L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Roma, la piovra

di Nicola Zitara

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Siderno, 14 Marzo 2003

Quando Pietro Nenni fece riferimento per la prima volta alla "stanza dei bottoni" erano passati più di quindici anni dalla proclamazione della Repubblica. Per tutto quel tempo un informale Ministero della Cultura Nazionale aveva propalato l'ideologia di un potere democratico, tutto alla luce del sole, ubicato nelle camere parlamentari e nei comitati centrali dei partiti democratici. Ciò nonostante l'uscita nenniana sorprese solo i più ingenui.

I fatti si vedono, cosicché tutti, chi più chi meno, sapevamo che dietro la facciata stava un diverso potere, in alcune cose un potere più vero di quello visibile. In effetti la stanza dei bottoni è un concentrato di potere. La sua vera natura e funzione non risiede nelle scelte politiche, ma sta nel garantire il consenso a chi ha già il potere. Per spiegarmi meglio è un potere che soppesa le persone chiamate a un incarico pubblico, dal ministro al bidello, al fine di controllare la loro fedeltà al sistema di potere.

Sarebbe tuttavia errato immaginare la stanza dei bottoni come una loggia massonica. Ovviamente non si tratta di massoneria, o non si tratta di massoneria in modo specifico, né di una stanza, e neppure di un grattacielo, ma di un gruppo informale di persone di ogni credo e partito, che s'incontrano al bar, negli uffici, nei club, nei salotti, negli studi professionali, per telefono, o del tutto che non s'incontrano mai, che non hanno occasione di stringersi la mano e magari comunicano fra loro attraverso altri bottoniani.

Capita a volte che qualcuno di loro, più scalcinato e rozzo, esageri. Potrebbe venirne fuori uno scandalo e gli stessi giornali diretti da bottoniani della più pura acqua sarebbero costretti a dargli addosso e a chiederne la testa. In tale circostanza la stanza possiede il sistema preventivo onde normalizzare le faccenda e farla dimenticare.

Ma gli scalcinati sono una rara eccezione. La stanza dei bottoni è saggiamente selezionata. Di regola ci stanno uomini autorevoli, seri e composti; uomini come il senatore Gianni Agnelli, la cui scomparsa è molto dispiaciuta a tutti, specialmente alla gente di sinistra, di cui era divenuto la guida morale e ideologica, insieme a Eugenio Scalfari e all'ing. Carlo De Benedetti.

Altrettanto errato sarebbe l'immaginare la stanza dei bottoni un luogo in cui si vigila soltanto. Molto più spesso si opera. Per esempio, negli Anni Sessanta, la stanza dei bottoni decise che le fabbriche promesse al Sud era meglio se restavano sulla carta. Molto più proficuo fare degli ospedali e assicurare un buon stipendio a un gran numero di medici. Una volta gratificati dallo Stato, i medici avrebbero smesso di parteggiare per Lauro e sarebbero divenuti dei devoti sostenitori dello Stato democratico e parlamentare.

Detto, fatto, la stanza dei bottoni si mise all'opera. Medici, primari, infermieri vennero selezionati in base all'affidamento che ognuno dava al comando locale, e il comando locale al comando superiore. Le colorazioni politiche non furono poste in discussione. In effetti la pianta organica della sanità fu il primo prodotto del consociativismo politico. Molto prima della magistratura. Democristiani e comunisti uniti nella lotta … per la pagnotta. Dietro le bandiere politiche sventolò una nuova fede: la devozione alla personalità romana delegata a gestire il territorio regionale, provinciale e municipale.

In Italia il problema dei rapporti tra Roma capitale e la provincia viene affrontato in modo diverso a secondo della fattualità che s'intende disciplinare. Esempio: la selezione elettorale. Questa viene effettuata in due modi. I candidati della Toscopadana di regola sono imposti dalla base provinciale. Al centro non resta che accettarli. L'elettorato toscopadano sceglie per l'intero paese. I Sud è tenuto a seguire. Ma a tracciargli la strada non provvede direttamente la Toscopadana. Il Nord non sa parlare al Sud, e il Sud non sa chiedere al Nord.

Sin dalla formazione dello Stato, Roma ha il ruolo di mediatrice tra la volontà settentrionale e l'obbedienza meridionale. A tirarsi dietro il Sud provvede Roma. Il Sud deve votare e basta, senza accampare pretese di sorta. Solo il candidato arrendevole, il yesman è ammesso nel partito nazionale. La lista dei candidati non sale, ma scende da Roma verso i municipi, le province, le regioni. Roma imposta la linea politica e l'esponente politico che non incardina la propria posizione nei progetti romani è sputato via, escluso, emarginato, dichiarato pazzo.

Si insiste sul concetto di voto di scambio. L'elettore e il candidato si scelgono reciprocamente in base a un favore. Io ti do il voto, tu raccomandi mio figlio. Ma si tratta di un'analisi che resta alla superfice. Il politico non può fare un favore a tutti, e non tutti i meridionali ottengono un favore. La zona dei favori è molto più sapiente, molto selettiva. Vi provvede la stanza dei bottoni, che non deve superare un esame politico e non è esposta alla richiesta/ricatto dell'elettore. Essa è formata da personalità che risiedono a Roma, ma che hanno un legame con la provincia: grandi avvocati, luminari della medicina, alti magistrati, dirigenti ministeriali, professori alla Sapienza, porporati di Curia, banchieri, dentisti di grido, ecc.

Quanto all'organigramma, la stanza dei bottoni segue la vecchia logica piemontese dei prefetti. Il potere sta al centro, l'uomo che controlla la periferia distribuisce le raccomandazioni, i favori. In buona sostanza si tratta di un clientelismo programmato, che al Sud ha la funzione di degradare la dialettica politica degli interessi sociali al privatismo del posto e dello stipendio statale. Il fine proprio della piovra romana è che il Sud resti immobile e rassegnato. Che voti come gli è stato insegnato. Che la gente si azzuffi per il posto, ma solo a livello personale e familiare, in modo che la cosa non divenga mai politica. Che l'opinione pubblica continui a credere che il destino è a volte grato, a volte ingrato, ma che comunque la paterna Italia non può fare più di quel che fa, essendo il carattere dei meridionali la fonte prima dei loro guai.

La stanza dei bottoni esiste dovunque c'è un potere politico e ci sono persone che la legge non tutela o delle persone che vogliono aggirarla senza andare in galera. La posizione di Roma è dunque comune a quasi tutte le capitali del mondo; a Parigi - della cui stanza dei bottoni la letteratura ottocentesca ci ha raccontato tutto - a Londra, a Madrid, a Washington - centrale di potentissime lobby, di cui i film ci raccontano qualcosa - a Mosca che promette grandi cose in materia, a Tokio già espertissima, a Pechino, a Tripoli e via dicendo. Di diverso, Roma ha la caratteristica d'essere la capitale di uno Stato bino, in cui la stanza ha due tipi di bottoni.

Ci sono infatti i bottoni veri, in cui Roma svolge il ruolo servile di assecondare le decisioni dei poteri forti, valevoli per l'intera nazione; decisioni che vengono adottate dal "salotto buono di Milano". E ci sono le asole, i bottoni al femminile, o meglio quelli detti volgarmente automatici, con maschio e femmina, in cui il maschio toscopadano s'infila nella fessura meridionale.

In effetti il sistema italiano è il raffinato prodotto della tradizione rinascimentale
e machiavellica. I meridionali sono stati abilmente manipolati, tanto da farsi convinti di essere la causa unica dei propri malanni. Come dice un illustre sociologo, hanno introiettato la dipendenza. Per tenere in piedi il sistema, al Sud opera una quinta colonna di traditori che impiega la sua malefica arte a tenere le popolazioni legate al guinzaglio toscopadano. In tale panorama assurdo, kafkiano, la catena discendente delle stanze dei bottoni svolge un ruolo decisivo.

Il tema della consorteria locale meridionale è stato ampiamente osservato e pertinentemente giudicato da Gaetano Salvemini. Ma l'illustre meridionalista ha trascurato di cogliere il tracciato sotterraneo che corre sotto il livello ufficiale della politica, appunto quello della stanza dei bottoni, la rete di alleanze trasversali che avvince il Sud come una piovra.

Tutto questo però è all'ultimo respiro. Bossi è riuscito a rimettere in discussione lo squilibrio Sud/Nord. Le novità fiscali e costituzionali che è riuscito ad imporre cancelleranno al Sud i privilegi connessi con il pubblico impiego; la sola situazione sociale in cui i meridionali erano a tutti gli effetti pari ai settentrionali. Una volta pienamente operative queste novità, la borghesia impiegatizia si affloscerà.

Nel corso di centocinquanta anni di unità statale, la Toscopadana ha cambiato tre volte l'alleato sociale meridionale. Il primo fu il padronato fondiario che dallo Stato allora nuovo ebbe le terre dei Comuni e della Chiesa. Quando la rendita padronale arrivò alla fine, fu il fascismo a portare i retori e gli opportunisti meridionali al servizio degli Agnelli e compari. Caduto il fascismo, la partitocrazia si è avvalsa del ricatto sanitario e pensionistico.

Quanto esposto fin qui era stato già elaborato da Sergio Lupis e dal sottoscritto, al tempo del "Volantino". A ciò che veniva enunciato in quel foglio, si può aggiungere che oggi l'azienda-toscopadana è alle corde in materia d'investimenti produttivi, perché i profitti industriali vengono dirottati verso la speculazione di borsa. Se si tiene conto di tale impoverimento, non sembrerà più tanto strano che la salameria sabauda atterri a Napoli - e non altrove - con gran chiasso di parlamenti, di presidenti, di giornali e telegiornali. A me viene un sospetto, che è questo. Il primo guadagno è il risparmio.

Il Nord vuole risparmiare i soldi che spende al Sud. Ma così facendo manderà a rovina la stanza dei bottoni. Forche, farina e feste. Che il ritorno dei Savoia serva ad assicurarsi con poca spesa l'amicizia e il sostegno delle plebi meridionali?

Nicola Zitara

 

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