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Due Sicilie
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La borsa

di Nicola Zitara

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Siderno, 15 Febbraio 2003

L’anno nero delle borse", titola a fine anno la Repubblica, il più celebre quotidiano della sinistra supina al padronato. Sui libri di testo della Bocconi si possono trovare brillanti panegirici circa la funzione economica delle borse.

Si tratta di un’incipriata oleografia del fenomeno qual era in altri tempi, intorno al 1830, ben prima, quindi, che tutto il mondo si wall-streettizzasse. Brutte, e in mano a gente avida che fossero, le borse un tempo servivano a portare danaro dalla rendita fondiaria all’industria e alle ferrovie; e profitti accumulati in Francia e in Inghilterra ai paesi in via d’industrializzazione.

Oggi servono solo a una cosa, ad alleggerire la gente qualunque per mettere i suoi risparmi in mano a persone che comprano e vendono pacchetti azionari senza aver mai prodotto un chioso. Tanto per rimanere nei confini italiani, gente esaltata dai giornali e dalla Tv, come Colaninno e Tronchetti Provera, non aggiunge il valore di un chilo di fichi secchi alla produzione nazionale. Specula con il danaro che gli diamo; si arricchisce impiegando il danaro degli altri. Ora, se tutto si limitasse a questo, potremmo concludere che noi siamo dei sempliciotti e loro dei furbi. Ma non è così, la cosa è grossa. Questa gente, non solo non produce alcunché, non solo campa fregando il prossimo, ma le sue speculazioni fomentano un’incredibile confusione, la quale non rimane a ristagnare nei solenni palazzi dove hanno sede le borse, ma ricade sul ciclo economico delle nazioni e dell’intero mondo, cioè sul pane della gente che lavora (se loro glielo consentono).

Esempio di fottisterio. Un mio ex collega, uno di quei rari insegnanti a cui la scuola avrebbe dovuto dare non uno ma cinque stipendi al mese, andando in pensione si fece convincere dal direttore dell’agenzia della Banca di Novara - calata nel suo ridente paesino di Sicilia per incettare soldi - a investire la liquidazione in azioni (milanesi). Secondo l’agente locale dell’illustrissima e colendissima istituzione subalpina, il mio ex collega avrebbe guadagnato incredibili fortune standosene seduto al sole, sul terrazzino prospiciente il mare. Ovviamente il sole fece in tempo a calare dietro i monti, che la liquidazione si era oscurata, era volata via con gli ultimi raggi ultravioletti. Se non tutta, in larga parte. Infatti la perdita del 23 per cento in un anno, di cui parla la Repubblica, è solo una media (sempre che non sia una media come quella del famoso Paniere Istat). Una media che intende consolare gli azionisti, stemperare la sfiducia e preparare i futuri fessi a futuri investimenti, fruttiferi di favolosi guadagni standosene seduti a godersi lo spettacolo del mare.

Se il calo borsistico è stato del 23 per cento in media, ci sono stati, però, crolli anche dell’80, del 90 e del 97 per cento, cioè titoli letteralmente inceneriti. E poi il 2002 non è stato il primo anno in perdita. Chi non fa lo speculatore, e investe una certa cifra per ricavare una rendita annua, un vitalizio – in particolare chi è alla conclusione della sua esistenza di produttore - i conti li fa sul totale della decapitazione subita. La cui media finale non è più il 23 %, ma il 50/60 per cento, e oltre. Parliamo (parlano) di riforme! La prima riforma da fare sarebbe quella di mettere fine a questa osannata forma di truffa ai danni della gente comune. Da giovane mi capitò di voler entrare nel casinò di Sanremo. Varcata la soglia, un valletto in ghingheri mi chiese la carta d’identità. Evidentemente alla voce professione lesse la parola impiegato, cosicché mi domandò se fossi un impiegato dello Stato.

Non conoscendo la regola di Chitarrella, risposi di sì, che ero un impiegato statale. Risultato: non ebbi il permesso di accedere agli augusti saloni. Che Stato sarebbe mai stata l’Italia, se i giudici, gli insegnanti, i capistazione potevano finire in mano a chissà quali usurai e ricattatori, dopo una sonante perdita al tavolo verde! Il nostro amato Ciampi – sì, proprio lui, che, quando era governatore della Banca d’Italia, ci rimise tutte le riserve accumulate dall’Italia con le rimesse degli emigrati, per mano degli speculatori mondiali - dovrebbe farsi promotore di una regola, in base alla quale chi va in pensione non può investire in borsa. Infatti, basta seguire "Mi manda Rai Tre" per rendersi conto che il grande mercato offre grandi opportunità agli imbroglioni. E chi è più imbroglione di uno speculatore?

Se il gioco d’azzardo è vietato ai pubblici dipendenti, in base a quale altra ignota morale gli è consentito d’investire in una borsa in cui la speculazione non ha niente da invidiare alle corse truccate? Perché alla povera gente è permesso rischiare l’intera liquidazione, il compenso di quarant’anni di lavoro e di contribuzioni? L’Europa brucia 1.500 miliardi" (di euro) continua a titolare il su lodato quotidiano di ultrasinistra, 3.000 milioni di miliardi di vecchie lire: un anno e mezzo del lavoro di tutti gli italiani. Peraltro brucia è una parola che rivela l’insensibilità degli speculatori e del loro servitorame giornalistico. C’erano tremila milioni di miliardi di lire e c’era qualcuno che li aveva, e li ha perduti.

Chi? Forse gli speculatori? O magari le banche? Disilludetevi! I 3000 miliardi ci sono ancora. La speculazione guadagna quando la borsa sale e guadagna quando la borsa cala. Quando sale perché i titoli che i pensionati acquistano sono stati venduti da loro, e quando cala, perché ricomprano per pochi soldi i titoli che aveva in tasca quel paesano del mio ex collega, che sa il latino, il greco, la storia e la filosofia, ma a cui, né il liceo né l’università hanno mai insegnato che i veri ladri camminano sui tappeti rossi e i veri mafiosi guadagnano dai quindici ai centocinquanta milioni al mese per scrivere bugie sui giornali e preparare inganni ai danni della povera gente.

 

Nicola Zitara

 

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