Eleaml - Nuovi Eleatici



DE' FATTI POLITICI DI RE FERDINANDO II

fino al mese di agosto 1857

PER TERENZIO SACCHI

NAPOLI

STAMPERIA DI RAFFAELE GHIO

Vico S. Girolamo delle Monache

Agosto 1857.

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Luglio 2016

Prefazione

Essendoci oramai dato riportare a più certe e provate deduzioni le nostre brevi note su’ fatti del governo di Re Ferdinando II, non vogliamo tacere delle trepidazioni avute nel pubblicarle.

Noi dubitammo della contraddizione non pe' fatti contestati, che avremmo potuto più distesamente mostrare, ma per il valore, che non siamo per voler sconoscere, degli uomini di maggior merito, i quali avessero potuto ancora, per convinzione o ad arte, sostenere come principio il dettato della rivoluzione, che aveva mentito i diritti violati dell'umanità e quello che veniva detto giudizio dell’Europa; e dubitammo maggiormente, che la contraddizione fosse mài riuscita a travolgere il fine, col quale contestavamo la solidarietà, in cui erano specialmente 1 Imperatore de’ Francesi ed il governo della Regina d’Inghilterra, in ordine alle pubblicazioni del partito della rivoluzione, che usa il nome di democrazia, le quali per allora attaccavano più direttamente il Re di Napoli.

Nè eravamo ancora securi de’ termini in cui il Signore W. E. Gladstone avesse accolto il nostro leale indirizzo; comeché non avessimo mai dubitato, che l’illustre Uomo di Stato dell’Inghilterra, in qualunque differenza di principi ci fossimo avvenuti, fosse stato per ricusare la verità de’ fatti e le più certe sue deduzioni.

La stessa indipendenza, con la quale ci accingemmo all’aringo, era una trepidazione. Imperocché, ad eccezione di un solo tra gli Uomini più ragguardevoli del nostro paese, il cui giudizio volemmo avere per nostra propria sicurezza, non potevamo far comuni con alcuno né il principio dal quale eravamo mossi, né la personale risponsabilità che assumevamo.

Ora, affrancati da ogni incertezza, riproduciamo le nostre note, con un’appendice nella quale, annodando quelli, che al finire del mese di Gennaio contestavamo come fatti del governo di Re Ferdinando Il nelle attuali circostanze, agli avvenimenti succeduti, li riporteremo a più certe e provate deduzioni .

ALL’ILLUSTRE SIGNORE

W. E. GLADSTONE

MEMBRO DEL PARLAMENTO INGLESE

Non potendo retribuire che della mia lealtà le generose cortesie di cui dall’eminente suo posto in una grande Potenzasi, è degnata onorare anche le nostre differenze di adempio ad un dovere di sentita gratitudine indirizzandole queste brevi rude, che nelle attuali circostanze mi fo a pubblicare su’ fatti del governo di Re Ferdinando II in queste, ch’Ella ha chiamato interessanti ed illustri contrade (deeplv interesting and illustrious countrv).

Con l autorità del suo nome, la verità de’ fatti che non può essere contraddetta sarà più rassicurante. In quanto a me sarò molto contento se, non potendo essere di pieno accordò co' suoi principi, potrò esserlo almeno pe' fatti che mi è dato contestare.

Pregandola, Signore, a voler gradire questo attestato di profondo rispetto, ho l’alto onore di dichiararmi

Napoli Gennaio 1857

Suo umilissimo cd osservantissimo

Terenzio Sacchi

Nel ritoccare i fatti del governo di Re Ferdinando II, che cominciano dagli ultimi mesi dell’anno 1830, dobbiamo riportarli alla proporzione de’ tempi e degli avvenimenti, per poterli contrapporre con più certe deduzioni a quelle che li avessero sbagliati o mentiti. Nè ricusiamo render ragione di queste brevi note; sol che saremo affrancati dal dubbio di essere mai in opposizione del nostro animo di non nuocere ad altrui, e del nostro dovere di non offendere o pregiudicare alerò diritto che deve essere sperimentato co’ mezzi propri. Noi adunque non faremo che chiarire i fatti, che ci è dato contestare.

I.

Non giovi dissimularsi, comeebè anche questo fatto anteriore a’ tempi che discorriamo avesse le sue note che ne rendon ragione nella storia, che dalle deplorate vicende politiche dell’anno 1820,  se già non fossero più deplorate le sopravvenute nell’anno 1848, il governo aveva dovuto intendere maggiormente alla sicurezza dello Stato; quando il giovine Principe, da che ne resse innanzi tempo il governo da Vicario generale dell'Augusto suo Genitore, ebbe una convinzione propria, per la quale, anzi che tener dietro alle apprensioni destate dalle sette che non desistevano dall’attentare alle sorti degli Stati, volle piuttosto conoscere i mali che le passate vicende politiche avevano aggravato su lo stato delle persone e delle famiglie e su le condizioni dello Stato e delle popolazioni: egli non seppe e non volle dubitare, che i mezzi del benessere e della prosperità avessero potuto provveder meglio alla tranquillità ed alla sicurezza dello Stato. E scendendo con questo animo, che nel sorriso della vita non è ancora turbato dall’esperienza degli uomini e degli avvenimenti, su di un terreno che ha pure le sue spine, sperò poter essere per più lunghi anni il braccio fedele della matura saviezza e della purissima pietà dell’amato suo Padre e Signore; se la morte non avesse troncata questa più lieta sua speranza.

Re Ferdinando II adunque ascese al Trono sul finire dell’anno 1830, mentre che gli avvenimenti succeduti nello stato politico della Francia e quelli a cui le cospirazioni si spingevano in più vicini Stati dell’Italia, i quali se non produssero movimenti nel Regno pure vi destavano le attitudini delle ambizioni, ispiravano apprensioni ed incertezze maggiori negli uomini ch'erano a capo dell’amministrazione dello Stato; se pure qualcuno non avesse mostrato maggior debolezza.

Pure il giovine Re non lasciò distogliere il suo animo di un più felice governo; che anzi ebbe un’altra convinzione, alla quale fu principalmente condotto da quella morale religiosa, ch’era profondamente e sinceramente scolpita nel suo cuore. Egli ebbe per vero, che non avesse potuto intendere a' possibili miglioramenti di cui erano capaci le condizioni del Regno, o piuttosto i miglioramenti che vi poteva portare non avrebbero soddisfatto l’animo suo, senza aver prima disacerbato le sventure che delle passate vicende politiche lamentavano ancora non poche famiglie, e disgravato le popolazioni del Regno delle maggiori contribuzioni imposte di conseguenza delle vicende medesime, affidandosi poterne estinguere sino le memorie ed i rancori.

Niuno, nel vero, avrebbe osato allora suggerire, se non fosse stata una sua irresistibile volontà, l’atto Sovrano pubblicato a’ 16 Dicembre 1830 in favore di coloro, che per reità politiche erano condannati o sottoposti a giudizio, in esilio o in prigione, destituiti o esclusi dalle cariche ed impieghi pubblici, o altramente inabilitati da esigenze della sicurezza pubblica; la quale sua Sovrana indulgenza fu poi ben altra cosa che una semplice amnistia. I più elevati posti dello Stato, a cui non dubitò portare sino ne’ suoi Consigli coloro che erano riabilitati e rimessi nella carriera delle cariche ed impieghi pubblici, ed i mezzi di avvantaggiare le proprie condizioni che con maggior favore ha agevolato alle persone che aveva restituito alle loro desolate famiglie, sono fatti di più singolare magnanimità che la storia non può sconoscere; comeché da questi medesimi fatti la storia fosse ancora condotta a dover distinguere i nomi delle più onorevoli persone, nelle quali il merito e le virtù che Ferdinando II ha contraddistinto eran veri ed han fatto più luminose prove ne’ tempi e negli avvenimenti succeduti ; e quelli di coloro, che si posson dire uomini sbagliati per quanto han dato luogo a disinganni e sono stati ancora ingrati al loro benefattore, i quali possono essere obliati, se non saranno ricordati dagli stessi avvenimenti che la storia dovrà consecrare con verità.

Col maturo consiglio poi degli uomini di certo merito e di provate virtù che prescelse a suoi Ministri , cominciò dal dettare le maggiori restrizioni nelle spese dello Stato, senza escluderne gli assegni della così detta lista civile, ed in quelle delle province de’ comuni e degli stabilimenti pubblici, diminuendo proporzionatamente le contribuzioni che erano caricate su’ consumi più necessari della vita e su la gente povera. Le quali restrizioni, se da prima parvero eccessive e quasi più risentite delle stesse contribuzioni diminuite, dovevano riordinare, non che la economia dello Stato aggravata di debiti che furono pubblicati, quella delle diverse amministrazioni speciali, sì che han potuto poi formare i mezzi per la esecuzione di più benintese opere di pubblica utilità.  Non è da sconoscere come, tra quelli degli Stati inciviliti, sieno più larghi e certi gli ordinamenti dell’amministrazione civile del Regno delle due Sicilie. Tuttavia Re Ferdinando II, che dopo que primi atti del suo governo si rivolse più securo a’ miglioramenti che avessero potuto avere le condizioni dello Stato e delle popolazioni e lo stato delle persone e delle famiglie, volle con un esempio, che se non è affatto nuovo forse non ne ha maggiori nella storia, dare di propria opera una più diretta ed estesa azione, se potremo cosi esprimere questo maggior fatto che discorriamo, alla così delta centralizzazione; nella quale l’illustre Guizot, alla cui maggiore autorità debbon cedere le meno illuminate opinioni che han potuto parlarne in controsenso, ha notato essere l’Europa moderna, siccome egli si è espresso, entrata naturalmente e quasi per istinto, senza poter disgiungere la idea di quello che ha chiamato potere centrale dalle stesse dottrine de’ cosi detti governi rappresentativi.

Si fece Re Ferdinando II a volere egli stesso, non curando il proprio disagio anche ne’ maggiori rigori delle stagioni, conoscere lo stato delle popolazioni nelle diverse regioni de’ suoi Reali Domini, i miglioramenti ch’era possibile portarvi, la proporzione dell’utilità e de’ danni che poteva essere addotta o contrastata da’ diversi interessi, i più illuminati mezzi di facile e secura esecuzione  le persone di merito e di qualità maggiori che potevano esser degni della sua Sovrana considerazione, recandosi ancora di sua Augusta Persona presso gli uomini che onoravano il paese . Nè ò a ridire come avesse più accomunato con l'Armata, che aveva comandato prima di salire al Trono ed ha voluto egli stesso esercitare nelle militari manovre, dai soldato che vi si doveva addestrare sino agli Uffiziali di maggior grado, i cui nomi onorano medesimamente l'Armata ed il paese.

Ed è risaputo ancora, o non può essere contraddetto, come le leggi del Reame delle due Sicilie ordinassero i consigli delle speciali amministrazioni ed i più alti consigli dello Stato; sì che, anche a confronto delle forme rappresentative con le quali si è preteso costituire i governi, possano essere securi o meno incerti negli atti e nell'azione del governo i principi del diritto, i più estesi lumi delle scienze, le più certe conoscenze delle condizioni alle quali vengono applicati gli uni e gli altri; la quale prova, ch'è maggiormente vagliata da fatti che discorriamo, non possiamo prolungare, perché ci condurrebbe fuori luogo ad una più grave disamina di principi.

Solo notiamo pel nostro proposito due fatti, cioè: 1.° Che Ferdinando II ha avuto almeno la buona volontà di portare, non che ne’ suoi consigli, nelle più importanti cariche e specialmente nella magistratura giudiziaria, gli uomini di provato merito e di contestata morale, se pure avesse potuto taluna volta esser tratto in errore; e gli avvenimenti successivi han reso giustizia alle prime scelte, che il Re fece specialmente dei suoi Ministri. 2.° Che con più larghi principi il suo governo non ha solamente concesso ma invitato, specialmente le persone che han professato le scienze applicate alla statistica e le dottrine economiche, a pubblicare le loro considerazioni, le quali avessero potuto illustrare i più importanti interessi dello Stato; nel quale aringo sono venuti ancora i più onorevoli uomini del governo quasi per voler rendere ragione de’ suoi atti: ciò che notiamo, più come un fatto del governo di Ferdinando II, che per voler dare ragione delle opere pubblicate.

Sarebbe assai lungo riportare la serie degli atti più importanti del governo di Re Ferdinando II la quale è pure discorsa in altre note . Sono gli stessi fatti, onde sono migliorate le condizioni dello Stato e delle popolazioni e lo stato delle persone e delle famiglie, che non possono sconoscere la loro origine ed i loro titoli; se pure altri, che potesse meno contestare i fatti medesimi, volesse far dubitare dell’incremento che ha avuto la materiale e morale prosperità del Regno negli anni del suo governo.

Ma noi non possiamo preterire, se non dovessimo più contestare, i principi che Re Ferdinando II ha seguito nelle sue re azioni di perfetta intelligenza e di leale amicizia, che ha conservate ed estese con le Potenze, chè non dovrebbero più dirsi straniere; se questa voce, che prende origine da più remote ostilità che sono state tra le nazioni, non dovesse esprimere il principio della indipendenza politica, col quale è costituito il loro stato, e sono ordinati i diritti di nazionalità di ciascuno Stato, che oramai guarentiscono le condizioni e gl’interessi delle persone nelle più lontane regioni della terra, dove ogni giorno si estendono maggiormente e con più facili mezzi di comunicazioni le relazioni ed i commerci della vita.

Re Ferdinando II, ch'è venuto più volonteroso nell’aringo di stabilire col principio della più benintesa reciprocanza ogni specie di trattato internazionale ch'è stato possibile, onde la nazionalità del Regno delle due Sicilie è guarantita nel cammino de’ mari e sul territorio di altri Stati, che pure non sono più stranieri,  non ha avuto mai in mente dover essere in guerra con altre Potenze, di cui ha rispettato inviolabilmente i diritti per quanto ha ritenuto che dovessero essere rispettati i propri. Due fatti possono essere contestati da quelli stessi, che ora fossero per avventura disposti a contraddire questo principio del suo governo.

Altri non vorrà disdire, per quanto possa fornirne le prove, come Re Ferdinando II, nelle differenze internazionali che han potuto impegnarsi, avesse preferito convenirle all’amichevole, piuttosto che far turbare le sue buone relazioni con alcuna Potenza, e trarne le ostilità ne’ suoi Stati.  ché se la contraddizione, senza rispettare né anche le Potenze con le quali fossero avvenute codeste differenze, ne volesse far dedurre che avesse ceduto alle imponenze della forza; i maggiori uomini della contraddizione medesima, che non sapranno rinnegare se stessi, possono attestare come Ferdinando II avesse nobilmente resistito ad ogni mezzo o arte adoperata, per trarlo ad estendere e far acclamare il suo dominio sopra altri Stati italiani, su’ quali potevano certamente prevalere le sue forze. Luminosa prova di più sani principi e di maggior senno, che Re Ferdinando II, ha dato da’ primi anni del suo governo, nell’età in cui le passioni sono più vive e meno considerate; comeché fosse stata poi principio d’ingiusti rancori di coloro che, per non aver voluto desistere da’ propri errori di cui non han potuto apportare convincenti prove, si sono sopraccaricati del torto di non aver apprezzato la virtù di Lui che, ricusandone i disegni, ha rispettato le persone.

Il terzo fatto che notiamo, il quale non può medesimamente essere contraddetto, è che Ferdinando II, nell’avere più specialmente riordinato l’Armata, non ha mai inteso ad estenderne le forze oltre le proporzioni della sicurezza e della indipendenza dello Stato; avendo avuto per principio, che le accidentali ostilità della guerra, le quali possono imporre maggiori esigenze, non dovessero aggravare senza necessità la economia dello Stato. ché, potendo ancora le più estese relazioni internazionali condurre ad altri ordinamenti della comune sicurezza degli Stati, non è a dubitare che codesti ordinamenti potessero mai sconoscere o attentare il principio della loro indipendenza politica.

Ma, avendo la civiltà de' tempi diminuito gli avvenimenti e le ostilità della guerra secondo che si sono estesi i principi e moltiplicate le relazioni di reciproci vantaggi tra le nazioni e sono state medesimamente assicurate le nazionalità degli Stati, la storia dello stato politico delle nazioni conta maggiori fatti di rivoluzioni, mosse negli Stati; le quali hanno avuto, anzi che il favore delle Potenze di altri Stati per quanto hanno una ragion comune, la influenza delle cospirazioni, più secure dove sono meno vigilate da’ governi o guarantite da meno ordinate libertà.

Il Vattel, dal cominciare della seconda metà del secolo passato, consecrava su questo proposito le seguenti parole: Attaquer laconstitution de l’État, violer ses lois, c’est un crime capital cantre la société; et si ceux qui s’en rendent coupables sont des personnes revêtues d’autorité, ils ajoutent au crime en lui-même un perfide abus du pouvoir qui leur est confié... Il est rare de voir heurter de front les lois et la constitution d’un État: c’est contre les attaques sourdes et lentes que la nation devrait être particulièrement en garde. Les révolutions subites frappent l’imagination des hommes, on en écrit l’histoire, on en développe les ressorts, on néglige les changemens qui arrivent insensiblement, par une longue suite de degrés peu marquis. Ce serait rendre aux nations un service important, que de montrer par l’historie combien d’États ont ainsi changé totalement de nature et perdu leur première constitution. On réveillerait l’’attention des peuples; et désornais, remplis de celle excellente maxime, non moins essentielle en politique qu’en morale, principiis obsta, ils ne fermeraient plus les veux sur despeu considérables en elles-mêmes, mais qui servent de marche pourà des entreprises plus hautes et plus pernicieuses.  

Non potremmo qui discorrere la storia, ch'è scritta a ribocco e con ogni più eccitata passione, delle rivoluzioni, che hanno maggiormente subito gli Stati tra la seconda metà del secolo passato, e la prima del successivo; le quali sono una riproduzione continuata delle stesse idee e degli stessi avvenimenti, oramai retroceduta anzi che progredita, se la seconda metà che contiamo di questo secolo sarà più gloriosa di certezza e di forza di principi.

Veramente Re Ferdinando II, se per il nobile suo animo può lasciar dire più il bene che ha voluto che quello che ha fatto, non può disdire di non averne conseguito tutto il risultato, che sperava. ché, nello stesso suo governo, le cospirazioni, riproducendosi coll’usato nome dell'Italia che dovesse progredire divenendo giovine, han cercato con più studiati artifizi, che sono ormai di ragion comune per disinganno di tutti, rendere medesimamente i Sovrani ed i popoli istrumenti insaputi della rivoluzione, che avesse dovuto abbattere i primi e soggettare i secondi. Ma, poi che le cospirazioni della giovine Italia si furono introdotte nel Regno e giungevano a muovervi parziali attentati di rivoluzione, Re Ferdinando II ebbe un’altra convinzione di necessità più che di animo, cioè:

che, per quanto le cospirazioni non potevano essere secondate dalle popolazioni, i loro attentati sarebbero stati agevolmente repressi dalle forze dello Stato, mentre che gli stessi atti del governo potevano smentire i contrapposti delle cospirazioni.

Il concetto fu felicissimo, perché era vero. Ma è necessario ancora seguirne le prove ne’ fatti che discorriamo.

II.

Quando la setta della giovine Italia, che nel 1837 era già da più anni introdotta nel Regno degli Abruzzi per la via delle Marche, com’è contestato dalle stesse sue rivelazioni, aveva potuto quasi diremmo far convenire, o piuttosto sopraffare la controprova, della ignoranza e degli abusi ne’ governi degli Stati italiani e della loro illiberalità, mezzi di trarre gli stessi Sovrani sulla via delle riforme, che per quanto si facevano ancora considerare come mezzi di miglior governo, non aggiungevano a’ più larghi principi co’ quali le leggi del Reame delle due Sicilie ordinano l’amministrazione dello Stato à dato un’azione più estesa e più certa; pure vi movevano le ambizioni che avessero potuto profittarne e le passioni che destavano. D’altra parte le forme de’ governi detti rappresentativi erano prevalute nelle opinioni se non ne’ principi; ed avevano ancora l’imponente esempio della Francia, dove erano rette da un Principe, a cui la storia non può negare le maggiori attitudini di Sovrano.

Tuttavia Re Ferdinando II non poteva esser secondo nell’Italia, se veramente le forme rappresentative avessero potuto guarentire la integrità de’ principi negli atti e nell'azione del governo; e non dubitò avanzarsi, col suo atto Sovrano del 29 Gennaio 1848, nelle riforme alle quali erano condotti i Sovrani di altri Stati italiani.

Ma se le forme de’ governi rappresentativi, le quali per se stesse non sono state che altrettante finzioni che han formato un difettoso meccanismo nelle Monarchie che da costituite si volevan dire costituzionali, erano già nella stessa Francia su l’orlo della loro catastrofe; d’onde si è preteso poi desumere e sostenere, che i dettati di quell’atto sovrano avessero guarentito gli attentati della rivoluzione dalla repressione delle forze del governo, e dall’azione delle leggi dello Stato?

Tra successivi attentati a cui la rivoluzione dell’anno 1848 fu medesimamente sospinta negli Stati della più parte di Europa, Re Ferdinando II ebbe animo, esponendo se stesso a più dure prove, di non abbandonare i suoi Stati; e se non ha potuto del tutto evitare le violazioni di fatti e di principi negli stessi atti del governo, non sarà poco che abbia potuto risparmiarvi i maggiori mali, che i disordini di questa rivoluzione han fatto altrove sperimentare.

Nel vero i comitati, che si fecero a rivolgere i dettati dell’atto Sovrano del 29 Gennaio 1848 come mezzi di formare i poteri e le forze che avessero dovuto proclamare ed imporre i successivi attentati della rivoluzione, si adunarono con una specie di libertà la quale non era guarentita da quell’atto sovrano; ed assunsero un potere, che il Re non aveva mai né deposto né ceduto, anche quando le nuove leggi di cui lo Stato avesse potuto aver bisogno, anzi che essere discusse ne’ suoi Consigli, avessero dovuto esser votate dalle Camere legislative.

I ministri, che erano dichiarati risponsabili degli atti e dell'azione del governo, dovettero essere uniti a’ comitati della rivoluzione ed uniformarsi a’ loro dettati, o furono obbligati a lasciare il potere. La stampa libera, la quale non ha dato poi le opere di più riposto sapere che la revisione avesse fatto mancare o compresse, era il mezzo di proclamare gli attentati della rivoluzione, movendo e sfogando le più sfrenate passioni e le più leggiere vanità; e sarebbe una cronaca molto degradante de’ nostri tempi, se avesse oltrepassato il periodo de disordini di cui è stata la espressione.

Tuttavia, a differenza della risponsabilità de’ ministri e della libertà della stampa, non fu egualmente agevole rivolgere a mezzi della rivoluzione gli altri dettati dell'atto Sovrano del 29 Gennaio 1848.

La cittadinanza delle diverse classi da che fu chiamata alla elezione de' deputati che dovevano formare runa delle Camere legislative, anche sotto l’azione e 1 influenza de’ poteri esercitati dagli uomini della rivoluzione, non solamente provò non essere stato mai suo voto doversi rifare le leggi dello Stato, ma non si mostrò né persuasa né secura, che fosse stata una guarentigia e un’idea veramente liberale lasciar rappresenterei diritti e gl’interessi propri, come per incapacità personale, da coloro che potevano trasportare il loro egoismo e le loro passioni negli atti e nell’azione del governo. Nè si voglia ancora deprimere a forza di parole di oltraggi o di accuse questa specie di miscredenza, ch’è pure il fatto solidario del comune buon senso e delle più certe dottrine degli uomini, in contrapposto delle idee, che han preteso essere più illuminate, e sono state sbagliate se non mentile.

Coloro che mossero da’ comitati della rivoluzione per volere far insorgere la Camera de’ deputati con poteri sovrani e costituenti, anzi che essere eletti dalla cittadinanza che per la massima parte non intervenne nelle elezioni, furono insinuati da’ comitati medesimi alla poca gente convenuta ne’ collegi elettorali per darli come deputati; comeché non tutti gl’intervenuti in quelle adunanze, né tutti coloro che furono dati come deputati fossero stati uniti a’ comitati della rivoluzione, e avessero avuto parte ne’ suoi attentati.  E chiamata allo stesso tempo la cittadinanza a formare la guardia nazionale, la quale doveva essere organizzata in tutto il Regno uniformemente a quella che era stabilita nella Capitale per la sicurezza interna, pure non fu molto lieta o contenta di questa stessa organizzazione, che l’aggravava di un servizio penoso, togliendo il tempo che la gente ama consacrare alle sue utili occupazioni, ed a’ godimenti della vita; se si vogliono eccettuare le picciole ambizioni locali che furon mosse per le cariche, alla nomina delle quali influirono ugualmente gli stessi comitati per avere o dominare il comando di questa guardia, che intendevano rivolgere a forza della rivoluzione.

Ma quali erano poi le condizioni dello Stato, alle quali non avesse provveduto o avesse provveduto meno largamente il governo di Re Ferdinando II? Per quanto le idee e lo spirito di riforma, che sono divenuti una specie di contagio dell’età nostra, possan muovere in ogni uomo a cui è dato un potere la stolta ambizione di voler riordinare ogni cosa, e quasi rifar da capo questo mondo; noi ci riportiamo specialmente agli atti del governo, che dal 29 Gennaio 1848 vennero fuori con la cosi detta risponsabilità de’ ministri, compreso lo statuto della costituzione pubblicata a’ 10 Febbraio 1849, ed a’ progetti di nuove leggi ch’erano presentati alle Camere legislative convocate nel corso di quell’anno, non per quanto pretesero rivolgere i dettati di quell’atto sovrano a mezzi della rivoluzione, ma per dedurne una più luminosa prova da convincere ogni più schivo, che i principi ed i dettati delle leggi di questo Reame erano meno capaci delle pretese riforme; le quali non potettero che disordinare le condizioni dello Stato, senza avere un’azione più estesa e più certa di quella che avevano ricevuta dal governo di Ferdinando li. ché, se si volesse prolungare questa disamina di fatti, non sarebbe per avventura difficile provare, che le riforme e la stessa rivoluzione non hanno avuto quasi diremmo altro spazio in questo Reame, se ne togli i dislocamenti avvenuti nelle cariche e negl’impieghi pubblici, che pure han fatto le loro prove.

Non vale ricordare gli attentati a cui la rivoluzione fu sospinta in questo Reame, e le memorie che hanno lasciate. Ma d’onde è provvenuto che, essendo stato medesimamente riordinato il governo degli Stati della più parte di Europa, il partito della rivoluzione si fosse rivolto più specialmente contro il governo del Reame delle due Sicilie; senza tener ragione dei maggiori mali che Re Ferdinando II, quasi abnegando se stesso, ha risparmiato a suoi Stati, e di non avere né invocato l’aiuto di Armate estere né aggravato le popolazioni di nuove imposte? Noi vorremo seguitare il partito della rivoluzione, anzi che ne’ successivi attentati delle sue cospirazioni, nelle sue pubblicazioni, per quanto non sieno innominate, senza dilungarci da’ fatti che discorriamo.

III.

E contestato dalla storia de' tempi che la rivoluzione dell’anno 1848, essendo stata primamente repressa nel Reame delle due Sicilie, continuava ancora in altri Stati dell’Italia e dell’Europa, dove hanno avuto più generoso asilo gli emigrati e gli esuli, a’ quali non vogliamo caricare che il torto di aver potuto obliarsi.

Allorché nell’anno 1851 la rivoluzione, togliendo occasione specialmente da’ giudizi a cui n’erano sottoposti gli attentati e le successive cospirazioni in questo Reame, giungeva a far trasportare le accuse che moveva contro il governo napolitano nelle lettere del sig. Gladstone dirette a Lord Aberdeen, le quali corsero per tutta Europa ed oltre; Re Ferdinando II, più di ogni altra cosa, fu specialmente commosso del non fatto, onde avevano potuto esservi impegnati i nomi di uomini di maggior riputazione, i quali non potevano ricusare il vero delle cose che erano per voler conoscere, né potevano mai essere in contraddizione de’ medesimi loro principi.

Non poteva Re Ferdinando II consentire la sistematica violazione di ogni principio, di che veniva accusato il suo governo, avendo la coscienza di non aver lasciato violare alcun principio ne’ riordinamenti che vi aveva dati, in proporzione delle condizioni e delle circostanze del paese; i quali,  dappresso a’ disordini della rivoluzione del 1848, erano sollecitati dalle popolazioni del Regno, ed avevano l’esempio degli altri Stati di Europa, sicché han formato una specie di diritto o di giurisprudenza comune, per la quale è oramai più certo il principio delle ristaurazioni che succedono alle rivoluzioni.

Nondimeno, qualunque fossero state le risposte date a codeste accuse, era più semplice e certa quella che il Re dava spontaneamente per se, la quale non vuol essere sconosciuta né può essere contraddetta. Piaccia a Dio, egli disse, esprimendo il suo animo che non si lasciava irritare dalle accuse, che si potesse veramente aver la prova dell'errore, non della colpa che può esser negli uomini ma non si deve supporre; un dovere di giustizia più che un sentimento di umanità impone all’autorità sovrana correggere i difetti anche delle condanne pronunziate. ché se invece si fosse voluto muovere un sentimento di umanità a favore di coloro, che avessero cercato far valere col mezzo dell'accusa o recriminazione quello che non potevano sostenere come difesa; questo sentimento di umanità non era minore nell’animo suo, anche quando aveva dovuto dar luogo all’azione delle leggi dello Stato, ed infrenarsi a fronte delle imponenti esigenze della sicurezza e dell’ordine pubblico. Il quale suo animo era maggiore, da che aveva veduto trascorrere a più certe violazioni anche gli atti del governo, per quanto si era preteso renderli indipendenti dalla sua sovrana autorità, per soggettarli al potere assunto da’ comitati della rivoluzione senza che avessero risposto ad alcuno.

Non sappiamo render ragione del non fatto di coloro, che piaceva chiamare veri o supposti rei politici, i quali avessero potuto, se non fornire le prove d’ingiustizie ricevute, invocare la considerazione del Re, la quale è stata benigna per molti; né vorremmo che potesse per alcun modo essere pregiudicato ciò che è tuttora possibile. Altri però, qualunque fossero i loro principt politici, non vorranno da senno e con buona fede asserire e sostenere, che tra le proporzioni della guerra testà combattuta in Oriente fossero cessate o diminuite le imponenti esigenze della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Ma gioverà ancora riportare codeste accuse, ch’erano mosse contro il governo napolitano, alle più certe rivelazioni di una successiva pubblicazione, che tra gli attentati a cui era tuttora sospinta la rivoluzione nell’anno 1851, il quale doveva contare ancora maggiori avvenimenti, veniva fuori a Parigi col titolo di continuazione del processo comincialo dalle lettere del sig. Gladstone a Lord Aberdeen, e più precisamente del Re di Napoli dinanzi alla pubblica opinione, a cui avessero mai potuto dominare le pubblicazioni del partito della rivoluzione..

Re Ferdinando II, a cui la pubblica opinione rimerita maggiori titoli in ragione ch'è più conosciuto il vero degli atti del suo governo e della sua Persona, e sempre del suo animo e de’ suoi principi, non poteva essere turbato dal titolo e dal contenuto di quella pubblicazione della rivoluzione; alla quale, dappresso ai maggiori avvenimenti dello stesso anno 1851, non è valuto rispondere.

Sono tuttavia dovute al sig. Gustavo Chatenet, che dava il suo nome a codesta più diretta pubblicazione della rivoluzione, le seguenti rivelazioni:

1.° Contestava il sig. Chatenet, che quelle accuse contro il governo napolitano erano dettate par un de mes amie de la Sicile, au quel je dois la meilleure partie de ce travail. E qui ci arrestiamo, non volendo tramutare queste nostre note in una specie di accusa.

2.° Riportava questo, che chiamava processo iniziato dalle lettere del sig. Gladstone a Lord Aberdeen, a quello che il signor Thiers sul cominciare dell anno 1848 aveva proclamato dalla tribuna nella Francia, cioè: tout gouvernement absolutiste ou liberal, qui viole les droits de l’humanité, doit en rendre raison à l’Europe entière. Veramente il sig. Thiers, che con la superiorità della sua dialettica ha portato le arti della rettoria anche ne fatti della storia e ne principi della politica, non avrebbe potuto nel conto reso che presentava alle Camere della Francia nella seduta del 13 gennaio 1848, dar contezza o ragione di questo preteso principio, che dettava, non per il governo di Luigi Filippo ch’era sul punto di dover finire, ma alla rivoluzione che avesse potuto avanzare, assumendo i diritti violati della umanità ed il più incerto diritto che attribuiva al1 Europa; come se fuori del partito della rivoluzione non fossero al mondo né umanità né Europa, ed i governi assolutisti liberali fossero nell’età nostra veramente inumani! Noi non vogliamo, senza avere una contraddizione a fronte, prolungare le nostre osservazioni su questo dettato del sig. Thiers, col quale il partito della rivoluzione ha mosso le sue accuse contro il governo del Re di Napoli. Notiamo bensì come non poteva esser principio professato dal sig. Gladstone, il quale come membro del partito conservatore inglese, nelle stesse sue lettere a Lord Aberdeen, rammentava essere questo gran partito di una nazione europea in virtuale e reale alleanza con tutti governi stabiliti in Europa, ed ammetteva nel modo più assoluto il rispetto che devesi dagli Inglesi, come da ogni altro popolo, ai governi in genere, come rappresentanti dell'autorità divina e difensori dell’ordine.

3.° La stessa pubblicazione, che intestava al Re di Napoli quello che chiamava processo iniziato dalle lettere del signor Gladstone a Lord Aberdeen e doveva col dettato del sig. Thiers esser comune a tutti i governi assolutisti o liberali come eran detti, intimava medesimamente la rivoluzione alla Monarchia inglese con le due sue Camere ed agli stessi principi professati dal partito conservatore di questa grande Potenza europea; se i successivi attentati, a cui questa rivoluzione era tuttora sospinta nel corso dell'anno 1851, non fossero stati maggiormente repressi dall’Impero che ha ristabilito l’ordine nella Francia e lo ha rassicurato in Europa.

Il sig. Chatenet, già dichiarava al sig. Gladstone: Le parti auquel vous appartenez n’est pas le mien. Vous défendez noblement, je le reconnais, la Monarchie telle qu’existe en Angleterre, c’est-a-dire avec deux Chambres ouvertes presque exclusivement à la double aristocratie de naissance et de fortune… C’est vous dire assez, que sur des points nombreux et essentiels la lutte déjà longue parmi nos deux  principes doit ment se prolonger encore.

Aggiungeva il sig. Chatenet, dichiarando al sig. Gladstone il principio del partito al quale diceva appartenere: Moi,j’ai foi dans la démocratie, c’est à dire dans un gouvernement où chaque citoyen ail bien réellement part à la souveraineté... Je pense en outre que le temps est venu d’assurer le pain de chaque jour et les joies de la famille au pauvre camme au riche.

Ma se le forze dello stato politico dell’Inghilterra sono sostenute, secondo che si esprimeva il sig. Chatenet, da un partito che difende nobilmente la Monarchia con due Camere aperte quasi esclusivamente alla doppia aristocrazia naissance et de fortune; anche le popolazioni di ogni altro Stato, ad eccezione de’ pochi che nel segreto delle sette o col favore di meno ordinate libertà possono formare partiti di rivoluzione, sono una specie di partito conservatore, se la voce partito non debba ancora essere proscritta dalla storia e dalla scienza politica, che difende nobilmente il proprio Sovrano,  ed è medesimamente, siccome il sig. Gladstone ha detto del gran partito conservatore inglese che ha pure i suoi titoli nella storia di altri Stati, in virtuale e reale alleanza con tutt’i governi stabiliti in Europa.

Ora questo che si volesse ancora dire gran partito conservatore degli Stati dell’Europa e del mondo, il quale può rendersi ragione de’ suoi principi, già non aveva più fede nelle forme di governo che ne’ tempi moderni le rivoluzioni han preteso costituire con l’usato nome di democrazia, ed è stato più spaventato nell’età nostra dalle idee del socialismo e del comunismo, con le quali progredivano gli attentati della rivoluzione. E la umanità che soffre le miserie della vita, cui la tirannia della miscredenza ha osato voler togliere anche la speranza in Dio, non poteva confidare nella rivoluzione e nella democrazia, che volevano assicurare il pane di ogni giorno ed i godimenti della famiglia, ciò che pure non manca al povero come al ricco.

IV.

Abbiamo riportato coteste rivelazioni per contestare più certamente, come le pubblicazioni del partito al quale il sig. Chatenet dichiarava appartenere, che sono state mosse con una specie di reazione contro il governo di Re Ferdinando II, avessero avuto a principio quello, che il sig. Thiers dettava alla rivoluzione che avesse dovuto attentare a tutt’ i governi detti assolutisti o liberali; e come fossero per esse venuti in certa solidarietà, che non può essere contraddetta, più specialmente il Re di Napoli, a cui era intestata quella che il sig. Chatenet diceva continuazione del processo cominciato dalle lettere del sig. Gladstone a Lord Aberdeen, la Monarchia inglese con le due sue Camere e co’ principi professati dal partito conservatore di questa grande Potenza europea, a cui il partito medesimo, con la stessa sua pubblicazione, intimava la continuazione di quella che diceva tutte déjà longue pormi nos deux principes, e l'Impero francese, che ha maggiormente represso gli attentati di rivoluzione a cui questo partito si spingeva tuttora nel corso dell’anno 1851. Ed abbiam voluto contestare ancora come il preteso diritto che il sig. Thiers, confondendolo con la opinione pubblica che pure non è esclusiva dell’Europa, si faceva a voler attribuire, siccome diceva all’Europa intiera, era un mezzo più che un principio dettato alla rivoluzione, che avesse dovuto attentare medesimamente a’ governi, assolutisti e liberali, non a governi, che avessero mai potuto rivolgersi contro se stessi; poi che, attentando più direttamente questo dettato della rivoluzione al principio della indipendenza politica degli Stati, la inviolabilità di questo principio del loro diritto comune è stata sostenuta più specialmente dalle Potenze della Francia e dell Inghilterra nella guerra testé combattuta in Oriente e sotto le ruine delle fortezze di Sebastopoli.

E sarà ancora, dopo i fatti passati nella storia de' nostri tempi, che per un preteso diritto o privilegio di libertà, o per una più singolare impunità che dovesse essere guarantita da governi medesimi, fosse lecito ad ognuno che volesse trasfondere se stesso nella stampa della rivoluzione con la libertà di tacere anche il suo nome, o potesse muover voce dove 1 assente non fosse rappresentato, accusare a proprio talento, o a talento di un partito di rivoluzione, ogni governo, qualunque ne fossero gli ordinamenti, nientemeno che d’inumanità, come se i governi degli Stati non fossero pure di uomini se non di cristiani, e coloro che vi formassero un partito di rivoluzione fossero propriamente Angeli del Cielo? Sarà della ragione illuminata e della moralità più rassicurante dell’età nostra, che lasciava oltraggiare le più certe dottrine, il comune buon senso degli uomini, e la religione de’ cristiani, che i Sovrani, se pure si potessero distinguere i governi degli Stati in assolutisti e liberali, i quali debbono medesimamente guarantire i diritti di ciascuno, non dovessero aver guarantigia pei propri diritti e per le stesse loro Persone?

Ché se Re Ferdinando II avesse avuto parola nel Congresso testé tenuto a Parigi, in cui i Plenipotenziarii, occupandosi di assicurare la pace conchiusa, hanno in questa veduta esaminato gli elementi di perturbatone che esistessero tuttora in Europa, non solamente vi avrebbe potuto far portare più certamente l’attenzione su lo stato dell’Italia, il quale non era rappresentato dal Plenipotenziario del Piemonte, ma si sarebbe più volentieri e con maggior ragione associato a reclami del Governo francese nel domandare una limitazione per la stampa della rivoluzione, non che nel Belgio, in ogni altro Stato dove avesse la funesta libertà di sovvertire i principi e di mentire i fatti.

Non potendo adunque il gran partito conservatore degli Stati (se pure, rispettivamente al partito di rivoluzione che vi si potesse ancora formare, dovessimo cosi esprimere il principio della unità politica di ciascuno Stato, e la solidarietà del comune principio ch’è stato detto equilibrio europeo che difende nobilmente i propri Sovrani, ed è in virtuale e reale alleanza con tutti i governi stabiliti in Europa, siccome si è espresso il sig. Gladstone) essere solidario delle insidie più che accuse del partito della rivoluzione, che potesse ancora col dettato del sig. Thiers attaccare il principio comune di ogni governo, più ché i fatti speciali di ciascuno; noi, potendo ancora mostrare come non avesse potuto reggere alcuna di quelle, che sono state impropriamente dette diverse specie di governo e più impropriamente distinte in governi assolutisti e liberali, co’ mezzi delle rivoluzioni che si è cercato far considerare come altrettante libertà de’ popoli, concludiamo queste brevi note, contestando i seguenti fatti del governo di Re Ferdinando II nelle attuali circostanze:

1°. Che non essendo lamentato nel Reame delle due Sicilie, del pari che in ogni altro Stato, come un bene mancato o un male cagionato, la rivoluzione repressa ed i riordinamenti del governo; gli elementi di perturbazione, che da parte di questo Reame potessero ancora essere in Europa, non stanno che nelle pubblicazioni e nelle voci del partito della rivoluzione, che potesse ancora muovere la sua reazione contro il governo di Re Ferdinando II; il quale in verità pii che lasciar aggravare le sorti di coloro che piaceva chiamare veri o supposti rei politici, ha presentato una più certa e diretta resistenza alle pratiche di questo partito, che ha atteso ad assicurare i mezzi ed i risultati della rivoluzione.

2.° Che le conseguenze de’ passati disordini che fossero tuttora risentite anche in questo Reame, le quali veramente non consistono nelle sole sorti lamentate di quelli che venivano chiamati veri o supposti rei politici, non possono essere addotte che da coloro i quali le soffrissero realmente; potendo essere più risentite nello stato delle persone e delle famiglie, che notate nelle condizioni dello Staio e delle popolazioni.

3°. Che, avendo Re Ferdinando II la coscienza del proprio diritto, altri non può con verità far dubitare del suo animo a vantaggio anche di coloro che essendo stati detti veri o supposti rei politici, se non potevano fornire le prove d’ingiustizie ricevute, han potuto invocare la Sovrana considerazione eh è stata benevola per moltissimi; né può alcuno dubitare e e mancasse in Lui, che ne ha dato più luminose prove, il maggior senno e la più certa volontà di correggere con cognizione di causa i difetti e gli abusi, che fossero nell’amministrazione dello Stato e specialmente in quella della giustizia, per quanto è più dato ad un potere sovrano moderare il possibile anche della ignoranza e delle passioni degli uomini, che è pure condizione inevitabile delle umane cose, le quali non sono perfette che nella mente e nelle opere di Dio.

4°. Che, se le più stemperate pratiche del partito della rivoluzione avessero potuto ancora muover differenze tra le Potenze, le quali d’altronde sono nelle più perfette e leali relazioni; queste deboli incidenze, a cui soggiacciono pure i più necessari e i più cari legami della vita che non tollerano la disunione, non possono avere che la brevissima durata di fatti prodotti senza una cagione vera, essendo sotto l’azione di quella più certa intelligenza che deriva da’ principii e dagl’interessi comuni degli Stati che sono allo stesso grado di civiltà.

Queste brevi note, con le quali abbiam ritoccato rapidamente i fatti del governo di Re Ferdinando II, avranno un maggiore sviluppato, in proporzione delle contraddizioni che vi potranno per avventura essere opposte, purché non sieno innominate.

 

 

APPENDICE

Non è contraddetta la verità di quello che noi, dopo avere accennato a ciò che, invece di chiamare gran partito conservatore, preferiamo dire udita politica di ciascuno Stato, ad eccezione di coloro a’ quali fosse lasciato formare un partito di rivoluzione, contestavamo primamente come fatto del governo di Ferdinando II nelle attuali circostanze, cioè, non essere in questo Reame, del pari che in ogni altro Stato, lamentati come un bene mancato o un male cagionato, la rivoluzione repressa ed i riordinamenti del governo, che han seguito gli avvenimenti dell’anno 1848, onde venivano disordinati i governi degli Stati della più parte di Europa.

Se don che avendo notato ancora, ciò che pure non è contraddetto, come quelli, che nel Congresso di Parigi eran detti elementi di perturbazione tuttora esistenti in Europa, non stavano, almeno per quanto fossero stati riferiti al Reame delle due Sicilie, che nelle voci e pubblicazioni del partito della rivoluzione; non volemmo ancora tener ragione, per non inasprire le piaghe ch’eran vive nell’animo di ognuno e le sincere grazie che tutti rendevamo a Dio per aver salvato il Re ed il paese, de’ maggiori attentati del partito medesimo, il quale, da' tenebrosi misteri delle sue sette e delle sue congiure, univa bande annate di gente perduta ed armava la mano dell’assassino, eccitata o compra che fosse, che dovessero a vita perduta obbedire a dettati di sangue e di rovine.

Fummo nondimeno presaghi, ora che i mesi precipitano secoli di avvenimenti e le profezie politiche sono più facili che non erano al Machiavelli ne’ suoi tempi, delle più certe prove che il partito medesimo, rivolgendosi con le parole del Moro ad Alessandro nel Metastasio, non avrebbe tardato a dare, anche negli Stati dove le sue congiure sono meno vigilate da governi e i mezzi delle rivoluzioni sono guarentiti da disordinate libertà, o gli Uomini di Stato si fossero lasciati condurre ad aggiustar fede o usare condiscendenze inconsiderate 1 suo stemprarsi di mentiti affetti e somiglianze di principi.

Seguitando adunque i fatti sopravvenuti, che ci condurranno a più certe e provate deduzioni, dobbiamo ancora distinguere a cagione di argomento quello che non potremmo stinguere per la ragione propria de’ fatti medesimi, cioè, le pubblicazioni del partito della rivoluzione, che sono pura rateanti suoi attentati, da’ più avanzati attentati a cui lo ha, potuto muovere, se non potrà tuttora, le sue bande armate e la mano armata dell’assassino.

I.

Allorché, trepidando per il nostro leale pensiero che alti avesse mai potuto travolgere, notammo la solidarietà, eh non contraddetta, in cui erano specialmente l’Imperatore de’ Francesi ed il governo della Regina dell’Inghilterra con il Re delle due Sicilie, relativamente alle pubblicazioni del partito, che congiurava tuttora la rivoluzione detta democratica; sopravvenivano al cominciare dei mese di Febbraio due avvenimenti più importanti, l’apertura del Parlamento inglese e quella del Corpo legislativo della Francia: ne’ quali accadeva tener ragione anche di quelli che avevamo contestati come fatti del governo di Re Ferdinando II nelle attuali circostanze, per quanto vi fossero stati addotti come cagione della interruzione delle relazioni diplomatiche, che aveva avuto luogo da parte de' governi dell’Inghilterra e della Francia con quello delle due Sicilie.

Ora, senza tenere qui proposito delle successive pubblicazioni che il partito medesimo, contando codesta interruzione di relazioni diplomatiche come sua vittoria riportata col mezzo di due grandi Potenze, si fece a moltiplicare da per ogni dove, per voler muovere contro il Re di Napoli, sino a falsare i suoi atti ed affigerli come pubblicati; non sono né ignote né obliate le pubblicazioni con le quali, nello stesso modo come faceva del Re di Napoli, il partito medesimo moveva contro degli Uomini di Stato dell’Inghilterra, attaccandoli specialmente con quello che dicevano di un trattato che fosse intervenuto, per il quale la Francia, alleata dell’Inghilterra nella guerra di Oriente, avesse dato sicurezza all’Austria dell’integrità de’ suoi Stati nell’Italia, quando avesse spedito le sue Armate, ciò che l’Austria non ha fatto, a combattere in quella guerra, e contro dello stesso Imperatore Napoleone che con nobilissimo coraggio e più eloquenti parole, narrando de’ danni cagionati dalle alluvioni, dichiarava nel Corpo legislativo essere i fiumi, come le rivoluzioni, arginati ne’ loro letti senza poterne più uscire, ed essere tolto, a vantaggio della sicurezza e della prosperità del paese e delle stesse libertà, la licenza della tribuna: attaccando cosi il partito della rivoluzione, che non ha per se neanche una certezza di forme, tanto il principio della legittimità de’ Sovrani in (pialli che sono stati detti governi assoluti, quanto i principi sostenuti dal gran partito conservatore della Monarchia inglese, ed il suffragio universale nell’Impero de’ Francesi.

Ché, se le pubblicazioni di questo partito spesso non sono più che le incontinenze della sua debolezza, saranno tuttavia per noi che ragioniamo, senza poter misurare le forze che possano preterirle e quelle che credano doverle tollerare, una più certa prova della contestata solidarietà, se pure non potesse essere condotta a reprimerle solidariamente, non che de governi dell’Imperatore de’ Francesi e della Regina dell’Inghilterra con quello del Re delle due Sicilie, di quanti sono i Sovrani degli Stati dell’Europa e del mondo incivilito, qualunque potessero essere le differenze de’ rispettivi titoli ansi che dell unico principio morale della unità politica di dar uno Stato, cui un partito di rivoluzione, che si fosse lasciato formare, potesse ancora attentare col preteso principio dettato alla rivoluzione, che mentiva i diritti violati della umanità e quello che ha detto giudizio dell’Europa.

II.

Può oramai la medesima solidarietà essere contestata anche relativamente a’ maggiori attentati, a cui lo stesso partito di rivoluzione, con mezzi più o meno stesi e securi, ha potuto muovere, se non potrà proseguire codesti suoi attentati, le sue bande armate di gente perduta e la mano armata dell’assassino eccitata o compra che fosse; ciò che faremo seguitando i falli sopravvenuti, che di presente sono palpitanti o cagionan palpiti, quasi mattematicamentc passando dall’avvenuto, che può essere contestato, al possibile che, essendo mancato, vuol essere prevenuto.

Accenniamo specialmente agli avvenimenti succeduti negli ultimi giorni del passato mese di Giugno a Genova, a Livorno e su le terre di Sapri in questo Reame. Le istruzioni ed i giudizi a cui si procede per codesti avvenimenti, se non arriveranno a penetrare ne’ misteri delle sette che sottraggono alle une ed agli altri i nomi e le persone de' cospiratori, contesteranno almeno i più estesi mezzi di stragi e rovine, che questo partito ha potuto preparare e muovere, lo diciamo senza esitare, dove i governi esercitano minor vigilanza su le cospirazioni, e guarentiscono come altrettante libertà i mezzi se non gli attentati delle rivoluzioni. Veramente, se questa volta il partito, avendo tuttora a capo il nome funestamente celebre di Mazzini che ha aggravato su l’Italia mali assai maggiori di quanti ne avessero potuto far contare tutt’ i despoti della terra, ha potuto preparare e muovere maggiori mezzi di rivoluzioni, non ha medesimamente unito molti partigiani; ché invece i suoi attentati sono stati più decisamente respinti e combattuti, ciò che vuole oramai essere considerato non solamente per gli attentati mancati, ma anche per le cagioni che han prodotto questo effetto.

Non cerchiamo delle congiure che han mosso codesti attentati e della estensione che avessero potuto avere, se non dalle  pubblicazioni de giornali che sono sotto gli occhi di tutti.

Han riferito da prima codeste pubblicazioni «avere le scoperte fatte a Genova confermato la voce già corsa, cioè, che Mazzini aveva tentato questo nuovo movimento con l’aiuto della Marianna; e che, secondo le intenzioni de’ capi di questo partito e gli apparecchi fatti, più che muovere una semplice insurrezione politica, doveva essere spinto l’eccesso sino all’incendio di più parti della Città, al saccheggio di una quantità di case de’ cittadini, e alla proscrizione di molta gente.»

Dicevano le stesse pubblicazioni essersi scritto da Genova «che da quattro o cinque mesi era ordita una trama che doveva scoppiare nel Regno di Napoli. Questa trama aveva raccolto intorno a se molti individui segnalati della emigrazione, massime tra quella che dimora fuori del Piemonte, ma erasi combinata senza di Mazzini. Se non che, quest’uomo fatale all’Italia trovò modo onde gli autori furono costretti a coordinarla con uno de’ suoi soliti guazzabugli universali. Quando si venne a concretare, sentendo che Mazzini voleva muovere un subbuglio anche nel Piemonte, molti emigrati si ritirarono, altri vi restarono. Mazzini assicurava tutti che il movimento doveva scoppiare in tutta Italia; ed un poco d’insurrezione a Genova era il solo modo di spingere il governo piemontese ad entrare in campo a favore della rivoluzione italiana.»

Si voleva, secondo le pubblicazioni medesime «che Mazzini avesse fatto tastare anche il terreno della Lombardia da alcuni suoi emissari, per vedere se contemporaneamente al movimento di Genova era possibile suscitarne un altro a Milano. Ma i liberali di oltre Ticino respinsero recisamente questa proposta.»

Ed aggiungevano «che la salvezza di Firenze e di Pisa fosse dovuta all’arresto fatto in tempo di un tale ch’era alle poste io un sito elevato per segnalare l’accaduto. »

È riferito da giornali di Brusselle «che i diversi tentativi di rivoluzione formavano parti diverse di una congiura generale ordita in vasta proporzione, che si doveva eseguire con uno sforzo di audacia. Le elezioni di Francia vi porgevano opportuna occasione, ed ecco in che modo. Le elezioni dovevano (cosi pensavano i congiurati) proccurare un certo movimento ed agitazione per l’attività che avrebbero spiegata i diversi partiti. Il contemporaneo assassinio dell’Imperatore doveva provocare in Francia una rivoluzione. Vi avrebbero risposto in diversi punti d’Italia i carbonari. La rivoluzione in Francia ed Italia avrebbe incendiato l’Europa. Tale era il piano della congiura, né per mandarla ad effetto si era nulla omesso. Erano spediti a Parigi per assassinare l’Imperatore due romagnoli. Ma la vigilanza della polizia è tanto operosa quanto l’odio violento degli assassini. Furono arrestati, e sono nelle mani della giustizia. I governi, che scopersero la congiura con impadronirsi de’ rei, troveranno anche prove de’ legami che congiungevano la rivoluzione in Italia con l’assassinio dell’Imperatore Napoleone.»

Niun giornale, almeno tra quelli che abbiamo avuto sottocchio, accenna a simili attentati, che questo partito avesse medesimamente mossi o mandati nell’Inghilterra, come vi ha esteso le sue pubblicazioni; né sapremmo dire quali vi avesse potuto muovere quando la rivoluzione dall'Italia e dalla Franeia si fosse distesa in tutta Europa, o quando il partito della rivoluzione detta democratica potesse mai muover contro la Monarchia inglese quella che Chatinet, a nome di questo partito, intimava o riservava come tutte déjà longue pormi nos deux principe, que doit nécessairement se prolonger encore. Nè vogliamo dilungarci in relazioni di congiure ed attentati del partito medesimo in altri Stati di Europa e oltre, specialmente nella Spagna, se gli ultimi avvenimenti dell’Andalusia non avessero avuto relazioni con quelli mossi nell’Italia e nella Francia.

Noi non ritenghiamo codeste pubblicazioni come articoli di fede, né come assolutamente improvvisate. Ne deduciamo invece due quesiti, che ci potranno condurre a più certe deduzioni.

1°. È vero che esiste in Europa un partito di rivoluzione che ha congiurato gli ultimi attentati, e deve tuttora destare le apprensioni de’ Sovrani? Voglia Dio, che fosse vero il contrario: chi potesse fornire questa felicissima prova sarebbe il più grande Benefattore della umanità, che segnalerebbe il principio di un’era di sicurezza e di prosperità, di cui l’età nostra ha quasi perduta per se la speranza! Ma pure il sorriso di questa più lusinghiera possibilità non ricusa assolutamente l’altra, ch'è forse più di una possibilità, a cui accennano le riportate pubblicazioni. ché, se saranno veramente derivati dalla medesima congiura i tentativi di rivoluzione mossi a Genova ed a Livorno e spinti su le terre di Sapri, ed il mandato per voler assassinare l’Imperatore Napoleone; il partito della rivoluzione, che fosse ancora men vigilato e più guarentito, se non potrà seguitare con successo i suoi tentativi di rivoluzione, fa temere maggiormente il pugnale nelle mani dell’assassino che potesse, se non raggiungere Io stesso fine, tentare più aspre vendette. Veramente i suoi mandati di sangue non contano le vittime che avrebbe voluto immolare; di poi che anche questi attentati o sono stati scoverti, o sono mancati. Ma regge l’animo alla vita che deve temere ad ogni passo l’insidia e l’attentato?

2°. Esistendo questo partito di rivoluzione, che pure si è lasciato distaccare dall’unità politica di ciascuno Stato, il quale serpeggia tuttora nell’Europa ed oltre, con mezzi più o meno estesi di sette, di congiure e di attentati; perché sarà mai che, quasi diffidando le forze degli Stati ed i comuni principi di governo, non debbano i Sovrani, e non possano solidariamente, piuttosto che doverne poi reprimere gli attentati, disunire questo partito ed impedirne le congiure? Ma, volendo portare la soluzione di questo quesito ad un Capo se non ad un termine certo e possibile, dobbiamo ancora annodare quelli, che al finire del mese di Gennaio contestavamo come fatti del governo di Re Ferdinando II nelle attuali circostanze, alle più certe prove cui forniscono gli avvenimenti succeduti, de’ quali abbiam tenuto ragione.

Se Ferdinando II, con la più certa e diretta resistenza presentata da parte sua alle pratiche del partito, che voleva assicurare i mezzi ed i risultati della rivoluzione cui tuttora congiurava in Europa, non ha potuto impedire gli attentati che il partito medesimo ha preparati e mossi da altri Stati; non è certamente di niuna considerazione il fatto, cui niuno potrà disdire, che la banda di armati sbarcata a Sapri non ha potuto unirsi nel Regno, se pure la congiura vi avesse avuto le sue corrispondenze, ma ha dovuto per il suo peggio esservi spedita da Genova.

Ed è già un gran fatto che questi ultimi attentati, cui ha mosso il partito della rivoluzione, sieno stati dappertutto respinti dalle popolazioni e repressi dalle forze de’ governi senza escluderne quello del Piemonte. Ma noi vogliamo dedurne ancorala più certa prova, che smentisce le pubblicazioni del partito medesimo, le quali per eccitar gli animi, davano ad intendere fossero state in questo Reame le popolazioni sul punto d’insorgere e l'Armata su quello di defezionare; avendo le une e l’altra oramai lavate anche l’onta della calunnia.

Nè vorrà più alcuno prestar fede o condiscendenze alle voci e pubblicazioni del partito medesimo, che volevano ancora far considerare come un niego, se non di giustizia, di clemenza e d. umanità, il non essersi Ferdinando II lasciato condurre per alcuna via a dare di propria mano movimento al gioco, da congiure ad amnistie e da amnistie a congiure, che perpetua le rivoluzioni; non avendo d’altra parte ricusato la sua umanità e la sua clemenza, e mai la sua giustizia, anche a loro che si volevan dire veri o supposti rei politici, se fossero posti fuori tiro di congiure e di attentati, sì che lo stesso dichiarava soddisfatto di meno di quello che Ferdinando II era per fare a vantaggio di costoro.

E qui torneremmo a trepidare, dovendo annodare agli avvenimenti succeduti anche la interruzione delle relazioni diplomatiche da parte de’ governi dell’Imperatore de’ Francesi e della Regina d’Inghilterra con quello del Re delle due Sicilie, alla quale accennavamo come uno de’ fatti del governo di Re Ferdinando n nelle attuali circostanze, se non avessimo il vantaggio di essere in certo modo prevenuti da uno degli Uomini di più certi e provati principi e di più alta e meritata considerazione, il Signor Conte Clemente Solaro della Margarita, col quale più volentieri divideremmo la risponsabilità delle nostre deduzioni.

Notiamo in prima, senza simulare il compiacimento col quale possiamo contestarlo, come questa interruzione di relazioni diplomatiche, non ha menomamente influito a danno delle più estese relazioni internazionali che sono tra gli Stati della Francia e dell’Inghilterra ed il Reame delle due Sicilie, né ha alterato in alcun modo quelle di leale amicizia di ogni maggior considerazione tra’ rispettivi Sovrani.

Non può esser contraddetto, che questo dispiacevolissimo avvenimento, il quale dura già da dieci mesi, metta propriamente capo: 1°. Nell’invito fatto dall’Inghilterra e dalla Francia, alleate nella guerra testà combattuta in Oriente, alle altre Potenze europee, che vi avessero voluto intervenire con le loro Armate; e veramente, se ne togli la neutralità armata in cui ha dovuto tenersi l’Austria che non può dirsi alleata nella guerra, non è stato che il solo governo del Piemonte che, mosso da più lontane mire, ha mandato le sue Armate più ausiliarie che alleate di quelle della Francia e dell’Inghilterra nella guerra di Oriente. 2°. Nelle Conferenze di Parigi che hanno ristabilito la pace; per quanto vi era mossa parola di quella ch’è stata detta quistione d’Italia, secondo che il Signor Conte di Cavour riferiva al Parlamento piemontese, come se fosse stata nell’Italia una quistione su la quale avessero avuto a pronunziare i plenipotenziari uniti a Parigi.

Ora il Conte della Margarita nel suo grave discorso rivolto alla nazione, attribuendo al governo risponsabile l'improvvido consiglio di prender parte nella guerra di Oriente, che nessun interesse colà a sostener si aveva9 nessuna ragione per dichiararci contro la Russia, ha notato: nessuno si adontò mai dell9alleanza delle Potenze occidentali, con cui fu la Sardegna tante volte unita, bensì che ci fosse imposta.... la forzata alleanza del 1853 mostra quanto sia mutala quella posizione indipendente di cui andava il paese nostro superbo, e oramai più non sembra che una pagina di storia passata a rendere più doloroso il presente. Ma se non può essere contraddetto questo, che il Conte della Margarita non ha dubitato contestare a fronte del governo piemontese, e specialmente del Conte di Cavour che può non contendere solamente con la prepotenza della verità, sarà vero il contrario per Ferdinando II, il quale ha saputo durante la guerra di Oriente, che ha fatto temere maggiori complicazioni in Europa, mantenere la politica indipendenza de’ suoi Stati, e le più amichevoli e leali sue relazioni con le Potenze belligeranti; avendo poi risposto senza alcuna esitazione all’altro invito delle Potenze medesime, onde sono oramai ristrette nel diritto delle genti le ostilità della guerra specialmente a riguardo degli Stati neutrali.

E lo stesso Conte della Margarita, attribuendo medesimamente al governo risponsabile avere, con quella che si è della politica italiana, suscitato inconsideratamente nel Congresso la quistione italiana, fonte perenne di guai e di amari disinganni, si riporta alla dichiarazione che Lord Palmerston fu sollecito a fare nella seduta del Parlamento inglese del 16 Giugno 1856, cioè, che se diventasse il Piemonte aggressore, il Governo britannico userebbe di sua influenza per impedirlo, aggiungendo, e ben sappiamo quale sia l'influenza di tal patrono su’ vassalli suoi, ed osserva: le mutazioni territoriali negli Stati italiani non possono aver luogo che per via di rivoluzione o di guerra, e l’una e l’altra sono agl’interessi dell’Inghilterra contrarie. Dice ancora: sappiamo quale effetto produssero a Parigi le imprudenti parole del Presidente del Consiglio pronunziate al Parlamento, sappiamo come fu il suo contegno biasimato… le prove di alto senno che ha date Napoleone III fanno tutti persuasi, ch’egli pensa a consolidare la quiete e la grandezza della Francia, ad assicurare il Trono alla sua Dinastia, rispettando i trattati in cui si fonda il diritto pubblico di Europa, e respingendo qualunque progetto che turbar possa la tranquillità delle nazioni. Il governo, prosegue il Conte della Margarita, è nella sua idea d’ingrandimento solo, isolato, nel più deplorabile modo, nel modo più umiliante per il paese.... ed avendo spiegate intenzioni cui nessuna Potenza arride... il governo di Sardegna prende il primo posto tra gli Stati torbidi inquieti e della pace del mondo nemici. Le quali cose, esposte dal Conte della Margarita e non contraddette, abbiamo citate; perché ci è veramente più facile dedurre la non solidarietà de’ governi dell’Imperatore de’ Francesi e della Regina dell’Inghilterra in quella ch'è stata detta quistione d’Italia, che contestare la cagione che dava luogo all'interruzione delle relazioni diplomatiche de’ governi medesimi con quello del Re delle due Sicilie. La votata quistione d'Italia, che pure non era contestata nel Congresso di Parigi, è quella ultimamente congiurata a Genova!

Da questa digressione di fatti, ch’era per noi necessario premettere, ritorniamo al nostro 'quesito; imperocché la contestata solidarietà, se non potesse con la certezza del suo principio condurre ad una giusta ed efficace soluzione di questo ch'è ti problema politico nelle attutili circostanze, non sarebbe che uno sterile lamento delle pubblicazioni e degli attentati del partito della rivoluzione, il quale è oramai giudicato da’ medesimi suoi atti.

E, dovendo muovere da un dato certo Che sia vagliato da maggior autorità, non 'giova dissimularsi, che questo partito, che si è lasciato distaccare dalla unità politica di ciascuno Stato, sta principalmente nella lunga emigrazione, la quale, dopo gli avvenimenti dell’anno 1848, forma una specie di ambulanza rivoluzionaria per tutta Europa ed oltre, e co’ tenebrosi dettati delle sue sette mentisce insieme gli altri e se stesso, e congiura i suoi attentati adanne di og«i governo della società «dell’uomo; avanzando io stesso Mazzini, se pure questo nome fatato potesse alcuna volta essere scagionato di non ingiuste amputazioni, che già è anch’egli calunniato di accordi con l’Austria e con gli altri voluti nemici dell’Italia. La quale, siccome si esprime il Pays, giornale dell’Impero francese, ha la grande sventura di essere scelta come punto di mira della rivoluzione:Questa federazione (dice lo Stesso Pays le cui pubblicazioni sono più autorevoli) di tutti i rivoluzionari, che riconoscendosi in minorità dovunque, raccoglie intime le sue forze per agire a nome della demagogia universale, fu vista per la prima volta nel 1849… Altre volte, continua il Pays, si accontentavano di minacciare il governo del Re delle due Sicilie e quello degli Stati della Chiesa; oggi viene attaccato a forza aperta il governo costituzionale e liberale del Re di Sardegna. Eppure in questo Regno i rivoluzionati italiani hanno sempre avuto il loro migliore punto di appoggio; in Piemonte gli emigrati lombardi hanno trovato sicuro asilo ed una efficace protezione dopo la guerra del 1849.... Ristabilito l’Impero, ogni tentativo in Francia è stato fatto dagl’italiani...

Ora noi ci uniamo più volentieri col Pays per sostenere, nella più certa applicazione di questo principio del diritto delle genti, che l’abuso della ospitalità tolga a’ cospiratori ogni diritto d’invocare le leggi protettrici dell’esilio e della proscrizione; ma pure non troviamo né giusto né utile il rivolgersi alla sola Inghilterra, per avere la vigorosa repressione, ch'è stata provocata, delle cospirazioni contro ogni governo e per la guerra democratica e sociale, quando gli emigrati medesimi potessero continuare le loro congiure specialmente dal  Piemonte, dalla Svizzera, dal Belgio e da qualche Stato della  Germania, Crediamo invece, e siamo per sostenere questa opinione co’ più certi principi della contestata solidarietà, che il primo passo dal quale si dovesse indubitabilmente cominciare fosse quello di un accordo de’ Sovrani; per il quale, essendo sempre in ogni Stato incivilito guarantita la dimora di coloro che si volessero ancora chiamare stranieri, e securi i mezzi. della naturalizzazione in vantaggio di coloro che volessero acquistarla, ciascun governo potesse medesimamente richiedere e rimandare ne’ rispettivi Stati gli emigrati che congiurassero contro quelli da’ quali sono espatriati, o contro gli altri dove si fossero rifugiati o potessero andare, anche che vi dovessero essere costretti con la forza.

E, non avendo animo né di veder aggravare né di voler inasprire le sofferenze di coloro che siensi tratti a penar la vita sopra terre lontane dagli affetti della famiglia e della patria, anzi avendo la speranza che potessero ancora migliorare le loro sorti; diciamo pure senza alcuna esitazione, che, dato questo primo passo certo, il dippiù dipenderà dalla giustizia e dalla saviezza di ciascun governo. Imperocché, dopo le prove degli ultimi avvenimenti, si dev’esser sicuri degli attentati di parziali congiure che, essendo più vigilate in ciascuno Stato, non saranno secondati dalle popolazioni, e saranno in ogni caso agevolmente repressi dalle forze de’ governi; si può quasi diremmo oramai ritornare ad uno stato normale.

Noi, essendo stati condotti da’ fatti del governo di Re Ferdinando II, che abbiam voluto contestare nelle attuali circostanze, a contestare ancora la solidarietà degli Stati nelle medesime circostanze attuali; non possiamo più distoglierci dall’uno e l’altro assunto, qualunque proporzioni potessero ancora avere. Se non che, non avendo taciuto il nostro nome, abbiamo ragione di non tener conto delle contraddizioni che non fossero nominate e dirette.

FINE.





















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