L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Le banche

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Se si tenta di applicarlo all’assetto meridionale, il tema del credito diviene un rompicapo teorico e pratico. Bisogna intanto chiarire che, per quel che il Sud ancora riesce a produrre, le banche esistenti bastano e avanzano. La raccolta del risparmio è più che capillare, il credito al consumo (alle famiglie) arriva fin dove può arrivare (stipendiati, pensionati).

In nessun luogo una banca si spingerebbe oltre, pena un colossale incremento delle cosiddette sofferenze (bancarie). Semmai i bisogni evoluti coniugati con redditi bassi consiglierebbero di ri-diffondere sul territorio meridionale i monti di pegno e di ri-suscitare gli antichi monti di pietà. In buona sostanza, il Sud prima si è fatto fregare le ingenti riserve d’argento che possedeva, poi, non avendo più capitali, ha svenduto le braccia; adesso sta svendendo il territorio, e non solo alla mafia imprenditrice (delle discariche nordiste). Al punto in cui l’Italia ci ha portato, niente di male se impegniamo le suppellettili di casa e le lenzuola.

Attualmente il credito commerciale si spinge fin dove basta a finanziare gli sbocchi dell’industria settentrionale. Per il resto, il commercio meridionale è tuttora, e in percentuale elevata, un’impresa familiare. Il giro del negoziante è spesso così esiguo, che la sua famiglia consuma giornalmente non solo il profitto, ma anche il capitale preso a prestito. Voglio dire che non è infrequente il caso in cui dal credito commerciale si scivola nel credito al consumo.

Pure l’industria, l’edilizia e l’agricoltura ottengono il credito che possono ottenere in base a un criterio di rischio bancario pre-calcolato. Pretendere di più dalla banca, equivarrebbe a prescriverle il fallimento prossimo venturo.

Detto questo, diventa chiaro che le lamentele meridionale contro le banche contengono un significato sottaciuto. Il quale merita di essere svelato. Oh dio! Svelato è una parola grossa, inappropriata al caso. Diciamo meglio, esplicitato, chiarito, puntualizzato.

I meridionali, anche quelli che non hanno studiato molto, sanno (avvertono) che la funzione fondamentale della banca consiste nell’aiutare la produzione, nell’assistere le aziende.

Ma ciò comporta un grandissimo rischio. Il credito industriale, storicamente, ha seguito due percorsi assai diversi, anche se in qualche caso si sono praticamente incrociati. In Inghilterra, culla del sistema capitalistico, fin dalle origini il rischio industriale è stato ripartito fra molti investitori, incluse le banche allorché trovavano conveniente l’operazione. In Francia, quantomeno nella fase di avvio, allorché nel paese il risparmio era abbondante, e Parigi e Lione facevano da banchieri a mezza Europa e agli Stati Uniti d’America, operavano case commerciali e istituti di credito mobiliare specializzati. In America, tra il 1870 e il 1914, si ebbe qualcosa di simile.

Una strada diversa è stata percorsa dalla Germania e dal Giappone. Nei due paesi, il credito industriale si è sviluppato sotto la direzione e il controllo di un comitato d’affari, quasi un governo dello sviluppo, diretto dai grandi raccoglitori di danaro. La centrale bancaria, di per sé alquanto robusta, diluiva (e tuttora diluisce) il rischio fra molte industrie, di modo che il successo di una potesse fare da contrappeso all’eventuale insuccesso di un’altra.

In Italia, fino allo scorporo dell’IRI e alla svendita delle maggiori banche pubbliche ai nostri famelici ma inetti capitalisti privati, il rischio industriale è stato sopportato dalla Banca d’Italia. Tecnicamente è stato sopportato dallo Stato; in pratica da tutti i cittadini.

Non v’è dubbio alcuno che il mancato passaggio delle ex Due Sicile dalla fase manifatturiera a quella dell’industria moderna rappresenta una precisa e dolosa responsabilità dello Stato italiano e della Banca d’Italia, che impiegarono prima l’ingente massa di metalli preziosi che l’ex Stato possedeva e, poi, la valuta pregiata proveniente dalle rimesse degli emigrati meridionali, per coprire i buchi dell’erario e per iniettare capacità d’investimento a favore delle industrie parassitarie del triangolo Genova-Torino-Milano.

Oggi che il Sud dipende un po'meno dagli ingordi e inetti intrallazzisti che hanno le loro costose sedi al centro di Milano, e un po'di più dai Fondi europei, bisognerebbe darsi da fare per valorizzare appieno il loro flusso. Ma ciò non è assolutamente possibile senza una svolta negli statuti mentali e spirituali della Banca d’Italia e della Borsa di Milano.

Il risparmio meridionale è eccedente rispetto agli impieghi al Sud, perciò una parte consistente fluisce verso il Centrosettentrione; cosa ampiamente favorita dal fatto che al Nord le imprese sono già radicate e sono costantemente protette dalla stampa e dal pubblico consenso.

Anche i ciechi vedono che il Sud non può fare assegnamento su un organismo creditizio predisposto a rischiare nell’indusria, come bene o male avviene in qualsiasi paese indipendente.

Tuttavia, poche e semplici regole potrebbero servire a fondarlo. Per esempio una Cassa no profit (più o meno Sacra), che acquisti a prezzo di mercato il risparmio meridionale eccedente e lo investa in partecipazioni al capitale d’impresa. Una cosa del genere potrebbe suscitare resistenze da parte dei capitalisti padani e dei loro ruffiani della stampa, ma non sarebbe certamente contraria alle regole comunitarie, né allo statuto della Banca d’Italia.

Una regola semplice non è però detto che non comporti dei rischi. Il rischio è incorporato in ogni negozio, in qualunque transazione economica. Ed è una strana pretesa quella che aleggia fra gli economisti e gli organi di stampa sedicenti italiani, secondo cui dovrebbero verificarsi due cose:

prima, che l’industrializzazione del Sud sia complementare e non concorrenziale con quella esistente al Nord;

seconda, che avvenga fuori da ogni rischio per il sistema bancario. In buona sostanza, per il contribuente.

Ora il contribuente italiano - che non è solo colui che paga (anzi non paga) l’IRPEG (imposta sulle società), ma anche il ragazzino che compra una caramella - a partire dagli anni settanta sopporta il costo del Sud, come nei centodieci anni precedenti aveva sopportato il costo del Nord. In effetti, l’argomento è specioso; una facezia, una battuta ad effetto, una trovata della stampa padronale padana e degli illustri pennivendoli del tipo Montanelli (finalmente trapassato a più proba esistenza). Il contribuente non riceve alcun rispetto dallo Stato sin dal tempo di Cavour ministro sabaudo (1851), cioè da prima che nascesse il Regno d’Italia. Sono ben altri i soggetti che in Italia ricevono il rispetto dello Stato.

D’altra parte, non spetta a me suggerire il da farsi. Caso mai possiamo chiedere a Ciampi, che ha fatto il banchiere e ama svisceratamente i meridionali. ma al mio paese si dice: Se l’asino non vuole bere, è inutile perdere tempo e fiato a fischiare!

Nicola Zitara

 

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