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Due Sicilie
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L'avant/'indré del modello sociale occidentale.
La povertà come progetto

di Nicola Zitara

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Siderno, 12 Febbraio 2010

E' facile dire che il modello di società costruito in Occidente a partire da tempi antichissimi, sicuramente a partire dalle città greche, si è rivelato vincente a livello planetario. Molto più difficile è definire le sue caratteristiche essenziali. Potremmo citare la libertà individuale, l'individualismo che in Occidente sta a base del modo di essere e di pensare, la visione sociale del Cristianesimo. Forse si possono aggiungere la proprietà privata e il contratto, il quale disciplina la relazione di scambio di merce contro merce, e del lavoro con un salario, fra due proprietari, quello delle braccia e quello del capitale.

Con la nascita del capitalismo industriale, all'Occidente è toccato d'affrontare la questione sociale, di trovare cioè il modo che le classi diseredate uscissero dal pauperismo e dalla malattia. Questo problema epocale è stato risolto nel corso di due secoli e in modo che si potrebbe dire inavvertito, con la concentrazione in alcuni paesi occidentali di tutta la produzione industriale domandata dal Mondo. I beni prodotti dall'industria valorizzano la sedimentazione tecnologica. Le invenzioni, i ritrovati tecnici, il sapere scientifico vengono incorporati nel prodotto. cosicché il lavoro industriale vale parecchio di più del lavoro agricolo. L'impiego della macchina ha moltiplicato la potenza produttiva del lavoratore nell'industria, con il risultato di marginalizzare l'artigiano. Sul piano mondiale i paesi industriali (l'Officina del mondo) hanno venduto con gran profitto le loro merci e ciò ha consentito che la questione sociale fosse affrontata positivamente con salari crescenti e servizi sociali adeguati.

Il Welfare State, lo Stato sociale, ha toccato l'apogeo tra 1950 e 1980. Il benessere si diffuse in tutti i paesi europei, nel Nordamerica, in Australia, in Giappone. Gli occidentali poterono concepire l'idea di un assetto persino migliore. Le giovani generazioni e il sesso femminile affermarono il diritto alla parità e imposero una loro emancipazione, con il riconoscimento di libertà in precedenza conculcate. Come contropartita il tasso del profitto capitalistico declinò, lo spazio del mercato (il pagamento del fornitore) si ridusse a favore dei servizi sociali. Il capitalista si ritrovò a vedere ridotti il suo potere economico e la sua storica libertà d'iniziativa, gli Stati registrarono una forte crescita della spesa pubblica, il debito pubblico crebbe paurosamente. Si stava andando verso un assetto sociale che avrebbe fortemente indebolito l'egemonia della classe proprietaria di fabbriche e di danaro.

La giustizia sociale, invocata da un secolo, fece parecchia strada, ma la medaglia aveva (come ha tuttora) il suo rovescio nel fatto che i dipendenti dello Stato, delle aziende fornitrici di servizi pubblici, delle industrie di Stato, andavano acquistando una posizione di lavoratori privilegiati rispetto ai dipendenti dal privato. Meno fatica, una migliore busta paga, maggiore stabilità, la sicurezza della pensione eccetera. Questa disparità di trattamento divideva l'opinione pubblica, specialmente le classi del lavoro subordinato. Fra dipendenti pubblici, sostenuti dalle socialdemocrazie e dai partiti cattolici, e dipendenti privati, osannati dalla destra, la ruggine crebbe e ciò dette alla Signora Thatcher il destro (e il sostegno elettorale) per smantellare in Gran Bretagna il Welfare State. Gli altri paesi industriali d'Europa assimilarono il precetto. Contemporaneamente, negli Stati Uniti il presidente Reagan inaugurava una politica di larghezza monetaria, volta a favorire il finanziamento dei capitalisti con nuova carta stampata dalla banca centrale. Il dollaro facile indusse i finanzieri occidentali a investire danaro nel Sudest asiatico (le Tigri asiatiche), dove la manodopera era a molto buon mercato; cosa che produsse il risultato finale di favorire la nascita di un forte concorrente industriale alla vecchia 'Officina del mondo'. In un sistema mondiale di libertà degli scambi avviene che, a parità di investimento capitalistico in macchine e impianti, il differenziale nei costi di produzione tra Occidente e Paesi emergenti si restringe al solo costo della manodopera. Ad esempio, mezza dozzina di calze da tennis prodotta in Europa costa 5 euro, una mezza dozzina delle stesse calze prodotta in Asia costa 80 centesimi. Il divario è pauroso, la vecchia Europa, gli USA, il Giappone tremano, ma non sanno come provvedere, se non enfatizzando la dottrina della Signora Thatcher e volgendola a colpire il livello di tutti i salari, e non soltanto i salari privilegiati.

Gli economisti definiscono il nuovo modello sociale con il termine postfordismo (in opposizione alla concezione di Henri Ford che vedeva nel maggior reddito dei suoi operai nuovo consumo di automobili e clienti proletari). In Italia, la dottrina dell'immiserimento dei diseredati è in atto sin dal 1994 e dall'accordo tra il ministro del Tesoro Ciampi e i sindacati nazionali. Non occorre avere il cervello di Ford per capire che a un minor reddito del lavoratore corrisponde un minor consumo delle famiglie. Conseguenza: una messa in crisi delle aziende capitalistiche. Insomma è scattata la trappola: "Se ti fermi ti accoltello, se scappi ti sparo". O meglio il capitalismo occidentale immagina (e punta su) un'uscita dalla situazione di debolezza nella competizione con quello asiatico sopravanzandolo con tecnologie più avanzate, capaci di offrire merci innovative e/o a costi competitivi. Un vicolo cieco per il mondo occidentale del lavoro che già soffre da decenni di una disoccupazione sistemica, di fronte a cui le provvidenze pubbliche risultano insufficienti - gocce d'acqua nel sitibondo deserto.

E' la stessa natura del progresso tecnologico che alimenta la disoccupazione, in quanto la macchina sostituisce sempre più la fatica umana e al padrone il suo impiego costa meno dell'operaio salariato. Ma l'Occidente finge di non vedere il problema, la sfida del capitalismo asiatico lo acceca cosicché preferisce credere al miracolo, a fondare tutte le sue speranze nel potere taumaturgico del primato europeo.

Il governo Berlusconi si presenta come il vessillifero della cecità occidentale, il sistema industriale italiano è a pezzi, il Suditalia è completamente fuori gioco. Il naufragio comporta necessariamente la retrocessione dello Stato al "si salvi chi può", ma le poche scialuppe di salvataggio messe in mare se le va accaparrando lo stronzobossismo. 















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