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Due Sicilie
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IL DRAMMA D'ESSERE GIOVANE DISEREDATO

di Nicola Zitara

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Siderno, 8 Gennaio 2010

Negli anni Cinquanta e Sessanta la presenza di una percentuale elevata di giovani meridionali disposti a lasciare la propria terra e a emigrare è stata determinante per il 'miracolo economico' padano. In verità, in quei decenni, il moto migratorio investì (in senso positivo o negativo) tutta l'Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale. Nella sola Germania 14 milioni di abitati delle regioni dell'Est e di altri paesi passati alla dittatura comunista affluirono nella Germania Federale generando un esercito di lavoratori a basso prezzo senza precedenti storici nell'industrializzazione continentale. Il Piano Marshall non gratificò soltanto la Germania. Anche Genova, Milano e specialmente Torino ebbero in regalo dagli USA macchine e impianti di modernità rivoluzionaria per la vecchia Europa. La Fiat poté inaugurare le sue catene di montaggio, altre aziende balzarono con un salto acrobatico alla modernità americana.

La massa operaia venne fornita dalle campagne sia centrosettentrionali sia meridionali. Il salario settimanale, la certezza della busta paga, era idoneo a incantare la prospettiva di un contadino che doveva scontrarsi con la pioggia e il sole, con il padrone e con il fattore, con dio e con la natura, e attendere il raccolto annuale per pagare i debiti contratti nell'attesa. E non soltanto il contadino, anche l'attempato barbiere, il ciabattino dalle mani corrose, l'antico falegname, l'occhiuto sarto e i loro discepoli, nonché la miriade di operai delle industrie obsolete, disseminate nei borghi e nelle cittadine del Sud emarginato, della Sicilia, della Sardegna ricacciate indietro dal nuovo dualismo italiano, passarono al servizio degli impianti ammodernati.

Cosa ci hanno rimesso i popoli dell'Italia meridionale da quel travaso di umanità? Era danaro regalato dall'America: quel che è avvenuto a Genova e Milano - senza forse - poteva avvenire a Napoli e Palermo. Nel 1950 la base operaia e il management lasciati inoperosi  dalla chiusura dell'industria bellica erano ancorano considerevoli. Quel che è andato perduto cinquanta anni fa oggi lo paghiamo duramente. Il sistema capitalistico pretende che il nuovo esercito industriale sia a basso costo, ma la famiglia del borghese povero non è più la famiglia contadina di un tempo, in cui si misurava anche la fetta di pane. Per altro i cancelli delle fabbriche non sono propriamente spalancati. Oggi l'emigrazione Sud/Nord si presenta non come un'avventura dell'uomo che cresce in esperienza e conoscenza, ma come un dramma esistenziale.

La famiglia antica è stata fortemente incisa ad opera dello scambio monetario richiesto per ogni atto dell'esistere, dalla fine del paese e dei paesani, ma non quanto altrove. La solidarietà ancora regge. Il giovane è protetto dall'affetto e dal reddito familiare. Ma ciò non è certamente quel che egli chiede. Il giovane di entrambi i sessi ha bisogno di mettere su una famiglia nuova, di generare figli. Ciò per legge di natura: la conservazione della specie. Ha bisogno di partecipare alla produzione economica. Ciò anche per legge sociale: la sopravvivenza dei popoli e delle nazioni, della loro specifica cultura, della loro coesione antropologica.    

Il capitalismo ha tolto alle nuove generazioni meridionali il governo di sé stesse, della propria dinamica sociale e demografica, il progresso personale e collettivo che, nonostante la povertà, la società contadina ha garantito per nove o dieci millenni. E quando è stato necessario per il popolamento di nuove terre, il mondo contadino (dal tempo della Magna Grecia al popolamento delle Americhe) ha saputo provvedere generando nuove civiltà. Non più il neoliberismo reganiano. Ma dove la popolazione e il lavoro non sono in equilibrio lo scambio sociale si svolge in forma falsificata. La collettività non riconosce più il valore del lavoro e non lo rispetta. Qui, purtroppo è tale il clima sociale. Qui la domanda di lavoro è molto più bassa dell'offerta, cosicché lo scambio tra lavoro e salario  contiene violenza, perfidia, sopruso. Niente di più lontano da una comunità.

Il giovane meridionale si sente disumanizzato, asocializzato, circondato, minacciato, assalito dalla  incoerenza della società in cui vive, di un mondo che non gli affida più il futuro. Il futuro sta nel treno. Il lavoro è ricordo delle vecchie generazioni trascritto in una modesta pensione, quando c'è. Il Meridione sta morendo. Qualche volta mi viene da pensare che la mafia è soltanto una reazione all'idea incombente della morte sociale. I giovani meridionali sono infelici, vivono il passaggio dalla democrazia sociale (persino dell'assistenzialismo e del clientelismo democristiano e craxiano)  all'isolamento nazionale come una colpa propria. Chi governa la colonia meridionale lo fa senza saggezza, senza solidarietà; miserevolmente, per conto della sua sopravvivenza sociale.
















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