L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Il turismo come attesa di sviluppo

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L’enfasi che l’attuale generazione di politici calabresi sta mettendo sulle prospettive dell’attività turistica mostra una coda di paglia particolarmente lunga. Caricare sul turismo ogni prospettiva di lavoro significa che l’idea di operare per la rinascita dell’agricoltura e per sviluppo industriale è morta e sepolta.

Eppure oggi l’Italia centrosettentrionale, ricca quanto mai in precedenza, potrebbe finanziare con disinvoltura il rilancio, al Sud, sia della la produzione agricola sia di quella manifatturiera. Solo che dopo il crollo del centrosinistra la guida della politica nazionale non sta più nelle mani dei partiti, ma in quelle delle banche, dei finanzieri e dei grandi industriali, i quali, evidentemente, non vedono alcuna loro convenienza nello sviluppo del Meridione. Ma, dato che la società meridionale non ha il coraggio di difendere i propri interessi, ci tocca fare buon viso alla cattiva sorte.

Dunque, turismo sia, come tutti chiedono. Solo che mentre l’acqua bolle il porco è ancora alla montagna. Naturalmente il mio scetticismo non arriva al punto da negare che il turismo - cosa seria e redditizia in tanti posti d’Italia e del mondo - non potrebbe costituire per il Meridione in genere e per la Calabria in particolare una fonte d’attività economica. Bisogna, però, essere molto seri a riguardo. Viviamo in tempi in cui ogni forma di servizio commerciale è divenuta una tecnica, quasi una scienza che si studia nelle università. Chi accende il televisore verso le quattro del mattino può costatare che le lezioni universitarie televisive, accanto alle materie tradizionali (diritto, ingegneria, lettere, ecc.) riguardano anche il turismo. Personalmente mi è capitato d’ascoltarne qualcuna. Certo non tante quanto sarebbe necessario per discettare di turismo ex cathedra, ma a sufficienza per formulare qualche riflessione.

Turismo culturale. E'quello che oggi si effettua da parte degli stranieri e di noi stessi italiani nelle cosiddette città d’arte della Toscana, dell’Umbria, del Veneto e di altre regione del Centronord. A questo riguardo non sarebbe giusto tenersi in gola l’osservazione che la classica ingordigia toscopadana ha costruito intorno all’espressione città d’arte un ideale confine che lascia il Sud completamente fuori, quasi che le nostre città siano di non arte.

Volendo approfondire il tema, bisogna dire che il Sud è non è ricco di arte rinascimentale, arrivata qui di rimbalzo, ma è ricchissimo di ben altre espressioni culturali, per esempio di antichità greche (neanche la Grecia lo è altrettanto) e di città barocche e neoclassiche. L’anno scorso è stato ripubblicato dopo un secolo e più il libretto di una viaggiatrice anglo-tedesca, una lady partita da Londra nel settembre del 1860 per raggiungere Garibaldi a Napoli, la quale descrive Via Toledo come la strada più imponente del mondo. Ora, io mi domando: Via Toledo non ha più niente da dire al turista, o siamo noi che, ammaliati da Firenze, da Fidenza e da Fiorenzuola sull’Arda, amiamo svalutarci? In effetti i furbi tosco-padani, per venderci la loro merce, ci hanno convinti che la nostra è avariata. E'difficile vedere una città più bella di Palermo, ma nessuno lo dice e nessuno lo sa. Catanzaro ha un impianto urbano sei/settecentesco unico nel Sud continentale, presente solo a Catania, però questa notizia è condannata a rimanere stampata solo su libri destinati agli studiosi. Neanche le guide pubblicate da illustri editori, ad esempio quella recente del Turing Club per la Calabria, la riportano, eppure lo stesso Turing Club, in un volume degli Anni Trenta, la metteva al centro della sua descrizione della città.. Evidentemente a quel tempo il centronord non aveva ancora sviluppato un’attività turistica su larga scala.

La Catanzaro storica è ancora lì, anche se nessuno ne parla. Allora bisogna dire che, prima degli albergatori, deve operare la persona colta, chi è capace di rimettere ordine nella pubblicistica attinente alle cose monumentali italiane; una cosa alquanto seria, a cui, prima di morire, aveva iniziato a dedicarsi - usando il fascino della sua non comune cultura e la sua forza polemica - il professor Federico Zeri, Purtroppo per noi, Zeri non ha lasciato eredi.

Il turismo per ferie. Deriva dall’abitudine antica di passare un periodo di riposo in campagna. In Italia il mare, prima, e la montagna, poi, hanno rappresentato una piacevole alternativa all’usanza, la quale recupera il piacere dei bagni a mare o la salubrità dello sport alpino. In questo caso, di solito si spostava (e anche adesso si sposta) la famiglia, con ogni suo componente, compreso il cane e il gatto. Ricordo che prima della guerra molti sidernesi andavano a godersi il fresco a Serra, a Fabrizia, a Mongiana, ma ricordo anche i gruppi plurifamiliari di San Giorgio Morgeto, Cittanova e altri luoghi di Retromarina che si accampavano sulla spiaggia di Siderno, sotto tettoie di frasche, per fare delle vere indigestioni di mare.

Se il turismo culturale segue sottili trame, e queste non si costruiscono in un momento (specialmente quando giornali e televisione alimentano venti contrari), il turismo familiare può essere attratto con minori difficoltà. In pratica è questione di strutture d’accoglienza, di prezzi accessibili e di un buon biglietto da visita. Cosa che include la pubblicità, da sempre l’anima del commercio, ma comprende anche il buon nome che ogni venditore deve farsi con atti e comportamenti conseguenti.

Ora, bisogna dire che quest’ultima suonata qui non l’abbiamo ancora capita. Spesso prevale nei venditori di servizi turistici uno spirito da predone del deserto, il quale arraffa quel che può arraffare, lasciando un pessimo ricordo di sé. Al contrario il buon nome del luogo dovrebbe essere tale da vincere la difficoltà della distanza che il turista padano o europeo deve superare per raggiungere il Sud. Abbiamo da battere dei concorrenti agguerriti e dobbiamo ricordarci che nel commercio un avviamento a costo zero non esiste.

Ma non è questa la maggiore difficoltà da superare. Il turismo antico poteva puntare su luoghi ristretti: Sorrento, Capri, Taormina. I nuovi soggetti turistici sono invece molto estesi. Per restare in Italia, c’è il soggetto Adriatico, c’è il soggetto Sardegna, per i romani c’è il soggetto comprendente tutto il litorale laziale da Terracina a Civitavecchia, più di 200 chilometri di spiaggia. Allora, immaginare che Siderno o Locri o Roccella possa affermare una sua paesana marca turistica significa voler restare fuori dalle coordinate del turismo contemporaneo. La posta da mettere in gioco è l’intero comprensorio che si affaccia sul Golfo di Stilo, da Monasterace a Capo Bruzzano, con un progetto organico di case per le vacanze, di alberghi, ristoranti e quant’altro (in quanto tale potrebbe aspirare a vasti finanziamenti comunitari), che abbracci tutto il comprensorio, includendo il retroterra montano e boschivo da Platì a Serra. In questo gioco la volontà e l’intelligenza politica dei sindaci hanno un ruolo decisivo.

Turismo non convenzionale. Niente di nuovo sotto il sole. Al tempo dell’antica Grecia, quindi anche qui da noi, durante le feste in onore di alcune divinità erano consentite agli uomini e alle donne libertà che nei giorni ordinari non erano permesse. Negli ultimi quarant’anni, in alcuni luoghi il turismo balneare è andato assumendo i contenuti di un momento orgiastico, che capovolge i valori accettati durante i giorni e i mesi lavorativi, nelle sedi in cui si svolge il lavoro. A tal riguardo, alcune spiagge italiane non hanno molto da invidiare ad Acapulco.

Il turismo di questo tipo, anche se non riguarda più frange minoritarie, è difficile da prefigurare per la nostra zona. Esso preferisce aree dove non esistono città e paesi.

Debbo aggiungere che è un’illusione immaginare il turismo un’attività poco faticosa e non inquinante. Tuttavia, in un mondo di produttori di merci qualcosa bisogna pur vendere. Perché chi non ha niente da vendere muore, come i somali, kenioti e tanti altri popoli marginalizzati dal mondo degli smerci.

Esportazione di olio d'oliva dalle province napoletane

Salme

 

Anni

Bari

Otranto

Calabria Citra Calabria Ultra Abruzzi Citra Capitanata Principato Citra
1785

1786

1787

1788

1789

1790

1791

1792

1793

1794

Media

3.414

9.996

10.201

17.990

33.831

16.325

14.218

20.811

6.216

23.754

15.630

23.625

48.023

22.848

28.658

43.796

25.512

69.178

61.537

22.127

44.424

38.873

1.143

10.940

2.408

3.059

6.001

2.687

6.058

4.026

3.200

3.600

4.313

6.863

36.804

9.098

41.849

30.810

59.393

33.675

24.555

2.053

29.139

27.424

677

5.598

5.072

3.331

2.437

4.964

2.434

6.600

3.410

2.666

3.719

 

66

132

40

577

29

314

4

116

128

892

1.200

324

986

549

1.144

1.088

1.385

-

173

774

 

Patric Chorley, Oil Silk and Englightenement - Economic Problems in

XVIIITH Century Naples, Napoli, 1965, p. 23.

 

Esportazioni complessive di olio d'oliva dal Regno di Napoli

Media quinquennale

 

Anni Salme Anni Salme
1760-64

1765-69

1770-74

1775-79

 

51.977,8

72.888,2

77.605,6

70.308,4

1780-84

1785-89

1790-94

80.129,8

81.276,6

95.648,4

 

Ibidem

 

La produzione napoletana di olio intorno al 1857

 

Regno delle Due Sicilie Produzione - ettolitri Esportazione- ettolitri Percentuale esportazioni su produzione Percentuale sulla somma di tutte le esportazioni degli ex-Stati italiani
Province continentali

629.597

317.425

 

 

 

Sicilia

 

307.380

158.286

Totale

936.977

475.711

50,8

*68,0

 

Fonte: Correnti e Maestri, Annuario Statistico Italiano, 1864

* Secondo gli autori tutta Italia esportava all’estero complessivamente ettolitri 701.376

 
Contributo percentuale di alcuni prodotti alle
esportazioni nazionali negli anni:

 

Anni Olio e vino Seta e relativa manifattura
1862

27 %

39%

1869

18%

33%

1875

17%

30%

 

Quadro sintetico del rapporto Sud/Nord al momento dell'unificazione

 

Aree Popolazione nell’anno 1861 Valore delle esportazioni nel 1855 circa Valore delle monete metalliche ritirate dalla circolazione
Stati sardi

4.124.000

175.000.000

27.100.000

Lombardo-Veneto

5.572.000

185.000.000

8.100.000

Totale

 

9.696.000

360.000.000

35.200.000

Due Sicilie

9.179.000

135.000.000

443.300.000

 

Censimento dell'anno 1871
Settore manifatturiero - Addetti nelle aree, in cifra e in percentuale

 

SUD

 

1.327.343

18%

CENTRONORD

 

1.520.200

16%

 

Rimesse degli emigrati in valuta estera portate in lire 1994
Miliardi di lire. Media nei decenni

 

 

1861-70


159

1911-20

3.151

1871-80

417

1921-30

3.631

1881-90

788

1931-40

1.094

1891-900

1.788

1941-50

952

1901-10

4.242

1951-60

2.504

 

Guglielmo Tagliacarne, La bilancia internazionale dei pagamenti…, in

L'economia italiana dal 1861 al 1961, Giuffré 1961

In cento anni (1861-1960) le rimesse sono ammontate a 187 mila miliardi.

E' da annotare che nell'età giolittiana (1905-1914) l'ammontare delle rimesse giungeva a costituivano anche il 15 per cento del Reddito Nazionale annuo.

Solo questo (e non altro) spiega perché la Lira conquistasse una buona parità di cambio, la riduzione dello ammontare del debito pubblico e la larga possibilità di indebitamento all'estero delle industrie nascenti, per l'acquisto di impianti.

  

Nicola Zitara

 

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