Eleaml - Nuovi Eleatici



Alcuni anni fa , durante una trasmissione televisiva, si disse – vado a memoria – “...ha ragione Galli Della loggia, il quale ha detto che se fosse vero quanto sostengono i neoborbonici ci sarebbe stata una opposizione in parlamento da parte dei deputati meridionali, invece non ve n’è traccia”.

Non ho trovato riscontro a quanto detto da Galli Della Loggia, perlomeno non nei termini esatti in cui venne sostenuto in quella trasmissione.

Al di là della fondatezza o meno della asserzione, per me si tratta comunque di una semplificazione. Intanto anche volendo restare solo sul terreno di quella posizione, per chi ha dimestichezza con gli atti parlamentari del tempo, di passaggi di tipo oppositivo nelle tornate parlamentari se ne trovano a iosa.

Mi dissi “quando vado in pensione, voglio raccogliere tutti quei passaggi che ho trovato nelle mie letture, magari aggiungerne altri e poi pubblicare il tutto, sia online che in cartaceo”. Circa un anno fa mi capitò fra le mani il testo che metto a disposizione di amici e naviganti e  rimasi abbastanza sorpreso – non solo quel collage esisteva già ma era stato addirittura realizzato nei primi anni di unità – e sicuramente molto meglio di quanto avessi potuto fare io!

L’opposizione parlamentare dei deputati meridionali ci fu eccome, ma non prese mai corpo in una opposizione organizzata, rimase sfilacciata, sporadica e individuale.

Perché non esistevano abbastanza argomenti, come avrebbe sostenuto l’opinionista del Corriere della sera?

Di argomenti ne esistevano tantissimi, come potrete verificare in questo testo. E allora?

E allora si ritorna sempre allo stesso punto, è un circolo funesto quello in cui si trovarono ingabbiati i nostri rappresentanti – se non si vuol restare prigionieri dei soliti luoghi comuni della “rivoluzione mancata” di gramsciana memoria, della assenza di “civicness” ovvero di quel capitale sociale di cui parla Putnam  oppure, semplicemente, della “inconcludenza della classe politica e dirigente meridionale” di cui parlano oggi i sostenitori dell autonomia differenziata.

Il punto dirimente, secondo me, si chiama”brigantaggio” o, se preferite, “opposizione armata”.

I risolini, le chiusure, gli impedimenti che si ritrovano negli atti parlamentari quando intervenivano i nostri rappresentanti  riportano tutti ad un ricatto politico che finì per divenire una vera e propria gabbia politica da cui fu impossibile uscire: se sei contro queste scelte vuol dire che sei “per i briganti” e “contro questa unità”.

Tutto qui.

Questo il motivo per cui la opposizione restò individualistica e non organizzata. Ovviamente non fu solo colpa dei “briganti” ma anche e soprattutto dei sostenitori della casa Borbone, i quali oscillarono per anni fra appoggi al brigantaggio – coltivando la speranza di riprendersi il reame – e timori per un cataclisma sociale nel caso di una vittoria dei briganti stessi.

Lo dimostra il fatto, lo abbiamo scritto in altre occasioni, che nessun ufficiale di livello superiore si recò nelle provincie napolitane per mettersi a capo della rivolta antiunitaria. Come era accaduto ai tempi di Ruffo – ma quella fu una altra storia, c’erano gli inglesi con i loro agenti e i loro denari, in funzione antifrancese.

Nel giro di una decina di anni si fiaccarono l’orgoglio degli ex-appartenenti all'esercito delle Due Sicilie, la resistenza dei briganti, la opposizione individuale di alcuni parlamentari.

E ci riducemmo ad un popolo senza spina dorsale.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Zenone di Elea –Ottobre 2019

LE CONDIZIONI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO

DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI

Pubblicazione anonima venduta in Roma presso l'Ufficio dell’Osservatore Romano piazza dei Crociferi (cfr. La Civiltà Cattolica Anno Decimoterzo Vol. II della Serie Quinta, 1862 – pag. 466) – attribuita a  Francesco Durelli nel Catalogo della Biblioteca Politica di Francesco II di Napoli – [nota del Redattore]

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

Un illustre letterata francese, venti anni innanzi la rivoluzione, che conquassò la sua nazione, e tutta. Europa, pronunziava, che verrebbe tempo, in cui le parole significherebbero cose affatto contrarie a quelle, che significavano prima; che allora le azioni produrrebbero effetto del tutto opposto a quello, che doveano produrre, vale dire, che allora chi predicherà il licenzioso libertinaggio sarà creduto predicare la subordinazione, e mentre si armerà il forte contro il debole, e il furbo contro l'onesto uomo, si griderà VIVA LA GIUSTIZIA; e mentre si scompiglierà tutto sossopra, e si aprirà la porta a tutti i vizi, dando coraggio a tutti i viziosi, mentre si spezzeranno tutti i vincoli di società, allora per le piazze si griderà ad alla voce — Ecco finalmente il rinascimento de’ popoli!... ecco l’epoca fortunata, in cui, gli uomini incominceranno ad essere veramente felici! — (*)

Dieci e più anni di pruova crudele mostrarono la verità di siffatte previsioni, e nell’epoca così detta del terrore si vide manomessa ogni idea di equità, di giustizia, di. religione, e calpestati si videro tutti i principii, su cui poggia la società umana.

Il reame di Napoli si trova perfettamente condotto a così difficili pruove. La rivoluzione ha rilevato, non solo in ciò che ebbero di più violento la perversità profonda di un piccolo numero di uomini avidi di distruggere ogni cosa; ma soprattutto essa ha posto in evidenza gl’inganni crudeli, a cui i popoli furono presi, e pe’ quali stanno in sul punto di dare l’estremo passo verso l’abisso dell’anarchia! Ciò dimostra, ché su la superficie della società si dispiegano pompose teorie artificiosamente disposte a far bella mostra di sé, ma sotto di quelle si nasconde un lavoro infernale, per cui si agogna di giungere alla totale trasformazione della società, umana. La conquista fatta da questa società si riduce in poche parole nella distruzione dell’autorità, e nel trionfo dell’individualismo. La rivoluzione sotto il linguaggio di emancipazione dello spirito umano, di eguaglianza degli uomini, della sovranità del popolo, de' diritti dell'uomo, di ponderazione, di equilibrio de' poteri, libertà della parola, e della coscienza, cela una cosa, la indipendenza assoluta dell’individuo, cioè, l’anarchia e il Prudhonismo sociale.

Or crediamo non andar errati nell’avere per fermo, che una rivista del come i deputati delle provincie meridionali, che pur sono gli uomini eminenti della rivoluzione, abbiano guardate le cose del napoletano, servirà a meglio trarre d’inganno quelli che un giorno potettero essere illusi!!! Ed i popoli impareranno meglio come alla dinastia del reame delle due Sicilie appartiene la gloria di aver procurata loro una prosperità da’ tempi consentita, e l’altra di annoverare tra i suoi più bei giorni quello in cui poteva togliere un balzello, o menomare gli aggravi de’ sudditi.

È un fatto singolare, che gli stessi uomini della rivoluzione han dovuto far testimonianza di molte verità dalla tribuna parlamentare; e queste verità meritano maggior valore ponendo mente, che essi sono gli uomini, che falsando la storia, tacendo i benefizi, mentendo sempre, calunniando impudentemente si adoperano a gettare lo scredito, e ad eccitare l’animadversione tra i popoli per rendere odioso il Sovrano legittimo che è la più ferma tutela de’ diritti, e della libertà di ognuno.

4 Aprile 1862.

(*) Dabatier, les trois siècles de' la litterature francaise Discours prélim.

Indice delle tornate parlamentari

[a cura del Redattore - eleaml.org]

SECONDO PERIODO DELLA SESSIONE 1861


INDICE

Delle materie enunciate nel sunto delle condizioni del reame delle due Sicilie
considerate da’ deputati delle provincie meridionali nel parlamento di Torino

Finanza. - Si vituperaci grave deficit del bilancio, pag. 7.

Pessima condizione dell’Erario:prestito fallito al municipio di Napoli, cui crasi offerto il patto usurario della perdita del 30, per 100 pag. 14. 52. Infedeltà nell'amministrazione de' beni confiscati all’antica Casa Reale, ai. Gesuiti, ed all'ordine Costantiniano p. 14. 51. 89 90. 97.

Estenuazione delle finanze di Napoli: totale mancanza di numerario, pag. 16; - ridotte a ricevere due milioni di sussidio da. Torino! pag. 104.

Profitti illeciti sul denaro assegnato per scemare il caro del pane a beneficio de' poveri; pag. 17.

Spreco, è scialacquamento delle finanze, pag. 18. e 53. - Fallite le dogane; contrabbandi scandalosi, rea influenza de' camorristi riscuotendo dazi dello Stato per loro conto; pag. 62. Conferma del deputato Ferrari, che accenna alla malafede degli stessi amici del governo; pag. 20 21.

Eccesso del deficit in 49 milioni per Sicilia; dove si osserva la esorbitanza finanche nella indchita paga a' carabinieri reali; pag. 28.

Improvvida abolizione d'imposte in Sicilia: si chiede conto de' 600 mila ducati ivi presi dal generale Lanza pag. 29; - e come si pagavano 3 e 4 milioni al mese pel congedo de' garibaldini; giudizio sul conio di costoro del ministro Fanti; pag. 29.

Accuse motivate in vari articoli per abusi, e concussioni finanziere, ed amministrative; pag. 51. 56. 89.

La riforma delle tariffe daziarie nel reame delle due Sicilie è giudicata oltremodo lesiva al benessere dello Stato, e degli opifici) pag. 60.

Gravoso per la finanza è il salario proposto pe funzionarli incaricati della leva, col sistema sardo; mentre col napolitano è officio gratuito; p. 66 e 67.

Aggravio sul debito pubblico; pag. 69.

Censura: per una spesa di lusso di due milioni, e 700 mila lire; e per le flagranti contraddizioni del ministero sui disavanzi; pag. 72.

Sottrazione della dote pecuniaria da banchi di Napoli, ed esiti eccedenti, mentre si avrebbe ora il destro di spendere meno di prima; pag. 73.

Sperpero delle finanze in Sicilia; pag. 78.

Rimproveri sul sistema dissipatore de' bilanci, e de' nuovi prestiti p. 79. 102. 103. e su la pazza prodigalità nelle retribuzioni agl’impiegati; pag. 79. 82.

Incompatibilità del nuovo dazio del decimo di guerra in Napoli; pag. 78. 80. 95.

Le nuove tasse aumentano le cause del malcontento; pag. 98.

Censura sulle spese di rappresentanza de’ governatori; pag. 86. e 103.

Il debito pubblico piemontese è ora in condizioni anche più infelici di quelle, in cui si trovò dopo la rotta di Novara; pag. 94.

PUBBLICI IMPIEGATI. - Complicità di taluni degli antichi impiegati Borbonici nel favorire le ambizioni del Piemonte; pag. 1.

Venalità de' tempi attuali ne’ sollecitatori di affari; - numero esorbitante d'impiegati, ed avventatezza nella scelta di essi; pag. 9. 14. 26. 27. 85. 100. 103. 104.

Incapacità de' nuovi Governatori, ed altri impiegati; pag. 13. 113. Si osserva la mancanza di probità, e moralità negl'impiegati; pag. 17.

Grave risponsabilità del ministero inviandoli a reggere le provincie meridionali, con o senza istruzioni; pag. 18.

Censure e critiche sul personale de' governatori Englen, e Papa, e di una caterva di altri impiegati definiti inutili, e demoralizzati; pag. 19. 20.

Idem su quello di Basilicata sig. de' Rolland pag. 109.

I governatori, non ricevuti in varii luoghi, al pari di altri funzionarti perché bassamente prostituiti all'attuale dispotismo; pag. 26.

Grave caso di protezione accordata ad un contabile ladro, giustamente destituito dal Governo Borbonico, e reintegrato dal piemontese; pag. 40.

I mercenarii impiegati votanti pel plchiscito; pag. 28.

Critica a carico del segretario generale, ed impiegati della Luogotenenza; pag. 36; - ed anche a carico dello stesso Principe di Carignano, e del commendatore Nigra, perché inaccessibili, ed invisibili; pag. 45.

Idem a carico del governatore di Molise; pag. 47; - e di Foggia p. 48; e di altri funzionar]; pag. 57.

Impiegomania, - o furia per aver impieghi; pag. 56.

Giudizio sul conte Ponza S. Martino; pag. 57.

Lode d'un impiegato Borbonico, che fedele si ricusa all’adesione, e perde una carica coll'assegno di annui ducati 4 mila; pag. 71.

Enormi spese di rappresentanza pe' Governatori; pag. 86. 103.

Ingiuste parzialità per favorire negl'impieghi i piemontesi ih pregiudizio de' napoletani; pag. 91. 100. 109. 110.

I piemontesi giudicati invasori d’impieghi; pag. 105.

Materie legislative, e giudiziarie, - Encomi unanimi, e ripetuti per la incontrastabile superiorità della legislazione napoletana su la piemontese, nella quale ora si è cercato trasfondere, ma con poco studio, quanto di meglio era nella prima; pag. 3. 5. 12. 39. 53. 68. 98. 104. 118 e 119 - e sopratutto si enunciano i pregi del codice penale di Napoli; pag,99. 114.

Si sostiene la inapplicabilità dell’ordinamento novello giudiziario con petizioni di numerosi cittadini di Palermo, di Napoli, e di altri paesi; pag. 8. 44.

Per le innovazioni subalpine è avvenuta una totale confusione nell’amministrazione della giustizia; pag. 7. 106.

Vizio della inosservanza delle leggi, e di promulgarne a condizione di non doversi eseguire; pag. 10.

Smania e capriccio d'innovar leggi buone, in disprezzo del canone di Macchiavelli «che ne’ mutamenti politici si devo sempre conservare del vecchio tutto quello più è buono»; pag. 19; causa di malcontento; pag. 26.

Difetti delle leggi Sarde applicate nel reame di Napoli; pag. 39.

Inanità verbose del nuovo parlamento confessate da Cavour; (ivi)

Encomio dell'antica magistratura napolitano; (ivi)

Inerzia degli attuali giudici criminali; pag. 47.

Biasimo pe' molti arresti arbitrari; precipuamente per quello del Duca di Cajaniello; p. 53. 99. 107. 108. e del Principe d'Ottajano; p. 117. Ammassati i detenuti, non, giudicati; pag. 107. e 108. uccisi nello entrare in prigione, pag. 112.; anzi dimenticati, e non conosciuti dall'Autorità, che deve sentirli, ovvero esitati dalla giustizia e non ostante trattenuti in carcere per abuso di polizia, in Sicilia p. 112. 118. 107. cd in Napoli p. 116.

Si arrestano abusivamente i mendicanti in massa, e si fa morire d'inedia nelle prigioni uno di essi a nome Luigi Creola; pag. 122.

Fucilazioni istantanee, per dispotismo militare; p. 105. nota (41)

Restrizione al numero de' giudicanti, lesiva alla giustizia; pag. 58.

Critica per lo scioglimento della camera disciplinare dell’ordine degli avvocati in Napoli, pag. 77.

Incomprensibili per Napoli le ibride, e non italiche dizioni sarde; pag. 82.

Elogio dell’antica legge napoletana su la Leva, p. 88.

Eccessi anarchici in Sicilia; pag. 112. 119.

La magistratura di Catania officialmente accusata d’imperizia; pag. 113.

Iniquo bando del governatore di Foggia contro i proprietari che cedono alle minacce de’ briganti; p. 115.

Inutilità delle spese per le guardie di pubblica sicurezza incapaci al loro uffìzio; pag. 56.

Si compatiscono i magistrati, che han dovuto tollerare le prepotenze ed i soprusi militari; pag. 116.

Dovendosi parlare de' soprusi dell’Autorità militare, temesi d’irritare l’esercito, e si vuol evitare la pubblica discussione nella Camera, ma tenere un Comitato segreto: si finisce poi col vietarsi affatto ogni interpellanza; pag. 125 e 126.

MATERIE GOVERNATIVE, ED ERRORI DEL MINISTERO PIEMONTESE IN TAL RAMO. - Si vitupera la deplorabile istituzione del consiglio di luogotenenza, vera disgrazia per !'ex regno di Napoli; pag. 1. e 11.

Si confessano i disordini avvenuti nelle elezioni; p. 4.

Tutti i mali dell’anarchia sono accumulati nelle provincie meridionali; totale mancanza di pubblica sicurezza; venalità nel disbrigo degli affari, ed intrighi nel contratto per la monetazione, pag. 9. 91. Consimili disordini in Sicilia, e tristizie del governo di piazza; pag. 15.

Si vitupera di essersi accordato un milione di ducati per indennizzo de' danni patiti nelle vicende politiche; pag. 10.

Capricci ed arbitrii nell'attuazione della legge su la guardia nazionale; e pessimo stato dell'armamento di essa; pag. 11.

Per formare la nuova provincia di Benevento si disfanno cinque provincie; pag. 12, e lamenti rincrescevoli di queste; pag. 30. e 31.

Esorbitanze della stampa in Napoli, confessate dal ministro Minghetti; pag. 17.

Quadro spaventevole de' disordini nelle provincie meridionali, ove si commettono reati d'ogni specie, e che il governo subalpino vantandosi liberale, ma incoerente, vorrebbe reggere coi gendarmi accresciuti, mentre spaccia la spontaneità del plebiscito; pag. 21. a 23.

Effimera durata de' 4 governi succeditisi a' 7 settembre 1860; p. 24. Confessione di aver essi tutti errato; p. 108.

Grave errore del governo prodittatoriale di aver addossati allo Stato i debiti de' Comuni; pag. 28. Debolezze, e transazioni del governo piemontese rimasto esautorata, e screditato nella Sicilia; pag. 29. e sua assoluta incapacità nel governarla; pag. 30.

Peggiora sempre più la condizione del regno delle due Sicilie, e la nuova Leva militare ne aumenta i disastri; pag. 41. 42. I nuovi coscritti sono il rinforzo della reazione; pag. 43.

Enumerazione delle cause di malcontento in Napoli, ove è impopolarissimo il governo piemontese malamente informato da' suoi impiegati colà; pag. 44. 45.

Incapacità de' carabinieri sardi; pag. 56. Odio profondo. per coloro, che han voluto ‘piemontizzare l'ex regno delle due Sicilie; pag. 57. 58. 104.

Il brigantaggio ha colore politico, e la guardia nazionale comincia a stancarsi facendo a fucilate da 9. mesi; pag. 58.

Gravissima malcontenta in Sicilia, in uno de' comuni si abbatte la stemma sabauda, rimpiazzato da segna funerario; pag. 119. e vengono fucilati cinque cittadini senza processa regolare; mentre un altra cittadina è uccisa impuramente in piena meriggio sulla pubblica via; pag. 119. e 120.

La politica piemontese nell’ex reame e falsa, rovinosa, dissolvente, che non fà, ma disfà Italia; pag. 106.

Per la gravità de' casi, il Petruccelli chiede lo stato d’assedio; pag. 107.

Il governa piemontese accusata di violare il spreto delle lettere; pag. 107. - e di sussidiare con denari il giornalismo per tenerlo devoto; pag.,122.

Massime irregolarità nel servizio telegrafica; sd arbitri governativi impedendo la trasmissione de' dispacci, ritenendone il prezza, pag. 115.

GRAVI DIFFICOLTÀ, IN CUI VERSA IL NUOVO REGNO ITALIANO. - Senza esercito, senza denari, và a disfarsi, pria d’esser fatto, e se non fa salvo il principio della sovranità nazionale,la sua impresa è una qualificata usurpazione su la Casa Borbone, de' Lorena. e del Papa; p. 2.

Confessione dello stesso Cavour su la incapacità de’ nuovi governanti nelle provincie meridionali; pag. 3.

Invettive del generale Sirtori contro il Governo sardo per lo scioglimento delle masse garibaldine e pungenti sarcasmi, e minaccie; pag. 4 e 5.

Fra i partiti che agitano l’ex regno delle due Sicilie, niuno ve n'è a favore del Piemonte ivi abbominato, e reggentesi per sola forza brutale; pag. 6. 103. 131.

Il regno di Napoli è essenzialmente monarchico; p. 14.

Assoluta mancanza di sicurezza pubblica; pag 25. mal sicure le vie; pag. 26. e 28. La stessa capitati in pericolo pag. 80. 99. non bastano a tenere la soggezione 30 a 40 mila uomini; pag. 81. Guerra civile, e paesi incendiati; pag. 95. Stato orribile della Puglia p. 96 e 97. e della Basilicata; pag. 108. e 109. Mozione dettagliata del deputato Proto, contenente la enumerazione dei più enormi falli del Piemonte nel regno di Napoli: e cause meglio espresse de’ mali; pag. 94. 99.

Progressi della reazione fomentata dal generale malcontento; pag. 31. 34 36. e fatti precisi d'essa; pag. 46. 75 76. Idem in Sicilia; pag. 11. 112. e 113.

Stato deplorabile da 8. mesi; pag. 36. 92. Necessità di aversi un governo giusto; pag. 35.

I popoli non hanno fede nella durata del nuovo regime piemontese, e guai se si rinnovassero i comizii; o se attaccasse l’Austria; pag. 48. 97. e 104.

Quistione napolitano sotto doppio aspetto; pag. 49. essa tuttodì peggiora; pag. 92,

Pertinacia del governo piemontese a far ignorare officialmente il vero stato delle provincie meridionali; e contraddizione marcata fra le sue false assertive giornalistiche; ed i fatti, altrove raccolti; pag. 58 59. 74. a 7. 6. e 119.

Innovomania, smania di distrugger tutto; pag. 70.

Le piaghe napolitane sono definite insanabili dal Ricusali; pag. 94.

Impedita ogni interpellanza sulle condizioni delle due Sicilie, pel pericolo di far conoscere al. pubblico l’abisso in cui son piombate: sotto il mistero delle reticenze si celano gravissime cose, pag. 125. 126. e note (46. e 47.)

 Esercito. - Ben approvvigionato era rimasto l’ex regno delle due Sicilie per armi, per soldati, per munizioni, dal Governo Borbonico; pag. 4.

Giudizi uniformi a favore dell'antico esercito reale dell'ex regno, e come bestialmente disciolto, e maltrattato dal Piemonte, restando valido elemento ad afforzare la reazione; pag. 54. 65. 87. 91. 93. 101. 102. e 105.

Antichi maneggi segreti per la corruzione degli ufficiali; e specchiata fedeltà de' soldati, pag. 55.

Grave errore per la soppressione del collegio militare Nunziatella; pag. 70. e 71.

Imbarazzi derivanti dallo scioglimento dell'esercito; pag. 74.

Crudeltà de’ militari piemontesi nello stato (l'assedio di fatto; pag. 105, e nota (41)

Marina. - Censura per l'abbandono della marina; pag. 72. 91; e per la soppressione de’ collegi di marina militare, e nautica; pag. 110 e 111.

Buono stato della istruzione nautica sotto i Borboni; pag. 86.

Ne’ contratti di marina un Colonnello divenuto notaio; pag. 87.

Ingiustizie del ministro di marina contro i macchinisti napoletani; pag. 111.

Manifattura - Manomessi tutti gl'interessi manifatturieri, e violate le regole inerenti a tal ramo; p. 42. Loro rovina perla sconsigliata riduzione delle tariffe daziarie; pag. 60. a 62.

Encomio ragionato dello stato florido delle manifatture sotto i Borboni, e loro attuale decadenza: dimostrazione dello annichilamento di esse nella concorrenza commerciale anglo francese; p. 61 e 63. Come progredirono sotto il passato Governo; pag. 63. a 65.

Miseria degli artefici cagionata da nuovi ordinamenti; petizione de’ pittori; pag. 65.

Invano si reclama adottarsi quella misura comune a tutti i paesi civilizzati, l'incoraggiamento, cioè, della mano d’opera indigena; pag. 83. Malcontento di tutti gli operai; pag. 96.

Agricoltura. - Stato del pubblico demanio, e de' più speciosi suoi cespiti; pag. 25.

Denegata giustizia a coloni de' fondi danneggiati da' garibaldini; pag. 38.

Opere pubbliche. - Si accusa la inerzia del governo piemontese in tale ramo col grave pregiudizio delle popolazioni; pag. 7. 89. 93.

Deficienza di opere pubbliche nella Sicilia; pag. iz. Pessimo andamento della ferrovia da Capua a Ceprano; pag. 18.

Niuna intrapresa di opere pubbliche in generale; pag. 47. 53.

Si riprova il deperimento della Zecca di Napoli, per colpa de' nuovi governanti; pag. 73 91.

Si respinge bruscamente, e con agitazioni parlamentari la domanda di preferire i regnicoli Boli come impiegati di ferrovie; pag. 83.

Anteriormente il Governo Borbonico aveva con saggi provvedimenti già stabilita una rete di ferrovie in tutto il regno, pag. 84. 85.

Istruzione pubblica. - Sue attuali misere condizioni nelle provincie meridionali; p. 49. 116. Soprattutto l’Accademia di Belle arti; pag. 50.

Arbitraria dissoluzione della Reale Accademia delle scienze; pag. 65. 71. 91. 101. 116.; ed elogi della sua antica instituzione; pag. 69.

Scioglimento di collegi, licei, università, scuole, per la frivola ragione, che non erano muniti di regolamenti alla piemontese; pag. 111.

Analoga mozione del Duca Proto su questo interessante proposito;

Coraggio civile, e fedeltà delle maestre, ed allieve di due Educandati di Napoli, rifiutandosi al giuramento e al Te Deum verso il nuovo governo illegittimo, che poco nobilmente se ne vendica scacciandole tra i birri, p. 121. e 124.

Elogio del Collegio medico di Napoli di antica istituzione borbonica; e definito di nona vere l’eguale in Europa; p. 123.

Biasimo severo de' nuovi professori della Università di Napoli, che non prestano servizio, e cumulano più cattedre in un solo di essi per favoritismo; p. 123.

Affari ecclesiastici. - Si riprova la soppressione de' conventi, pag. 12, è con ciò si commette la più flagrante violazione della proprietà, e dello Statuto costituzionale, coll'alterazione della pubblica tranquillità, è della pace delle coscienze, ledendo tutti gl’interesssi materiali; pag. 37. 40. 42. 82. 103. e 104.

La illegalità di tal procedere accresce il generale malcontento; pag. 53. 81.

Dalla mozione del Duca Proto nella tornata de' 20 novembre 1861. si hanno validi argomenti all'oggetto.

MENZIONI ONOREVOLI A FAVORE DEL GOVERNO BORBONICO, E DELL AUTONOMIA DEL REGNO DELLE DUE SICILIE. - Clemenza pel ritorno dell’emigrato Paternostro in Sicilia, pag. 2.

Encomio del?antico sistema governativo nelle circoscrizioni territoriali; pag. 12.

Gli eccessi anarchici cagionati dal mal governo subalpino fanno rimpiangere l'antico regime in Napoli; p. 13.

Sapiente economia di questo nelle finanze d'onde il tesoro fiorente, tutto che grandiose spese si facessero; p. 19.

Nobiltà ed antichità del reame in faccia al Piemonte; la terza capitale d'Europa è Napoli pag. 23. Essa è la prima metropoli della penisola italiana ridotta ora a meschino capoluogo di Provincia; pag. 26.

L'autonomia del regno rimonta ad otto secoli; p. 105.

Favorevoli argomenti per la federazione italica; p. 23.

Florido stato de' copiosi istituti di beneficenza sotto i Borboni; pag. 25, ed encomio per l'amministrazione de' loro beni in Sicilia; pag. 30.

La legge organica amministrativa, e sul personale degl'impiegati scrupolosamente osservata da' Borboni; violata dal Piemonte in Napoli; pag. 25.

Utile istituzione del bacino di carenaggio in Palermo, e de' compagni 'd'armi in Sicilia; pag. 28.

Generosa munificenza de' Borboni nel promuovere i militari; pag. 33. e giudizi su gli ufficiali di terra, e di mare; pag. 32 e nota (25.)

Prognostici sinistri in Torino su la spedizione di Garibaldi in Sicilia, se non fosse stato coadiuvato dal tradimento; pag. 33. 55.

Come rispettata sempre da' Borboni la libertà de' municipii nella. scelta degli esattori de' pubblici tributi; pag. 37. e 38.

Si compruova la giustizia del Governo Borbonico nella destituzione del contabile fraudolento Antonio Presterà, destituito da esso per ladro, e reintegrato dal Piemonte, come asserto martire politico; pag. 40.

Encomio della legge soppressiva della feudalità nell'epoca della prima restaurazione Borbonica, argomento della napolitana civiltà; pag. 43.

Il Re Francesco II ha il merito di essere più noto alle popolazioni, che Vittorio Emmanuele; pag. 47.

Mitigazione di prigionia ottenuta sotto i Borboni, e negata dal Piemonte; pag. 53.

Elogio de' stabilimenti ed opifici. di armerie, ed altro, definiti bellissime cose di Ferdinando II; p. 56. 84. 91.

Sette milioni d'abitanti rimpiangono i Borboni; pag. 58; che proteggevano le manifatture, allora fiorenti e progredienti, ma ora decadute; pag. 60. 64.

Lodevole sistema per la Leva militare, senza i dispendiosi soldi de’ commessarj secondo il nuovo metodo sardo; per cui ebbesi allora (tempo de' Borboni) uno de' migliori eserciti d’Europa; pag. 66. 67. 88.

Sommi riguardi per la gloria delle Accademie delle scienze, e de' corpi scientifici, usati sempre da' Borboni; p. 69. 70. 71. ed anche a gradi militari accordati da governi usurpatori; pag. 71.

Antiche Economie sul trattamento de' funzionari, a fronte degli attuali sperperi di finanza; pag. 78.

Provvedimenti per le ferrovie già adottati dal Re Francesco II; pag. 84. e nota (35.)

Buono stato dell'antica istruzione nautica; pag. 86.

Encomio a' Borboni per la buona legge sul sistema metrico decimale, pag. 88.

Provvide cure per la mitezza de' prezzi del pane, e det tale; pag. 96. e 98.

Fortezza del partito Borbonico; pag. 97.

Liberalità del re Francesco II. nella formazione della guardia nazionale; pag. 106.

Un prospetto complessivo di tutte le cause di malcontento contro il nuovo governo piemontese nelle due Sicilie, precariamente bivaccato e tenentesi con la sola forza; e le tendenze della popolazione per la legittima Sovranità, cd autonomia si hanno nella mozione dei deputato Proto (20 novembre 1861.)

Atti di clemenza di Ferdinando II. confessati nella Camera dal deputato Tofano, ed emergenti da' documenti pubblicati a carico di lui, pag. 120, e 121. e nota (45.)


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Tornata de' 28 febbraio 1861 (n. 8. Atti officiali)

Il deputato Massari nella discussione per la convalidazione della nomina di Liborio. Romano eletto alla deputazione nel collegio di Altamura in Puglia, dice:

«Mi preoccupo grandemente delle conseguenze pratiche, che la deliberazione della camera può avere in un senso, o in ‘un altro su le sorti delle mie native provincie (di Napoli) … Non è giusto, che a provincie nuove si voglia pretendere di applicare la stessa regola, che si applica alle antiche… Io desidero, che presto, abbia a finire nei mio paese quella deplorabile istituzione che si chiama consiglio di Luogotenenza. Quando la camera comincerà la discussione, io esporrò senza velo le mie opinioni intorno a tale istituzione, che dissi, e che ripeto essere deplorabilissima».

Il deputato de' Marco sostenendo di doversi convalidare tale nomina di Liborio Romano dice:

«Vorremo noi colpire d’incapacità gli uomini che si sono prestati al governo delle provincie napolitane? Ma sapete voi, CHE PER QUELLI UOMINI NOI SIAMO QUI?!...

Il deputato Boggio sullo stesso proposito del Massari dice:

«… i consigli di Luogotenenza in Napoli, e Sicilia sono una disgrazia pel paese; opinione che non sono lontano dal dividere ancor io, per quanto ne udii da molti miei colleghi.

Bixio dice: «A Napoli, e Sicilia vi ha bisogno di gran forza»…

Tornata del 2 marzo 1861. (n. 12.)

Il relatore Mellana nella convalidazione della nomina del deputato Siciliano Paternostro fa osservare, che costui in talune carte ha il titolo di Bey, che fa presumere aver servito in Egitto, e perduta la nazionalità. «Il deputato Natoli vuol sostenere che è un martire politico». Il deputato Crispi fa osservare, che il Paternostro per la clemenza de' Borboni tornò in Sicilia due anni prima della venuta di Garibaldi, ed avrebbe potuto chiedere allo stesso Principe che lo aggraziò, la riabilitazione ne’ diritti civili e politici, di cui era privo per aver preso servizio, senza autorizzazione del governo napoletano, in Egitto.

Tornata de’ 14 marzo (n. 27.)

Il deputato Ricciardi nella discussione per dare a Vittorio Emmanuele il titolo di Re d’Italia, osserva «La quistione mi pare prematura. Il regno, di cui vuoisi acclamare capo supremo Vittorio Emmanuele, non essendo per anco costituito, e la Italia rassomigliando ad un corpo, cui manchino capo, e braccio destro;... il perché avrei preferito, che il ministero avesse presentato uno schema di Legge inteso ad accrescere l'esercito ed a procacciar danari, che sono i soli argomenti efficaci, ed indispensabili a fr davvero l'Italia. Che anzi senza Valuto del primo, il regno d’Italia correrebbe gran rischio di essere disfatto pur prima che fosse per venire proclamato… Salvo rimanga il sacro principio della sovranità nazionale, sola base logica e giusta del nuovo regno, il quale potrebbe altrimenti qualificarsi di usurpazione su la casa Borbone, e su la casa Lorena; e sul Papa... ()


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Tornata de’ 15 marzo 1861 (n. 29.)

Il deputato d’Ondes-Reggio su la progettata unificazione de' Codici italiani osserva:

«Per 10 milioni d’anime, vale a dire per Napoli, e Sicilia, non si son fatti per nulla gli studi per la nuova legge a proporre, e che dal ministero diconsi già compiuti.

«Napoli, e Sicilia non erano annessi, e certamente nel breve spazio di tempo trascorso dal giorno dell’annessione finora, 'altri studi accurati non hanno potuto aver luogo. Ora le proprietà di Napoli e di Sicilia sono cosa di sommo rilievo. Ivi la legislazione era importantissima, e diversa da quella degli altri paesi d'Italia. Il governo dunque chiami chi vuole per servirsi de’ lumi, degli studi, e dell’opera, ma non pretenda che noi facciamo ciò che è contrario alla costituzione…

Il deputato Mirabelli dice «avendo studiato il t progetto del nuovo Codice, che intende proporre il ministro guardasigilli, venni a chiarirmi, che molte disposizioni del Codice Napoletano e Siciliano vi furono trasfuse letteralmente ()

Tornata de’ 20 marzo (p. 33.)

Il conte Cavour per ischivare le interpellanze su l’amministrazione delle due Sicilie, che intendeva fare il deputato Massari, confessa... «nelle condizioni attuali il governo delle provincie di Napoli, e Sicilia, misto di uomini politici, e non politici, non riunisce le condizioni necessarie per poter funzionare regolarmente».

E il deputato Ricciardi osserva:

«Nelle provincie napoletane tutti sperano, che si dia termine all’attuale situazione molto grave, molto dolorosa. Io desidererei fare una lunga esposizione, non tanto del male che ivi avete finora fatto, quanto del modo di rimediarvi… (è impedito di continuare dal prevalente partito piemontista)

Tornata de’ 23 marzo

Ricciardi, su la contrastata elezione di Plutino calabrese osserva: «Ho preso la parola nello interesse della Legge, perché nelle provincie napolitane gravi disordini sono avvenuti in questo anno nelle elezioni».

Nella stessa tornala sull'interpellanza di Lamarmora al ministro della guerra per la progettata riforma dell’esercito, ii deputato Crispi dice aver rilevato nel discorso del ministro molte inesattezze, tra coi quella di aver dovuto inviare da Genova armi, cannoni, e monizioni alle truppe piemontesi assedianti,Gaeta, per aver trovali vuoti gli arsenali del regno, come gli assicurava l’ispettore generale sopralluogo, ed osserva il bisogno di una rettificazione: «mentre nel Castel nuovo noi lasciammo (cioè i garibaldini) più centinaja di cannoni di grosso calibro, e la maggior parte di assedio. Inoltre a Soveria in Calabria trovammo più di diecimila fucili di precisione) perocché l'esercito borbonico aveva armi migliori delle nostre) ed un gran numero caddero in nostro potere. Quindi a quel fatto, che nel regno delle Due Sicilie non v’erano armi, non so prestar fede».

Il deputato Cugia risponde: «Sta nel fatto, che nel forte S. Elmo si sono trovati i cannoni, di cui fa cenno il signor Crispi, ed anche in altre località si son trovate bocche da fuoco; ma non tutte adatte per espugnare una piazza come Gaeta».

Il deputato Sirtori dolendosi contro il ministro della guerra per lo scioglimento, del le masse garibaldine prorompe così «quando cominciammo la guerra (con mille uomini, e Garibaldi) non sapevamo se l’esercito sardo sarebbe venuto in nostro aiuto, ovvero se saremmo abbandonati, e rinnegati (movimenti) ; e se mentre eravamo combattuti da un esercito napolitano, non avessimo anche a combattere contro l’esercito, che ebbe il permesso d'entrare nelle Marche, e nell’Umbria; poiché (lo debbo dire) esso ottenne il permesso di entrare, nelle e provincie napoletane per combattere noi, che eravamo l'Italia! () — Si, per combattere noi!... E noi avremmo combattuto contro questo esercito. — Con dolore debbo dirlo, noi fummo trattati non da amici, non da patrioti; ma da nemici (grandissimi rumori, il presidente si copre il capo, e la seduta è sospesa) ;


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Tornata del 26 marzo 1861 (n. 40 degli Atti.)

Il deputato Ferrari arringando su la quistione di avere Roma per capitate, si versa su le cose di Napoli, e dice: «Niuno ignora lo stato delle due Sicilie esser talmente grave, che formerà il soggetto di una prossima seduta, e che lo stesso ministero si dichiarò nella necessità di modificare le luogotenenze di Napoli, e di Palermo, dove i capi da lui nominati sostengono la parte di Re irrisponsabili, che accettano ministeri diversi, ed anche contraddittori. Il presidente del consiglio, che aveva annunziata la intenzione sua di sopprimere le due luogotenenze, annunziò successivamente, che intendeva solo rettificarle, ed egli stesso indugia tra l’alternativa, o di rispettare temporaneamente le autonomie del mezzodì, o di sopprimerle. Mi basta qui di constatare l’anarchia del. mezzodì, e le strane alternative emergenti dalla situazione stessa senza pretendere di scrutare alcun pensiere individuale, senza accusare alcuna intenzione personale; il moto, che ci trasporta, minaccia non solo l’ordine stesso della società italiana, ma la libertà stessa dello Statuto, nostro ultimo palladio. Mi spiego. Il governo trovasi trascinalo dalla necessità, vera. o supposta, di operare una grande rivoluzione burocratica, di rinnovare gli uffizi in tutti gli antichi stati, di sottoporli alla uniformità degli antichi regolamenti piemontesi, essi pure alterati; d’imporre i propri codici, essi pure mobilitati e sottoposti alla incertezza di una revisione ulteriore. Ma in tanta mescolanza di uffizi, e trambusto d’impiegati, quanti affari! quanti problemi! quanti diritti lesi, o messi in dubbio!...

Tornata de' 28 marzo (n. 45 degli atti.)

Il Brofferio, deputato della sinistra volge un rapido sguardo su le cose di Napoli, e dice: «Nelle due Sicilie si agitano tre partiti: il primo è il partito borbonico, che è quello degli interessi materiali; il 2.° è il murattista, sul quale vorrei che il governo aprisse un poco gli occhi; il 3.° è quello della rivoluzione, di cui era capo Garibaldi. Ma il partito del governo io non lo veggo, né in Napoli né in Sicilia () — E perché non vi è? — Perché Napoli, e Sicilia furono liberate dalla rivoluzione, e Voi signori ministri, andando a raccogliere il frutto della rivoluzione, vi poneste a governare a capriccio. In ciò sta la quistione. —Disputate e pure di luogotenenze, di governi locali, di governi centrali; sono tutte oziose disputazioni; voi logorerete uomini, leggi, e decreti; ma non cangerete le cose. Finché voi vi agiterete nella cerchia fatale, in cui vi siete messi, finché governerete Napoli, come se sapete ste di non dovervi restare lungamente... (voce a sinistra «È vero») voi non potrete reggere. La vostra odiata politica nelle due Sicilie vi costringe a mantenervi una parte dello esercito per frenarvi le popolari turbolenze, e quelle armi, di che avreste necessità contro lo straniero, voi dovete impugnarle contro quei popoli ancor essi italiani. Vengo alla giustizia. In questo Dicastero v'ha una tale confusione di Babilonia, che la simile non si è veduta, né udita mai. A Palermo, a Napoli (siccome nelle altre nuove provincie annesse) vi sono avvocati che non vogliono più difendere cause; giudici, che non sanno più come giudicarle; abbiamo una corte di cassazione oramai esautorata; abbiamo terze istanze' che si dicono in via e non giungono mai. Questo è lo stato dell’amministrazione della giustizia (movimento) Noi per verità avremmo dovuto andar più cauti nel portare altrove le nostre leggi subalpine. Non vogliamo dimenticare, che nello andato secolo il Piemonte si trovò in via di progresso e fu forse uno dei primi paesi ih cui si ponessero provvide basi di sapiente codificazione; ma nel 1814 il Piemonte divenne uno de' più infelici paesi dell’Italia; mentre tutte le altre nazioni si erano inoltrate, noi retrocedemmo spaventosamente sotto il doppio giogo dei nobili, e de’ preti… Uno, de’ principali uffizii del dicastero de’ lavori pubblici è quello di dar lavoro, e pane alla classe operaja; e specialmente dovrebbe farlo per l’Italia meridionale, per le due Sicilie, in cospetto della. crisi politica, che vi regna. Colà principalmente il popolo lagna di non aver pane e lavoro;, colà dalla stampa sorgono quotidiane accuse per questo riguardo contro il governo. Quindi il ministero, che non provvede, specialmente a Napoli, a dar lavoro al popolo, manca al suo dovere... Al ministro della finanza chiedo se sia vero, come ne corre voce, che la deficienza nel bilancio di questo anno ecceda i 260 milioni, e che 140 milioni sieno stati già consunti nelle spese ordinarie… In queste disastrose condizioni politica estera, dell'amministrazione interna, del governo dell’Italia meridionale, dell’ordinamento della giustizia, dello stato della finanza, dello stato della guerra, dello stato di pubblici lavori, dello stato della istruzione pubblica, io non ho, io non posso avere fiducia nel ministero.»


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Tornata de’ 2 aprile 1861. (n. 49 degli atti)

Fra le petizioni presentate alla camera ve n è una segnata n. 6922, in nome di 242 cittadini di Palermo, che invitano il parlamento a dichiarar illegale ed incostituzionale il Decreto de’ 17 febbraro 1861 di quella luogotenenza, relativo alla promulgazione de’ Codici, e leggi sul l’organamento giudiziario piemontese, molto inferiore in merito alle leggi già ivi in vigore.

Nella stessa tornata il deputato Massari facendo le preconizzate interpellanze (cui era già dai precedenti giorni apparecchiato il ministero) su le condizioni amministrative del regnò di Napoli, che egli chiama «grave e doloroso argomento di politica interna» si espresse ne’ seguenti termini…

«Il pericolo è grande, e non giova dissimularlo, poiché la quistione amministrativa può grandemente pregiudicare la quistione politica;… e farebbe dire, che gl'italiani; sono stati impotenti a costituire ed ordinare la loro nazionalità…

«I mali, che affliggono le provincie dell’Italia meridionale di qua dal Faro, hanno raggiunto tali proporzioni, che richiedono urgente rimedio. ()

«Gl’inconvenienti del silenzio sono sempre maggiori di quelli della pubblicità. Quando una piaga fa sangue, e sta per volgersi in cancrena, è d’uopo avvivarla coll’aria pungente della pubblicità. D’altra parte ho riflettuto che il solo fatto di queste interpellanze e della discussione a cui potranno dar luogo sarà un primo rimedio poiché mostreranno alle afflitte popolazioni della Italia meridionale, che il primo parlamento italiano rivolge benigno lo sguardo alle loro sorti…

«Grave errore è, che il sentimento nazionale presso quelle popolazioni sia fiacco, e debole: io invece affermo che esso è gagliardo, potente, e profondo... Esse vogliono buon governo, non vogliono la centralizzazione. Hanno però esse ottenuto il desiderato buon governo, la buona amministrazione? Potrei rispondere fin d’ora con la più recisa negativa... La prima ed essenziale condizione d'una buona amministrazione, la condizione, senza la quale non può dirsi, che amministrazione esista, è la sicurezza pubblica. Ora la sicurezza pubblica nelle provincie napoletane non esiste né punto né poco. Non è questione di maggiore, o minor grado, è mancanza, e mancanza assoluta. Si ruba a man salva e nelle campagne, e ne’ villaggi, e dentro e fuori le mura delle città...

«A Napoli sussiste la più turpe venalità. Havvi un ceto di persone, le quali, frapponendosi fra la gerarchia amministrativa e le parti interessate, assumono l’incarico di far prevalere i diritti di esse parti, non secondo giustizia, non secondo ragione, ma mediante il deposito prima, il pagamento poi, d'una data somma. Questa è la classe de’ sollecitatori; sicché un galantuomo, il quale abbisogna di farsi rendere giustizia, non deve misurare le probabilità di prospero successo dalla giustizia della propria causa; ma bensì dalla maggiore o 'minor larghezza de’ mezzi pecuniari, di cui può disporre.

«Altra piaga è l’aumento del numero degl’impiegati. Basta citare per esempio, che nei decorso gennaio, aggregandosi in Napoli il dicastero d’agricoltura e commercio a quello dell’interno, non era necessario creare un nuovo direttore, ed aumentare impiegati; invece si è creato questo direttore, e si sono smisuratamente accresciuti gl’impiegati oltre la pianta dell’organico...

«Le sorgenti de’ proventi sono gl’impiegati cresciuti, le pensioni e le giubilazioni innumerevoli, e per soprappiù, il contrabbando! — Davvero io compiango il ministero dello finanze...

«Non avrei voluto toccare le cose di finanza; ma fo eccezione per un certo contratto, che è stato conchiuso con una casa commerciale per coniare monete di bronzo per la somma di dodici milioni di franchi. Questo Contratto è stato seccamente e senza ulteriori spiegazioni annunziato nel giornale officiale. Io, come l'ho fatto in privato, richiamo su di esso pubblicamente l’attenzione del ministro di agricoltura e commercio. Il mese scorso, come se tutto ciò non bastasse, abbiamo letto nel giornale officiale di Napoli un decreto con cui viene accordato un milione di ducati a coloro che hanno patito danno nelle recenti vicende politiche. Con quale diritto sia stato accordato questo milione, su quali fondi, io non saprei dire; parmi però di non fare una censura fuori di proposito, osservando, che, se pure si vuole erigere in massima il principio delle indennità a coloro, che hanno sofferto per ragioni politiche, la sanzione di questo principio (che io non Approvo) toccherebbe al Parlamento, ed al governo del Re, e non,ad un amministrazione locale, temporanea, subordinata. — Quel decreto ha avuto oltrecciò la conseguenza funesta d’accreditare l'opinione (che a noi preme distruggere) che il Governo abbia ad essere il grande elemosiniere pubblico, il riparatore di tutti i mali…

«L’altro vizio è la inosservanza delle leggi, che sono promulgate, ma non eseguite. — Basti citare ad esempio la legge comunale e provinciale promulgata in Napoli ai 2 gennaio () , e già siamo ad aprile e niun provvedimento si è dato per attuarla… Ma oltre le leggi promulgate, e non eseguite, vi è in Napoli un’altra categoria di leggi, cioè, le leggi promulgate accademicamente, vale a dire promulgate con la condizione che non saranno eseguite (si ride) — lo aveva recato con me il supplemento al giornale n. 41 officiale di Napoli, nel quale è stampata la relazione, che consacra questo singolare principio... ivi è detto, che i consigli di ricognizione, nel passare in disamina le matricole della guardia nazionale, debbono cancellare non solo quelli che son designati dal Decreto, ma anche quelli che hanno propensione alla monarchia de’ Borboni ecc. Vale a dire che coll’attuazione di questo principio, si viene a creare una Lista di attendibili, e di sospetti. — Signori, il mio paese non vuole borbonici al potere; ma vuole che il governo non sia il governo di una setta, o di una fazione... Rivolgo poi al Ministro dell'interno la preghiera di far. prontamente eseguire la legge su la guardia nazionale, che non ha armi; e venga soppresso quel comando generale della stessa guardia di tutto l’ex reame, che esiste ancora— Per definire la condizione, nella quale si trovano, non solo la ex capitale, ma pur le provincie, non ho ad adoperare, che una semplice espressione: le provincie sono in balia della Provvidenza, in balia di loro medesime, esse non sentono né punto, né poco l’azione del governo centrale, e si difendono da se stesse... Conosco città, ove su 1300 guardie nazionali, non ve ne sono, che 400 che abbiano fucili: conosco borgate, dove su 200 guardie nazionali ve ne sono appena otto armate: e quel che è peggio, mentre v’è una quantità di malviventi, che approfittano del disordine...

«Il centro amministrativo stabilito in Napoli non si ricorda delle provincie che in due occasioni; la prima quando si tratta di rimuovere o cambiare governatori: ogni qualvolta la provincia riesce (e la cosa non è facile, né frequente) ad avere un amministratore solerte ed intelligente, si può star certi, che a. capo di pochi giorni è rimosso. La seconda è quando invia gli sbandati dell'esercito borbonico… Da quanto ho detto, e da altro che per brevità taccio, pare che sia dimostralo fino alla evidenza, che le tendenze dell'amministrazione governativa accenna in modo incontrastabile alla negazione della unità italiana, al separatismo… Su la legge de’ Conventi, d’abolirsi amo meglio non parlare: avrei desiderato, che in questi gravi momenti si fosse evitato al paese una nuova cagione di discordia, si fosse evitato di turbare le coscienze…

«Ad allegare un ultimo fatto, che dimostra la poca riverenza verso la legge con che si procede in Napoli, citerò quello della circoscrizione della nuova provincia di Benevento. Fu creata una commissione per suggerire il piano di questa nuova provincia; ma non si è voluto seguire l'avviso da essa dato. Sotto il cessato Governo, quando si trattava di circoscrizione territoriale, si sentivano prima le parti interessate, credo il Consiglio provinciale, e poi sì sentiva il parere del Consiglio di Stato: questa volta non si è creduto, nemmeno uniformarsi a questa regola. È stata costituita, non so per quale urgenza, una nuova provincia nello antico reame, e per costituirla si sono sconquassate e disfatte cinque altre provincie, cioè quelle d’Avellino, di Salerno, di Foggia, di Campobasso, e di Caserta. V’è fra gli altri un distretto, quello di Piedimonte d’Alife, il quale, in seguito a questa nuova, improvvisata, arbitraria circoscrizione, si trova privato persino del diritto di eleggere il proprio deputato.

«Io domando se, mentre il parlamento siede, si possa ammettere, che un’Autorità locale, temporanea, e subordinata, abbia il diritto di mutare la circoscrizione territoriale dello Stato...

«Ora ho veduto con profondo dolore, che la prima amministrazione inaugurata in Napoli sotto gli auspici di un principe della onestissima Casa di Savoia, racchiudesse nel suo grembo elementi, ne’ quali nessuno di voi, o Signori, ravviserebbe la incarnazione de' principii di probità politica la cui tutti dobbiamo inchinarci... La condizione delle provincie meridionali è oggi quella di un’anarchia, la quale non pare, che possa prolungarsi impunemente... A Napoli oggi si avrebbe dovuto amministrare molto, e far leggi poco o niente: si è fatto tutto il contrario; si è amministrato niente, e si son fatte leggi e decreti a profusione...

Nella stessa tornata de’ 2 aprile, il deputato Ricciardi anche perora su lo stesso importante subbietto: nel suo discorso sono notevoli le seguenti espressioni:

«Io non ho che un sol rimprovero da fare all’onorevole Massari, quello di aver detto poco, sopratutto per ciò che spetta al governo, i cui errori in Napoli sono. stati sfortunatamente tali a tanti, ch'è un vero miracolo, se disordini molto più gravi di quelli, di cui ci doliamo non sieno accaduti… A modo di prefazione darò cognizione alla Camera d’una lettera, che credo importante, una delle cento pervenutemi da che sono in Torino: eccola: «Tutto quanto è stato operato da’ nostri rettori direbbesi fatto coll'unico fine di rimpiangere il regime Borbonico… Agli antichi abusi si aggiunsero i nuovi; e per giunta una crescente miseria, cui pur sarebbe stato facile l’ovviare,creando lavori ad ogni costo. Pessimo effetto hanno prodotto le leggi di costi estese a queste nostre provincie, che ne aveano di migliori, ma quella in ispecie è spiaciuta assaissimo che si aggira intorno agli ordini giudiziari. Quanto a' decreti relativi alle manimorte, son guasti dal modo, in cui sono eseguiti, e prevedonsi già non piccole ruberie»… Vorrei veder diminuito il numero degl’impieghi, che, come tutti sanno, crebbero a dismisura… L’erario, senza dubbio, si trova oggidì in pessime condizioni; poiché non d’altro è ricco, se non di debiti: è a mia cognizione, che si è voluto contrarre un prestito per la città di Napoli, e si è fatto un solenne fiasco, perché non si trovarono condizioni migliori di 70 ducati per ogni 100 di obbligazione… Il paese non manca di risorse; per esempio, mi ricordo, che al tempo della dittatura di Garibaldi, si fece un primo decreto d’incameramento pei beni di casa Borbone; un secondo per quelli de’ Gesuiti; un terzo per quello dell’ordine Costantiniano. Tutti di immensa estensione, ma rendono pochissimo sotto l’amministrazione erariale, la quale non è fedele... Abbiamo anche beni demaniali che pur essi rendono podiissimo, sia per mala gestione; sia per incuria...»

«Io non sono dell’avviso di Massari. Fino al gran giorno, in cui, Roma sia nostra, si deve rispettare l'autonomia di Napoli. Naturalmente uno Stato che da si tanti secoli era indipendente, molto mal volontieri si vedrebbe assorbire da un altro...

«Vorrei, che si provvedesse alla nomina de’ governatori, e questi, meno poche eccezioni, non hanno soddisfatto a’ bisogni delle provincie: bisognerebbe procedere alla scelta di 14 uomini (e non sarà poi tanto difficile trovarli) giusti, probi, intelligenti… Tutti sanno quali sieno le mie opinioni; ma debbo confessare, che il mio paese è essenzialmente Monarchico; e quando lo dico io, dovete crederlo… Badate a far si, che il reame di Napoli, e Sicilia, non sia d’impaccio nei frangenti gravi dell’Italia (che dee combattere un’ultima guerra, forse la più fiera di tutte quelle che ha. combattute finora) ; ma sia invece di aiuto, come debbono essere nove milioni e più d’italiani.

«L’ordine del giorno, che propongo è il seguente:

«La Camera invita il ministero a provvedere energicamente alle cose del già reame di Napoli, mirando in ispecie, 1.° ad introdurre la moralità nell’amministrazione; 2.° ad attivare al possibile le opere pubbliche d’ogni modo».

Anche nella stessa tornata arringa il deputato Paternostro siciliano, e nella sua parlata si nettano le seguenti cose:

«... Lo stato della Sicilia non è prospero; ma io non scendo a dettagli. Essa ha bisogno della pubblica sicurezza, di lavori pubblici; ha bisogno insomma di rimedii amministrativi... Non intendo ripetervi ciò ch’è stato detto e ridetto: la Sicilia ha bisogno della riorganizzazione della pubblica sicurezza; ha bisogno, che voi comprendiate, signor Ministro delle l'interno, esservi elementi in quell’amministrazione, che non possono starvi, che lungi dal portar la pubblica sicurezza, sono d’inciampo, sono di ostacolo allo stesso Consigliere della sicurezza; poiché così si trova in falsa posizione... I mali esistono; ma volete il rimedio? Ve ne ha un solo, ed è questo: togliete il governo di Sicilia dalle influenze della piazza; togliete il governo di Palermo dalle influenze della piazza di Palermo, che non rappresenta, né può rappresentare l’elemento rivoluzionario nazionale…

«Io vi parlo delle influenze d’una sparuta minoranza sfrenata, d’un pugno d’uomini arditi, che hanno per bandiera l’agitazione () ; d’un pugno d’uomini arditi, che unità nazionale, autonomia, amministrazione di luogotenenza, o di governatore, sicurezza pubblica fanno consistere in ciò che le loro tendenze trionfino, e che facciano tutto Quello che loro pare e piace; e che, se tutto non va secondo i loro desiderii, si uniscono, fanno dimostrazioni e si sforzano d’imporsi; elementi, che possono anche non essere del paese... Ora che dopo tanti sagrifìzii, la Sicilia è libera, le sue strade non sono aperte, le comunicazioni don esistono; come non esistono ponti; i lavori pubblici non sono attivati: la Sicilia ha dovuto dire a se stessa: ma infine mi governi l’interno del paese, mi governi Torino, il potere centrale, o il potere locale, non importa chi; ma facciano qualche cosa per me... Ma nulla ha visto fare per se la Sicilia. Ecco un elemento del malcontento».

Tornata de' 3 aprile 1861 (n. 52 degli atti.)

Nella interpellanza del deputato napoletano Miceli su la severità usata in Napoli da’ soldati piemontesi contro taluni gregarii delle disciolte masse garibaldine, che reclamavano tumultuosamente denari si notano le seguenti proposizioni: «il ministro dell’interno, parlando del dolorose avvenimento testé succeduto a Napoli, diceva, che una turba di accattoni era andata a tumultuare su la piazza delle Finanze, che la forza pubblica fu costretta a scioglierla, e che successe il ferimento d’un solo individuo. Da varie lettere, che ho ricevute da Napoli, e da’ più attendibili giornali del paese, risulta, che il fatto non andò così: questi soldati congedati (garibaldini) che per la condizione delle provincie meridionali, stavano in Napoli, dove si parla spesso di arruolamenti; que’ poveri giovani stavano aspettando il giorno, in cui potessero rendere nuovi servigli al paese: mancavano del necessario, e chiesero un sussidio al governo... Gli si fece l’oltraggio di promettergli un’elemosina mandandogli nel palazzo Maddaloni a Toledo... Una mano di giovani inermi, affamati, senza proposito di oltraggiare, né di resistere, gridano, tumultuano. La forza pubblica organizzata, che ha la coscienza di esser troppo superiore, e di non aver nulla a paventare da pochi inermi, invece di disperderli a colpi di bajonetta, credo, che avrebbe potuto usare altri mezzi. Di feriti non ve ne fu uno solo, come dice il ministro, ma furono quattro, o cinque feriti, ed uno morto, giovane volontario nato in Campobasso, appartenente al battaglione Sprovieri».

Il ministro Minghetti risponde brevemente ad una interpellanza, ed è marchevole la seguente sua espressione: «Se vi è paese, nel quale la stampa in generale non adempia al suo nobile ufficio, lo dico con dolore, è la città di Napoli () ..

Il deputato calabrese Greco si restringe a fare alcune osservazioni, tra cui si nota la seguente…

«Chiamo l’attenzione de’ ministri su lo stato della finanza napolitana, che lamentasi di essere molto stremata a causa del lusso di pensioni e di soldi accordati a coloro, che non tutti hanno meritati, anzi io questi a ultimi giorni la Finanza di Napoli è stata chiusa per mancanza di numerario, e gl'impiegati non hanno avuto i loro soldi... E per fare qualche, cosa utile domando una Commissione d’inchiesta, che eserciti un sindacato su ciò che si è fatto del denaro pubblico, e le cariche conferite, e da conferirsi, su’ bisogni, reali del paese, sul modo di ovviarli, per renderne poi conto al Parlamento» () Insiste il detto deputato per far rimanere come guardie mobilizzate gli armati delle province; per far cominciare i lavori delle Strade ferrate, e per far demolire il forte S. Elmo in Napoli, come ha pur chiesto Ricciardi...

Il deputato Cardente (di Terra di Lavoro) deplora altresì, che la guardia nazionale si trovi sfornita di armi: «censura che il municipio di Napoli per sopperire al caro del pane nello scorso inverno abbia distribuiti boni alla classe bisognosa per aver pane a minor prezzo; h qual cosa (egli dice) degrada il popolo, mentre la finanza versa vistose somme nelle mani de’ faccendieri, e de’ m està tori, che fanno Scorrere appena una frazione infinitesimale a beneficio del povero popolo () ».

E scagliandosi sul mal andamento do lavori della strada ferrata,da Capua a Ceprano, per la quale dice che si sborsano 10 mila ducati la settimana, esclama:

«Finanza, che paga ogni di; operajo che si demoralizza, perché non vi lavora nemmeno pel terzo di ciò che gli viene retribuita in mercede; lavoro quindi che lentamente,e quasi per nulla progredisce! Giacché si volle scovrire la piaga, in questo recinto, ed io non era di tale avviso, sento il sacro dovere di dire il mio debole parere… In Napoli non è tanto la fame, che perseguita quelle popolazioni; ma io debbo dire a questo Consesso, che là si sente fame di moralità, di abnegazione, di probità, di religiosa osservanza delle leggi, e di attitudine ne’ pubblici, funzionarii. Ecco, ciò che ardentemente da ogni onesto desiderasi in quel paese».

Il deputato Castellano sullo stesso tema del modo come sono governate le provincie meridionali, domanda al ministero se i funzionari ivi spediti a governare abbiano, o pur no ricevute istruzioni da Torino: «ritenendo nel 1.° caso, che sieno state queste malamente date, e nel 2.° caso, che sia. gravissima la risponsabilità ministeriale per non averne date… Ivi si son volute far leggi abusivamente senza bisogno, derogando alle antiche istituzioni dell’ex reame, per solo arbitrio... I mali, che si sono prodotti in Napoli derivano sopra tutto dalla soverchia leggerezza con che le antecedenti istituzioni si sono andate immutando...

«Noi napoletani non avevamo difetto di leggi più o meno buone. Cosa ha fatto il governo nuovo in quelle provincie? Non ha fatto, che distruggere; non ha fatto, che abbattere le vecchie leggi per sostituirne delle nuove, che mentre mancavano del prestigio di autorità legittima (perché non sanzionate dal parlamento) non si aveva la forza di far rispettare».

Il deputato Valenti (delle Puglie) riepiloga le grida di dolore del suo paese nelle parole «sempre soffrire, sempre!» Accenna al sistema di esclusività del governo luogotenenziale, sistema crudele, iniquo, ne’ pubblici impieghi; e cita la massima del Macchiavelli, «che ne’ mutamenti politici conviene conservare del vecchio tutto quello, che è buono; rigettare il cattivo; e che quando si vuol salire conviene dallo scalino di sotto passare a quelle di sopra».

Accusa il governo stesso di aver inviato nelle provincie a bella posta i più tristi fra’ i governatori, e ricorda con orrore nella sua provincia di Bari inviato come governatore Mariano Englen, che come cognato di Ajossa vi fu altra volta intendente () Critica pure l'altro governatore venutovi da Aquila (Federico Papa) che qualifica di Bascià a 3 code, e dice che a 18 del passato febbraro mise subito in libertà 28 facinorosi che in Bitonto aveano tumultuato assalendo le case dei benestanti, che di poi gridarono abbasso al municipio ed alla guardia nazionale, che li avea arrestati ed ora predominano colà: E quindi soggiunge: — Altra piaga è la disfatta delle finanze. Eppure, o signori, sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi, che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un armata di centoventimila nomini un mezzo milione di spie, ponevano fondi in tutti i banchi all’estero dotavano largamente la, numerosa figliolanza, e tuttavia il tesoro era fiorente. Ma perché? perché le leggi in tal qual modo si osservavano; perché prima rendita delle finanze erano le Dogane. Ma invalse. il sistema di voler abrogare le leggi, che presso noi erano ottime, benché tristi quelli che ponevano mano ad esse: ed ora il contrabbando si fa in Dogana, ed è fallita perfettamente la rendita dei Dazi Indiretti. Parlando del mio paese (Terra di Bari) che è uno de’ più commercianti: il mio solo paese in quella provincia dava all’incirca 120 mila ducati l’anno al Governo: ora da ottobre non ha dato un obolo, e questo perché? Per tenere una caterva infilata di impiegati inutili, demoralizzati, i quali meriterebbero se non altro, una traslocazione, che par frutterebbe qualche cosa pel tempo necessario ad acquistare nuove relazioni…

«Pane e lavoro! il ventre non patisce dilazioni, il popolo non si satolla colle parole, perché la fame è reale per la mancanza di ricolto di 4 o 5 anni...

«Ricordateti o Signori, di far bene, ricordatevi che simbolo del nostro ex reame è un cavallo sfrenato; ma con un cavallo indomabile… e se nulla avremo fatto di positivo, ricordiamoci che sopra di noi peserà il ghigno del nemico lo scherno d’Europa, il rimprovero de’ nostri elettori, il pianto eterno dell’Italia, la maledizione di Dio.»


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Tornata de’ 4 aprile 1861. (n. 53 degli atti.)

Il deputato Ferrari intende continuare la discussione su le cose di Napoli, che stando addetti dei ministero avrebbero potato credersi rimediate; ma invece «alcune voci del mezzodì protestano in modo concitato contro quelli pretesa tranquillità; ed egli (il deputato) si è veduto in mezzo alla realtà de’ dolori d’Italia.» Insiste per una inchiesta parlamentare la situazione del cessato regno de' Borboni. Critica amaramente il Ministero per non aver saputo, o voluto fare nulla di buono, anche dopo cessati i dittatori, i prodittatori, i tribuni, i volontarj, e di non aver avuto l’abilità di accattivarsi l’amore del popolo. E si fa poi a dire: «Nelle vie stesse di Napoli i ladri fanno fuoco contro la Guardia nazionale nel quartiere Montecalvario; il procaccio per Cusenza è assalito; numerosi assassini attristano le floride città della Sicilia; la. sicurezza pubblica trovasi minacciata; il vostro governo è così impotente, o ministri, che il brigantaggio pesa oramai come un potere dello Stato. E di lotto,ciò a chi la colpa? Havvi di più. A Napoli, ed a Palermo le dimostrazioni si succedono ad ogni tratto; saranno forse colpevoli, ma sono reclami; avranno forse torto, ma esse ci mostrano il Governo separato dal popolo, avaro di provvide misure, non seguito dalla folla, non amato dalle moltitudini. A’ 27 marzo poteasi amichevolmente congedare una dimostrazione di marinai a Palermo; ma quella di Napoli (di cui parlò jeri il deputato Miceli) de’ 100 garibaldini tumultuanti, che aveano atteso tutto un giorno dalle 9 del mattino alle 3 pomeridiane. per avere on soccorso, e che affamati, furono respinti con le bajonette, voi dite, che la reprimeste, e conculcaste, perché tal era il vostro diritto, la vostra legge. Ma se invece di 100 fossero insorti 500; e se invece di 5 fossero stati 150 i feriti, il trionfo sarebbe rimasto alla legge ma questa sarebbe odiata. Che se progredite in questo modo, a capo di pochi mesi, che cosa diventerà il regno?...

«Non parlerò delle finanze; nulla aggiungerò a quanto disse l’onorevole Valenti sul contrabbando riorganizzato, su la cessazione degl’introiti de’ dazii. Ma qui l’impaziente vostra Signoria non scorgasi forse colpevole? Il giorno in cui Garibaldi giungeva in Napoli non era forse la rendita pubblica al 112; mentre adesso tocca appena l'80?

«Esaminiamo i disordini della stampa. I giornali di Napoli accusano uomini onorevolissimi di aver dite lapidate le finanze del cessato regno: al leggerli ti direbbe, che gli nomini i più amici del Ministero nono stati i più infedeli alla più volgare legge dell’onere... Ma,o signori, l’anno scorso le stesse accade di dilapidazioni, di forti, accuse ignobili, accuse infami, non erano prodotte qui contro i più fidi amici di Garibaldi? E da chi? Da’ giornali officiosi, e direi quasi ministeriali, se potessi supporre simili complicità tra il ministero, e giornalisti troppo screditati... Scusavasi il ministro Minghetti adducendo che esageravansi le critiche, che si calunniavano i suoi governatori, che il false pervertiva il vero stesso de’ reclami. Il falso? la calunnia? E non sapete voi, che la calunnia stessa è un arma contro un Governo, odiato?

«Ma quali provvedimenti proponete voi a rassicurare i rappresentanti del. mezzodì? Ci fate sapere che la Luogotenenza avrà 4 Segretari dipendenti dal Ministero. Che m’importa che vi sieno 4, o 10 Segretari? Dipendenti da Nigra, o da Minghetti, la responsabilità, la politica, non è forse la vostra? I vostri luogotenenti non son forse i vostri amici, o, come il sig. Farini, una parte di voi stessi? Non voglio né pur seguirvi quando mi parlate o di telegrafi rinnovati o di codici poco stimati o di particolari amministrativi messi innanzi. Una sola parola mi scosse, e mi punse quasi fosse uno strale, e fu quando intesi il Ministero assicurare, promettere, che manderebbe buoni gendarmi nel mezzodì; che stava preparando ottimi allievi, che un’imponente forza militare già occupa a Foggia a Sora ecc… E che, signori, promettete bajonette da Torino all’antico regno di Napoli?

«A qual fine? Per fare la polizia? Ma non v’accorgete dello enorme vostro controsenso? La bassa Italia si dà, si offre a Vittorio Emmanuele, si sottomette con voto unanime, e credete che abbia bisogno di Gendarmi spediti dal Piemonte? Ogni paese, che non sia artificialmente scompigliato dalla mala direzione del Governo, possiede in sé i mezzi per fare la propria polizia. lo temo, che a vostra insaputa voi volete fare la guerra all’antico regno di Napoli, proteggendo impiegati antipatici, inviando governatori poco graditi, e confidandovi in truppe, il cui numero non supplirà mai all’affezione del popolo. E il mio timore si aggrava quando considero le condizioni storiche delle due Sicilie, la cui tradizione si spinge assai più lungi nella notte de' secoli, che non giunga la Real Casa di Savoia. Più secoli prima di Bertoldo il mezzodì formava un sistema separato co’ suoi Duchi longobardi frammisti a bizantini. Poi i Normanni formavano il regno quando i conti di Savoja appena avevano un nome. Poi sotto Carlo d’Angiò rigeneravasi il mezzodì, sottoposto al nuovo centro di Napoli. E Napoli regnava poi su le due Sicilie, come Parigi su la Frante eia, e riproduceva ‘passo passo tutta la istoria della centralizzazione Parigina, e, come la capitale francese, aveva le sue guerre contro le provincie, la sue vittorie nefaste, i suoi sanguinosi trofei; ed in una parola, è dessa ancora la terza Capitale d’Europa... Io avrei desiderato, che le due Sicilie sì dessero con riflessione, con maturità di consiglio, che l’annessione fosse differita, e che voi foste ora innocenti di tutti i mali… Le nostre leggi sono provvisorie, le nostre annessioni recentissime: nello spazio di soli due anni lo Statuto è stato violato, nel 1859 da pieni poteri consentiti al Ministero; e nel 1860 dalla riduzione subitanea che diminuì della metà il numero de’ deputati...

«Ora in mezzo a tali incertezze, se ci giungesse una disgrazia nelle provincie meridionali, quale sarebbe la nostra sorte?

«L’antica Italia ebbe due regni: quello delle due Sicilie, e il regno del Nord. Nello stesso modo, che molte nazioni si sono formate coll’antagonismo e che per esempio la Germania emerge dalla lotta fra Berlino, e Vienna, e la Grecia antica dalla guerra fra Sparta, ed Atene, noi siamo stati organizzati colla opposizione di due regni egualmente uniti contro il nemico esterno, benché dissidenti nelle cose interne. Nessuno negherà, né che i due regni abbiano esistito; né che la diplomazia abbiali riconosciuti. da secoli; né che abbiano essi combaciato per la nazione nei nostri stessi tempi, quando nel 1814 i due nostri re sbarcarono l’uno dalla Sicilia, l’altro dalla Sardegna, per riacquistare il continente italiano.

Dopo aver vagato in altre ipotetiche asserzioni, conchiude il Deputato Ferrari proponendo una inchiesta parlamentare su l’anarchia attuale delle due Sicilie che tutti concordano a riconoscere.

Parla in risposta il deputato Scialoja, sostenendo gli atti del governo in Napoli, e tra l’altro fa osservare.

«Una delle principali condizioni per compiere la riforma del personale degl’impiegati è quella di aver sufficiente tempo per farla. Or la Camera sa e si ricorda, che dopo il 7 settembre vi furono in Napoli 4 mutamenti nel governo locale. Il 1.° ministero dittatoriale, di cui io facevo parte, rimase venti giorni al potere, il 2.° quarantadue giorni; il 1.° consigliò di Luogotenenza 60 giorni, ed il 2.° sessantaquattro, o 65 giorni.»

In seguito ha presa la parola il Deputato Petruccelli (di Moliterno in Basilicata) è trattando della stessa materia, quando si è versato sui bisogni del popolo di avere lavoro e pane, non ha potuto disconvenire (benché nemico acerrimo della Dinastia Borbonica) , che «la beneficenza pubblica possiede tre milioni e mezzo di ducati; che vi sono casse di sussidio, le quali, oltre le elemosine hanno capitali per centottantamila ducati; e che vi seno 1121 monti frumentari, pel valore di cinquecento settantaquattromila quattrocento ottantaquattro ducati () ... Ma la sicurezza pubblica non esiste, perché que’ carabinieri, che si stanno qui istruendo e (come diceva il ministro Minghetti) non sono colà a tutelarla. Se dunque si domandavano armi era per difendere la tranquillità, la casa, la famiglia; era perché il proprietario non poteva uscire dalla sua casa e recarsi alla campagna, senza essere assaltato, violentato da ladri e dai banditi... Nelle provincie napolitane vi sono dieci milioni di moggia di pubblico demanio. Sapete voi quanto ne resta? Al governo resta una rendita di seicento trentasettemila ducati, pari a lire (2,770,0$0) A che è ridotto oggi quel pubblico demanio? Vi basti questa esempio. — Il demanio della Sila in Calabria, nel 1791 contava trentacinquemila moggia di terre: nel 1842, epoca dell’ultima statistica, è ridotto a cinquemila moggia. Il governo Borbonico ne ha venduto qualche poco, ma la massima parte è stata occupata da convicini possidenti. Or questo popolo non vuole già la restituzione del Demanio per ripartirselo; ma vuole che lo si restituisca a’ comuni, appartenendo a quali, il popolo, che nulla possiede, che è proletario, avrà dove tagliar legna, d’inverno per riscaldarsi, dove condurre il bestiame al pascolo.»

E lo stesso deputato Petruccelli continuando a scagliarsi contro il governo luogotenenziale, di cui reclama l’abolizione, conchiude così:

«I Borboni avevano una legge organica amministrativa, che fissava la cifra degl’impiegati. Questa cifra è stata da voi enormemente superata. Gl'impiegati si sono elevati al di là di sessantaquattromila! II ministero ha d’altronde l’obbligo di ridurre gl’impiegati di una provincia; perocché l’ex reame altro ora non è, altro non deve essere, che una a provincia ()

Sorge indi a parlare sempre su lo stesso proposito il Deputato Nicolucci; e nota tra le cagioni del malcontento, che in varii luoghi non si son voluti ricevere i nuovi governatori, e magistrati, perché in essi il popolo non vedeva i veri rappresentanti della pubblica opinione, ma gli uomini bassamente prostituiti all’attuale dispotismo. Ed aggiunge: — «L’altra cagione del malcontento è stata la intempestiva pubblicazione di tante leggi, regolamenti organici, che hanno gettata la confusione e lo scompiglio in tutti i rami della pubblica amministrazione. Ognuno che afferrava un portafoglio stimava suo debito erigersi a legislatore; e tanto meglio parevagli aver adempiuto al suo uffizio, quanto magre giare fosse stato il numero delle sue innovazioni… Io non so con quanto senno, politico abbia potuto il Governo gittare questo pomo di discordia, il quale non può fare a meno di non accrescere il numero de’ malcontenti, e de’ nemici delle nostre istituzioni...

«La 3.a causa del malcontento, le la più grave, è quella, di non essersi provveduto alla sicurezza pubblica... La reazione, ed ora il brigantaggio scorrazza in molti paesi: le vie sono mal sicure, i traffici impediti; la guardia nazionale delle provincie pressoché disarmata: — «Indi esso deputato raccomanda al ministro di far continuare a tutelare il confine del regno verso gli Stati Pontifici dalle truppe regolari piemontesi; le quali, ove abbandonassero quella linea, egli dice: — tutto il confine sarebbe in rivolta, e niuno potrebbe assicurare qual è il limite dove essa si arresterebbe» — Opina per la continuazione della Luogotenenza per varie ragioni, una delle quali è per un riguarda di convenienza a Napoli «che priva del potere centrale, essa città di mezzo milione d’abitatori, la prima della penisola, sarebbe ridotta alla condizione di meschina capitale di provincia, e perderebbe ogni prestigio di. metropoli dell’ex regno delle Due Sicilie».

E nel conchiudere dice: — «Signori, l’agitazione regna nelle provincie napoletane. Vi sono varii partiti a fronte l’uno dell’altro. Vi è il partito de’ decaduti, che soffia nel fuoco, ed accresce il malcontento. Vi è il partito de’ pretendenti, che si sforza di disunire gli animi, carezzare il concetto, dell’autonomia locale, screditare l’autorità governativa, e dimostrarla incapace a reggere quei popoli».

Posteriormente viene il deputato siciliano Bruno, che parla de’ mali della Sicilia con molta deferenza verso la prodittatura, e verso il ministero. — E propone spedirsi spese del Governo a colonizzare l’isola di Lampedusa coloro, che han servito la polizia borbonica, i quali per una svista della prodittatura han continuato a percepire i soldi. — Dice, che il prodittatore Mordini per dissensioni cogli uomini, al potere dové telegrafare a Napoli, e dire, ivi al Re «io non posso tenere una sol ora la posizione; se Vostra Maestà non può arrivare, mandi persona a surrogarmi». — Passa poi a parlare delle intemperanti nomine d’impiegati, de’ quali se ne veggono 45 nella sola redazione della gazzetta officiale di Palermo; mentre per quella di Torino ve ne sono soli 4 e fa avvertire che mentre il governo dittatoriale nominava agl'impieghi soltanto provvisoriamente ed in modo da non dare diritto a nuovi impieghi, i ministri di Torino invece rispettando alla rinfusa tutto il già fatto, offendono la giustizia, e legano al paese una eredità di pesi, che dovrà pagare per la semplice voglia di non fare giustizia» — Confessa, che il deficit, che presenta attualmente la Sicilia, senza contribuire per l’esercito, ma solo per sopperire alle spese di un amministrazione così inviluppata, ascende a 40 milioni di franchi ed esclama: — «Or possiamo dire a queste popolo Siciliano, paga nuove imposte, perché gli uomini, ché ti dichiararono liberato jeri, che ti dissero volerti ajutare, questi uomini debbono aver tutti una pensione vitalizia?» Poi dice, che in Sicilia non vi erano i Ministeri di guerra, della marina, e degli affari esteri e vennero creati, pubblicandosene gli organici allorché si proclamava il plebiscito; dopo compiuto il plebiscito si pubblicarono i nomi degl’impiegati () Accenna l’altro abuso, che a’ carabinieri sardi fu data la paga di campagna e sempre continuata, benché finita ogni guerra, ed anche dopo la venuta di Vittorio Emmanuele. — Censura la legge prodittatoriale (fatta in grazia del municipio palermitano) di doversi pagare dallo Stato tutti i debiti de’ comuni. Osserva che con la rivoluzione la Sicilia avrebbe a godere l’economia di due milioni, cessando l’obbligo di versare a Napoli il contingente delle sue spese; e pure, le sue finanze sono in rovina. L'organico della Questura di Palermo è quadruplicato a fronte di quella di Torino. —Fin dal tempo de’ Borboni si era deciso un bacino di carenaggio molto utile pel porto di Palermo; e non ne han preso cura né il governo dittatoriale, né quello di Torino.

Loda la istituzione tutta liberale delle Compagnie d’armi, mantenuta da’ Borboni perché essenzialmente utile, risponsabile effettualmente di ogni attentato alla, proprietà. Avendo ora mutato il nome di militi a cavallo, propone, che dietro maturo esame del Parlamento si deliberi se convenga distruggerla, o conservarla— La Sicilia, sotto i Borboni (che l’oratore si sforza sempre a dire non amati) offri per molti anni l'edificante spettacolo, che furti non ne succedevano assolutamente, e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore, senza la menoma paura di essere aggrediti, né derubati.

Parla l’altro deputato siciliano Bertolami, e deplora del pari la totale mancanza di pubblica sicurezza in Sicilia. Imputa al governo di Torino (benché gli si professi amico) di non aver saputo affrontare le difficoltà dell’isola, ed aver preferito transigere con esse; passando da transazione in transazione e da debolezza in debolezza; cosicché oggi, fatto doloroso, ma pur troppo da tutti ripetuto... !, il Governo del Re è esautorato in Sicilia. Conchiude desiderando, che le leggi fossero religiosamente eseguite in Sicilia, e che il ministro de’ lavori. pubblici ponga fine alle incredibili miserie in cui geme il paese, facendo eseguire opere.

A confutazione di altro discorso del deputato Paternostro sorge il deputato Amari, che difende il governo, ma confessa essere stato atto improvvido quello di Garibaldi di abolire il dazio sul macinato, e la carta bollata. Le quali imposte formavano la metà delle entrate dello Stato,. al quale inconveniente ai aggiunge quello delle cresciute spese pel maggior numero degl’impiegati, su le cui nomine domanda una inchiesta.

Trattando delle finanze, chiede al presidente de’ ministri, che si faccia dar conto in Napoli dall’ex generale Lanza de’ seicentomila ducati in moneta sonante, che prese dal tesoro di Sicilia, asserendo doverli versare al tesoro di Napoli. Confessa che in tre mesi si sono pagati per soli congedi a’ garibaldini tre o quattro milioni di lire al mese ()

Tornata de’ 6 Aprile (n. 59 degli atti)

Nel seguito della discussione su le interpellanze intorno alle cose di Napoli e Sicilia, il deputato Crispi allo annunzio di essersi mandato come Luogotenente in Sicilia, riunendo poteri civili e militari, il generale della Rovere, se ne mostra dispiaciuto, e dice, che ai 2 gennaio prossimo passalo poco mancò, che non si fosse venuto ad una catastrofe in Palermo… «Io non posso dimenticare, e credo, che il ministro non l’abbia dimenticato, risultar chiarissimo dalla discussione seguita in questi ultimi giorni, che in 4 mesi il ministero non ha saputo organizzare quelle provincie; non ha saputo nemmeno procacciarsi quell’amore, che è necessario si procacci un governo».


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 Tornata de' 15 Aprile (n. 69 degli Atti.)

Il deputato Siciliano Musumeci, opponendosi alla proposta fatta dell'altro deputato suo compatriota Corleo per le enfiteusi perpetue redimibili de’ beni fondi ecclesiastici, e demaniali di Sicilia, fra de' altre preposizioni, dice cosi: —«Io reputo necessario l’intervento del potere esecutivo per tutelare interessi gravissimi della nazione. Noi in ciò, o Signori, abbiamo avuta buona esperienza. In Sicilia, sotto i Borboni avevamo alla testa del governo degli uomini, che in quanto a idee politiche discordavano da noi; però nella parte pratica dell'amministrazione, nella vendita de’ beni del Demanio, e de’ Luoghi Pii ci resero, per parecchi anni grandi servizii; dapoiché i beni della pubblica Beneficenza sono stati ben venduti, caramente venduti».

Nella stessa tornata il deputato Caso nel proporre una legge per (a sospensione del decreto luogotenenziale napoletano de’ 17 febbraro, che arbitrariamente dà una nuova circoscrizione alla provincia di Benevento, si esprime cosi: — «Non è mai opportuno di spostare e di offendere gl’interessi secolari di oltre due milioni con una nuova circoscrizione territoriale, in paese, come Napoli, agitato, da tanti rancori. È massima di buon governo, di andare a rilento in siffatta materia, anche quando le popolazioni si mostrassero soddisfatte Ma vi sono reclami di moltissimi comuni, e cittadini avverso l’arbitraria circoscrizione, che ingenera massimo. malcontento in 5 antiche provincie tagliate in tutti i sensi dalla legge dei 17 febbraro per dar territorio a Benevento... Lascio di enumerare i serii inconvenienti, di cui son minacciate le provincie di Molise, Avellino, Capitanata, Salerno, nel caso, che tale legge si attui. Mi limito brevemente a quelli che possono avverarsi nel mio circondario di Piedimonte, che da 44 comuni con 108mila anime, verrebbe a perdere 20 comuni e 60 mila anime… E tatto ciò si esegue, senza tenersi presente l’elemento topografico, guida principale negli scompartimenti territoriali…; senza sentirsi i comuni interessati… ()

Appoggiando l’anzidetta mozione l’altro deputato Amicarelli (della provincie di Molise) , e censurando il decreto luogotenenziale dei 17 febbraio dice: «quando e si comincia ad operare con illegalità, non è da meravigliare che si seguiti con arbitrio.

Nello stesso senso parlano anche gli altri deputati di Terra di Lavoro, sigg. Cardente e Napolitano, accennando che numerose deputazioni delle provincie pregiudicate sono corse in Napoli dal Luogotenente a farne alti risentimenti.

Nella tornata stessa coglie il destro il deputato Pica, per dirsi profondamente addolorato contro il ministro dell'Interno che non ha fatto conoscere quali provvedimenti il Governo abbia preso per reprimere la reazione, che da ogni parte si manifesta nelle provincie meridionali;... e perché senz’altro indugio si sospenda la esecuzione di una di quelle tante leggi (quella della nuova circoscrizione beneventana) che sono state improvvidamente regalate alle provincie meridionali; leggi, che hanno scosso gli animi di quei paesi..., i quali chiedono un governo onesto, giusto, e che non cangi improvvisamente le buone leggi, che quelle provincie già avevano».

Tornata dei 16 Aprile (atti n. 62.)

Discutendosi su la legge della nuova intestazione di Re d’Italia, da assumere il ‘re Vittorio Emmanuele, il deputato Petruccelli si permette eccedere in proposizioni irriverenti contro la formola «per la grazia di Dio», e tali da far sospettare su la sua religione. Né della politica egli fa maggior conto, perocché dice che «la politica vive di spedienti, di perfidie, di violenze, di violazioni».

Basterebbe questo discorso del Petruccelli per far definire in Europa quale sia b spirito predominante del primo parlamento italiano.

Tornata dei 18 aprile, (n. 75, degli atti)

Il deputato Ricasoli muove interpellanza, su lo scioglimento delle masse garibaldine. Rispondendo categoricamente il ministro della guerra, ha occasione di versarsi sul disciolto esercito borbonico, e sol sistema tenuto nel. liquidare i gradi od anzianità degli uffiziali; emette giudizii erronei sul merito, dello stesso esercito, secondo le calunnie de’ partiti; ma nel suo discorso sono notevoli le seguenti cose. — «È d’uopo premettere, che Re Francesco, dal maggio al 7 settembre. 1860 fece molte promozioni, e ne risultò che la maggior parte degli uffiziali ottennero in tale: periodo fino a due gradi; — che al 7 settembre varii ufficiali rimasero in Napoli facendo adesione al governo dittatoriale; ma questi non erano che individui, la vera armata si concentrò sul Volturno, ed è quella che resisteva ai volontari davanti Capua... E dico questo per ribattere l’asserzione di certi ufficiali di quell’armata di terra rimasti in Napoli, i quali pretenderebbero esser trattati come gli ufficiali della marina napolitana, che si diedero corpo ed anima al nuovo Governo. Altri fra gli ufficiali di terra, rimasti in Napoli che si ebbero i due gradi dal Borbone, ed uno dal Dittatore, pretenderebbero conservare i tre gradi avuti in pochi mesi, ed essere cosi ammessi nell’esercito nazionale… Essi vi dicono, che hanno consegnato alla nazione (si legga rivoluzione) gli arsenali… Finalmente la vera massa degli ufficiali, quelli cioè che resistettero fino all’ultimo, vi dicono: noi pure siamo figli di questa terra… Mestando fedeli al Be, seguitando la. sola bandiera, che conoscevamo da che eravamo nati, abbiamo servito così un governo nazionale riconosciuto in tutta Europa; abbiamo intrapresa una carriera sotto l’egida delle leggi, che c’imponevano obblighi e diritti ()

Continua poi a dar conto del modo come ha creduto rifondere, e riformare l’intero esercito; e come di sessanta generali napolitani, soltanto sei abbiano preso servizio pel Piemonte, cioè, Negri, Polizzi d’artiglieria; Gonzales, e Sponzilli del genio; Pianelli, e il duca di Mignano (movimenti su varii banchi al nome di queste ultimo) che tolte le dimissioni (dice il ministro) «prima che le provincie napolitane fossero in rivolta, venne a Torino, fece ossequio di sudditanza a Vittorio Emmanuele, adempì lealmente ad una missioni che gli fu affidata, e fu in seguito riconosciuto nell’arma... per dare schiarimenti su l’organismo militare dell'esercito borbonico».

In questa tornata succede il clamoroso diverbio tra Garibaldi e Cavour su lo scioglimento del corpo dei volontari del primo; per cui il presidente si covre atteso il gran tumulto, e la seduta resta sospesa per un quarto d’ora ()


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Tornata del 20 aprile (n. 80 degli atti)

Il deputato Conforti nella continuazione della discussione su le interpellanze pe’ volontarii garibaldini, tra le altre cose, dice: — «Il giorno, in cui partiva Garibaldi co’ mille commilitoni, tutti gli animi erano costernati pensando a’ gravi pericoli, a cui que’ prodi andavano incontro. In quel giorno stesso io mi abbattei in un ufficiale superiore molto dotto nell’arte della guerra; naturalmente il discorso cadde su la famosa spedizione. Sapete voi che cosa mi disse quell'uffiziale? Mi disse: l'impresa che ha assunta Garibaldi è una impresa impossibile. Esso, ed i suoi commilitoni, o saranno sommerai nel mare, o saranno moschettati in su la riva (sensazione) ()

Nella stessa tornata il deputato Crispi redarguisce il ministro della guerra, che nella tornata di jeri enunciò aver preso servizio pel Piemonte soli sei de’ 60 generali napolitani, e dice cosi: — «Leggendo la gazzetta io trovo che il numero è maggiore. Egli ha scordato niente meno i Sigg. Marra e Barbalonga. Forse lo fece per quella stessa delicatezza, con la quale esitava nominare il duca di Mignano col suo nome storico di Nunziante. — La storia de’ Sigg. Marra, e Barbalonga non è delle più splendide. Il 2.° fu indicato come il successore di Maniscalco in Sicilia; e il 1° fu quell’individuo; che in Calabria abbandonò al momento del pericolo le truppe che comandava, e se ne corse a Napoli: così che il ministro Pianelli dové metterlo sotto giudizio, non perché il suo subordinato avesse amata la libertà; ma perché non aveva fatto il suo dovere di soldato». Continua la censura sul duca di Mignano.

Nella stessa tornata parla Garibaldi per l’armamento della nazione, e si dichiara insoddisfatto delle risposte dategli sull’assunto del presidente Cavour, e dice io lo so da’ giornali, e da conosciuti che vengono d’oltre Po, e d’oltre Mincio, che gli Austriaci ingrossano: tutti quelli, che vengono dalle provincie meridionali non, parla no, che di reazione, di governo provvisorio a Melfi, e cose simili, e non rapisco poi come si tema tanto di spaventare coll’armamento i potenti vicini»...

Tornata de’ 24 aprile (n. 86)

Su la proposta del deputato Mamiani di votarsi una lode alle guardie nazionali di Napoli, e Sicilia per l'ardore col quale perseguitano i reazionarii, il deputato Pica osserva: «Lo stato di quelle provincie non è ora in alcun modo soddisfacente: esse hanno bisogno di un governo forte, di un governo vigile, di un governo che voglia la giustizia, e la voglia imparzialmente per tutti; di un governo, che secondi le buone intenzioni della massa del popolo, e persuada tutti che il governo di Vittorio Emmanuele è leale, o riparatore.»

Al deputato Bixio che vorrebbe far credere non essere cotanto estese le reazioni, risponde il deputato napoletano Del Drago, e dice: — «Sì, o Signori, io vorrei, che esse non fossero vere; io vorrei anche dissimularle, ma sventuratamente esse esistono, ed al di là di quello che se n'è parlato nella Camera.» —

AI proposito il deputato Brofferio osserva «che le reazioni nascono da torti del Governo, e dalle disposizioni omesse dal parlamento» — Anziché discutere di guardie nazionali, e mandare complimenti, sarebbe meglio, che il parlamento volesse pensare seriamente, francamente a scongiurare i pericoli, che ci sovrastano nello interno, e nell’estero. — La condizione in cui si trova da alcuni giorni il paese richiede tutta la nostra più attenta sollecitudine. Furono pronunziate minacce, le quali portarono il turbamento nell’animo di tutti (mormorio) — Si, il turbamento, a meno che si voglia che, come in Ispagna, comincino per rovina d’Italia gli scandali de’ pronunciamenti militari.»

(Il conte Cavour interrompe con calore facendo notare che le parole di Brofferio non sono, né di conciliazione, né di pace.)

Il deputato Brofferio continua: — «Signori, mi sembra che voler cuoprire sotto le ceneri il fuoco che vuol divampare non sia la miglior maniera di prevenire l’incendio. Per ispegnere i carboni ardenti, bisogna scoprirli, e conoscerne la intensità per affrettarne i provvedimenti. Volete voi attendere a combattere l'incendio quando sia in fiamme la casa? — Io non accuso il Governo se egli sia complice di ciò che accade; né posso affermare, né contendere: si saprà in breve il vero — Io invito il governo a provvedere, che non nascano inconvenienti maggiori, ed invito il Parlamento a non sonnacchiare, perché non fu mai necessiti di vigilar tanto».

Nella stessa tornata il deputato Pica (abruzzese) interpella il ministro dell’interno su gli ultimi fatti dell’ex regno di Napoli, e dice, tra l’altro «che gli uomini quivi preposti al governo sono assolutamente degli enti invisibili; poiché non si può giungere fino ad essi, e non è permesso né pure di accostarsi a’ locali destinati al segretariato. generale, essendone chiusi i cancelli, e questi custoditi da carabinieri, di modo che, né il ministro segretario di Luogotenenza, né i segretarii generali, né gl'impiegati possono vedersi, ed ogni comunicazione è rotta tra quelle popolazioni, e gli uomini che debbono governare. Non vi è quindi altro mezzo per sapere alcuna cosa, che rivolgersi qui al ministro, e chiedere que' schiarimenti, che colà non si possono ottenere () Chiederei conoscere quali provvedimenti il Governo abbia adotta per assicurare la imparziale punizione di tutti i colpevoli, ed amerei conoscere se i tribunali criminali adempiano a’ loro doveri con quell'alacrità e fermezza, che le circostanze impongono; — e quali disposizioni si proponga adottare per eliminare le cagioni che hanno sostenuto il malcontento delle provincie meridionali, e provocati i tristi fatti recentemente avvenuti, e che di tristissime nubi coprono quel cielo... Si ricordi il ministro che quelle provincie sono da oltre otto mesi in uno stato deplorabile, che que popoli appartengono all’Italia meridionale, dove le passioni sono vive.»


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Tornata de' 26 aprile (n. 92 degli atti)

Sa la proposta dei deputato Musolino (di Calabria) per l’abolizione del privilegio delle tonnaie nelle provincie meridionali, il deputato Siciliano D’Ondes Reggio si oppone qualificandola d’ingiusta, e dice: — «Per giustizia, e civile prudenza chieggo, che la proposta venga rigettata assolutamente. — Fa d'uopo che apertamente noi dichiariamo di voler porre un termine a proposte, che mirano a manomettere ora una specie di proprietà, ed ora un’altra, ora sotto un aspetto, ed ora sotto un altro. Sì, assai sovente si fanno proposte contro la proprietà, la cui sicurezza ed inviolabilità è fulcro primario della civiltà d’un popolo.»

Il deputato Musolino () indispettito nel vedere che la sua proposta và ad essere reietta, dice — «se avevate timore di toccare la proprietà, non dovevate spogliare de’ loro beni tanti ordini religiosi; non dovevate abolire gli ultimi residui de’ vincoli feudali in Lombardia... Ora siete in contraddizione con voi stessi: giacché erano quelli gli articoli, che potevano avere l’aria d’una spoliazione, non la soppressione d’un diritto abusivo di pesca.»

Tornata de' 29 aprile (n. 97 degli atti)

Su la petizione del sindaco del comune di Teano in Terra di Lavoro, e di altri due sindaci di Vairano, e Calvi (che compongono il circondario) che rifiutano il percettore di fondiaria inviatogli dal nuovo governo luogotenenziale, e persistono a ritenere i rispettivi esattori comunali di loro scelta, parla in appoggio il loro compatriota Deputato Felice Cardente, e tra l’altro dice: — «Da tempo remoto nello intero circondario di Teano esigevasi il tributo fondiario dai rispettivi esattori comunali, siccome avviene in moltissimi altri luoghi dell’ex regno di Napoli — Or tutt’ad un tratto senza esserne per nulla interpellati, siccome era legge ed antica consuetudine rispettata sempre dai Borboni, i rispettivi Municipii, si vide inopinatamente nominato ivi un Regio Percettore... Ma il nome di questo non suona egualmente, che l’altro di Esattore all’orecchio di quelle popolazioni... Fo da ultimo osservare che nel cessato Governo in quelle provincie non osavasi da un ministro, che faceva pur l’assoluto nel suo ramo, nominare un novello percettore in un mandamento (o circondario) , senza riscuoterne il debito antecedente avviso dalle rispettive rappresentanze de’ Comuni; non sa concepirsi poi come sotto un governo luogotenenziale di Napoli, che rappresentava pur le franchigie costituzionali, si abbia potuto oltrepassare cosi i limiti stessi dello arbitrario.»

Nella stessa tornata si propone la petizione n. 6889, di 29 cittadini di Caserta, che chiedono essere indennizzati de’ rilevanti danni loro, cagionati dalle truppe Garibaldine nelle città, e villaggi, 1.° per alloggi militari; 2.° per taglio d’alberi; 3.° per requisizione di commestibili, e combustibili; 4.° per altri danni cagionati. — La Commissione propone, e la camera approva, che questa petizione sia rinviata agli archivi. ()

Tornata de’ 30 aprile (n. 98 atti)

Il deputato Mayr interpellando il ministro di giustizia su nuovi codici da elaborarsi, dice: «Nelle provincie annesse, dove fu pubblicato il Codice Sardo, non ha trovato buona accoglienza, né per parte delle curie, né per parte delle popolazioni: se ne trovano i metodi lunghissimi, intralciati, dispendiosissimi non sempre conformi a’ principiò d’una pronta e spedita amministrazione della giustizia... Nelle provincie annesse, le leggi Sarde sono state innestate alle leggi ivi preesistenti; e da questo innesto non si ebbero buoni frutti. Le popolazioni sopportano con impazienza questo stato anormale ed ibrido) , di legislazione, ma lo sopportano, perché lo credono provvisorio, desiderano al più presto sortirne.»

Nella stessa tornata il presidente del Consiglio Cavour, osserva che su tante vaghe discussioni si è perduto il tempo: — il Parlamento (egli dice) si è aperto il 18 febbraro; — domani siamo al 1.° maggio, e non si è ancor votata una legge di qualche importanza! È nello interesse del paese e del parlamento che finalmente si metta mano a’ lavori serii. ()

Il deputato Mirabelli parlando sul nuovo organico giudiziario, dice: — «la magistratura napoletana, tranne pochissime eccezioni, è una magistratura, la quale per moralità e per capacità non è. inferiore ad alcuna delle magistrature di Europa... La legge organica giudiziaria pubblicata ora nelle provincie meridionali, mentre stabilisce le stesse autorità, non fa che immutare i nomi, rispettando le identiche attribuzioni che aveano precedentemente.»

Anche il deputato Pica sul proposito osserva:— «sta nella mia mente, che nelle provincie meridionali nuove leggi per ora non debbano introdursi, ma invece quelle che vi stanno debbano essere saldamente eseguite.»

Parimenti il deputato Conforti fa gli elogi dell’antica legislazione penale napolitana, e dice, che nello stesso codice penale sardo si sono introdotti molti miglioramenti, che sono stati tolti dal Còdice napolitano, il quale era stato l’opera di sommi giureconsulti: — né questo dee far meraviglia: dapoiché Napoli è la patria di Vico, di Pagano, e di Filangieri... L’antico codice criminale del Piemonte conteneva 150 casi di pena capitale, e soltanto ultimamente (nel tempo de’ pieni poteri) egli è stato riveduto, e tale pena è stata ridotta per soli 20 casi.».


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Tornata del 2 maggio (n. 103 degli atti)

Il deputato napoletano Del Drago chiede, onde voglia dichiararsi di urgenza la petizione n. 7055 delle monache Clarisse di Mola di Bari, che implorano la. Sospensione del Decreta Luogotenenziale de’ 17 febbraro su la soppressione de’ conventi, ed asserendo esso deputato di essere ecclesiastico e canonico, insiste «perché infine sieno tranquillate quelle coscienze agitate dell'Italia meridionale, le quali si vedono lese ne’ loro materiali interessi, ne’ loro religiosi bisogni, e finanche negli stessi loro diritti di libertà politica».

Nella stessa tornata il deputato Castagnola facendo la relazione delle petizioni, osserva su quella del calabrese Antonio Prestera di Monteleone di essere stato destituito sotto il Governo Borbonico (non come martire politico, giusta la solita frase) ma come Contabile fraudolento di quelle prigioni circondariali, che con discapito del vitto de’ detenuti percepiva dolosamente un assegno mensile: della quale colpa sorpreso e convinto da quel sottintendente, venne non solo privato d’impiego, ma sottoposto a giudizio criminale, il cui esito fu di conservarsi gli atti in archivio. — Or il deputato Castagnola osserva così: — «In seguito, per quanto il Contabile ricorresse, ciò non ostante il Governo Borbonico non ha mai creduto riammetterlo in impiego, risultando da’ documenti di essere pur troppo immeritevole di fiducia. Se non che quest'uomo, che era stato processato pel sudetto motivo dal Governo borbonico, che non aveva voluto riammetterlo, venne invece reintegrato nella carica dal Governo nostro... D’altra parte ben si osservò, che su i giornali si levano alte grida per la corruzione, che ora esiste nelle provincie napolitane...

In seguito lo stesso deputato volendo appoggiare la petizione del Vescovo di Conversano (Puglia) per non far comprendere nella soppressione le Clarisse di S. Benedetto. dice che il vescovo stesso merità tutte le simpatie, perché sinceramente italiano, e tale si dimostrò fin dal primo apparire di Garibaldi in quelle terre.


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Tornata de' 6 maggio (n. 109 degli atti.)

Il deputato Cocco (abruzzese) parla contro il progetto di legge per una leva di 36 mila nomini nelle provincie di Napoli; e tra l’altro dice: — «Questa legge produrrà, se non altro, uno sbalordimento in quelle popolazioni, giusta l’avviso della minoranza della Commissione. — È facile vedere quanta costernazione produrrà ivi la sola pubblicazione di cotale legge, per le desolanti condizioni, in cui trovansi que’ paesi..., e debbo dirlo con dolore, lungi dal migliorare, sono progredite in peggio… Né conviene dir altro di queste tristi condizioni, poiché l’animo tanto più s’inasprisce, quanto più il pensiero si ferma allo stato in cui giacciono le nostre provincie, specialmente quella di Abruzzo citra, cui appartenga. — Dunque a fare in modo, che non cresca quella esasperazione, quello sbalordimento, quella costernazione, in cui si trova l'ex regno di Napoli, bisogna soprassedere e per quel dovere verso l’intera mia provincia, e per sentimento di coscienza, protesto che voterò contro la legge.

Su lo stesso tema il deputato Pica osserva tra l’altro: — «È assurdo superiormente, che s’imponga una leva di 36 mila uomini attualmente, perché una Legge futura potrà per avventura ordinarla… Pur troppo lo stato delle provincie napolitano non è soddisfacente… Ma intanto, io domando, è saggio, è prudente, quando le passioni sono ardenti, quando i partiti sono armati gli uni contro gli altri spargere a larga mano semi di malcontento?… Ciò non è, né giusto, né politico, ed io prego i Ministri a rammentare, che la giustizia e la uguaglianza è il primo dovere di ogni governo; che le provincie napoletane non sono state conquistate con la spada...

E il deputato Polsinelli sa lo stesso subbietto dice... «pretendere, che leggi piemontesi debbono cosi adattarsi alle provincie meridionali, è cosa che mi offende grandemente, e contro la quale protesto...»

«In questa Camera si nega la estensione del malumore, che esiste nelle. provincie napoletane, ma è un fatto, che esso è grande. Si sono toccati tutti gl’interessi. Le manifatture sono manomesse. Si sona toccati gl'interessi de' luoghi ecclesiastici de' luoghi pii, e di altri. Una gran parte della gente vivea di questi interessi...

«Non si dà tutto il peso, che merita alla situazione attuale della Italia meridionale; ma bisogna puro riconoscere, che è anormale: è una situazione molto più grave di quella che il Ministero crede. In Torino si sta sicuro, ma in Napoli si trema. Ed io tremo per due cose: tremo pe’ miei, ma più ancora tremo perché quella Italia, che si fatta una con tanti stenti, corre il pericolo di dividersi in due... I coscritti della leva presso di noi debbono essere tradotti con la forza; ma non si diede ordine a’ Sindaci, né di usarla, né di pagare la viària: non si fece niente. Chi era obbligato dalle autorità locali a partire ritornava poi subito. Essendo stati i giovani abbandonati io mezzo alla strada, ora sono con le armi in mino e bisogna combatterli. — Così si sono fatti due mali: invece di soldati abbiamo de’ briganti; ed ora bisogna mandare di qua truppa per ridurli al dovere, e tutelare la esistenza e la vita de’ cittadini, e quel ch’è più per impedire, che l’Italia non si scinda…

«La legge su la leva, adunque, non solo è inopportuna, ma è una di quelle misure, che vale maggiormente ad irritare quelle popolazioni, e forse ad indurle a fare quello, che tutti amiamo che non si faccia».

Anche il deputato Fenzi si oppone alla leva di 36 mila uomini in una sola volta, e dice… «È massimamente inopportuno l’andare a dire ad un paese, che per la prima volta è unito a noi, e nel quale si esegue una leva, che si opera una leva doppia delle leve straordinarie, che aveva fatte il Borbone. Il governò Borbonico, quando ha fatta la leva in tempo di goerra l’ha fatta di 18 mila, e noi ci presenteremo a quelle popolazioni dicendo: noi ne vogliamo trentaseimila?— Non esito a ripeterlo, io lo crederei inopportuno. Noi diciamo, imitiamo il governo passato: leviamo da tutte queste categorie ancora sottoposte alla estrazione di diciottomila uomini, come facevano i Borboni; e ciò urterà pochissimo».

(Non ostante le opposizioni; la leva è sanzionata)

‘Tornata de’ 7 maggio (n. 113 degli atti.)

Il deputato Zanardelli parlando su la proposta di Legge abolitiva de’ vincoli feudali in Lombardia, tra le molte cose dice… «La legge napolitana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione, ma di restaurazione; in un tempo, in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia. — E questa legge, nella patria di Vico, di Mario Pagano, e di Filangeri fu discussa lungamente nel Consiglio di Stato; questa legge fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo della napolitano civiltà».

Tornata del dì 8 maggio (n. 117 degli atti.)

Tra le petizioni, ve n'è una segnata n. 7095, con la quale il Corpo Municipale. di Napoli, e varii cittadini delle provincie di Terra di Lavoro, di Campobasso, di Salerno, chieggono, che la Camera ordini il riesame della legge de’ 17 febbraro ultimo, su l'Ordinamento giudiziario, sotto il rapporto della costituzionalità, opportunità, ed utilità. Tanto una tal legge è ritenuta come impolitica nell’ex regno di Napoli!


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Tornata del 20 maggio (n. 140 degli atti.)

Il deputato Ricciardi nella sua interpellanza su le cose di Napoli, tra le altre cose, osserva: ...«Iddio faccia che Napoli non divenga per la terza volta fatale all’Italia, e per colpa nostra io credo essere urgente i l provvedere a’ mali di quelle provincie, e l’applicare i rimedii, che il Governo non ha punto finora applicati. Dal dì 8 del passato mese, in cui parte da Torino, sino al giorno di ieri, due soli decreti ho trovati su le provincie napolitane: il primo de’ 4 aprile, col quale si stabiliscono comandi militari, distrettuali, e provinciali, il secondo de’ 5 maggio, col quale sotto pretesto di determinare meglio le attribuzioni del governo locale di Napoli, venne questo completamente esautorato. Qui mi si permetta una storia un po’ curiosa, vale a dire quella della degradazione successiva degli uomini, che tennero le redini del governo di Napoli dalla entrata del generale Garibaldi. Allora i nuovi chiamati si chiamavano Ministri, è si succiavano l'Eccellenza la quale intitolazione sembrava tanto più strana, in quanto che il Dittatore non voleva neppure del Vossignoria. Venuto in Napoli il Re col Farini, le Eccellenze scaddero a Consiglieri; né questo è tutto, poiché venuto a Napoli il Nigra, i consiglieri decaddero a segretarii generali. Ora in verità non so che cosa il governo pensi di farne, a meno di mutarli in uscieri, o bidelli. Quello che certo è, questa degradazione successiva ha fatto grave torto al Governo di Torino in Napoli, divenuto tanto impopolare, che quasi quasi io, che sono partegiano dell’autonomia napoletana, starei per dirvi: distruggetela affatto. — In due cose i segretari generali non sono punto scaduti, primo nei percepire 400 ducati al mese, secondo nell'essere inaccessibili, ed invisibili. E vi dirò, che questa inaccessibilità ed invisibilità non ha poco contribuito al malcontento generale. Aggiungerò che questa inaccessibilità ed invisibilità è anche comune al principe di Carignano, ed al sig. Nigra; cosa tanto più strana, che i pubblici funzionarii dal primo all'ultimo esser non dovrebbero, che i servitori del pubblico.

«Poiché io vi parlava del malcontenta generale e profondo di quel paese, dirovvi che durante un mese intero io non ho fatto che udire un lamento perenne.

«Io ho visto in Napoli nomini di tutti i colori… gente d'ogni condizione, dal principe e Duca, fino all'ultimo popolano… Gli onorevoli ministri impugneranno la mia relazione, dicendo: ma le vostre relazioni sono affatto diverse da quelle che voi ci fate, e io farò loro riflettere, che havvi una certa differenza tra le loro relazioni, e quella che posso far io. Essi da chi ricevono le loro relazioni? Da’ loro subordinati, da’ segretari generali, da' governatori delle provincie. Or costoro naturalmente sono uomini, che non possono darsi la zappa su i piedi, non possono dire, vanno tanto male, perché gran parte della colpa sarebbe loro, e mentre io sono affatto disinteressato, io vi dico quello di cui sono sicuro per le relazioni ricevute da persone degne di fede. — Se i vostri agenti vi dicessero; tutto va male, sarebbero eroi, ed io di eroi ne ho celebrati parecchi come poeta, ma nella vita reale ne ho conosciuti pochissimi. (Bravo) Inviterò dunque il sig. ministro ad una escursione nelle provincie, avvertendolo, che il viaggio sarà poco piacevole, se non altro, perché c’imbatteremo ad ogni passo ne’ ladri. — E stamane stessa nel metter piede in questo Camera, ho avuto alcune nuove lettere, le quali provano la verità di quanto asserisco. Ecco una recente lettera, 17 maggio, la quale dice — «La diligenza fu assalita da briganti presso Cancello a circa 8 miglia da Napoli, e il Corriere fu ucciso. — Una seconda lettera è del nostro collega Gaetano de' Peppe che si trova a Napoli, e così scrive all’onorevole Moffa ai 16 maggio 1861. Sta mattina ricevo notizia dalle Puglie da persona presente al fatto, che nel giorno 14 corrente 700 briganti del Gargano, al grido di Viva Francesco II () hanno assalito il paese Matinata, e lo hanno spogliato di tutto: indi si sono gittati nelle diverse masserie appropriandosi quanto ci hanno trovato. Il governatore ha spedito tosto una forza; ma sono 700 reazionarii, e chi sa quanti altri vi si possono riunire. Bisogna bene pausarci, perché i fatti si rendono gravi, e le conseguenze possono essere funeste. Ho rilevato da un telegramma, che l’amico conte Ricciardi faccia una interpellanza al ministro…

«Potrei citare altri fatti dolorosi: per esempio, un cognato di mio fratello il conte Daghenausen ha subito uno di quelli attentati celebri negli annali del brigantaggio, vale a dire, che assalito in Castellamare da’ malfattori, è stato costretto a sottoscrivere una cambiale di 800 duc. Due di questi fatti sono avvenuti, nella stessa città di Napoli! Nei d'intorni di Napoli suonata l’avemaria, niuno esce di casa. Questo è una stato di cose intollerabile, tanto più che moltissima truppa abbiamo nel regno, massime in Napoli: Ed oltre la guardia nazionale abbiamo i carabinieri, e la Polizia. — Ora bisogna, che vi dia un sunto delle cento lettere, che ho ricevute dalle provincie, e delle relazioni che mi vennero fatte da provinciali venuti espressamente a Napoli per riferire su lo stato delle loro provincie. Queste relazioni sono gravissime, e ne assumo tutta la responsabilità. Tralascio i fatti di poca importanza per attenermi a quelli di maggior gravità, ed ho piuttosto attenuate che esagerate le cose — «provincia di Molise» Il governatore Giuseppe Belli è un uomo onesto e pieno di buon volere, ma debole, e poco capace.... Tribunali civili...... (è interrotto) ..

«Io debbo fare un quadro esatto della situazione: ora l’ex reame di Napoli si compone di provincie, e ciascuna di queste che si trova mal governata, ha il diritto di far sentire la sua voce: io non tocco la riputazione di nessuno: io dico, il governatore tale è giudicato in questo o in quel modo... e sebbene mi sieno stati ora fatti richiami e interruzioni, non posso fare a meno di dire, che quel tribunale civile, o criminale non sia composto di uomini mediocrissimi... (nuove interruzioni) .. I giudici mancano in questo tribunale da circa sei mesi con grave danno della cosa pubblica; miseria, ingiustizie, malversazioni; nessun provvedimento a pro della istruzione pubblica; nessuna intrapresa di opere pubbliche; la guardia nazionale male organizzata, o malissimo armata; i soli operai della campagna hanno lavoro, nessuna idea politica nelle moltitudini. Francesco II ha il merito d’essere più noto, che Vittorio Emmanuele! La reazione non è da potersi vincere, che col ridonare la prosperità al paese, col dare impulso all’agricoltura, al commercio, alle industrie. Attesa l'impazienza della camera, non leggerò altro sunto, che quello della provincia mia di Capitanata: — Il Governatore, conte Bardesono, giovanissimo, ignaro affatto degli uomini, e delle cose della provincia: dà udienza in contegno reale, e si rende sempre più impopolare per la sua albagia. Misure arbitrarie ebbero luogo, per essersi la sera de' 25 marzo gridato abbasso al governatore. L’amministrazione affatto nulla. I più gridano si sta peggio di prima. I tribunali zoppicano. Alla guardia nazionale furono distribuiti in tutta la Capitanata soli 2400. fucili. Esistono in essa qua, e là elementi nemici. In Foggia, tra gli uffiziali si annoverano sette cavalieri di Francesco II. Grande la miseria e nelle città per mancanza di lavoro. Nessuna opera pubblica in attività. Furti a mano armata da per ogni dove. Molti elementi di reazione, nel Gargano massimamente: guai se la guerra scoppiasse in sul Mincio!

«In generale le relazioni delle altre provincie sono, tranne poche eccezioni, della stessa natura. Lo stato della Capitale non è certo migliore di quello delle Provincie. Debbo dir francamente di avere dopo 38 giorni di soggiorno in Torino, trovato un gran cambiamento. Voglio dire una verità dolorosa; ma debbo dirla; poiché per curare una piaga, bisogna denudarla: la fede nell'ordine delle cose presentii diminuita: non sò, o signori, se il popolo convocato di nuovo ne’ Comizi... (interrotto dalle voci di varii deputati Massari, Pica ecc.) Il presidente dice — «Avverto il deputato Ricciardi che non posso permettere, che venga a mettersi in dubbio la volontà di qualunque parte d'Italia di rimanere unita a tutto il regno...

Il deputato Ricciardi, dopo aver protestato del suo patriottismo; ed italianismo, il presidente gli dice «le lascio facoltà di parlare ma la prego non tornare su questo terreno; altrimenti non potrò lasciarlo continuare». Ed egli continua: «Mi limiterò allora a dirvi, che la situazione è gravissima. Io credo in coscienza, che, ove l’Austria, fosse in grado di assalirci sul Mincio, ci troverebbe in serii imbarazzi. Avremmo il nemico a fronte, e la reazione alle spalle. La quistione di Napoli è duplice: morale e materiale. È questa seconda che bisogna curare più prontamente. Havvi gran numero di persone, i cui mezzi di sussistenza sono distrutti, o diminuiti, per esempio, tutti coloro, che da 13 anni hanno sofferto per la patria, hanno logorate le loro sostanze, e speravano avere impieghi, che non han potuto ottenere: havvi l’effetto del ristagno della industria, e del commercio: havvi per Napoli in ispecie la mancanza di forestieri, e vi dirò che non ho riconosciuta la mia città natale, tanto l’ho trovata squallida e mesta! Vi aggiungi gli effetti della parifica delle tariffe tra Napoli, e gli antichi Stati, la quale parifica ha fatto cadere molte fabbriche, ed ha messo alla strada un gran numero di operai. In fine tante cagioni riunite fanno sì, che vi sia mancanza di mezzi per un gran numero di persone. In conseguenza la quistione è pure economica… Debbo dire, che non mai la istruzione pubblica, fu in cosi misere condizioni nell’ex reame di Napoli, quanto oggi; e nello stesso tempo, cosa assai strana, non costò mai tanto quanto oggi. L' Università di Napoli è quasi deserta. Sono state create oltre a ciò molte cattedre ad honorem, e concesse a persone onorevolissime, senza dubbio, ma le quali non hanno fatto, e non faranno mai una lezione. Alcune cattedre sono state create per collocare Tizio, Sempronio, Cajo. Vi sono poi delle facoltà dove, sopra 13 professori, non ve ve ne sono presenti, che 5; cosicché vi sono stati concorsi, che si dovettero sorvegliare da 5 soli professori. — Lo stato de’ Licei provinciali non è punto migliore; tanto più che le povere provincie sono in generale neglette.

«Veniamo ora all'Accademia di belle arti. — Qui accade una cosa stranissima. L’Accademia è chiusa da 9 mesi: ciò non ostatile il suo bilancio si trova raddoppiato; ché, invece di 7 mila ducati, che prima costava, ne costa ora 13 mila; il che vuol dire, che la chiusura dell'Accademia è dallo Stato pagata sei mila ducati di più l'anno. — L’insegnamento primario è nella condizione la più infelice; basti l’accennare, che la maggior parte delle scuole è chiusa. In Napoli n'è aperta una sola. — Si lagnano gli artisti della capitale del non essersi messa a concorso la dispensa di alcuni quadri, per cui fu stanziata una somma considerevole, mentre fu aperto un concorso pel monumento della unità italiana. — Domando poi al ministro se è vero, che il gabinetto delle pietre dure sia chiuso». — Ora debbo entrare in una materia delicatissima, quella delle finanze... È voce pubblica in Napoli, che le finanze napoletane sieno state assai bistrattate. Io credo che solamente una inchiesta ordinata dall’onorevole ministro possa purgare l’amministrazione di questa terribile accusa. Ecco intanto 4 domande, che io potrei fare: — 1.° E vero, che somme considerevoli, sieno state pagate alla Luogotenenza, oltre i due milioni di Lire assegnati al principe di Carignano, e le centomila al sig. Nigra? — 2.° È vero, che sei mesi di paga sieno stati anticipati dalla cassa di sconto a parecchi impiegati contro il volere della Legge, che permette soli 2 mesi di anticipo? — 3.° È vero, che contratti di affitto di beni demaniali considerevoli, svantagiosissimi per lo Stato, sieno stati fatti, quello in ispecie di un fondo sito a Chiaja?— 4.° È egli vero, che sia stato segnato un contratto, rovinoso per lo Stato, di alcuni tagli di boschi?

«Il solo mezzo, io credo di conoscere la verità, sarebbe quello di una inchiesta... e domandare schiarimenti a quelli, che hanno ricevuto il denaro. E credo, che la inchiesta farà conoscere fatti gravi, e fra gli altri, questo, vale a dire, che tempo fà la Tesoreria, avendo avuto bisogno di realizzare una certa quantità di rendita inscritta, si sia rivolta alla Casa Rotschild, e che questa abbia dato il denaro a patti veramente scandalosi. — Sopra una altra cosa vorrei chiamare l’attenzione del ministro, vale a dire su la penuria estrema dell’ex reame di Napoli, che mi sembra tanto più incredibile, in quanto che le provincie napolitane soggiacciono a molto minori spese di quelle a cui soggiacevano sotto i Borboni. Noi non abbiamo più, per esempio, a pagare 400 mila soldati, surrogati appena a da 25, o 30 mila soldati dell’esercito meridionale... Non abbiamo più ministri, ma soli 4 segretarii generali, che non costano alla fin fine, che 1600 ducati al mese. — D’altronde vediamo, che non sono punto diminuite le imposte, le quali si pagano attualmente siccome allora. Abbiamo inoltre il prodotto de' beni de' Gesuiti, e dell’ordine Costantiniano; e domanderò al ministro, che cosa si fa di queste rendite. Abbiamo i beni di Casa reale, e si ricorderà il ministro, che Garibaldi decretò su questi beni la somma di sei milioni di ducati, il che vuol dire, che sono molto considerevoli. Or il governo, che successe a Garibaldi non ha osato abrogare questo Decreto; ma né pure ha mai voluto farlo eseguire. — Vi è una diminuzione considerevole su gl’introiti delle dogane, parte pel contrabbando; parte per la parifica delle tariffe; e parte per alcuni dazi ribassati per decreto del sig. Farini... Dimenticava dirvi, che in questo momento si dazia in Genova, e così la dogana è pagata a Genova, e non a Napoli. Pur tuttavia, tutto computato, il supero dovrebbe esser superiore al deficit. — Ora invece è il deficit, solo un’inchiesta può chiarire il vero. — La penuria del municipio di Napoli è anche maggiore di quella del tesoro. Nelle casse del municipio si trovano pochi ducati, e non si sà come andare avanti; tal che era quistione di contrarre il debito più rovinoso, che si possa immaginare, cioè, sottoscrivere obbligazioni per 3 milioni e mezzo di ducati, e non riceverne, che due e mezzo, pagando gl’interessi della intera somma… L’ultima relazione del ministro delle finanze ha fatto a Napoli un pessimo effetto, e già si prevede per l’anno venturo la tassa fondiaria, la tassa mobiliare, la tassa delle patenti, da cui finora fummo esenti; più un nuovo debito, che si aggiungerà a quello di. 139 milioni di ducati, che abbiamo già. E dicono i miei conterranei, noi soggiaceremo a questi nuovi carichi, ma vorremmo almeno godere un vantaggio, ma invece noi siamo minacciati da gravi danni… Si grida a contro le nuove leggi; ed a questo proposito mi sia permessa una digressione contro la Decretomania. Siamo stati inondati di leggi, e decreti, che si potevano benissimo differire a miglior tempo Noi dobbiamo rispettare le leggi, fe le abitudini lodali; massime quando queste leggi non sono triste; anzi in molte cose sano superiori a quelle degli altri Stati... È curioso, che vi debba dare io consigli, io che paste so per uomo superlativo, e rivoluzionario… Ora non posso fare a meno di far parola di molti arresti, e di molte detenzioni abusive; arresti di garibaldini, arresti di reazionari. — A’ 27 aprile tutti sanno, che vi fu uno scandaloso fatto; quello, di cui fu quasi vittima il signor Silvio Spaventa. Io fui il primo a dire al signor Nigra, che bisognava punire i colpevoli. Arresti molti ebbero luogo. — Io trovo, che una volta arrestato un individuo, deve essere interrogato dal magistrato ordinario, e non già trattenuto per misure di polizia. Ora 70 garibaldini furono tradotti a' Granili, e rilasciati solo dopo 20 giorni per mancanza di prove. — I reazionarii si lagnano della stessa cosa; e noi non dobbiamo dar causa a nostri nemici di dire, che noi, uomini liberali, uomini amici della giustizia, siamo i primi a violarla. Il Duca di Cajaniello fu arrestato il 6 aprile. Or costa a me, che il 6 maggio non era stato ancora interrogato dal magistrato ordinario. Egli sta sotto l’azione del potere. giudiziario; ma non ha ancora subito alcun interrogatorio, e questo non è regolare Fo un appello altresì alla cortesia ed umanità del sig. ministro dell’interno... Il duca di Cajaniello soffre di asma; ed è nelle prigioni di S. Maria Apparente, d’onde ha chiesto invano di essere traslocato in un forte. Ora il governo di Vittorio Emmanuele non vorrà negare al duca di Cajaniello, borbonico, ciò che Del Carretto, ministro di Ferdinando II concedeva a me suo nemico, allorché nel 1834 su la domanda di mio padre, mi faceva traslocare tosto dalla prefettura di polizia nel castello di S. Erasmo Passiamo agli affari ecclesiastici...

«Quello, che ha luogo in questo momento in Napoli contro preti, frati, e monache pel decreto de’ 17 febbraro, è illegale, ed incostituzionale, ed io domando giustizia anche a pro de’ preti, dei frati, e delle monache. Aggiungerò, che codesto decreto ha pur molto contribuito al malcontento, di cui si parla... Non parlo della cassa di risparmio, decretata il giorno 19 novembre, ed il cui Statuto fu pubblicato il 30 marzo; perché confesso, che stabilire la cassa di risparmio in un paese, dove il povero popolo ha appena da non cader morto di fame, è una burla».

Indi l’oratore si versa su’ lavori pubblici, e precisamente su la costruzione delle strade ferrate, ed accagiona il Governo di lentezza, e d’ignavia: passa al ramo della guerra, e dice: «L’esercito Borbonico annoverava un effettivo di 93091 soldati e sottofficiali, e di 2869 ufficiali, con materiale immenso da guerra.

«Basti questo, che nelle sole fortezze di Capua, e di Gaeta si annoveravano circa mille cannoni, de’ quali la più gran parte di bronzo. Lasciamo stare l’immenso materiale accumulato nelle piazze del Napoletano, e della Sicilia. Vediamo ora cosa è divenuto questo immenso esercito. Cominciamo dagli ufficiali. Ve ne sono 2 categorie. Quelli, che dal campo Borbonico passarono al nostro anche prima della entrata di Garibaldi in Napoli, e quelli così detti fedeli, che rimasero sotto la bandiera borbonica fino all’ultimo. Vediamo come avete trattatigli uni, e gli altri. Circa 1500 ufficiali borbonici, dopo la caduta di Capua edificata, capitarono in Napoli. Or questi disgraziati furono crudelmente umiliati. In principio ricevevano un franco al giorno. In seguito hanno ricevuto un soldo maggiore, o metà della paga, Ma come non c'è che un solo pagatore all’ufficio di piazza, sono costretti qualche volta ad andare 10 o 12 volte prima di essere pagati. Più in là, mercé decreti di aprile, e marzo mille sono stati messi a riposo, ma senza norma, giovani, cd uomini d’età, scapoli, ed ammogliati; quasi ciecamente, ed a capriccio, — 137 sono stati messi in posti sedentanei, nello stato maggiore delle piazze — 229 sono stati chiamati all’attività; ma lasciati in aspettativa.

«Or io domando, tutti questi ufficiali borbonici, umiliati, disgustati, non sono materia ottima per una cospirazione reazionaria?... Aggiungete i soldati sbandati, che sono in grandissimo numero nel regno, i quali avrebbero degli uffiziali belli, e pronti: ecco dunque delle compagnie, de’ battaglioni, de’ reggimenti, che si formerebbero colla massima facilità...

«Si accordarono ad alcuni delle pensioni, altri si posero in servizii sedentari. Avete ammesso nelle file dell’esercitò italiano il generale Nunziante (bisogna pure, che lo nomini) e poi avete trattati, vedemmo in che modo, non solo quegli uffiziali che fino all’ultimo sono stati fedeli alla bandiera borbonica; ma quelli, che col rischio della vita si sono gettati nel nostro campo pria che Garibaldi entrasse a Napoli. Potrei nominarne gran numero che son venuti da me...»

(Il ministro della guerra dice: «Li nomini, e il deputato S. Donato indica il nome di Firrao.»)

Ricciardi continua: — «Appena (reduce dall'esilio) giunsi in Napoli; i miei amici politici, ed io, sentimmo che precipuo dovere era di fare ogni sforzo affinché l’esercito napoletano rimanesse intatto () ; secondo me è stata una sventura immensa la distruzione di quel bellissimo esercito, che si sarebbe battuto assai bene per la causa, italiana. Io feci la propaganda nelle caserme, a rischio di farmi fucilare; ed a quanti ufficiali vedeva, io dicevo: il vostro onor militare è salvo, perché in Sicilia vi siete battuti contro Garibaldi; ora siete in casa vostra, e dovete imitare l’esempio dell’esercito toscano, che a’ 27 aprile fece sì colla sua bella attitudine, che il Gran Duca se ne andasse volontariamente. Gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti, ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati, che ci fucilerebbero. E questa è stata una delle principali cagioni, per cui è stata impossibile una sollevazione militare, o per dir meglio., un pronunziamento militare anche pria dello ingresso di Garibaldi, che avrebbe trovato in Napoli una rivoluzione in piedi; ed un esercito intero... Ma vi pare che senza il lavoro segreto di questi uffiziali, senza il nostro lavoro, avrebbe potuto mai entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione di abitanti, con 4 castelli gremiti di truppe, ed un presidio di ottomila soldati? Egli entrò solo in Napoli, perché noi liberali, con buon numero di uffiziali, gliene aprimmo le porte... Ora chiamerò l’attenzione del ministro della guerra sopra un fatto, che mi è stato riferito da persone autorevoli venute espressamente a Napoli qualche giorno prima della mia partenza: Nella provincia di Terra di Lavoro si vendono a vilissimo prezzo, fucili bellissimi, de' quarantamila, che vuoisi sieno stati trovati in Gaeta.

«Mi è stato assicurato inoltre, che tanto a Napoli, quanto a Palermo, sieno state accettate forniture molto svantaggiose per lo Stato; mentre altre ve n’erano molto più vantaggiose. Più gli raccomanderò caldissimamente i magnifici stabilimenti di Pietrarsa, e Torre Annunziata, massime quello di Pietrarsa, che è un vero modello, ed una delle bellissime cose fatte da re Ferdinando II. Questi due stabilimenti basterebbero ad esimerci dal pagare all’estero un tributo per armi, siccome facciamo in questo momento. Mi rivolgo al ministro della marina, e domando, se sia vero, che sieno stati licenziali 500 Operai del cantiere di Castellammare; e se sieno stati parificati i diritti, gli onori, e gli averi degli ufficiali della marineria napoletana, e quelli de' vecchi Stati...

«Il primo bisogno del paese è la pubblica sicurezza. La polizia fra noi è fatta dalla guardia nazionale, porte ché gli stessi Carabinieri, non possono farla in un paese, ‘di cui noti capiscono il dialetto, e dove non sono capiti…

«Altro provvedimento, che chieggo è lo spurgo degl’impiegati e fosse altresì interamente tolta ogni idea di consorteria, una delle cose, di cui si lagna il paese, poiché si dice, che gli uomini i quali appartengono al Governo, appartengono tutti ad una consorteria; quanto a me credo, che non vi debba essere, che una sola consorteria al mondo, quella degli uomini onesti.

«Rimedio è pure da porre all'impiegomania, aprente do nuove carriere, promuovendo l'agricoltura, che è fanciulla fra. noi, e potrebbe dare immensi tesori...

«È pure da estinguere la mendicità, una delle piaghe speciali del mio paese, e specialissima della ca«t pitale; tanto più vergognosa, in quanto che esistono tutti i mezzi possibili per estinguerla facilmente... Ci vogliono pure buoni Governatori; ed aggiungerò, che per ora non debbono essere, né piemontesi, né lombardi, né toscani; ma del paese… Nell'amministrazione ci vogliono uomini, che conoscono gli uomini, e le cose. Infatti, vedete cosa accade in Foggia; vedete quello che vi scrivono di là, ed io vi posso garantire la verità di quelle relazioni. Si mandarono Guicciardi, 0 de' Rolland, a Cosenza, ed a Potenza; ma non faranno eglino miglior pruova del conte di Bardesono. La promiscuità è ottima per la magistratura...;ma per l’amministrazione non è lo stesso; ecco perché io non vedo volontieri i cittadini dell’Alta Italia andare a Napoli carne governatori. Oltre di che dovete sapere, che a Napoli si sono messi in capo, che voi volete piemontizzare il paese; epperò, che il mandar quivi piemontesi non fa che aggravare questo pregiudizio...

«Veniamo ora allo invio del Conte Ponza san Martino per nuovo Luogotenente. Credete voi, che se questi non entra in una via affatto diversa da quella battuta finora, farà migliore pruova de' signori Farini, e Nigra. — Vi diceva esser necessario, che batta nuova strada, ma questo non basta: bisogna, che si circondi di uomini nuovi, e del paese: bisogna che sia accessibile, e visibile: poi bisogna che vada a Napoli con un programma preciso e non. con delle idee indeterminate, e preconcette, che sarebbe anche peggio. Io credo esser buon italiano quanto tutti voi; ma per Dio! io sono anche napoletano; e quando sento dire che noi siamo il meno civile popolo della terra, vi giuro che mi si rimescola il sangue... Mi si accerta, che in questo momento viene abolito il Consiglio amministrativo, non che la corte de’ Conti; e che la corte di cassazione sarà ridotta a nove membri: se queste cose sono vere, non potranno, che fare un pessimo effetto.

In conchiusione, dopo aver progettata una inchiesta nell’ex regno di Napoli da percorrersi da 5 depistati eletti a maggioranza di voti, —si esprime così— Ma vi pare piccola cosa un paese di sette milioni? Volete voi mettere in pericolo l’amore di questi sette milioni per la causa italiana? Quando io vi ho detto, che questo amore trovasi compromesso, voi avete gridato contro di me; eppure non ho fatto, che il mio dovere di dirvi la verità. Voi farete quello che io dico, se non volete, che un popolo di sette trilioni rimpianga i Borboni, e maledica la libertà.» ()

Indi il deputato San Donato prende la parola, per mitigare le cose dette dal preopinante Ricciardi; e dice: «io convengo che il brigantaggio è molto esagerato;. ma esso esiste, ed è forte. Esso minaccia di pigliare un colore politico. Oramai nelle provincie la reazione trova calorose simpatie... Io lo dico francamente questo stato di cose non può durare; perché la guardia nazionale giustamente comincia a stancarsi, e con essa e il paese. Sono nove mesi, che vive di questa vita, facendo sola le fucilate continuamente.»

Parla in seguito contro la chiusura della discussione, e su lo stesso tema, il deputato Ferrari, e tra l’altro osserva: «Noi non conosciamo ufficialmente lo stato di Napoli... noi siamo immersi nelle tenebre, ed afflitti della più dura perplessità, attesocché ne’ giornali e ufficiali, voi signori del Governo, non vi siete mai spiegati una volta, e cercaste fuorviarvi, dirò così, quasi sempre. Nella gazzetta del regno, dove ho sempre avidamente cercato de’ dati per illuminarmi su la situazione del mezzodì, non potei mai nulla rinvenire, perché fu dal Governo adottato un sistema abituale di reticenza, il cui risultato sarebbe di farvi vivere in un perpetuo inganno. Volete che vi dica in che modo voi avete nel vostro giornale officiale reso conto dell’amministrazione del regno di Napoli durante parecchi mesi? Prendiamo i numeri dal novembre (ché da quel tempo voi siete responsabili dell’amministrazione di quel paese) »…

E’ richiamato dal presidente a restringersi, e parlare contro la chiusura, senza rientrare nel merito della quistione...

Ed il deputato stesso continua: — «Io voleva solamente affermare lo stato, io cui ci troviamo rispetto: a quel regno, intorno al quale io ora non so niente, se non per le cose assorte dal deputato Ricciardi, ed impugnate dal ministro in questo recinto e siccome qui ora non si tratta d’individui, ma di un principio, io ora in verità non potrei dire, se desideri, o che continui il signor Nigra, o che ritorni il signor Farini, o che ci vada il signor Conte di S. Martino…

«Voglio dire questo solamente, che non fu sinora discusso il modo, con cui il governo si mette in comunicazione col pubblico circa il regno di Napoli, per mezzo de’ giornali pagati dal bilancio. — Io leggo la gazzetta officiale, i suoi telegrammi, e non posso rischiararmi. —Se interrogo i giornali francesi, e quelli degli altri paesi, il Governo mi opporrà, che contengono esagerazioni, e può forse anche benissimo aver ragione. — Ma sopra de’ fatti i più essenziali, si sono fatte circolare in tutti i giornali di Torino delle lettere false, delle smentite immaginarie, delle narrazioni stolide, con dettagli i più circostanziati, senza che alcuna esposizione seria mi faccia conoscere gli scontri, il brigantaggio, le sommosse, le dimostrazioni, i reclami, che sarebbero emersi patentemente da una inchiesta… Il mettere il pubblico al fatto della situazione del regno di Napoli, è cosa che interessa, non solo la politica; ma gli stessi negozianti, chi ha bottega, chi ha commercio, chi ha fabbriche. Un negoziante, che volesse intraprendere qualche cosa, un’operazione qualsiasi relativa alle Due Sicilie; ed ignorando affatto lo stato del paese; né potendolo indovinare, se non dalle asserzioni del signor Ricciardi, o dalle denegazioni del signor. Ministro, dovrebbe rimanersi nella incertezza. Ne nasce, che tutti ne soffriamo, che il commercio, e la industria sono paralizzati, e l'interesse non solo della bassa Italia, ma anche dell'Alta, l'interesse dico di tutta Italia, richiede la continuazione di questa discussione (Si approva la chiusura)

Tornata de' 25 maggio 1861 (n. 153. degli atti.)

Il deputato Polsinelli parla contro lo schema di legge per la modificazione della tariffa daziaria, e tra l'altro, osserva «Bisogna far gran conto delle contribuzioni indirette. Da esse voi dovete trarre il massimo vantaggio. Nelle provincie napoletane, dal cessato Governo, si ottenevano dodici milioni di ducati all'anno d'introito. Ora che si sdaziano molte mercanzie a Genova si fa un introito grandemente minore… Ora, sapete voi quale l’effetto pratico di questa riduzione di tariffa? — Le nostre manifatture, che gareggiavano con quelle dell’estero, ora si trovano in cattive condizioni. E notate, che le manifatture estere venivano a portarti i loro tessuti a discretissimi prezzi, perché i loro prodotti erano eguali a’ nostri. Per esempio, dalla mia fabbrica si sono venduti per molti anni, come panni forestieri, i tessuti, che erano miei: — Ebbene, ora la mia fabbrica è ridotta ad andare in rovina, perché vennero aperte le frontiere a tutti i forestieri, ed i paesani nostri non trovano più lavoro... moltissime famiglie per questi motivi, per questa mancanza di lavoro, gemono nella miseria. Ed è questo uno degli elementi più gravi del malcontento, che vi è nel regno di Napoli, perché le manifatture in quel regno sono più importanti di quello che qui si creda… La Francia, e l’Inghilterra predicano il libero scambio dopo aver avuta per secoli una protezione grandissima, anzi la prima anche la proibizione. Esse dicono a noi: facciamo liberamente il commercio, apriteci il vostro mercato. Ma questa, o Signori, è la lotta di un gigante con un bambino: come possiamo noi sostenere questa formidabile lotta? Ed i consumatori, che, dietro la parola illusoria del libero cambio, credono di comprare più a buon mercato, s’ingannano a partito. I generi esteri in appresso si pagheranno molto di più, perché i forestieri non trovando concorrenza alcuna nell’Italia, pretenderanno tutti i vantaggi possibili... Già molte fabbriche si sono chiuse; altre hanno diminuito d’importanza; e quale languisce, e quale, se non è morta, poco ci manca a morire. Ed è questa la maniera con la quale si fanno delle modificazioni? Metterle all’improvviso, senza nessuna prevenzione, compromettendo tanti interessi, quasi che la proprietà del commercio non meritasse quello stesso rispetto, che meritano tutte le altre proprietà?... Sappiamo noi fabbricanti quanto abbiamo speso nelle macchine, negli utensili d’ogni specie, nella formazione degli artisti, e quante fatiche abbiamo durate?... E adesso, tutto è perduto!... Ma questo è poco, a fronte della diminuzione d’entrate delle Finanze; per cui si dovrà contro ogni buona politica ricorrere a’ dazii diretti..

«Cosi potessero da noi bastare i dazii indiretti, quanto sarebbe più facile la loro percezione, e quanto meno gravosa! Si ha un bel dire, si debbono eguagliare le spese coll’entrate. Alla esecuzione voglio vedere come si farà? Dirà il governo alle provincie napoletane: voi ora avete la sola fondiaria, abbiatevi un dazio su le bevande, abbiatevi un dazio proporzionale sul registro, abbiatevi un dazio su la personale, e tutte queste imposte verranno sancite dalla Camera; ma al punto della esazione bisognerà mandate reggimenti e reggimenti… E non c'è da fare oh! oh! Questa è la verità, ed io la dirò e la dico tutta quanta brutta, com ella è. Si faranno i decreti, ma ad eseguirli ci vorrà della forza, e della forza. — Non si mantiene un Governo solamente con la forza, vi è d’uopo dell’amore, e del contento… Il libero cambio, che ci preconizza l’Inghilterra e la Francia equivale al dire; aprite il vostro mercato a vantaggio nostro.

Nella susseguente tornata de’ 27 maggio, continuando là discussione su lo stesso progetto di riforma della tariffa daziaria, il deputato Plutino osserva: — In tutti i moti rivoluzionarii vi sono speculatori, i quali ne approfittano per loro vantaggio: cosi successe nell'Italia meridionale — sorsero ivi non solo de’ contrabbandieri organizzati per eludere la vigilanza de’ doganieri, e distruggere ogni risorsa dello erario; — ma si organizzarono anche delta associazioni sotto il nome di camorristi, che sostituendosi al Governo () vollero a loro particolare profitto esigere le imposte, che al Governo erano dovute. — Cosi appena passò il Dittatore Garibaldi nella provincia della Calabria, si è distrutta la dogana collaterale continentale in Sicilia, la quale serviva per la esazione de' dazii su le merci, che dai portofranco di Messina passavano nella Italia meridionale: si è sostituita alla organizzazione legale del Governo una organizzazione particolare di privati, i quali dopo aver ucciso il Controloro preposto a quella Dogana, si sono di propria autorità assunto il diritto di fare delle spedizioni con piccoli bollettini, e con loro bollo speciale. I negozianti tutti di quella provincia si sono commossi di questo stato di cose, e ricorsero all'Autorità dicendo, che essi non potevano da una parte sostenere la concorrenza del contrabbando, e dall’altra lottare con quella immensa riduzione di prezzo, che le nuove tariffe piemontesi naturalmente offrivano».

Nella replica fatta su lo stesso tema dallo anzidetto deputato Polsinelli, ribattendo le obbiezioni fattegli da' preopinanti colleghi Plutino, e Nisco, osserva contro quest’ultimo, che per quanto è valente nelle teoriche, altrettanto è indietro ne’ fatti; rimasto (esso Nisco} per 12 anni per la causa della libertà nelle prigioni, e nello esilio, si è ingannato quando ha creduto, che poco o nulla avessero progredito le manifatture sotto il cessato governo borbonico. Io citerò, a modo di esempio, le grandiose fabbriche di filatura di cotone, tessitura, stamperia, stabilite ne’ contorni di Salerno, che occupano migliaia, e migliaia di persone. Pei quelle di tessuti di lana, anche stabilite in Salerno. La magnifica filatura di lino a Sarno, la tessitura a Scafati, i numerosi lanificii del distretto di Sora, di Abruzzo, e di altri luoghi; — finalmente gl’innumerevoli telari di seta, cotone, e lino, stabiliti ne’ sobborghi, e contorni di Napoli; tal che la Capitale, eccettuati i quartieri superiori e quelli abitati dalla nobiltà, può dirsi una vasta fabbrica. Ciò a prescindere delle Cartiere, concerie, ed altre. Non terminerei giammai se volessi fare una precisa numerazione delle manifatture e della gente, che viveva con esse tanto in Napoli, che in Sicilia, dove esistono altre manifatture… Ecco perché, quando si passa dal campo delle teorie al campo della pratica le cose mutano a colpo d'occhio; ed ecco perché i dottrinarii ogni volta che il caso gli ha messo il potere nelle mani lo hanno perduto».

Nella stessa tornata, e sull’identico oggetto, il deputato siciliano d’Ondes-Reggio dice:. — «In Sicilia le idee di libertà commerciali, ed industriali sono più antiche di quello che sieno in Piemonte, e queste idee sono in Sicilia da gran pezza attuate ed hanno prodotto ottimo effetto.»

Ripiglia il deputato anzidetto Polsinelli, ed aggiunge: «Mi giungono poi premure grandissime da’ fabbricanti di carta, onde io sollecitassi il Governo a trovar modo d’impedire la esportazione degli stracci. Questa materia è necessaria, e venendo a mancare, viene altresì a mancare la industria della carta, la quale ha prosperato tanto nel passato Governo che i suoi prodotti in gran parte andavano all’estero finanche in Inghilterra ad uso del grande giornale il Times... ed era giunta cotale industria a tale altezza nel regno di Napoli, da rivaleggiare con tutte le altre simili esistenti in Italia... Il Sig. Deputato Scialoja (che fu ministro sotto la dittatura di Garibaldi) non dovrebbe dimenticare, che la seconda diminuzione di tariffa, che ora si cerca far approvare, fu pubblicata contemporaneamente alla tariffa sarda nell’ex regno di Napoli. Lascio a voi di pensare quanto grande dové essere il dolore che dovettero provare e que’ manifattori nel vedersi porre questo doppio aggravio… Fra poco tempo noi saremo ridotti a far mostra di tessuti grossolani, come si usa ne’ paesi dove non vi sono manifatture di sorte.»

(Non ostante queste sensate osservazioni la riduzione di tariffa è approvata.)


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Tornata de' 29 maggio (n. 160 degli atti)

Tra le petizioni presentate alla Camera, ve n'è una segnata sotto il n. 7235, in nome di 45 pittori decoratori della Città di Napoli, i quali domandano al governo di Torino, onde provveda loro del lavoro per guadagnarsi il necessario sostentamento, venuto loro a mancare col nuovo ordinamento politico.

Nella stessa tornata discutendosi il progetto di legge relativo a militari privi d'impiego per titolo politico, il deputato Pisanelli osserva: —«Quasi tutti gli uffiziali napoletani sono stati messi al ritiro... il cui trattamento riesce a taluni così misero la non permetter loro di sopportare in nessun modo le spese della vita. — Ora ponete una quantità innumerevole di uffiziali, i quali, e per le pratiche antiche, e per le occupazioni abituali, non possono volgersi ad altre cure: e voi lascerete morir di fame. Ed io posso attestare, e lo attesteranno con me tutte le persone venute da Napoli, che là il sentimento generale si è commosso ed inasprito alla vista dello spettacolo miserabile offerto dagli antichi uffiziali dell’esercito napoletano.»

Tornata de' 31 maggio (n. 164 degli atti)

Il deputato Ricciardi interpella il ministro della istruzione pubblica, se sia vero, che sia stata in Napoli sciolta l’Accademia delle Scienze: — e dice «Questo fatto sarebbe gravissimo, poiché le attribuzioni del governo di Napoli sono state, ristrette in modo considerevole, ed inoltre si potrebbe ciò appena tollerare quando fosse fatto per legge. Trattasi in fatti di una delle Accademie più illustri, non dirò d’Europa, ma certo d’Italia.»

(Il ministro risponde di non conoscere niente di preciso, e si riseria altro giorno.)

Nella seguente tornata () de’ 10 giugno (n. 180 degli atti) il medesimo deputato Ricciardi ritorna su lo stesso tema, e cita il decreto di scioglimento della detta Accademia delle scienze de’ 30 aprile, pubblicato nel giornale officiale de' 31 maggio, mentre in quello del seguente giorno 1.° giugno si riordina l’Accademia stessa. Ma è interrotto dal Ministro di Pubblica Istruzione, che dice di attendere una dettagliata relazione dalla Luogotenenza di. Napoli: così fra 2, o 3 giorni sarà nel caso di dare più ampie spiegazioni.

In questa tornata de’ 10 giugno è approvata la légge per la riunione in un solo Gran Libro a Torino di tutti i Debiti Pubblici de’ varii Stati italiani annessi al Piemonte. ()

Tornata de' 14 giugno (n. 189 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge, che accorda stipendii (dalle 1000 alle 1600 lire annue) a’ Commissari militari di quattro classi, incaricati di sorvegliare nelle Leve sul personale delle reclute, il deputato napoletano Pace osserva: — 1.° di essere la istituzione de’ commissarii di leva un provvedimento di niuna utilità politica cd economica per la nazione: 2.° di non esistere una tale istituzione nell’ex regno di Napoli, dove il reclutamento si è sempre eseguito in modo più semplice e naturale, avendone la responsabilità, e l'incarico il solo Comune…

Il già disciolto esercito Borbonico, non era forse fornito a sufficienza di buoni soldati, e meglio di ogni altro d’Europa? Eppure la leva si faceva da' Comuni, senza commissarii. I commissarii di leva sono degl’intrusi nelle prerogative municipali, e non producono che scontento, e tolgono alla Leva il carattere nazionale e popolare, che dovrebbe avere; il di loro impianto è un trovato del dispotismo, non della libertà… Le sole provincie meridionali sarebbero tassate di oltre trecentomila lire pel mantenimento di questa nuova istituzione; un capitale di circa due milioni sciupato!»

E su lo stesse soggetto parla il deputato Ricciardi, e dice tra l’altro: — «Io non posso, come Deputato delle provincie napolitane, accettare questo sistema de' commissari salariati por la leva; poiché il sistema adottato nello ex regno di Napoli è di gran lunga migliore di quello in vigore nel Piemonte; — migliore, perché più paterno; migliore perché economico; e però non veggo il perché si debbano pagare questi commissari di leva; mentre finora da noi napoletani la leva è stata fatta con la massima facilità, e senza nessun dispendio. Nel rigettare la legge io por esprimo il voto che il governo presenti un nuovo progetto di legge, fondato non già sul suo sistema de’ commissari, bensì sul sistema della leva per cura de' municipii, siccome si pratica nelle provincie dell'ex regno di Napoli.»

Uniformemente al preopinante parla l'altro deputato napolitano Sig. Minervini encomiando ii sistema di leva da tanti anni in vigore nel reame delle due Sicilie; e censura il nuovo sistema che si progetta, come di origine tedesca, essendo quello di Napoli eminentemente lodevole, ed in pratica efficacissimo. Ciò non ostante la Legge è approvata, con le orali spiegazioni del ministro dell'interno, che nelle provincie napolitane la leva si farà coll'antico sistema.


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Tornata de’ 17 giugno (n. 198 degli alti.)

Il deputato siciliano Marchese della discussione del progetto di Legge per la sospensione dell’ordinamento giudiziario nelle provincie napoletane, osserva tra l’altro... «Quello che sarebbe più doloroso, per molti articoli, e per molte teoriche, eseguendosi nell’ex regno di Napoli il codice Sardo del 1859, si verificherebbe un positivo regresso comparativamente al Codice napolitano del 1819, che è indubitatamente il più conforme alla scienza, ed alle idee universalmente ricevuti nella giurisprudenza.»

Ed il deputato Conforti su lo stesso argomento accenna: «Le modificazioni, che furono fatte al Codice sardo, in gran parte sono state, tolte dal Codice napolitano.»

Parimenti il deputato Minervini riprova, che a’ 17 febbraro (sei giorni prima dell’apertura del parlamento) i consiglieri di Luogotenenza in Napoli pubblicano una legge, non quella piemontese, non quella napoletana; ma un brano dell’una, un brano dell'altra… correndo con dannosissima fretta nel far cosa, che non poteva esser consentita dalla prudenza; né santificata dalla legalità... In quanto alla procedura penale, noi avevamo in Napoli delle cose, che nel codice Sardo non esistono ancora, cioè la libertà di presentarsi i prevenuti in giudizio, onde essere rilasciati liberi sotto un modo esteriore di custodia () Ed io prego i miei colleghi di accettare questa novità, che nella procedura sarda non esiste... Le Leggi si studiano, si maturano lungamente, e massime nella patria di Vico, dove non si può creare in otto giorni ma Commissione legislativa, e pubblicare una riorganizzazione giudiziaria, e nuove leggi; per cui non è senza ragione la impopolarità del Governo nel napoletano.»

Tornata de’ 19 giugno (n. 204 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge per la unificazione de' debiti de' varii Stati italiani annessi al Piemonte, il deputato napoletano Francesco de' Luca muove interpellanza per chiarimento o rettificazione di un calcolo erroneo, cioè: «Il debito pubblico napoletano a tutto il 1859, ammontava all'annuo interesse di ducati 5 milioni, ottantaquattromila novecento dodici. Nel 1860 lo si vede figurare per l’annuo interesse accresciuto a sei milioni e più di ducati, (aumento di circa mezzo milione) cioè, lire 25,648,376. Nel 1861 la stessa cifra di annoi interessi vedesi ridotta a 5,534,912, e non se ne conosce il perché.»

Il deputato Crispi crede di dare una spiegazione a queste mutazioni di cifre col dire, che prima della partenza da Napoli del Re Francesco II, aveva contratto un debito colla casa Rotschild, e non giunse a riscuoterne le quote, che furono introitate dal Dittatore Garibaldi: ciò che per altro né pure spiegherebbe la differenza delle cifre tra il 1859, il 1860, e il 1861.

Il ministro dette finanze, cui incomberebbe fornire le debite dilucidazioni, risponde nel modo il più vago, ed incomprensibile, d’onde traluce, che non ha come sbarazzarsi dall’ardua obbiezione del preopinante de' Luca. Dallo insieme si ha un altro argomentò dell’arbitrio con che sono state dilapidate le floride finanze del reame Napoletano.. Nella stessa tornata, il deputato Ricciardi parlando su gli schiarimenti da lui chiesti per l’arbitrario scioglimento della Reale Accademia delle Scienze in Napoli, tra le altre cose dice:... «L’accademia di Napoli era circondata da un lustro speciale. Fondata nel 1756 da Carlo III. Borbone, venne ampliata nei 1780:... Nel 1815 i Birboni nella restaurazione rispettarono quest’accademia: e notate che in essa si annoveravano molti fra i nemici più accaniti di Casa Borbone...

(E qui enumera le celebrità letterarie europee che vi erano ascritte, il conte Zurlo, il conte Ricciardi. Macedonio Melloni, Cavaignac padre, Àrago Humboldt ecc.) ..

«Si aggiunga, che coll’art. 4 del decreto luogotenenziale di scioglimento s’impone all'accademia reale di vendere i beni stabili, e di convertirli in rendita inscritta. —Or io domando, se una simile prescrizione sia costituzionale, o anche solo semplicemente legale? Chi può dire a me che ho un podere, di venderlo e convertirlo in rendita iscritta?... Fa d’uopo ancora sapere, che nel 1851, il re Ferdinando II per decreto reale, introdusse nell’Accademia delle scienze tre membri; ma nel momento stesso riconosceva di far cosa contraria agli Statuti dell’Accademia, e diceva per una colta, tanto... Bisognerebbe che il Governo centrale determinasse con precisione le attriburioni della Luogotenenza di Napoli, affinché sconci simili a quelli, di cui ora ci lagniamo, non si rinnovassero per l’avvenire. — A Napoli si domanda: ma 0 chi dobbiamo obbedire? A chi sottostiamo? Sottostiamo al governo locale, o pure dobbiamo dipendere da quello di Torino? — Bisogna assolutamente che cotesta quistione sia definita... se non altro per infrenare l’innovomania, che mi sembra invadere il governo; innovomania, che, lo confesso, mi farebbe quasi quasi rinunziare al mio istinto rivoluzionario, e diventare conservatore, come allorquando vedo che si vuole unificare l’Italia a vapore e a casaccio, starei lì per lì per divenire federalista... Signori, rispettiamo le antiche istituzioni de' nostri municipii; rispettiamo le glorie municipali, le quali sono gran parte delle glorie italiane. Non v’è una città in Italia, e che non abbia una qualche antica e bella istituzione... Qui debbo riparare un oblio: non posso passare sotto silenzio un fatto assai grave. — Avevamo in Napoli una scuola militare delle più famose l'Europa, fondata su le basi della scuola politecnica di Parigi; Accademia militare detta della Nunziatella.» (È interrotto dal Presidente che lo richiama all’argomento.)

L’oratore continua: — «Parlavo del fatto dell’Accademia militare di Napoli, mutata in semplice collegio, a dimostrare vie meglio la necessità di ben definire le attribuzioni del governo luogotenenziale di Napoli, affinché non sieno abolite le istituzioni più belle di quel paese. Certo si è che l'effetto del mutamento della Nunziatella in collegio è stato pessimo.

Dopo le risposte del ministro per l’istruzione pubblica, il deputato Ricciardi replica: — «tutta la quistione sta in questo, che al governo attuale di Napoli non era lecito abolire la regia accademia, e fondarne una nuova. Quanto a coloro fra gli accademici, i quali ricusarono il giuramento potevano dichiararsi dimissionarii, siccome è accaduto ad un individuo che porta il mio nome (intende del fratello conte di Camaldoli) e la porta onoratamele, il quale, perché Borboniano, non ha voluto prestar giuramento, ed ha perduto un uffizio, che gli fruttava quattromila ducati all’anno!

Anche il deputato Liborio Romano parla contro il decreto luogotenenziale, che con abuso di autorità ha abolita in Napoli quell’Accademia Reale delle scienze, rispettata dallo stesso Garibaldi, che con risoluzione dittatoriale degli 11 settembre 1860 si limitò a svestirla del titolo dì Borbonica, e le sostituì quello di reale società d'archeologia, di scienze, e di belle arti, e poi aggiunge:

«Lo stesso... Borbone del 1799, lo stesso... Borbone del 1820 rispettò i corpi scientifici, comunque in esso si noverassero molti individui che pochi anni innanzi avrebbe voluti spegnere: rispettò i gradi militari concessi da’ due re francesi; gravò la finanza napolitana, spendendo meglio di sei milioni di ducati (pari a 26 milioni di lire) affin di ottenere la fusione dell’esercito da lui condotto con quello, che in Napoli esisteva. — E perché questi provvedimenti... non sono stati per noi ricordati, in ordine allo scioglimento dell'antica Accademia delle scienze di Napoli, riguardo agli eserciti meridionale, e Borbonico?»


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Tornata del 22 giugno (n. 211 degli atti.)

Su la presentazione d’un progetto di legge organica per la Leva di mare fatta dal ministro della marineria, il deputato napoletano Duca S. Donato dice — «Pregherei l’onorevole ministro di volersi ricordare dei cantieri di Napoli, e dì Castellammare, che mi dicono ora abbandonati; e rammentare che da quei magnifici cantieri uscirono il vascello il Monarca, e la fregata il Fieramosca, con altri belli bastimenti da guerra della antica marina napolitano, sono avanti tutto stabilimenti nazionali e meritano incoraggiamento. Dunque raccomando que’ due cantieri, che mi dicono non essere guari in molta attività»..

Tornata de' 24 giugno (n. 219)

Il deputato Ricciardi su la proposta fatta dal ministro de' Lavori pubblici per una stazione ferroviaria in Torino, osserva: — Non posso fare a meno di manifestare l’immensa mia meraviglia nel vedere, che siasi potuto pur pensare a chiedere in questi momenti, due ff milioni settecentomila lire per una spesa non indispensabile. In un momento, in cui tutti parlano della necessità della più rigida economia; in un momento, in cui il tesoro di Napoli, in ispecie, è in tali strettezze, che, appena è dato sovvenire alle spese più urgenti».

Tornata de' 26 giugno (n. 223.)

Sul progetto di legge per un prestito di 500 milioni, il deputato napolitano Minervini osserva, la contraddizione degli alti finanziarii del ministero; il quale prima disse che il disavanzo era di 314 milioni: poi la commissione parlamentare del bilancio lo ridusse a 80 milioni. Dopo presentati i bilanci, dopo date tutte le spiegazioni, dopo esauriti i dibattimenti, si vede che il Governo chiede più di 600 milioni per 500; e poi chiede 500 milioni per 314, e poi si accusa un disavanzo di 314 milioni invece di 80. Conchiude sembrargli una serie di ribussi poco regolare; un oscillazione, che oltrepassa la decenza () .

Indi parla io opposizione di tal progetto di legge l’altro deputato Ferrari, il quale tra le altre cose, dice: — «Non perdiamoci di coraggio; persistiamo nel proposito di difendere il governo contro la Commissione, che oltre a’ 25 milioni dell’ammortizzazione soppressa, vuol dedurre otto milioni di dote a banchi delle Due Sicilie Se sono depositati, se debbono servire di dote bisogna che si trovino, che manchino alle casse; che un imprestito le favorisca a difetto d’introito... La Commissione insiste per detrarre 154 milioni per l’Italia meridionale, dichiarandoli assolutamente straordinarii; ma le sue ragioni mi persuasero del contrario... Si tenevano tre anni fa 280 mila armati che fossero poi Borbonici, o altro, non conta questo; erano armati e pagati; ora non ne abbiamo forse 200 mila soldati, un esercito, una marina, inferiori alla forza degli altri popoli.

«La Commissione vuol detrarre dal debito meridionale altri 48 milioni per lavori pubblici...

E qui l’oratore si diffonde a dimostrare la incapacità del Governo nell’amministrare, lasciando soprattutto deperire i più importanti pubblici stabilimenti, come per esempio, la zecca, e la stamperia imperiale di Milano, e ripiglia «Se voi, o Signori, non amministrate bene, come Corrisponderete all’aspettativa generale, e propriamente politica?

«Avete voi sciolta quella terribile quistione dell'ex regno delle due Sicilie sì fastidiosa, si difficile, su la quale più non volevate interpellanze, ed alla quale voi ritornate tutti di continuo, senza volerlo, e direi quasi senza saperlo. In verità, voi non regnate, non sapete regnare».

«Comincerò da quattro sole righe del sig. del Re antico ministro del Bombone; quindi non vi attendete nulla di troppo lusinghiero: vi dice egli: in nessun periodo della storia delle due Sicilie fu mai osservato simile malcontento, simile irritazione, tanta crudeltà nelle repressioni: basterà il dire che in un sol giorno la Polizia ha ricevuto 250 telegrammi su i moti delle provincie; che il Governo disarmò intere compagnie di guardie nazionali; e che senza contar altro, più di 200 prigionieri sono stati fucilati dai piemontesi, e che le prigioni sono piene di sospetti».

«Voi dite, che io vi cito nemici. Ebbene citiamo un amico, che non vorrete disconoscere () , leggiamo il suo rapporto: vi dichiaro, che al vostro posto, io non l'avrei stampato, ma egli parla chiaramente:— «Lo scioglimento dell'esercito borbonico, le misure prese a riguardo dell'esercito meridionale, i capitoli di Gaeta, che permisero a Francesco II il soggiorno di Roma, contribuirono senza dubbio a suscitare al governo di queste provincia seriissimi imbarazzi...

«...La pubblica opinione qui esistente ha un carattere quasi esclusivamente negativo».

«Capite? In linguaggio officiale, e diplomatico, l'avere una opinione negativa, significa avere una opposizione più o meno decisa... del resto, lascio l'interpretazione a tutti e mi limito a stabilire che il sig. Nigra ha scritto tutto questo, proponendo come uno de' primi rimedii la confisca e la vendita di tutti i beni ecclesiastici di quella regione, che così potrebbe sempre più godere de’ beneficii della unificazione…

«La incertezza del vostro regnare aumenta per la regola costante adottata da voi di non mai informarci della situazione dello Stato. Vi citerò alcuni esempii.

«Io ho saputo in questa Camera la soppressione dell'Accademia Ercolanese di Napoli. Ed in qual modo? Dalla interpellanza del sig. Ricciardi. Abbiamo una gazzetta officiale, e questa è abbastanza vasta per contenere molte cose… Io ho paragonato da una parte i dispacci telegrafici giunti dal giornale officiale ne’ mesi di novembre, decembre, gennaro, febbraro ecc.; dall’altra le notizie date da’ giornali più accreditati di Parigi. — Ecco il risultato del raffronto: — supponetevi un semplice borghese, un buon mercante nel rostro fondaco; leggete il giornale officiale e trovate in novembre «l’ingresso di Sua Maestà in Napoli; illuminazione, fuochi di artifizio» — «Voi siete contenti, inteneriti; ma il giornale officiale non vi lascia sospettare gli assassinii ne’ comuni di Carbone, di Castelsaraceno, nella Basilicata, dove vi erano case incendiate; di Montesarchio, e Latronico, di Carpinone, dove cadeva spenta una intera famiglia;— non una sillaba su le dimostrazioni borboniche di Napoli... — Passate al mese di dicembre: v’imparate, che la tranquillità è ristabilita ad Avezzano; che S. M. resterà a Napoli ancora 15 giorni; che Farini sta meglio — «siamo sempre buoni borghesi, prendiamo il giornale alla letterale ci felicitiamo della guarigione di Farini; — ma la situazione ci manca, perché il poco veridico giornale del Governo non v’insegna, né la scoperta della società filantropica; né l'assalto che duemila paesani danno a Cervinara; né i torbidi di Sora, di Caserta, di Maddaloni () — La medesima assenza di sincerità continua nel mese di gennaro: qui invero la gazzetta pubblica l’arresto di Libertini; la pugnalata data al Duca S. Donato, più una cospirazione Murattiana che parte da Gaeta... conche fine erano dunque scritte queste righe calcolate urgenti telegrafiche? Evidentemente, al fine di persuadere, che tutto il male si riduceva all’arresto di Libertini, alla ferita di S. Donato, a' murattiani di Gaeta. — Or bene sappiate che il Giornale in apparenza sì minuzioso, fino a notare fatti in certo modo isolati, personali, staccati, ometteva poi la sommossa della popolosa strada di santa Lucia, delle donne, e della Cava, con le quali cominciava il nuovo anno; ometterà l'assassinio tentato sul generale Dunn, l’arresto di sei generali borbonici, la scoperta della cospiratone del distretto di Sora; ometteva in fine di dire, che si organizzava la reazione negli Abruzzi; che Catanzaro insorgeva contro il suo governatore; che Sora rimaneva in potere de' banditi un giorno, e mezzo; che Bovino, Barra, Teramo, Campli, Civitella, Tagliacozzo Sansevero, Avezzano, erano teatri d’invasioni, di sedizioni, di brigantaggi spaventevoli; che a Palermo il tentato arresto di Crispi svelava la impotenza del Governo, la necessità di modificarlo, ed altre cose poco gradite.

«Lo stesso. sistema di reticenze continua in febbraro, marzo, aprile, maggio; e tanto ci basti per mostrare che ci vediamo costretti alla diffidenza sistematica in questi tempi in cui il Governo ha bisogno di essere creduto, e noi pure abbiamo bisogno di credere. — In vero ci resta il Parlamento, ultimo rifugio di ogni nostra speranza, e, dove esso svanisse, la patria mi parrebbe sconfitta. — Ma permettetemi, onorevoli colleghi, d’invitarvi ad imitare gli antichj pitagorici, che facevano qualche volta la loro confessione.

«Noi siamo riuniti, ma ad ogni appello nominale mancano 120, 150, 180 deputati... per un fatto sì straordinario, l'essere accompagnato da una specie di diserzioni, non è forse un sintomo strano? D’onde viene la diserzione? Da una sentita impotenza».


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Tornata de' 27 giugno (n. 228. degli atti)

Il deputato Ricciardi muove interpellanze al ministero su i fatti dell'ex regno delle Due Sicilie, e si esprime cosi: — «Nel giornale officiale di Napoli del 22 giugno corrente trovo un Decreto firmato dal principe di Carignano, e contrassegnato dal commendatore Nigra, con la data 17 febbraro; in virtù di questo decreto è disciolta la Camera di disciplina dell’ordine degli avvocati. Io domando al signor Ministro il perché d’un intervallo così straordinario fra la data de’ 17 febbraro, e quella della pubblicazione del Decreto. — Pregherei poi il signor Ministro dell’interno di riferire alla camera ciò che gli è noto dall’ultimo tentativo operato in Sicilia da’ borboniani. I giornali hanno parlato di 23 persone uccise, e di una banda di 120 briganti. Io desidero sapere se queste 23 persone sieno state uccise durante il conflitto, o dopo, ed in quale forma. Altri fatti gravissimi hanno avuto luogo in molte provincie del continente, ed in Napoli avvennero disordini nella notte de’ 24 a 25 giugno; disordini, che furono repressi immediatamente, secondo riferisce la stessa gazzetta officiale… La situazione delle provincie napolitane, ho l’onore di assicurarlo alla Camera, è la stessa oggidì 27 giugno di quello che era, ed ebbi l’onore di esporla nella tornata del 20 maggio».

L’altro deputato napolitano Capone dice di avere a fare una interpellanza uniforme a quella del preopinante.

Il ministro di giustizia risponde vagamente di ignorare le circostanze dello scioglimento della Camera disciplinare degli avvocati di Napoli; ma andarne a prender conto.

Il ministro dello interno si. tiene anche vagamente su i generalj, e si limita a dire, che gli asserti sbarchi di Sicilia si riducono a tre banditi rientrati ivi furtivamente da Malta.

Tornata del 28 giugno (n. 229.)

Il deputato siciliano Crispi si oppone alla legge pel prestito di 500 milioni, e lungamente espone lo stato finanziero della Sicilia, ridotto a mal partito per colpa del Ministero:— Accenna, che il Luogotenente ivi spedito da Torino prende un assegno di lire 165750, quasi il doppio di più di quello che era assegnato al luogotenente generale del governo Borbonico: parimenti i Segretarj Generali de’ dicasteri di Palermo (che per le loro modeste attribuzioni, egli dice: esser meglio di abolirli) prendono una cifra di lire 162,052; il doppio di quello che costano ì Segretarj generali di Torino. E nello stesso modo fa le sue critiche a tutte le altre spese di amministrazione, di cui propone la riduzione. Parla dell’incorporazione alle rendite della Sicilia dell’annuo assegno di 50 mila lire fatto dal cessato governo al Duca di Taormina, e del quarto delle rendite della Real Casa Borbonica sorpresa e sequestrata al Gran Libro dal ministro di Polizia napolitana Conforti.

E nella stessa tornata il deputato Petruccelli parlando contro il ministero, dice tra l’altro: — «Che cosa ha fatto il Governo? Non voglio dirlo; ma basterebbe solo di attirare il vostro sguardo su le provincie dell’Italia meridionale, ma nol farò. Perciocché so che questo parlamento deve sentire una nausea profonda di udire ulteriormente a parlare de' martirii, e delle sventure di Napoli Ei sarebbe ben mestieri attirare la vostra attenzione su le grandi cause morali, che conturbano quelle popolazioni; ciò che potrebbe esser utile, cd interessante; ma io non voglio prestar materia alle comunicazioni diplomatiche dell’ex ministro e delI’ex Re di Napoli a Roma. — La biancheria sporca si lava in famiglia... La forza vera d’un Governo sta nella fede de’ popoli; — e voi, o ministri, non l’avete. Guardate la Francia! quante volte ha fatto appello al popolo, se domandò 100 milioni, n’ebbe 500; e se domandò una leva, raccolse un esercito. E voi? voi per un imprestito di 500. milioni di lire, in un paese di 23 milioni d’abitanti, dovete ricorrere agli usurai d’oltre Alpi!

Si versa poi analiticamente sul bilancio, e di proposito su quello di Napoli, e ne censura le varie partite di esito, conchiudendo: — «Il vostro sistema, è un sistema essenzialmente dissipatore. Guardate!... 150 milioni sciupati nello scorso anno; un deficit di 314 milioni; 500 milioni, che si domandano oggi. E che cosa avete fatto di questo monte d’oro?


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Tornata de' 29 giugno (n. 233)

Il deputato Petruccelli nella discussione del progetto di legge per l’esercizio provvisorio de' bilanci (1861) censura codesta legge, che dice «venir presentata alla discussione come un nodo scorsojo» E scagliandosi su tutte le pensioni, gratificazioni, soprassoldi d’impiegati, ed ogni qualsiasi altra retribuzione che si paga agl’impiegati, dice così: «Questa specie di balzelli nel bilanciò delle provincie meridionali è stata messa con una prodigalità più che regale, pazza. So che, questa specie di onorarj ascende alla somma di venti milioni, vale a dire al sesto del budget».

In questa stessa discussione il deputato napoletano Persico si oppone formalmente a che il decimo di guerra sia esteso all’ex regno delle due Sicilie.

E il deputato Ricciardi appoggia la opposizione del preopinante Persico; ed aggiunge. «Sarebbe somma imprudenza lo estendere in questo momento le imposte ili guerra alle provincie meridionali le quali si trovano ih condizioni eccezionali, e sarebbe aggiungere esca al fuoco, se si facesse quello che si propone. In un momento in cui il brigantaggio imperversa da un capo all’altro del nostro paese, si bruciano le messi, si pagano con difficoltà estrema le imposte, in un momento in cui i nostri coloni con grandissimo stento ci pagano, come volete aggiungere alle nostre provincie il decimo di guerra? Sono sicuro, che la semplice notizia di una simile cosa, accrescerebbe esca al fuoco. Per conseguenza io combatto con tutte le forze la proposta che ne vien fatta.

Di voto uniforme sono gli altri deputati Mandoj, Albanese, Paternostro.

Nel momento in cui l’altro deputato napoletano Massari perorava a favore della imposta del decimo di guerra, è interrotto da’ deputati Polsinelli, e Schiavoni, avversi a tale imposta, i quali esclamano: — «Non vi è nelle provincie meridionali sicurezza pubblica, dobbiamo difendere gl’interessi del nostro paese, contro questa nuova imposizione». — Ed il Polsinelli in apposito ragionamento contende di doversi differire all’opportunità lo stabilimento di tale dazio, e dice: — lo stato delle provincie napoletane è cosi allarmante, che non si deve cercare di far nascer uno scompiglio maggiore di quello che vi è. Un dispaccio telegrafico di jeri mattina dice, che la Capitale stessa sia stata in pericolo… Conosco bene, che si dovrà all’anno nuovo, stabilire in tutta Italia, questa ed altre imposte ancora... A Che serve illuderci? Il Parlamento vuol chiudere gli occhi per non vedere lo stato allarmante delle provincie napoletane. Per esser sicuro quivi bisogna andare armato; mentre il Governo non garantisce come si conviene quelle provincie: noi paghiamo le imposte, e per garantirci dai briganti dobbiamo avere il fucile in ispalla. I ministri hanno l’obbligo di procurare la sicurezza. Non avete voluto organizzare la guardia nazionale, che colà potea mantenere, e mantiene ancora la poca tranquillità che esiste in taluni luoghi; non avete voluto organizzarla perché temete di mettere le armi in mano a' liberali.

«Saranno cose odiose, ma sono vere. La unione di Napoli doveva aumentare la forza d'Italia, ed ora invece si debbono mandare colà 30 a 40 mila uomini per mantenere la sicurezza... Allorché trattavasi della leva dissi, che anche in tal maniera si doveva andare a rilento, perché comprendevo che nelle provincie meridionali la vostra leva serviva ad aumentare i brigarti nelle montagne. Difatti, vedrete in pratica, se sarete al caso di avere i 36 mila uomini che decretaste...

«Non conviene toccare tutti gl'interessi. Voi avete toccati gl'interessi della Chiesa; e mentre vi siete fatti nemici gli ecclesiastici, nulla avete guadagnato; avete messa tanta gente in mezzo alla strada con la brusca attuazione di sistemi, e leggi non adattati ad luogo, ed al tempo. In tal modo avete fatti una immensità di nemici al Governo… In questo momento nel regno di Napoli l'ordine, e la tranquillità sono scomparsi; nessuno vi può fare i suoi affari; tutto è incagliato, ed inceppato nelle provincie... La verità è questa o signori, colà si sta male e molto male. (Ciò non ostante le nuove imposte sono approvate a danno delle provincie meridionali.)

Parlano pure contro le stesse imposte gli altri deputati napoletani Schiavone e Minervini.

E’ notevole l'incidente del deputato napoletano Capone, che fa una confessione, anche da parte di tutti i rappresentanti delle provincie meridionali, cioè che le dizioni adoperate nel nuovo articolo proposto dalla giunta di deputati piemontesi non sono capite da essi napoletani, come le parole, riguardo, retinenze fiscali; come pure di una Legge Sarda del 1859 ad essi ignota. Prega quindi la Camera di far tradurre tali vocaboli del linguaggio comune a tutti, e dire cosa ordina la legge del 1859, che non è stata mai promulgata, né conosciuta nel regno di Napoli; affinché almeno dopo tali chiarimenti il loro voto possa essere dato con cognizione di causa. Protesta, che non si è dato tempo a riflettere su quanto ai domanda a’ deputati napoletani; e perché vogliosi obbligarli a votare una formola incomprensibile.

Il deputato Polsinelli replica su lo stesso argomento del preopinante Capone, e dice: — «La Commissione aveva avuto l'incarico di discutere su la legge per l'esercizio provvisorio de’ bilanci, ed ora si viene a discutere su le imposte. Dispiacevole sorpresa ci vien fatta, ignorandosi le leggi, e la materia di che trattasi. Ci si rimprovera di non conoscere la legge sarda de’ 5 luglio 1859. Ma quando mai è stata pubblicata nel nostro regno una tale legge? Io domando se le provincie meridionali debbono conoscere tutte le leggi del piccolo Piemonte per sottomettersi alle medesime.

Tornata dei 3 luglio (n. 248)

Il deputato Amicarelli parla contro lo schema di legge per la occupazione dette case Religiose e dice, che il decreto luogotenenziale de’ 17 febbraro in Napoli per l’abolizione de’ Conventi e Monasteri, fu uno de’ tanti che là piovvero a diluvio dal governo de’ Luogotenenti ed osserva: — «Come questo decreto riuscisse dannoso a alla pubblica tranquillità, come fosse inopportuno nelle provincie meridionali, non v’è alcuno che non lo sappia: come poi sia da aversi per illegale, e per nullo, finché non sia convertito in legge dal parlamento, si conoscerà di leggieri sol che si ponga mente di essere sfornito di autorità il Luogotenente per pubblicarlo». L’oratore invocando l’art. 29 dello Statuto, che dichiara inviolabili tutte le proprietà, senza alcuna eccezione proclama altamente, che la proposta legge per la occupazione delle case religiose pel bisogno del mitare servizio, viola manifestamente un articolo dello Statuto; viola il sacro diritto di proprietà; di quella proprietà che agli ordini religiosi è garantita dalla legge, come a tutti i singoli cittadini.»

In questo senso parla anche l’altro deputato Siciliano d’Ondes Reggio. (Ciò non ostante la legge è approvata.) ’

Tornata dei 4 Luglio (n. 25 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge per la ferrovia da Napoli all’Adriatico, il deputato Ricciardi in favore ed incoraggiamento degli artefici, ed operai napoletani, propone l’emenda all’articolo 28, col quale si permette a' concessionarii d’introdurre ed immettere in franchigia di dazio e di qualsivoglia altro diritto i materiali, gl’istrumenti, i metalli, le locomotive, i tenders, i vagoni, e tutto ciò che è necessario alla costruzione e manutenzione delle ferrovie. E però esso deputato dice. «È incredibile il numero delle industrie, che si collegano allo stabilimento delle ferrovie. Per esempio, i carrozzieri, cui sarebbe naturalmente commessa la costruzione de’ carri (barbaramente chiamali vagoni) A questa industria de’ carrozzieri si legano al(re mollissime, quelle del falegname, fabbro, pittore, vetraio, tapezziere ecc. A Napoli questa industria è fiorentissima, tanto che i più ricchi signori fanno costruire quivi le loro carrozze, anziché commetterle a Londra, o Parigi. Ora, se voi ammettesse com’è l’articolo del capitolato, che cosa accadrebbe? Accadrebbe, che i concessionari, cui avete già dati tanti vantaggi, allettati massimamente dalla franchigia de' dazii, farebbero venir tutto dall'estero, e specialmente dalla Francia, e tutto senza dazio. — Quindi danno pel nostro tesoro; danno per l’industria nostra, e tutto in vantaggio della compagnia de' concessionarj. Non veggo perché non si debba fare per l’ex regno di Napoli ciò che si è fatto pel Piemonte, dove si fabbrica tutto ciò che è necessario per le ferrovie. Perché non si può fare lo stesso a Napoli, dove fra gli altri, abbiamo il magnifico stabilimento di Pietrarsa. () Io credo adunque, che per emendamento, si debba al detto articolo 28 aggiungere, che la compagnia concessionaria abbia a giovarsi di ciò che può avere da' fabbricatori del paese.

Benché appoggiato dal voto dell’altro deputato napoletano Polsinelli, il cennato emendamento del Ricciardi, cotanto utile alla classe ammiserita degli operai, viene respinto.

Altra tempestosa discussione si suscita per l’emendamento proposto del medesimo deputato Ricciardi al seguente articolo 32 dell'anzidetta legge per la ferrovia da Napoli all’Adriatico, il quale articolo prescrive «che i concessionarii, per quanto è possibile, sceglieranno il personale de' loro impiegati fra i regnicoli.»

Il Ricciardi dice: «Quantunque persuaso di riuscire in questa aula avvocato infelice di ogni più nobile causa, non recederò dal mio intendimento dì propugnare il mio emendamento…

«Vi sono in gran numero militari messi a riposo, vi sono moltissimi impiegati, di cui il Governo non sa che fare, perché sono fuori di pianta. Or bene, perché il Governo non si riserverebbe il diritto d’impiegarli in queste ferrovie? Perché non impone a concessionari servirsi de' militari congedati? Se voi non ammetteste il mio emendamento accadrebbe che i signori concessionarii si servirebbero de' nostri operai per la semplicissima ragione che li pagano assai poco; ma quanto agl’impieghi lucrosi, li darebbero tutti a' loro clienti, alle loro creatore, com’è accaduto in simili casi. Vedreste inondato il nostro paese d’impiegati forestieri… É già troppo, che si concedano le nostre ferrovie a società estere; dobbiamo almeno stipulare qualche cosa a favore de' nostri ()

L'emendamento è appoggiato dall’altro deputato Castellano; ma alle insisterne di talune voci, che chieggono votarsi per appello nominale, il ministro pe’ lavori pubblici si riscalda, e dice, che la quistione non solo si voglia elevare a quistione politica, ma anche sociale; e protesta formalmente col dichiarare anche da parte del Governo, di respingere energicamente la proposta di Ricciardi. Al quale perciò si fanno calde premure dal deputato ministeriale Massari di ritirare l’emendamento. Il Ricciardi è negativo; parlano i deputati, Plutino, ed Alfieri, il Presidente fa sentire la sua voce, scoppii di grida a sinistra, i cui deputati si alzano con impeto; e gridano «All'ordine!» rumori fortissimi e prolungati, il frastuono continua, il presidente si copre il capo, e dichiara sospesa la seduta. La quale si ripiglia dopo pochi minati: Il deputato Ricciardi dice: «Unicamente per amor di concordia, io ritiro il mio emendamento. Debbo protestare per altro contro le parole del ministro, il quale ha detto, che bisogna accettare tutte le condizioni de’ concessionarii, altrimenti la legge è compromessa; il che vorrebbe dire in sostanza, che ogni discussione è affatto inutile...

«Subisco la legge, perché vitale, perché indispensabile ad assicurare le sorti del mio disgraziato paese. lo credeva poter proporre qualche miglioramento; ma «. i miei sforzi sono riesciti infruttuosi.»

Alla obbiezione del deputato Pica su le marcate parole di disgraziato paese, adoprate dal Ricciardi, costui replica: ho detto disgraziato paese, «alludendo alle presenti miserie del Napoletano; miserie, che nessuno, io credo, potrà negare.»


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Tornata de' 5 luglio (n. 253.)

Su la interpellanza del deputato Bixio relativamente allo insegnamento nautico, il deputato napoletano Maresca osserva: «Io so, che nel collegio della Reale Marina in Napoli, la nautica istruzione era quasi completa ne tempi andati, ed erasi resa perfetta. Scuole poi di nautico insegnamento per la marina mercantile sono nel Piano di Sorrento, ed in altri pochi punti del meridionale continente italiano.»

Il deputato Nisco ne vorrebbe in maggior numero, e più perfette; ma enuncia esservi sul littorale dell’Adriatico, a Bari, la scuola nautica mercantile; ed altre tre scuole in Sicilia, cioè una a Palermo, un’altra in Messina, cd una terza in Catania: la prima di esse è in ottime condizioni, fa menzione pure dell’altra scuola nautica fondata in Napoli detta de’ piloti, che ha per iscopo di somministrare alla marina de' bassi uffiziali, da divenir poi piloti.

Tornata de' 6 luglio (n. 260)

Nella mozione per le spese di rappresentanza de’ Governatori, il deputato Petruccelli osserva: «Io respingo l’articolo... e fo riflettere, che in Inghilterra, e negli Stati uniti, dove non vi sono spese di rappresentanza, gli affari vanno bene, e meglio, che da noi. A che servono dunque queste spese di rappresentanza? Servono ad influire su le elezioni, e questo è il risultato a cui giungiamo, allogando delle spese straordinarie. Con le riunioni, co’ pranzi, con le feste, il Governatore s’indirizza più o meno a’ suoi amici per fare una pressione elettorale; quindi io domando, che le spese di rappresentanza non sieno allogate. Si può benissimo governare; anzi si governa meglio, quando non vi sono queste spese di lusso, perché il governatore potrà meglio badare agli affari».

In quanto all’aumento inconsiderato del numero degl’impiegati, il deputato siciliano Bruno fa osservare: «Mentre noi facevamo interpellanze, e si apponeva il numero esuberante degl’impiegati alla Prodittatura, che pel primo io ho accusato, ne avveniva, che a Palermo la luogotenenza creava impiegati, che non avendo dove collocarli, nominava, è vero con la condizione di doverli collocare alle nuove vacanze, ma facendoli fruire del soldo.

Tornata de' 9 Luglio (o. 264.)

Il deputato Ricciardi, appoggiato anche dall’altro deputato S. Donato, espone i richiami di moltissimi uffiziali dell’ex esercito delle due Sicilie, e dice: «Oltre la quistione di umanità relativa a questi poveri ufficiali, i quali muojono letteralmente di fame; evvi una quistione essenzialmente politica; poiché si tratta di persone languenti nella estrema miseria, le quali potrebbero perciò divenire pericolose per lo Stato, io insisto quindi sulla necessità d’una pronta esposizione.»

Nella stessa tornata l'anzidetto deputato Ricciardi muove interpellanze sul caso stranissimo del notaio certificatore Pascarelli, incaricato ab antico de’ contratti della marineria da guerra in Napoli, un bel dì è stato sostituito nel suo uffizio, da un Colonnello.

Il ministro di grazia e giustizia risponde di nulla saperne, ma ne prenderà conto.


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Tornata degli 11 luglio (n. 274.)

Proponendosi la nuova legge, su la Leva di mare, il deputato Minervini osserva: «Vi sono più pronti mezzi per avere de’ marinari in Napoli, e Sicilia, perché la Leva colà si esegue con le buone leggi preesistenti... Distruggere queste per introdurre una legge intempestiva, e non ponderata, né che si può bene svolgere, mi pare, che sia un voler adoperare mezzi contro il fine, che si propone il Governo.

Tornata de' 12 luglio (n. 278.)

Nella discussione del progetto di legge sull’applicazione del sistema metrico decimale nelle nuove provincie annesse, il ministro di agricoltura, e commercio (deputato siciliano) osserva: «Le tabelle fatte in Napoli, precisamente quelle che furono applicate all’epoca, in cui questo servizio fu affidato allo egregio generale Visconti (parlo delle tabelle di rapporto de' pesi e misure del sistema decimale proprio di Napoli con legge del Governo Borbonico del 6 aprile 1840) furono accuratissime.

Ed il deputato Plutino fa rimarcare, che dal Governa Borbonico nel 1840 si attuò il sistema metrico decimale; e si mandarono finanche in ogni provincia i nuovi pesi, e le nuove misure. Non è quindi un miglioramento, o una novità che intende introdurre nel napoletane il governo di Torino.

Nella Seconda Tornata dello stesso dì 12 luglio (n. 279.)

Il deputato Liborio Romano sviluppa le interpellanze sugli affari di Napoli, già preconizzate da lui nelle precedenti tornate del 4 e 9 di questo stesso mese, non espletate per l’assenza de’ varii ministri, cui interessano. Desse furono allora accennate così: — 1.° Con due contratti 19 gennaro, e 13 febbraro 1861, si sono vendute in Torino due partite di rendita (una volta napoletana, ora italiana) della somma di ducati trecento settantamila, alla ragione del 74 per 100; mentre il corso in Borsa era quello del 79 e 80, il che procace alla finanza un danno di oltre 15 milioni di Lire. — 2.° Si è stipulato il 20 marzo 1861 un contratto di censuazione d’una cospicua proprietà urbana dello Stato, senza che il parlamento l'avesse autorizzata senza i pubblici incanti, e per un censo bassissimo: — 3.° Un decreto dittatoriale dei 12 settembre 1860 dichiarò beni nazionali quelli dell’ex Casa Beale; gli altri messi a disposizione dell’ex Re; i beni de’ maggiorati Reali, e quelli dell’Ordine Costantiniano; niuna rendita figura su i bilanci dello Stato: — 4.° Un contratto scandalosissimo, ed in aperta contraddizione del decreto de’ 17 Febbraro 1861, è stato conchiuso per la monetazione nell’ex regno delle due Sicilie, contratto enormemente lesivo, che mentre dà a’ concessionari il diritto di servirsi dell’ottima Zecca napolitana, si pagano loro 480 mila lire, ed un beneficio del 23 per cento. Dovrei pure parlare di tre decreti: l’uno de’ 6 dicembre 1860 sancito dalla Luogotenenza Farini; l'altro 8 gennaro 1861 dato fuori dal Re Vittorio Emmanuele; il 3.° de’ 23 del mese stesso del luogotenente principe di Carignano, co’ quali si stabilisce, che 25 milioni di franchi saranno invertiti in opere pubbliche comunali per dar pane e lavoro al popolo; ma tali decreti da otto mesi giacciono inseguiti.

Sviluppando tali enunciate proposizioni, il deputato Romano in questa tornata si diffonde lungamente a narrare tutto ciò ch’egli aveva operato stando in Napoli come Consigliere della dittatura, e poi della Luogotenenza per mantenere l’ordine, e prevenire la reazione, ch’egli chiama borbonico clericale; e lamenta di non essere stato mai corrisposto dal Governo di Torino. Passa poi minutamente a ragionare su gli anzidetti carichi d’interpellanza; e versandosi precipuamente su quello segnato di sopra al n. 2, dice così: — «Il contratto di censuazione, pel notaio De Vivo di Napoli, risguarda il cospicuo edificio posto in Napoli strada Ascensione, a favore di Eugenio Fabre di Marsiglia, dimorante in Firenze, dispensandosi da’ pubblici incanti, e per la tenue somma di ducati 460, pari a Lire 2460. L’edificio essendo di proprietà dello Stato, il direttore della Cassa di ammortizzazione faceva capire, che non se ne potea disporre dal potere esecutivo, senza il concorso, ed assenso del legislativo; ma il Segretario generale Nigra persistette a darvi corso, asserendovi un pretesto di pubblica utilità, cioè di stabilirvisi una sala idro terapeutica, che ben poteva dispensare dalle formalità... Il Decreto dittatoriale de’ 12 settembre 1860, dichiarò beni nazionali quelli dell’ex Casa Reale di Napoli, ed altri?... Or la cospicua rendita di più milioni di lire di tutte codeste proprietà nazionali non figura sul bilancio dello Stato... Ma non posso tacere degli abusi dell’attuale tesoreria napoletana nelle sue relazioni col Banco do’ privati, con la Cassa di ammortizzazione, e con la Banca di Sconto. Nel prestito di 500 milioni il ministro delle Finanze qui ha detto esservi in Napoli un deficit di 20 milioni di lire, per Boni della tesoreria a favore del Banco de’ privati, e Cassa di Sconto. Ora, si è questo un incomportevole abuso. Non si toglie a prestito il denaro de’ privati abusando della santità del deposito: non s’illude il pubblico, dotando la Cassa di Sconto d’una somma sotto le sembianze di favorire il commercio, concedendo a’ negozianti de’ prestiti a tenue interesse, e traendone poi una somma maggiore a titolo di prestanza, senza pensiero di restituzione... Vi è in Napoli una Zecca, superiore a quante n’esistono in Italia; e per essa lo Stato spende meglio di 480 mila lire fanno.

In considerazione di ciò un decreto de’ 17 Febbraro di questo anno dispose cosi: — La Zecca di Napoli è autorizzata a coniare le monete di bronzo italiane, e ritirare dalla circolazione le monete di rame del cessalo Governo Borbonico. — Ebbene! in marzo decorso, non più ricorda il Governo l’esistenza di quel Decreto, non più quella della Zecca napoletana, non più l’annua spesa di 4$0 mila lire, e ferma un contratto di appalto colla Casa Estiwant per la coniazione di 12 milioni di moneta in bronzo... E questo contratto, oltre di essere arbitrario, ed illegittimo, è stato stipulato a Torino a’ 19 gennajo di questo anno, senza pubblici incanti, senza le private licitazioni a’ sensi di legge; lascia al concessionario, non solo l’utile del 23 per cento; ma concede doro quattro lire e 45 centesimi per la coniazione di un chilogrammo di moneta…»

Il deputato S. Donato fa la mozione raccomandando la misera condizione degli ufficiali militari del disciolto esercito borbonico, messi tutti al ritiro, cioè alla più cruda povertà. Deplora lo scioglimento del Real Collegio militare della Nunziatella, e quel ch'è peggio nota ostante le rimostranze fattene dal senatore Vacca, cui il ministro della guerra Fanti, promettea tenerne conto, e nel dimani pubblicava il decreto di scioglimento. Ricorda gli altri Stabilimenti militari della fonderia di Napoli, di Mongiana, l'Opificio di Pietrarsa, un di cotanto fiorenti sotto il cessato Governo, ed ora abbandonati; il polverificio di Scafati, che è stato ritenuto sempre ottimo: ed i cantieri marittimi di Napoli, e di Castellammare, dolorosamente dimenticati. Fa menzione degli ottimi navigli costruiti in que cantieri. — Passa poi a lamentare su la ingiustizia con cui procede il gabinetto di Torino nella distribuzione degl’impieghi, preferendo sempre i piemontesi pe’ più lucrosi ed importanti nell’ex regno di Napoli in tutti i rami, e destituendone i regnicoli napoletani; ovvero chiamandoli con degradazione a servire nelle antiche provincie Sarde. Accenna allo scioglimento del ministero de’ lavori pubblici in Napoli, i cui impiegati sono ivi rimasti con mezzo soldo infimo. Conchiude implorando il disbrigo della causa del Duca di Cajaniello da più tempo imprigionalo come Borbonico. Da ultimo dice, che accorre a Napoli, dove la patria è in pericolo, e dove egli può essere di maggiore utilità estendo l’avvenire molto nebuloso.

Il deputato Mellana riprova tutte le minuzie di dettaglio in questa discussione, e dice: «Or sono trascorsi tre mesi da che fu altra volta trattata questa grave ed ardente quistione del mezzodì; ed io domando alla Camera se la quistione napoletana sia da quell’epoca mutata in meglio, o dolorosamente in peggio?… «La quistione di Napoli è la più vitale, e superiore a qualsiasi consideratone di persone e di gabinetti».

Il deputato Ricciardi osserva: — «Fra qualche giorno noi torneremo ne’ nostri paesi; e con quale fronte potremo presentarci a’ nostri elettori () ; a coloro i quali ci commisero un sacro mandato, se non avremo esauriti tutt’i mezzi possibili per migliorare le condizioni delle provincie napoletane? Or io credo, che noi non possiamo tornare a Napoli, se non dopo aver esposto al Governo, alla Camera, all’Italia le vere condizioni di quelle provincie… le quali a forza di soffrire potrebbero infine indispettirsi, sdegnarsi, ne potrebbe nascere un serio disordine».

Coordinatamente al preopinante Ricciardi parla il deputato Polsinelli, e dice: — «Le condizioni delle provincie napoletane sono così miserabili e ridotte a tale stato, ch’è impossibile poter tornare laggiù con animo tranquillo. e sicuro () .. Debbo aggiungere altresì, che le Comuni sono indignate dalla burla e dallo insulto fatto loro; dacché i 5 milioni di sussidii per opere pubbliche, furono dati solo in cifra; ma finora non ebbero neppure un centesimo...

Il presidente interrompe per dire, che esce dalla quistione; ma il deputato risponde: — «Mi perdoni: ma è necessario che questo sia riferito nel verbale di rendiconto, perché si sappia che almeno un deputato ha avuto il coraggio di dire al ministero, che non era ero si fossero dati 5’ milioni».

Il ministro delle finanze dice esservi errore in ciò, mentre per decreto del Luogotenente furono messi a disposizione de’ comuni 5 milioni di fr. ed aversi in mano la prova, che alcuni comuni rifiutarono l'offerto soccorso.

Il deputato. Polsinelli replica alzandosi con forza: «Mi credo in dovere di darle una solenne negativa circa il rifiuto».

Tornata de' 13 luglio (n. 282.)

Il deputato Ricciardi insiste, perché nel verbale della tornata pomeridiana di ieri si facesse menzione che egli era inscritto pel primo a parlare sulle cose militari di Napoli, soprattutto de' tremila e tanti uffiziali, molti de’ quali languiscono nella miseria; e quantunque le sue interpellanze fossero state accettate: pure gli fu troncata la parola ()

(Chiusura della prima sessione del Parlamento)


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SECONDO PERIODO DELLA SESSIONE 1861

Tornata dei 20 novembre (n. 234 degli atti.)

Al deputato napolitano Zappetta, che accenna di dover muovere una interpellanza al Governo sulo deplorabili condizioni delle provincie napolitane, il Presidente de’ ministri Sig. Ricasoli, tra le altre cose, annuncia «le piaghe delle provincie napolitane non vi è medico, che le possa guarire.,... ed io credo, che il promuovere di nuovo questa quistione, sarà un perdere un tempo prezioso, sarà un ripetere una storia dolorosa di cose, che pur troppo tutti essi conoscono» — In quanto al chiesto armamento, osserva che non si possono avere soldati, allorché un brigantaggio feroce affligge le provincie su cui sono sparsi sei milioni di abitanti.

Indi prende la parola il deputato Francesco Proto, duca di Maddaloni, e depone sul banco della presidenza una sua mozione scritta su i gravi fatti, che accadono nelle provincie meridionali; mali che richiedono pronti rimedii.

Il presidente risponde di non occorrere, che si estenda su la proposta che verrà in seguito trasmessa agli ufficii, onde giudichino se sia il caso di proporne lo svolgimento, che sarà effettuato, qualora se ne ammetta la lettura ()

Al deputato medesimo, che insiste per la fissazione di un giorno vicinissimo per lo svolgimento dell’accennata interpellanza, risponde il deputato Boggio opponendo di esser più necessario discutersi le leggi di finanze e rinviarsi dopo di questa la interpellanza: nel rincontro dice: —«Mai le condizioni del nostro debito pubblico furono così infelici quali or sono: mai, neppure dopo il disastro di Novara. — In seguito deplora la intemperanza, e la inutilità delle discussioni dei mali delle provincie meridionali, la coi condizione, ciò non ostante, è sempre più peggiorate.

Sullo stesso proposito osserva il deputato Ferrari, «che in quelle provincie havvi la guerra civile... Io non voglio esagerare i mali del. brigantaggio: ma in fin de’ conti il malcontento continua e mentre i signori ministri molte volte ci dicevano momentanei i disordini, e fatti transitorii lievi, che il loro governo avrebbe fatti presto svanire; mentre i giornali e i loro amici moltiplicavano le assicurazioni, i mali si rinnovarono, e si aggravarono, e si mutarono i luogotenenti, ed in questo momento stesso si cambiava il Governo del regno di Napoli, e il tutto senza menomamente consultare la Camera...

«I rappresentanti del Governo hanno intrapreso nelle provincie meridionali de’ gravissimi atti, i quali mettono in dubbio la costituzione stessa. Vi furono dodici villaggi incendiati...

(Il presidente gl’impedisce continuare per non impegnare una discussione, che la Camera non ha ancora deciso se debba aver luogo)

Il deputato Brofferio dice: — «Il tempo per la quistione napoletana venne pure invocato: datemi tempo diceva un ministro, le provincie meridionali saranno pacificate. Trascorsero cinque, o sei mesi, ed invece di pace abbiamo sempre più fervida e dolorosa guerra».


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Tornata de' 22 novembre (n. 329)

Nella discussione del progetto, di legge per estendere il decimo di guerra ad alcune nuove provincie, il deputato Ricciardi. dimostra essere imprudente, impolitico, inopportuno di gravare ora con tale balzello le provincie napoletane, dove tutte le classi della società soffrono ne’ loro interessi per le avvenute mutazioni: orribile è il quadro che fa dello stato degli abitanti delle campagne. Passando poi a rassegna quello degli abitanti delle città dice: — «La miseria è grandissima a causa del ristagno delle industrie, e de’ traffichi; gli artigiani in molte località non hanno di che vivere. Si aggiunga il caro de’ viveri, che non è stato mai cosi grande. Nel tempo de’ Borboni il governo impediva che il prezzo del pane salisse oltre una certa misura, ed appena prevedeva la carestia, incettava grano; cosicché il prezzo del pane era sempre discreto. Invece noi che cosa abbiamo fatto? Abbiamo pubblicato un decreto, mercé il quale si concedeva libera la uscita de’ cereali. Questo decreto ha fatto salire il prezzo del pane; ed è certo che il popolo lo compra a molto più caro prezzo di prima, e fa intorno a questo fatto un poco lieto ragionamento, e dice: sotto i Borboni noi mangiavamo, ed ora mangiamo molto meno bene di quello che mangiavamo una volta.»

Dopo di ciò l’oratore passa a rassegna la trista attuale condiziono degli operai, de’ commercianti, de’ militari, ed in generale dimostra che tutti debbono essere malcontenti; come lo sono pure gli esercenti arti liberali, e sopratutto gl’impiegati, sia per la precaria loro situazione, sia per lo spavento di essere traslocati da Napoli a Torino, che da’ meridionali è ritenuto come la Siberia. Scontentissimi sono pure i proprietarii. Difatti egli dice «Signori, prima di venire a Torino ho percorse alcune provincie dell’ex-reame, e fra le altre la Capitanata... Posso dirvi quel che ho visto, e sentito. Sapete in quali condizioni trovansi i proprietarii di quella provincia? E credo si possa giudicare delle altre per analogia. I proprietarj non osano uscire dall’abitato; perché le strade sono infestate da’ briganti; ogni giorno hanno luogo i così detti ricatti; richiesta di denaro con minaccia di vita. Il più grave si è che le persone ricattate non osano ricorrere alle Autorità, per timore di veder distrutti i loro animali, incendiate le case ecc., è questo succede, perché le Autorità non hanno saputo finora prendere i mezzi idonei a proteggere i cittadini nella vita e nelle sostanze. Così per esempio nella stessa provincia vi sono circa duemila uomini di presidio, ma l’Autorità militare non ha saputo usare i debiti provvedimenti; l’autorità civile poi è inettissima, per modo che le popolazioni sono in certo modo abbandonate a se stesse.»Propone quindi che attesa la lunga serio di motivi di malcontento nelle provincie napoletane, la cui esposizione non gusta troppo all’assemblea, si sospendesse quivi l'applicazione della legge in quistione pel pagamento del decimo di guerra; indicando col tempo si avrà colà una miniera d'oro colla prossima incamerazione de' beni del Clero; colla vendita de’ beni demaniali; coll’affrancameuto del Tavoliere di Puglia, che solo basterebbe a dare immense ricchezze; co’ beni di Casa Reale, de' Gesuiti; dell'Ordine Costantiniane, sul quale proposito dice: — «Ed all’oggetto vorrei domandare al ministro, da cui dipende questo ramo, quale uso si faccia di queste rendite?»— Non tacerò che in Napoli si dice, che molto spreco si faccia di pecunia pubblica, e si vorrebbe sapere quale uso siasi fatto fin qui di cotesto denaro... — La quistione italiana sta principalmente nelle provincie napolitane... Supponiamo, che la guerra scoppii sul Mincio, voi dovreste sagrificare 50mila soldati italiani a comprimere la reazione nell’ex reame di Napoli… non bisogna obliare la reazione Europea, la quale non aspetta che una dimostrazione armata sul Mincio per destare una controrivoluzione nelle provincie napolitane. — Credete voi che non esista, e non sia forte il partito Borbonico?... Signori, non ci facciamo illusione, io conosco il mio paese: il partito esiste, è potente, ed aiutato dagli sforzi di tutta la reazione europea, tenterebbe senza dubbio un colpo, e voi dovreste proteggere quelle provincie con 40, o 50 mila soldati tolti alla causa italiana.»

Nella stessa tornata discutendosi di aumentare il dazio sul sale, il deputato Plutino dice: — «io credo, che aumentando ora il dazio sul sale sarebbe un voler provocare nelle provincie meridionali un malcontento nelle masse per riuscire poi ad esigere pochissimo.» — E sul nuovo dazio da imporsi su la spedizione degli olii, e de' cereali, come sovraimposta di guerra egli dice «oltre queste novelle imposte nelle provincie meridionali, oggi s’impone il registro, domani s’impone il bollo; noi pagheremo tutte le imposte come tutte le altre provincie del regno; ma d'altra parte desideriamo che il Governo abbia maggior cura alle condizioni anormali nelle quali si trova l’ex pegno delle due Sicilie.»

Ad una interpellanza dei deputato Ricciardi, il Presidente de’ ministri risponde, che la leva nelle provincie napoletane si deve fare colle leggi antiche ivi in vigore.

Tornata de' 29 novembre (n. 333 degli atti.)

Tre deputati con lettere offrono la loro dimissione cioè Malmusi di Modena, Turrisi Colonna di Sicilia, e il duca Proto di Napoli. I due primi per motivi di salute, e il terzo per contrarietà sofferte in occasione della nota mozione d’inchiesta su lo Stato infelicissimo del suo paese, e nell’analoga lettera de’ 27 di questo mese, tra l’altro dice... «Io era ben lungi dal credere, che la mia mozione dovesse destar tanti sdegni, e che ciò ch’avevo scritto pe’ soli deputati e per leggersi negli uffizii,. dovesse diventare di ragion comune dell’universale, e subbietto alle diverse dicerie della stampa periodica... La lettura della mia mozione seppe di reo? Ciò m’è grave. Non pertanto io non posso ritirarla, e ritiro invece la persona mia dalla Camera elettiva, dolorosamente protestando contro un potere che pare non voglia sapere, né riparare i mali che travagliano le provincie napolitane… Frattanto ho già ordinato venga data a stampa la mia mozione, acciocché gli amici del vero, e la storia possano conoscerne le vere parole, e il senso; e però giudicare a loro agio tra me, ed i miei avversarli politici.»

Tornata de' 3 dicembre (n. 340)

Nella discussione su le condizioni delle provincie napolitano () parla il deputato Brofferio, e tra le altre cose dice: «Come volete, che a Napoli non regni il brigantaggio; che non vi sieno ogni giorno ladri su le piazze; che non vi sia gente pugnalata; se la polizia non sa mai nulla; se quando si traduce un colpevole innanzi a’ tribunali, questi ne sanno meno della polizia? Tutti i giorni si arresta gran quantità di persone a Napoli, e a Palermo, e non abbiamo mai notizia alcuna de’ processi, e delle sentenze. La sola cosa che sappiamo è il rilascio a Napoli del duca di Cajaniello dopo sei mesi di detenzione. Ma se costui era innocente, come si è potuto custodire sei mesi in carcere sotto i dolori di una lunga istruzione processuale? Se era colpevole, perché venne rilasciato senza giudizio, e per semplice forma di procedimento? In 24 ore il Duca di Cajaniello, se era innocente, doveva essere rilasciato. — Da queste parole niuno argomenti, che io voglia biasimare le leggi penali di Napoli. — No, i Codici napolitani non sono secondi a nessun altro in Italia; io vorrei soltanto, che vi fossero onorati applicatori...»

Indi parlà il deputato Pisanelli, e dice: — «chi guarda al Napoletano vi osserva un malcontento diffuso: i più ne sono attristati: pochi vi gioiscono. Può ingannarsi chi capita in Napoli rapito da quel moto, e brio, improntativi dalla natura, e non vi è lutto e dolore che basti a cancellarli, lo credo, che a quel malcontento corrisponda un malessere reale… Se un uomo di stato s’inclinasse verso le popolazioni e napolitano, come un medico sul Ietto dell'infermo per esplorarne i dolori, egli udirebbe queste voci: noi ci sentiamo feriti, noi ci sentiamo umiliati... La rivoluzione camminò veloce sui passi di Garibaldi; e giunta in Napoli vi mutò gli ordini politici, scacciò la dinastia, disfece l'autonomia del paese. Ora, o Signori, è impossibile, che ognuno di questi fatti, non portasse per se stesso spostamenti e ferite d'interessi materiali… grande incitamento di passioni, gran conflitto nelle opinioni grande turbamento di tutti gl’interessi materiali nel paese stesso?... I prefetti, che avete inviati nel Napoletano non vanno, lo so: voi li mutate, e non vanno: li mutate ancora e non vanno. Non vanno le Corti Criminali; voi mandare te via alcuni magistrati. Udite due voci, una che vi dire — ne avete mutati troppi; — un’altra vi dice — non ne avete mutati abbastanza. — Signori, quando in un paese vacilla la cima del governo e l’autorità stessa che deve dar vita e forza a' tutta la macchina governativa, necessariamente l'oscillazione si spande sopra tutte le diramazioni della pubblica amministrazione.»

«Se io cerco la cagione, per la quale l’indirizzo del Governo è stato ondeggiante, mi si presenta un concetto, che io con tutta franchezza rivelo. Mi pare, che il Governo abbia ondeggiato per la persuasione di doversi poggiare sopra un partito politico. Ma al di sopra d’ogni partito politico ci era il paese, ed io credo che non sarà mai serio, né durevole un Governo, se non quando si fonderà sul paese… Tra i gravi errori del Governo vi fu lo scioglimento dell'armata borbonica. — Se (come si è fatto più tardi) i soldati borbonici si fossero mandati a’ depositi, non avremmo a lamentare tanti danni: essi invece tornarono alle loro case umiliati e scherniti. — Chiamati poi, e rimandati di nuovo, si videro esposti a nuovi oltraggi, e nuovi insulti. Ingrossò il fiele nel loro animo, e si trovò nel territorio napolitano una moltitudine di uomini devoti all'antico regime, ostili al nuovo, pronti e a pigliare qualunque occasione per rovesciarlo… Dislogando, e rompendo le istituzioni di un paese, senza beneficio dello Stato, si affralisce, non se ne afforza l'autorità. — Or io domando, con qual vantaggio per l’Italia si è mutata la condizione della scuola militare di Napoli? Essa è ridotta ad una scuola secondaria. Il solo frutto che n’ha raccolto il Governo è stato il malcontento di quelle popolazioni. Con quale vantaggio, o benefizio si sono espulsi dal Collegio di marina parecchi alunni... I napolitani pensano, che di essi non siasi tenuto quel conto che credono di meritare… Se i napolitani costituiscono la terza parte dello Stato, se sono chiamati a corrispondere a' carichi pubblici, come tutti gli altri Italiani, è giusto, che concorrano anche in una parte e proporzionata negli uffizii dello stato, in quelli della pubblica Amministrazione. E questo voto, e desiderio non lo guardate come vile e spregevole. E’ vero, il Governo ha pagato, e dà il soldo a coloro, che sono stati messi fuori le Segreterie; ma non è il solo soldo che consola l'uomo. Ognuno sente il desiderio di spendere la sua mente, l’opera sua per 1’amministrazione della cosa comune. C'è dunque in questo sentimento d’umiliazione, che provano i napolitani, qualche cosa di nobile, di generoso, che il Governo dovrebbe rispettare. Ho parlato con molti che fruiscono lo stesso stipendio primitivo. Essi sono tristissimi, più tristi forse che se fossero stati destituiti... Quelli della marina sono stati fusi con quelli degli antichi stati sardi, perdendo grado ed anzianità. E avvenuto lo stesso pe’ macchinisti, che han reso servizi importanti, i quali in un sol giorno sono stati costretti tutti a dare l'unanime dimissione. È avvenuto altrettanto nel Corpo Sanitario dell’armata. E avvenuto lo stesso in tutte le Amministrazioni. Vi citerò un solo esempio: — Il ministero di giustizia si è ordinato pria dello scioglimento della Luogotenenza, poiché questa per intendimento del governo dovea finire. Ebbene, si sono nominati sei Capi di divisione, e né pure un napolitano tra questi. In questi fatti è riposta una gran parte del segreto dell’amministrazione delle provincie napolitane. Come volete, che esse si persuadano che i loro interessi saranno studiati, le loro ragioni valutate, quando i loro affari sono commessi a persone, che non hanno intima e diretta conoscenza delle cose loro?... Certo è, che i mali delle due Sicilie procedono da tante cause, che occupano gli spiriti, inceppano tutta l’amministrazione. — Io non ne conosco una che vada bene: ciò che osservo nell'amministrazione della giustizia, l’osservo nell’amministrazione civile, in quella de’ Dazii indiretti, in tutte le altre amministrazioni, e sono costretto a persuadermi, e che il male discende da un principio più alto, più generale.»

Nella seguente tornata de’ 4 dicembre parla su lo stesso argomento il deputato Ricciardi e deplorando le ingiustizie che si fanno soffrire all’Esercito Borbonico dice tra l’altro: «Gli ufficiali di quell'esercito ammontavano al numero di 3684, di cui appena cinque o sei centinaia sonosi chiamati in attività. — I sottofficiali, gioventù intelligente e bellissima, ammontava a 12,226; sono distrutti... Certo non v’è da rallegrarsi ogniqualvolta volgasi l’occhio allo stato della nostra finanza. I 500 milioni del prestito da noi votato pochi mesi fa consumati prima dello incasso, vale a dire, spesi a credito; buoni del tesoro emessi in gran quantità: impossibilità in questo momento di contrarre un novello prestito, stante il bassissimo corso della nostra rendita...

«Un poco di critica farò sul capo delle indennità. Queste si danno con una facilità grandissima, massime nelle due Sicilie, e non senza ingiustizia, dandosi solo agl’impiegati dell’Alta Italia, mentre a’ napoletani, che vengono traslocati nel Piemonte non se ne dà alcuna. — Debbo parlare contro le spese di rappresentanza, delle quali si è fatto spreco indicibile. Che importa all’Italia in questi momenti, che i Prefetti diano pranzi e feste da ballo? L'Italia ha ben altro e ha pensare! Non vi citerò che un esempio. Il prefetto deputato generale Lamarmora ora riceve 120mila lire l'anno per ispese di rappresentanza, oltre il suo stipendio da generale. Or io domando, se in questo momento si possa fare una simile spesa?...

«La maggior parte de’ decreti del Governo sono profondamente incostituzionali. Per esempio, si sono accresciute le piante di quasi tutte le Amministrazioni; si sono creati impieghi nuovi e quindi stipendi nuovi, ed aggravi allo, stato, che il solo parlamento a aveva il diritto,d imporre, e nulla ne conosce...

«Altri decreti incostituzionali sono, quello recentissimo su le circoscrizioni giudiziarie, e l’altro dell’abolizione di alcuni corpi religiosi, ed al mantenimento di altri. Queste abolizioni, e queste conservazioni sono fatte a capriccio, di modo che molte delle corporazioni abolite hanno diritto a lagnarsi. Si è voluto fare per decreto ciò che solo poteasi per legge; e cosi avete dato il diritto a’ preti cd alle monache, ed a’ monaci, che certo non vi amano, di odiarvi più sempre…

«Abbiamo cose molto più urgenti da fare, che andar abolendo questa o quella legge al napoletano, per introdurvi le leggi dell’antico Stato di casa Savoia, le quali non sono al certo le più perfette.

«Non bisogna dissimularlo, in questi ultimi mesi si è operato un fatto importante, una reazione generale verso l'egemonia Piemontese...

«Il personale degl’impiegati venne mutato a capriccio, senza veruna norma, vale a dire alcuni impiegati e borbonici sono stati cacciati via; altri mantenuti; alcuni onesti licenziati, alcuni tristi messi in loro luogo. Quanto alle finanze, credo, sappiate la penuria immensa dell’erario di Napoli, tanto di essersi dovuti mandare da Torino a Napoli alquanti milioni… Come mai questo paese, le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118, è in così misera condizione?... Si agita la quistione se il brigantaggio sia vera guerra civile: io credo oziosa questa, discussione. Esaminiamo il fatto: Noi abbiamo un numero considerevole di uomini con le armi alla mano, che vorremmo chiamar ladri; ma d’altre parte veggo che questa gente innalza bandiera bianca, in alcuni luoghi stabilisce governi provvisorii... Per lo meno potrà essere metà brigantaggio, metà guerra civile... Supponete, che un uomo di genio sorga nel Napoletano; che cosa accadrebbe, massime se la guerra scoppiasse sul Mincio? Persuadetevi, Signori; si debbono mettere in opera i mezzi i più attivi per rimediarvi, e non tanto i mezzi di rigore, quanto quelli diretti a contentare il paese. Solo vi dirò, che per l’avvenire bisogna evitare ciò di cui fummo testimoni pur troppo. Finora abbiamo avuto nel fatto lo stato di assedio, benché non fosse stato decretato dal parlamento; anzi né pur dal Governo; ma senza nessuna delle garanzie dello stato d’assedio venne applicato fra noi... In prova di ciò, citerò il dolorosissimo fatto di Somma. () Saprete che colà sei individui, io non saprei se borbonici, o non borbonici, furono arrestati, ed in meno di tre ore fucilati... E quel fatto provocò la dimissione dell'onorevole mio amico marchese d’Afflitto, governatore di Napoli. Io mi limito a citare questo fatto, non fò coménti... Due sono le principali piaghe di quelle provincie, che tutti, quantunque con mezzi diversi, vogliamo curare.

La piaga morale è l’offesa profonda recata a sette milioni d’uomini; ed io credo, che da tutta la tela del mio discorso sia risultata la prova di questa offesa. Un paese, che per otto, o nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia; un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può esser contento. Aggiungete la invasione d'impiegati non nativi del paese i quali (a torto forse) non sono veduti di troppo buon occhio… Quanto alla piaga materiale, tutti sanno, che c’è quivi ristagno di ogni cosa, e che la miseria è grandissima… E poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l’Italia, da Torino non si regge Napoli: questa per me è convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali.»

Nella susseguente tornata de’ 5 dicembre, continuando la discussione su lo stesso tema ed arringando il deputato Zuppetta su le cagioni del malcontento generale nello ex regno di Napoli; ne discorre cogli argomenti del suo colore politico; e pure dice: — «un altra causa di calamità, la ingiustizia nel santuario della giustizia: e questa calamità dura tuttavia, e va sempre più peggiorando... sa la sicurezza pubblica è più il tacer che il ragionar onesto, non ne dico altro. Il 25 luglio 1860 Francesco II facendosi meno borbonico de’ borbonici, stabiliva che alla Guardia nazionale i retrivi non potevano appartenere;... e voi late il rovescio della medaglia.»

Il deputato napoletano Mandoj Albanese parla su lo stesso soggetto, e protesta di esser «egli quello stesso, che nel decorso anno, mosso da amor di patria, ed incontrando disagi e dispendii, venne in Torino, per dire al Governo, che la politica inaugurata nelle generose provincie napolitane era falsa rovinosa, dissolvente, e che avrebbe menato non a fare, ma a disfare l'Italia.»

Annovera fra gli errori gravi del governo piemontese la dissoluzione dell’esercito Borbonico, composto di 97,158 nomini, di 3684 ufficiali, formante 72 battaglioni, 51 squadroni; e 16 batterie montate; — come pure il profluvio di leggi, che sì intempestivamente si vollero promulgare; esse furono causa di malcontento, di babilonia, di mancanza di governo, che tuttavia regna in quelle provincie. Invano il paese gridava: non più leggi, non più inopportuni decreti novità che oggi ci getteranno nella confusione…

«Il Governo centrale ha voluto, e vuole amministrare quelle infelici provincie, non colla opinione del paese, ma contro, anzi a dispetto di questa...

«Vi fò da ultimo osservare, che i dolorosissimi casi di Napoli sono gravi, anzi gravissimi: le nostre famiglie, i nostri cari sono in gravi od imminenti pericoli. I nostri genitori le nostre mogli, i nostri figli aspettano da voi un salutare cd energico provvedimento. Guai se la camera non ascoltasse le loro voci!...

Nella successiva tornata de’ 6 dicembre un lungo esaltato discorso pronunzia il Deputato Petruccelli, la cui conchiusione offre argomento a poter meglio definire lo stato dell’ex regno di Napoli e come ne sieno in segreto allarmati gli stessi deputati annessionisti— «Credo, che nessuno in quest’Assemblea possa pensare, che io sia contrario alla libertà, però vi sono delle circostanze, in cui la libertà è omicida. Ora ciò avviene, nelle provincie del Napoletano. Io domando che lo stato d'assedio sia messo in quelle provincie, dove infierisce il brigantaggio. Nella tornata de’ 7 dicembre, continuando (a discussione su la condizione delle provincie meridionali, in una dell’interpellanze del deputato Ricciardi è detto: «Un oratore ha parlato delle detenzioni arbitrarie di Napoli, e specialmente di quella di sette mesi del Duca di Cajaniello. Nessuno ha risposto a questa importante domanda, al quale proposito dirò, che nelle sole carceri di Basilicata, un mese fa esistevano mille nove detenuti, a giudicare i quali non v’erano che quattro magistrati. Ho pure richiesto il ministro della guerra su le condizioni misere di 3684 ufficiali dell’ex esercito delle Due Sicilie, e segnatamente su la capitolazione di Gaeta, che alcuni fra quegli ufficiali lamentano violata a loro riguardo.»

Nella stessa tornata si ha l'incidente del deputato Bertani, che accagiona il ministero di aver violato a danno di lui il segreto postale delle Lettere.

Il ministro di giustizia Miglietti vorrebbe, che si procedesse ad una inchiesta su questo incidente, che chiama disgustoso, ed insiste, che fosse fissato un termine per la presentazione de’ documenti di risulta. — AI che il deputato Crispi soggiunge: — «Sappiamo come si va nella istruzione, de’ processi, i quali non possono improvvisarsi, né inconsideratamente compiersi. — Volesse Iddio, che i giudici del ministro Miglietti facessero con la chiesta celerità il loro dovere, e che in breve tempo istruissero i processi. Io potrei citargli più di 500 individui, che marciscono nelle carceri di Palermo, e che da due mesi non furono neppure sentiti».

Nella tornata degli 8 dicembre () continuando la stessa discussione, il deputato Ricciardi opponendosi alla chiusura della discussione dice: — In questo momento mi sono giunte lettere gravissime da Napoli.

«Non accennerò, che un solo fatto, cioè, che nella Basilicata, in tutti i luoghi, dove il brigantaggio si mostra più minaccioso, le popolazioni fanno da se, costituiscono governi provvisorii. Ora questo mi sembra un pericolo immenso; ed in questo momento io parlo da conservatore, e non da rivoluzionario, come tutti se mi credono.»

Il deputato Mancini nella stessa tornala in un lungo discorso dice tra l'altro: — «un malessere, un profondo malessere realmente esiste nelle provincie napoletane; mentirebbe a Dio, ed alla sua coscienza chi non lo confessasse... Egli è frutto d’improvvidi errori. Errori di chi? Siamo veraci, ed imparziali, o Signori, errori di tutti; perché errori si commisero da quanti di noi ebbero parte nell’amministrazione di quel paese… Lascerò da parte il male del brigantaggio, non perché non riconosca essere in questo momento il più grave, il più sensibile ed intollerabile di que’ mali,; in fatti, quando in un paese ad ogni cittadino, e principalmente a quello della parte liberale, manca ad ogni istante la sicurezza della vita, e delle sostanze, quel paese è nella condizione la più miserevole, che si possa immaginare».

Nella tornata de’ 9 dicembre parlando il deputato Mellana sul medesimo argomento, s’interrompe per dare al Presidente de’ ministri un foglio a stampa su l’istante rimessogli da alcuni deputati. Si propaga nella Camera che contenga quel foglio una dolorosa notizia, che produce una generale costernazione. È in francese, e il presidente del consiglio ne dà lettura, dalla quale si conosce, che il generale Lamarmora mette in mora il Governo a cambiar di politica, altrimenti darà la dimissione dalla carica di prefetto. Ed è smentita la esistenza di questa assorta protesta di Lamarmora.

In questa stessa tornata il deputato Ricciardi dice: — «Quello che dissi ieri della Basilicata fu da me attinto in parecchie sorgenti: ma specialmente nella relazione verbale di un testimonio oculare, che è il nostro collega Lovito qui presente, il quale potrà attestare i fatti da me accennati.

In conseguenza invitato a parlare il depistato napolitano Lovito, comincia dallo sferzare il presidente Ricasoli, e il ministro Peruzzi, che con leggiadria di discorso intendevano dare notizie confortanti di Basilicata, dove egli dice, che fin dai 5 novembre le bande reazionarie avevano occupati i comuni di Trivigno e Stigliano (capoluoghi di circondario) , dove, a grande disdoro del governo piemontese, aveva sventolato per due giorni la bandiera Borbonica. — Aliano, Corigliano, Grassano, Accettura, Pietragalla, Bella (capoluogo circondariale) Craco, Salandra, Vaglio a sei miglia dalla capitale della provincia; e conchiude così: — «Mi riserbo a suo tempo ili formulare de’ capi di accusa contro il governatore di Basilicata, onorato teste non so di qual croce ce secondo il costume del Governo di accordare decori razioni in ragion diretta degl’insuocessi. Ed allora dice mostrerò, che sotto gli occhi del Prefetto di Basilicata (sig. de' Holland) in pieno meriggio, a suono di tromba, nella Valle del Sauro, si è organizzata, durante tutto il mese di ottobre la banda di Borjes».

Il deputato S. Donato, nella stessa tornata dice, tra le altre cose: — «Io voto contro il Gabinetto, lo dico altamente, perché esso disgraziatamente non ha capito le vere condizioni delle provincie napoletane, tanto nel fatto di una giusta ed equa ripartizione degli impieghi; quanto in tanti altri singoli atti. Il sig. Menabrea, ministro di marina, ci ha dati, tra i molti, due esempii di un arbitrio unico nella storia costituzionale; egli ha cercato sopprimere un collegio di marina rispettato…» (è interrotto dal presidente che gli dice di limitarsi a parlare contro la chiusura) .. «Io voleva parlare contro la chiusura (continua il deputato) perché ho a dire un mondo di fatti, e di. dettagli, e di miserie, che riguardano le provincie napoletane. Se si chiude la discussione debbo solennemente protestare contro questo fatto, che impedisce ad un rappresentante di mettere al corrente il. Parlamento de’ veri bisogni del mezzogiorno.»

Nella tornata del dimani (20 dicembre) l’anzidetto, deputato S. Donato insiste per aver la parola e continua, tra l’altro, nel seguente tenore. — «lo desiderava, che nella ripartizione 'degli impieghi civili e militari si fosse tenuto religioso conto delle provincie napoletane, che rappresentano quasi otto milioni di Italiani. Ebbene, o Signori, si sciolsero tutti ì Dicasteri, tutte le amministrazioni centrali; tutto ciò che c’era di burocratico in Napoli, senza per nulla tenere nel debito riguardo quegl’impiegati, che pur è gente onesta, capace, intelligente, e che ardentemente desidera di esser meglio utilizzata. Metteteli all’opera, e lo vedrete. In 10 ministeri, che sono a Torino, permettete che ve lo dica, non ve n’è uno in cui si trovasse per capo di divisione qualche napoletano. Capisco da’ rumori, che le mie parole debbono toccare molte suscettività; ma il dovere mi conforta, à continuare... Tutti gVimpiegati che da Torino si sono mandati a Napoli, non solo sono stati promossi di soldo) ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, fino a quattrocento franchi al mese di indennità; mentre a napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo; ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli. La cosa è verissima, diciamola chiaramente... Il deputato Pisanelli vi diceva: «se voi interrogate il popolo napoletano, voi ci trovate del dichiarato scontento e dell’amor proprio offeso. Infatti, non vi è instituzione pubblica, collegio, università, amministrazioni, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della marina signor Menabrea, con un coraggio unico al mon do, ha invitati 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (ch’essi vi tenevano da tre, o quattro anni messi al tempo dei borboni) , unicamente perché gli è piaciuto di dire, che questi erano entrati nel 1858, quando a Napoli non vi erano i regolamenti piemontesi. Citerò l'affare de’ macchinisti, che fra tanti che dovrei narrare, ha anche accresciuto, il malcontento. — L'armata navale aveva, fra le molte cose buone, de' macchinisti abili e distinti, che, secondo le antiche leggi napoletane, erano assimilati a sottotenenti. Il ministro Menabrea pretendeva assolutamente assimilarli a sottuffiziali; — e perch’essi si opposero alla sua volontà, il sig. Menabrea (sempre con un coraggio che mi piace ammirare) , li sottopose ad un Consiglio di guerra per farli condannare per insubordinazione, che il Consiglio di guerra non vi ha ritrovata. Ebbene, o signori, mettiamoci una mano su la coscienza ed accumuliamo tutti questi fatti insieme: impiegati in disponibilità, impiegati non al loro posto, impiegati mandati via, l’elemento napoletano tolto dall'esercito... e dopo tutto questo volete che il paese sia favorevole all’attuale Governo?


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'In seguito parla il deputato siciliano sig. Crispi, nel cui discorso sono notevoli le seguenti cose: — «Credete voi, o Signori, che in Sicilia si eseguano lo Statuto, le leggi nuove, e gli stessi Codici del cessato governo? Niente affatto. Ascoltate: In una provincia di Sicilia sono saccheggiate alcune case rurali; incendiala una fattoria, ed il padrone minacciato di vita. Egli chiede giustizia, e gli viene negata. Che cosa di più? Questo offeso è tratto dal suo domicilio, e viene confinato in altro comune, con ordine all’autorità amministrativa di non farnelo allontanare.. L'offeso punito economicamente dalla luogotenenza di Vittorio Emmanuele, è il sig. Filippo Pancali: il. comune in cui furono consumati i reati si chiama Vittoria; Comiso è il comune in chi Pancali è confinato: la provincia è Noto. — La notte del 9 al 10 di questo mese, la forza pubblica circonda una casa in Partinico. Il proprietario Angelo Nobile all'annunzio di quella visita, salta sul tetto per fuggire; la moglie và ad aprire la porta: la polizia entra, e si dà ad una severa perquisizione. Un uomo della forza pubblica si accorge dalla finestra, che il fuggitivo era sul tetto, tira il fucile, e lo uccide. Un fatto simile era avvenuto in Bagheria un mese prima. — Un fatto più terribile avvenne pria ch’io partissi da Palermo nelle carceri centrali della provincia: un arrestato entrando venne ucciso sul limitare della prigione. —Più volte si sono sporti reclami al ministro di giustizia contro gli arresti arbitrarii; senza che le autorità locali se ne fossero incaricate. — A' 16 dello stesso mese essendomi presentato all’Autorità giudiziaria per chiedere di alcuni arresti fattisi in Partinico, ed in altri comuni della provincia, l’Autorità stessa nulla ne conosceva. Rivoltomi al questore del circondario, ed al Segretario della Sicurezza pubblica, venne risposto che essi non avevano spedito niun mandato d'arresto. — Il ministro di giustizia volesse anche i nomi degli arrestati? — Glieli darò. Sono essi Patti, Timpa, Nobile, ed altri. — Ebbene, Signori, il 28 novembre, giorno della nata partenza da Palermo, gl’imputati non erano stati ancora rimessi al Procuratore generale del Re, presso la Gran Corte Criminale.

«Un altro fatto debbo narrarvi. Abbiamo nelle prigioni di Palermo individui assoluti dalla gran Corte Criminale, che l’amministrazione di Sicurezza pubblica tiene ancora in prigione, malgrado là loro assolutoria. — Non vi parlerò della pubblica sicurezza. In Sicilia siamo costretti ad andare sempre armati per tutelare la nostra persona, e le nostre proprietà. Nel corso d’un anno da che vi si è stabilito il governo di Vittorio Emmanuele, nel circondarlo di Palermo più di 200 reati di sangue sono stati commessi. Per cinque sesti i processi furono istruiti contro rei ignoti; dell’altro sesto non tutti hanno avuta la meritata punizione.

«Non so se conoscete, la celebre lettera del prefetto di Catania sig. Tolosano, al commendatore Minghetti, che tutti i giornali han pubblicata. In questa lettera si accusava lo stato infelicissimo di quella provincia (nella quale per altro si commettono meno reati che in tutte le altre della Sicilia) Ebbene il Tolosano accusa d’insipienza e di poca moralità gl’impiegati di sicurezza pubblica, e la magistratura; od aggiunge, che i testimoni non osano deporre per paura de’ facinorosi».

A’ 13 dicembre. — Proseguendo la discussione sullo stesso argomento, parla il deputato Minervini, nel coi discorso sono osservabili i seguenti cenni: — «Ricorderete, che si volle con un decreto luogotenenziale de e’ 17 febbraro di questo anno importare in Napoli i codici piemontesi del 1859... Non trovo però, che vi fosse ragione di portarli nel napoletano, dove ci erano leggi... contenenti disposizioni umanitarie e civili, imperanti colà fin dal 1819... Vi parlerò prima del Codice penale napoletano. Ivi allorché si parla di reati contro l’onore e la pace delle famiglie, non abbiamo mentovato altro, che l’attentato al pudore, e la stupro, ma l'incesto, e tutte le altre cose, che non istanno nel pudore del legislatore a qualificare, furono scongiurate con assai filosofica dizione, senza che potesse derivarne inconveniente, o immunità ne’ casi possibili. È questo il vantaggio, che le provincia napoletane, e siciliane avevano dal 1819, è che con la pubblicazione si trovò giusto di mantenere, con altre cose; e che io vorrei far estendere al Piemonte, alla Lombardia, alla Toscana, a’ ducati, ed a tutte le altre provincie… Nel Codice delle dee Sicilie vi era il gran beneficio, che ogni imputato avesse il diritto alla spontanea presentazione, sotto, un modo, di custodia esteriore fuori carcere» () (L'oratore vorrebbe far comune questo beneficio estendendolo alle legislazioni provvisorie delle provincie annesse; ma tutta la su» proposta è rigettata dalla Camera)

Continuando la stessa discussione nella tornata dei 18 dicembre il deputato Ricciardi comunica un grave sconcio al ministro de' Lavori pubblici, con le seguenti parole: «È giunto stamane in Torino un dispaccio telegrafico li Sertacapriola, borgo di Capitanata con 2 giorni, e 55 minuti di ritardo; perocché spedito alle 3 antim. del 16, il dispaccio non è arrivato qui che stamane alle 3 antim. 55 minuti. Ma questo è nulla; ché un dispaccio spedito da Napoli il giorno 7, non è giunto qui, che il giorno 12, vale a dire con 5 giorni di ritardo! Or demanderò al Ministero se valga meglio servirsi del telegrafo, o della posta. Mi è forza altresì chiedere due schiarimenti al Governo; e prego là Ca mera ascoltarmi, perché si tratta di cosa molto importante. In un mio recente viaggio, essendo entrato in colloquio con un impiegato a’ telegrafi, domaudai se qualche volta i dispacci telegrafici fossero trattenuti. Mi fu risposto, che per poco i dispacci destassero sospetti negl'impiegati, essi erano costretti riferirne all’Autorità politica del luogo. — Soggiunsi: si restituisce almeno il denaro? — E con mia immensa meraviglia mi fu risposto: — no!

Nella togata del 29 dello stesso mese l’anzidetto deputato Ricciardi fa la seguente interpellanza al ministro dell’interno: — «debbo richiamare l’attenzione sopra uno stranissimo bando pubblicato in Foggia dal Prefetto di Capitanala. — Quel signor Prefetto minaccia gravi pene a coloro fra i proprietarii, i quali avranno ceduto alle minacce de’ briganti, a’ così detti ricatti. — Pochi giorni dopo questa strana pubblicazione, molti proprietarii si presentarono al prefetto per domandare mano forte contro i briganti: dicendo se voi non volete che cediamo alle minacce de’ briganti, dovete proteggerci contro di essi. Il signor prefetto rispose, non avere forza disponibile a ciò. Dimodoché questi poveri proprietarj si trovano in una stranissima situazione da una. parte sono minacciati da’ briganti, i quali se non ricevono i denari richiesti, veggono ucciso il loro bestiame, arsi i magazzini: se poi cedono alle dette minacce, incorrono nelle pene comminate dal signor Prefetto. Io credo, che basterà aver segnalato questo strano procedere ()

Nella tornata de’ 21 dicembre seguono due proposte del ripetuto deputato Ricciardi, nelle quali sono rimarchevoli le seguenti cose: — «Veniamo all’apostrofe al ministro della istruzione pubblica, cui dirò: in che modo riordinaste la Reale Società Borbonica di Napoli? Avete nominati 13 membri sopra i 29 di questa società reale, dando loro facoltà di nominare i rimanenti. Ma è accaduto, che questi 13 riunitisi per procedere all'elezione hanno nominati esattamente tatti i loro antichi colleghi, che erano quelli precisamente, che il governo avrebbe voluti escludere! Non aggiungo altro. — L’altro punto della mia apostrofe si riduce a questo. che non mai la istruzione pubblica è tanto costata allo Stato, e non mai si è veduta in condizioni cosi infelici. Lo stesso, rivolgendomi al ministro dell’interno, potrei dire della pubblica sicurezza. Tutti sanno la ingente spesa costata allo Stato per lo stabilimento nelle provincie meridionali delle così dette guardie di pubblica sicurezza, le quali a tutt’altro vegliano, che alla sicurezza pubblica. È noto altresì quale ingente somma è stata spesa nello arruolare circa 14 mila guardie mobili, le quali, per essere state mai capitanate o male adoprate, non hanno reso verun servigio. Agli onorevoli ministri della guerra, e marina, io non farò che un appunto, quello cioè, di non aver introdotto finora nello esercito, e nella flotta un numero proporzionato di ufficiali napolitani, e questo è un grave torto. Al ministro delle finanze dirò di presentarci que’ benedetti bilanci, tanto più che da quattro anni il Parlamento non ha la soddisfazione di esaminarli. — Ora vengo alla giustizia... Non parlo del torto avuto dalla magistratura delle provincie napoletane nel tollerare durante questi ultimi tempi, i soprusi dell’autorità militare, la quale è la peggiore che io mi conosca.— Per carità patria io tacerò di questi sorprusi: solo ricorderò all’onorevole Guardasigilli, che le prigioni dell'ex-reame di Napoli sono ripiene di detenuti, i quali aspettano invano da lungo tempo il loro giudizio () Citerò questo proposito un solo esempio. Passai ad Avellino il 1 novembre ultimo. Ora il credereste, Signori? Giudicavasi quivi in quel giorno la causa di Ariano, per gli orribili fatti del 4 settembre dell'anno scorso, in cui circa 80 guardie nazionali furono scannate dalla moltitudine sollevata. Sono 14 mesi da che i fatti in discorso sono accaduti, e non ancora è terminato il giudizio. La detenzione di molti altri incolpati continua, contro il voler della legge in modo indefinito. Credo, che tutti conoscano i casi del principe di Ottajano, e del duca di Cajaniello. Nomino questi signori, non perché principi, o duchi, ma perché persone ben note. Certamente se nominassi il contadino A. o il popolano B. nessuno se ne occuperebbe. —Debbe esser noto al ministro guardasigilli, che alcuni cittadini sono stati pregati di esulare, con manifesta violazione della legge. Se il Governo crede, che attesa la situazione eccezionale delle due Sicilie, gli sieno necessarii poteri estesi più di quelli che concede la legge, li chieda al Parlamento: ma violare fa legge è cosa tempre pericolosissima. È d’uopo sapere che molti arresti sono stati fatti con gran leggerezza, vale a dire sopra semplici denunzie. Tutti sanno che il denunziante è l'uomo più vile del mondo. Or bene è accaduto spessissimo, che più onorevoli cittadini sono stati arrestati sopra una semplice denunzia.

Nella tornata di 22 dicembre nella discussione della legge per l’applicazione dell’ordinamento giudiziario sardo alle provincie napoletane, e siciliane, parla il deputato D’Ondes-Reggio, nel suo discorso sono notevoli le seguenti cose. «Ora, perché veramente si è fatta questa innovazione? lo non trovo altro motivo, se non perché in Piemonte l'ordinamento era in questo modo. Ma è venuto mai in mente ad un napoletano, ad un Siciliano di dire: in Piemonte abbracciate per forza questo sistema, perché in Sicilia, ed in Napoli è desso in vigore? Credo, che non lo abbinino detto mai. Ma dunque, perché si vuol fare queste innovazione senza nessun altro motivo? E pure il sistema piemontese che or si vuole introdurre in Napoli, ed in Sicilia è d’indole peggiorata perocché i giudici d’appello da 7 sono ridotti a 5, con gradi minori di probabilità per la giustizia... E questo, o Signori, è il sistema vantato come il migliore, che vorreste far abbracciare a tutti i popoli civili del mondo, io credo,. ché nella patria di Beccaria, di Filangieri, di Pagano, di Romagnosi, e di Carmignani, si possa fare qualche cosa di meglio...

«In breve le condizioni io coi si trova la Sicilia sono le seguenti: Leva, che travaglia e addolora, ma è necessità. Abolizione di tutte le amministrazioni, che travaglia e addolora, ed è in parte necessità pel sistema di concentramento, ma in parte è voluttà di distruggere. Abolizione della luogotenenza, che travaglia, e addolora, non necessità, ma voluttà di distruzione. Occupazione delle case religiose, ciò che travaglia e addolora; non necessità, ma voluttà di distruzione. Ed ora anche voluttà di distruggere l’amministrazione della giustizia!...

«E di questa distruzione l’effetto, o signori, sarà, e che infine la gente vedendosi impossibilitata ad ottenere subito giustizia per torti sofferti, e che manchi l’autorità efficace a conciliare gli animi, ognuno, si fare giustizia colle proprie mani.

Tornata degli 11 gennaio 1862.

Il deputato Crispi muove interpellanza su’ fatti tragici di Castellammare in Sicilia, che definisce essere di maggiore importanza di quel che possano farli credere le reticente della Gazzetta officiale; e che le Autorità locali erano stata informate 20 giorni prima, che quivi scoppiasse la insurrezione. Marcatamente dice «che il malcontento in Sicilia è gravissimo; ed il governo è pregato a voler ben guardare a quanto succede colà.» L’oratore accenna ad altri fatti, tra quali, che in un comune della provincia di Girgenti fu abbattuto lo stemma sabaudo, e posta in sua vece una croce di legno nero.

Nella susseguente tornata de’ 15 gennaio l’altro deputato Siciliano D’Ondes Reggio sul medesima soggetto muove ancor egli interpellanza al ministro guardasigilli, rammaricandosi, che cinque cittadini sieno stati fucilati senza essere stati sottoposti a processo regolare. & Ra lo altre cose osserva: «Questi cinque di Castellammare saranno stati de’ ribelli; almeno credo, che tali saranno stati, perché appunto, non essendovi ancora giudizio, e io non so che cosa veramente fossero...: e per quante onoratezze avessero, potuto commettere, ciò non toglie, che avrebbero dovuto essere condannati secondo la legge (art. 71, e 72, dello Statuto) .. Que’ cinque dovevano avere il tempo, ed i mezzi di difendersi, e dovevano essere giudicati da’ magistrati quali dalla legge sono stabiliti. Di essi era necessario vedere chi realmente fossero stati rei, o no, se questi rei fossero colpiti dalla pena dell'estremo supplizio o da pena minore. Poteva tra loro trovarsi un minore, che appunto per essere tale pel suo reato non va soggetto alla morte. Coloro, non ostante fossero stati presi con le armi alla mano, potevano essere innocenti, poiché non è questa la prima volta, che de’ ribaldi s’impadroniscono di persone innocenti e le costringono di stare in mezzo a loro con le armi alla mano: quindi poteva anche ben darsi, che fra que cinque si trovasse non solo un innocente, bensì un uomo che fosse di idee liberali, e ciò nullameno sia stato trucidato: in fine poteano essere rei eppure poteano anche meritare perdono; altrimenti non avrebbe senso il diritto di grazia, che è consacrato nelle nostre leggi, ed in tutte le leggi de' popoli civili... —Signori, crudeli o feroci sono i selvaggi, i deboli, i timidi, gl’ijnprobi; ma i civili, i forti, i probi, i magnanimi sono di sensi umani, vogliono la giustizia, ed anche perdonano… Non dico adunque desidero, ma chieggo, ed ho diritto di vedere in nome delle libertà, e della giustizia, che niuno patisca pene senza regolare giudizio».

E sullo stesso proposito prende la parola l’altro deputato Crispi, e soggiunge: — «Non è soltanto ne’ momenti di tempesta e d’insurrezione, e il governo ha proceduto con illegalità. Noi tutti conosciamo, gli arresti arbitrarii; tutti sappiamo, che non è molto, un onesto cittadino venire ucciso in pubblica via, in pieno meriggio; è la giustizia difesa dal ministro guardasigilli non ha saputo né reprimere, né punire. — Voi siete deboli, e perciò crudeli: la legalità fu quasi sempre manomessa... Il ministro dice non aver conoscenza de’ fatti in discorso, perché le Autorità locali non gli mandarono relazione; ma in tutti i paesi, in cui non vi è confusione, le autorità mandano un rapporto immediato e straordinario, tanto più quando si tratta di fatti così gravi, ed importanti… Il governo ha abbastanza mostrata la sua incapacità a governare.

Nella stessa tornata il deputato Tofano nel perorare a proprio discarico (accagionato d’infedeltà politica) dice tra l’altro: — «erano stati catturati due nipoti del commendatore Scovazzo, che mi pregò, come avvocato, di vedere il re Ferdinando II. perché lo inducessi a raddolcire la loro sorte; mentre erano scarni, sparuti nel carcere di Nisida. Ricusai ogni compenso, vidi il Sovrano, ottenni quello che chiedeva». — L'importante discussione su questo incidente del Tofano ha dato luogo a far conoscere molti interessanti documenti politici, che compruovano evidentemente di non essere mai mancata la Real Clemenza de’ Sovrani di Napoli per qualunque traviato avesse saputo invocarla: Trasandando la lunga perorazione tenuta nella Camera; si riporta in nota il sintetico reso-conto de’ cennati documenti, siccome è pubblicato nel giornale officiale di Napoli de' 30 gennaio 1862 ()

Tornata del 18 gennaio.

Il deputato Lacaita chiede spiegazioni al ministero sul seguente fatto: — In due Educandati di Napoli gli Amministratori presero la risoluzione di far prestare il giuramento alle maestre, ed alle giovani allieve. Essendosi alcune di esse rifiutate a prestare il giuramento, e giovani renitenti furono mandate a casa accompagnate da guardie di pubblica sicurezza, perché la guardia nazionale si era rifiutata. — Chiedo se gli Amministratori agirono spontaneamente, o in seguito di disposizione governativa.

Tornata de' 24 gennaio

Il deputato Nicotera chiede schiarimenti al ministro dell'Interno intorno a un grave fatto, avvenuto in Napoli: «Varie lettere da questa città recarono, che la sera di mercoledì 15 corrente mese furono arrestati dalle guardie di pubblica sicurezza diciannove mendichi e condotti alla Questura. Questi mendichi, intirizziti dal freddo, ed affamati domandavano pane e fuoco; ma non ne ebbero. Ed uno di loro, Luigi Creola, di anni 60, fu all’indomani trovato morto. — Non bastandomi l’asserzione, delle lettere volli meglio appurare il fatto. Lessi i giornali, e nel numero 103 del Nazionale, giornale moderato e sussidiato dal governo, lessi, quanto siegue»: — (Legge un brano del Nazionale, in cui è detto, che dopo di essersi combattuto l'accattonaggio, deesi ora difenderlo per imprevidenza dell'Autorità, essendovi mancanza di locali, per ricoverare i poveri, ed essendo costoro lasciati languire d'inedia: il Nazionale soggiunge che il denaro, che dovrebbe impiegarsi a questo santo scopo, impiegasi invece a difendere atti, che non ammettono scusa, né discolpa.) — L'oratore chiede in nome dell’umanità al ministro, che dia sollecite riparazioni, e che spieghi il significato delle ultime marcate parole del Nazionale. Conchiude col dire, che questo non è, che uno de’ moltissimi sconci dell’amministrazioni, sconci a’ quali si sarebbe posto riparo, se si fosse dato luogo ad una inchiesta parlamentare.

Ricasoli presidente de’ ministri risponde, che non appena ebbe ragguaglio della morte del mendicante Creola, chiese circostanziata informazione alle Autorità Napoletane, che comunicherà alla Camera appena le riceverà: Quanto al Nazionale, non è vero che sia sussidiato dal Governo.

Al che il deputato Nicotera replica: «spiacemi dover contraddire alle parole del signor ministro, ma il generale Cialdini, luogotenente a Napoli, sospese non ha guari, non so se temporaneamente, il sussidio al Nazionale.»

Tornata de’ 21 gennaio

Nella interpellanza mossa dal deputato Bruno al ministro della pubblica istruzione sul regime economico del Collegio medico cerusico di Napoli, l'altro deputato napolitano sig. Gallozzi dice, che «il collegio medico di Napoli risale ad epoca rimotissima, e meritava tutti i favori possibili: da esso vennero uomini, che onorarono l’Italia, e si distinsero nell’Europa. Il ministro ha detto essere questa scuola unica in Italia; io sostengo, che altra simile non ne è in Europa».

In questa occasione parla il deputato Mandoj-Albanese, e dice tra l’altro: «Il ministro della istruitone ha detto, che nella Regia Università di Napoli tutti i professori fanno il loro dovere. Questa asserzione è gratuita: due terzi dei professori non dettarono lezioni, percependo i mensili. Fra questi professori è un consigliere di. Luogotenenza, che percepisce il soldo di professore, senza aver mai salita la cattedra: ciò mi fu detto a Napoli, e lo verificai, recandomi di persona all’Università, ed osservando i registri: questi fatti, ch’io garantisco, mi si scrive, ripetersi tuttavia… Io narro cose, che bo potuto verificare: insisto nel dire, che certi professori presero il mensile senza aver fatto scuola: ne conosco poi QUALCUNO, CHE PORTA IL CUMULO DI SEI CARICHE CON STIPENDIO a Napoli, quattro professori ordinari della Università furono nominati senza concorso (in onta della legge che lo richiede) e senza aver inteso il Consiglio detrazione. Si voleva collocare un favorito. Che si fece? si mise in ritiro un distinto professore di matematica che era nominato da 4 mesi: cosi il governo paga due soldi; uno a quello messo al ritiro, ed uno al favorito... e costui in tre mesi ha ottenute due cattedre, non contento di una che gli dava cinquanta scudi al mese».

Nella tornata de’ 15 marzo, il deputato Petruccelli parlando di doversi impedire a’ Vescovi di recarsi a Roma, si serve della seguente frase «i carabinieri sono il migliore argomento del diritto canonico (applausi!)

Nella tornata de’ 18 marzo il deputato Mandoj dice: — «A Napoli nello Educandato de’ Miracoli il 14 corrente si dovea celebrare il giorno natalizio del re. Invitate dalle loro Superiori a festeggiare quel fausto giorno le educande al numero di 28 si ridussero nelle loro stanze, e s’indovina bene, cantarono il Te Deum pel Borbone. In una chiesa di Monache a Napoli un prete predicò massime che avevano qualche attinenza alla politica: durante la funzione, per insinuazione delle Monache tra studenti e popolani si destò rissa che finì collo spargimento del sangue. — La questura di Napoli non è troppo attiva. Avverto perciò il governo, che deve provvedere.».

Il ministro Mancini assicura di non mancare a’ provvedimenti, cercando scusare le sedette alunne educande, che come, figliuole di borbonici somigliano a loro padri, ed annunzia l’inflitto castigo, di averle, cioè, subito rimandate alle loro case.

Tornata del 4.° aprile 1862.

Il deputato Lovito insiste sempreppiù, perché, non sieno ulteriormente prorogate le interpellanze già da gran tempo annunziate da lui su le tristi condizioni delle provincie meridionali, e precipuamente sul cosi detto brigantaggio.

In appoggio di Lovito l’altro deputato Ricciardi si unisce, e desidera che tali interpellanze si facessero in seduta serotina, e segreta, soggiungendo: che cosi si ovvierebbe a varj inconvenienti; non si farebbero conoscere certe cose, delle quali potrebbero giovarsi i nemici, e si potrebbe, senza timore, scendere a que fatti minuti e personali, necessarii ad esporsi in cosi delicata quistione; ma che non è conveniente far conoscere al pubblico. ()

A questa ultima proposta si oppone il deputato De' Blasiis, sostenendo: «che il paese deve essere informato di ciò che trattasi nella Camera; che tenerlo al bujo intorno a cose importanti come questa, farebbe cattiva impressione.»

«Ma il deputato Ricciardi replica persistendo su la convenienza della discussione segreta; PERCHÉ DOVENDOSI PARLARE de' SOPRUSI DELLA AUTORITA’ MILITARE, si potrebbe offendere la suscettibilità dell’esercito.»

Ad altre contrarie osservazioni, è respinta tale proposta della tornata segreta.

Continuando poi la discussione. su questo interessante tema, il deputato duca S. Donato accenna dispettosamente, che deputati del napoletano non hanno tutti la stessa opinione intorno alle misere condizioni di quelle provincie, «mentre alcuni di loro le credono felicissime (ironia) ; e ripete, che tali deputati hanno su di ciò opinioni disparatissime; perché ve ne sono alcuni, che fino a jeri (cioè fino alla formazione del ministero Rattazzi) credevano, che fossero felicissime e ben amministrate. Il deputato Bonghi ritenendo a lui diretto il sarcastico eufemismo del deputato S. Donalo, risponde che «nessuno ha creduto felici le provincie napoletane, né aggi, né jeri; ma parecchi possono credere, che il miglior modo di sanarne le piaghe non sia quello di sciupare in ciarle il tempo dell'assemblea.»

Dopo questo incidente, alcuni deputati accorgendosi del pericolo delle interpellanze in esame, pregano il Lovito a ritirarle; e questi vi condiscende; ma vuole ripigliarle per conto suo l’altro deputato Minervini. Vi si oppone il deputato Valerio, e Minervini esclama che le interpellanze su le cose napoletane sono necessarie; né la Camera può rifiutare di ascoltarle.»

Impegnatasi una nuova quistione, su di ciò, Lovito dichiara, che se debbono effettuirsi le interpellanze, egli e non altri debbo farle.

Per far terminare la seria e compromessiva vertenza il deputato piemontese Boggio propone votarsi l'ordine del governo puro e semplice.

Al che il deputato Ricciardi altamente protesta, che se ai votasse tale ordine del giorno «egli uscirà cubito dalla Camera; riserbandosi il diritto di tornarvi per mettere di nuovo in campo, a tempo, opportuno, la quistione delle provincie napoletane.»

Difatti egli esce dalla sala, vedendo effettivamente votare l'ordine del giorno puro e semplice.

I giornali ministeriali di Torino nel rendere conto di questa tempestosa tornata, non sanno dissimulare la gravità della situazione, e dicono: «nessuno crede le provincie napolitane in condizioni felici e normali; ma chi le vuol sanare deve venire con proposte chiare, e non chiedere che gli si dia licenza di fare pettegolezzi, o sproloquii di cose, come per le interpellanze di Lovito che hanno fatto naufragio. ()



























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