Come è arcinoto, il Sole 24Ore è un quotidiano i cui giornalisti e i cui costi industriali e commerciali sono spesati dalla Confindustria.Altrettanto noto è che la Confindustria è l'associazione nazionale degli industriali italiani.
Poco chiaro, anzi nebuloso, è cosa sia realmente la nazione italiana (e quindi a cosa corrisponde l'aggettivo nazionale).
Limitatamente alla Confindustria si può arrivare a una buona approssimazione facendo riferimento alla residenza degli associati e alla sede delle rispettive imprese.
Sotto tale angolo visuale, la nazione italiana va dalle Alpi alla Toscana, più qualche appendice decorativa che, partendo dalle valli del Tevere e del Tronto, penetra dentro il Mediterraneo fino a lambire l'Affrica; ubi sunt leones, arido e incolto luogo - tranne il petrolio - dove vivono i leoni.
Ciò nonostante l'illustre quotidiano - fondato nel 1865, del tutto
un anno prima del patriottico e lumbrad Corso Forzoso dell'infida liretta
sabauda, con cui è stata benedetta la nascita del capitalismo padano
- dedica degli inserti settimanali al Sud, leonina terra non confindustriale,
monda da industrie e ricca di gente che non sa più a che dio voltarsi.
Immagino (ma immagino soltanto) che lo faccia da quando è assurto
a gran comunicatore della Confindustria un napoletano, la cui siluette,
inquadrata fra quelle degli industriali padani, fa pensare a una triglia
al cartoccio, servita al centro di una portata di lesso di manzo con contorno
di bietole e patate lesse.
Personalmente non ho gli elementi per dare un giudizio sulle altre parti del giornale. Per quel poco che capisco - e inquadrando l'insieme nell'ottica padan-capitalistica - a me sembrano interessanti e istruttive.
Invece, per ciò che riguarda il Sud, il quotidiano dispensa rimasticature
edulcorate, che un giornaletto di provincia rifiuterebbe. In genere lascio
la lettura di questa parte del giornale a chi è più ingenuo
di me, e se, questa volta, gli occhi mi sono caduti sulla parola Pietrarsa,
che fa parte del titolo di un articolo, ciò si deve alla pigrizia
del mio intestino retto.
L'articolista, il collega Bisogni, ha bisogno di una maggior dose di coraggio. Intanto è poco corretto fornire il dato relativo all'occupazione sviluppata dalle Officine di Pietrarsa nella fase italiana - cioè da un simulacro di fabbrica, che il governo di Torino non aveva ancora sufficiente autorevolezza per affossare definitivamente - e confrontarla con il dato relativo all'occupazione sviluppata dall' Ansaldo di Sampierdarena.
Se dopo l'unità, il rapporto a favore di Pietrarsa era ancora di tre a uno, dieci anni prima era stato di dieci a uno.
Fra l'altro, intorno al 1845/ 1848, Pietrarsa fornì le prime vaporiere che corsero sulle ferrovie sabaude, con relativi macchinisti.
Vorrei per inciso ricordare che le maestranze napoletane dell'epoca erano considerate dai tecnici inglesi le migliori al mondo, ovviamente dopo quelle britanniche.
Mi piacerebbe altresì che il collega Bisogni s'informasse sull'Esposizione
industriale di Parigi, credo del 1853, e sui giudizi allora espressi dalla
stampa internazionale e dagli addetti ai lavori, che trascurarono in toto
le industrie lumbard, venete, sabaude e toscane. Nonché sulle medaglie
in quell'occasione assegnate alle singole industrie nazionali.
E veniamo al clou.
Si continua a far volare il concetto del protezionismo borbonico e a ricordare insistentemente che l'industria napoletana aveva a fondamento il capitale pubblico.
Se il collega Bisogni ha la pazienza di spulciare gli atti parlamentari del Regno di Sardegna, vedrà che intorno al 1855 o 1856, Cavour fu fortemente attaccato in aula per il sostegno che dava sottobanco all'officina di Sampierdarena e alle banche di sconto operanti a Genova e a Torino.
Noterà, fra l'altro, che Carlo Bombrini era contemporaneamente il padrone della Banca Nazionale e il socio portante delle Officine Ansaldo.
E se avrà la pazienza d'andare avanti, si renderà conto che
Bombrini non dismetterà la doppia veste fino alla morte. Vedrà
anzi che lo Stato nazionale (nazionale proprio come l'attuale Confindustria)
donò ben 16 milioni agli eredi del medesimo, a titolo di compenso
per le perdite sopportate nella gestione dell'Ansaldo.
Il protezionismo cavourrista fu fustigato dal massimo economista italiano dell'Ottocento, Francesco Ferrara, con l'espressione "Protezionismo dall'interno".
I governi sabaudi succeduti a Cavour presero il meglio dell'insegnamento del "grande ministro" nonché conte: liberisti quando si trattava di demolire le industrie sudiche e protezionisti con l'industria genovese, milanese e fiorentina.
Peccato che la vista di Francesco Ferrara si indebolisse dopo l'unità, con il suo ingresso nella schiera dei ministeriali.
Siderno, 11 febbraio 2004
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