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L’Italia, i meridionalisti e la memoria storica

di Andrea Balìa

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Napoli, 29 Giugno 2008

Più passa il tempo e più mi convinco che questo paese chiamato Italia è ormai incartato, ripiegato su sé stesso e senza soluzioni. Nato male, con un’economia sbilanciata e con sopite ma mai scomparse crisi di rigetto al suo interno che potrebbero sempre esplodere. Governato peggio da monarchie truffaldine, regimi dittatoriali e da precarie democrazie repubblicane.

Un paese che si ritrova attualmente con un governo ed una opposizione non capaci di assolvere ai loro ruoli. Un governo che invece di affrontare i reali problemi dei suoi cittadini pone come priorità cose che si è dimenticato di citare in campagna preelettorale: i soliti problemi processuali del suo premier, l’iniziativa di prendere le impronte digitali ai bambini rom (sic!!!), e la promessa (quella sì, proclamata da tempo!) di lasciare ai posteri l’opera magna - come da littoria memoria – del ponte dello stretto. Neanche in fatto di “monnezza” grandi novità: Bertolaso c’era stato già prima, i rifiuti - a tre mesi dal suo insediamento – sono anche loro ancora lì, forse le forze alleate convinceranno qualche altra regione a dare una mano per supportare rispetto a questo problema l’immagine del premier, che in compenso ha abituato i napoletani alla sua rituale presenza in città che, sì, blocca ogni volta un po’ il traffico, ma tanto li solleva!

Dall’altra sponda l’opposizione è tutto un programma. Il maggiore partito, sbandierato come la novità del secolo, è sonnacchioso, disponibile ad un atteggiamento buonista da associazione da oratorio e con irrisolte diatribe interne. L’opposizione ambientalista e vetero comunista fuori dal parlamento a leccarsi ferite difficilmente rimarginabili, e Di Pietro assunto all’inconsueto ruolo d’unico oppositore con un minimo di credibilità.

Adesso mi direte: e che c’entrano i meridionalisti e la memoria storica con tutto ciò? C’entrano, c’entrano…tranquilli!

I meridionalisti una ventina d’anni fa, uscendo da decennali letarghi fatti di dimenticanze, omissioni, teste chinate ai poteri e ai leaders partitici, hanno iniziato a fronte di studi, ricerche, ritrovamenti di testi, analisi dei più attenti, a togliere la polvere dalle pietre, a rivendicare il recupero della dignità, a raccontare una storia diversa da quella scritta dai vincitori, e, con l’aiuto di associazioni culturali, coraggiosi giornali, l’avvento di internet e di consequenziali siti in merito, e movimenti precari ma volenterosi, a reclamare il riappropriarsi della memoria storica.

Siamo giunti ai nostri giorni, e, tra un governo che toglie l’Ici prendendo i soldi da quelli destinati ad opere infrastrutturali per il Sud (ad esempio la Napoli/Bari di borbonica memoria) e l’opposizione distratta da sempre rispetto alla “Questione Meridionale”, come probabilmente inevitabile ed auspicabile, l’approccio alla creazione d’una rappresentatività politica del Sud è stato il logico risultato. Le posizioni degne di nota al momento appaiono sostanzialmente tre:

1)l’arroccamento a monte delle associazioni e dei movimenti storici meridionali che, oltre a rivendicare una primogenitura, sono per il proseguimento di sole attività culturali, ritenendo ancora prematuro il salto politico. In parte potrebbe esser vero per un coscienza non ancora definita dei meridionali, ma improponibile per una realtà talmente vessata e degradata, che non permette più la procrastinabilità di una decisione;

2)la discesa in campo di quel Partito del Sud, creato simbolicamente a Gaeta da Antonio Ciano che né è ad oggi il rettore pro tempore. Degno di nota è l’aver rappresentanze e liste in Lazio, Puglia, Sicilia e financo in un’attenta delegazione in Emilia e Romagna. Altrettanto rispettabile è la volontà d’aggregare e/o federarsi con altri movimenti meridionalisti, perché si sa che l’aggregarsi è meglio che il dividersi. Due osservazioni: strano e direi grave che ad oggi ancora non esista una delegazione campana visto l’importanza storica e simbolica della capitale del Sud e il momento grave di Napoli in questi tempi. E un’attenzione che si auspica maggiore a far salire sul carro chi lo merita, perché movimenti come la Lega Sud – per assonanza, simbologia, riferimenti, e presenza attiva sul territorio, non so se abbiano i requisiti giusti per sedere a quel tavolo. In ultimo la dichiarazione più esplicita e precisa d’un programma propositivo darebbe ulteriore credibilità ai sicuri riferimenti storici e di memoria.

3)la recente discesa in campo di L’Altro Sud – Unione Democratica del Sud, nato dalle teorizzazioni, studi ed esperienze del dott. Antonio Civita Gentile, meridionalista della prim’ora e tra i più preparati tra i soggetti di spicco dell’attuale meridionalismo. Programma accurato e definito che si rifà al regionalismo europeo e agli scritti ed al pensiero di Guido D’Orso, una ricerca incoraggiante di adesione giovanile e sostanzialmente un’insolita serietà di comportamento rispetto ad uno spontaneismo spesso tendente al folklorico d’un certo meridionalismo. Però. però…

E qui arriviamo al terzo punto di queste dissertazioni, come scritto nel titolo: la memoria storica.

Che i movimenti e le associazioni che iniziarono la campagna mediatica del meridionalismo degli ultimi vent’anni ne abbiano – non dico abusato – ma fatto forse l’unica bandiera per la lotta, forse sarà anche in parte vero, e non a caso fanno fatica ad aggiungerci una propositività politica. Però d’altro canto leggendo i punti programmatici di L’Altro Sud, tutto o quasi sembra scomparso. E’ vero c’è scritto “difesa dell’identità storica e territoriale”. Ma, onestamente sembra poco. Mi è stato detto: “…vedrai, al momento giusto…”. Ma perché ci si dovrebbe vergognare a dichiararlo? Per quale ragione non deve esplicitamente essere uno dei dieci punti dichiarati?

L’architetto e amico Nando Dicè, tra i più arrabbiati e veementi meridionalisti, ha scritto settimane fa un pezzo, che reputo bellissimo, dal titolo “Il passato che non passa” dove dice: “Quando indichiamo la bandiera delle Due Sicilie noi indichiamo l’identità del popolo meridionale, solo i miopi o quelli in mala fede, possono vedere una nostalgia o dei sentimenti antistorici. Il passato è importante. Molti ci chiedono ma perché parlare del passato? Noi non parliamo “del passato”, ma parliamo dell’inizio, l’inizio di un problema, un problema che si chiama “questione meridionale”, un problema che non è ancora risolto ed è più attuale che mai.”.

O ancora: “Noi non parliamo del passato, ricordando il passato. Parliamo dell’inizio del problema.”.

O potremmo citare il magnifico scritto di Nicola Zitara intitolato “Il debito storico” dove dice con la consueta forza e chiarezza: “Il risarcimento è invece un'esigenza politica…”e dopo: “Il Sud era ed è rimasto, nel sistema italiano, un prolungamento demografico, ferroviario, stradale, aeroportuale. C'è abbastanza in quanto elencato per pretendere un risarcimento dei danni, cosa di cui prima o poi si occuperà una qualche corte di giustizia e comunque, politicamente, l'azione popolare!”.

Si è combattuto da anni per il recupero della memoria storica, perché i meridionali (e non solo) sapessero e con l’ardente speranza che la verità venisse riconosciuta. Ora dovremmo dimenticare di nuovo tutto, buttare a mare queste argomentazioni, farle sparire o sottacerle in un programma che finalmente s’affaccia sul panorama politico. Dovremmo non gridarle e rivendicarle con orgoglio e passione proprio ora che s’affaccia l’alba della tanta auspicata rappresentatività politica. Insomma dovremmo buttare il bambino assieme all’acqua sporca? Pragmatismo sì, atteggiamenti meno autocommiserevoli sì, ma i conti con la storia vanno fatti, dobbiamo farli noi ma anche lo Stato italiano , il Nord, questi governi e queste opposizioni, senza preoccuparsi di pronuciare la parola Borbone, perché con loro coincide (tra pregi e difetti) un passato degno e di spessore del Sud, e con loro sì è interrotta la crescita, lo sviluppo e l’autonomia del Sud. Senza nostalgie eccessive ma anche evitando analisi che dimenticano o marginalizzano i metodi e gli eventi del processo unitario.Va preteso che tutti sappiano e che tutti (Stato italiano compreso) lo riconoscano e ce lo riconoscano! Lo si deve innanzitutto ai martiri e a quei resistenti chiamati briganti, anch’essi forse troppo scomodi da rinominare nelle metodologie dell’attuale politica.

In definitiva ai nuovi movimenti politici va data anima, passione, senso d’appartenenza, che è poi l’humus, l’appeal, che crea aggregazione nel popolo, esaltandone in modo sano (e non dirigistico) quella reattività, quel giusto livore popolare. Insomma figli d’un altro Sud, raccontandone la positività, ma consci di cosa è successo loro, di cosa la storia ha combinato a loro e a le loro terre.

Questa la miscela, questo il doveroso equilibrio.

E poi le parti, quelle più propositive dovrebbero parlarsi, confrontarsi, evitando elitarismi, immodificabilità del proprio verbo di cui il Sud non ha bisogno. Per questo noi battitori liberi (ad oggi) combattenti ci adoperiamo.

Ah dimenticavo….dimenticavo la quarta (o prima) posizione, quella “tosta”, esaltante, difficile, odorosa di pregnante dignità, che certe precarietà di strategie politiche spingono a riconsiderare: la posizione del maestro Nicola Zitara: “il separatismo”.

Meditate gente, meditate…

Andrea Balìa


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