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2. "ALTRO CHE ITALIA! QUESTA E AFFRICA":
IL RAZZISMO ANTIMERIDIONALE

Dario Marino

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22 Aprile 2010


"Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini a riscontro di questi caffoni, sono fiordi virtù civile"1

Queste sono le parole dell'arrogante e razzista Luigi Carlo Farini, già Dittatore delle provincie emiliane, ma meglio noto come Luogotenente di Napoli. Aldilà della poca dimestichezza con l'italiano ('Affrica", "caffoni"), le parole che il Farini indirizza a Cavour all'indomani dell'impresa garibaldina, sono la cifra di un atteggiamento diffuso nelle fila della classe dominante settentrionale rispetto alle popolazioni e alla millenaria cultura del Sud. Il conte Ottaviano Vimercati, addetto militare e diplomatico a Parigi, amico di Vittorio Emanuele II e combattente d'Algeria, confessa che "gli Arabi che combattevo 15 anni or sono erano un modello di civiltà e di progresso in confronto a queste popolazioni che distano appena una quarantina di miglia dalla capitale "2. I carteggi privati dell'epoca sono così pieni di queste espressioni che sarebbe impossibile citarle tutte. A titolo esemplificativo, basta ricordare le parole del Diario del generale Paolo Solaroli, aiutante di campo di Vittorio Emanuele II: "la popolazione è la più brutta eh' io abbia veduto in Europa"3; oppure l'impietosa lettera che Carlo Nievo, tenente dell'armata sarda in Campania, scrive al più famoso fratello Ippolito, autore del romanzo Le confessioni di un ottuagenario: "...ho bisogno di fermarmi ed in una città che ne meriti un poco il nome, poiché fin ora sul Napoletano non vidi che paesi da far vomitare al solo entrarvi, altro che annessioni e voti popolari! dal Tronto a qui ove sono, io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti; che razza di briganti! passando i nostri generali ed anche il Re ne fecero fucilare qualcheduno; ma ci vuole altro!"4.

A questo clima di razzismo antimeridionale contribuirono essenzialmente tre elementi: uno politico, l'altro sociale ed infine quello culturale. Il primo elemento politico fa riferimento al disprezzo dei presunti liberali del Nord nei confronti dei cosidetti "reazionari" e "sanfedisti", di cui il Regno delle Due Sicilie, data la storia recente, ne appariva come la patria. Agli occhi dei ceti colti settentrionali, per esempio, i lazzari o l'esercito della santa fede del cardinale Ruffo erano solo l'espressione della barbarie, dell'ignoranza e del bigottismo del popolo meridionale, non riuscendo a comprendere, invece, le cause sociali e politiche di quei movimenti. Ad acuire la falsità della percezione politica che i ceti dirigenti del Nord avevano del Mezzogiorno, dobbiamo far riferimento ai racconti esagerati degli esuli meridionali, più intenti a esprimere il proprio odio verso il Borbone assolutista che a descrivere la realtà sociale e politica in modo oggettivo. Essi, nei loro lunghi soggiorni a Torino, erano ormai estranei al Paese e, ciò nonostante, alimentavano la rappresentazione negativa del Sud.

1 Luigi Carlo Farini a Cavour, Teano 27 ottobre 1860, in La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno

d'Italia, cit., vol. III, p. 208.

2 Ottaviano Vimercati a Michelangelo Castelli, Venafro, 24 ottobre 1860, inM. CASTELLI, Carteggio politico, edito a cura di Luigi Chiala deputato al Parlamento, Torino, L. Roux e C, 1890, vol. I, p.329.

3 Dal Diario del generale Solaroli, dicembre 1860, in Za liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, cit., vol. V, Appendice V, Carte Solaroli, p.231.

4 IPPOLITO NIEVO, Lettere garibaldine, a cura di Andreina Ciceri, Torino, Einaudi, 1961, pp.89 ss.

A tal merito, Denis Mark Smith cita Liborio Romano: "costoro durante il loro esilio tra il 1848 e il 1860 avevano imparato a disprezzare i loro fratelli rimasti in patria e ora che erano tornati a Napoli credevano non esservi nulla di buono tranne essi soli; ritenevano per ingovernabili, degradate ed immorali queste nostre provincie del Mezzogiorno "5

Sulla scorta di tali pregiudizi, si comprendono anche le esternazioni degli stessi esuli meridionali che considerano la loro terra come "funesta all'Italia e paese corrotto, vile, sprovvisto di quella virtù ferma che contrassegna il Piemonte"6, mostrando così i tratti di quella reazione psicologica che vede il rigetto della propria cultura (fino a sconfinare nell'odio) per riempire il vuoto di un complesso di inferiorità, ben descritta da Cannilo Berneri nell'ureo antisemita7.

Alla demonizzazione del "borbonico" spesso si accomunava, in un fatale equivoco, il disprezzo verso la fedeltà dei contadini e in generale del "basso popolo" verso la monarchia assoluta.

Questa fedeltà, male interpretata dagli unitaristi dell'epoca, non era il frutto di un'adesione ideologica ai principi politici che quel regime rappresentava, ma piuttosto derivava dalla convinzione che quella monarchia era ritenuta garante dell'uguaglianza dei cittadini, visto che il Borbone sovente era stato il miglior giudice dei contrasti dei contadini con baroni e galantuomini per la terra. D'altra parte a esacerbare gli animi c'aveva pensato William Ewart Gladstone, futuro primo ministro inglese, nella famosa lettera a Lord Aberdeen che abbiamo analizzato in precedenza. La seconda causa del razzismo è di natura sociale. Non si può trascurare, infatti, che le ragioni di classe incidevano nell'odio che politici e militari settentrionali nutrivano verso i cafoni, contadini e in generale verso le classi subalterne, promotrici di questa lotta che aveva i segni della giustizia sociale. Soffocare le aspirazioni sociali dei contadini meridionali significava anche salvaguardare quell'ordine sociale al quale quell'elite teneva più della stessa unificazione. Il clima di lotta di classe innescato dal brigantaggio nel Mezzogiorno, spaventò non poco la destra moderata, abituata all'ambiente di maggior compattezza sociale del Piemonte. Cercare di sovvertire attraverso le armi quell'ordine naturale delle cose, agli occhi dei generali aristocratici sembrava assolutamente riprovevole e confermava lo stato di congenita e irreversibile arretratezza e disordine delle provincie meridionali.

Ad onor del vero, nonostante l'affiliazione di classe, i piemontesi iniziarono ben presto a diffidare anche della borghesia napoletana e dei galantuomini, per la timidezza mostrata da questi durante l'avanzata di Garibaldi nel Napoletano. Nonostante il lavoro di spionaggio degli agenti provocatori piemontesi, essi non si mossero, tanto da far perdere la pazienza al pacato Cavour che commentava: "La condotta dei napoletani è disgustosa: se non vogliono far niente prima dell'arrivo di Garibaldi, si meritano di essere governati come i siciliani da dei Crispi o dei Rafaeli"8. Già prima della completa disfatta dell'esercito borbonico si intuisce l'approccio colonialista e di occupazione delle armate garibaldine e piemontesi.

5 D. MARK SMITH, Garibaldi e Cavour nel 1860, Torino, Einaudi, 1958, p.151

6 Carteggio di Camillo Cavour, La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, Bologna,Zanichelli, 1955, volili, p.137.

7 CAMILLO BERNERI, L'Ebreo Antisemita (Parigi, 1935), Roma, ediz. Canicci, 1984.

8 Carteggio di Camillo Cavour, La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, cit, II, p.169.


Sussisteva, d'altra parte, la convinzione cieca di star facendo un'opera di civilizzazione e per la sacralità e la verità di quest'ultima bisognava utilizzare qualsiasi mezzo, anche il più abietto e crudele.

Il terzo elemento che contribuì a creare questo clima di odio, invece, era propriamente culturale e razzistico. Dai rapporti dei politici e dai dispacci dei generali emerge un disprezzo totale degli abitanti del Sud, dovuto forse anche all'incapacità di capire l'alterità di una cultura meridionale, proprio quando ogni sforzo era diretto all'eliminazione dell'antichissima autonomia meridionale e si esaltava la piemontesizzazione, quale unica strada di sviluppo possibile e di civiltà. Il Nord non comprendeva i valori della società meridionale e stigmatizzava una cultura che, invece, poteva vantare diversi primati rispetto al settentrione9. Massimo D'Azeglio che pure era cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia (propugnatore della corrente risorgimentale monarchico-federalista), che criticava la politica di conquista e repressione militare dei Savoia, scriveva nel suo carteggio privato: "unirsi ai Napoletani è come andare a letto con un lebbroso"1® Ma per spiegare quest'elemento culturale che contribuì al razzismo antimeidionale, la

9 Elenco, di seguito, alcuni primati del Regno delle Due Sicilie nel campo sociale, della scienza e della cultura:

• Prima assegnazione di "Case Popolari" in Italia (San Leucio presso Casetta);

• Primo Cimitero italiano per poveri (il "Cimitero delle 366 fosse", nei pressi di Poggioreale);

• Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli;

• Cattedra di Psichiatria;

• Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche;

• Gabinetto di Fisica del Re;

• Osservatorio sismologico vesuviano (primo nel mondo), con annessa stazione meteorologica;

• Officina dei Papiri di Ercolano;

• La più alta percentuale di medici per abitante in Italia;

• Più basso tasso di mortalità infantile in Italia;

• Prime agenzie turistiche italiane;

Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;

• Prima cattedra di Astronomia;

• Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa;

• Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare;

• Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio);

• Prime agenzie turistiche italiane;

Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;

• Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni,"Atlante Marittimo delle Due Sicilie");

• Primo Museo Mineralogico del mondo;

• Primo "Orto Botanico" in Italia a Napoli;

• Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte;

• Primo Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio;

• Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio;

• Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza;

• Primo istituto italiano per sordomuti;

• Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo;

• Prima Città d'Italia per numero di Teatri (Napoli);

• Prima Città d'Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli);

• Prima Città d'Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli);

• Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante);

• Le celeberrime fabbriche di ceramica e porcellana, fra cui quella di Capodimonte;

• Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo un incendio in soli 270 giorni;

• Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti);

10 Confronta FULVIO IZZO, I lager dei Savoia, Controcorrente edizioni, Napoli, 1999, p. 14.


nostra attenzione non può che rivolgersi alla controversa figura di Cesare Lombroso11. Veronese, di agiata famiglia ebraica, fu l'inventore dell'antropologia criminale, e le sue teorie sulla fisiognomica ebbero un enorme eco sui contemporanei, tanto da essere considerato uno dei maggiori pensatori dell'Ottocento. Egli fece proprie le teorie internazionali del razzismo scientifico del positivismo e dell'eugenetica, utilizzando una disciplina pseudo-scientifica, la fisiognomica (in voga nel XVI secolo), che pretendeva di stabilire il carattere e le inclinazioni di una persona a partire dal suo aspetto fisico e, in particolare, dai lineamenti e dalle espressioni del volto.

Lombroso partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio e al pari dei fotografi che accompagnarono le truppe fu utilissimo alla propaganda razzista di regime del neonato stato italiano. Il suo primo caso di studio fu quello del brigante Vilella di anni settanta. Sul corpo senza vita del cafone calabrese, Lombroso evidenziò alla base del cranio la fusione congenita della parte corrispondente dell'occipite con l'atlante, ed altre caratteristiche ossee anomale, che gli fecero supporre una certa influenza sull'attività del cervelletto. In sostanza, Lombroso paragonava il cervello di Vilella a quello dei primati ed evidenziava un nesso tra l'evoluzione naturale della specie ed i comportamenti del singolo all'interno del contesto sociale. Ben presto Lombroso collezionò decine di crani di briganti al fine di dimostrare che i caratteri atavici o d'involuzione, ovvero di mancata evoluzione, erano alla base delle manifestazioni 'anomale' della loro condotta sociale. Si diventava briganti non per ribellione ad un atavico stato di sfruttamento, ma semplicemente per l'atavica struttura del proprio cranio. Indipendentemente dall'atto di scelta volontaria e cosciente, quindi, la ribellione all'autorità costituita e al nuovo stato italiano derivava direttamente da deviazioni della struttura fisica. La presenza di una sola di queste caratteristiche quali le grandi mandibole, i canini forti, gli incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, i denti soprannumerari o in doppia fila, gli zigomi sporgenti, le prominenti arcate sopracciliari, l'apertura degli arti superiori di lunghezza superiore alla statura dell'individuo, i piedi prensili, la borsa guanciale, il naso schiacciato, il prognatismo, le ossa del cranio in soprannumero, ed altre anomalie fisiche e scheletriche erano indizi sufficienti per rientrare nell'identikit dell'uomo delinquente delineato da Lombroso. Non meraviglia che spesso i cafoni meridionali presentassero questi caratteri, che erano dovuti però alla malnutrizioni e agli stenti di una vita miserrima. Egli, comunque, pone alla base delle cause del brigantaggio quel determinismo genetico appena descritto. Con questi presupposti di razzismo scientifico, che nulla hanno da invidiare all'ideologia nazionalsocialista della razza ariana superiore, è ovvio che Lombroso giunse a predicare la pena capitale come unica soluzione contro la tendenza criminale innata e pertanto non educabile con la sola pena detentiva.

11 Tra le opere di Lombroso inerenti al tema della nostra trattazione segnaliamo CESARE LOMBROSO L’uomo delinquente, Milano, Hoepli, 1876. Per quel che riguarda gli scritti sull'antropologo criminale, appaiano interessanti i lavori di GIORGIO COLOMBO, La Scienza Infelice. Il museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; DELIA FRI GESSI, Delinquenti dentro. Una nuova biografia di Cesare Lombroso, fondatore dell'antropologia criminale, riformatore e studioso del genio e della follia, Torino, Einaudi, 2003; DARIO DAVID, La vera storia del cranio di Pulcinella: le ragioni di Lombroso e le verità della fisiognomica, Napoli, Ma.gi Edizioni, 2007.


Lombroso credeva che esistessero due tipi di italiani, i settentrionali di origini ariano-nordiche e i meridionali di stirpe negra e africana, sfalsando il mito di un'omogenea razza italica. Egli formulò teorie razziali sull'inferiorità delle persone di colore e degli italiani del Sud, considerandole razze inclini alla violenza, e sulla base di tali teorie appare chiaro come fossero necessari due modi di governare il bel Paese. Le teorie di Lombroso conferivano una base scientifica alla propaganda di regime, tutta intenta, nei giornali dell'epoca, a spiegare il brigantaggio come fenomeno delinquenziale piuttosto che analizzarne le vere cause politiche e sociali. Se esisteva una predisposizione delle popolazioni meridionali al brigantaggio, essa va rintracciata in ragioni di natura sociologica, nell'isolamento sociale e culturale di molte comunità , e nella naturale conformazione del territorio.

Le fonti scientifiche del Nostro erano, come abbiamo visto, i cadaveri dei partigiani meridionali. Ma quando le prove mancavano, egli si rivolgeva altrove, come in un episodio che descriviamo solo per dimostrare l'inconsistenza delle sue teorie, qualora ce ne fosse bisogno. Una volta Lombroso chiese al capo della polizia parigina fotografie di donne delinquenti per illustrare un'opera. Quando il libro fu pubblicato, egli ne inviò una copia a Parigi. Soltanto allora i destinatari del grazioso omaggio si accorsero dell'errore commesso: all'italiano, invece delle immagini di pericolose criminali, erano state inviate quelle di alcune commercianti che avevano chiesto licenza di vendita. Nel 1898, l'ebreo veronese, inaugurò a Torino un museo di psichiatria e criminologia (più tardi chiamato "di antropologia criminale"). Sebbene molte sue opere sono considerate non-scientifiche e non vengono ripubblicate perché manifestamente razziste, il 26 novembre 2009 è stato inaugurato di nuovo il museo di Lombroso, oggi nuovamente aperto al pubblico che può visitare la collezione costituita da migliaia di pezzi tra reperti anatomici, manufatti e scritti di criminali ed alienati, reperti probatori, armi proprie ed improprie, strumenti scientifici, documenti e fotografie, ecc.

Quello che appare paradossale è che molti studiosi meridionali sostennero a loro volta l'anti-meridionalismo. Basta citare Alfredo Niceforo, siciliano, di scuola lombrosiana e presidente della Società italiana di Antropologia, che scriveva: "La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d'Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco - dannata alla morte come le razze inferiori dell'Africa, dell'Australia, ecc. "13.

Le teorie di Lombroso, d'altra parte, influirono notevolmente sulla generazione successiva tanto da essere accettate anche in area progressista, se è vero che il discepolo Enrico Ferri, socialista settentrionale, formulò teorie razziali sull'inferiorità delle persone di colore e degli italiani del Sud, considerandole razze inclini alla violenza13.

Gli effetti di tale razzismo anti-meridionale, sottovalutati dalla storiografia risorgimentale (più attenta ad analizzare i risvolti politici e diplomatici

12 Confronta ALFREDO NICEFORO, La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale, Palermo, 1897

13 Confronta ANTONY WALSH, The Holy Trinity and the Legacy of the Italian School of Criminal Anthropology, by Mary Gibson, Human Nature Review, 2003, Volume 3: 1-11 (15 January)

di tali vicende),contribuiranno non poco a determinare quei metodi draconiani con i quali si diresse la repressione nel Sud contro i contadini, la triste sorte dell'esercito borbonico, i tentativi di deportazione di massa nelle isole dell'Atlantico e in Argentina (la cosiddetta "soluzione finale") così come l'atteggiamento più in generale della direzione politica ed amministrativa nelle provincie meridionali. D'altra parte, sarebbe impossibile non giudicare, in un evidente rapporto di causa ed effetto, questo razzismo come una delle basi e giustificazioni ideologiche di quel convinto approccio colonialista che porta il nuovo Stato unitario a tenere il Sud in un permanente stato di soggezione sia militare che economica.

Infine, segni di tale razzismo, con tutto il suo corollario di pregiudizi (il meridionale "pigro", "furbo", "ladrone" o "accattone") sono sopravvissuti a decenni di storia nazionale, lasciando un segno indelebile anche nella cultura contemporanea.


"Dario Marino" email – 22 aprile 2010

 

Gentile Professore Zitara,

sono un laureando di scienze politiche dell'Università di Siena. Le invio in allegato a questa e-mail un articolo sul razzismo anti-meridionale che spero possa essere utile al dibattito della rivista elettronica.

Questo articolo è solo un paragrafo della tesi di storia militare che sto scrivendo sul brigantaggio.

Mi piacerebbe inviarLe qualcosa sul pensiero socialista libertario di Carlo Pisacane che trovo estremamente interessante e attuale.

Mi complimento con Lei per il lavoro che da anni conduce.

Distinti saluti,

Dario Marino








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