L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


La predica di Natale

di Nicola Zitara

Siderno, 28 Dicembre 2007

(se vuoi, puoi scaricare l'articolo in formato RTF o PDF)

E' Natale. Collettive tradizioni religiose e collettive tradizioni mangerecce, intima nostalgia del passato, dell'infanzia felice - stagione di libertà condita da sassate e corpo a corpo a pugni e calci, in difesa della ruga o per affermare una supremazia sul branco. Scattando avanti nel tempo di sette o otto anni, mi compare davanti la corpulenta figura di Oreste Sorace, che intende prestarmi, ma contemporaneamente non si fida di darlo in prestito, un opuscolo venutogli dallo zio (anche lui) Oreste. Ha per titolo: "Predica di Natale" ed è stato pubblicato in altri tempi, qualche anno prima che scoppiasse la Prima Guerra Mondiale, quella del 15-18. Autore, Camillo Prampolini, che era stato un deputato socialista emiliano. Lo scritto è un commovente tentativo di collegare il socialismo riformista (emiliano) alla predicazione evangelica. Ai tempi dell'autore, la vita era difficile, perciò la mente individuava il problema immediatamente. Da una parte i ricchi, dall'altra i poveri, nel mezzo impiegati, commercianti, massari, qualche artigiano più fortunato. Gli ideali socialisti ruotavano interno al riscatto materiale delle classi lavoratrici. Il socialismo italiano aveva un carattere "umanitario", più che scientifico. Sicuramente non era cattolico, anzi era mangiapreti. Tuttavia, per il suo contenuto, poteva dirsi sicuramente cristiano. O meglio: a favore dei poveri che abitavano l'Emilia, le Romagne, la Bassa Padana, o lavoravano nei porti di Genova e di La Spezia, e nella cintura di Torino.

A sessantacinque anni di distanza, quell'opuscolo mi torna in mente spesso. Non solo il titolo, di per sé insignificante, ma il succo, l'orazione pro deboli che vi viene svolta.

Non sono un deputato socialista (cosa oggigiorno non alla portata di tutte le borse), non sono emiliano, non godo di un'indennità parlamentare, godo, sì, di un'automobile blu, ottenuta però con l'obolo di 48 fastidiosissime rate. Appartengo, all'opposto, all'Italia insignificante, indegna del nome che porta e dei civilissimi fratelli toscopadani; o per meglio dire alla perduta gente che per campare traffica la droga - il cosiddetto capitalismo a mano armata, che vende armi italianissime - anzi made in Città d'Arte antiche e venerate - a chiunque voglia comprarle dando in cambio droga, e i cui guadagni sono il nostrano parco sostegno e il largo sostegno della civilissima e pacifista nostra patria italiana, nonché artistica e democratizzata da Tg-Crimen.

Perciò titubo a mettere nero su bianco, allo stesso modo che titubava Oreste nell'affidarmi l'opuscolo. Benché titubante, vorrei fare anch'io fare una predica natalizia e vorrei rivolgerla agli attuali ventenni, a coloro che sono nati sessant'anni dopo di me, in un modo che, sicuramente, se ne impipa delle prediche di Natale.

I giovani, come tutti gli uomini, dacché mondo è mondo, non hanno scelto di nascere e non hanno edificato la società in cui vivono. In passato si nasceva, si viveva, si faticava incredibilmente per raccogliere un tomolo di patate, uno stuppello di olive, un cesto d'uva, per strappare dal fango un fascio di liquirizia, per riempire una cassetta di limoni. Tutto è cambiato un due decenni. Il tenore di vita è fortemente cresciuto, sono cambiati l'organizzazione sociale, la cultura, il modo di comportarsi e d'affrontare la vita. Però sostenere che queste modificazioni sociali le abbiamo volute e costruite noi che veniamo da prima - noi padri, noi nonni, e andando ancora indietro, gli avi nostri - è solo una solennissima sciocchezza.

 Il rinnovarsi e il succedersi delle strutture sociali è il prodotto dell'evoluzione della tecnologia che viene applicata alla produzione. Prima c'era una vanga, cosicché a comandare il lavoro era il proprietario della terra, che era anche una persona nota in paese: oggi c'è un trattore, cosicché a comandare il lavoro è un industriale, sono gli azionisti in borsa, la banche, i concessionari. Si chiama filiera. In questa filiera sono tutti invisibili, sono persone ignote fisicamente e anagraficamente. Prima c'era un asino, una pariglia di buoi, cosicché a comandare il lavoro c'era un massaro: oggi c'è un Tir, cosicché a comandare il lavoro sono gli stessi invisibili signori di cui sopra.

Gli uomini, diversamente dalle altre specie viventi, prima producono e solo dopo aver prodotto possono consumare. Chi ha il potere di comandare il lavoro produttivo è anche colui che organizza la società in cui "quel" lavoro produttivo viene comandato e pagato (Marx). Nel corso della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, i capitalisti americani si resero conto che il loro lucro aumentava se la gente poteva spendere. Gli industriali di altri paesi impararono la lezione, nacque così l'Economia del benessere, che è ben diversa dalle arcigne teorie precedenti. Favolose emissioni di cartamoneta unsero gli scalmi, in modo che la gente avesse il danaro occorrente per consumare di più.

Questo sistema economico ha risvolti positivi e negativi. Fra gli altri c'è un risvolto contemporaneamente positivo e negativo. I grandi guadagni che l'industria conseguiva con l'elefantiasi del consumo, le hanno consentito di finanziare la ricerca tecnologica e d'innalzare incredibilmente la produttività per addetto. Esempio banale: un trattorista fa ogni giorno il lavoro di 300 zappatori. Cioè ha reso disponibili, per altri lavori, i restanti 299. Usando il ben dell'intelletto, la conseguenza naturale (della natura umana) del fatto nuovo avrebbe dovuto essere una forte riduzione delle giornata lavorativa. E qui comincia il dramma dei giovani che vivono in paesi industrializzati. Infatti non si è andati secondo natura. Si è preferito non modificare l'orario di lavoro e creare un mare di gente che non trova lavoro (e quindi una paga). In sostanza il progresso ha migliorato l'esistenza delle famiglie che hanno un'entrata e prodotto contemporaneamente, a livello mondiale, due o tre miliardi di esseri umani senza alcuna possibilità di ottenere un lavoro e un salario. La presenza o l'assenza delle fabbriche divide la Repubblica Italiana in due paesi: un paese della piena occupazione e un paese destinato a essere risucchiato nel mondo della fame, della malattia, della morte.

 Quando definiamo con la parola disoccupazione la condizione dei giovani meridionali che impiegano vent'anni a trovare lavoro, cadiamo nella trappola dei cosiddetti "mali antichi", dei Borboni ignoranti e crudeli, del latifondo, della mafia e di quant'altro serve alla retorica di chi con l'Italia ci marcia, eccome! E' legge generale che, negli Stati industrializzati, i giovani vengano parcheggiati nelle scuole, nelle università, a casa di papà. I salari che padre e madre ottengono si consumano più sveltamente se essi servono a finanziare i consumi dei figli. Non siamo al tempo di Alfred Marshall, un tempo il santone delle facoltà di economia. Il risparmio popolare non serve, la moneta occorrente a finanziare l'industria s'inventa. Punto e basta.

La retorica si somma alle bugie. Le bugie si sommano all'inganno. Una cosa è la scuola per tutti, cosa ben diversa è ingolfare l'università al fine di nascondere la disoccupazione giovanile.

Il libero ingresso a qualunque facoltà, indipendentemente dal precedente curriculum scolastico è soltanto una delle tante trappole armate dall'organizzazione vigente del potere, per tenere a bagnomaria e a carico della famiglia, intere generazioni.

In politica, nei giornali, negli studi televisivi ci sono delle ben remunerate carogne, dei sociologi da strapazzo. che ci allettano parlando di mammismo. Certo non ingannano più nessuno. Tutti siamo consapevoli che la televisione è molto peggio di quel che un tempo si diceva della fede religiosa: l'oppio dei popoli. Ma che chi detiene il potere politico sa anche che la televisione ci cattura per noia, che espugna le difese dell'intelligenza e ci riduce a un branco di imbecilli. Siamo troppo poveri per muoverci, vedere, sapere, per condurre una vita stimolante, e siamo troppo ricchi per dover morire di fame. Guazziamo nella melma della pigrizia mentale. Su questa condizione onirica dei soggetti navigano i Bruno Vesta, i Michele Santoro, i governatori regionali, il Sistema Sanitario Nazionale e la Tv come polizia scientifica..

Lo studio è lavoro, fatica, rinunzie a volte estenuanti. Soltanto chi, con lo studio non persegue un fine economico, come i poeti, i filosofi, gli scienziati, vi si immerge senza avvertire la fatica fisica e morale. Non così il giovane studente. Egli si prospetta un risultato doppio: il sapere e il mercato, dove offrire la professionalità per cui ha faticato.

Il mercato è il dramma suppletivo che, oggi, si rappresenta nella mente del giovane. La trama non si esaurisce in pochi anni, come in passato. Dura venti anni. Non tutti reggono allo stress. Chi fa l'agricoltore raramente ricorre ai tranquillanti. Chi si inserisce ancora ragazzo in un mestiere manuale non è frequente che abbia bisogno dello strizzacervelli. Chi, invece, studia ha una psicologia più debole. Vive e lavora per il domani sul mercato, ma il suo domani è lontano nei decenni. Poi, dopo la fatica quotidiana, non viene un normale riposo, come in chi ha sudato, ma lo svago. E questo svago oggi è preordinato in funzione dell'economia dei consumi. E' folle, diverso, angosciante, morboso. Non è il notturno andare su e giù per il Corso, chiacchierando e ridendo con gli amici, come accadeva appena cinquant'anni fa, ma tocca i limiti del degrado, dell'igienicamente negativo.

Questo sfasciume non si combatte con una migliore organizzazione della sanità, o con la diffusione dei campi sportivi e delle piscine coperte. La lotta ha essenzialmente un contenuto politico, e riguarda l'orario di lavoro. Ovviamente è una lotta che al Sud avrebbe una rilevanza che nell'Italia restante apparirebbe "incomprensibile", pertanto inaccettabile per un qualunque partito nazionale. Il partito nazionale ha spesso un nome ereditato dal passato, ma non ha più un'identità classista precisa, particolare, riconoscibile. E' generalista, interclassista, pretende d'incorporare tutto, ma in pratica incorpora essenzialmente l'interesse particolare che si esprime con più forza. La pratica conseguenza di ciò è che i partiti nazionali non riconoscono quegli interessi meridionali in contrasto con un interesse meglio percepito e difeso a Milano. Nel caso i profitti di chi produce e vende.

 Se il Sud continua a non vedere quel che succede, continuerà a contare i morti.






 

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