L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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LA TRUFFA UNITARIA

di Nicola Zitara

Siderno, 15 Maggio 2007

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Fanno finta di dimenticarlo, perché nella sostanza sono degli incalliti bugiardi e dei venditori di fumo, innamorati e preoccupati soltanto del proprio appannaggio e della propria carriera, ma coloro che amministrano e dirigono lo Stato italiano sanno bene che questo paese è antico, il più antico d’Europa, insieme alla Grecia. E perciò valori antichi, che altrove non si sono mai formati, qui sono vivi, generalmente espressi e condivisi; e se contradetti, causa e fonte di malessere sociale.

In tale situazione, l’approccio alle innovazioni andrebbe contemperato con il rispetto della tradizione e della cultura corrente. Dalla Sicilia al Veneto, il senso di appartenenza a una famiglia è più forte che in altri paesi. Ma al Sud più forte che al Nord. 

Gli americani e i tedeschi ci burlano perfino, e ci fanno il verso per il nostro legame viscerale con la mamma. In altri tempi, ebbe un enorme successo il film “Rocco e suoi fratelli”; i mafiosi chiamano “famiglia” la cosca, cosa non senza significato; i sociologi americani e i loro pappagalli nostrani elevano trenodie sul nostro familismo amorale.

Il tempio della famiglia è la casa. “Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, a me sembri una badia”. Gli emigrati meridionali a Torino e a Milano negli anni cinquanta e successivi, prima di tutto si son fatta la casa. Un bene pagato con il sudore, le privazioni, le umiliazioni, e tuttavia il vero, reale polo della famiglia, il tempio in cui celebrare gli affetti, lo scudo, il guscio a difesa dalle intemperie naturali e sociali.

Il Sud ha circa quattro milioni d’inoccupati, disoccupati e male occupati, mentre le regioni padane hanno assorbito negli ultimi venti anni più di due milioni di lavoratori stranieri, a cui, per antica generosità, offriamo ospitalità sotto i ponti ferroviari, nelle fabbriche abbandonate, nelle stalle in cui tenemmo porci e vacche al tempo del Duce e dei suoi predecessori. 

Se i vuoti occupazionali fossero stati riempiti da emigrati meridionali, il Sud non presenterbbe l’attuale buco nero lavorativo, e il lavoro “in nero” avrebbe molto meno spazio di quel che ha e l’unità nazionale non minaccerebbe di crollare sotto l’urto della disperazione meridionale. 

Si è, invece, deliberatamente preferito ignorare il problema per ottenere il voto dei padroni di casa di Torino e di Milano nonché in ossequio alla magica concezione americana che l’investimento in case è il primo motore dell’espansione del capitale. Il privato risparmiatore investe nel mattone a debito, la banca gli gira carta fiduciaria a tasso usurario. L’inquilino paga il debito del padrone di casa, più l’interesse bancario, cedendo al proprietario il 60, 70, 80 per cento del suo salario o stipendio mensile. 

L’incasso fluisce verso la banca e la borsa alimentando i grossi investimenti e la speculazione finanziaria. Il capitalismo è stato reinventato, è alla sua incarnazione più pura. L’alto prezzo della casa ha bloccato il flusso migratorio Sud-Nord. Si è trattato di una inversione di rotta di 180 gradi.

L’edilizia popolare, in Italia, risale all’età giolittiana. Il fascismo la diffuse in tutto il territorio nazionale. Dopo la guerra, il piano Fanfani di edilizia popolare fu il primo segno della ripresa nazionale. Lo stato nazionale ha favorito (e sta favorendo) alla speculazione banco-edilizia in modo da tradire le aspettative generali e inceppare un meccanismo che tra il 1955 e il 1980 aveva anestetizzato i dolori unitari del Su.

E poi i politici lamentano anche che il paese si è distaccato dalla politica. La sola cosa che si può dire di loro è che fanno schifo. Appartengono a quel tipo di zoon politikon che magia nel truogolo. La defenestrazione del ministro Fiorentino Sullo si ripete tutti i santi giorni sin dai primi Anni Sessanta.





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