L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Sì al Referendum elettorale

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Dal 1945 in poi, i partiti italiani - ad eccezione del partito cattolico, tutti sorti al Nord - sono stati il più efficiente veicolo dell'asservimento del Sud agli interessi delle regioni tosco-padane e della città di Roma, fra loro legate in solido connubio per barare al gioco politico.

La legge elettorale a base proporzionale - con collegi regionali - è stato il meccanismo pratico con cui le direzioni nazionali dei partiti hanno difeso la propria sovranità e sottomesso i rispettivi parlamentari. Questi dovettero essere ciechi, sordi, abulici e acefali, in una fase più che decennale della politica italiana, in cui il contrasto d'interessi tra Sud e Nord emergeva come fatto evidente. E non solo per le classi proprietarie e per la borghesia provinciale, anche per le masse lavoratrici, che passavano dall'assetto contadino all'urbanizzazione nei ghetti dei centri industriali, e di conseguenza a una dolorosa sottomissione alla rendita dei padroni di casa.

Tuttavia, se ci caliamo per un momento nel punto di vista di quella parte d'Italia, che considera sé stessa l'Italia intera, e ci dimentichiamo d'appartenere a quell'altra parte che subisce lo Stato nazionale, il sistema dei partiti si presenterà come una democrazia aggregata e aggregante. Invece il sistema a collegio unico uninominale ha già largamente riportato il parlamento al vecchio trasformismo e ne ha fatto un luogo in cui tutto appare contemporaneamente vero e falso, come al tempo della dittatura padanista e industrial-intrallazzista di Giolitti. La vittoria dei sì lo porterebbe parecchio più in basso. Un parlamento groppone, per usare un termine della storia britannica, o un parlamento di rigattieri, se il riferimento va al patrio costume.

Il vecchio consociativismo beffeggiò il Sud, si arrese facilmente all'imposizione confindustriale di tenerlo nella condizione assegnatagli cento anni prima da Cavour, dopo l'impresa garbaldina. Ma almeno dette sollievo ai consumi e creò qualche servizio pubblico. Ma, in Europa, erano ancora tempi in cui l'agricoltura dava all'industria. Oggi la relazione si è invertita. E l'Italia non è la Francia né la Germania. Il sistema confindustriale padano non è disposto a finanziare il settore agricolo che sopravvive a sud del Po. Allora noi diciamo: tanto peggio, tanto meglio. Lo sfascio nel parlamento centrale sarà d'aiuto per la nascita di un sentimento sudista e separatista. Sia tra la popolazione, sia fra gli ascari che siedono in parlamento.

Potrebbe, persino, accadere il miracolo che, non avendo più la copertura ideologica di un partito, alla fine gli ascari sentano vergogna di sé stessi e capiscano che, svendendo il proprio paese, svendono anche la propria famiglia.

L'Italia sabauda e mussoliniana ebbe al suo servizio dei battaglioni di eritrei, chiamati ascari, che, per una paga, combatterono per l'Italia contro gli abissini. Ma quando l'Italia perse le colonie e l'impero (nonché il rachitico imperatore e il suo dissennato e vaniloquente primo ministro) gli ascari tornarono ad essere dei patrioti, una nazione per sé, un'Eritrea che voleva e vuole l'indipendenza della sua antica stirpe nazionale dagli etiopi.

Sì al Referendum sui licenziamenti

E' superfluo chiarire che non stiamo dalla parte del padronato e non siamo pagati dalla Confindustria. In tutta Europa, a questo punto dell'evoluzione culturale delle masse, non c'è più bisogno di un imprenditore privato che sappia studiare o intuire le iniziative da avviare, né tantomeno di un padrone che sappia fare il proprio interesse nell'ambito più vasto dell'interesse aziendale. Ormai - in Europa - anche i dipendenti sanno fare tali cose. Di ciò il Veneto e l'Emilia sono la prova provata. E proprio perché non solo c'è il testo ma pure l'esperienza, anche i bavaresi, i provenzali, i napoletani (che peraltro già lo fanno in nero) e tutti gli altri saprebbero dar seguito all'esempio, ove le banche concedessero l'accesso all'uso del risparmio a chi non è un capitalista.

Diciamo sì al Referendum sui licenziamenti andando contro i nostri stessi sentimenti perché, nel nostro paese - che è il Sud italiano e non l'Italia - le frange italianizzate e garantite del lavoro sono politicamente avulse dalla realtà nazionale meridionale e non partecipano al dramma generale del mondo meridionale del lavoro, il quale al 95 per cento è scoperto di garanzie, mentre oltre la metà della popolazione in età di lavoro è inoccupata. Anzi, l'esistenza di tale minoranza costituisce l'alibi a cui ricorrono i partiti nazionali e i sindacati per nascondere le loro responsabilità politiche verso il popolo meridionale.

Viviamo in un sub-paese dove un dipendente Enel è un signore, un ausiliario ospedaliero è una persona che si è assicurato il pane per il resto della vita, un bancario è un mezzo barone, un medico è un barone intero e un giudice è paragonabile ai principi, gran feudatari di Spagna, che un tempo spadroneggiavano su intere province. Se vogliamo progredire, questa minoranza deve perdere le garanzie di cui gode. Sembrerebbe misoneismo, ma non lo è. Purtroppo, nel quadro sociale ed economico che l'Italia ha imposto al paese meridionale, chi è disoccupato tende a rimanere tale. Un movimento verso l'alto, verso la sicurezza e la chiarezza non c'è. Allora è politicamente conveniente che chi sta comodo scenda dalla sedia e si pareggi alla maggioranza che sta in piedi.

Fatto questo, molte posizioni equivoche si chiarirebbero.

 

Nicola Zitara

 

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