L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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io nun me scordo

“I Briganti”

di Andrea Balìa

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Napoli, 1° Giugno 2007

Poco si è scritto per decenni, e – fortunatamente – molto si è iniziato a raccontare da alcuni anni.

L’argomento riguardante i briganti, ed il fenomeno ad essi connesso identificato appunto come “brigantaggio” è perno vitale nella storia del martoriato Sud d’Italia, e va illustrato e sviscerato il più possibile per comprenderne appieno le motivazioni e come fulgido esempio di lotta di popolo, tale da essere appellato “padre” di tutte le lotte meridionali, faro d’ogni sincero meridionalista. 

La storiografia risorgimentale col termine “brigantaggio” ha descritto quel movimento popolare di liberazione che in piena spontaneità si levò all’atto della realizzazione dell’Unità realizzata dai Savoia. I suoi attori (ovvero i briganti) sono stati liquidati considerandoli alla stregua di malfattori, delinquenti sanguinari e anarchici. 

Fino a pochi anni fa è stata attuata una mistificazione, che si fa fatica a credere non scientifica e strumentale, con cui marchiare la più lunga e spontanea insurrezione dei popoli meridionali contro quello che essi consideravano giustamente un’invasione fatta di oppressioni, espropri, eccidi ecc…Tutti sanno altresì che colui che lotta contro un invasore, per difendere la propria terra e il proprio re, tutto può essere considerato tranne che un criminale.

Mettiamola così, per noi e per la logica, il brigante è: “Patriota che pagò con la vita la strenua difesa delle proprie terre e delle proprie istituzioni contro lo scempio ed i massacri perpetrati dai fratelli d’Italia!” In qualsiasi parte del mondo, tranne in Italia, chi difende la propria nazione è un patriota e non un bandito. L’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito che è in Roma ha nei suoi scaffali documenti, foto ed atti riguardo al brigantaggio contenuti in oltre 140 raccoglitori, ma la sua consultazione è stranamente oltremodo complicata e coperta da limitazioni, e ovviamente ci si è guardati bene dal divulgarne il contenuto. 

Le terre dei contadini del Sud ed il loro uso erano regolate da secolari da secolari diritti (i cosiddetti “usi civici”), e i Borbone erano riusciti a debellare il vassallaggio con editti e leggi che ne vietavano l’attuazione. Con il processo unitario oltre due milioni e mezzo di ettari furono alienati e svenduti agli ex baroni, lasciando ai contadini due possibilità: o brigante o emigrante. Come scrisse Carlo Dotto de Dauli il brigante altro non era che un povero agricoltore e/o pastore di buona tempra e indole non servile che si ribella alle ingiustizie ed ai soprusi, anelante a vendicarsi dei potenti e delle nuove istituzioni che lo riducono all’estremo. 

Cosi nacquero le bande di briganti, costituite da poche unità o nei casi più numerosi di alcune decine arrivando a 80.000 guerriglieri divisi in 488 bande. Si dettero alla macchia e, abili con i coltelli e diventatolo altrettanto con i fucili, seppero farsi rispettare e diedero filo da torcere alle forze di repressione del neonato Stato italiano che furono impiegate in quantità notevolissime contro questo fenomeno, arrivando a schierare al Sud circa 120.000 uomini. 

Il brigantaggio nacque per spontaneo spirito di reazione, difesa e vendetta, ma assunse uno spirito legittimista in quanto le condizioni di vita antecedenti con i Borbone, erano al confronto ben lontane dalle vessazioni, soprusi, espropri cui il processo unitario li costringeva. Mantelli foderati all’interno di pezzi di bandiere bianche e gigliate dell’ex regno, perché ritenute portentose e salvifiche in battaglie, ed altri rituali, canti e quant’altro esaltasse i vecchi reali e l’ex nazione colorirono le loro imprese evidenziandone il senso d’appartenenza al territorio. I briganti furono vittime della soppressione delle fondamentali libertà, dell’arresto per solo sospetto, esteso ai familiari rei solo d’aver un congiunto alla macchia. 

Quand’erano arrestati venivano subito fucilati senza alcun processo, o dopo uno formalmente ridicolo, unilaterale e sommario, organizzato sul posto senza alcun contraddittorio. Furono vittime del rituale, a fucilazione avvenuta, d’essere rivestiti e seduti ad una sedia o appoggiati ad un muro per essere fotografati spesso di fianco ad un carabiniere. Di queste barbare usanze esistono ancora reperti fotografici. 

Spesso venne loro mozzata la testa ed esposta, in modo macabro in una teca, nelle piazze di vari paesi per intimorire gli abitanti. Lottarono eroicamente fino alla fine, pur razionalmente privi di speranze, per difendere la propria antica civiltà e le loro terre contro quell’altra che, in nome della modernità, veniva a saccheggiare, distruggere e sottomettere, senza alcuna pietà o sincero spirito d’integrazione, un popolo intero. Una volta arrestati morirono a testa alta, e si distinsero per vomitare pure l’anima ma giammai una notizia o informazione su compagni o altre bande. 

Quelli non uccisi furono deportati con altri migliaia di reclusi nelle carceri lager piemontesi di S. Maurizio e Fenestrelle. Tra essi Carmine Crocco, forse il comandante più eroico e famoso tra tanti. Originario di Rionero in Vulture in Basilicata era definito: “nemico acerrimo dei patrizi e dei ricchi, impose a tutti il massimo rispetto per i miseri!” Resta scolpita la sua dichiarazione: “Sappiate che per noi nessun scrittore spreca inchiostro e carta. I nostri malanni, la nostra miseria, gli abusi, l’ingiustizia che ci fanno nessuno la scrive, mentre sono chiamati sommi scrittori quelli che ci dispregiano chiamandoci plebaglia miserabile!” 

Qualcuno però aveva in effetti, come Gramsci, il coraggio e la lucidità di scrivere: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti!” 

Crocco era solo il più conosciuto, e con la fama d’invincibile, e mi si conceda una propensione affettuosa e personale nei suoi confronti essendo egli un avo della mia famiglia da parte materna il cui cognome era appunto Crocco. Altri però si distinsero in un elenco lunghissimo tra cui ad esempio Ninco Nanco, Chiavone, Santaniello, Napolitano, ecc…ecc…

Da non dimenticare “le brigantesse”: mogli, amanti, sorelle, che combatterono, armi in pugno, al fianco o in vece dei briganti con abilità, coraggio ed eroismo. Forse il primo esempio d’insurrezione femminile. Furono ugualmente assassinate, oltraggiate, stuprate in un eccidio complessivo che quasi un secolo e mezzo di lasso di tempo non riesce e non può attenuarne il ricordo e la coscienza nei veri meridionali del massacro subito.

Fu cercata ed oltraggiosamente teorizzata e perpetrata perfino una teoria medica che marchiasse i briganti e tutti i resistenti: il medico Cesare Lombroso attuò la misurazione del cranio che li bollasse come criminali. Non è esagerato ritenerlo un precursore di tecniche e teorie naziste ante litteram. 

Tanto alto ed eroico lo spirito dei briganti che anche Francesco II°, ultimo re di Napoli in esilio, ebbe a dire: “…sono vicino al mio Regno ed ai sudditi miei…vengono chiamati assassini e briganti quegli infelici che difendono in una lotta diseguale l’indipendenza della loro patria… in questo senso anche io tengo per un grand’onor di essere un brigante!”

“ Ommo se nasce, brigante se more

e fino all’urdemo avimm’ a sparà

ma si murimmo menate nu sciore

e ‘na preghiera pe sta libertà”






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