L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Il partito delle Tre Sicilie

di Nicola Zitara

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Siderno, 6 Ottobre 2004

Le elezioni regionali non sono lontanissime. Chi sente in petto ardergli una gran voglia di rappresentare il popolo si affretta. Nei partiti di dimensioni nazionali, o quasi, s’accendono fiere lotte per la riconferma a homo publicus o per la nomina  a candidato.

 In quei simil-partiti o sigle, che nascono a ogni elezione per scomparire subito dopo, ottenere la candidatura è, invece, molto facile: la nuova sigla nasce proprio per fornire un’etichetta al neo-politico.  In queste formazioni le difficoltà hanno natura totalmente diversa.

Intanto presentare la “lista” non è propriamente facile. I partiti che non hanno già degli eletti debbono raccogliere le firme, e non sempre i nuovi arrivati hanno il seguito di firmatari voluto dalla legge. Basta questa cosetta insignificante a creare grossi impacci e grandi patemi d’animo.

In secondo luogo c’è il problema dei resti. Capita infatti che il candidato non ottenga   un numero sufficiente di voti per essere eletto. Di conseguenza i voti ottenuti vanno perduti. E’ come se lui non fosse mai esistito politicamente ed elettoralmente. A questo pubblico malanno si può, però, mettere una toppa mediante l’apparentamento con una lista che sicuramente otterrà (almeno) un eletto, a favore della vige la regola dell’elezione con i resti.

La “cosa” l’ho vista con i miei occhi una ventina di anni fa, quale candidato del defunto (e vissuto una sola stagione) Movimento Meridionale. Siccome non si aveva alcuna speranza di ottenere un quoziente elettorale (anzi non c’erano abbastanza seguaci per raccogliere “le firme”) il Movimento confluì nel Partito Sardo d’Azione, il quale, a sua volta, era apparentato con il Partito valdostano e con il Partito sudtirolese.

Alla fine mi ritrovai candidato assieme agli avversari del Movimento Meridionale e in stretta parentela con il senatore Benedicter, capo del Sűdtilorer Volkspartei, con il quale avevo litigato un’infinità di volte.

Al Sud, le prossime regionali promettono gran novità, a causa della devolution stronzobossista, che ha decretato la fine dell’assistenzialismo e persino dello Stato sociale; un disastro esistenziale per il Sud, paese di disoccupati, di sottoccupati, di mai occupati, di male occupati, di gente senza avvenire e senza speranza.

La carestia decretata, e introdotta nell’assetto meridionale dal capitalismo finanziario toscopadano attraverso la gestione dell’euro,   rafforza, poi, la valenza elettorale della novità.

 Ciò che è avvenuto in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Bari, con un Berlusconi impietrito, ma ugualmente obbligato dal cerimoniale ad  ascoltare le contumelie che gli arrivavano dagli avversari e dai suoi stessi vassalli, è un’anticipazione della prossima campagna elettorale.

Il Sud sarà imbandito in tavola a colazione, pranzo, cena e merenda da cuochi di cento cucine diverse, a partire dalle Alpi tirolesi per arrivare all’Isola di Pantelleria. Il Sud rischierà di morire strafogato d’amore.

Chi, su tale versante, non corre pericoli di sorta è  la sua classe politica. La cosa è nota da un secolo (cfr. Gaetano Mosca, La classe politica, Universale Laterza, Gaetano Salvemini, Il Ministro della malavita, Feltrinelli, e decine di migliaia di altri scritti).

Il tempo passa, e qualche volta le cose cambiano. Per esempio,  la vecchia e sdrucita mascherata del meridionalismo non incanta più alcuno. Come oppio del popolo, il meridionalismo è in disuso. Sta per prenderne il posto il neoborbonismo, che ha un volto fresco e in qualche modo intrigante.

Il partito delle Tre Sicilie

Questo neoborbonismo, poi, non è tanto il partito del re quanto il partito dei briganti: il popolo contadino che resistette alla rivoluzione passiva dei galantuomini e alle baionette cavourriste. Si tratta, però, di un movimento allo stato genetico, e quindi esposto a mille ambiguità.

Sicuramente contiene un rifiuto dell’esistente Stato nazionale; altrettanto sicuramente non ha un’anima  conservatrice, padronale, passatista, meno che mai una comoda anima ducal-giacobina. All’opposto, include un vasto arco di attese proletarie e democratico- progressiste: da quella popolare dell’occupazione a quella imprenditoriale per una logistica creditizia amica. Ma altrettanto sicuramente c’è un’aspettativa  sentimentale che si proietta verso il recupero del rispetto regionale, nell’ambito della retorica nazionale.

E c’è, sicuramente, anche l’ambizione, o la speranza, di veder modificato l’atteggiamento dello Stato nei confronti del Sud; insomma cose impossibili, in quanto il dualismo sta alla base del mercato unico nazionale, dello Stato nazionale e dell’organizzazione giuridica sovrana (democratica e costituzionale, almeno così si afferma). 

In tale magma genetico, le aspettative rivoluzionarie vanno, quindi, a braccetto con le vanità più inconcludenti. A causa di tali incongruenze, il neoborbonismo può apparire uno stronzobossismo rivoltato di segno. D’altra parte,  la morale politica dello stronzobossismo è ben radicata in Italia.

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Un tempo veniva definita (e condannata) con il termine “municipalismo”, l’uso, cioè, delle risorse dell’intera nazione a favore della propria città; la speciosa lotta per un privilegio cittadino, in cui eccelsero (ed eccellono tuttora) Genova, Firenze, Livorno, Modena e altri liberi Comuni e servili Signorie. Volendo concettualmente allargare i confini all’intero territorio padano, lo stronzobossismo altro non è che neo-municipalismo.

Ora capita che  questo neo-municipalismo nordista infetti il movimento neoborbonico. Anzi lo inquini. Il verbo inquinare non è usato a sproposito. Infatti, dato il diverso grado  di sviluppo economico del Sud rispetto alla Toscopdana,  non esiste munipalismo che possa risollevare le sorti delle popolazioni meridionali. Ci vorrebbe ben altro.

Insomma, nella sua vera essenza, spesso non ancora interiorizzata, il neoborbonismo è un anelito di liberazione dal rapace capitalismo toscopadano e dallo stesso, impoverente, liberismo globale. Tuttavia capita spesso  che venga superficialmente inteso come la riscossa di una patria minore, o come la rivendicazione di una parità italiana. Tale e quale il vecchio, sdrucito e archiviato meridionalismo.

A volte, la storia si ripete. Gli errori attraverso cui il Movimento Meridionale è arrivato al suicidio s’intrecciano con le tipiche perversioni della nostrana classe politica. L’aspirante deputato, nuovo venuto, che non trovi spazio nelle formazioni politiche già  esistenti, si butta con i neoborbonici, i quali,  ingenuamente, fanno spazio.

Subito dopo,  sapendo  di non avere un numero sufficiente di firme per presentare una propria lista e, comunque, non contando su una piena elezione ma solo su un’elezione con i resti, si apparenta con la sola formazione ancora assente al Sud. Quella di Stronzobossi. Il quale logicamente c’inzuppa il biscotto.

E’ dieci anni che lo Stronzo si dà da fare per crearsi  dei supporter al Sud. Il fatto è che, come ogni buon milanese, comasco o brianzolo, è anche tirchio. Cosicché in passato ha legato a sé soltanto dei mezzani di scarsa caratura, gente che s’accontentava di qualche spicciolo: quanto bastava per comprare un altoparlante, per stampare un giornaletto sgrammaticato e per concorrere all’elezione nei consigli di quartiere.

Oggi, imperversando la crisi della borghesia impiegatizia e l’insofferenza popolare verso lo stronzobossismo governativo (contraddizioni della politica!),  accorre a cercare l’abbraccio  dello Stronzo anche gente abituata a mangiare tre volte al giorno; persino gente che vive in costosi appartamenti, che possiede rutilanti Mercedes, veloci BMW, la casa al mare e fa le vacanze invernali a Madonna di Campiglio. Insomma, al Sud,  Stronbossi può non contentarsi di amplessi ancillari, ma gozzovigliare nei salotti riservati e con cocotte d’alto bordo.

Da un punto di vista geografico non esistono due Sicilie, ma una sola Sicilia, detta anche Trinacria in onore del retaggio greco. L’espressione  Due Sicilie – se ho ben capito – risale al tempo dello scontro tra Angioini, impiantati a Napoli, e Aragonesi, chiamati in Sicilia dopo l’insurrezione antifrancese del  Vespro. In quell’occasione, secondo un consolidato costume meridionale, i Siciliani, vinta la battaglia del Vespro, fecero l’impossibile per perdere la guerra della libertà politica e sociale. Dopo di che, un re, non so bene se angioino o aragonese,  trovandosi a regnare contemporaneamente sul regno di Sicilia e sul regno di Napoli, per comodità diplomatica, moltiplicò per due la Sicilia e soppresse Napoli.

Alla situazione di una Sicilia moltiplicata per due versava ancora il Sud d’Italia (in verità l’Italia propriamente detta, sia al tempo dei Greci e sia al tempo dei Romani – quindi senza Sud) allorché venne graziosamente “liberata” dalle armi “liberatrici” di Garibaldi, mozzo navale, e di Vittorio Emanuele II di Savoia, mozzo di stalla e figlio, non si capisce bene, se  di un macellaio o di uno stalliere fiorentino; non certo di quel bacchettone e capestratore di Carlo Alberto.

Dopo la conquista unificatoria dei due mozzi, le Due Sicilie scomparvero e l’area coloniale divenne il Meridione, o meglio ancora il Mezzodì o Mezzogiorno, con un migliore riferimento al pasto che i meridionali dovettero prendere la consuetudine di saltare, onde garantire il companatico ai cari fratelli primogeniti toscopadani.

Le Due Sicilie sono risorte da qualche decennio, in virtù del fatto che a tutto c’è un limite, pure al meridionalismo. Da ultimo hanno anche partorito, cosicché sono  diventate tre. Le Tre Sicilie: una, la Sicilia vera e propria,  due, il Napoletano, tre, una Sicilia diffusa da Milano, Treviso, Vicenza, Belluno, fino a  Pieve di Cadore.   

La proclamazione della nuova e trina entità si è avuta ad Acerra, città di bassoliniani rifiuti, con i buoni uffici del dottor Enzo Maiorana, siculo, e del giornalista televisivo Tagliamonte, star dei Regi Lagni. I due vogliono fare carriera in politica e possiedono gli strumenti dialettici per farla. Personalmente glielo auguro di cuore. Infatti tutto il male che poteva essere fatto ai danni del Sud è già stato fatto.

Nessuno può aggiungerci altro, neppure una varietà trisiciliana del partito stronzobossista, un partito cristiano, cattolico e cautelativo verso il sottoscritto, che è un pericoloso marxista e un accanito separatista, le cui folli proposizioni provocherebbero – si è detto esplicitamente – la rovina del Nord, che in questo momento ha bisogno della solidarietà del Sud per uscire dalla crisi in cui si è impantanato con le sue stesse mani. “Acqua davanti e vento dietro”, nobili e battaglieri discepoli del grande Bossi.

Restano la brutta figura, che mi hanno fatto fare personalmente, e il boccone amaro che ho dovuto inghiottire. Ma glieli perdono: non sono i primi della mia vita e spero che non siano gli ultimi.   

Nicola Zitara



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