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I giornali unitari di martedì 20 gennaio 2004 riportano con buona evidenza una dichiarazione del cardinale Camillo Ruini, contraria al federalismo.
Il cardinale Ruini ha parlato ex cathedra, quale presidente Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in buona sostanza quale portavoce della Santa Sede. Ma non ha detto una cosa nuova.
La Chiesa romana è schierata su linea conservativa dell'Italia
sabauda da un buon decennio.
Ciò posto, il separatista meridionale (quindi non bossista e non
federalista) deve chiedersi cosa difende la Chiesa. Perché appartiene
alla logica elementare che, quando un terzo se la prende con uno solo dei
due litiganti, si dichiara a favore dell'altro.
Ma chi sia l'altro, non è per nulla intuitivo. Monsignor Ruini dovrebbe avere la bontà di essere esplicito a riguardo.
Non è, infatti, supponibile che un alto dignitario del Vaticano
non conosca la storia d'Italia e la storia dei rapporti tra Regno d'Italia
e Chiesa Romana; una storia tormentata - e non solo per lo Stato e per la
Chiesa, ma soprattutto per i cattolici italiani - ufficialmente dal 1870
al 1929, ma effettivamente dalla rivoluzione del 1848 al 1948, allorché,
sconfitto il Fronte del Popolo ad opera della Democrazia Cristiana, fu chiaro
che il potere di governare l'Italia - questa volta tutta l'Italia, dal monte
Gottardo all'isola di Pantelleria - era in mano alla Chiesa.
L'Italia non è potuta assurgere a unità politica qualche secolo prima di Dante, nonostante fosse, all'epoca, la prima, la più forte e la più ricca identità nazionale ed economica d'Europa, perché i papi, che volevano difendere il Patrimonio di San Pietro e che volevano, perciò, a sud del loro Stato, una forza militare non subalterna all'Impero, provocarono in successione la conquista normanna, la conquista angioina e la conquista spagnola di Napoli e della Sicilia; per i meridionali un millennio di storia coloniale.
La resistenza della Chiesa all'unità sabauda è a tutti nota. "La Civiltà Cattolica", la più illustre pubblicazione temporale che si produce da un secolo e mezzo ad opera di sacerdoti cattolici, difese i Borboni e l'indipendenza del Sud ben oltre il fatto compiuto dell'unità. E fu da Roma, ancora papalina, che Francischiello guidò la resistenza dei contadini meridionali contro l'invasore toscopadano.
Adesso difende l'unità.
Insomma una Chiesa oppositiva. Quando l'unità serviva, ha imposto
la divisione, e adesso che serve una vera divisione (e non la piovra federalista)
diventa partigiana dell'unità!
Vuole veramente la Chiesa romana l'unità d'Italia o vuole per esempio
che l'Unione Europea in itinere l'aiuti a veleggiare verso Mosca e la Chiesa
ortodossa? Ma i cristiani di Mosca e di Sanpitroburgo si salvano l'anima
anche se non portano le statue dei santi in processione. Insomma, dopo aver
pagato per l'esistenza del Dominio Temporale dei Papi, i meridionali dobbiamo
pagare per la normalizzazione dei popi russi?
Cos'è, dunque, il Sud italiano per la Chiesa Apostolica Romana?
Ancora e sempre una pedina da giocare sullo scacchiere europeo? La Chiesa
non ignora l'esistenza di una questione meridionale. Essa non ha mai amato
don Luigi Sturzo e la sua visione temporale della politica italiana. Ma
se, putacaso, mancassero altre prove testuali, è proprio il disamore
nei confronti del fondatore del Partito cattolico che permette a chiunque
di sostenere che, dentro il perimetro del Vaticano, la "questione meridionale"
non è un'espressione priva di significato.
D'altra parte le blandizie meridionaliste punteggiano insistentemente i documenti della CEI. Sono tali e tanti che, se i meridionali potessimo attingere libertà, indipendenza, dignità privata e pubblica in quei testi, saremmo oggi il popolo più libero, dignitoso e rispettato del mondo.
Siamo invece un popolo disperato, senza rispetto per il nostro passato
e senza il dono della speranza per l'avvenire dei nostri figli e nipoti.
Siamo un popolo sbeffeggiato, irriso, colpevolizzato; una grande disgregazione
sociale. Bossi è solo la ciliegina su un'immensa e secolare torta
di pattume politico, economico e sociale, la cui confezione è opera
dello Stato unitario - ribadisco - nato a suo tempo contro l'attivo impegno
politico ed ecclesiale della Chiesa cattolica.
Nessuno, meglio dell'Episcopato italiano, conosce la condizione mortifera a cui la Repubblica dei banchieri italiani ha condannato, ultimamente, il Sud.
E che fa?
Invece di darci una mano, innalza il nostro cenotafio! Non ci concede il
diritto alla ribellione! Ci sacrifica ancora una volta sull'altare profano
del calcolo politico!
Le ragioni di quell'avversione all'unità italiana sono un'acquisizione
successiva per tutti, eccetto che per chi redigeva "La Civiltà
Cattolica" negli anni ruggenti di Cavour e dei suoi epigoni, ladri,
felloni e macellai. Se Monsignor Ruini, come chiunque altro, si prendesse
la pena di meditare gli articoli dati allora alle stampe, saprebbe tutto
- e anticipatamente - sull'unità d'Italia e sulle sue disastrose
conseguenze per le popolazioni meridionali; avrebbe persino una spiegazione
di ciò che va accadendo a Parma e nelle cancellerie private delle
grandi banche che servono di barba e capelli il pubblico italiano (e più
i produttori, di cui si parla sottovoce, che i risparmiatori, che trovano
difensori dovunque, dai telegiornali alle sacrestie).
Qualcuno che non fosse il Cardinale Ruini, sostenendo che l'unità
non si tocca, avrebbe l'attenuante della fiducia e della fede in un'unità
perfettibile. Ma il Cardinale, che è un uomo politico colto e informato,
le carte processuali le conosce fin nei dettagli. E conoscendo le carte
del processo, anche il più sprovveduto degli avvocati sa che, alla
fine, la condanna sarà, inevitabilmente, la pena di morte.
Messi in catene da uno Stato falsamente unitario - sostanzialmente una truffa ideologica - dovremmo accettare patriotticamente la morte fisica, dopo che chi ci ha dato la vita si piegato piangente - e noi stessi ci pieghiamo piangenti - di fronte al quotidiano stillicidio dell'ingiuria al nostro paese, al nostro essere, alla nostra fede, a una cultura, a un'umanità, a un'economia che sono esistite?
Uccidere un morto è pleonastico, inutile; la superflua crudeltà
di un Bossi qualunque. L'apologo di Caporetto bisogna ricordarlo: i fantacci
meridionali fucilati alle spalle, per coprire con la loro morte e il loro
disonore il generale Badoglio, che quella notte fatale era andato a puttane.
Questa è stata ed l'unità, la storia di tutti i giorni per
sei generazioni di italiani del Sud!
Abbiamo il diritto di combattere per l'onore della bandiera, di difendere
l'ultima trincea. Chi contrasta Bossi per un suo particolare motivo, lo
espliciti. Non si serva di noi come d'un paravento.
Siamo i naufraghi di una nave che è affondata già prima di
cominciare il suo viaggio, per il sabotaggio del suo nocchiero. E non saranno
le bombarde di Bossi che coleranno a picco la zattera che sorregge gli ultimi
superstiti, come sostiene il Cardinale Ruini. La nostra morte era già
trascritta nel destino dei popoli e delle nazioni prima che il padre del
nonno di Bossi venisse alla luce.
Vivi dopo esser morti?
Tutto è possibile nel paese di Arlecchino e di Pulcinella. Arlecchin de là, e Pulicinella 'accà: c'è da sganasciarsi dalle risate.
Cardinale, Cardinale, non trascuri il Sesto Comandamento: "Non pronunciare falsa testimonianza".
Nicola Zitara
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