Eleaml - Nuovi Eleatici


Diversi anni fa ebbi l'occasione di scambiare alcune riflessioni con Angela Pellicciari sul tracollo del Regno delle Due Sicilie e sul comportamento dell'esercito. Lei disse che restava aperto - in parte come un vero enigma - il problema dell'esercito, i tanti tradimenti, gli errori, le incomprensioni.

Personalmente credo che la questione dell'esercito non possa essere ridotta ad una pusillanimità od ai tradimenti di alcuni ufficiali, ma vada inserita nelle vicende del regno a partire dalla rivoluzione francese prima e dal periodo muratiano poi.

Senza tralasciare la Sicilia, punto cardine per la sopravvivenza dello stato napolitano dopo l'occupazione inglese. Durante la quale l'isola vide un flusso notevole di denaro legato alla corte napoletana e all'approvvigionamento delle truppe inglesi. A cui vanno aggiunte le illusioni autonomistiche legate alla costituzione del 1812, una costituzione scritta sulla falsariga di quella inglese.

Presentiamo alcune opere di ufficiali coinvolti nelle polemiche sul crollo della regno e sull’atteggiamento dei vertici dell’esercito.

Zenone di Elea – Agosto 2017

AL SIGNOR VISCONTE DE NOÈ 

PEL SUO OPUSCOLO TRENTA GIORNI IN MESSINA

CENNO DOCUMENTATO SUGLI AVVENIMENTI MILITARI DI MILAZZO 1860

DAL CAV. GIOVANNI DE TORRENTEROS

UFFIZIALE SUPERIORE DI STATO MAGGIORE DI SUA MAESTA’ FRANCESCO II.

FIRENZE– 1861

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AL SIGNOR VISCONTE DE NOE’

PEL SUO OPUSCOLO TRENTA GIORNI IN MESSINA


M’interesso farvi giunge, mercé della pubblica stampa, delle speciali considerazioni ostensive all'opuscolo che à testé pubblicato, col titolo. di Trenta giorni in Messina; per così rendervi un omaggio di gratitudine alle cortesie storiche che largite al tradizionale valore della soldatesca napoletana, e nel tempo stesso offrire alla Nostra lealtà di scrittore, que’ lumi di verità, che nella condizione di straniero ai fatti d'armi della truppa Borbonica delle Due Sicilie, in Sicilia, vi sì sono offerti, grandemente offuscati dai veli delle passioni diverse, che da un anno e più coprono le glorie del nobilissimo quanto infelicissimo Reame, più antico e più italiano d'Italia.

Il Vostro libro, sig. Visconte (a dirvela in confidenza), non è che un assieme d'impressioni personali, che, a causa d'un certo disappunto ragionevole sì, ma tutto vostro e de' due distinti compagni del vostro viaggio, senza verun compromesso con la soldatesca napoletana, ignara del vostro coraggioso progetto, nonché del mancato appuntamento; avete stimato far regalo alla medesima d'una buona dose di male, toccando di fuga il bene.

La vostra lode è un balsamo di giustizia alle bandiere napoletane, spezzate pel momento, ma non rovesciate. La vostra severa critica poi, è inopportuna, oggi che non ancora si è scritta la storia delle Sicilie, tra il valore d'un esercito tradito, d'un aggressione rivoluzionaria, e d'una politica europea complice o sonnolente, nel mirare un Re intemerato e due popoli generosi, calmi e tranquilli, senza dichiarazione di guerra, in pace con. ogni Governo, discendere preda d'una sventura che non avrà mai nome ne secoli sociali!

Ma giacché il vostro libro occupa in buona parte l'opinione del giorno, sarete cortese che un uffiziale superiore dell'esercito napoletano, concorresse in disamina sulle impressioni da voi raccolte e divulgate; e, sig. Visconte, quest'uffiziale che si onora dettarvi delle pagine, nella qualità di addetto allo Stato Maggiore, fu il testimone oculare di quella nobile e sventurata seguela di avvenimenti militari, che s'iniziarono a Palermo e cessarono con la capitolazione di Gaeta, a voi poco noti, e poco noti ancora all'Europa, stante un diluvio di menzogne politiche. E quel fremito di parole sdegnose, che nella calma d'un gabinetto, avete delineate sulla carta; quel fremito, o Visconte, io l'ebbi nel cuore per molti mesi, qual soldato in mezzo ad un armata di bravi, e fu fremito evocato non dalle vittorie di Garibaldi, che non ebbe né puole vantarsi (l'averne avute, ma sdegno sorto per un estera politica, che in mille indecorosi modi accorse a far dono all'altrui rivoluzione d'ogni nostra gloria militare.

Sicché, o signore, voi che tanto vi scandalizzate de' nostri rovesci militari, mercé una-tal quale estasi ricavata dalla passeggiata trionfale di Garibaldi per la Sicilia e le Calabrie, voi, quale persona versata. nella storia militare di Europa, e specialmente in quella che si liga ai rinomati nomi di Luigi XIV, di Federico II, di Maria Teresa e di Napoleone I, potreste rinvenire glorie e catastrofi più clamorose della napoletana di oggi.

Sig. Visconte, e perché vi elevate tanto crudele. voi francese, voi veterano soldato, sui rovesci del nostro esercito?.

Quando Garibaldi sbarcò a Marsala, e costituì uno scandalo detestabile innanzi al diritto delle genti, l'alta società militare e quella civile delle Sicilie, era già da anni minata nelle sue membra più vitali, ma nel mistero che concatenavasi tra' rivoluzionari passivi e taluni attivissimi agenti esteri; sicché egli venne non per far meravigliare l'Europa delle sue belliche apoteosi, ma qual turbine devastatore a raccogliere con impuri elementi sociali, tristissimi proponimenti politici. E la nostra armata, appalesando al mondo intero le meraviglie più straordinarie, per fede, coraggio, ed abnegazione, iniziò dalla Gancia la sua era di onore, e,passeggiò la Sicilia e le Calabrie, combattendo ogni giorno, Ogni ora, come ad una straordinaria ritirata; inseguita non dalle turbe garibaldine, ma dai più sleali e vituperevoli uragani colmi di tradimenti e di menzogne, nonché bersagliata da una certa pubblica opinione comprata con milioni di franchi, e da talune promesse e voleri diplomatici, spergiuri nella forma e nella sostanza.

Sì, o signore, la nostra armata nella sua sventura, non fu seconda ad alcun altra per costanza e valore;. e la giornata di Milazzo (come vi proverò con documenti) fu gigantesca; prestigiosa, brillante. Noi sfidammo impavidi i turbini della rivoluzione e la pirateria piemontese; ma pari ai più gloriosi battaglioni guerrieri dell'età militari, possiamo alzar la fronte al cospetto della storia, e dire ai nostri nemici: «Noi non fummo rovesciati dai Cosacchi d'Italia, o dalla coalizzazione delle squadre ribelli dell'Italia Piemontese, ma dagli elementi demoralizzanti della politica europea.»

Non è mio desiderio intanto di elevar apologia alcuna de' generali napoletani in genere. Molte patrie sventure di oggi portano il nome di taluni di essi, o perché sazi già di ricchezze; o perché avidi d'acquistarne, o perché infine raggiunto quel grado per errore di vecchia data, (l'anzianità) senza merito e senza calcolo. Sicché, sig. Visconte, la sempre costante storia sleale del cuore umano, che tanto crudelmente diede spettacolo di se ai rovesci di molti imperi, governi, dinastie ed eserciti; presso il Re ed il Regno delle due Sicilie, nell'anno scorso, ne ripeté un saggio. Ma l'esercito Borbonico delle Sicilie in emulazione d'ogni estremo cimento, che più brilla di se nella sventura, al grande appello dell'eroico Francesco II sul Volturno, accorse co' suoi generali, rimasti fedeli fino a quel giorno, sfidò il turbine della rivoluzione, spegnendo in una seguela di disfatte, l'aureola fittizia di Garibaldi. E se il Piemonte, gittando la maschera della ipocrita legalità, non appariva dietro i passi della demagogia Italiana, già sepolta in Capua, impudentemente acclamandosi, RIVOLUZIONE E GARIBALDI; il vostro libro «Trenta giorni in Messina» non l'avreste scritto. E se noi dal Volturno ci siamo accampati sul Garigliano, o dal Garigliano ci siamo chiusi in Gaeta, non per questo fummo ì vinti ed i disfatti dai Piemontesi, come si è piaciuto asserire nel Parlamento di Torino dal generale Cialdini; ma tutto questo di sinistro ci accadde sol perché il nostro Re comandava il suo esercito con il codice dell'onore, i suoi battaglioni si lusingavano di donar battaglie virtuosamente militari, ed invece...  sig. Visconte!... eh, ma verrà giorno e squarciato il velo che ricopre tanto mistero, l'universale apprenderà le virtù reciproche d'un Re dignitoso e del suo esercito fedele, mentre condannerà all'eterna infamia i traditori, i vili…

E se l'eroico Francesco II e l'immortale Maria Sofia, nostra Regina, se i strenui principi di casa Borbone (i conti di Trani, di Caserta e di Trapani), con i generali ed i soldati napoletani si chiusero in Gaeta, non fu desìo di vittoria, dopo l'esperimento d'iniquità nuovissime fra governi e le armate di tutti i secoli guerrieri; ma alto proponimento di sfidare l'Europa neghittosa e nemici lordi di ogni ignominia, a prezzo della vita d'un Re buono alleato di tutti i sovrani viventi, ed a costo del sangue di tutti noi, pronti a morire al grido di Viva Francesco II, unico nome, che nello sfacelo morale del inondo politico conserva la bilancia del coraggio e della giustizia, al cospetto della rivoluzione trionfante e della pirateria de' popoli traditi.

E quando giunse il dì della capitolazione di Gaeta, i militari tutti esclamarono con ogni potere dell'animo al nostro Re «Signore, noi vogliamo morire, ma non arrenderci!»

E questo grido nelle Sicilie, sig. Visconte, si è reso un ordine del giorno perpetuo.

Francesco II è in esilio, ed i suoi onorati militari o lo seguono costantemente, o fremono nelle prigioni, o fra le oppressioni Piemontesi, ma non sono né saranno giammai del Piemonte: meno que' generali napoletani comprati in oro, ma ai quali gl'italianissimi non potranno consegnare loro una spada, che gli cadde di mano nel giorno che seppero stringere invece una borsa di monete.

Il mio Re è nell'esilio, e su cento uffiziali si ebbero dieci al servizio piemontese, gli altri stentano la vita tra patrie e personali sventure, e (alano si è visto chiedere l'obolo dell'elemosina, Dio sà, pe' suoi pargoli digiuni, ma la lor fronte è rimasta altera per fede al proprio Principe ed alla sua bandiera. E per dirvi tutto, Francesco II è in esilio, ma i soldati del suo sciolto esercito, sono rimasti i soldati di Palermo, di Calatafimi, di Monreale, Parco, Corleone, Catania, Milazzo, e della Cittadella. di Messina, di Civitella del Tronto, di Capua, di Cajazzo, di Triflisco, di Cascano, del Garigliano e di Gaeta.

Le leggi statarie dell'umanissimo Piemonte, l'orrendo abuso di altri lor bravi dell'era, possono fucilare, uccidere, questi bravi; possono arbitrariamente e come macchine condurli e disseminarli in lontani paesi, ma non conquisteranno mai la loro destra ed il loro cuore. Disertano in Francia, nella Svizzera, nella Venezia; ma udite, udite, sig. Visconte, come la stampa quotidiana di Europa, riporta in ogni dì il loro grido di guerra tra i monti degli Abruzzi, fra ì boschi della Basilicata e delle Calabrie, in mezzo ai piani delle Pugile? Viva il nostro Re! Viva Francesco Il!! e, bravano la loro vita in mille e mille cimenti, laceri e digiuni, onorati dal titolo oggi glorioso di briganti napoletani; e, protestano del valor loro e della lor fede al cospetto degli eserciti del mondo, e gioiscono al pensiero che il loro Re in esilio sappia che l'armata, segnatamente quella di Gaeta, vive tuttora, bastando un sol giorno a riunirla novellamente.

Ebbene, Signore, è ornai possibile che la lealtà e l'onore d'una penna francese, qual è la vostra, abbia stimato (misto a rado fiore). cospargere di spine la nobilissima memoria di tanti prodi, che ebbero ed ànno la costanza di attraversare, seni' arrendersi, un si vasto oceano di calamità?

Signore, che sarebbe addivenuto d'ogni altra armata in Europa, se pari alla napoletana, avesse dovuta sostenere la guerra di un anno, col disappunto del tradimento e della fame ad ogni sua bene assicurata vittoria? Eppure il soldato napoletano è rimasto impavido e costante per un anno intero, battendosi ogni di da leone, ed ogni di perdendo il terreno conquistalo a prezzo carissimo del proprio sangue...

Siamo giusti con gli altri, sig. Visconte, ed avremo giustizia in casa nostra, dice un proverbio. E così, parlando a voi, azzardo rispettosamente soggiungere: com'è. possibile che il sig. generale Cary si è affrettato rispondere con un opuscolo al vostro libro (A monsieur le Vicomte de Noë, par sa brochure Trente jours a Messine, par le g?n?ral Clary) ed in questo, con sorpresa, non trovo una parola a voi, che tanto malmenate in massa i generali, ed egli non è che un generale napoletano?

E finalmente, ora che tutto me stesso vi ò palesato, eccovi la cronaca che voi ignorate e che con la brevità d'un volo d'uccello, sottometto ai vostri talenti ed alla vostra cortesia.

Lo sbarco di Garibaldi in Sicilia non fu l'idea d'un comitato ribelle, ma l'impegno organizzato di tutti i rivoluzionari d'Europa, in concorrenza de' primarii mezzi materiali e politici, che favorivano nel mistero e nel palese, infinite risorse per la riuscita; e Garibaldi (speravasi) dal suo sbarco in Marsala, non percorrere solamente la Sicilia, l'Italia, ma annientare l'Austria mercé l'Ungheria in fiamme, e per giungere in Polonia, sconvolgere la Germania ec. ec. Il proponimento mostruoso ed empio, da consumarsi attraverso un fiume di umano sangue, non corse (com'era premeditato) la stia parabola senz'interruzione, sol perché sulle eclatanti scelleratezze sociali, si à sempre il braccio potentissimo di Dio: perciò Garibaldi fermò la sua corsa, scomparve la sua stella sanguinosa sul Volturno, e, la bufera organizzata, scoppiò tutta sul pacifico reame delle due Sicilie.

Quali argini poteansi creare dal Re Francesco Il e dal suo esercito, per conquidere si altissima e validissima corrente? Il valore ed il sangue de' soldati napoletani fecero sfoggio in ogni ora, in ogni ora si vinse, ed ogni vittoria suggellavasi con la catastrofe. A Calmatimi quattrocento soldati si fanno trucidare, ma lasciano la lor vita da eroi, mentre il generale Landi in disparte trattiene oltre il triplo della forza, e si circonda dell'artiglieria…

A Palermo, si sguarnisce di truppa Porta di Termini; eppure, un pugno di reclute del 2.° cacciatori a s. Antonino, tengono fermo quattr'ore, finché seminata la via. de' loro cadaveri, bruciata fin l'ultima cartuccia, senza soccorso di sorta, ebbero ordine di ripiegare con l'altra truppa al R. Palazzo, e Garibaldi entrò...

La storia di quelle tante giornate di guerra e di sangue, quando si scriverà, farà meravigliare e fremere ogni uomo che à cuore, che à onore. Garibaldi ovunque apparve da Marsala, Corleone, Calatafimi fino a Palermo, non era un nemico da far paura, ma un giocoliere da mettere in brio i nostri impavidi soldati. Ebbene, signore, Garibaldi possedeva la metempsicosi, e placidamente si trasformava in vincitore, ogni volta ch'era vinto, e conquiso da noi, ed oh! Visconte, se al momento potessi aver con voi libera la parola, come ò libero il braccio ed il cuore, il vostro stupore giungerebbe alle sfere, ed ogni mio accento avrebbe la potenza elettrica di sdegnare il mondo in favore del re e dei soldati napoletani!!...

E, noi non abbiam materia di arrossire ai modi incivilissimi e niente militari ed italiani del generale piemontese sig. Chabriera da voi citato a pag. 40, qual campione d'aver definito lo assieme dello esercito napoletano. Visconte, l'esercito napoletano à combattuto e tanto, da sfidare una vasta cospirazione e rivoluzione italo-europea, ed à combattuto con armi cui si battono le armate valorose ed onorate. Di grazia, di quali armi si è servito l'esercito cui fa parte, il proteo delle vostre censure, il generale Chabriera?…

Le armi piemontesi usate per predare le Sicilie, sono note al raccapriccio di tutti gli eserciti del mondo civile, e per conseguenza quel fango che ci gitta, il generale del Piemonte, non lorda a noi su cui spera scagliarlo, ma.... a chi lo slancia....

E per dar termine ad una risposta che meriterebbe ben altro sistema di scrittura, che non è questo fugacissimo cenno; eccomi a chiarirvi l'episodio di Milazzo, che più brilla in mezzo alle nostre giornate militari di Sicilia; che fece fremere Garibaldi, la rivoluzione italiana, e la stampa anti-sociale di Europa, e che fin'oggi inquieta i sonni de' gelosi, degl'infingardi, delle spade discreditate, e di chi teme comparire al tribunale della storia.

Il nome militare che racchiude le ardite e nobili azioni di Milazzo (Ferdinando Beneventano del Bosco) è quello che fiacchi l'alterigia di Garibaldi dal Parco alla Piana de' Greci e Corleone, e che gittandosi co' suoi cacciatori sopra Palermo, il 30 maggio, di già elevata ad Areopaga, di tradimenti e di vituperi, dagli arcani comandi della rivoluzione, giunse con la sua spada a far impallidire molti EROI delle spoglie opime… ed ecco la maggiore importanza da cui ne viene il sistematico impegno di screditare in ogni modo gli avvenimenti di Milazzo, ed ecco la premura, signore, d'insinuare nella vostra suscettibilità, pessimi informi, che con quella lealtà che vi adorna, oggi smentirete.

Il generale Clary, comandante superiore delta provincia e Real piazza di Messina, al di 13 luglio componeva una brigata d'operazione, sotto gli ordini del sig. Del Bosco, allora colonnello, onde tenere in riguardo l'inimico, che minacciava Milazzo e Messina, dando all'uopo delle istruzioni scritte, che noi registriamo con qualche brevissimo commento, e che se onorano lo stato maggiore del sig. generale, tanto versato nella buona lingua e ne' sensi di umanissima civiltà cavalleresca; altrettanto zoppicano di censura per le previgenze tattiche di guerra Ecco il documento.

IL COMANDANTE SUPERIORE DELLE TRUPPE RIUNITE 

E DELLA PROVINCIA E R. PIAZZA DI MESSINA N.°...

MESSINA 13 LUGLIO 1860.

Sig. colonnello

» A mente delle superiori prescrizioni le quali ingiungono di non attaccareinimico, ma di attendere che esso venga ad attaccare, vedendo che questi si è reso baldanzoso a segno di voler restringere la sfera di azione formando degli attruppamenti considerevoli alla distanza minore di cinque giorni di marcia da Milazzo e Messina, locché è contrario allo stabilito nelle reali ordinanze di piazza, ho disposto quanto appresso: 1.° Le seguenti truppe formeranno una brigata d'operazione sotto i suoi ordini – 1.° battaglione cacciatori  – 8.°  – battaglione cacciatori e 9.° battaglione cacciatori.  – La batteria a schiena numero 13 – uno squadrone di cacciatori a cavallo – un distaccamento dì 40 pionieri – una sezione d'ambulanza – un Commissario di guerra.  – Saranno addetti poi presso di lei il signor primo tenente Salmieri dello stato maggiore, il signor alfiere Acciardi del 2.° lancieri, ed un distaccamento di compagni d'armi – Ogni uomo dovrà essere fornito di 80 tiri a palla sopra di se; altra piccola quota di cartucce sarà con la batteria.  – 2.° Queste truppe muoveranno da Messina alle 8 p. m. quest'oggi, ed avranno due giorni di viveri secchi nel sacco: altri due giorni della stessa cibaria sarà trasportata per cura del commissariato di guerra.  – 3.° Giunto che sarà sulle posizioni di Colle S. Rizzo e Gesso, rileverà col 1.° hall. cacciatori il 5.° della stessa arma, e darà le istruzioni al comandante del 1.° che avea dato a quello del 5.°: salvo le modifiche o aggiunzioni che potessero rendersi indispensabili, ora che una brigata d'operazione si mette in avanti; il 5.° battaglione cacciatori quindi farà parte integrale della brigata di suo comando.  – 4.° Scopo del suo movimento si è di guarentire la minacciata piazza di Milazzo da un blocco, assedio o colpo di mano: quindi occuperà la città la quale stando nela dominio del raggio d'investimento, è di dritto sotto la dipendenza del Forte occupato dalle reali truppe.

» Ma comecché tra il Gesso e Milazzo vi è una distanza considerevole e tale da potersi girare la posizione di Milazzo, così crederei che si piazzasse da lei un distaccamento a Spadafora con un antiguardo ad Archi, che è il trivio tra Messina, Milazzo e Barcellona. Questo antiguardo ove mai fosse respinto facendo parte integrale del distaccamento di Spadafora, puole ripiegare sopra Spadafora stessa, o se la distanza fosse troppo considerevole ripiegherebbe sopra Milazzo ov'è il corpo principale  – S'intende bene, sig. colonnello, che quanto ho detto o dirò in appresso è idea generale; ma ella a seconda de' casi e delle circostanze è facoltaa a modificare le presenti istruzioni in quella parte che crederà, purché tenga in mente lo scopo da conseguirsi ch'è quello di non essere attaccato alla sprovvista – A Milazzo resta a lei di mettersi di accordo col comandante di quella fortezza e piazza riguardo all'andamento del servizio, ed alla cooperazione che la piazza stessa può dare allo sviluppo delle sue militari operazioni. E però eviterà le. suscettibilità che potrebbero nascere dall'antichità di grado; e partecipando al comandante la piazza quella parte delle sue operazioni che crederà potergli comunicare, farà si che l'unità di azione sia guida alle reciproche operazioni – Attenderà dopo essersi militarmente piazzato di essere attaccato, ma tenga per fermo che lo attacco in qualunque punto le dà il dritto di sloggiare l'inimico dalle sue posizioni; ed ove mai, come spero, dal di lei valore e conoscenze, le riuscisse di respingere l'aggressione, sappia ch'è mia intenzione che ella non debba per h ora oltrepassare Barcellona, ove si fermerà come in accantonamento militare, attendendo mie ulteriori disposizioni. – 8.° Se l'inimico non si curasse di Milazzo e marciasse invece per Archi e Spadafora, ella deve attaccarlo alle spalle, mentreché il posto di Spadafora ripiegherebbe a Gesso, ove tutta la truppa colà stanziala ed in quella posizione vantaggiosa l'attaccherebbe di fronte.

» Non è fuori proposito farle notare che l'inimico potrebbe evitare Milazzo e Spadafora ed anche Gesso, spuntando per S. Lucia e Saponara a a Colle S. Rizzo. Spetterebbe al distaccamento quivi stanziato il sostenersi, finché la truppa di Gesso e Costanea sopraggiunte mettessero l'inimico stesso in due fuochi. È anche interessante il farle presente che per audace che sia, l'avversario non potrebbe mai presentarsi a Colle S. Rizzo in forze tali da potere oppugnare quelle de' nostri distaccamenti così ben piazzati. Egli è perciò che resta a lei lo spiegar bene al comandante del 1.0 battaglione cacciatori che rileva il 5.° dell'arma stessa, tutte queste svariate circostanze; e che s'infonda bene nell'animo de' singoli distaccamenti, e massime de' loro comandanti: che. non si cede la propria posizione se non quando si a sarà perduta metà della propria gente: che ciascun soldato rammenti aver l'Europa tutta rivolto lo sguardo su di noi; che santa è la causa del Re, che fedeli furono sempre i militi al loro giuramento, che bello infine è l'incontrare gloriosa morte, anzi che cedere a d'un sol passo. – Le raccomando in ultimo sig. colonnello, di tenermi a giorno e quanto più spesso a si può di tutte le sue operazioni, delle notizie che a potesse raccogliere, nonché de' lumi che può fornirmi a nell'interesse del servizio del Re (N. S.).

» All'oggetto ella ha, un distaccamento di compagni d'armi non  solo, ma si accompagneranno con lei degl'impiegati telegrafici per far. riattivare il telegrafo di Spadafora a abbandonato, ma fortunatamente non distrutto – Con le popolazioni, sig. colonnello, scopo non è qui dirle qual sia il temperamento a prendere.

» Ella è un cavaliere così distinto che sarebbe ardimentoso il farle de' suggerimenti sul modo come si debba con esse comportare. Ricordi però che sono traviate dal retto sentiero, ma son sempre figli del più buono tra i padri: tuttavolta quando le forme e le maniere a gentili non raggiungano la desiata meta, ritenga che il contegno militare esige che si debba essere rispettati – Farà rispettare eziandio le autorità, e funzionari regi, e li consideri sempre nel rispettivo ramo come parte della suprema autorità reale – In qualunque ebbrezza di truppa, non permetterà il sacco e le ruberie. Non mi dilungo su questo capitolo, perché conosco pur troppo i di lei sentimenti in proposito. Mi giova però renderla sicura che qualunque disposizione sia ella per dare affine di punire qualche trasgressore, sarà da me approvata.  –

Firmato –  GENERALE DE CLARY

Riservatissima – Al sig. Colonnello

Cav. D. FERDINANDO Bosco

Comandante la Brigata di spedizione per Milazzo

Quella colonna dunque, che le vostre informazioni esagerano fino alla cifra di 25,000 uomini napoletani ben armati, ben disciplinati, ben equipagiati, componevasi di 800 uomini per ciascuno del 1.° dell’8.° e del 9.° battaglione cacciatori, della batteria a schiena n. 13 da 8 obici da 12 centimetri (fiacche e deboli bocche da fuoco ne' presenti ordinamenti di guerra), d'uno squadrone cacciatori a cavallo, e d'un distaccamento di 40 pionieri. Come vedete una colonna in miniatura, che la sola arditezza strenua del sig. Bosco potea sostenere, riguardo agli avvenimenti che si prevedevano da' prudenti e da’ tattici, e che non avrebbe dovuto (mi perdoni il supremo generale comandante) così studiarsi quella circostanza impellente.

Infatti.

L'onorevole generale oltre i talenti militari che lo assistono, trovavasi nell'alta condizione di dover prevedere e provvedere il da farsi, qual comandante superiore in Messina, sol perché avea ben sostenuto fino a giorni prima il comando militare di Catanea.

Dopo il combattimento che si ebbe in Catanea, egli dové abbandonare quella provincia, sedotta servilmente da Palermo, di già in luridi trionfi de' tradimenti e della rivoluzione; perché priva di una fortezza, di niuno interesse strategico, e troppo lontana dalle risorse che offre Messina, per la prossimità delle Calabrie, per la Cittadella che possiede, e per la sua giacitura importante, sotto il rapporto di guerra difensiva ed offensiva.

Or egli il sig. Clary, era giudice più provetto per coordinare i più prosperi eventi di riuscita e di vittoria.

La scelta di del Bosco fu importante, e per le prove di senno, e per quelle eclatanti di fede e di bravura ottenute nella Sicilia, e perché godeva e gode la piena ed assoluta fiducia della soldatesca, trepidante allora pe' non pochi tradimenti de' suoi capi. – Ma l'egregio sig. generale Clary (scusi la mia franchezza resa splendida dalla sventura) non ebbe in mente che Garibaldi ebro di tante insperabili riuscite, avvicinar si dovea a Messina, onde col suo sistema misterioso allora e non oggi, riuscire ad inutilizzare un altro corpo d'armata, e nel tempo stesso iscuotere le Calabrie e provocare le ben prestabilite sedizioni di Napoli, capitanate da una libertà incomposta, grazie al genio funesto di Liborio Romano e complici?

Mi si potrà rispondere, che Garibaldi non mettea pensiero al cospetto d'una Cittadella, la quale si aspettava un assedio impossibile per masse ribelli. – Rifletto: la Cittadella era l'ultimo scacchiero di guerra, mentre il primo era di mantenere lontano Garibaldi da Messina, disfarlo in ogni modo presso quelle adiacenze, onde la sua febbre rovinatrice non contaminasse di volo la città di Reggio, testa delle Calabrie, e nel tempo stesso dargli modo di novelle seduzioni e suddivisioni di forze militari, avendo in mente di poter vincere, schivando 'sempre battaglie, e specialmente una battaglia decisiva, pari a quella che avrebbe dovuto offrirgli a rigore il sig. generale Clary, possedendone tutti i mezzi. Sicché, penso, un duce supremo che possiede Messina e la Cittadella, con centinaia di artiglieri puole benissimo imbrigliare quella città ed allontanare da se il nemico, e nel tempo stesso può avvalersi di tutte le forze attive che comanda, ed il signor generale Clary avea la imponente fortuna di poter disporre di 17,000 uomini, di un parco di artiglieria, di due battaglioni di lancieri e del migliore e più intrepido squadrone del reggimento di cavalleria, qual era quello de' cacciatori.

Parmi dunque che ogni ragion militare obbligava l'onorevole generale ad assegnare alla colonna guidata da Bosco, almeno sei invece di tre battaglioni. E ammetto pure, a sfogo di sua difesa, che la piccola colonna bastava pel momento, avendogli promessa a Bosco altro ausilio di forza nella bisogna, ed allora, perché non togliere dagl'inutili ozi di Messina i battaglioni disponibili e scaglionarli invece dietro i passi della colonna?

Una delle due: o gli avvenimenti che si temevano da Milazzo a Spadafora, chiedevano rinforzi, e Garibaldi co' suoi sarebbe stato distrutto al completo; o impreviste necessità sopravvenivano al generale Clary a Messina, per una colonna nemica che potea apparire dal centro dell'Isola, ed in tal caso bastava un ordinanza, un tocco di tromba, una cannonata di avviso, e mercé un semplice cambiamento di fronte in dietro, richiamavansi quelle forze che necessitavano.  – Oh! Son certo che così operando, l'Europa politica e militare, alla distanza di 12 anni, in Messina, avrebbe scorta la tomba di due imponenti rivoluzioni italiane! E tantoppiù, mi è noto, che il sig. generale in capo, nello spedire la brigata del Bosco, questi presente e il sig. capitano d'Ayala, venne avvertito dall'uffiziale sig. Dusmet, che un di lui parente gli avea detto, che già a Barcellona si riunivano 10,000 ribelli…

E ritornando alla brigata del Bosco, questa si mosse, (a differenza del prescritto nelle anzidette istruzioni) all'alba del 14 luglio da Messina, ordinata con antiguardo, retroguardo, esploratori e fiancheggiatori, dirigendosi sopra Spadafora, ed al Colle S. Rizzo, ove erano degli avamposti del 5° cacciatori, fece alto; e, mercé di un secondo movimento fu al Gesso, ove scavasi il rimanente del 5° anzidetto.

Dietro episodi di qualche falso allarme, che la storia registrerà, prese momentanea stanza in Spadafora, ove per ordine del generale si dovette ristabilire lo abbattuto telegrafo, e lasciandovisi 4 compagnie dell'80 cacciatori, così diminuita la tenue brigata, al 15 luglio giunse a Milazzo, situandovisi in modo che ordina la scienza delle manovre e degli accantonamenti.

Al 16 del Bosco si diede allo studio del terreno, prevenendo tutte le possibili eventualità, onde non vedersi sorpreso dal nemico in disappunto (come leggesi nella raccolta degli atti di ufficio), e inteso che nelle adiacenze vi erano due mulini se ne impossessò, sì per l'uso cibario della truppa, sì perché situati a punto di qualche importanza, collocandovi una compagnia in posizione. Infatti nella notte vi si ebbe uno scontro di fucilate con taluni garibaldini di avvisaglia; sicché al dì seguente 17, invece di una, si vennero a collocare due compagnie. In questo giorno del Bosco, per compiere sempre gli ordini del generale, quasicché comandasse molti battaglioni, fece muovere per Archi 4 compagnie dell'8° cacciatori, una sezione di artiglieria, ed un plotone di cacciatori a cavallo, agli ordini del maggiore Maringh, ingiungendogli di tener fermo in quella posizione.

Sulla via ebbesi uno scontro con due compagnie piemontesi, mascherate alla garibaldina e con delle masse, che rotte in fuga, i nostri fecero 21 uomini tra feriti e prigionieri. Il Maringh stimò restituirsi a Milazzo e del Bosco ne fu scontento, sì perché avea perduta una posizione guadagnata, si perché quel ritorno potea essere stimato una disfatta da' civili de' luoghi, come si ritenne; quindi dispose rioccuparsi quella posizione, e agli ordini del luogotenente colonnello Marra spedì 4 compagnie del 9° e due del 1° cacciatori, mezza batteria ed un plotone di cavalleria. Infatti a mezzo miglio da Archi, la nuova colonna scorse delle forti masse che si avanzavano.

Marra avviò due compagnie per esplorare ed una in sostegno. Queste vennero attaccate fortemente, e fu necessità che una 4" compagnia le raggiungesse. L'artiglieria protetta dalla cavalleria e dalle rimanenti due compagnie di cacciatori si piazzò in posizione. Le masse imponenti aspiravano di girare sui lati della piccola colonna, che con indicibile slancio si sostenne fino alla sera che cessò il fuoco, ed. indi prese la sua posizione agli Archi, avendo avuto delle perdile, ed avendone arrecate grandemente ai garibaldini; a que' tali che, voi Visconte, chiamale reggimenti di ragazzi (?)…

Avvertito il del Bosco dello accaduto, alla testa di altre compagnie del 9° cacciatori, d'un plotone di cavalleria e d'una sezione di artiglieria, si condusse ad Archi per rinforzare la posizione. Inteso però dalle relazioni, che le masse si moltiplicavano, mentre la sua brigata si sparpagliava, giustamente pensò riunire la colonna, e per miglior veduta militare ripiegò sul grosso della truppa in Milazzo. Voi, sig. Visconte, già vi accorgete che non fu prudente consiglio spedire incontro di Garibaldi e de' garibaldini, che già da tutta Italia piovevano in Sicilia, tre battaglioni i quali riducevansi a due o meno, per le diverse posizioni da prendersi e pel necessitoso collocamento di non pochi avamposti, vigili a tener d'occhio un nemico ché agiva senza leggi di guerra ed allo azzardo; mentre se da Messina fosse partita tutta la truppa, slanciandola contro Garibaldi, potea il sig. generale Clary assicurarsi la rinomanza mondiale di aver salvato il Re ed il Regno. Allora in fatti, se Garibaldi perdeva, era spenta la mina mascherata, scavataci con ogni premeditazione dal Piemonte Ed ecco che il sig. del Bosco restituitosi a Milazzo, spiccava un energico telegramma al duce supremo in Messina, e che io mi onoro sottometterlo a voi in nota, come altri che stimerò opportuno, onde ogni intelligente possa appoggiare le sue considerazioni a documenti irrefragabili.

TELEGRAMMA ---IL COLONNELLO DEL BOSCO AL MARESCIALLO  CLARY.

(Messina)

» Ieri feci rioccupare la posizione abbandonata da Maringb. Un violento attacco che durò fino alla sera da usare i miei la baionetta fece restare ognuno nelle proprie posizioni. Di notte sono andato a vedere lo stato della truppa ed il sito che ella mi ha suggerito occupare. Ho dovuto ripiegare in Milazzo, non essendo Archi un punto militare. Ho l'avviso che in Barcellona sono già 7,000 uomini, e se ne aspetta altro gran numero. Chiedo due battaglioni e l'8° subito respingerlo costà. Forse sarò attaccato da grandi forze. La perdita l'ignoro finora. Manca di viveri il paese. Truppa ed uffiziali di stato maggiore, mandate subito subito Milazzo 18 luglio 1860.

Firmato «DEL Bosco

Come comprendete, il telegramma esponeva la difficile condizione della brigata e dimandava urgente rinforzo. Or mi dispiace, che la giustizia della cronaca, mi mena a riportare l'ufficio responsivo, che ottenne del Bosco dal generale Clary.

IL COMANDANTE SUPERIORE DELLE TRUPPE RIUNITE E DELLA PROVINCIA E REAL PIAZZA DI MESSINA. --MESSINA 19 LUGLIO 1860.

Sig. colonnello

«in riscontro del suo foglio di ieri, giuntomi questa mane alle ore 10 ant. comprendo la gravità delle circostanze e le spedisco il sig. capitano Fonzeca, per brevità di tempo, affinché possa prendere le di lei determinazioni, e pensare alla esecuzione di esse. Qui non vi sono vapori di guerra, mi si promettono ed allora glieli spedirò. – Azzardare  lo imbarco sarebbe un grave rischio, essendovi una crociera nemica. – Non parlo, sig. colonnello, della sua risoluzione: io spero molto sul suo braccio, ed il Re (N. S.) lo desidera.  – In questi momenti solenni scopo è in noi di far uso di tutta l'abnegazione a qualsiasi controversia.  – Non le dico altro e stia esclusivamente  sulla difensiva. Il Capitano surriferito le dirà a voce tuttociò che per mancanza di tempo non posso scriverle».

Non è mio proponimento elevar commendi, ma voi che maneggiate una spada, ed io che son militare da' tenerissimi anni, possiamo, voi leggendo ed io scrivendo, valutare, insieme il cruccio del cuore, al solo pensare la febbre sdegnosa che dové scuotere del Bosco per Sì ottenuto riscontro.

Debbo chiarirvi i fatti di Milazzo, quindi non posso tacere alla verità un'osservazione seben molesta, ma che il distintissimo sig. generale Clary deve perdonarmi. Se il capitano Fonzeca, con un lanciere e sei uomini detti compagni d'armi, potè senza tema spedirsi da Messina a Milazzo, i quali giunti a Spadafora si unirono alla scorta d'un plotone di cacciatori dell'8.° battaglione; or quale difficoltà potea aversi per la spedizione di uno, di due, di tre battaglioni di rinforzo,-che a camino sforzato ed alla leggiera, potean giungere a Milazzo anco in una sola tappa?

Aggiungasi che i due vapori francesi Brésil e la Ville de Lyon, addetti al servizio del governo militare di Napoli, erano già in Messina, disposti ad ogni volere del comandante superiore sig. Clary, che in poche ore e sotto la tutela della bandiera francese, potea far giungere almeno due battaglioni a Milazzo!

La suscettibilità del mio spirito mi servirà di scusa presso l'onorevole sig. generale, e vorrà essere generoso a tollerare le mie brevi e sterili osservazioni, che invano il personale riguardo che nutro per lui potrebbero arrestare, oggi che una immane sventura ricopre e trono e re, e patria e cittadini!

Proseguiamo.

E Del Bosco al giorno appresso, 18 luglio, con un’abnegazione che l'onora su d'ogni vittoria, si occupò a regolare la sua truppa in caso di attacco. Dispose che il 1.° cacciatori rinforzasse il posto detto Casa Unnazzo, ed il rimanente prendesse posizione al piano S. Papino, con la poco cavalleria pronta ad accorrere ad ogni bisogno. L'8.° cacciatori, di sole 4 compagnie (le altre rimaste a Spadafora) fu messo per colonna in massa fuori porta Messina. Due compagnie del 9.° cacciatori a proteggere l'artiglieria, ed il rimanente disponibile al piano del Carmine. Non dimenticate, o Visconte, che questa piccola brigata, già assottigliata per le vicende della campagna e degli scontri, sempreppiù si riduceva pel non poco numero degli avamposti; e perché temendosi uno sbarco dal lato del mare (grazie al disonore invalutabile della marina napoletana) si dové fornire un avamposto anco sul colle detto il Capo.

Al di 19 il Del Bosco prese novelle indagini del terreno, ed altre utili ricognizioni verso il luogo detto le Grotte, che si svolge fino al villaggio di s. Pietro, ove infatti si avvertì qualche vedetta nemica, e si ebbe da svariate notizie raccolte, una quasi certezza, che allo indomani Garibaldi alla testa di grandi masse (non di ragazzi, sig. Visconte, ma del fior fiore della rivoluzione, e di soldati piemontesi in concedo), si sarebbe spinto innanzi.

E Del Bosco, altero di dare una battaglia a Garibaldi con la sua colonna, non disperò del breve numero delle sue forze, e attese con ansia la nuova alba, fiducioso di poter donare ai fasti militari dell'esercito dinastico delle Sicilie, allori novelli, che spenta la febbre di oggi, saranno di emulazione non peritura ad ogni onorato militare.

Sig. Visconte, ecco il giorno 20 ludo 1860. Ecco del. Bosco alla testa de' suoi non 25,000 napoletani, ben armati, ben disciplinati; ben equipaggiati, inseguiti da' Garibaldini sul loro cammino, come voi avete scritto; ma bensì alla testa del 1.° 8.° e 9.° battaglione cacciatori, che nello assieme componevano, presenti sotto le armi, la cifra di 1600 uomini!.

Non ardisco, perché sarebbe manomettere una gloria che si solleva fra questi pravi tempi in Italia, come una gemma vivida fra dense gramaglie; non ardisco trascrivere a voi in una lettera di disputa, un solo brillante episodio di quella magica giornata di guerra, sì per non menomare di una sol tinta un quadro che sta bene nello assieme; sì perché un mio amico () già si occupa ad offrire un volume, che lo pregherò farvi giungere, col titolo di Milazzo e Messina nel luglio 1860.

Ammirerà, son certo, con quell'entusiasmo ch'è natura d'ogni francese per ogni opera eroica, la storia di Milazzo essere diametralmente opposta a quella raccolta da voi, in terra già preda della rivoluzione e delta pressione piemontese, e, il vostro libro «Trenta giorni in Messina» avrà, mercé il vostro talento e la vostra lealtà, una nuova edizione, con ampi miglioramenti, sacri alla giustizia di una santa causa, di cui vi chiamate con orgoglio suo 'propugnatore.

Ed in questa storia leggerete, anco altre mie osservazioni, che per brevità ometto in questa lettera, ornai lunga di molto: osservazioni che ò offerto al mio amico per tenerne conto, e che vi provano non solo la mia oculare testimonianza, allora qual capitano di stato maggiore spedito in Milazzo per speciale missione, ma la testimonianza bensì di taluni uffiziali di Garibaldi, che per ufficio dovetti avvicinare.

Però non stimo, sig. Visconte, privarvi d'un fatto strenuamente orgoglioso pel comandante la giornata di Milazzo, come stimo di sottomettere al vostro giudizio la spiega di due ultimi dispacci che il generale Clary a Messina, spiccò a Del Bosco, e che fanno parte interessante de' documenti per la storia.

La giornata di Milazzo, attraverso una pugna da giganti, ove combattevano 1600 eroi, che si assottigliavano ad ogni istante, contro masse che presentavano la fronte di 15,000 uomini, e che poteano ottenere tutti que' rinforzi che i nostri invano aveano chiesti, offrì degli espedienti militari, che la sola storia potrà valutare. Ma nel più energico della zuffa, mentre il Del Bosco che comandava a piedi in un vigneto, facendo miracoli di guerra, per respingere alla baionetta un energico attacco di risoluti garibaldini, e per soccorrere a' due bravi capitani Purmann e Fonzeca, fu avvisato che il nemico si avanzava per la consolare, appunto nel sito ov'egli avea situato la sua piccola riserva, composta di 90 scelti cacciatori; vi accorre e questa non trova, perché il luogotenente -colonnello Marra, ne avea disposto per soverchio zelo.

Dispiaciuto di questa urgente mancanza, spedì nel Forte di Milazzo sua ordinanza, a chiedere al colonnello Pironti che n' era comandante, indipendente per anzianità, un 300, de' 700 soldati del 1.° reggimento di linea che avea, non per comprometterli nella pugna, ma per adibirli agli avamposti, e così far rilevare altri cacciatori che bisognavano al dissuguale combattimento; e questo (oggi lo ripetono que' prodi) recisamente si rifiutò!

Lascio a voi riflettere: Garibaldi era scuorato, mentre i suoi già aveano perduto (per sua confessione orale) oltre gli 800 uomini, ed un qualunque aumento di forza a Del Bosco, era un passo di più a sostenersi ed a vincere.

Ma giunto ad un estremo, cui lo stesso valore potea venir tacciato di smodata audacia, il Del Bosco, senza cessare il fuoco; in bell'ordine esegui una ritirata meravigliosa, riguardo al soverchio sviluppo della sua linea di combattimento, e riguardo ai difficili accidenti che offriva il terreno, sprezzando i fuochi della pirofregata il Veloce, che tormentava dal fianco dritto la ritirata della colonna lungo la spiaggia, non lasciando al nemico che 21 prigionieri (e taluni di questi già feriti); e giurate alla cifra, sig. Visconte, giacché fui io commissionato in seguito a rilevarli dal colonnello Forbys inglese, comandante garibaldino della piazza di Milazzo.

Entrata la colonna in Milazzo e situatasi militarmente, ecco che Del Bosco si apparecchia a segnalare in. Messina al generale Clary, onde compiere un dovere di subordinato, ed ottenere que' tali rinforzi, per indi riprendere l'offensiva, ed era deciso in estremo, anco ad un attacco alla baionetta, arma che vola e non si maneggia nelle mani de' cacciatori napoletani. E tra mille esempi che n'offre l'istoria patria, vi ricordo a Tarragona, co' fucili ad armacollo, i napoletani assaltarono le trincere francesi, stringendo la baionetta.

Ma ecco il telegramma.

IL COLONNELLO DEL BOSCO, AL MARESCIALLO CLARY

(Messina)

» Sono chiuso nel forte. Un numero di battaglioni cacciatori, se sbarcasse in poca distanza -da prenderli alle spalle, finirebbe farmi riguadagnare il terreno, diversamente saremo astretti capitolare, come ognuno.. giudica con dolore. Lo partecipi a S. M. il Re.

Milazzo 20 luglio 1860.

Fir. DEL BOSCO

Niuno slancio provvidenziale fu messo in pratica per soccorrere que' bravi.

Al di seguente, lo stesso Del Bosco soggiunse Un altro dispaccio al generale, non meno rilevante del primo, ed è questo.

TELEGRAMMA IL COLONNELLO DEL BOSCO AL MARESCIALLO CLARY.

(Messina)

» Lo stato del Forte è tale che subiremo un attacco alla baionetta Tra due o tre giorni, essendo facile cosa la breccia. In tutti i casi, qualunque possa essere il valore delle truppe, dovrassi venire ad una transazione. Perché dunque il governo non tratta direttamente» la capitolazione di queste truppe?

» Il castello è debolissimo, dominato, ed in meno di 24 ore abbiamo avuto un morto, 8 feriti e 3 animali ancora Il morale delle truppe è scosso, per l'insufficienza de' mezzi di difesa, e pe' feriti che si aumentano ogni momento.

» Da Milazzo 21 luglio 1860.

» Fir. DEL BOSCO

Finalmente, al giorno appresso di questo secondo dispaccio, il sig. generale Clary rispose cosi.

TELEGRAMMA – CORRISPONDENZA DEL R. CORPO TELEGRAFICO

 – Ore 12 m. Milazzo 22 luglio 1860.

» Il comandante la provincia di Messina.  – Al comandante la colonna in Milazzo.  – Quando man cano i viveri e l'acqua, come dite, è inutile la resistenza.  – Riunite il consiglio e fate quello che l'onore e l'ordinanza vi dettano.  – L'uffiziale telegrafico

» Fir. FRANCESCO CAFIERO

Ed ecco che quando Del Bosco più non sperava che nelle forze estreme di morire onoratamente co' suoi, se decorosa capitolazione non gli si accordava; e mentre con nobile sdegno avea rifiutato ogni proposta di resa offertagli dal comandante del Protis, sig. Salvv, ecco un dispaccio del generale Clary, come la stella polare apparire nella bufera.

TELEGRAMMA – CORRISPONDENZA DEL R. CORPO TELEGRAFICO

  – IL MARESCIALLO CLARY AL COLONNELLO BOSCO.

» Sospendete le trattative. Rinforzi positivi sono partiti. Altre poche ore e sarete salvo. L'Uff. Telegrafico.

» Fir.  CAFIERO

Del Bosco risorge al consueto slancio, elettrizza con magiche parole i suoi bravi cacciatori, a notte gli fornisce d'ogni vettovaglia, per la pugno del dì seguente. – I più entusiastici proponimenti s' ideavano; gli occhi di tutti non si prestavano al sonno.  – Si guardava a mare ed a terra, ignorando i rinforzi per qual via transitavano.  – Ogni scintilla eterea nel buio si valutava per un fanale di avviso.  – Ecco, ecco che giungono! erano i motti d'ogni istante, ed invece: chi lo crederebbe, sig. Visconte? per tutto rinforzo arriva quest'altro dispaccio, che per la distanza della provenienza sembrò un insultante delfico oracolo. E scorso un anno, e con esso l'oblio di cento sventure ridestarle è un male!...

Ecco il dispaccio.

TELEGRAMMA  – CORRISPONDENZA DEL REALE CORPO TELEGRAFICO. –  MILAZZO 23 LUGLIO 1860 –  ORE 7 ANT.  – RAPPORTO TELEGRAFICO IL MARESCIALLO CLARY AL COMANDANTE LA PIAZZA DI MILAZZO.  – (a Pironti!)

«FQuesta mattina arriverà costà un Ministro (sic!) plenipotenziario del Re, con quattro fregate napoletane e tre vapori francesi, per trattare la vostra resa.

«FDa Messina ore 7 ant.

L'uffiziale telegrafico

Firmato «FRANCESCO CAFFIERO

ll plenipotenziario giunse; que' prodi capitolarono!...

Per non mancare a me medesimo, Visconte, v'invito a riflettere che il telegrafo agiva ancora il giorno 23 luglio, da Messina, Gesso, e per Spadafora a Milazzo.   – Ebbene! era questa la via sospetta il 19 detto mese, per transitare una colonna di rinforzo  –

Le sventure di Milazzo si ritengono come di prefazione a quelle di Messina, procurate da' compri consiglieri, e dalle disposizioni del ministero, ed il sig. generale Clary à pure le sue ragioni, che molti non ammettono. Un generale, dicono, in faccende supreme alle quali si ligano le sorti d'un re, d'un regno e d'una armata, non si sommette a' ragiri ed insidie che promanano de' tremendi rovesci; ma o agisce co' suoi pieni poteri, o si dimette dalla carica, o protesta e svela quando travede che mani scaltre, o pravi consigli spingono le circostanze ad offendere l'onor militare, la bandiera e la religione del giuramento.

In qualunque modo sia, la capitolazione di Messina   – senza trar colpo   – bene o male ordinata non sò, bene o male stabilita non giudico, bene o male adempiuta non la comprendo, tanto in valore politico, quanto in merito militare; ma sostengo, che, per le dolentissime amarissime conseguenze che complicò, fu la ferita morale più profonda delle seguite sciagure militari del Faro e delle Calabrie, nell'agosto dell'anno scorso, e della conseguenza della caduta della Cittadella di Messina nello aprile di questo anno.   –

Io lascio la penna, signore, perché sento di aver molto abusato della vostra cortesia, e se trovate molto calore nel concitato mio dire, ricordatevi che la mia spada e quella di tanti illustri compagni, fu spezzata non dalle altrui vittorie, ma dagli errori, dalla pochezza, dalla viltà e dal tradimento, ed io senza che mi punge rimorso, soffro le pene dell'esilio!...

In ultimo il vostro nome, più che il vostro libro mi à colpito, ed a questo non avrei risposto, se non scorgeva un nome che per le proprie convinzioni (e sprezzando quelle della maldicenza) e per aver fatto parte anco un giorno della mia coccarda, avrebbe dovuto, se non altro, non contradire se stesso, come per un disgusto personale avete stimato fare.

Più, vi ò risposto, perché mi cruccia il pensiero che le patrie sventure, e quando possiede l'antica e la moderna istoria di sacro alla gloria di tanti prodi e fedeli, andar ne deve travolto ne' lacci dell'inganno e della mala fede; nuovissima morale degli italianissimi....

La mia insita lealtà, la mia abituale franchezza, sig. Visconte, oggi più che mai sono infrenabili dalla disgrazia che mi circonda, poiché, tra l'altro rammento che fui testimone del richiamo delle 'truppe da Palermo e di quelle da Messina, e senza sconfitte imbarcava due volte, In fine, sig. Visconte, se col vostro libercolo «Trenta giorni in Messina» credeste scrivere un brano di storia, abbiatevi la certezza che molti testimoni oculari, giudicano quello scritto inesatto, e che non può offendere in genere né i generali, né l'esercito napoletano.

Mi creda con distinta considerazione, o Visconte

Roma 1 luglio 1861.

U.mo Servo

GIOVANNI DE' TORRENTEROS

























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