istruiti del come. Eppure malgrado il tradimento dei Generali Napoletani, e la defezione promossa e pagata dal Cavour l'erano arra di certa Vittoria, pure egli pria di entrare da eroe comico in Palermo ove un Crispi ed altri compagni gli avevano aperta la via, era sul punto di ritirarsi dalla tentata impresa, se sostenuto non era dal celebre Rosolino Pilo siciliano e fuoruscito politico, a cui la rivoluzione avrebbe dovuto decretare onori solenni... Sicché il Garibaldi non fu sul principio di quelle rivolture, che un prestanome... E qui, perché dagli appassionati del famoso Nizzardo non si avesse a dire che il nostro linguaggio sia acre per ispirito di parte, ricordiamo ad essi come in tutta le imprese in cui il loro eroe fu lasciato solo, ebbe a toccarne delle buone, sicché se leste gambe egli ed i suoi non avevano, forse avriano trovata inonorata tomba là dove speravano con le nacchere, e i tamburini trovai la gloria di vincere senza combattere. La Cattolica Roma, Aspromonte, Mentana, ed il Tirolo sono ricordi troppo funesti ed umilianti per il nostro Alessandro il Grande innovantaquattresimo, e le zolle dei campi circostanti di Capua ben sonosi ingrasciate di cadaveri garibaldeschi, ove lo stesso Garibaldi, questo Giovanni senza paura, mostrò ai Napoletani di qual celerità la natura lo avea dotato, come 12 anni prima a Rocca d'Arci ne avea data chiarissima pruova incontrandosi col Maggiore Napoletano Colonna, dal quale assalito, egli il Marte del 1860, benché protetto da due dei suoi voltò coraggiosamente le spalto innanzi alla sciabola del soldato napoletano... Ma l'impresa dei Mille? Oh  si, Ce l'avevamo dimenticata. Ebbene, apriamo la storia. Essa ci dice che il Conte di Cavour, accettato il programma della setta auspicata dal Bonaparte e dal Palmerston, chiamò il Garibaldi, avventuriero e profugo a cui la setta affidata aveva la propria bandiera, e fattolo dal Re aggraziare nel capo, segretamente ad un reale abboccamento lo condusse, tanto che il Re ebbe a dire (forse per celia): e se lo sa il Prefetto di Polizia?.. E Garibaldi partì alla volta della Sicilia, quando già ivi il Crispi, il Pilo, il La Masa ed altri detti per ironia patrioti con l'oro del Piemonte sedotte avevano le masse, e preparato per l'organo dei Comitati che il cieco Governo Borbonico non seppe, o non volle trovare e punire, quel tradimento militare che dovea spianar la via delle vittorie ai mille filibustieri... La storia ci dice come in quella circostanza di guerra la Marina napoletana fellonescamente comportossi... Ci dice come il Persano ebbe ordine di navigare tra i due vapori garibaldini, e la squadra napoletana, facendo però le viste di dar la caccia al Garibaldi, mentre in effetti doveva proteggerlo...

La storia ci dice della fellonia del generale napoletano Landi, il quale fu il primo tra i Generali a tradire mercé il compenso di una fede di ducati dodicimila che in Napoli trovo falsa...

La storia ci dice come durante la traversata da Genova il Garibaldi imbarcato sul piroscafo il Piemonte, ebbe un abboccamento col comandante della Corvetta inglese l'Intrepida che poscia trovossi ancorata nell'ora dello sbarco dei garibaldini dinanzi al porto di Marsala, e quando i due legni incrociatori napoletani aprirono lentissimamente il fuoco contro degli sbarcati, i quali già erano fuori tiro, e salivano pei monti, una imbarcazione inglese fu messa a terra per fare dell'acqua, ma realmente poi fu per far cessare del tutto quel simulacro di fuoco dei bastimenti napoletani. La storia ci dice come la notte dell'11 maggio 1860 il generale napoletano Primerano alla testa di una brigata, lasciò che il Garibaldi ponesse tranquillamente i suoi avamposti a Salemi, ove formò il primo governo provvisorio. La storia ci dice coma Garibaldi fu lasciato senza molestia sei giorni, nei quali egli ingrossò le proprie fila, e Rosolino Pilo, e La Masa fecero il piano di Campagna sicuri del fatto loro...

La storia ci dice il fatto di Calatafimi, ove il generale Landi impedì ai suoi 8 mila, soldati ardentissimi di combattere, la pugna, facendo impegnare sole quattro compagnie contro 1000 e più uomini, ed anche queste 4 compagnie avrebbero disfatto completamente il nemico, se il Landi non l'avesse lasciate digiune ed a combattere senza alcuno aiuto per l'intero giorno sicché al venir della notte lor fu forza ritirarsi, come vergognosamente e precipitosamente fece il Landi, aprendo al Garibaldi la via di Palermo, quandoché a quella prima pruova spaventati e tremanti n'erano restati i garibaldesi ed il La Masa per la paura svenne, ed il Garibaldi per la paura pensava riafferrar la riva del Mare... La storia ci dice quanto ignominiosa fu la condotta del Tenente Generale Laura, vecchio carbonaro, e tutte le turpitudini e fellonie da lui commesse a danno del suo paese e del suo Re, sicché per opera sua e degli altri traditori il Garibaldi da Marsala, ove al dir del deputato napoletano Conforti, nel parlamento di Torino il 20 aprile 1861, Garibaldi ed i suoi dovevano essere moschettati sulla riva, o cacciati in mare, giunse fino a Capua. E che non dice la storia? Sicché in breve, Garibaldi da Marsala a Napoli giunse per una via di trionfi apertagli dal tradimento. Ora se questi sono una gloria militare che dell'Individuo fanno un eroe, non sappiamo indovinare quali esser debbono le vergogne!!!

Laonde tutto sommato, la gloria militare del Garibaldi la opera di astuzia, di corruzione, di tradimento, e così anche un Crocco, un Ninco-Nanco avrebbero saputo vincere... Esaminiamo Garibaldi dal lato politico: lo faremo con altro articolo.

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

D. Crisc. Si Tore, avete inteso di quante materie sono composti i sigari che stiamo fumando?

Ann. D. Criscè, scusate, sotto correzione vosta, quanno annommenate cierte fetenzie, dicite armeno, co licenza...

D. Crisc. E che cosa ho nominato io?

Ann. Avite ditto che li sicarre songo de materia... co Ilicenzia par lamio...

Trov. Avite capito malamente. D. Criscenzo à voluto ntennere co chella parola, de quanta cose sò fatte li sigarre, capite?

Caf. Moglierema quanno non bò capì non capisce...

Trov. Addonca dicite, D. Criscè...

D. Crisc. Nientemeno che vi sono sette materie.

Ann. (Pe la faccia soja, vi sto fetente comme appretta le gente stasera co chelle schetìenzie ).

D. Crisc. Voi parlate sola Sia Annarella?

Ann. Gnorsì, pecché quanno vuje ve site puosto de casa e poteca pe nce fà avotà lo stommaco.

Caf. Dicite, D. Criscè, non le date audienzia...

D. Crisc. Dunque sono sette cose.

Ann. Tante songo li peccate mortale, e la libertà de Talia da otto, ch'è no peccato cchiù gruosso de tutte li sette peccate mortale... jammo, sentimmo parlate, ca stasera s'è apierto lo libro...

Caf. Nsomma ste sette cose che songo?

D. Crisc. Adesso vi dirò, prima di tutto, vi è per 10 parti un principio venefico detto Regiina...

Ann D. Criscè, vuje che mmalora ne vottate? Dinto a lo i sicarro ne'è la Regina? e sto sicuro à da essere no streverio cchiù gruosso de lo pallone che dicite vuje... Vi che sciorta de maraveglia! na regina che se mpizza dinto a no sicarro.

D. Crisc. La regiina è un veleno, capite?

Caf. Ma io non l'aggio ntiso maje sto nomine...

Trov. Mme pare na cosa nova...

Ann. Ma de sti tiempe che se vedono tanta cose, non se pò vedè na regina dinto a no sicarro? fuorze non starnino vedenno li Rri dinto a le rrezze a uso de Fichessuace?

Trov. Appriesso che autro c' è?

D. Crisc. Vi sono 48 parti di sostanze vegetali putrefatte.

Ann. Oh mmalora, pure li ditale nce stanno? e già, essennove la regina, se le vene lo golio de cosere pare che tene lo ditale...

Caf. D. Criscè, vuje che ne vottate?

Trov. Appriesso, appriesso...

D. Crisc. Vi sono 19 parti di peli capelli e materie cornee.

Ann. È ghiusto, pecche essenno che chille capille so robba de librare, le cciavarelle ne' anno da sta pure... Ma stateve a ssentì che lo sicarro a poco a la vota addeventa na poteca de varviere...

D. Crisc. Vi sono 21 parti di legno e chiodi...

Caf. Ma vuje de che parlate stasera?

Ann. No lo ssiente ca te sta danno li nummere?

Trov. Appriesso.

D. Crisc. Vi sono materie calcaree e facciate del Duomo.

Trov. D. Criscè, vuje parlate turco.

Caf. Dinto a lo sicarro nce sta la facciata de lo Viscovato?

Ann. Io l'aggio ditto ch'è pazzo donn'Aniello? e se dinto a no sicarro nce cape tutta la facciata de lo Viscovato, dinto a sto stutacannele de naso che tenite vuje che nce caparrà?

Trov. Appriesso...

D. Crisc. Vi sono le tracce della Nicotina.

Ann. Nce stà pure Nicolina? e lo treppede, la gratiglia, la rattacaso non ce stanno? Embè, se la regina, e la cammarera Nicolina anno da cucenà comme fanno?

Caf. D. Criscè, avite perzo l'architrave... pecché se non site pazzo vuje stasera, chi se pò chiammà pazzo?

D. Crisc. No, io sono savissimo; e questo che io vi dico l'à scritto un dotto medico tedesco...

Trov. E se chisto miedeco tene chesta sciorta de sapienza stanno frische li malate...

D. Crisc. Questo è un fatto, i sigari che noi fumiamo sono così composti...

Ann. Guaglione, guagliò, allaria, allà... lassa asci sto pallone...

Trov. Ma chesto ched'è nce avite pigliato pe totare che nce potessemo mmoccà cheste ciucciane de no magnasivo nsertato da miedeco?

D. Crisc. Oh, quello è un gran dotto...

Ann. Se vede da chesto che à da essere n'ommo strutto assaje, e che ncapo nce tene a zeffunno la farenella

Trov. Ma se fosse accossì nuje sarriamo tutte muorte...

Ann. Lloro, no nuje... pecché nuje avimmo che fà ancora, e avimmo da vasà cchiù de no mussillo friddo.

Caf. Vedite a che ebbreca simmo arrivate che se diceno e se stampano cheste ciucciane... Stammo veramente a lo tiempo de lo progresso...

Trov. Sentite D. Criscè, nfi a che avisseve ditto che li sicarre songo fatte da chillo tabacco fraceto che se trovaje dinto a li sotterrarne de lo Serraglio quanno se dette a fuoco lo deposeto de li tabacche che steva llà, io ve credo, ma quanno me dicite che dinto a no sicarro nce stanno tutte ste ccose, è lo stesso che fà ridere porzì a li muorte.

D. Crisc. Ma l'à detto un medico tedesco.

Ann. E quanno l'à ditto no tudesco, allora è n'autro fatto, me voglio mparà pur' io a fumà. Mmalora co 7 cienteseme m' accatto na regina co la cammarera, lo lignamme, li chiuove e lo cancaro ncuorpo a lloro che vaco trovanno?

D. Crisc. Voi non credete niente. Addio.

Caf. E potimmo credere ste papocchie?

Trov. Mo è tiempo, cacciate le papocchie e le boscie e che nce resta cchiù? Che tiempe neh!... Santa notte.

ANNO VI N. ° 105 Martedì 5 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

QUESTO E' TROPPO FORTE!

Sentir tutti dobbiam gli umani affetti,

Ma innanzi quello della patria oppressa

Straziata, morente.

1.Alfieri.

2.

Un altro sequestro?! questo è troppo forte! Molte volte ci è venuto in pensiero, e pure l'abbiamo discacciato, e non si volle crederlo, che all'epoca in cui viviamo tutto poteva essere possibile!

Gli uomini che seggono al potere sono coerenti al proprio programma! Larghe promesse, ed attender corto. Paroloni sesquipedali, enfatici, ma non corrispondenti ai fatti: persecuzioni, sequestri, ed altro ben Dio, che sono uno scherno alle costituzionalità. Dopo undici anni, che soffriamo queste carezze, esse non ci fanno più meraviglia; e fin dai primordi dalla rigenerazione abbiamo giudicato diversamente questo sistema di cose. Il difetto sta nel nostro criterio, che ci mette alla portata di aver continue considerazioni del Fisco: ma le nostre idee sono cocciute, e ne paghiamo la pena!

Non sappiamo intendere come le cose avvengano, e pure succedono. In Roma, sotto gli occhi dei Ministri del Governo, e del Questore Berti ha veduto la luce, e si è stabilito l'Internazionale, che à messo fuori i suoi statuti incendiari pubblicati dalla Società Alfieri, avendo per base la rivolta, il libero pensiero, ed una soscrizione mensile a pagamento per la propaganda contro del Cattolicismo, che si vuol distrutto. Questo giornale è protetto da tutti, non curato dal Fisco, che gli permette quelle mostruose enormità che attaccono lo statuto, offendono la Chiesa Cattolica, e le garenzie. Questo è un accidente... da nulla; mentre il Trovatore giornale cattolico, propugnatore dell'ordine e della giustizia è tradotto innanzi ai Tribunali, spesso spesso, è processato per aver raccontato ch'è un delitto imporre nuovi balzelli al popolo Italiano, che si trova smunto e slombato: per aver avvertito su gli errori in cui si arrabbattano gli uomini che sono al potere. Questa lega di gente è fatta in modo, che regola tutte le cose a proprio talento. Ma in verità questa è una cosa curiosa a vedersi. Non si guardano i crimini dell'Internazionale, e si tengono per reati le semplici parole ilei Trovatore, scritte per prevenire l'incendio ed il petrolio che si dilatano. Sono le passioni che proibiscono le verità! quando la voce della giustizia è sopraffatta dallo spirito di parte, quando la libertà della stampa è un'ironia, la sua missione è Unita. Quando si travolgono i pensieri, si può essere contenti, che il vaticinio à coronato i desideri. Gli uomini che ci governano sono divenuti cosi potenti, che non vogliono neppure ricevere un'osservazione: e pure si predicavano come uomini di esperienza, adatti a governare un regno ed un paese; i cui nomi si mettevano innanzi come promotori della felicità, per far aprire il cuore alla speranza di un migliore avvenire!

Questa misera Italia dà all'Europa un triste spettacolo; e fra le mille sconcezze che si avverano, avvi anche quella di vedere che non vi è altra norma, se non contraddizioni e so... che si à tutta l'energia per punire gli onesti, i buoni, i deboli; e per premiare chi non lo merita!

Quale è dunque il nostro delitto?

Coi fatti contemporanei alla mano abbiamo addimostrato al Ministro Sella, che si era errato nel concetto, e si era smarrita la diritta via. Noi che sentiamo le lamentanze del popolo che vede rincarire giornalmente gli oggetti di prima necessità, gli alimenti per sostener la vita; abbiamo alzato la voce in prò di questo popolo, che anch'Egli rappresenta una parte della civile società; e non è misera gleba che non risente il piede di chi la calpesta: quindi eccoci colpiti dalla speciosa ed elastica imputazione di offese contro il rispetto dovuto alle leggi. E qui bisognava specificare di quali leggi si era inteso parlare invocando l'articolo 23 sulla stampa; giacché questo sarebbe la sintesi della legge, ma non il fatto noto della legge violata.

Or avendo il Trovatore parlato di un argomento sul quale non è vietato ad ogni persona di esercitare l'imperio dei propri lumi, e della critica: se fu sempre lecito di formarne materia di discussione: se è un concetto, se è un. parere di uno scrittore, come si offendono le leggi? Quando s'invitavano gli uomini del potere a non essere proclivi nei loro impulsi, specialmente in materia finanziaria, come vi entrano le offese contro delle leggi: per converso si prò... le leggi quando se ne tramuta il criterio dagli scrittori.

Questa parzialità del Fisco ci piace. Egli non ci dimentica, ed è pure qualche cosa lVsser così sovente incriminati. Egli dà più valore alle povere nostre idee di quello che meritano. Noi applaudiamo al suo sequestro, e ne lo ringraziamo; perché come pubblicisti cattolici avendo per primo pensiero la nostra SS. Religione, e difenderne i dritti; ascoltare le lamentanze del popolo oppresso, e sostenerne le ragioni, perorare la causa del vero e della giustizia; è giusto che propugnando questi principi si è processati. Questo è il più bel guiderdone che si possa conseguire, da farci ripetere le parole dell'Immortale Pontefice Pio IX: sub ostili dominatione constituti sumus!

Lo Trovatore.

Portatelo al Manicomio

II.

Abbiamo in succinto confutata la parte militare ed eroicomica della lettera del Garibaldi, veniamo ora a rispondere ai periodi di quella lettera ove tratta dei preti, e della politica. Noi l'abbiam detto, e lo ripetiamo ancora che quel meschino marinaio di Nizza presta volentieri il suo nome in calce di quei pistolotti scritti dalla penna della setta, poiché il poveraccio non altro ambisce che menar rumore, sia anche un vuoto suono, sia pure che il suo nome venga esecrato e maledetto non gli cale, esso si è venduto sette volte ad un potere terribile e misterioso, à rinnegata l'anima sua per una vana jattanza, credendo davvero potersi rendere immortale. Ma non à compreso che esso è un fantoccio della setta, il suo schiavo, poiché questa si serve di lui appunto por personificare sè medesima; onde quelle ovazioni, quei plausi, gl'inni, i carmi, le elegie, i clamori di piazza, e tutto il frenetico agitarsi dei proseliti della rivolta se rimbombarono un tempo del nome di Garibaldi, lo fu perché quel nome era il simbolo della setta. Ciò premesso quale politica è stata, è, e sarà quella del Garibaldi? Aprite la storia e ve lo dirà. Questo Giano bifronte non è stato mai Monarchico poiché sua vita politica iniziò con atto di fellonia e ribellione contro della Monarchia.

Non è stato, ne è costituzionale, per la semplice ragione che il governo costituzionale conserva sempre una forma costituita sulla duplice base del dritto, unito alla moderata libertà, e quindi anche un Sovrano vi dev'essere, e Garibaldi non volendo Sovrani, non vuole governi costituiti, poiché tutto dev'essere popolo. Non è stato repubblicano giacché il repubblicano onesto rispetta le altrui convinzioni, non cospira contro la libertà ed il bene degli; altri. Ma Garibaldi non l'à pensata, né la pensa così... Ciò posto, che cosa è egli mai? Un uomo della setta. Garibaldi sbarca in Sicilia e proclama l'Italia Una, con Vittorio Emanuele, dice ai prigionieri borbonici, Voi siete realisti? ebbene anche io lo sono, ma Re per Re, io vi propongo Vittorio Emanuele. Più tardi in Napoli, Garibaldi consiglia non farsi il plebiscito. Odia i Re, e veste uniforme di Generale di un Re, accetta ricompense e soldo dal governo di un Re. Dice che tutto il danaro pubblico è del popolo, e poi egli dispone di questo danaro a suo libito, permettendo appropriamenti illeciti, furti e sperpero del pubblico tesoro. Dice esser egli l'uomo della severa morale, ed oltre ai tanti Decreti immoralissimi che egli fa, precisamente nel cacciare sul lastrico tanti integerrimi e vecchi impiegati del governo borbonico, sol perché essi non avevano voluto mai farsi corrompere, affamando così migliaja di famiglie in omaggio alla pubblica opinione come dicevano quei neroniani decreti, ma quanto dichiara il regicidio virtù patria, benemerenza, eroismo, e quindi assegna alla madre di Agesilao Milano una pensione, ed alle sorelle di lui una dote di Duc. 2 mila. Dice essere l'uomo umanitario, e che più che con le armi, con la ragione vuole aggiogare i popoli delle Due Sicilie, ed a Milazzo fa fucilare 29 terrazzani, sol perché ostili al nuovo governo. Dice volere l'Italia Monarchica e intanto tenta ribellar l'Italia al grido di Roma o morte che termina con la scaramuccia di Aspromonte, dopo di aver sedotti non pochi ingenui calabresi con far loro intendere che egli reclutava per conto di Francesco II, ed altresì non pochi soldati, i quali abbandonarono le fila disertando, e poscia arrestati, Cialdini li fece passare per le armi. E lui? Ritorna in Caprera tranquillo a coltivare i suoi campi, mentre coloro che si prestarono alle sue seduzioni son messi sotto processo, e condannati. Più tardi tenta una seconda volta invadere l'Agro romano, e conduce a sicura morte migliaja di stolti che cadono sotto ai colpi dei Chassepots francesi a Mentana. Egli che si chiama l'uomo dell'ordine e della pace, appena surto il  governo dei Gambettisti in Francia corre ivi, seguito da uno sciame di avventurieri, paltonieri, e indebitati e là fa mostra di prodezza contro a preti e monache... ponendo il governo italiano in un serio imbarazzo.

Cessa di sentirsi Achille in seno e diviene papofobo, chiama il Papa l'Anticristo, la Chiesa cancro, i preti setta nera, dimenticando che il 20 ottobre del 1847 egli scriveva al Console del Brasile, il Trono di S. Pietro riposa su basi che non possono mai essere rovesciate, né scosse da potenza umana... Pio IX a fatto tanto per l'Italia e per la Chiesa. In una parola Garibaldi, questo fantoccio, è stato un esimio ingannatore, e traditore.

E costui cerca ora con i suoi pistolotti farsi credere per vero amico d'Italia? Ma se tale esso era, non doveva mai prestare il suo braccio e la sua opera alla setta cavurriana  la quale intendeva piemontizzare l'Italia... Egli non doveva prestarsi all'Apostolato di annessione, ed annuire ai coverti i malefizi, ai soprusi, ai guasti ed alle rapine...

Ma terminiamo queste triste ricordanze.:.. Ormai le maschere son cadute, e tanto il Garibaldi che gli altri idoli della setta, sonosi atterrati dal verdetto della pubblica opinione, giacché i popoli oggi ànno pur troppo conosciuto e giudicato...

Dica ciò che vuole il piantatore di Caprera, scriva ciò che j crede, ma sappia che il suo prestigio fatuo è cessato, e quindi di lui oggi non vi è uomo che si rammenti se non per bestemmiarlo ed esecrarlo. Se queste verità vengono niegate dai fanatici della rossa Camicia, ne interroghino la coscienza pubblica, e se ne sganneranno. Oggi i popoli sono stanchi delle corbellature, ed il loro sguardo si rivolge fiducioso a quel passato da cui sperano salvezza!!!...

Che zittisca quindi questo maniaco, e non si faccia a soffiare perché un eccidio succeda e mani italiane sgozzino cittadini italiani... L'Autodafé che egli vorrebbe si facesse contro dei preti, potrebbe sortire diversamente, dappoiché per quanto nelle menti ingenue delle masse non un solo pensiero ' benevolo vi è più pel Garibaldi, altrettanto nel cuore di tutti si è ridestata gigante la fiamma della fede cattolica, e guai se si venisse ad attaccare questa fede nella persona dei suoi Ministri...

Che ci pensi il vecchio di Caprera, giacché avvece di sciupare quel debole residuo di vita che gli resta nello scrivere menzogne, malignazioni, e bestemmie, imprendesse a fare la nota dei suoi peccati, credetelo pure che non esiterebbe un solo istante ad andare in cerca di un prete a cui confessare l'enorme sua colpa...

Ma egli invece persiste ostinato, ebbene se ne avvedrà quando la vendetta di Dio e degli uomini gli scenderà sul capo: tal sia di lui!...

ANNO VI N. ° 106 Giovedì 7 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

SON TUTTI POLITICI MA NON SANNO QUELLO CHE DICONO!

Fra le tante stoltezze di cui abbondano i tempi presenti, non ultima è quella della mania politica che ha invaso le menti di quasi due terzi degli italiani, sicché dal dotto all'idiota, dal Ministro al contadino tutti oggi, la Dio mercé, siamo divenuti politici, anzi diplomatici addirittura. E quindi si sciorinano ciarle a josa, si trincia di qua, si sparla di là, si critica, si giudica, si sentenzia di uomini e di cose con una leggerezza tale da far ridere, se non fosse che talune volte gl'insulti, anzi i passionati ed avventati giudizi producono positivo nocumento a danno della verità dei fatti, non tutti palesi, e né tutti alla portata da potersi comprendere da talentuzzi passionati.

Questo malvezzo di volerla fare da saccentoni politici, è ornai una piaga. Se riguardo ai rivoluzionari essi vi travisano tutto, vi rinnegano la verità e a forza d'improntitudini e menzogne fanno agli occhi delle masse ignoranti vedere il nero bianco, e viceversa. Se per i loro avversari, sonovi taluni i quali della politica fanno una passione di partito, e quindi sempreché le cose non vanno a loro verso, eccoli gridare alla sfiducia, al tradimento. Disgraziatamente si vuole uscire da costoro, più ciarlatani di piazza, che severi ragionatori politici. Lo dimostriamo. Questo nucleo di gente passionata, ed utilitaria, restringendo ad una semplice questione parziale ciò che è una grande quistione europea, vorrebbe vedere precipitevolmente accomodati alcuni dettagli, cioè vorrebbe che si distruggessero gli effetti, senza pria sradicarne la causa.

In una parola, voi avete un edificio intero crollante, ebbene, dicono essi, accomodateci quella parte che a noi interessa, e del rèsto vedetevela voi. Si neh? Ma se I edificio è crollante vuol dire che è alle fondamenta che debbonsi fare i primi ripari, come dunque volete voi che questi si trascurino per la ri fazione di alcune stanze superiori che a voi interessano, quando che sarebbe tempo perduto, e lavoro sprecato? Ma usciamo di metafora. Alcuni tra i cattolici guardando le quistioni del giorno con corta vista, si aspettavano che le potenze europee si fossero isso fatto scagliate contro l'Italia precisamente dopo 1 invasione di Roma, e avessero così a furia di sciabolate cacciata la rivoluzione dalla Città eterna, lasciando poi al futuro il compito di accomodare il resto... Ma questa è una storditaggine, giacché se la rivoluzione fosse stata ristretta solamente nella penisola italiana, ed allora sarebbe stato il caso di fare ciò che essi dicono. Ma quando per colpevole imbecillità, o maltalento dei potentati europei si è fatta nel 1860 trionfare la rivoluzione in tutta Italia, quando dall'Italia si è fatta diramare nel resto di Europa, tanto che oggi non vi è Statucolo che non à la rivoluzione in casa, dite un po', come si fa a correre a Roma, lasciandosi ai fianchi ed alle spalle la rivoluzione armata? Come si fa a correre per estinguere l'incendio nella casa altrui, quando questo sta in casa propria? Sarebbe una follia, e con il rischio di non salvar niente perdendo se, e gli altri ancora.

Infatti. Tutti costoro di corta vista tenevano in pugno che la Prussia vincitrice della Francia Napoleonica, saria dopo di quella guerra discesa in Italia Ma la Prussia poteva farlo? Lo avrebbero permesso le altre potenze, e specialmente le cattoliche? no. Se la Prussia allora fosse discesa in Italia, avrebbe fatto un grosso sbaglio politico e diplomatico, giacché essa potenza protestante non poteva intervenire in favore del Papa, senza che le potenze cattoliche direttamente interessate non si fossero giustamente insospettite, allarmate ed offese per l'usurpazione del loro dritto legittimo fatta dalla Prussia, la quale dopo le vittorie in Francia, ristabilendo l'ordine in Italia, avrebbe disteso il suo dominio morale la sua preponderanza, il suo patronato, su due terzi dell'Europa; ed allora? il dominio della rivoluzione atea e socialista, saria subentrato, al dominio della sciabola e la preponderanza tedesca, con il suo luteranismo, dunque dalla padella si sarebbe caduti nella brace... Ed il Papa con i Principi italiani ristaurati. sui loro troni, invece di essere vittime della rivoluzione, e perciò sofferenti oggi, ma trionfanti domani, sariano divenuti vassalli dell'Imperatore di Germania, ritornando così ai secoli Medioevali. 0 la Prussia dal canto suo si sobbarcava ad una gran guerra, e dopo rifuso oro e sangue in Italia, ritirarsi a mani vuote, dicendo ai suoi popoli che in maggioranza sono protestanti, io ho fatto la guerra all'Italia gratis et amore... Ma anche ammesso questo, pure la Prussia rimettendo da sé il Papa nella sua sovranità temporale, avrebbe vinte ed umiliate tutte le potenze cattoliche... poiché la Prussia tenendo l'Italia per sé, né Austria, né Francia sarebbero state più grandi potenze almeno moralmente, come anche l'Inghilterra avrebbe corso il pericolo di perdere Malta, e 1 Austria avrebbe dovuto lasciare il resto delle provincie italiane che sarebbero. passate alla Prussia appunto per compenso della guerra italica. Infine si sarebbe estesa la dominazione germanica su quasi tutta Europa, e la razza teutonica avrebbe signoreggiata quella latina.

Che questo vastissimo piano si fosse presentato alla mente del Principe di Bismarck, forse non è dubbio; ma non è men dubbio che la sua realizzazione avrebbe necessariamente condotto ad una guerra gigante, e ad una levata generale di scudi da parte della setta. Svanite le illusioni con la Prussia, cominciossi ad almanaccare su di un intervento francese. Epperò non sonosi ingannati sulla certezza di questo intervento, giacché esso è certo, necessario, immancabile e non solo francese, ma pure austriaco, e noi lo stiamo dicendo non da ora, ma i nostri politicuzzi sonosi però ingannati sul tempo di questo intervento: essi avrebbero voluto che Thiers appena vinta la Comune a Parigi, lasciando ancora tra il fuoco e le rovine il paese, accozzando un esercito composto di elementi già demoralizzati per le patite sconfitte & la. lusga prigionia di guerra, senza prima assicurarsi di un concorso europeo, fossesi gittato a corpo perduto in Italia. Ma in questo caso e con quieta imprudenza quale terribile responsabilità non sarebbe gravata su Thiers? Quale migliore occasione non avrebbero avuto i Comunisti per ricominciare le loro imprese nefande? Vi pare che i settari di Francia avrebbero lasciato il braccio libero a Thiers di battere e distruggere i loro confratelli d'Italia? Ma vi siete o no, persuasi che la setta è una, che le diramazioni sono diverse, come vari sono i nomi ed i mozzi che usa, ma una è la lesta, uno lo scopo dapertutto? In Italia essa è unitaria, nella Spagna antidinastica, in Austria liberale, in Russia nichilista, in Germania operaja, nella Svizzera radicale, in Inghilterra feniana, in Polonia autonomista, in Turchia progressista, in Francia comunista. Ma essa è una, sempre quella, ne mai si cangia, ed oggi tutte queste diverse ramificazioni si fondano in una sola cosa cioè nell'Internazionale. Dunque, perché la rivoluzione fossa veramente battuta è necessario che i Sovrani s'intendano tra essi, si stringano, si diano la mano... poiché se non si fa un sol colpo ardito, sicuro, simultaneo, nulla si ricava di buono, di utile, di stabile. La rivoluzione à in sè la virtù malefica di riprodursi sempre quando un residuo ne resta in qualsivoglia luogo. Ciò premesso, noi diciamo, ai censori della condotta di alcuni uomini: state zitti, voi siete di corta vista, voi non volete il vero trionfo della causa giusta, ma un passaggiero vantaggio. Oggi non è un membro del corpo sociale europeo che sta ammalato, ma è tutto il corpo interamente, quindi è questo che si deve curare non una sola parte di esso, capite? E questa cura si farà non appena i medici che oggi sono in consulto ne avranno studiati e scelti i mezzi più efficaci e spicciativi. Ma intanto il tempo scorre ed i popoli più gemono. Meglio; cosi impareranno ad essere più cauti per l'avvenire a non lasciarsi sedurre. Ma intanto la Chiesa geme. No, invece la Chiesa combatte e trionfa, poiché dal male Iddio ritrae il bene. Ma la setta più si consolida e tiranneggia. Niente, giacché la setta è a temersi quando lavora fra le tenebre, ma quando lo fa a luce di sole e con agi e denaro non la temete, poiché essa briaca dei suoi successi si dà ad accumular delitti ed errori, ed allora i suoi trionfi saranno appunto la sua rovina... Aspettate e vedrete.

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, che nce rialate de buono?

D. Crisc. Circa alle nostre cose interne vi è un poco di confusione, è vero, ma poi tutto va benissimo...

Trov. E avite ditto sta vongola...

Ann. Pare che chesta fosse la primma o ll'urdema.

D. Crisc. Ma se non mi dite perché vi siete sorpresi.

Caf. Vuje stesso lo potite capè, pecché co chisto ppoco de mbruoglio e arravuoglio che nce sta sotto, vuje ve n'ascite che tutto và benissemo, mme pare che è na cosa da ridere.

Ann. Quanto si scemo, Luì, mo voglio risponnere io pe D. Criscenzo. Comme non và tutto buono? fuorze non ghiarrà buono pe mo, pe te, e pe chille che se chiammano cattuolece, ma pe il core contente, che na vota s'abboffano de brodo d'allesse, e ogge se ciancolejano lo biancomagnà, se capisce che le ccose ànno da ì bone...

D, Crisc. Niente di tutto questo, noi vediamo che col fatto ogni cosa del governo va benissimo...

Trov. Co na piccola differenzia, che pe mo ll'Italia non tene né capo e né  coda, lo governo non sta né a Firenze, né a Roma; li Menistre me pareno la spola de li tesseture pecché vanno e beneno, le ccose camminano comme a lo funaro a pede arreto, le ppotenzie nce trattano comme fà lo miedeco co no malato speduto, e co tutto chesto se ve pare che le ccose jessero bone, viva sempe la faccia vosta...

Ann Si Tò, mo se campa a ghiornata, e cchiste amice sapite comme diceno? Venga bona la tela nosta, fuss'accisa chi la tesse.

Caf. Ma non sempe potarranno dicere chesto...

D Crisc. Questa sera ho dolore di testa, per cui me ne vado, ne parleremo un'altra volta. Addio.

Ann. D. Criscè, stateve attiento pe la capo, pecché mo stammo a na brutta ebboca, e li dolure de capo spisso spisso fernesceno o Averza o a lo Tridece...

Trov. Figliù, stateve buone, parlarrammo cchiù assaje n'autra vota...

Caf. Comme volito vuje, Si Tò... V'aspettammo.

ANNO VI N. ° 107 Sabato 9 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

E STORIA!

«A Quella luce cotal si diventa

«Che volgersi da lei per altro aspetto

«È impossibil che mai si consenta».

Dante, Paradiso, (Canto XXXIII)

L'ordine sapientissimo con cui la Divina Provvidenza regola o governa quaggiù, è la perenne vicissitudine delle cose umane, che noi appelliamo progresso. La setta ohe tutto rovescia, a ritroso operando dello altissimo fine provvidenziale, poiché antitesi ella è del bene, à travolto anche if progresso, e sconoscendone la cagione prima, por esso a inteso il totale annientamento delle leggi naturali e di quelle civili, lo sbrigliamento delle passioni, il senso superiore alla ragione, la materia dominatrice dello spirito. Quindi ordine morale e fisico, politico e sociale distrutti, e per converso disordine, abbuiamento intellettuale, brutalità, l'ignoto. Ma a tanto sfacelo due giganti si oppongono, la Religione ed il Dritto, simboleggiati dal Papato e dalle legittimità. Ed è contro del Papato e della legittimità che da dieci secoli si combatte instancabile ora tra le tenebre cospirando, ora nelle città barricato innalzando questa fiera idra dalle sette teste. Nemica della Religione chiama il Papato un cancro attaccato ai fianchi della società, dice la legittimità, tirannide usurpatrice dei dritti dei popoli. Fede, morale, disciplina, ubbidienza sono per essa superstizione, ignoranza, abbrutimento, corruzione; l'uomo vuol esser libero, indipendente, irresponsabile; libero nel pensiero e nell'opera, sia corrotta o malvagia; indipendente da ogni controllo, sia divino od umano, irresponsabile di quante sfrenatezze potrebbe commettere, poiché né l'uomo à sortito il suo essere dalla creatrice Mano di Dio, né ad alto fine spirituale venne plasmato, né immortale è il suo spirito. Il caso fece il mondo, la scimia diè origine all'uomo, la materia è il tutto...

Dunque, Fede e Dritto ritrovato degli scaltri usurpatori dei dritti dell'uomo...

Guerra perciò con la parola e la penna; con l'opera, con tutto alla Chiesa Cattolica, ed ai Re. Mentite, calunniate, insidiate, tradite, uccidete, tutto è buono, tutto è utile, tutto è giusto, sempre quando lo farete contro il Trono e l'Altare... poiché il fine giustifica i mezzi. Ecco le teorie, e gli insegnamenti della setta. Essa non vuole l'uomo, né la famiglia, né la società. Non vuole Stati, regni, nazioni, tutto dev'essere confuso e disordinato, tutto sprofondato nel!' ignoto e nel caos... Percui si abbatta il Papato, si detronizzino i Re. Il Papato si abbatta mercè la libertà di coscienza e la tolleranza dei Culti, i Re con le libertà politiche e le Nazionalità... Onde con armi diverse e mezzi differenti si prodiga lode ove dovrebbe esser biasimo, si carezza il vizio, si calpesta la virtù... La setta strisciando insidiatrice a pie dell'altare à fatto oggi disertare dalla Comunione della Chiesa i Passaglia, i Gavazzi, i Giacinto, i Dòellinger ed altri apostati; strisciando a piè de'  troni à rovesciato quello antichissimo dei Borboni di Napoli, come quelli di Toscana, Modena e Parma, come quello del no, il Trono del Pontefice non si è rovesciato, qui la belva vi à lasciato i denti...

I Borboni contro cui la setta à sempre diretto i suoi colpi, poiché impassibili essi furono ai suoi piati, tetragoni ai suoi insulti; i Borboni furono e saranno sempre il terrore della setta. Contro di loro essa si è scagliata, e l'odio, il covato antico sdegno, la gelosia, l'ambizione, l'avidità, la vendetta rivestendo di politiche forme guerreggiò ad oltranza questa Augusta antichissima Casa, sperando che abbattuta, non risorgesse mai più... Ma perché tanto odio e rabbia ferina contro i discendenti di S. Luigi.? Perché essi incarnano in loro un principio che è la morte della setta. Ecco tutto.

Onde con isfacciata menzogna a carico dei Borboni la sena vomitò la sua putente bile, e la bontà di quei Principi chiamò imbecillaggine, la longanimità debolezza, la preveggenza insipienza, la fermezza brutalità, la giustizia tirannide r la provvidenza regresso, la legittima difesa delitto.

Ed i Monarchi Ferdinando I e Francesco I vittime dello straniero e della iniqua politica inglese fece responsabili del sangue versato dai patrioti, e Ferdinando II ingiuriò nemico della civiltà, del progresso, feroce persecutore dell'ingegno e della scienza, despota coronato, conculcatore del dritto del popolo, strozzatore della libertà, bombardatore delle città... Ebbene, più che la storia, e l'indignazione dei popoli delle Due Sicilie e dell'Europa civile smentirono siffatte calunnie con le loro opere gli stessi calunniatori, i quali in pochi anni di governo ànno con l'efferatezze loro le spoliazioni ed ogni sorta di delitto rivendicata splendidamente la fama di quel gran Re, che in 29 anni di regno modello fu di sapienza, di previdenza, di pietà e di politica...

Ma la setta non contenta di aver calunniato quello eminentissimo e virtuoso Principe del quale oggi rimpiangonsi le virtù, accanitamente attacca con violenza il Figliuol suo, ingenuo ed innocente giovanetto. Una serqua d'ingrati, fedifraghi e traditori fatti grandi e doviziosi. dalla magnanimità di Re Ferdinando, rinnovano il misfatto di Giuda in persona dell'Augusto Figliuolo del proprio Benefattore... ed il legittimo loro Re tradiscono, e la patria barattano, e l'onore la coscienza, il braccio, l'anima, tutto vendono allo straniero che li paga a peso d'oro... Ma quell'oro è prezzo di infamia, di sangue... quell'oro è il retaggio di abbominio che gli scellerati lasceranno ai loro figli, e sul capo di essi e di questi cadrà la vendetta del cielo, la maledizione del paese, la riprovazione della storia...

Francesco II, questo Re che fin dalla culla col primo innocente vagito venne colpito dalla maggiore sventura, questo rampollo di cento Re a cui Iddio per suoi imperscrutabili fini, niegava la prima ed unica consolazione che l'uomo à quaggiù, la conoscenza della propria Madre, questo Augusto che la più leggiera pecca giammai non conobbe, poiché immacolato fu il cuore, candida l'anima, vergine il pensiero; questo Re che salito appena i gradini del Trono, tosto ne discende senza neppure aver tempo di conoscere la sua Corte questo Re, diciamo quando la sventura lo colpì, mostrò splendidamente, Lui esser il glorioso nipote di San Luigi, il discendente di Clodoveo, il figlio di Ferdinando 11, il rampollo di una casa che per 10 secoli dominato aveva.

Salito al Trono Ei vide la marea montare. Insidiose offerte di bugiarda alleanza fecegli il Piemonte, mentre che armi ed armati radunavansi sui lidi liguri per la spedizione garibaldesca... Ripetere qui la storia di quei tempi noi non vogliamo... perché il Persano ed altri l'anno già smascherata... ma solo diciamo che oggi dopo undici anni, la verità si all'accia.

La rappresaglia e la usurpazione mosse da vendetta ed ambizione furono dette aiuto e difesa degli oppressi il cui grido di dolore avea commosso le paterne viscere dell'affamata e turbolenta setta... Ed un avventuriero ignoto approda in Sicilia, preceduto dal tradimento, e la rivolta divampa dal Tronto al Lilibeo e Re Francesco abborrendo dal sangue volontariamente discende dalla magione reale, e qual primo soldato della patria con a lato gli Augusti Germani vanno a combattere un nemico sconosciuto, non provocato, non dichiarato officialmente. E questo nemico si avanza a grandi giornate, e come il fiotto della tempesta ovunque passa abbatte e distrugge, dicendo delitto la pietà verso i legittimi difensori del loro casolare, della loro terra natale, della loro indipendenza, della loro fede, del loro Re... Mai marosi montano, il 19 settembre quel nucleo di soldati Napoletani non venduti o traditi, guidati ed incoraggiati dallo eroismo del loro Re e dei loro Principi assaliti nelle vicinanze di Capua sgominano e fan volgere le spalle ai buffi conquistatori della Sicilia e di mezzo continente Napolitano... ciurmaglia accozzata dagli stessi elementi che undici anni dopo incendiar dovevano Parigi. Però quel Re, che si diceva tiranno, arrestò lo slancio dei suoi vittoriosi soldati ed anziché proseguir la sua marcia trionfale con le baionette alle spalle del fuggitivo nemico, sino a Napoli, tarpò le ali alla vittoria dei suoi, preferendo la conservazione e la quiete della sua città natale alla giusta vendetta e punizione dei felloni e dei tristi... Egli allora pensò più che a se stesso al paese. E più tardi, quando la perfidia e slealtà della setta costrinselo a rinserrarsi dentro Gaeta, Ei il di 8 dicembre con un proclama ai suoi popoli dimostrò tutto il suo affetto di Napoletano, tutto il patriottismo di cittadino, tutta la grandezza di Re, tutta la sapienza di vecchio Statista... Egli in quel proclama profetizzò i nostri mali, ed i mali di Europa, annunciò i nostri dolori, ci presagì l'avvenire...

Ultimo nella gioia, primo nella sventura, Egli non regnò che per il popolo, laonde ove vi fu una lagrima a tergere, un dolore a consolare, un vantaggio pubblico a fare, ivi la munificenza e la sapienza Sua splendettero. Parlino se ne ànno cuore i nemici, e nieghino questa verità. Si è detto che i Borboni furono ligi alla politica austriaca, menzogna: poiché di tutti gli Stati italiani solo quello delle Due Sicilie non volle alleanza con l'Austria. Si è detto che i Borboni erano nemici dell'ingegno e delle scienze, menzogna: poiché anche i loro personali nemici perché dotati d'ingegno e sapere ebbero cariche ed onori. Si è detto che osteggiavano la libertà, menzogna: poiché la libertà di cui godeva il popolo in allora era tanta, per quanta oggi è la schiavitù... Si è detto che erano despoti, menzogna, poiché le leggi di quei Re non furono mai a capriccio, e per utile proprio... Ma i Borboni si sono sempre opposti alle politiche innovazioni, ed al progresso? No. I Borboni sonosi opposti sempre a tutto quanto era un'utopia ed un'ingiustizia che tosto o tardi avrebbe gettata l'Italia nelle miserie e nell'onta in cui è oggi. I Borboni senza millanterie e l'ausilio di una stampa bugiarda ànno operato e sapientemente fatto. Essi ànno tenuto sempre il loro paese florido e indipendente rispettando l'altrui e custodendo gelosamente il proprio. Nell'ora del pericolo non ànno mai abbandonato quel posto di onore a cui assegnavali quel Dio che li aveva fatti Re, e dove chiamavali la voce della patria. Sugli spaldi di Gaeta la bandiera che sventolò sino allo estremo fu quella del paese... Re Francesco, sebbene abbeverato di tanto assenzio non si lagnò, non si sfiduciò, non odiò giammai... Egli Re e soldato seppe parlare ed operare da Re e soldato... L'Europa attonita lo circondò del suo rispetto, ed il plauso comune di tutta la civiltà lo seguì nello esilio. I detrattori, i nemici, i settari avranno potuto sbraitare a loro posta, ma l'esperienza à dimostrato chi furono i Borboni, chi fu Francesco n. Un re giovanissimo cacciato dal trono, che piega umile e dignitosa la fronte ai Decreti di Dio è ben raro rintracciarne l'esempio nella storia dei Re... Dei Principi ventenni che come lioni si battono per la difesa del loro paese, mentre la ingratitudine risponde al loro eroismo; sono tipi di rarissima abnegazione... Ma la storia vindice giustissima à scritto in lettere di oro i nomi di Francesco, di Sofia, di Alfonso e Luigi... e l'Europa civile e militare à assegnato loro un posto che i fortunati loro nemici non avranno giammai... Ben disse dunque il de Tinan allorquando accommiatossi da Re Francesco in Gaeta: Addio, Maestà, l'onore resta a voi, e l'onta a noi, poiché dopo undici anni la Francia à pagato il fio procacciatole da quell'onta... Iddio volle altre pruove dal Figliuolo della Beata Cristina. Padre di sospirata prole, di quel candido angioletto lo priva; affettuoso fratello, della dolcissima e virtuosa Sorella gli fa piangere la immatura morte. Morte di Principessa cristiana Cattolica, di virtuosa napolitana. Morte degna della figlia di pii Genitori, della germana di virtuosi fratelli, della sposa di un Cattolico Principe, imperoché nel dipartirsi da questo mondo Maria Annunziata abbracciando per l'ultima volta il desolato consorte, e gli afflitti fratelli loro raccomanda la difesa della causa del Papato... Così muojono i Borboni! quali insegnamenti?

Ma il premio e la pena sapientemente bilancia il Signore... In meno di dieci mesi la stella Borbonica ritorna ad apparire... Dalla Francia ebbe principio la sua eclissi, dalla Francia ricomincia la sua luce...

Dopo quarantacinque anni di esilio il Capo della Casa dei Borboni sta per risalire, fra le ansie e le speranze di 35 milioni di uomini l'antico Trono dei suoi padri...

Imperscrutabili disegni di Dio I Ecco dunque un'altra sconfitta deIla setta... Dritto e Religione, Papato e legittimità ecco la tavola di salvamento per la società sbattuta dalle tempeste... E quella setta che perfida insidiò a due Case Auguste e legittime quella di Savoja, e l'altra di Borbone, l'una tradendo ed ingannando, l'altra calunniando e detronizzando, quella setta che insuperbita della efimera sua vittoria, disse il Papato è morto, le Monarchie son finite, vedrà tra non guari trionfanti il Papato e le Monarchie, e questa Italia risorgere bella, giovane, forte e temuta all'ombra Augusta della Religione di Cristo, e del Dritto!!!

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, IP autra vota ve ne scappasteve tanto de pressa, che nce restasteve comme a tanta totere...

Trov. Vuje avite da scusà, pecche se ne jette pure D. Criscenzo, e ntra nuje sule de che chiacchiarejavamo?

Caf. Avite ragione. Onne mo che nce dicite?

Trov. Tutte le ccose vanno benone.

Ann. Ma pe lloro o pe nuje?

Trov. Nò pe lloro, e né pe nuje, ma pe la justizia e la verità.

D. Crisc. Benissimo, Si Tore, avete detto una parola d'oro.

Ann. Non credo che lo ddicite co lo core...

D. Crisc. Anzi lo dico con tutto il cuore, poiché le cose vanno tutte bene per la giustizia e la verità...

Ann. Allora lloro signure ve potite accommenzà a preparò lo bauglio...

Caf. E la vorza de viaggio...

Trov. Chiano, chiane.

D. Crisc. Come, come? Noi prepararci alla partenza? Avete sbagliato... Noi anzi resteremo padroni assoluti di tutto perché gli altri partiti, col trionfo della giustizia e della verità, scompariranno.

Trov. E ccomme, neh D. Criscè?

D. Crisc. Perché la libertà ch'è la verità e la giustizia li farà scomparire.

Ann. Neh e sta libertà che fosse mo lo ddiceva...

Caf. Chello che è, è, parlammo d'autro, pecché si nò lo incigno accommenza a ffeti...

Trov. Neh, D. Criscè, comme s'è agghiustato lo fatto de lo Commento che se voleva piglià lo Munecipio a Roma?

D. Crisc. Oh per bacco credo che a quest'ora il signor Ministro francese avesse avuto una buona lezione.

Trov. Neh, neh, e da chi?

D. Crisc. Dal nostro governo.

Ann. E lo governo vuosto chi è?

D. Crisc. È il padrone in casa sua.

Ann. Lo ssaccio, tante grazie. Ma lo fatto comme è ghiuto?

Caf. Lo fatto è chisto. Roma essenno la cità de lo Papa, ogne Nazione nce tene Commiente suoje, li quale songo de chella Nazione, onne so proprietà de chella Nazione e nisciuno lo pò annià; lo governo taliano essenno che mo stà isso a Roma, se vò piglia sti Commiente, pecché dice che so robba soja...

D. Crisc. Forse non è vero?

Caf. Lassateme fernì, tutte le ppotenzie anno ditto, chià... chiste non so li tuoje, sò li nuoste... e ànno mpeduto a lo governo de piglià possesso...

Ann. Ànno fatto l'obbreco lloro... che se credevano li librare de trovà sempe l'erva molla de lo 1860?... Vi che galantuommene! lo teneno dinto a lo sango de fà li sonature de cembalo... e comme è fernuto lo fatto?

Trov. Comme à da fernì! lo Menistro francese à fatto caccià fora la porta duje Commessane de lo governo che ghiettero à piglià possesso de no Commento...

Ann. Scusate s'è poco... na piccola co lo limone... Sciacqua, scià...

D. Crisc. Si, ma vedrete che ne accadrà...

Ann. Me lo ffiuro... ve mettarrate la coda mmiezo a le ggamme, e ve jarrate a accoccià... cchiù de chesto?

D. Crisc. Faremo 1 remare il mondo...

Trov. Jate llà, che vuje n'avite fatto maje niente... Stative buone...

D. Crisc. Lo vedrete... Addio.

Ann. Guagliò, piglia lo sciosciamosche, e caccia sto pallone fora... Polecenella pure faceva tremmà lo munno, dinto a no piatto de vermicielle... Oh che trobbèa neh!

ANNO VI N. ° 108 Martedì 12 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

UN ALTRO SEQUESTRO!

Copia —Il P. M. vista la nota di pari data del Procuratore Generale presso la Corte di Appello richiedente il sequestro del N. 107 del giornale lo Trovatore pubblicato oggi stesso. Visto il giornale medesimo e specialmente l'articolo intitolato: È storia, che comincia L'ordine sapientissimo, e termina della Religione di Cristo e del dritto... Articolo che abbiamo come qui trascritto. Poiché in detto art. si fanno voti per la distruzione dell'attuale ordine Monarchico costituzionale, reato preveduto dall'art. 21 legge sulla stampa, 1 dicembre 1860 — Visti gli articoli 48 e 67 legge anzidetta. Chiede si devenga al sequestro degli esemplari del giornale incriminato, e s'inizi il relativo procedimento penale contro chi e come per legge. Napoli 9 settembre 1871. Biondi. — L'istruttore Letto il N. 107 del giornale Lo Trovatore, letta la requisitoria del P. M. Dacché all'articolo di fondo del giornale medesimo che comincia colle parole: È storia, e finisce colle altre della Religione di Cristo e del dritto, lo Trovatore si esprimono de'  voti per la distruzione dell'attuale ordine monarchico costituzionale, così visti gli articoli 21, 47 e 67 della legge sulla stampa del 1 dicembre 1860— Ordina procedersi al sequestro degli esemplari del detto Numero 107 del giornale lo Trovatore di pari data ed istruirsi. Commette al Questore di questa Città l'attuazione di detto sequestro. Napoli 9 settembre 1871. De Gennaro.

Ed ora che avete letto questo verbale, vi pare serio? Fra qualche altro numero la nostra risposta al Fisco.

LA SITUAZIONE D'ITALIA

Se ai giornali officiali e officiosi noi prestassimo fede, non vi sarebbe che la soia Italia dei Lanza, la quale si troverebbe in felicissima situazione, se ne eccettui qualche piccolo screzio tra i padroni, e qualche sterile conato dei comunisti i quali poi, al dire degli stessi giornali bene informati, non sono quei brutti diavoli che si vogliono far credere, ed anche che lo fossero, il governo è troppo forte per fargli porre il cervello a segno. Vi è puranche qualche cosetta circa allo stato finanziario dell'Italia, ma via, non è il caso d'impensierirsene; giacche una tiratura di carta moneta, un nuovo prestituccio forzoso, un aumento sino a 20 per 0|0 sulle rendite dello Stato, qualche aumento sulle altre tasse esistenti, e tutto facilissimamente sarà accomodato

Ma, (gridano i civettoni, e i brontoloni) non vi è dove più prendere, per pagare le tasse; a questa obbiezione risponde il giornale il Tempo di Roma, consigliando l'economia di famiglia; cioè ritagliare nella vita domestica. Voi siete usi a mangiar tre piatti? invece mangiatene due; avete carrozza? smettetela; avete due servi? mandatene uno. Avete un appartamento? restringetevi in un quartino. Volete farvi un abito nuovo? lasciate di farvelo, e così di seguito voi avrete bello e trovato il mezzo come poter pagare le tasse, e soddisfare la fame del Sella e compagni. Dopo tuttociò negare che l'Italia non sia all'apice del progresso, poiché all'apice della miseria, vai quando negare la luce del giorno. Ma di ciò ne parleremo a suo tempo.

Però se la situazione interna d'Italia è confortante, secondo gli ufficiosi ed i cointeressati, è poi brillantissima in quanto all'estero. Figuratevi che noi stiamo come pane e cacio con tutte le potenze, non esclusa la repubblica di S. Marino. Pensate che finalmente il nuovo dritto è stato riconosciuto dai due codini Imperatori di Austria ed Alemagna, dall'Inghilterra che lo à manifestato per l'organo del Times e dello Standard dietro una cambialetta a vista pagata dall'Italia, alla Direzione di quei due magni giornali; dalla Russia che teme d'alienarsi la nostra amicizia e cerca tirarci nell'orbita di un'alleanza da controporsi a quella della Prussia e dell'Austria, e dalla Francia (poiché il signor Thiers dietro le melliflue parole di Madama Rattazzi, la quale con il suo buonomo di marito sta a fare inchini e vezzi al vecchio Adolfo! à conosciuto che ornai l'Italia è, e dovrà essere, e perciò meglio aversela per amica, anzi alleata, che osteggiarla, con la certezza di una seconda invasione straniera in Francia, e forse vedere un Cialdini entrare glorioso in Parigi!!!

Dunque a conti fatti, noi stiamo meglio di tutti, ed è perciò che il Giornale di Napoli consacra un articolo su di un dispaccio dell'Agenzia Stefani, la quale assicura che a Gastein non si è parlato della questione Romana, ed i due Imperatori si sono intesi nel considerare detta questione, affare tutto proprio ed interno d'Italia. Al quale spiritosissimo articolo fa eco il figlioccio del Giornale di Napoli, il così detto Piccolo del 7 andante con un altro suo articolo di fondo intitolato: La quistione romana, dicendo che un telegramma da Berlino, ed un altro da Parigi vengono a rassicurare r Italia che ninno pensa a tentare di ritorglìerle Roma. E poiché tutto l'avvenire d Italia sta riposto sulle corde del telegrafo al servizio della Stefani, e sui debiti di miliardi, i creditori dei quali non mancano in ogni giorno pregare per la salute della loro debitrice, così, chi più felice e sicura d'Italia?

Ebbene, o lettori, rovesciate la medaglia adesso.

Il Piccolo dice che a rendere benevole verso l'Italia Austria e Germania, ed a farle godere la benevolenza coatta del governo francese contribuirono per novantanove parti su cento le condizioni generali di Europa. Dunque vuol dire che non si sta su di un letto di rose, che al tutto tutto ci si tollera per il momento, poiché le condizioni anormali dell'Europa tengono le potenze distratte altrove, ma l'anormalità dovrà finire, ed allora? Sarà il rendiconto, sicché per l'Italia nuova vi è sempre un conto d'aggiustare. Però il Piccolo toglie anche questo dubbio, dicendo: il dritto vecchio à per se l'autorità dell'antichità, una certa diplomazia, ma à radici così profonde che dee combattere immobile l'altro cioè il dritto nuovo è atleta inabile, à per arma l'interpetrazione, l'astuzia, l'equivoco e il tempo è del suo partito. Laonde il vecchio dritto che è la verità, essendo immobile, poiché la verità non cangia mai, dovrà soccumbere nella lotta col nuovo dritto che è la menzogna, e perciò l'astuzia dovrà vincerla sulla lealtà, l'interpetrazione sul retto senso, l'equivoco sulla verità... In altri termini l'Europa non dovrà più ispirarsi alla giustizia, ma alla forza bruta, ed allora messer lo Piccolo, consigliate ai vostri padroni di far bruciare i Codici, giacché non vi è Codice che tenga contro | la volontà della setta, la quale si è messa in testa di riformare da cima a fondo la società. Noi lasciando la piena libertà al Piccolo e Compari, di fantasticare alla lor posta, diciamo, badate che con l'astuzia e l'equivoco non si consolidano gli Stati, ed esempio ne sia il 2 Impero Napoleonico; si potranno fare felicemente delle rivoluzioni come nel 1860, ma poi?

Quando sarà passato il parosismo febbrile che con l'astuzia e l'equivoco si sarà fatto venire al popolo, e questi che corre sempre dietro l'utile reale, si accorgerà di aver sognato, diteci, come farete a far perdurare l'astuzia e l'equivoco? Caro Piccolo, andate un po' ad interrogare oggi le masse, e ne sentirete delle risposte che vi faranno venire la perniciosa, capite? Ma voi celiate, poiché sapete già meglio di noi a che si riduce tutto l'ottimismo vostro e dei vostri. Voi avete detto che due telegrammi ànno dissipato tutti i dubbi e tutti i timori dell'Italia, e noi vi diciamo che quei telegrammi o sono falsi, o travisati. Infatti la Gazzetta del Popolo di Firenze, parlando dell'alleanza data per probabile tra l'Italia e le potenze nordiche esclama: I calori postremi di una estate incominciata tardi, avranno riscaldato le fantasie, sino al punto da far credere a tale alleanza. Intanto la New frei Presse ci fa sapere che un vivo scambio di dispacci vi è tra Gastein e Firenze, poiché a Gastein si son prese misure definitive contro la rivoluzione e l'Internazionale, e perciò serie ammonizioni son giunte a Firenze... La Gazzetta scongiura il Governo d'Italia a non provocare con l'occupazione dei Conventi di Roma, l'intervento Europeo contro l'Italia tenuta ornai come certo che la quistione Romana è di carattere internazionale, e questo lo à detto il Venosta pria del 20 settembre, lo ripetono i giornali che ragionano e lo affermano le guarentigie stabilite per il Papa, comunicate a tutt'i gabinetti stranieri, i quali non si sono abbassati neppure di rispondere, che anzi ànno ordinato ai loro Ministri accreditati presso l'Italia di restarsene a Firenze o andarsene in congedo, mentre quelli accreditati presso la Corte Pontificia stanno al loro posto.

Che poi l'Italia dei Sella ignori perfettamente ciò che si è stabilito a Gastein lo confermano le parole della Sclewsche Zeitung, che dicono il governo italiano essere intenzionato inviare a Berlino un uomo di Stato per interloquire sull'attuale situazione politica.

Riepilogando, l'Italia oggi è compromessa... la diplomazia sta lavorando e molto, e buono. La guerra è minacciata sì dall'Austria, che dalla Francia...

Di qui non si sorte siamo al colmo volere, o non volere. Ancora qualche mese e si vedrà se la ragione sta dalla parte nostra, o da quella dei nostri avversari!... 0 l'Internazionale nel suo pieno e completo trionfo, o il Dritto de'  Re vittorioso; o l'equivoco fatto arte di governo, o la lealtà; o la menzogna, o la verità. Lasciare le cose come si trovano, vale lo stesso che volere la rivoluzione Europea in permanenza. Ciò è un assurdo, dunque?

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, vuje che state sempe co li signure de lo Munecipio nce sapite a ddicere ched'è lo fatto de lo Spitale de li pazze de la Madonna de ll'Arco?

Ann. E ched'è? li pazze mo stanno alla Madonna de ll'Arco? io sapeva che da lo 1860 a mo chille che stevano a Averza non erano cchiù li pazze, pecche chiste stanno pe la cita, mà non sapeva che fossero jute a la Madonna dell'Arco...

Trov. Gnernò, Siè Nnarè, avite da sape che lo Munecipio de Napole pe fà economia levaje na porzione ie pazze d'Averza e li mannaje a la Madonna de ll'Arco...

Caf. E ccomme manco li pazze ponno stà cojete.

D. Crisc. Si fece per economia e per vantaggiare quegli infelici...

Ann. Che carità pelosa!

Trov. Sentite mo ch'è soccieso. Marniate llà li pazze quase 70 de lloro, fujeno trattate comme animale, economia «coppa a lo mmagnà, ncoppa a le mmedecine, malo ddormì, co gente pe li guarda che non ne canoscevano niente. A lì miedece passavano 40 lire a lo mese, vedite comme se potevano curà chille disgraziate; e lo farmacista nientemeno era uno che non sapeva manco addò steva l'antaceto e ll'uoglio de ricene... e co tutto chesto, mmece de fà economia ncoppa a cchello che se spenneva ad Averza, addò ogne pazzo veneva a ccostà na lira e meza a lo juorno, s'è fatto lo recarcolo che a la Madonna de ll'Arco ogne pazzo costa doje lire a lo juorno...

Ann. Che ve pare, la refola non ce ll'avite da mettere, chi è cchillo che fà niente pe senza niente? Mo nce anno!o tiempo... diceva lo pecuozzo nfaccia a lo guardiano che se voleva fà li denare: Prió fraveca... Avisa chi autro sciammeria scosuta a'  aveva fà quacche casale teccove che subeto li compagne che stanno ncanneliero ll'anno trovata la massaria co fà lo Stabelimento de li pazze a la Madonna de ll'Arco...

D. Crisc Queste sono calunnie, ed è il repubblicano Nicotera che muove tutte queste quistioni...

Caf. Oh mmalora 1 li cane se pigliano a morze ntra lloro.

Ann. Chesto soccede pecché ogneduno se vorria afferra ll'uosso mmocca...

Trov. D. Criscè, io non canosco sto signore Nicotera, pecché co chesta gente non me la faccio, ma quanno sento a n'ommo che difenne lo ghiusto, io dico che là n'opera bona... D. Criscè, v'arricordate quanno nuje facettemo chillo articolo ncoppa a li fatte de la Madonna de ll'Arco? tanno chi nce voleva arrostere chi nce voleva magnà... e ntanto, avevamo sì o nò ragione nuje?

D. Crisc. Allora foste ingannati...

Trov. Nò, tanno non dicettemo tutto chello che sapevamo.

Ann. Ma si mo starnino a chi arrobba arrobba?

Caf. E ntanto che s'è conchiuso mo?

Trov. Che s'à da conchiudere? Hanno visto che lo Nicotera cantava de bona voce, e ànno ditto: và buono de chesto ne parlarrammo a porte chiuse...

D. Crisc. Giustamente, che volevate si fosse fatto uno scandalo?

Trov. Addonca nce sta lo ffraceto sotto, si nò pecché non trattà sto fatto a pporte aperte, onne lo princisbecco l'avesse ntiso?

Ann. Si Tò, e pò che soccedeva? la colata se fà dinto a la casa, quanno non se vò fà sape la lordizia de li panne... Ah, Si Tore, Si Tò, nce volarria na granoliata comme a cchella ch'à fatto lo mese passato pe coppa a tutte li Mulecipie...

Caf. Non ce poteva essere na camorra cchiù birbante de chesta de li Mulecipie che spogliano la gente, e fanno ova quinnece e grana cinquanta...

Ann. Chesta è la bella libertà, li peducchiuse che portano lo rilorgio, e chi teneva lo rilorgio, non tene manco cchiù le scarpe a li piede...

D. Crisc. Sempre il solito, ho capito. Addio.

Caf. Ma se li fatte sò chiste, comme se po annià?

Trov. È la cancrena che stà nn'ogne cosa: quanno lo governo che è la capo è guasta, comme volite che le ccose jessero bone? Santa notte.

ANNO VI N. ° 109 Giovedì 14 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

NOI ED IL FISCO!

Fedeli alla nostra promessa, eccoci a rispondere al Fisco per il sequestro fatto al N. 107 del nostro giornale di sabato, incriminando l'articolo di fondo intitolato: 15 storia! Quello articolo fu dal Fisco definito: Un voto di distruzione dell'ordine Monarchico costituzionale. Giammai obbliqua definizione di questa maggiore, potevasi aspettare dal supremo Magistrato, vigile scolta della verità e della legge, cui non dovrebbero far difetto la sapienza e la conoscenza della storia del proprio paese, né velo allo intelletto, passione di sorta. Chi si asside ove posa l'adamantino suo trono la Giustizia, scevro esser deve di prevenzione di parte. La Giustizia come la verità d'onde emana non à colore, non appartiene a chicchesia, essa è di tutti e per tutti uguale e perfetta, e quindi premio e punizione cader debbono egualmente sopra chi merita o delinque, né altrimenti potrà essere, essendoché la giustizia è riflesso di Dio quaggiù. E quando la malvagità umana invade il santuario di lei, allora quei popoli e quelle Nazioni che ànno la sventura di nutrire i violatori, gemeranno sotto l'incubo di una umiliante e capricciosa tirannide usurpatrice del posto della giustizia, ed allora? La verità vien conculcata, la lealtà punita, la storia rinnegata, la tenebra è detta luce, e la luce tenebra... Ed eccoci, o Fisco, proprio al caso nostro.

Fin da quando mossi da santo sdegno per le. iatture della patria nostra scendemmo combattenti sul campo della incruente pugna, e con la penna vergine di servo encomio e di codardo oltraggio, imprendemmo a smascherare i turpi inganni, le officiose menzogne, le gratuite calunnie contro tempi, uomini e cose, giurammo a noi medesimi non essere di alcun partito, e liberi pubblicisti in libero paese siceramente ci credemmo, forti del dritto dello Statuto, nei cancelli tenendoci della legge, per sei anni tetragoni fummo ai vili conati della aizzata piazza, alle minacce di temuti potenti, alla violenza del domicilio, al carcere, e sinanco alla terribile tentazione di venderci ai favoriti dalla fortuna, o almanco desistere dalla missione impostaci volontariamente di difendere i dritti del popolo, il suo onore, la sua fede. Laonde noi persistiamo tuttavia nel pericoloso agone sotto l'usbergo dei sentirci puri... Ed ora esaminiamo. di volo l'articolo incriminato. Esso incomincia dal dimostrare la genesi, la natura e gli effetti del vero progresso civile cristiano, e ponendolo a riscontro del nuovo progresso decantato da una serqua di utopisti malvagi, il bene del primo espone, il male del secondo svela. E comeché, il sommo Vico insegnava: Ogni civile progresso emana da Dio, così Dio, lo scrittore ponendo come causa prima la Chiesa perciò ed il papato indicava come base del vero progresso, e quindi il Dritto e la legittimità non già nel senso ristrettivo, come à voluto supporre il Fisco, ma in quello generale. Se dunque asserir questo, significa far voti per la distruzione dell'ordine Monarchico, noi dobbiam dire che il Fisco o non à letto, o à trainteso l'articolo incriminato... Ma vi ha di più. L'Articolista a brevi sghizzi ricordando le perverse teorie di quella setta, la quale tiene per mandato la truce bestemmia di strangolare con le budella dell'ultimo dei preti, l'ultimo dei Re, ne enumera i tranelli, e le inique arti, le insidie e le vituperevoli calunnie, sfolgorando la menzogna in difesa della verità, ponendo così in guardia il popolo ingenuo contro le trame degl'internazionali. È questo un voto di distruzione contro l'ordine Monarchico? Risponda chi à un lume di ragione... Ma eccoci giunti alla parte dello articolo che à sì violentemente urtata la suscettività del Fisco. Un brano di storia patria. Una verità detta con coraggio e senza orpello, un ricordo spassionato che più della storia scritta, sta nella pubblica coscienza di nove milioni di uomini, nel progresso, nella civiltà, nei monumenti dello già Reame di Napoli. Se severe furono le nostre parole, se franchi i nostri apprezzamenti, se inflessibile il nostro giudizio, così dettavaci la coscienza, poiché al cospetto di un popolo, ed alla maestà della storia poi non si mentisce, o Fisco, no... E chi osa farlo piacenteria è uno stolto, chi per vendetta partigiana gli è un codardo. Se dire dunque la verità, se ricordare la storia costituisce un reato di stampa, ed un voto di distruzione contro l'ordine Monarchico costituito, ci sarà permesso domandare all'onorevole Fisco in che sta la libertà di stampa, in che la libertà d'opinione? Se la verità e la storia cadono sotto le censure fiscali è uopo inferirne che la libertà della parola e della penna è monopolio di un partito, e perciò le leggi son; ma chi pon mano ad elle? Ed allora quale rispetto, quale ubbidienza, quale fede si avrà nello Statuto, base fondamentale dell'attuale ordinamento politico? Dicesi e ripetesi esser tutti liberi, ma i fatti non corrispondono alle parole. Liberi non già i Cattolici che si giunge a chiamarli internazionalisti neri, ma liberi i protestanti, gli ebrei, i cultori della Dea Ragione, gli atei, i scribacchiatori di libelli, i bestemmiatori del cielo e della terra, i nemici dei Re, i panegiristi dei petrolieri di Parigi...

Fisco il dilemma è questo: o si cancelli lo Statuto, o la libera parola non deve essere una privativa. Fisco, un governo che à la coscienza di se, non imbavaglia la stampa onesta, poiché ama la verità e non à ragione a temerla... Fisco, in Inghilterra il governo non incrimina un giornale perché à detto la verità sia, anche contro di lui... In Francia... ove vi e una repubblica stabilita dai rappresentanti del popolo, sanzionata e riconosciuta, circola liberamente fin nell'aula dell'Assemblea Sovrana l'opuscolo di Monsignor Segur, intitolato Viva il Re... e dai pergami si giunge a perorare la causa della Monarchia... E nella Italia, a civile e libero reggimento retta, si pone il veto all'onesta stampa solo perché à per programma Dio, Verità, Patria, Dritto?... Ed in ogni articolo di essa stampa vuolsi vedere dagli occhi lincei del Fisco un crimine contro la Monarchia e l'ordine attuale?... Si, è ben vero che in Italia avvi una parte della pubblica stampa che batte in breccia a demolire il Trono ed il governo, ma essa non è la cattolica, è quella vostra, quella lautamente sovvenzionata dal governo, quella ispirata da qualche Ministro, e collaborata da deputali, quella che oltraggia il nostro santissimo Pontefice, che dilania la storia, che inganna i popoli, che addenta svergognatamente alle reputazioni sacre di Augustissimi Personaggi, e vile, villana, rejetta spruzza la lurida bava sinanco sull'immacolato onore di eccelse regali Signore... L'è questa, o Fisco, la stampa che per sicurezza dello Stato, per dignità del governo, per venerazione alla Casa regnante, per rispetto alle leggi, per altissimi riguardi stranieri dovreste incriminare... Ma essa si lascia libera sbizzarrirsi, in guisa che abbiam viste mura della Città nostra tapezzate di cartelloni indicanti la prossima pubblicazione in appendice in un libello infamatorio, sporca speculazione di un vituperevole giornale il cui nome di Tempo ben si attaglia alla sua indole facinorosa, poiché in malvagi tempi siamo, e solo quando un sordo fremito d'indignazione sentissi in mezzo al popolo, dai questurini vennero tolti quei sporchi annunzi, mentre la infamante bugiarda appendice quel lubrico giornale sta pubblicando in Roma, e da Roma circola in tutta l'Italia e fuori... Sono quelle laide infamie, quegli oltraggiosi insulti a tre Case reali e regnanti tra le quali questa d'Italia che voi, o Fisco di Roma e di Napoli avreste dovuto proibire severamente. Ed in verità qual differenza vi corre tra il linguaggio dei comunisti petrolieri di Parigi, con quello del giornale comunista e petroliere di Roma? I Comunisti di Parigi se anno vituperato il governo dell'ex Imperatore, non anno però addentato all'onore domestico di queir uomo, né gettato il fango sulla reputazione di una Signora la quale come donna va sempre rispettata. Era serbato al Tempo di Roma di sorpassare in infamia i petrolieri di Parigi, ed un governo che si dice Monarchico e civile, Ministri che si dicono fedeli alla Dinastia, zelanti della dignità del proprio paese lasciano impunemente vilipendere da sozzo canagliume la fama altissima di eccelsa eroina, innanzi a cui riverente ammiratrice inchinasi l'Europa civile e per la quale noi Napoletani serbiamo in petto culto di amore e di venerazione imperituro oggi piucché mai che l'aureola della Maestà della sventura cinge la serena e regale sua fronte... Fisco, era qui forza che doveva resistere la legge... poiché l'infame libello non ombreggia neppure il fulgore delle eminenti virtù di S. M. la Regina Maria Sofia, ma offende nella calunnia la casa Augusta d'Austria del di cui governo l'Italia anela l'amistà, e teme con ragione lo sdegno della Real Casa di Baviera, ornai trapotente in quella Germania che dall'Italia si adula e si teme e finalmente della Real Casa di Savoja con cui è apparentata l'Augusta Casa dei Borboni di Napoli...

Noi siam certi che se nelle mani di Re Vittorio Emmanuele capitasse lo svergognato giornale, egli non esiterebbe un istante solo a sfolgorare l'indegna condotta del Fisco di Roma...

Oh, se i Re costituzionali potessero conoscere la verità senza orpello!... Fisco, ora che con tutto il rispetto dovuto alle leggi del paese, ed al vostro alto rango vi abbiamo detto la nostra parola rude ma sincera, vi domandiamo farci tradurre innanzi al Magistrato; ivi la coscienza dei giurati e la giustizia udendo l'articolo da voi incriminato, pronunzieranno il loro verdetto, ivi si deciderà se noi fummo rei di voto di distruzione dell'ordine Monarchico, o sivvero vittima siamo in ispecial modo a preferenza di tutti i nostri confratelli di Napoli di una inqualificabile persecuzione che emana da preconcetto spirito di parte ponendo in rovina le nostre esili finanze: giacché noi essendo affatto indipendenti non abbiamo né fondi, né sovvenzioni da alcuno, capite, o Fisco?... E quando saremo assolti chi ci indennizzerà, o Fisco, dei danni sofferti? Chi ci pagherà i debiti che ci avete costretti a fare per dare il pane alla nostra famiglia da voi toltole a furia di sequestri del giornale, unico mezzo che il favore e la simpatia del popolo ci mantiene, mercé cui onestamente ricaviamo 1 obolo del sostentamento? Chi, o Fisco? Quando viceversa la stampa libertina divora o alle spese segrete del governo è della setta, tradendo il paese e compromettendolo con le potenze estere, tanto che nell'Italia Monarchica si osano dare alle stampe libelli come quello del Tempo, quandoché nella Francia repubblicana viene incriminato un opuscolo scritto contro Napoleone! Ecco come una Nazione forte, un paese che si rispetta opera... imparate!

E dopo ciò, o Fisco, noi aspettiamo tranquilli il giorno della nostra causa... Allora noi ci presenteremo innanzi ai Magistrati, innanzi al popolo Napoletano e ad alta voce diremo: Si è vero siamo rei di voto di distruzione, ma distruzione delle ingiustizie, della menzogna, della calunnia, del vitupero, del furto, della demagogia, dell ateismo. Noi adoriamo Iddio, veneriamo il Pontefice, rispettiamo i Re, Trono ed Altare, Patria e Civiltà, Giustizia e Dritto; ecco ciò che vuole il Trovatore. Ora spetta a voi a giudicare!!!

LO TROVATORE.

ANNO VI N. ° 110 Sabato 16 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

ED UN ALTRA OPERA SI DISTRUGGERÀ

La mania ili tutto distruggere non è peranco cessata, e poiché Napoli nostra oscuro paesello fosse, ogni antica sua grandezza vuolsi distruggere, ed i monumenti di sua passata dominazione abbattere, perché niente ne resti di quella che fu... La vandalica ed improvvida misura è già presa, già colassù óve tra i vortici del delizioso fumo di un zigaro (han mica quelli che la benemerita Regia dà a fumare a noi). gli spumanti bicchieri dello Champagne, e la spensieratezza si è discussa ed approvata dai Rappresentanti della Nazione la  distruzione dell'Arsenale Marittimo di Napoli, e la trasformazione e vendita del Cantiere di Castellammare, e con ciò oltre della perdita di quegli Stabilimenti che tanta cura e spesa costarono al cessato governo, oltre che perdendo quelli Napoli perderebbe la sua stazione Militare marittima, fa difesa del suo porto e tutti quei vantaggi che con se arreca l'esistenza di un Arsenale, e di un Cantiere, quanto si avranno cacciati sulla strada da circa 4mila operai, e perciò strappato il pane a 4 mila famiglie, ed aumentato il numero non piccolo degli affamati e malcontenti, tra i quali la vigile Internazionale troverebbe larga messe da raccogliere. Noi nel leggere l'Opuscolo scritto appunto per confutare le sonore ciance del sig. Curti, il quale è capo di una combriccola di speculatori stranieri, la quale niuna arte tralascia niun mezzo rifiuta perché il governo addivenga a cederle i due Stabilimenti Marittimi, facendo eco a quanto con robustezza di argomenti e la logica dei fatti, l'autore dice, uniamo alla robusta sua voce anche la nostra povera parola, affinché quest'altra sventura non incogliesse a questa Napoli, cui da undici anni se ne sono tante accumulate, che sé una città conquistata essa fosse stata, pure sariasi meglio trattata. I fautori della distruzione dei due Stabilimenti si ostinano a strombazzare che tolto a Napoli l'Arsenale Marittimo le si creerebbe una posizione magnifica dal punto di vista commerciale, poiché all'Arsenale piccolo ed incommodo si sostituirebbero i Dock-Entrepot in dove i lavoratori non solo dell'Arsenale, ma altri ancora s'impiegherebbero con materiale vantaggio di lavoro e mercede. Seducenti promesse, ingannevole prospettiva, brillante utopia la quale, anche contessa la sincerità e rettitudine delle intenzioni di chi le fa, pure per cento difficoltà note non note non potrebbonsi tradurre in atto. E quindi sarebbero parole vuote di effetto. Che Napoli per il taglio dell'istmo di Suez sia destinata a divenire un grande emporio commerciale marittimo lo sappiamo, ma sappiamo altresì che l'Arsenale al il Cantiere sono per essa necessari, e la loro distruzione, mentreché per nulla vantaggerebbe le condizioni commerciali, sarebbe un l'atto vandalica ed impolitico. Diciamo questo con la coscienza di quello che diciamo. Non ci si venga a rispondere che impiantando i Magazzini Generali, osia i Dock-Entrepot non si risentirebbe da Napoli la perdita del suo Arsenale, questo è uno assurdo. Non ci si dica che convertendo l'Arsenale a Dock-Entrepot si avrebbero molti vantaggi, ma ci si risponda invece che si vuol distruggere, e noi saremo d'accordo.

L'opuscolo da noi citato confutatore di quello del Curti a josa matematicamente à dimostrato come nel locale dell'Arsenale non si possono impiantare i Magazzini generali, se fare i Dock, per la innegabile ragione della picciolezza dell'Arsenale, e della sua posizione topografica. Quando invece sì à la marina di S. Giovanni a Teduccio che magnificamente si presta. Le ragioni edotte dall'opuscolista sono incontrovertibili, e solo si potranno combattere e scartare dal capriccio ed ostinazione maligna. Se poi sta incancellabilmente scritto che tutto ciò da cui Napoli ritrae vantaggio e lustro devesi distruggere allora i Napoletani ànno dritto a dir, fummo traditi!

E quando un popolo acquista la coscienza di essere stato tradito, è come quando voi togliete le dighe ad un fiume, se esso straripa, allaga e distrugge, di chi la colpa? Ma è prudenza con questi chiari di luna d istigare così il popolo, digià scontento? Ma è possibile che per vantaggiare gl'interessi particolari di speculatori che come uno stuolo di voraci cavallette ci son caduti giù sulle spalle, debbasi manomettere l'interesse del popolo e la grandezza di una città come Napoli? Ma che fosse questo un preconcetto e stabilito disegno di punire questa città e questo popolo? In undici anni di quanto Napoli à perduto qual compenso le si è dato? Torino, Firenze, Genova ànno avuto e tuttavia anno compensi immensi, ma Napoli? Nulla, proprio nulla. Napoli non appartiene all'Italia che solo per tasse e balzelli, solo per dar campo agli speculatori di fare i propri affari; Napoli, pei signori che ci governano non à importanza alcuna, essa è un paese di provincia e niente di più... Oh, quanto vorremmo e potremmo dire... Ma la storia e la verità urtano i nervi di qualcuno, e quindi noi taciamo.

Ciò posto, raccomandiamo al Municipio di Napoli, e ai deputati meridionali di non permettere questo nuovo vandalismo di distruggere l'Arsenale di Napoli, ed il Cantiere di Castellammare, poiché triste conseguenze ne potrebbero venire, ed allora? Ci si pensi...

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, comme se và?

Trac. Secunno vò Dio...

Ann. ho ssapimmo, ma de certo che se dice?:

Trov. Che le ccose s'anno d'agghiustà e ssempe nfavore de la Cchiesia, de lo Papa e de li Rrj...

D. Crisc. Sino ad un certo punto...

Ann. Che bonora, D. Criscè, vuje ve site sbitato? Marame, manco no punto ncuollo ve sape dà chella capo d'aciello de la mogliera vosta?

D. Crisc. Vi prego credere che io non ho bisogno di punti.

Ann. Vuje mo IP avite ditto... e lenite sta mpigna! pecché quanno se parla de librare, chiste anno lo previlegio de te né na faccia de cuorno propio stravecchia...

Caf. Nzomma, Si Tò, li fatte qua songo? % Trac. D. Criscenzo ve li ppò di...

D. Crisc Quello che so io non garba a voi altri, perché voi non volete veder la luce?

Ann. Nce stanno tanta lume alluminato, e dici te che non potimmo vedè la luce? E che nce avisseve pigliate pe cecate a nnuje...

Trov. Ma qua sarriano le nnotizie voste, D. Criscè?

D. Crisc. Avete saputo che a Gastein l'Imperatore di Germania e quello di Austria, anno rifiutato trattare della quistione di Roma, poiché àn detto che essendo quella una quistione tutta interna, apparteneva perciò alla sola Italia?

Ann. Comme vene a di, D. Criscè!

D. Crisc. Vuol dire che dei Papa nessuno s'incaricherà, e quindi è un affare tutto particolare tra lui e l'Italia.

Ann. Si Tò, è possibele tutto chesto? Ma che fossemo arrivate a la fine de lo munno? E se chesto è bero; nn'aggio piacere che venesse na trobbeja...

Caf. Sarria no scannalo pe io riverzo munno... Embè, tutte li cattuolece de la Germania e de il Austria se nne stanno zitto zitto?

Ann. Avarranno perzo tutte quante le fforze e la virtù... Io ll'aggio ditto ca chi de na manera e chi de n'autra anno perzo tutte la capo?

Caf. E fosse su lo la capo, quanto perdarranno quacche autra cosa...

Trov. Ahuf... m'avite fatto veni io dolore de capo co ste cchiacchiere sciacquate che state facenno vuje...

D. Crisc. No, essi ragionano.

Ann. E pecché sò sciacquate, neh Si Tò? Avite ntiso che à ditto D. Criscenzo?

Trov. Se fosse vero chello ch'à ditto D. Criscenzo... ma lo fatto è tutto a la smerza...

D. Crisc. Questo!o dicono i giornali clericali...

Trov. Gnernò, D. Criscè, se me date lo permesso ve dico chello che m' anno ditto cierte perzone liberale, e che sanno le ccose veramente...

D. Crisc. Parlate, cosa vi anno detto?

Ann. Uh, Si Tò, pozzate stà buono chiacchiariate, pecché D. Criscenzo mo me faceva veni na sempreca.

Trov. M'anno ditto che a Gastein se so combinate li tre Murature, pecché è overo che chillo de Russia non c'è stato mperzona, ma mperò canosceva lo ttutto, addonca se sò combinate pe dà no caucio a la rivoluzione...

Ann. Sia lodato lo Cielo... ah... lassarne sospirà. Signò, dalle forza a cchille piede...

D. Crisc. Falso, falso, falsissimo.

Caf. Chesto è cchello che dicite vuje...

Ann. Che site no cuorpo de verità a la smerza... vi co che mattonella se nn'era venuto stasera D. Criscenzo! nce voleva fa ntorzà ncanna chella nzalatella de trippa che nce stà aspettanno, dannoce chella notizia... Jate llà, D. Criscè, pecche vuje autre librare avite da fà comme a la cecata che canta canta e pò schiatta, nsarvamiento nuosto...

D. Crisc. No, creperanno tutti i preti e gli speranzuoli.

Caf. E che nce trase Ciccio co lo panaro? Chi à parlato de prievete e speranzuole..

Ann. Allora restarranno tutte li sciacqua marmitte e le mappine, accossì potarranno fà una aunione co lo cancaro che se li roseca.. Vi, comme stanno mberrezzute. guè? Acqua, a... jettateve a mare, se pure lo mare ve vò...

D. Crisc. Con voi non si ragiona, vedrete i fatti. Addio.

Trov. Sperammo de li bedè, pe v'allicordà lo trascurzo de stasera... Santa notte.

Caf. Ha da veni la scogna de le nnuce...




































Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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