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MEMORIA sulla controversia

PER L’APPALTO DEGLI ZOLFI DELLA SICILIA.

ITALIA

1840

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Eleaml.org - Dicembre 2016

MEMORIA

sulla controversia

PER L’APPALTO DEGLI ZOLFI

della Sicilia.

Mentre che mille voci or assurde, ora esagerate, or menzogniere circolano sulla discussione ch’ebbe testé luogo nel Parlamento Brittannico tra il Visconte Melburn Capo di quel Gabinetto, e Lord Lyndhurst, uno de’ più stimabili Pari dell'Inghilterra, in proposito del contratto dal Governo di Napoli consentito con la Compagnia Taix Aycard e C. per lo spaccio degli zolfi che si producono in Sicilia, e mentreché i politici da caffè ed i pubblicisti da bigliardo, fumando sbadatamente i loro sigari, dettano sul merito di cotal discussione opinioni e sentenze da far sganasciar dalle risa lo stesso piagnoloso Eraclito, evocando dalle loro tombe, in appoggio de’ loro strani giudizi le ombre venerande del Grozio, del Puffendorfio, del Wattel, e quanti altri geni hanno quaggiù irradiato l’ardua ne potrebbero avere nella dissamina di un patto qualunque le dotte lucubrazioni del Vico o le profonde meditazioni del Montesquieu, in questo mentre, ripetiamo, non ci si opponga ad ardire se ancor noi, scaldati non da altra passione che dall’amore del vero e del retto discendiamo a rompere la nostra lancia in questa lizza di pseudo-filosofi Licurghizzanti.

Dopo questo preambolo eccoci all’opra.

Fra i tanti doni di cui fu prodigo il Cielo in verso Sicilia vi ha quello dello zolfo.

Appena che la chimica moderna giungeva a sollevare alcuni lembi di quel folto velo che cuopre gl’immensi segreti della Naturale segnalava quel minerale come uno de’ più potenti ausiliari delle sue conquiste, non potea non accrescersene la ricerca, e con essa il valore-—E fu tale questo incremento che per parecchi anni formò la principale delle risorse di quell’isola.

Però l’avidità del guadagno facea velo al giudizio de’ produttori; perciocché, specificandone al di là de’ bisogni del progresso dell’arti, seguir ne dovea di conseguenza il ribbocco, e con esso il ristagno e la depreziazione — Ma questo lamentabile effetto della sconsigliatezza de’ proprietari non valea a metter modo alla loro cupidigia; poiché nello stesso avvilimento del valor commerciale di esso ben di raro non si giungeva a covrire le spese della sua specificazione, e ad ottenerne un profitto, il quale, per quanto più diveniva esiguo, per altrettanto so-» spingeva i produttori ad accrescere la massa della produzione, onde rinvenire nella somma di questa lo equivalente agli antichi utili. Da ciò la enorme moltiplicazione delle zolfaje, e con esse la dissipazione di questo preziosissimo minerale.

Fu avvertita la scioperatezza de’ Siciliani, e non furon lenti taluni in volgerla a loro esclusivo beneficio — A malgrado infatti della stagnazione del genere non mancarono giammai gl’incoraggiamenti agli scavi, e i capitali per alimentarli; ma il prodotto della terra e delle braccia Siciliane, barattato a vil prezzo per la sproporzione fra la concorrenza e i bisogni del commercio, andava ad ingrossare i depositi di Marsiglia e di Liverpool per aspettare che il tempo ne avesse centuplicato il valore.

Fu verso quel torno che qualche sapiente avvertiva facessesi senno non essere lo zolfo, un genere che si riproduce; poter giungere a forza di dissiparlo il giorno del suo esaurimento; essere urgente economizzarne lo spaccio anche nella veduta di elevarne e di sostenerne il prezzo; accogliersi come benedetta quella legge che a tanta bisogna provvedesse.

Il Governo da buon padre di famiglia vegliava su gli andamenti della fortuna del suo popolo; e poiché fu convinto che le voci di quei sapienti trovavano eco bella maggioranza de’ meglio intesi delle economiche discipline, sedutamente si accinse a meditare su la ricerca di un provvedimento che avesse risposto a quel voto, e che in pari tempo avesse conciliato i divergenti interessi della produzione e dello spaccio, ed i dritti della proprietà privata e del pubblico bene.

Varie proposizioni si compilarono in pria in Sicilia, e quindi in Napoli. Bandissi alla fine il Real Decreto del 10 luglio 1838 con che venne approvato il suddito contratto con la Compagnia Taix.

Mettendo da banda le voci degli stolti e de’ fanatici settatori delle astratte teoriche di economia, li quali imprecano la maledizione su ogni specie di vincolo, foss’anche consigliato dalla più palpabile necessità delle cose, dimentichi dell’esempio delle nazioni le più opulenti del Mondo, le quali una volta bruciavano la sovrabbondanza del prodotto delle loro Colonie di Ceylan e delle Molucche per non invilirne il valore, e che oggi si circondano di privilegi e di esclusioni forse più odiose del monopolio, mettendo, dicevamo, da banda queste voci e queste maledizioni, egli è certo che il contratto Taix ha procurato degl’incalcolabili vantaggi alla classe de’ produttori degli zolfi.

Limitata, ma con dei compensi la produzione; circoscritta ad un prezzo invariabile, e bastantemente plausibile la vendita; assegnato a ciascun produttore un proporzionale indennizzamento per dover differire una maggiore specificazione del prodotto delle sue miniere; attinta nell’interesse del pubblico bene della Sicilia una risorsa in questa intervenzione governativa, son queste le conseguenze che scaturiscono dal contratto in esame, e che hanno notabilmente migliorato la fortuna di quella classe di cittadini.

Quei proprietari infatti i quali pria di quel contratto non vendevano lo zolfo che a carlini dodici il quintale e meno, or lo vendono a carlini ventiquattro: quello zolfo che già era per la sua sovrabbondanza ristagnato su i mercati, or comincia, per la ben’intesa economia della sua circolazione allo straniero, a divenire raro, e perciò a ricercarsi, e ad ottenere un progressivo accrescimento del suo valore di permutazione: quella finanza, la quale era indifferente' spettatrice di questo immenso traffico, i cui profitti andavano a concentrarsi presso le altre nazioni ha stipulato una prestazione di 4oo m. ducati all’anno, con che ha potuto alleviare uno de’ più pesanti balzelli, che gravitano sul popolo Siciliano.

Che se questi felicissimi risultamenti non bastano a convincere i sistematici detrattori di ogni operazione governativa della palpabile utilità del contratto in discorso, nell’interesse de’ proprietari delle zolfaje, ci serviremo dell’energico argomento, con che Napoleone rispondendo ad alcuni legati provava la esistenza della Repubblica Francese — La Repubblica Francese, ei diceva, è come il sole: è cieco chi non lo vede.

Non vi ha oramai nel Mondo chi ignori i motivi che sospinsero il Napolitano Governo a stipular quel contratto— Con esso, anziché organizzarsi un monopolio nel fine di procurare al Tesoro una pingue risorsa, non altro si ebbe in pensiero che accordare a’ Siciliani ed agli stranieri stanziati in quella parte de’ Reali Domini un attestato novello della paterna sollecitudine del Re per lo miglioramento delle loro sorti, e delle economiche condizioni di quel paese, ch'è pure la patria sua.

Erano più anni che con indirizzi frequenti i proprietari delle zolfaje fervorosamente invocavano la interferenza del Governo, onde nell’interesse generale si regolasse lo sbocco di questa produzione, la quale perché non si riproduce và soggetta ad esaurimento, e perché costituisce una prerogativa pressoché esclusiva del suolo Siciliano sorte dalle regole ordinarie della scienza economica. Anzi fra primi ad invocare questa interferenza furonvi parecchie case Inglesi di commercio quivi stabilite, le quali erano divenute. o proprietarie, o conduttrici a lungo tempo di miniere di zolfo.

Ciò non pertanto non mai il Re di Napoli deliberossi a concedere che questo articolo venisse posto sotto la immediata tutela del Governo, siccome ne veniva da’ produttori scongiuralo, se pria non si convinse d’essere unanime quel desiderio; d’esser desso la sincera espressione de’ bisogni del tempo; di poter quella tutela tornare a beneficio de’ produttori in particolare, e della Sicilia in generale.

E questa convinzione ei l’otteneva, meno dalla perseveranza degli interessati ne' loro reclami, che dalle opinioni pressoché concordi di tutti i Corpi Consultivi dello Stato.

E qui giova osservare che fra parecchi di questi Corpi, come sarebbero il Reale Istituto d’incoraggiamento, e le Camere di Commercio di Palermo e Messina, vi siedevano, per come ancor vi siedono, de’ proprietari e de’ negozianti Inglesi.

Che ben siansi avvisati i produttori di zolfi ad impetrare la interferenza governativa, e che questa abbia lor procurato de’ positivi vantaggi, ella è questa una verità oramai pur suggellata dall’esperienza i di questa suprema maestra delle cose, innanti alla quale le più solide dissertazioni del saggio e del filosofo si convertono in sogni infermo, o in fole di romanzo.

È bastato appena un anno perché quel genere, di cui per la sconsigliatezza de’ produttori e per la ingordigia de’ speculatori stranieri erano sfattamente abjette le condizioni da non lasciare più lucro, o lucro meschinissimo alla proprietà ed alla industria Siciliana, siasi doppiato di valore e nell’interno dell’Isola e ne’ mercati del Mondo.

E che questo stato di cose sia sotto ogni risguardo conveniente a’ produttori, e che sarebbe per essi esiziale che cessasse, chiaro lo dimostrano, non che gl’indirizzi di ringraziamento, che vennero a di costoro nome rassegnati al re all’apparire del sudetto Decreto del 10 luglio 1838, ma quei che di recente una deputazione da’ medesimi a bella posta in Napoli spedita ha deposto a' piè del trono onde neutralizzare le doglianze, che da parte degli altri rami dell’esterno commercio sono state segnalate contro questa speciale protezione accordata all’industria de’ zolfi: doglianza cui il Re nella sua alta giustizia, siamo assicurati, che abbia prestato la conveniente attenzione; si che sta meditando su i modi più acconci, per mettere, se sarà possibile, in armonia tanti divergenti interessi, ed evitare che il favore accordato ad un articolo di produzione possa volgersi a detrimento degli altri, ed inaridire alcuna delle fonti della pubblica prosperità.

Nella qual meditazione sarà esaminato profondamente in qual maniera abbia la compagnia Taix soddisfatto a’ suoi impegni, e si farà tesoro de’ lumi che lo sperimento di un anno e mezzo di questo sistema di protezione sarà per apprestare.

Se il Re, nella posizione in cui stavano gli zolfi. pria del sudetto contratto, avesse voluto inchinar l’animo più all’interesse passeggiero della sua finanza,. che al vantaggio permanente di una classe de’ suoi sudditi, vantaggio, che dovrebbe di necessità riverberare su la pubblica fortuna, ben avrebbe potuto rinvenire in quella effrene mania de’ proprietari degli zolfi, di specificarne e di esportarne oltre il bisogno del commercio, una pingue risorsa pel Regio Erario.

Pochi carlini di dazio sulla loro esportazione sarebbero stati sufficienti a procurare a quest'Erario parecchi milioni di entrata; ciò che avrebbe potuto apprestargli la seducente opportunità di alleviare in proporzione gli altri pesi, che gravitano su la Sicilia.

Ma il Re di Napoli ha rinunziato volentieri alf efemera gloria che gli avrebbe procacciato somigliante misura; pércioché mal si adagia a’ dettami della giustizia distributiva che i carichi dello Stato non equabilmente si sopportino da tutti gli ordini de’ cittadini in proporzione della proprietà, e della industria rispettiva.

Che se il governo stipulava nel sudetto contratto il premio di 4oo m. ducati all'anno, ciò più presto che attribuirsi a consiglio d’interesse finanziere, veniva imposto anche dalla necessità di bilanciare, 'per quel verso, la parte degli utili possibili dell’intrapresa, che non era assorbita dalle eventualità, cui era soggetta,e da’ vantaggi, che dessa assicurava a’ produttori.

E di vero qual si fu il destino dato a quel premio? Quello di stare in luogo di una rata del macino; di quel macino, che affetta più aspramente le classi povere del popolo Siciliano.

Dopo questo rapidissimo cenno della origine e dello scopo del contratto Taix fa veramente meraviglia come Lord Lyndhurst abbia potuto asserirò, ed il Capo del Gabinetto Inglese ammettere, che desso sia stato immaginato nel fine di favoreggiare (son loro parole) una compagnia di avventurieri Francesi col sacrifizio de’ propri sudditi, è di impinguare l’Erario del governo—E questa meraviglia è tanto più forte per quanto più profondo è il convincimento che siffatte imputazioni non avrebbero dovuto giammai uscire dalle labbra di uno degli organi della legislatura Brittannica, i di cui nazionali sono stati più di quelli di ogni altro paese partecipi de’ benefizi di questo sistema di tutela.

Ma per venire più d’appresso alla dissamina delle speciali querele, di cui il sudetto nobile lord facea echeggiare la Calmerà de’ Pari d’Inghilterra, egli è innegabile che, comunque si voglia definire il contratto Taix, non ha desso neppur per ombra vulnerato alcuno de’ principi del dritto internazionale, su cui riposano la sicurezza e la indipendenza degli Stati.

All’ombra di questo dritto ogni Governo purché sì j conformi a’ patti del suo politico regimento, è nella piena libertà di provvedere come più gli sembri conveniente alla sua interna amministrazione; né fia mai che altri possa chiedergli conto delle misure, ch’ei creda all’uopo di adottare, e molto meno di muover lamento pe’ sacrifizi (fosseranche tali) ch’ei giudichi espediente d’imporre a se stesso.

Pare che quel nobile Lord, penetrato della resistenza che avrebbe opposto alle sue pretensioni questo teorema. di ragion comune, abbia sentito il bisogno di coprirle col manto di un dritto, ch’ei crede essere al suo Governo garentito dal trattato del 26 settembre 1816.

Questo manto però mal covrirà il vero carattere di esse, che si è quello di volere impedire il libero esercizio dell’azione governativa nell’interna amministrazióne di una parte degli Stati del Re di Napoli, in altri termini, di dettar consigli o precetti nella casa altrui; ciò che di certo non è. mica sopportabile.

Si duole primamente Lord Lyndhurst che il contratto Taix importa violazione dell'art. 5. del sudetto trattato; essendoché con questo articolo fu promesso ché i sudditi Brittannici residenti nel Regno delle Due Sicilie «potranno disporre (ecco le parole del trattato) delle loro proprietà personali di qualunque natura, e denominazione per vendita, donazione, permuta, o testamento, ed in qualunque altro modo, senza che si rechi loro a tal effetto il menomo ostacolo o impedimento».

Esaminato da capo a fondo il sudetto contratto noi non abbiamo potuto scorgere in qual parte di esso si contenga la denunziata violazione.

Si limitò, è vero, nell’art. 3. a due terzi dell’ordinario la fusione degli zolfi e la loro esportazione; ma questa limitazione, ch'è la base del sistema di protezione, che si volle adottare, si ebbe de’ compensamenti sifattamente generosi che non si sa comprendere come la si possa risguardare pregiudizievole al diritto di proprietà.

L’esperienza di più anni avea dimostrato che l’eccesso della produzione era l’unica causa dell’invilimento del prezzo di essi. Perché questo stato cessasse facea mestieri metter la produzione a livello delle richieste: e questo fu fatto.

L’evento, rispondendo all’aspettazione del Governo, pastificò pienamente quella misura, alla quale or si vorrebbe attribuire la qualificazione di arbitraria. Gli zolfi, da carlini dodici a quintale in cui si aggiravano; furono venduti alla Compagnia al prezzo medio di carlini ventiquattro, e lo saranno finché avrà vigore il contralto.

Quei fra’ proprietari che avean chiose, per la cessazione del profitto, le loro zolfaje, le hanno riattivate. Quella parte di produzione, ch’è stata aggiornata, si ebbe la indennità di carlini quattro a quintale, somma equivalente al terzo del suo valor primitivo; di talché a capo di tre anni ogni produttore, mentreché ne avrà incassato l’intero prezzo, proseguirà ad esserne il proprietario, ed a riscuotere quella indennità, la quale potrebbe col tempo decuplarne il valore.

Or come la limitazione, di che trattiamo, potrà coscienziosamente qualificarsi per attentoria al dritto di proprietà? E per analizzare più da vicino la condizione de’ sudditi Brittannici, che sono divenuti proprietari, o fìttajuoli di zolfaje in Sicilia, chi potrà fra essi dolersi di buona fede d’essere stato leso da siffatta limitazione? Si ritenga per esempio che costoro solevan produrre quintali trentamila all’anno di zolfi.

Da questa proprietà non vi è chi contrasti che fino all’attivazione del contralto Taix. eglino non ne ritraeano che scudi trentamila all’anno.

Limitata a soli quintali ventimila la produzione, eglino ne hanno riscosso scudi quarantamila per la quantità prodotta, e scudi cinquemille perdicciotto mesi di aspettazione di quella non prodotta; ciò che forma un accrescimento di fortuna di ben quindici mille scudi da un anno all’altro all’incirca. E si osservi che intanto tengono sempre in serbo quel terzo di produzione differita, la quale nel computo dell’accrescimento del loro patrimonio figura per l’equivalente in moneta.

Ora se questi sono gli effetti della limitazione dianzi discorsa; se questi effetti, lungi di aver menomalo, hanno sì pinguemente accresciuto la loro fortuna, con qual fondamento, e quanta giustizia può il loro Governo dolersi d’essersi opposto ostacolo col sudetto contratto. all’esercizio dedotti inerenti alla proprietà de’ medesimi? Ma quand’anche la sudetta limitazione del dritto di proprietà non fosse stata, come il fu nella fattispecie, largamente retribuita, non vi ha Nazione, la quale non l’ammetta ne’ casi in cui il pubblico vantaggio lo esiga; senza che da essa se ne inferisca, nell’interesse de’ proprietari stranieri, la infrazione di quei trattati, che siano per avventura intervenuti fra i di costoro Governi e quello nel cui territorio ciò avvenga.

I vincoli de’ trattati non possono compromettere la esistenza delle Nazioni a nome delle quali si consentono—-La più ampia e la più generosa intelligenza, di cui sian suscettibili le clausole, che dessi racchiudono, non può mai importare una mostruosa ineguaglianza nella condizione de’ due popoli che ad essi si sottopongono.

Lo straniero che divien proprietario in alieno territorio per questo solo fatto immedesima le sorti della sua proprietà in quelle di tutti gli altri proprietari del paese; e sarebbe assurdo il pensare ch’ei possa nelle pubbliche emergenze, le quali reclamino il sagrifizio di una prerogativa qualunque, riputarsi in una posizione per così dire privilegiata, e godersi i benefici, cui tendono le limitazioni, senza risentirne i pesi.

E lo stesso Governo di S. M. Brittannica in reiterate congiunture non ha potuto non riconoscere la evidenza di questi principi, intendendo come subordinate ad essi le stipulazioni del trattato del 26 settembre 1816.

Infatti per proteggersi le nascenti fabbriche dei cuoi, e per impedirsi ad un tempo la distruzione de’ boschi fu vietata, per la Sicilia la esportazione della così della scorza di quercia—stata in tante occasioni interdetta in questa ed in quella parte di que’ Reali Domini, per prevenire la penuria delle sussistenze, la esportazione de’ cereali—Or bene, non mai il Governo Inglese ha mosso doglianza per cotai divieti col pretesto che dessi fossero restrittivi del dritto di proprietà de’ suoi sudditi, li quali posseggono boschi e terre seminatorie nel regno delle Due Sicilie; dritti di proprietà ch'erano ugualmente ad essi garentiti dal tantevolte invocato trattato.

E qui si noti che anche la Francia e la Spagna vantano de’ trattati esattamente conformi a quello che ricorda Lord Lyndhurst e che in Sicilia vi son sudditi di quei due Governi che posseggono ampi boschi e vaste terre a coltura. Eppure né la Francia, né la Spagna si son mai dolute di quelle restrizioni.

E cotesto silenzio di tutte e tre le Potenze segnatane del medesimo trattato non è l’interpetre il più fedele della vera intelligenza delle clausole di esso, che or si vorrebbero stranamente commentare? Si duole in secondo luogo l’oratore Brittannico che il contratto Taix contenga un monopolio a beneficio di una compagnia di Francesi; nel che essendogli sembrato di scorgere un esclusivo favore per degli Stranieri, vi ha rinvenuto la infrazione dell'art. 4 del suddetto trattato, in cui il Re di Na poli promise che il commercio Brittannico in generale ed i sudditi Brittannici, che l’avrebbero esercitato, sarebbero stati trattati ne’ suoi domini sul piede delle Nazioni le più favorite.

Anche questa doglianza a noi sembra poco solida e nel fatto e nel dritto. Nel fatto; percioché le reciproche concessioni, convenute nel ripetuto contratto, non ebber per oggetto l'esclusivo favore di una compagnia di Francesi. Questa compagnia a quel tempo non avea né materiale né legale esistenza: dessa dovea formarsi in seguito, e quindi a’ termini delle leggi costituirsi e niun vietava che vi avesscr preso parte anche i speculatori e i capitalisti Inglesi come quelli di ogni altra Nazione.

Il solo patto, che in ordine alla partecipazione de’ possibili benefici dell’intrapresa, venne in termini di esclusione adjetto nel suddetto contralto si fu quello di riserbare il quarto d’interesse di essa pei proprietari e fittajoli delle zolfaje; nella qual categoria vi eran di certo compreso i sudditi Brittannici residenti in Sicilia, che si fosser trovati in alcun modo impegnali in quel ramo d’industria.

Or questo patto, non solamente non potrebbe fornir pretesto a reclamo, ma dovrebbe anzi apprestar materia al gradimento del Governo Britannico; percioché il favore speciale, che in quella intrapresa, alla quale avrebbero potuto associarsi i sudditi di tutte le Nazioni dell’universo, il Redi Napoli serbava pel suo popolo, lo rendea comune anche a’ proprietari e fittajoli Inglesi in Sicilia residenti. . in dritto; percioché intraprese di cotal natura, il cui felice successo può essere attraversato da moltiplici eventualità mal possono meritare il nome di concessioni graziose, di contratti privilegiati, od altre simili largizioni da rendere ineguale la condizione de’ concessionari rispetto alle altre classi de’ cittadini ed a’ sudditi delle altre Nazioni.

Se cosi fosse, tutti i Governi, li quali si trovino vincolati da qualche trattato pari a quello che liga l'Inghilterra e le Due Sicilie, dovrebbero escludere dalle intraprese d’industria e di commercio, che si vogliano attivare ne’ loro rispettivi territori, i sudditi delle altre Nazioni, sol perché, aggiudicandosi ad alcun di costoro la intrapresa, si verrebbe a vulnerare quella eguaglianza di favore, che sarebbe stata promessa nel trattato.

Ma questo principio di eguaglianza non è stato cosi interpetrato da verun Governo; e la Francia, la Germania, il Belgio, la Russia, e la stessa Inghilterra offrono mille esempi di concessioni di somigliante natura accordate a degli stranieri.

E qui è opportuno rimembrare ohe il Governo di Napoli a poca distanza dall’epoca del contratto Taix accordava al sig. Bick suddito Inglese la concessione per la ricerca e per lo scavo di parecchie miniere, che si suppongono esistenti in alcune di quelle provincie; senza che questa concessione abbia eccitato la gelosia ed i reclami del Governo Francese.

E qui cade pure in acconcio sovvenirsi che la Francia, la quale consuma quasi altrettanto zolfo che l’Inghilterra, e che ha de’ suoi nazionali stabiliti in Sicilia per esercitarvi il commercio, non ha fatto neppur sembianza di volersi dolere del provvedimento adottato dal Governo Napolitano per sovvenire la proprietà e l’industria Siciliane.

La terza doglianza per la quale Lord Lyndhurst menò tanto rumore nella sua virulenta aringa, risguarda il danno, cui egli asserisce d’essere soggiaciuti gli speculatori Inglesi per non avere avuto il tempo di realizzare le loro speculazioni in corso pria dell’attivazione del contratto Taix; sì che buon numero di bastimenti, ch’erano stati a bella posta spediti, in Sicilia per levarne de’ carichi di zolfo, si dice, che siano tornati affatto vuoti al porto d’ond’erano partiti. .

Pria di tutto non sta scritto in alcun trattalo, né vi ha legge che obblighi i Governi a bandire, nell’interesse del commercio straniero, con anni di anticipazione i provvedimenti che giudichino necessari ed utili al benessere delle Nazioni cui sono preposti.

I danni che da una inattesa legge finanziera possono derivare alle speculazioni in corso, costituiscono una delle eventualità d’ogni intrapresa commerciale: né la Gran Brettagna, nel doppiare le sue tariffe per le merci che provvengono da’ domini del Re di papali, ha mai fatto prevenirne gli armatori e i speculatori del regno delle Due Sicilie.

Ciò non pertanto l'animo benigno del Re trovò regolare di accordare al commercio il termine di un mese pria di mandare ad effetto le stipulazioni del sudetto contratto, malgrado che in questo intervallo ben molte fraudi avrebbero potuto commettersi per distornarne in parte lo scopo.

Ma è poi vero che il commercio abbia ignorato le innovazioni, che andava, a subire questo ramo di produzione e di esportazione?

O niuna, o poche leggi sono state in. questo regno precedute da maggiore pubblicità, e da più generali e profonde investigazioni di quanto lo fu l’anzicennato Decreto del 10 luglio 1838.

Sia dal 1833 il principio, che fu con questo Decreto consacrato, formò il soggetto di reiterale discussioni''del Reale Istituto d’incoraggiamento di Palermo: negli anni appresso interessò, comunque in opposte sentenze, l’attenzione delle Camere Consultive di Commercio: più tardi ne fu interrogata una Commessione de’ principali proprietari di miniere e di zolfaje: da ultimo venne su lo stesso provocato il parere della Consulta Generale.

Or come ammettersi che il Commercio abbia ignorato le novità, che in quelle pubbliche discussioni si preparavano?

Che se i commercianti Inglesi, inebriati forse da colossali guadagni che si procuravano à danno della proprietà e della industria Siciliana, abbiano voluto in questa circostanza spregiare i consigli della prudenza, proseguendo à speculare alla cieca in questo articolo, senza por mente che da un giorno all’altro avrebbe potuto prevalere il sistema di regolazione, che i produttori sin dà più anni sollecitavano, ne incolpino loro medesimi, e rammentino che gli speculatori dette Due Sicilie non poterono avere il conforto d’incolpare se stessi, ma le sole vicissitudini del commercio, allorquando riseppero che il subitaneo accrescimento de’ dazi su la importazione in Inghilterra de’ più ricchi prodotti della loro patria, o paralizzava, o mandava a totale rovina le loro speculazioni.

Ecco a che si riducono le pompose declamazioni del dotto Pari d’Inghilterra: ecco in che consistono le sognate violazioni del trattato del 26 settembre 1816, la violazione del dritto di proprietà de’ sudditi Brittannici, la manomessione del loro commercio e tutte le altre poco misurate incolpazioni, con cui ei si fè lecito di oltraggiare un Governo, che in tutte le vicende politiche dell’Europa ha mai sempre dato alla Gran Brettagna le più luminose prove di deferenza, di favore, e di disinteresse.

Ciò non pertanto é pressoché generale credenza, e noi volentieri la dividiamo, che il Governo di Napoli ristia alacremente versando nella investigazione de’ mezzi legittimi, mercé i quali ripossa soddisfare alle nuove esigenze che il vantaggio delle altre classi de’ suoi sudditi ha fatto sorgere dopo l’esecuzione del sudetto contratto; nella quale investigazione serbiamo fiducia che non isfuggiranno alla sapienza del Re i desideri di commercio in generale, per come siamo convinti ch’Ei sarà per trascegliere quelli che non vengano in collisione con la sua dignità, con la indipendenza della sua corona, e col suo officio di supremo tubare della fortuna del suo popolo.

Le diatribe del cavillo e del maltalento potranno trionfare; ma il loro trionfo è appena di un giorno; poiché al cospetto della pubblica opinione non vi ha illusione che soffochi il sentimento innato della verità, e della giustizia.

Italia 1840






















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