Dopo lingresso nella Comunità Europea e nel
sistema della moneta unica, in Italia si è allargata la frattura
già esistente tra larea meridionale e il paese restante. Oggi
siamo al punto che il Centronord gode di una situazione di pieno impiego
della forza lavoro e delle risorse finanziarie (le sue e le nostre), mentre
al Sud le risorse bastano appena a finanziare gli sbocchi dellapparato
produttivo centrosettentrionale ed europeo. Il livello disoccupazionale
ha, poi, superato gli indici raggiunti nel 1880 e nel 1946, prima dei due
esodi epocali che spinsero fuori dalla sua terra un terzo della popolazione.
Ma a quelle due date tutto il paese se la passava male, cosicché
lo Stato poteva usare il malessere generale come alibi della sua cattiva
volontà.
Oggi le cose stanno diversamente, come tutti vediamo. A questo punto non
è più il caso di domandarsi se lItalia rappresenti uno
stato unitario, o non sia la somma di uno Stato dominante e di una colonia.
Sarebbe una domanda sciocca. Non cè mascherata democratica
ed egualitaria che tenga, non cè patrio romanticismo che regga:
lunità italiana è stata, ed è tuttora, una truffa.
E'il momento che il Sud badi ai fatti propri, altrimenti finisce peggio
di quanto la stessa fantasia riesca a immaginare. Daltra parte, alcune
alleanze del passato tra settori sociali del Sud con il Nord sono state
sbaragliate dagli eventi.
In passato, oltre che sullideologia dellappartenenza a una sola
identità nazionale, il legame sbilanciato tra le due Italie si reggeva
su concreti interessi di classe. Allorigine dello Stato, in un momento
in cui le baionette dellesercito sabaudo erano lunica forza
efficiente contro i contadini in rivolta, il legame si stabilì tra
padronato toscopadano e padronato duosicilano. Si suole affermare che i
due padronati fossero entrambi di natura fondiaria, con la differenza
si diceva e si dice ancora - che il padronato toscopadano era aperto alla
modernità e quello meridionale era dindole feudale. Laffermazione
è vera, però rimane volutamente alla superficie delle cose.
Il padronato fondiario dominava gli ambienti politicamente più attivi sicuramente nel Lombardo-Veneto, ma non più in Liguria e Piemonte, dove Cavour aveva fatto emergere, aiutandoli sottobanco, i settori della speculazione finanziaria. Fatta lunità, la speculazione ligure e piemontese sincontrò e sintese con la speculazione toscana, in cui avevano una parte importante i grossi latifondisti come Bettino Ricasoli. I soldi per sostenere la seconda guerra cosiddetta dindipendenza, che Cavour si era visto negare da Rothschild, arrivarono dalla Toscana, ufficialmente da due banchieri livornesi. Dietro cerano, però, i grandi proprietari fiorentini e la diplomazia inglese. Fino allascesa al governo di Francesco Crispi nel 1887-1888 e allingresso della classe industriale nella stanza dei bottoni, il governo dellItalia unita rimase per 28 anni nelle mani dei finanzieri e degli intrallazisti liguri e toscani, a cui si erano accodati in posizione subordinata prima quelli lombardi e poi laristocrazia nera di Roma capitale.
Al tempo dei Borbone, solo in Sicilia i proprietari di ascendenza feudale
conservavano un largo peso politico e sociale. Lidentica cosa non
avveniva a Napoli e nelle province di qua dal Faro. Il governo borbonico
non era tenero con i proprietari; non li favoriva. I sui favori andavano
invece agli industriali, agli armatori, ai mercanti; la sua predilezione
andava ai contadini poveri. Il sistema commerciale, industriale, finanziario
napoletano era il più avanzato e il più solido nellItalia
di metà Ottocento. Conquistata Napoli, Cavour fece in modo che in
appena pochi mesi ogni attività fosse distrutta. Il fine nascosto,
e perseguito usando al suo solito lipocrisia liberale, era di favorire
il ritorno sulle piazze meridionali dei finanzieri toscopadani, che i Borbone
avevano precedentemente allontanato.
Dallestate del 1860 allinverno del 1861, al Sud fu fatta tabula rasa. Quindi, è improprio parlare di una base politica dellunità fondata sul padronato toscopadano e sul padronato meridionale. Il blocco agrario fu una conseguenza della distruzione dellindustria napoletana ed ebbe forma triangolare: (uno) il padronato meridionale impaurito dalla rivolta contadina (due) lesercito sabaudo chiamato a reprimerla (tre) gli intrallazzisti liguri e toscani al governo, a portare avanti la speculazione sul danaro pubblico con il consenso del parlamento. Al momento dellunità circolavano in Italia monete per un valore corrispondente a poco più di un miliardo di lire. Di esse, 670 milioni appartenevano alle Due Sicilie.
Il massimo credito al commercio effettuato nei vari Stati era quello del Banco delle Due Sicilie, con oltre 100 milioni di sconti cambiari annui. Quindici anni dopo, la banca ligure-piemontese (per giunta, una banca privata, ma protetta dal governo italiano), aveva già ingozzato tutto loro circolante e faceva operazioni creditizie per sei o settecento milioni, concentrati all80 per cento in Piemonte, Liguria e Lombardia, emettendo cartamoneta per un miliardo e mezzo, di cui seicento milioni a titolo privato.
La subordinazione al Nord della borghesia terriera meridionale si fece più
esplicita in una fase successiva, intorno al 1890. Il crollo della rendita
- un portato della crescita industriale - ridusse a mal partito gli antichi
e i nuovi proprietari. Ma in un paese dove il potere cominciava a essere
determinato dal voto popolare, non potendo fare a meno del sostegno elettorale
del Sud, il governo degli industriali padani dovette tenere in piedi lapparato
politico precedente. Lo fece aprendo le porte del pubblico impiego ai figli
dei padroni impoveriti. Il fascismo e il clientelismo partitocratico e postfascista
vanno inscritti in tale corso politico. Lingresso in Europa ha sfondato
anche questo sistema. Il Sud, dopo aver perduto lindipendenza, dopo
essersi fatto alleggerire del patrimonio costruito nei secoli, ha perduto
anche lelemosina clientelare. E non cè Ciampi al mondo,
né Inno di Mameli che possano riportare indietro la situazione.
Ma fallito lo Stato, la nazione rimane, sì o no,? E'incredibilmente
difficile dare una definizione di nazione. Non è la stessa cosa della
famiglia. La famiglia ha una base naturale che risiede (ancora) nella legge
biologica della continuazione della specie. Ciò che in essa cè
di storico, per esempio gli anelli al momento del matrimonio, il privilegio
ereditario dei figli, ecc., è un contorno convenzionale del fatto
naturale. Anche la nazione appartiene alla natura umana, in quanto luomo
è un animale che vive in gruppo. Ma il legame non viene dalla natura,
o non viene più dalla natura, dallistinto, dalla paura, dal
mutuo bisogno di sostegno, dalla solidarietà.
Viene dalla cooperazione nel lavoro e nella produzione, dagli interessi comuni in occasione dello scambio con altri gruppi sociali. In linea di massima, le dimensioni di una nazione sono connesse alla produzione, allo scambio, alla storia politica. Tutte cose che cambiano nel tempo. Infatti oggi che gli scambi internazionali non trovano che deboli freni nelle frontiere nazionali e la spinta agli scambi prevale su tutte le volontà politiche contrarie - il crollo della Russia sovietica ne è la prova rumorosa e rovinosa per quelle popolazioni - parliamo di globalizzazione.
La nazione che noi conosciamo deriva la sua attuale dimensione dai regni
feudali di Francia e dInghilterra. Secondo alcuni storici la dimensione
del Regno di Francia corrispondeva a una base contributiva sufficiente a
mantenere il re, la corte, lamministrazione e lesercito in armi.
A queste esigenze generali, lItalia del 1860 aggiunse lesigenza
specifica di pagare anche la formazione dellindustria moderna.
La gente ha pagato, lItalia è stata fatta, ma la nazione, se
mai cera al tempo di Mazzini fra gli intellettuali e i mercanti, oggi
non cè più. LItalia-una, realizzata con lo spirito
degli usurai e degli usurati si è dissolta ad opera municipalismo
padano. Dopo aver fatto i comodi degli speculatori, i comodi degli industriali,
i comodi dei generali, i comodi della Banca dItalia, adesso dovremmo
fare i comodi anche di Bossi. Mi pare troppo. Troppo per tutti.
Al tempo doggi, lo Stato altro non è che lamministratore
delegato di unazienda-nazione. Tutti abbiamo capito che, nellazienda-Italia,
lo Stato si serve dei meridionali come se fossero lindotto dellazienda-Italia,
degli esterni poco remunerati, su cui la fabbrica addossa i suoi supercosti.
La RAI, Mediaset, Mike Buongiorno, Forza Italia, lUlivo non riusciranno
a fare ciò che non è riuscito a Mazzini e a migliaia di altri,
che se peccarono in preveggenza, non peccarono sicuramente per mancanza
di generosità e disinteresse. La pulizia dellanimo, la nobiltà
dellintento è un mero ricordo, unideologia strumentalizzata
dagli usurai. Oggi, il più solido legame tra Sud e Nord sono i soldi
della mafia. Il resto conta poco o niente.
Prima che i fratelli diventino coltelli, è meglio che ce ne andiamo.
Il Sud ha tutto quel che occorre per essere la patria che occorre ai nostri
cuori, al nostro lavoro, al futuro dei nostri figli. Ha tutto, meno il coraggio
di divorziare. Luomo e la donna che perdono la famiglia da loro stessi
creata, tornano dalla madre, alla famiglia dorigine, per attingere
alle vecchie radici la linfa che deve aiutarli a vivere. Le vecchie Due
Sicilia non erano il miglior Stato del mondo. Erano però il nostro
Stato, la nostra indipendenza, lo spazio della nostra identità economica
e culturale. In te ipsum redi, torna in te stesso e avrai la forza di essere,
dice SantAgostino. Ma io voglio ridirlo con un linguaggio da bettola.
Finiamola con questa puttanata, che ci fa apparire a noi stessi ottusi,
ignoranti, barbari, balbuzienti, brutti, pelosi, incivili, asociali, malavitosi.
Se la televisione vuole divertire, usa un attore che ha laccento pugliese. Se vuole mostrare un delinquente, lo fa parlare siciliano. Se gli serve un tipo brutale, gli mette in bocca laccento calabrese. Siamo al punto che una persona si vergogna di confessare dessere nata a Reggio o di avere un padre palermitano. E'proprio lora di ritrovare le radici. Aspettare è delittuoso.
Nicola Zitara
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