L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


Bonache e cosche in articoli di giornali e opere, fra cui quelle di Alongi e Cutrera

Dalle bonache alle cosche

Zenone di Elea


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28 Agosto 2012

PREMESSA

Noi pensiamo che nello studio della criminalità organizzata delle Provincie Napolitane si parta da un errore metodologico, si cerca la genesi della organizzazione malavitosa e del nome attribuitole (si, è così, ad esempio il termine mafia non se lo è dato la mafia, scusate il bisticcio di termini (1), ma le fu affibbiato in un rapporto da un funzionario piemontese) quando invece ci si dovrebbe concentrare sulla sua sopravvivenza. Ponendosi una semplice domanda: quando e perché la organizzazione invece di scomparire o di frantumarsi di fronte alla modernità si è evoluta in un qualcosa di più potente e ramificato di prima?

Una domanda scomoda, soprattutto per quanto riguarda le organizzazioni criminali meridionali, in quanto tale domanda chiama in causa la genesi e la evoluzione dello stato italiano.

Non facendosi questa semplice domanda si finisce per fare voli pindarici come (tanto per citare una fra le innumerevoli ipotesi che studiosi di tutte le latitudini, si sono scervellati ad elaborare) quello strepitoso di Alinei che in un suo studio - da leggere sotto l'ombrellone, per l'amenità che lo contraddistingue - scomoda finanche il berretto del guerriero di Capestrano e fa risalire la nascita della mafia alla età del bronzo. Sì, avete letto bene, età del bronzo!

Ci piacerebbe conoscere il parere dell'illustre studioso in merito alla Compagnia del Lampione di Milano, alle squadracce di Ravenna (2) e alla Setta dei pugnalatori di Parma, queste ultime due citate nella relazione di una commissione parlamentare.

LE BONACHE

Le prime forme di quella che verrà denominata da un funzionario piemontese "maffia" secondo gli studiosi più seri vengono fatte risalire alla eversione della feudalità. Alla storiella della mafia come prodotto di una società arcaica e arretrata son rimasti in pochi a crederci, anche perché quelle prime forme si manifestarono nella zona più dinamica economicamente della Sicilia, ovvero nei dintorni di Palermo.

Scrive Antonio Beninati, Diario (Dal 1° maggio al 19 Giugno 1860):

"Era bello vedere le bonache (giacche di fustagno) dei nostri confuse colle camicie rosse - ed i nostri con lunghe lance … Ci avanziamo e vicino al quatrivio si vede una massa armata e nel mezzo Garibaldi, sorridente, col sigaro in bocca, saluta il popolo. Dai balconi del palazzo Villafiorita le signore sventolano i fazzoletti. Si grida: Viva Garibaldi! Viva S. Rosolia!"

Nel Saggio storico-politico sulla Sicilia dal cominciamento del secolo XIX sino al 1830di Francesco Paternò Castello (pagg. 186 e seguenti) troviamo la descrizione delle bonache durante la rivoluzione siciliana del 1820:

"Le bonache però stanche e contente di vedere i giardini gli orti i vigneti di cadaveri cospersi senza curare di cogliere il frutto della vittoria abbandonarono il campo ed in seno alle loro famiglie fecero ritorno; di modoché i regi sulla sera scorgendo non avere nemici a combattere poterono riunirsi, le loro stanze riprendere e colle frutta abbondantissime dei giardini la loro fame estinguere. Né solo in quel giorno gravissimo pericolo l'armata corse, attesoché l'indimani la sua fatale disfatta sarebbe avvenuta se un caso fortuito da tanto rovescio non si fosse per salvarla interposto.

Le bonache per consiglio forse del comandante Requisens il quale fu sempre opposto ad ammettersi il general Pepe aveano messi spediti per la via del Mensagno a tutte le popolazioni di Bagaria Ficarazzi Misilmeri Ogliastro Marineo Diana Mensoiuso Ciminna Palazzo Adriano che alle spalle del nemico trovavansi per riunire tutta la gioventù atta alle armi ed improvvisamente insieme ad alcune guerriglie nel giorno convenuto sul dorso dell'armata del Pepe piombare."

Anche il Cutrera ne parla a pagina 167 della sua opera La mafia e i mafiosi. Origini e manifestazioni, Palermo, 1900:

"Le bonache, come allora si chiamavano gli uomini che componevano le squadre, (con questo vocabolo si chiamavano i mafiosi, perché in quel tempo la parola mafia non esisteva nel senso di facinoroso, ma solo in quello di cosa scelta) erano in conclusione i mafiosi, come dice il Salomone Marino (1), e si dava loro questo nome per la volgare giacca che tengono i lavoratori dei campi, la quale in dialetto siciliano chiamasi bunaca.

Unitesi le bonache alla feccia del popolo di Palermo, e specialmente con quelli del quartiere dell'Albergheria, sede della mafia volgare di Palermo, si diedero a percorrere la città con grida spaventevoli, per rincorare i timidi. Saccheggiarono, senza freno alcuno, tutti gli uffici pubblici, il palazzo reale, il palazzo dell'arcivescovo, i tribunali, gli uffici di polizia."

Non siamo così ingenui da liquidare come proto-mafiosi tutti i componenti delle squadre che parteciparono alle diverse rivoluzione del 1820, del 1848 e del 1860, ma è indubbio che tra amnistie postrivoluzionarie, problemi di disarmo, commistione con le varie sette che operavano in Sicilia per la caduta della dinastia borbonica, difficoltà ad imporre la pax sabauda nelle Provincie Napolitane, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il fenomeno delle bonache meriterebbe uno studio attento.

DENARO E SPADA

UNO STATO DISTRATTO E LA PROLIFERAZIONE DELLE COSCHE

Anche i Borbone come tutti i regimi dopo la riconquista del potere praticarono delle amnistie a favore delle bonache. Con una differenza, però, rispetto al Regno d'Italia: le organizzazioni malavitose non presero mai il sopravvento rispetto al potere statuale e il tanto vituperato Maniscalco garantì alla Sicilia un periodo di sicurezza pubblica che quella terra mai più avrebbe goduto. Lo riconosce anche quello pseudo storico e aneddotista del De Cesare.

Con l'avvento del potere italiano tutti pagarono, con denari o posti di comando: la destra cavourrista, prima per conquistare e poi per mantenere il potere, infine la sinistra per scalzare la destra. Se non si era a colore - per usare una terminologia cara al Tessitore - non si andava lontano in politica. Così costruirono l'Italia ed ora vengono a predicare moralità e correttezza.

Riportiamo dal testo di un liberale, Giovanni La Cecilia, dall'opera Storia dell'insurrezione siciliana: dei successivi avvenimenti per l'indipendenza e l'unità d'Italia. Milano 1861. Volume 2, pagina 524:

"Le elezioni politiche furono le prime operazioni a cui la Sicilia andò incontro sotto i nuovi consiglieri. Il governo di Torino temeva dell'Italia meridionale per il partito di opposizione. Molto poteva, e molta influenza esercitava sull'animo degli elettori. Quindi diedesi tutto a far prevalere i suoi candidati, affinché almeno in gran parte i deputati al Parlamento delle provincie meridionali riuscissero amici del governo e propagatori della sua politica. Dal Iato suo il partito democratico si adoperò con qualche vigore e dispendio a vincerla sul partito governativo, ed in molti collegi ebbe vittoria. Il maggior numero dei deputati fu pel governo, ma i capi del partito di opposizione risultarono anch'essi. Noi ora non descriveremo le arti usate presso gli elettori onde indurli a dare il loro voto in un senso piuttosto che in un altro; ci limitiamo a notare che si commisero delle improntitudini da una parte e dall'altra, e che quelle prime elezioni furono più l'effetto dei raggiri dei partiti che della spontanea volontà degli elettori. Il partito democratico ne fu contento, ma il governo ebbe quasi due terzi dei deputati siciliani in suo favore. Il conte di Cavour cosi si assicurava al potere e prendeva forza per sconfiggere dell'intutto il partito di opposizione."

Uno stato distratto dalla guerra di resistenza nel sud continentale lasciò sopravvivere e proliferare quelle bande armate che ne avevano aiutato la nascita in Trinacria, dove è indubbio, a parer nostro, che la illusione autonomista evitò che nel 1861 dilagasse la resistenza armata contro il nuovo regime italiano nell'isola, come stava accadendo in continente. Se si escludono le rivolte di Castellammare e Alcamo e quella del sette e mezzo a Palermo il potere sabaudo non venne disturbato dai siciliani.

Intanto la corruzione e il malcostume si espandevano e si formò quell'intreccio perverso fra gruppi siciliani di pressione e politica nazionale. La mitologia del sicilianismo (un mito che per dovere di cronaca dobbiamo ricordare come antecedente l'unità italiana 3) divenne un condimento buono ad ogni occasione e a tutti i livelli della scala sociale. Compreso il mafioso che si impose su uno stato debole e distratto.

Con la rivolta di Palermo si ebbe la svolta irreparabile che fece scuola in tutte le Provincie Napolitane: lo stato italiano usò il tallone di ferro solamente per conservare saldamente il potere, ma rinunciò per sempre al monopolio della violenza (4), spartendolo con le peggiori elites meridionali.

A Palermo come a Napoli le contiguità fra potere italiano e gruppi malavitosi o ritenuti tali è evidente fin dai primi anni, come leggiamo da IL Dovere del 10 Novembre 1866, pagina 358:

"Alla rimostranza dei diciassette deputati, il signor Ricasoli rispose con lettera niente cortese rimessa per le mani del Gualterio contro gli arbitri del quale avevano reclamato. Quasi tutti ricusarono di averne comunicazione, riservandosi a fare il loro dovere nella Camera. Colpito dal silenzio, la fece pubblicare nel giornale officiale di Napoli, e il diario di Spaventa vi fece i suoi, superbi commenti. Attendetevi una replica degna dei firmatarii. Il Ricasoli accusa il Calicchio di Camorrismo. Lo combatte la stessa legge Pica rigorosissima contro la Camorra che non ne senti danno, sotto l'imperò di quella legge violenta Calicchio non ebbe molestia. Il che prova di due cose una, o che il Calicchio non era Camorrista, o che le Autorità non fecero il loro dovere. Arrogi altro fatto. Quando il Calicchio diede le frustate allo Spaventa, un giornale di Torino, gli applicò il nome di Camorrista. Il Calicchio si raccomandò al patrocinio del compianto Angelo Brofferio e si querelò criminalmente."

Le trattative fra stato e criminalità organizzata non sono una invenzione dei tempi recenti ma una costante di questi 150 anni di vita unitaria.

IL TERMINE BONACHE NEI DIZIONARI:

NUOVO VOCABOLARIO SICILIANO-ITALIANO COMPILATO DA ANTONINO TRAINA – PALERMO, 1868

BUNACA. f. Voce calabrese, che significa quell'abito corto con grande tasca dietro, che usano i cacciatori: carniera.  || Siccome la bassa gente porta per suo costume tal veste, così per traslato bunachi si chiamano i mariuoli: gente di scarriera, bordalori, camuffi. || Per GURNU V.

Bunacarìa e Bunacata, s. f. Azione da BUNACA: camuffazione.

Bunachedda. s. f. dim. di BUNACA: carnierino. || Piccolo malandrino: farinello.

Bunacuni. s. m. pegg. di bunaca in ogni senso.

VOCABOLARIO MANUALE COMPLETO SICILIANO-ITALIANO DI GIUSEPPE BIUNDI - PALERMO, 1856

Bunaca, s. f. giubbone di velluto, usato per lo più dai cacciatori, fig. uomo cattivo

Bunacarìa o bunacata , s. f. azione da bunaca.

NUOVO DIZIONARIO SICILIANO-ITALIANO COMPILATO DA UNA SOCIETÀ DI PERSONE DI LETTERE PER CURA DEL BARONE VINCENZO MORTILLARO – PALERMO, 1838

BUNACA, s. f. voce calabrese, che significa un certo giubbone per lo più di velluto, che cuopre fin sotto il cinto con una grande tasca di dietro, usato particolarmente dai cacciatori, che vi ripongono la preda, ed anche la munizione; ma usato ancora dalla gente plebea e malvagia, d'onde per un recente traslato son chiamati BUNACHI i mariuoli, e gli uomini di scarriera; ed è uno de' maggiori insulti, che a dì nostri può dirsi a persona, con cui non par bene aver a fare

BUNACARIA, o BUNACATA, s. f. azione da BUNACA.

BUNACHE'DDA, dim. di BUNACA in tutti i sensi.

BUNACUNI, pegg. di BUNACA in tutti i sensi.

_________________

NOTE

1 Per chi si volesse cimentare in una ricerca etimologica, consigliamo la lettura di CAMORRA E MAF(F)IA di Alberto Nocentini che trovate in rete, in formato pdf, e potete scaricare da: https://www.dizionarioetimologico.info/

2 A noi risulta da altra fonte anche una setta di pugnalatori operante fra Marche e Romagna nel periodo risorgimentale e postrisorgimentale.

3 “Ciò dagl'Italiani venne genericamente, e senza esame delle peculiari condizioni della Sicilia, appellato il Sicilianismo, e questa tendenza fu compianta in tutta la Penisola; poiché la brama di fare un corpo delle sparse membra della nazione italiana, faceva vedere con rammarico uno di quei membri far tutti i suoi sforzi per essere divelto dall'altro, cui trovavasi congiunto. Il partito nazionale dividevasi in unitario e federale (non parlo delle forme di governo cui aspiravano); e gli uni e gli altri vedevano con egual dispiacere questa tendenza dei Siciliani. Non è mestieri dire come tal cosa turbasse i disegni degli unitari: se i federali partecipavano con minor ragione ai loro timori, era perché molti credevano men facile la federazione quanto più fosse il numero degli Stati onde essa doveva essere formata, e perché la separazione della Sicilia pareva potesse essere principio a disgregamento anco maggiore.” Cfr. Gli ultimi rivolgimenti italiani, memorie storiche di Filippo Antonio Gualterio, Le Monnier 1852, pag. 196.

4 Su questo argomento si rimanda alla lettura dell'articolo, Avvento dello stato moderno e criminalità organizzata di Zenone di Elea


Bonache e cosche in articoli di giornali e opere, fra cui quelle di Alongi e Cutrera

2011

Cutrera, il professionista dell’antimafia che non fece carriera di Giovanbattista Tona

2011

Rapporto Sangiorgi, la ‘bomba inesplosa’ di Simone Garilli (www.ilritaglio.it)

2011

150°. L’Italia unita e la scoperta della mafia (seconda parte) di Carlo Ruta (Sic. L. 305)

2011

150°. L’Italia unita e la scoperta della mafia (prima parte) di Carlo Ruta (Sic. L. 304)

2011

Sette e mezzo di Pippo Gurrieri (Sicilia Libertaria n. 304)

2011

Ecco cos'è la «Globalmafia» di Dino Paternostro ("La Sicilia", 13 febbraio 2011)

2011

Patto con i picciotti, pur di scacciare il re di Gigi Di Fiore (Il Mattino - 16/01/2011)

2010

La sfinge mafiosa di Nicola Zitara (- 17 Luglio 2010)

2010

Avvento dello stato moderno e criminalità organizzata di Zenone di Elea

2009

Dal Gattopardo al papello: una lunga storia di patti oscuri di Umberto Santino

2010

Ennio Grassi: Lezione su Ermanno Sangiorgi

2007

I nuovi professionisti dell'antimafia di Pietro Barlotti (www.lostraniero.net - N. 82 - 2007)

2005

La criminalità organizzata di stampo mafioso. Evoluzione del fenomeno e degli strumenti di contrasto Gibilaro-Marcucci (Guardia di Finanza) - Lido di ostia, luglio 2005

2004

Lezione inaugurale del corso “Storia della criminalità organizzata” di Enzo Ciconte

1991

La storia della mafia di Leonardo Sciascia – “Quaderni Radicali” n. 30 e 31 - 1991 

1990

Intervento di Nicola Zitara a Radio Radicale, Il Sud e' mafia (64 minuti)

1982

Chi combatterà la Mafia? di Nicola Zitara (Quaderni Calabresi n. 50 - 1982)

1980

Il re è morto, viva il re di Nicola Zitara (Quaderni Calabresi n. 47 - 1980)

1980

Anno 119 dell'unità di Nicola Zitara (Quaderni Calabresi n. 46 - 1980)

1925

Prefazione alla seconda edizione di Enea Cavalieri (La Sicilia nel 1876)

1925

Mafia e omertà (La Sicilia nel 1876 - Leopoldo Franchetti - Sidney Sonnino)

1900

La Mafia e i mafiosi Origini e manifestazioni di Antonino Cutrera

1987

La Maffia nel suoi fattori e nelle sue manifestazioni di Giuseppe Alongi

1875

LETTERE MERIDIONALI  di Pasquale Villari

1871

La Sicilia nel 1871 di Corrado Tommasi Crudeli

1866

L'insurrezione di Palermo  di G. B. Tuveri —  il Dovere, sabato 27 ottobre 1866 n. 42.

1848

Saggio storico-politico sulla Sicilia dal cominciamento... di Francesco Paternò Castello


Ennio Grassi: Lezione Su Ermanno Sangiorgi


INTERVISTA A ENNIO GRASSI [Emilia-Romagna grande lavanderia]








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