L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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La rivoluzione (mondiale) del Sud

di Nicola Zitara

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Siderno, 13 Ottobre 2001

Nessuno può illudersi che la storia si fermi. Essa può andare avanti. Qualche volte è anche arretrata. Potrebbe persino finire a causa di un evento naturale o di un atto umano. L’unica cosa umanamente impossibile è che si fermi, anche se c’è sempre stato qualcuno che ha tentato di farlo.

La storia è una creazione umana. Diversamente dalle altre specie animali, l’uomo vive non solo di natura nella sua forma naturale, ma anche di natura (animale, vegetale, minerale) manufatta e manipolata: la produzione, il prodotto, la merce. Anzi l’attività manifatturiera e di manipolazione è andata tanto oltre che, volendo vivere meglio, siamo arrivati a vivere peggio. Ma questa non è l’unica contraddizione della storia umana. Man mano che le tecniche produttive sono andate avanti, il lavoro si è specializzato e diviso. Ciò impone una collaborazione sempre più intensa fra gli individui, tra i gruppi sociali, piccoli e grandi, fra le nazioni e tra i popoli, i quali sono ancora diversi perché le distanze geografiche, in passato praticamente insormontabili, li hanno tenuti socialmente separati.

La collaborazione è governata da regole scritte e non scritte, che vengono osservate spontaneamente o per timore della forza coattiva di chi ne trae vantaggio. Dalla disubbidienza delle regole nasce il conflitto: personale, sociale, internazionale.

Un caso di normativa vincolante per i produttori e i consumatori è il mercato. Le leggi di mercato non sono scritte in una costituzione che ne specifichi la portata sostanziale. Sono codificate soltanto alcune regole particolari, come il diritto individuale di proprietà, le obbligazioni, il contratto, la devoluzione dei beni, i rapporti tra il padrone del capitale e il venditore di tempo di lavoro. Ancor più debole è la normazione (Nota seconda) di livello internazionale, quella che dovrebbe predisporre regole collaborative fra le nazioni. Anzi, nel corso dei cinque ultimi secoli, è storicamente avvenuto che le nazioni ben armate hanno brutalizzato, con la guerra, i massacri, il saccheggio, i popoli inermi o male armati, distruggendoli interamente o riducendoli a una condizione di effettiva schiavitù.

Lo sviluppo dell’industria ha reso enormemente più forti alcune nazioni già potenti sul piano commerciale e militare. Il meccanismo invisibile che ha reso possibile l’enorme sviluppo economico delle nazioni a produzione industriale è racchiuso nel mercato, al quale, sia il venditore sia il compratore, accedono in base a una privata valutazione tra spesa da affrontare e ricavo di utilità. Questa libertà di scegliere ha avuto come conseguenza che tutta l’attività produttiva si è concentrata presso i produttori/venditori più avanzati. A partire dalla nascita del sistema industriale, che utilizza la forza motrice e non più i muscoli umani, quantità crescenti di individui e un numero crescente di collettività umane sono stati espulsi dal processo produttivo in modo permanentemente. Dopo la concentrazione geografica delle industrie, la collaborazione tra popoli avanzati e popoli arretrati è stata apertamente e ideologicamente ispirata alla cupidigia e alla frode.

In effetti il sistema di mercato si appoggia su una morale individuale, che è (o sarebbe) quella dell’equivalenza dello scambio, della reciproca convenienza dei contraenti. Un contadino egiziano, produttore di frutta, vuole fornirsi di un mezzo di trasporto per portarla al mercato. Avendo i danari per l’acquisto, è assolutamente morale che preferisca comprare un motofurgone Ape, anziché un somaro e un carretto. Solo che il prezzo pagato per il furgoncino finisce in Italia, mentre il prezzo dell’asino sarebbe restato in Egitto Sebbene si vivano tempi in cui liberalismo e liberismo (di morale individuale) sono una vera religione, è tuttavia umano chiedersi se è vero fino in fondo che il contadino egiziano abbia fatta la scelta migliore; quella economicamente più conveniente a livello personale. A rigor di logica, in un paese in cui si allevano somari e non si producono motocarri, l’impoverimento degli allevatori di somari comporta una riduzione dei consumi. Il consumo di frutta potrebbe venire colpito fra i primi. A questo punto arriva la beffa e lo scorno. Il venditore di frutta ha, sì, l’Ape, ma non ha più tutti i clienti che aveva prima. Logicamente i suoi guadagni si contraggono. A casa sua manca il pane. Per far fronte alla nuova situazione, la prima cosa da fare è vendere (o svendere) l’Ape.

Le potenze industriali hanno imposto al mondo - contemporaneamente - le loro merci migliori e la loro morale internazionalista. Lo svolgimento di tale processo ha spaccato in due il mondo. L’attuale distanza tra nazioni avanzate e nazioni arretrate non ha precedenti storici. Ancora nel 1750 una tessitrice indiana e un tessitore inglese potevano gareggiare fra loro in produttività; oggi tra un telaio tradizionale e un telaio meccanico c’è un salto da uno o due metri a parecchie decine di migliaia di metri di produzione giornaliera pro-capite.

Ma non è solo questo a bloccare gli arretrati prima che si allineino al nastro di partenza. C’è anche il fatto che gli impianti industriali già esistenti hanno un potenziale produttivo capace di corrispondere a ogni allargamento della domanda. Forti di tale handicap, le nazioni affluenti – contro ogni evidenza logica e metro di ragione – pretendono di continuare a imporre le loro regole apparentemente libertarie, mentre i popoli deboli e saccheggiati non sono in condizione di valersi del diritto di salvaguardarne la propria sopravvivenza.

Se la diagnosi è giusta, è consequenziale che la rivoluzione, in lenta incubazione già da due secoli e mezzo (Nota prima), si proponga l’adozione di una nuova morale internazionale.

Nota prima

E'bene che tutti ricordino che il primo atto della rivoluzione contro i colonizzatori esterni si svolse nelle terre dell’America del Nord (USA) ad opera degli antenati di gente come Clinton, Bush, Regan, Ford, Kennedy, Truman, Rooselvet ecc.

Nota Seconda

Gli ordinamenti giuridici mostrano una forte ambiguità. Antropologicamente la norma protegge il debole dal forte (in G.B.Vico la civiltà che l’ha vinta sulla barbarie). Tuttavia, essendo l’esercizio della sovranità giuridica in mano a uno o più uomini (né potrebbe essere diversamente), accade spesso che l’organo sottometta l’organismo, dando alla funzione giuridica uno svolgimento opposto o comunque diverso dalla sostanza normativa.

Esiste o non esiste un diritto internazionale?

Esiste certamente, ma l’organo destinato a farlo vivere è privo di sovranità, di imperio, della forza necessaria per farsi ubbidire. La (Santa) Alleanza fra i dinasti, prima, il Regno Unito e la Francia, poi, gli USA da ultimo, si sono arrogati la funzione di organo esecutivo dell’ordinamento internazionale.

Nicola Zitara

 

 

 

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