L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Chi ha vinto cosa

di Nicola Zitara

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Siderno, 8 aprile 2005

Su tredici regioni in cui si è votato, il centrosinistra ha vinto – e vistosamente – in undici. Le regioni a statuto speciale Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Sardegna avevano già scelto il centrosinistra, così pure in precedenza le regioni Friuli-Venezia Giulia e Molise. In Basilicata si voterà domenica (oggi per chi legge). Nel momento in cui scrivo, sul totale di venti regioni costituzionalmente riconosciute, la destra ne conserva tre: Lombardia, Veneto e Sicilia. Le pagliacciate di Berlusconi sono state solennemente fischiate.

Tutta l’Italia è, da anni ormai, oggettivamente schiacciata da una forma di recessione epocale, che tocca le remunerazioni, i consumi, lo smercio internazionale dei prodotti. Di fronte a questo scenario, Arlecchino Ridens, invece di piangere e vedere cosa occorreva fare, si è lasciato andare a disgustose ampollosità. Vave diciamo a Siderno. La gente non lo ha assolto.

Ma Berlusconi sconfitto, magari rimosso, il disastro rimane lì, immobile, minaccioso, incombente. La Comunità Europea è nata in una fase di crescita dei paesi partecipanti e si è rinsaldata negli anni in cui l’antagonista sovietico si era da poco dissolto; in sostanza in un periodo felice per il capitale e i capitalisti. La filosofia capitalistica e il pressante dominio dei grandi aggregati capitalistici ne hanno definito le regole, lo spirito, l’azione. Cosicché, al manifestarsi  della concorrenza asiatica, la reazione è stata quanto mai pusillanime, antiquata, vetero-capitalistica. La via d’uscita concepita e portata avanti è stata il metodico bombardamento della qualità della vita, che contraddistingueva i paesi europei dagli Stati Uniti e dal Giappone: il Welfare, lo  Stato sociale, che avrebbe dovuto accompagnare, e che spesso accompagnava sia pure burocraticamente, il cittadino dal concepimento alla tomba.     

Il conflitto di classe è eterno. C’era al tempo dei poemi omerici e al tempo della Bibbia, e anche prima, al tempo dei faraoni e di Babilonia. C’è anche quando non si vede, anche quando non emerge come scontro politico, anche quando non se ne parla, o se ne parla sottovoce, come fa la sinistra parlamentare. Nella fase attuale del conflitto, la politica del capitale configura una riduzione  del benessere materiale delle classi subalterne, tanto più pesante quanto più esse sono geograficamente lontane dall’epicentro del sistema. Le recenti elezioni sono state, se non un capitolo, sicuramente un paragrafo della lotta di classe dei subalterni.

La sinistra vittoriosa cosa farà?

Essa non è un’entità sconosciuta, senza precedenti. In realtà si tratta di una sinistra solo per modo di dire, solo perché l’altra parte dello schieramento è definita destra. Anche se interpretata principalmente dagli ex comunisti, essa non ha  niente in comune con il socialismo e neppure con il cattolicesimo sociale. Anzi è propriamente una formazione politica meno che moderata. Infatti, quando è stata al governo, si è adoperata per avvantaggiare le grosse industrie e le grandi banche. Si può senz’altro affermare che le maggiori difficoltà di cui l’Italia soffre oggi, rispetto agli altri grandi paesi europei, derivano dalle stolte privatizzazioni da essa inaugurate, le quali hanno tolto capitali alla produzione e agli investimenti produttivi, per riversarli nelle rendite monopolistiche privatizzate.

Prodi è persona sicuramente colta e sensibile, ma la sua cultura e quella dell’economista  (una volta si diceva) manchesteriano, in cui gli uomini vivono nel capitale e per i capitalisti che lo gestiscono. Nell’Europa, adesso aggredita commercialmente dai paesi emergenti, si pongono in primo piano due problemi fra loro interconnessi, quello di ricapitalizzare le imprese,  prosciugando le risorse necessarie, e quello di doverlo fare nel modo meno punitivo per un ambiente economico in fase recessiva. Tutto quel che Prodi vorrà fare sarà di spingere sulla ricerca e sull’industria d’avanguardia; una cosa di cui al Sud mancano persino i presupposti.

Il Sud, come è sempre avvenuto nella storia dell’unità cavourrista,  sarà chiamato a dare il suo contributo, stringendo la cinghia,  per avviare e portarle avanti la nuova produzione. I benefici forse arriveranno, o forse no. Nel caso affermativo raggiungeranno il Nord fra sette/otto anni e il Sud tra 18/20 anni. Tutto quello che Prodi potrà fare per il Sud sarà di rendere più morbida la sua marcia a ritroso.

Il Sud d’Italia appartiene largamente all’umanità periferica e marginale. Né ha alcuna capacità di difendere il  poco che gli è rimasto, perché i suoi leader politici e culturali  stanno dalla parte di chi lo impoverisce. Pagherà con gli altri e più degli altri. Già da due decenni, le  generazioni in età lavorativa invecchiano senza avvenire e senza speranza. Quelle che verranno piangeranno amare lacrime e forse malediranno Dio per averle fatte nascere qui, come è accaduto a sei generazioni di meridionali dal 1860 in poi.

Vengo da un tempo e da una cultura sociale in cui lo scontro di classe era riconosciuto, proclamato e sventolato nelle bandiere, tanto a sinistra quanto a destra. Sui contenuti della parola socialismo l’acqua è, però,  scorsa con impeto alluvionale, dilavandola e riducendola a poco più che  una giusta attenzione all’esistenza e ai problemi della classe lavoratrice e degli umili. La responsabilità dell’inglorioso tramonto non sta certo del volgere del tempo né nel  ‘destino cinico e baro’; sta  nello stesso socialismo, sia quello che al di là della Cortina di ferro, realizzato all’insegna  di una pesante forma di capitalismo di Stato, sia  quello europeo che, nel nome delle aristocrazie operaie da cui era votato, ha abdicato al dovere di essere solidale e rispettoso con il proletariato esterno; con l’immenso mondo dell’arretratezza culturale, politica, economica.

  Su questa scena di devastazione politica e di impotenza classista, si è innalzata la singolare e possente figura di Giovanni Paolo II. Prima di lui, solo Lenin aveva scosso altrettanto profondamente i sentimenti delle masse mondiali. Con una differenza, però: dopo la vampata della Rivoluzione, tra il 1917 e 1923, prese piede la delusione, mentre i sentimenti che Woityla ha innescato sono andati in crescendo e si deve ritenere cresceranno ancora.

 Ma, per un papa, si può parlare di socialismo? Non esiste una dottrina liberale della Chiesa, invece, sin dal 1891, esiste una ‘dottrina sociale della Chiesa’ che, pur partendo da una base morale e filosofica diversa dal marxismo,  sempre socialismo è; il socialismo cristiano, che papa Giovanni Paolo II ha vivificato e attualizzato nell’enciclica Centesimus annus; nei fatti una versione evangelica del marxiano Manifesto del partito comunista.

Per molta parte dei vecchi socialisti la lotta di classe è scomparsa come bandiera sotto le cui insegne guerreggiare, se necessario, anche con le armi. Ne ha preso il posto il pontificio dialogo fra gli uomini, i quali, pur con storie, fedi e condizioni  diverse, appartenevano a una sola famiglia.

Dico Dialogo perché è questo il termine impiegato correntemente, ma il suo significato è parecchio più profondo. Infatti non significa sediamoci e parliamo (invece che farci male con le armi). Significa, al contrario, cerchiamo nel nostro profondo, sotto l’abito che indossiamo, dentro la lingua con cui comunichiamo, dietro la condizione sociale specifica l’uomo che è in noi e nell’altro (o se vogliamo Cristo). Una volta mutuamente riconosciutici, guardiamoci negli occhi e contrattiamo sulla base della morale cristiana.

I cattolici mi scusino. Non sono credente e potrebbe sembrare un abuso o una profanazione di ciò che per loro è sacro. Ho però una mia fede, che credo sia la fede cristiana assimilata da ragazzo, ancorché spogliata di un Dio creatore, di una rivelazione e di una resurrezione. (Appartengo, in effetti, a quel tipo di atei che la Chiesa  cattolica più teme e detesta.) In un soggetto morale del mio tipo, il cristianesimo costituisce la struttura basilare del giudizio, mentre il socialismo è un sovrastruttura, una creazione successiva, che ha una funzione organizzativa e statuale.

 Ora, credenti o atei, in Occidente - dalla Francia ottocentesca alla Germania della Seconda Internazionale, dall’Inghilterra fabiana alla Spagna rivoluzionaria, dall’Italia dell’incendio dei municipi alla Russia del mîr e dei populisti – i socialismi sono tutti venuti da una  radice cristiana.

Prima di cadere sotto il peso dei suoi stessi errori, l’idea socialista ha raggiunto i confini del mondo, configurandosi quale forza politica di liberazione degli umili. Un’idea che non poteva spegnersi. Infatti Karol Woityla l’ha riportata alla sua fonte primigenia: il messaggio evangelico.            

Non sorprende, perciò, la commozione; il fatto che il mondo intero consideri la morte del Papa come la perdita di un maestro, del profeta  dell’essere e del sentirsi sé stessi, in una parola Uomini; esseri capaci di aver fede nella libertà e nella sacralità di ogni singola vita. Liberazione.

Né sorprende il risultato elettorale di domenica scorsa, specialmente al Sud,  inequivocabilmente maturato in un clima di passione a favore del Dio evangelico e contro Berlusconi/Mammona, la versione demoniaca del profitto. Mi sorprenderebbe invece sapere che i sentimenti espressi oggi avranno trovato una prosecuzione politica. L’Italia è quella che conosciamo, con il suo Sud e il suo Nord. Le elezioni regionali del 2005 ricordano le elezioni politiche del 1874, allorché la sinistra, specialmente quella meridionale, stanca delle usure patriottiche dei cavourristi, disarcionò dal governo la Destra storica. Fu una vittoria di Pirro. Per riassorbire la rivolta meridionale, la Toscopadana inaugurò il trasformismo, cioè la corruzione scientifica dei deputati meridionali. E non solo le popolazioni meridionali vittoriose non ottennero alcunché, ma furono anche avviate alla corruzione clientelare, che è il versante meridionale dello sviluppo settentrionale.


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