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Interventi su Quaderni calabresi

Aprile 1976

Quaderni Calabresi

Maggio 1996

Quaderni Calabresi



LETTERE Al LETTORI

E' POSSIBILE UNA STRATEGIA ARTICOLATA?

Rivabella 25-4-1976

Cari compagni,

rispondo alla vostra del 2-4-1976, nella quale mi chiedete di voler saper qualcosa su di me, sul mio lavoro, sui miei legami politici: cercherò di essere esauriente e breve al tempo stesso.

1972-1973, frequento il IV anno alle Magistrali di Piaggine (SA) e milito nel PCI locale;

Novembre 1973, «emigrato» a Rimini, frequento il V anno alle Magistrali; estate 1974, lavoro estivo come barista;

1974-1975, frequento il I annodi Lettere e Filosofia a Bologna (è un ripiego);

Estate 1975, lavoro estivo come barista;

1975-1976, attualmente, abbandonati completamente gli studi universitari, mi sto preparando per gli esami orali del concorso magistrale (sic!).

In questi due anni ho avuto solo dei rapporti«culturali» con un professore di sinistra e scambi di idee con un mio compaesano, con il quale abbiamo una visione«comune» dell'attuale situazione italiana e meridionale. Sono rimasto politicamente isolato perché sono allergico al potere (e qui il PCI è potere), perché non ho fiducia nei«gruppuscoli» come Lotta Continua, Manifesto ecc... poiché vedono la rivoluzione all'angolo della strada e accusano semplicisticamente il PCI di revisionismo, senza rendersi conto che la linea del PCI è «realistica» rispetto ad, una società neocapitalistica qual è il Nord-Italia.

Sono rimasto insomma un «isolato».

In questi giorni ho rotto l'isolamento organizzando insieme col mio amico un incontro nella sezione di Rivabella sul tema: Meridione e Compromesso storico. E' stato un incontro ristretto «patrocinato» da un iscritto al PCI.

Noi abbiamo tracciato un quadro storico del Meridione nettamente diverso dal consueto (rifacendoci a Capecelatro-Carlo, Zitara) e abbiamo sottolineato gli errori (dopo il 1945) del PCI nel Sud, dove, per imporre la via italiana al socialismo, silurò il movimento contadino dopo averlo appoggiato.

Abbiamo poi tracciato un rapido quadro dell'attuale situazione socio-economica del Meridione sottolineando la necessità (al Sud) di legarsi all'enorme massa di sottoproletariato se non si vuole che venga strumentalizzata dai fascisti. Abbiamo in altre parole sottolineato l'esigenza di una strategia articolata tra Nord e Sud, dove il problema delle alleanze è nettamente diverso da quello del Settentrione, e cioè la necessità di una linea meridionale più 'radicale'.

Li abbiamo messi in guardia sul pericolo di giungere al Compromesso storico seguendo l'attuale linea del PCI nel Sud e abbiamo fatto presente la nostra sfiducia sulle possibilità di una gestio ne «democratica» del capitalismo in quanto è attraverso il sistema neocapitalistico che passa e vive lo sfruttamento coloniale del Meridione ed è inutile che ci vogliano illudere che la programmazione 'democratica' possa risolvere il sottosviluppo del Sud.

E che quindi, il Compromesso storico finirà per ridursi ad una ulteriore gestione del sottosviluppo stesso: e che il Sud questa volta non si rassegnerà ed è difficile prevedere quello che può succedere.

Quali siano le mie considerazioni su questo incontro è presto detto: 1) sul piano storico: si ripetono i soliti luoghi comuni (latifondo, patto tra industriali e agrari) di gramsciana memoria, contraddicendosi continuamente e non riuscendo a comprendere il problema neanche volendo; 2) sul piano dell'attuale situazione politico-economica e quindi sul problema strategico delle alleanze: si parla dei contadini come unità disgregata, del sottoproletariato come incapace di giungere ad una coscienza di classe ecc...

Però alla fine i più sensibili e aperti hanno accettato la tesi della strategia articolata ed hanno chiesto altri incontri per approfondire la questione.

- In altre parole ho constatato che certi luoghi comuni sul Sud non possono essere superati dai compagni del Nord con i bei discorsi però, dall'altro, non possiamo pensare di costruire il socialismo senza o contro di loro (e qui mi riferisco a tutti quelli che considerano il Compromesso storico come un ponte verso il socialismo, come diceva un compagno durante l'incontro, e non certo a quelli che ormai non usano, neanche più il termine socialismo!).

Ora compagni il problema che resta è questo: e possibile una strategia articolata? oppure le due possibili linee d'azione sono inconciliabili e antitetiche? Su questo problema compagni vorrei conoscere il vostro parere.

Mino Errico



NOTE - LIBRI - CRONACHE

Questioni di confine 1 --- 5 maggio 1996

VIA SPAGNOLA O CECOSLOVACCA?

Cari Nicola Zitara e Francesco Tassone,

stamattina, appena sveglio, ho inserito nel lettore cd «Le grandi voci del passato» (I'm'arricordo 'e Napule di Caruso. Era de maggio di Schipa, ecc.).

Ho preferito rigustarmele subìto, non si sa mai.

Forse però l'ironia è un po' fuori luogo, perché una cosa è certa: non si tornerà più indietro e non è detto che non si debba sperare in una via cecoslovacca se non si vuole assaggiare quella yugoslava (dico assaggiare perché secondo me una società avanzata come il nord-Italia non tollera rivolgimenti cruenti, e non certo per motivi etici).

Era ovvio che si sarebbe arrivati a questo punto, ma credevo per altre strade. Per esempio tre anni fa ero convinto che in Italia si sarebbe imboccata una via che oggi viene definita «spagnola»; in altri termini pensavo che il radicamento territoriale della destra nel Sud avrebbe portato ad una separazione gestita da Alleanza Nazionale (Meridionale) e perché unica interprete degli interessi di alcuni ceti economici meridionali e perché per essa era l'unico modo per mantenere le posizioni che stava conquistando.

Dopo il «ribaltone» ho pensato che la sinistra pidiessina (e non solo) sarebbe stata il cavallo di Troia che avrebbe fatto imboccare una strada senza ritorno e la vittoria di misura dell'ulivo me lo aveva confermato, in altre parole prevedevo un tavolo per il«federalismo» che si sarebbe trasformato inevitabilmente in via ceco-slovacca (non si possono certo contestare le teorie di Bossi dicendo che l'esempio della Cecoslovacchia non regge in quanto essa era una federazione, già divisa in due da tempo, perché a mio modesto parere anche l'Italia è di fatto divisa e da parecchio, lo è stata fin dai tempi del brigantaggio ed ha continuato ad esserlo fino ad oggi).

Quello che non avevo previsto è stata l'accelerazione impressa da Bossi, anche se la vicenda Di Pietro poteva far pensare a qualcosa del genere (probabilmente, in questa occasione, la stampa è stata ingenerosa nei suoi confronti; la sua scelta potrebbe essere stata veramente dettata dall'intenzione di rendere un servizio al paese).

Ed ora?

Gli scenari sono veramente inquietanti.

Il SUD. Si è molto indietro sul piano della elaborazione culturale e politica per andare a sedersi al tavolo con Bossi. A parte alcune mosche bianche, come voi due, non mi risulta si sia prodotto granché ultimamente. C'è stata una interessante sortita di D'Onofrio qualche giorno fa, ma arriva tardi. 1 tempi stringono. Se si farà questo tavolo del federalismo (è realistico pensare che si vada verso una confederazione) il Sud pagherà il suo ritardo culturale: siamo rimasti attaccati come cozze ad un unitarismo che è stato un disastro per il Meridione. Molti di noi (di ogni condizione sociale) sono stati complici del dominio per un piatto di lenticchie e non siano riusciti neppure a pensare che bisognava prima liberarsi idealmente e poi fisicamente. Ci hanno allevati con la storiella del governo borbonico «negazione di Dio» inventata da un lord che non aveva mai visitato una galera del Regno delle due Sicilie in quanto troppo impegnato nei postriboli, come mi pare sia emerso ultimamente. Ed è quanto dire.

Forse avremmo dovuto avere il coraggio di mettere in discussione questi ed altri mostri sacri della storia patria: come quello della resistenza, del vento del nord e di una costituzione che è stata usata per mantenere i servi. Ed allora tanto valeva chiederne un'altra, prima, proprio quella che adesso ci verrà imposta dal Triveneto, dalla Lombardia, dal Piemonte e dall'Emilia (il tentativo del PDS di arginare la penetrazione leghista sposando la bandiera dell'unitarismo non reggerà a lungo, ne sono certo; per esperienza personale e non per sondaggi posso affermare che il 40% di chi vota altri partiti è potenzialmente leghista, si salva giusto qualche anziano che ricorda i nostri contadini morti nelle guerre insieme ai fanti del nord e del centro).

E speriamo che finisca per avere ragione Scarfoglio, il quale sosteneva che ogni qualvolta il Meridione ha guardato verso il Mediterraneo non ha avuto problemi di sviluppo civile ed economico. Chissà...

Il NORD. L'esperienza leghista si farà sentire, negli ultimi tempi hanno fatto notevoli passi avanti nella elaborazione culturale e politica in direzione di uno stato federale o confederale o peggio. Anche Bossi, grande animale politico ma non certo una cima sul piano culturale, comincia a masticare qualcosa di più che semplici parole d'ordine e parla di «autodeterminazione dei popoli»,di «costituzione dell'URSS», di «via cecoslovacca», di «referendum. come per il Quebec»,ecc. Si vede che ha leggiucchiato «Secessione» di Buchanan, peccato che si sia dimenticato un particolare non di poco conto: secondo le tesi di Buchanan chi «avrebbe maggiore diritto a secedere è proprio il Sud!

Comunque queste sono dissertazioni accademiche. Vedo poco rosa all'orizzonte e molte nubi nere...

La parola «secessione» e, soprattutto, gli esempi di colonizzazione portati da Bossi (la scuola, ecc.) potrebbero avere un effetto nefasto nel giro di pochissimo tempo. Quanti sbandati, incapaci, facinorosi e altri (disoccupati, per esempio) cominceranno a sognare di prendere i posti occupati da meridionali? Quanti medici, insegnanti, avvocati, ingegneri, operai, artigiani, albergatori, ecc. si sentiranno legittimati ad urlare a voce alta quello che si sono tenuti dentro per anni e cioè il risentimento nei confronti di colleghi meridionali più capaci, più fortunati o (perché no? è vero anche questo) più ammanicati?

Forse sono un catastrofista o forse, direbbe Scarfoglio, è la mia anima cthonica che fa capolino.

La prima e l'ultima volta, se ricordo bene, che ho scritto di politica è stato nel lontano 1976: una lettera a Quaderni Calabresi. Non erano passati neppure tre anni dal mio arrivo nell'oasi felice e già avevo assaggiato l'arroganza del potere rosso (più giusto l'aggettivo settentrionale, forse) e sognavo una «via meridionale al socialismo». Lo scrissi pure in un libello pubblicato nel 1977 dall'amico Galzerano, che aveva letto1a lettera su Q. C. che nel migliore dei casi fu preso a pernacchie o utilizzato come lettera amena in giochi di società in casa di appartenenti alla intellighenzia rossa (tutto vero!), in altri casi fui accusato di nappismo (sic!).

E pensare che io con quelli del Movimento del '77 & company non volli mai avere a che fare, perché anch'essi figli dello stesso potere: quello del Settentrione. Una verità elementare, che dovrebbero capire tutti quelli che hanno un minimo di cultura storica sulla formazione dello stato unitario.

Cari amici, ho finito: mi piacerebbe sapere come leggete questi avvenimenti dal vostro osservatorio meridionale.

Mino Errico

P.S. (di mercoledì 8 maggio)

Un deludente colloquio, nel pomeriggio di domenica, con un amico fraterno che mi ripeteva le solite lamentele sugli sprechi e sui miliardi andati alle varie camarille locali del Sud aveva fatto vacillare la decisione di inviare questo fax. Sarà la fatica che ci è costata questo Nord, sarà il timore inconscio di non esporsi, sarà il peso degli anni andati ma è più facile trovare un meridionale che parla da razzista sfegatato che trovarne uno che si sforzi di fare un ragionamento che a me pare tanto semplice: le lire rubate sono briciole, basti un solo esempio, finanche le piastrelle utilizzate per i pavimenti si trasformano in quattrini che tornano al nord. Il Sud cosa produce? Una tabella delle esportazioni è più illuminante di un trattato di economia: tutto il Meridione esporta meno della provincia di Milano!

E' tutta colpa del Nord? No, però un fatto è un fatto, e i soldi delle piastrelle vanno verso il Nord.

E la classe dirigente del Sud, quella classe dirigente che ha gestito il sottosviluppo accontentandosi delle briciole, verrà spazzata via come un fuscello. Forse frange di economia malavitosa già si preparano al grande salto verso la gestione dell'indipendentismo del Sud e la classe dirigente e intellettuale si dimena nella vana speranza di mantenere una unione che non è mai esistita con ragionamenti d'accatto nei confronti di chi ha i cordoni della borsa (uno specchio«esemplare» ne è stato il dibattito televisivo, a Porta a Porta, fra De Mita e Bossi, con contorno di De Crescenzo e Marcegaglia).







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