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Atlantide - appunti di viaggio (Zenone di Elea)

Piano Marshall - Ricostruzione - Industria e Mezzogiorno


“Gli aiuti del piano Marshall, sosteneva ancora Roffmann, dovevano far raggiungere all'Italia il livello proprio dei paesi europei sviluppati, eliminando la disoccupazione ed il basso livello della produzione e dei consumi. Ed un ruolo fondamentale in questo senso avrrbbe dovuto svolgere lo Stato mediante una mole massiccia di investimenti pubblici.

Sul tema della localizzazione delle risorse e di incentivazione dello sviluppo regionale, l'analisi di Hoffmann implica che, volendo fare della eliminazione delle zone di arretratezza il principale obiettivo macroeconomico, occorreva innanzi tutto fare dell'intervento nel Mezzogiorno una dimensione costante della politica governativa, e non una forma di intervento straordinario separato dagli altri comparti dell'economia, e quindi predisporre opportunità di investimento molto più numerose nella regione più arretrata rispetto a quella sviluppata. Al contrario in Italia si è avuta una politica economica che ha provocato squilibri comulativi nelle regioni sottosviluppate”


Fonte:

Il miracolo economico - 2. Segni e squilibri del sistema


Con il “miracolo” nel paese si ampliò maggiormente la differenza di sviluppo delle diverse zone. Le strategie dell’imprenditoria nazionale, tentando un’integrazione nel tessuto economico dei paesi più avanzati, contribuirono ad ampliare questa forbice; infatti le esigenze di competitività e di agganciamento agli standard produttivi internazionali avevano portato ad una concentrazione degli investimenti verso i distretti industriali del Nord, che già presentavano uno sviluppo piuttosto avanzato. In quest’ottica uno spostamento di capitali verso il Sud avrebbe significato disperdere tecnologie e risorse[14]. Il Meridione, nel boom economico, era destinato ad avere una funzione subordinata e funzionale agli interessi dell’economia del Nord[15]. Nonostante la condizione di diffusa e radicata arretratezza    nelle terre del Mezzogiorno costituisse per l’economia italiana un ostacolo difficilmente integrabile dal sistema “consumista-fordita”[16], essa comunque presentava una serie di indiscutibili vantaggi.


Tra questi vantaggi possiamo annoverare il ruolo di riserva di manodopera rappresentato dalle campagne meridionali per un Nord che, tendendo verso la “piena occupazione”, esigeva nuove risorse di manodopera[17]; inoltre, l’assenza effettiva di un’industrializzazione nel meridione costituiva una garanzia per i grandi gruppi economici del Nord, contro ogni possibile concorrenza interna. Ma, come detto, la situazione meridionale per altri aspetti costituiva anche un ostacolo allo sviluppo dell’industria settentrionale che, proprio per il modello economico che aveva deciso di seguire, doveva necessariamente espandere il proprio mercato interno anche in quelle zone in cui persistevano forme di autoconsumo  e bassissimi redditi. Lo stesso settore agricolo, a causa dei suoi bassi livelli di produttività e incapacità di potere rispondere alle nuove richieste di un’economia sempre più internazionale, non permetteva a molti prodotti italiani di essere competitivi. Come visto, il governo italiano, decidendo di avvallare un modello di sviluppo “consumista-fordista”, si fece promotore di una politica di “intervento” al fine di porre rimedio ai problemi del Sud. Il governo agì attraverso due vie principali: la Riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno[18]. In particolar modo, le aspettative di industrializzazione del Sud furono legate alle iniziative della Cassa (creata nel 1950): l’Istituto aveva il compito di promuovere e sviluppare, attraverso agevolazioni fiscali e incentivi economici, la crescita di un settore industriale efficiente e autopropulsivo. I primi tentativi di creare un’occupazione diffusa puntavano da un lato al coinvolgimento delle piccole-medie imprese e dall’altro alla creazione di quelle opere infrastrutturali che avrebbero dovuto funzionare da volano per l’economia[19]. Con l’arrivo del boom economico il governo decise di cambiare rotta e di porre rimedio ai limiti della sua azione relativa alla prima metà del decennio (come ad esempio l’eccessiva dispersione dei fondi, l’eccesso di centralizzazione nella gestione della Cassa e l’eccessivo privilegio dato allo sviluppo della agricoltura rispetto a quello dell’industria[20]). Graziani sottolinea come fosse ormai palese che questa forma di intervento, basata su criteri più umanitari che propulsivi, rappresentasse uno spreco e non servisse per un effettivo decollo dell’industria; come avrebbe avuto a dire la famosa economista inglese Vera Lutz: “le strade costruite dalla Cassa per il Mezzogiorno servivano oramai agli abitanti… soltanto per abbandonare per sempre i loro paesi di origine”.  Il governo considerò ragionevole porre termine alla politica di carattere umanitario per avviarne una nuova più aderente alla situazione reale, quella del “miracolo economico”. Due furono i criteri ispiratori di tale politica:


· sotto il profilo settoriale si decise di realizzare una svolta in favore dell’industrializzazione. Tale scelta comportò non solo uno spostamento di fondi verso quel settore, ma anche un nuovo orientamento nella politica delle opere pubbliche fatte in modo che risultassero completamente funzionali allo sviluppo dei nuovi insediamenti industriali. Tuttavia la nuova politica industriale venne concepita nel quadro dell’ipotesi in base alla quale la crisi endemica della disoccupazione del Sud potesse trovare una risoluzione solo al di fuori dai suoi confini. Si pensò infatti che lo sviluppo industriale avrebbe dovuto svolgere anzitutto la funzione di accrescere l’efficienza del sistema produttivo meridionale, attraverso l’aumento del reddito e della produttività del lavoro[21]. Non sembrò essenziale che l’industrializzazione dovesse risolvere anche il problema della disoccupazione.  Inoltre, come ha sottolineato E. Scalfari nel libro “Razza padrona”, nella nuova campagna di industrializzazione del Sud le imprese a capitale pubblico (come ad esempio l’ENI di Enrico Mattei) ebbero un ruolo dominante  e rappresentarono lo strumento favorito dalla Stato[22].


·  Sotto il profilo territoriale, gli interventi prevedevano la creazione di un insieme di “aree e di nuclei di sviluppo industriale” che avrebbe dovuto porre fine agli sprechi e alle dispersioni del primo periodo.  L’evento che sanzionò e tradusse in pratica questa svolta fu l’emanazione della legge 643 del luglio 1957 che intendeva disciplinare l’istituzione delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale. “All’obbligo…per le amministrazioni dello stato di riservare a imprese meridionali il 30% delle forniture e lavorazioni loro occorrenti….si aggiunse l’obbligo per le amministrazioni statali di riservare al Mezzogiorno il 40% dei propri investimenti. Si stabilì inoltre che le imprese a partecipazione statale dovessero ubicare nel Mezzogiorno una quota minima, pari al 60%, dei nuovi impianti che comunque dovevano essere ubicati nel Mezzogiorno non meno del 40% del totale degli investimenti eseguiti”[23].


L’impegno profuso e le somme investite nell’iniziativa furono elevatissime ma non riuscirono ad intaccare la cause dell’arretratezza della società. Uno dei limiti degli obbiettivi delle politiche di intervento statale nel Sud fu quello di voler ottenere un elevamento appena sopra la soglia di sussistenza della popolazione meridionale ma le esigenze della nuova moderna società dei consumi erano molto superiori e tale condizione non avrebbe certo potuto fermare l’emorragia di popolazione[24]. Inoltre il governo, nella gestione della Cassa, si era dimostrato troppo subalterno alle esigenze dei grandi monopoli privati; infatti, i finanziamenti concessi al Sud per la costruzione di infrastrutture ed altri edifici, che giungevano in gran parte dal Nord del paese, spesso finivano alle ditte fornitrici e alle imprese di costruzioni settentrionali che svolgevano i lavori, inoltre la maggior parte dei prodotti delle nuove industrie meridionali non erano destinati al mercato interno ma a quello del Nord o a quello europeo.[25] Il fallimento dell’intervento straordinario coincise con quello delle sue principali istituzioni: la Riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno. Per quello che riguarda in modo particolare l’insuccesso della Cassa, si può affermare che questa non fu capace di tradurre in pratica uno dei suoi compiti più importanti, ossia quello di riuscire ad essere uno strumento capace di spezzare l’immobilismo dell’economia meridionale finendo spesso per sostituirsi semplicemente alla gestione ordinaria anziché aggiungersi ad essa. Inoltre, gli investimenti realizzati nel settore industriale non riuscirono a dare i risultati sperati a causa di scelte strategiche errate, per di più, spesso, alle grandi aziende locali, per diverse motivazioni, non interessava promuovere lo sviluppo locale.


Scalfari sa sicuramente meglio di me che negli anni della Ricostruzione, fra i quadri più impegnati della sinistra socialcomunista, ma anche fra gli ex azionisti e i democristiani di sinistra, si diceva che i soldi non bastavano per ricostruire contemporaneamente il Nord e il Sud. Si sarebbe provveduto prima al Nord, perché partiva da un punto più avanzato, poi, appena si fosse avuta qualche risorsa, si sarebbe provveduto anche al Sud: era un impegno d'onore. Scalfari sa perfettamente come finì. Certamente ricorda la calata della signora Vera Lutz, i furori della Confindustria, la paura dei guai che avrebbe combinato Fanfani, e certo anche quel licantropo di Indro Montanelli abbaiare contro i meridionali che gli rovinavamo l'Italia. E fu in quel passaggio che la Costituzione Italiana nata dalla Resistenza, che al Nord costituiva il quadro giuridico, politico e morale dell'operare, e al Sud era ancora la speranza di un domani migliore, venne archiviata.

Perché non scrive queste cose sul suo Espresso? In effetti il suo Espresso non è una macchinetta buona per fare il caffè alla napoletana, bensì una macchinetta che fa quel tipo di caffè annacquato, che al Sud non viene bevuto.


Fummo più fortunati: non ci volle molto a capire che i progetti governativi erano bloccati da resistenze industriali, le quali assunsero toni –è dir poco– scomposti. La Confindustria ingaggiò in Inghilterra un'economista di mezza tacca, Vera Lutz, che ai suoi occhi aveva il merito di sostenere che sarebbe stato più economico per l'Italia spostare popolazioni dal Sud al Nord, anziché spostare quattrini dal Nord al Sud. La Confindustria volle dare al pubblico l'idea che, a gestire la nazione, meglio del padronato non c'era nessuno. Quello sciamano di Montanelli fu messo, come Gino Capponi, in cima al campanile, a suonare le campane della padanità über alles. L'Italia, dalla cintola in su, fu tutto un tremore. Le colonne del Corriere della Sera sputavano fuoco. La Stampa era piombo rovente. Qualcuno temette che il Duce sarebbe risorto e che questa volta avrebbe marciato su Catanzaro. Alla fine si misero di mezzo Aldo Moro ed Emilio Colombo, che, come era loro mestiere, allungarono il vino con l'acqua.


Montanelli fu messo a cuccia, la Stampa e il Corriere incassarono un premio sulla carta e il padronato padano ebbe l'assicurazione che lui –e lui soltanto– avrebbe ottenuto soldi per industrializzare il Sud. Come a ciò abbia provveduto, lo vedono tutti. Lasciamo in pace Rovelli e Ursini nella loro tomba, a fornire alimento ai vermi, e anche Pomigliano d'Arco, che poco mancò che non fosse paragonata all'Arca di biblica memoria. Segnaliamo invece ai posteri l'unico risultato ricavato dal Sud da tanto arrovellarsi di cervelli e da tante imposte straordinarie: l'inquinamento di Taranto e di Siracusa. Nient'altro, perché persino l'ipotesi di rilanciare la piccola industria nei settori maturi –a partire dall'industria bianca che era nella tradizione sudica– morì sul nascere. E con lei migliaia di piccoli fessi che, stimolati dalle promesse, s'erano avventurati nelle nuove imprese, immolandoci i loro scarsi danari (il Sud è un cimitero d'industrie, annotò il Corriere, e ancora si sta asciugando le lacrime). Da quella marcia funebre che diventò la Cassa è venuta fuori, però, a distanza di alcuni decenni, qualcosa di veramente galvanizzante, il primo presidente sudico della Confindustria. E poi c'era qualcuno che sosteneva che l'Italia era fatta, e che mancavano soltanto gli italiani.

Contro i diktat della Confindustria, il cui pensiero è chiaramente enunciato in un famoso testo dell’economista Vera Lutz (che come i giocatori della Juventus venne pagata con i nostri soldi), sarebbe pericoloso andare, persino per coloro che attraversano spesso il Tevere.

Ma la pensione serve a risolvere il problema del pane oggi, ma non quello del pane di domani, che forse è più importante persino per gli stessi vecchietti. Inoltre, erogando i diritti come favori, la DC ha contribuito notevolmente a rendere democratica la corruzione politica, che alla fin fine era un fatto delle élite -in grande stile a Milano, sotto forma di sussistenze familiari al Sud.


All’avvio del Centrosinistra, il PSI ebbe una proposta onesta: la programmazione nazionale e il riequilibrio territoriale; onesta ma irrealistica, perché sottovalutava il gioco degli interessi settentrionali e il blocco d’interessi tra finanza, industria e sindacato, i quali non gradivano che l’occupazione e i profitti settentrionali subissero insidie. Posizione che l’ipocrisia degli economisti dichiarava miope, salvo a consigliarla nel segreto delle ovattate direzioni padronali. I monopoli di fatto sono la vera historia dell’industria padana. Di ciò i socialisti non seppero tener conto e furono sconfitti già prima di cominciare.





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