Caro Quaranta, personalmente respingo con fermezza la Tua proposta di un incontro tra pugliesi e calabresi a Catanzaro, che dovrebbe essere preparatoria di un successivo incontro a Catania. Questo incontro sarebbe un piacevole rendez-vous fra vecchi amici, ma non avrebbe un vero carattere politico.
Ora, il problema è: Quale politica?
Questo continuo incontrarsi tra neoborbonici è la brutta copia degli incontri che, sprecando soldi nostri, fanno i politici meridionali al servizio del sistema cavourrista e toscopadano. I su lodati, di tanto in tanto, sentono il bisogno d'incontrarsi in inutili e televisivi convegni, per affermare a sé stessi (e a chi non gli crede ma mangia con loro) che hanno la testa e delle idee politiche in testa, mentre in effetti in testa hanno soltanto la gestione del sottopotere che il Nord gli accorda e la voglia di far bottino.
Intanto, secondo me, la Sicilia e il Napoletano sono due formazioni sociali a sé stanti. Il fatto che la disgrazia del colonialismo toscopadano oggi le accomuni non significa che le diversità siano scomparse. La Sicilia e il Napoletano (l'Ytalìa) possono e debbono allearsi nel moto d'indipendenza dalla Toscopadana, ma ciascun paese ha una sua persistente identità millenaria.
La storia di lungo periodo non si cancella davanti a una pizza e a un bicchiere di vino. La Sicilia ha consapevolezza della propria identità, i suoi intellettuali hanno, forse, anche una strategia e un obiettivo, mentre l'Ytalìa ha consapevolezza di sé soltanto nella coscienza profonda, come attesta il brigantaggio antiunitario, ma non immagina ancora come costituirsi a Stato. Il fatto che i re Borbone, specialmente Francesco II, avessero l'idea d'essere Stato non significa che l'avessero anche gli altri italioti, specialmente l'aristocrazia e la borghesia.
Se l'avessero avuta, non avrebbero tradito Napoli per Torino; avrebbero condotto la propria battaglia politica all'interno del paese e con le proprie mani, e non con le mani dei francesi e dei piemontesi. Tuttora Napolitano si sente napolitaliano e non interamente napoletano, e c'è chi, come Bassolino o la camorra o la 'ndrangheta, si appoggia a Roma per scroccare sugli italioti. Un uomo d'ingegno, un superbo scrittore, qual è Roberto Saviano, tuttora si rivolge idealmente alla Repubblica (torinese), ai suoi giudici, alle sue forze di polizia e ai toscopadani nell'illusione di salvare Napoli con le altrui mani.
Il dramma degli italoi s'incorpora nell'ambiguità tra l'inconsapevole sentimento di appartenenza e la razionalità presa a prestito dalla Francia, dall'Inghilterra e da Milano. Tuttavia non c'è tempo per una 'rivoluzione culturale', per portare a livello di coscienza la nostra identità e per costruirci sopra una nostra politica.
Dobbiamo far presto, perché ogni giorno è un nuovo disastro, una nuova servitù economica e culturale, un nuovo Saviano che capisce tutto e non sa cosa fare. Bisogna necessariamente rifarci alla categoria politica d'indipendenza, nel caso allo Stato borbonico. Rimetterlo in piedi contro i paglietta.
Ma i paglietta siamo noi, incapaci di pensare e progettare in proprio. Potremmo soltanto 'agire' in proprio, secondo la regola monastica dell'obbedienza a un fine. Nei passaggi intermedi i monaci non cercano sé stessi ma si sentono obbligati al fine religiosamente adottato. Farci monaci e obbedire alla regola dell'indipendenza, non possiamo fare altro.
Prima la liberazione e poi la costituzione. In questo senso, il partito a cui penso è una Regola monastica in vista della liberazione. Tutto ciò che non è Regola mi sembra una qualunque etichetta fra le tante così care ai profittatori del regime cavourrista.
Ti abbraccio con l'affetto di sempre,
Nicola Zitara
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