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RENDICONTI DEL PARLAMENTO ITALIANO

SESSIONE DEL 1869-70

(SECONDA DELLA LEGISLATURA X)

SECONDA EDIZIONE UFFICIALE RIVEDUTA

DISCUSSIONI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

VOLUME IV.

dal 13 luglio al 25 agosto 1870

FIRENZE 1871 - EREDI BOTTA, Tipografi della Camera dei Deputati - PALAZZO VECCHIO

INDICE (2)

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[Discorso del deputato Ferrara in opposizione alla convenzione]

FERRARA. Farò tutti gli sforzi possibili per dire tutto quello che ho da dire nel piccolo spazio di tempo che mi rimane in questa seduta.

LANZA, presidente del Consiglio. Ci sono ancora due ore di tempo, ed anche tre.

FERRARA. Voleva appunto dire che, stando al regolamento, il quale non permette di rimandare la continuazione del discorso ad altra seduta... (Mormorio a sinistra)

Voci a sinistra. No! no! Potrà rimandarlo! Parli! Parli!

FERRARA. Io vi prego di credere, signori, che, intervenendo in questa discussione, ed intervenendovi così tardi e sotto questi calori, non ho affatto l'intento di persuadere qualcuno.

Trattandosi di Banca Nazionale e di un argomento che tutti hanno già potuto meditare per molto tempo, io, quand'anche avessi quella potenza d'ingegno e di parola che certamente mi manca, non per ciò avrei la vana lusinga di credere che si possano mutare per nulla le vostre opinioni già fatte e contate. Invece adunque di sperare che io possa convertire qualcuno, debbo piuttosto giustificare me stesso dinanzi a voi e dinanzi al pubblico, spiegandovi quali forti motivi mi impediscano così potentemente di dare anche il mio voto alla convenzione che l'onorevole ministro delle finanze ha già intavolata colla Banca Nazionale, ed alla quale vedo già assicurata l'adesione di tante e così distinte persone.

Questi motivi io li dirò con tutta franchezza, ma non vi devo nascondere che, per decidermi a dirli, ho dovuto vincere una grande ed insolita ripugnanza.

Già l'argomento è molto vasto e complicato in sé, e quindi naturalmente dovrebbe stancare la pazienza della Camera, alla quale, per altro, io amo sempre di risparmiare la noia di un mio discorso. Ma qui più che la noia ho temuto di destare tutta la vostra antipatia, perché in fin dei conti, di riflessione in riflessione, io sarò condotto a conchiudere col prendere la difesa di una parola, che oggi è divenuta qualche cosa di tremendo e di temerario, la parola carta governativa; e difenderla in un momento nel quale la vedo sovraccaricata di due grandissimi inconvenienti, quello di avere già ricevuto una tinta politica, e quello di avere attirato sopra di sé le censure di autorità molto serie.

Ma quanto alla tinta politica, io, per quanti sforzi abbia fatti, non trovo la maniera di far penetrare nella questione del corso forzato lo spirito delle gare politiche: vi trovo sempre una questione che l'aritmetica, non la politica, dovrebbe sciogliere. Per me, si chiami Antonio Scialoja, si chiami conte Cambray-Digny, o si chiami Quintino Sella il ministro delle finanze, la questione del corso forzato io non la vedo, non la so vedere, che nell'interesse della nazione e in quella sfera superiore di principii, di verità, nella quale la vidi sin dal suo primo inizio.

3531 - TORNATA DEL 20 LUGLIO 1870

Perché duolmi di dovere, contro ogni mia abitudine, citare me stesso; ieri mi ha prevenuto l'onorevole Maurogonato, quindi posso farlo sulle sue traccie. Io, sin dal giugno 1866, esaminando appunto la questione del corso forzato, allora allora introdotto, scrissi le seguenti parole: «La più logica e la più sicura maniera di conseguire l'intento, sarebbe stato il creare a bella posta una carta governativa.» E, dopo aver toccati i vari punti della questione, mi permetteva di aggiungere: «È dunque una differenza priva di ogni fondamento, o piuttosto è un vecchio pregiudizio, la predilezione che si assume di doversi concedere alla forma di biglietto bancario comparativamente ad ogni altra.»

Il mio errore, adunque, se errore vi sembra, come vedete, ha una origine tutta scientifica, teoretica, niente affatto politica; fu concepito e manifestato da me, come lo dice la sua data, in un momento in cui io non era, non pensava, e molto meno aspirava ad essere un uomo politico.

Dal 1866 in qua parecchie cose sono avvenute. Dapprima io ebbi il conforto di vedere degli uomini distintissimi ed illuminatissimi, che l'uno dopo l'altro, a poco a poco, cominciarono a non vedere nell'opinione della carta governativa quell'assurdità che ora si vorrebbe far credere. Fra questi uomini, e fu un mio errore, come vidi dalle spiegazioni date ieri, io contava anche l'onorevole Maurogonato: ebbene lo tolgo, giacché egli ripudia questa solidarietà.

Ma vi furono poi i fatti. E prima di tutto, nuove e più intense riflessioni che ebbi a farvi; poi, quattro anni di corso forzato; un'inchiesta parlamentare; una prima convenzione presentata eri esaminata per conto dell'onorevole Cambray-Digny; poi questa che oggi ci si presenta dall'onorevole Sella, l'energia con cui la veggo difendere, l'agitazione che si è destata a suo favore in queste ultime settimane, particolarmente la natura stessa degli argomenti con cui la vedo difendere; tutto ha certamente prodotto in me una profonda modificazione; ma in quest'unico senso: ciò che nel 1866 fu l'improvviso pensiero di uno scrittore privato, oggi è divenuto la salda e profonda convinzione di un deputato di buona fede, il quale, appunto per ciò, sentirebbe vergogna e rimorso a convertirla in arma di partito politico.

E d'altronde contro chi volete supporre, o signori, che io possa adoperare quest'arma? L'onorevole ministro di cui combatto le opinioni, si chiama Quintino Sella: e questo nome, non solo compendia per me una delle più care amicizie che abbia contratte in mia vita, ma anzi mi ricorda e risveglia alcuni di quei sentimenti che è impossibile di cancellare se non si abbia un'anima di fango. Se oggi ho la triste sorte di dir cose che dispiacciano a lui, forse egli solo è in grado di valutare la portata del sacrificio personale che io faccio,

contrapponendo una mia opinione alla sua, unicamente affinché mai la mia coscienza non mi possa rimproverare che a questa, ch'io reputo nuova sciagura pel nostro paese, io abbia prestato il menomo concorso, né col voto né col silenzio..

Quanto poi alle autorità, io riconosco ben volentieri che la carta governativa, anche in quella forma bastarda del biglietto di Banca marchiato, la carta governativa in questi ultimi tempi è diventata l'oggetto di una riprovazione così diffusa, che certo mi poteva atterrire.

Non parlo già del giornalismo, di cui non è così facile che io mi atterrisca; ma io vedo, per esempio, contro di me gli onorevoli membri della Giunta che siede in quel banco; e poi ho visto tutto ciò che si è discusso, deliberato e convertito in petizioni e proteste, a nome di moltissime Camere di commercio, rispettabili corpi ai quali è affidata la tutela degli interessi mercantili nel nostro paese.

Questo fatto, più o meno ufficiale, non poteva non colpire la mia attenzione, e poco mancò che non mi inducesse al silenzio. Ma quanto all'onorevole Giunta io ho considerato attentamente il giudizio che essa ha dato intorno a tutti i progetti che si allontanano da quello dell'onorevole ministro, e si avvicinano alla proposta della carta governativa; se vuol dire giudizio la parola opinamento, che essa mi pare aver voluto creare di proposito, forse per la solennità della circostanza. Ed ho dovuto convincermi che l'onorevole Giunta nient'altro ha fatto, o ha fatto pochissimo più che ripeterò e copiare le argomentazioni delle Camere di commercio.

E quanto alle Camere di commercio, due ragioni mi hanno indotto a non desistere così leggermente dalla mia opinione.

Già, anche a me, come a molti altri, è sembrata veramente un po' dubbia la genuinità di deliberazioni prese da corpi, nei quali l'elemento banchista predomina tanto, e l'influenza della Banca Nazionale è così manifesta ed energica. (Bene! a sinistra) Nel che mi sono confermato, a vedere che tutte quelle deliberazioni presentano una desolante uniformità, come se fossero tante variazioni musicali di un solo e medesimo tema, piovuto un bel giorno su tutte le Camere di commercio, non saprei da qual cielo. Poi ho riflettuto che l'autorità delle Camere di commercio è certamente grandissima, imponentissima, quando si tratta di comprare, di vendere, di speculare; ma non è poi possibile assumerla come sentenza inappellabile in questioni di alta finanza o di delicate e difficili analisi economiche. Per esempio, nella questione della Banca io credo che nessuno vorrà lasciarsene imporre, come nessuno si fa una legge di rispettarla, quante volte le Camere di commercio parlano, come fanno spesso, di dogane, di dazi differenziali, d'industrie che il Governo debba ad ogni costo proteggere, di marchio che si debba imporre sugli oggetti d'oro e d'argento, ecc.

3532 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL, 1869

Così io credo di poterne giudicare coscienziosamente e rispettosamente. Quindi ho fiducia che la Camera renda da un lato giustizia alla mia spassionatezza politica, ma dall'altra parte mi perdoni pure, se io non credo che la questione la quale abbiamo da svolgere si trovi già definitivamente decisa in favore dell'onorevole ministro, per questo solo che l'onorevole ministro ha potuto avere dalla parte sua l'opinamento della Giunta e l'appoggio e le rimostranze delle Camere di commercio.

Entrando dunque nell'argomento, io ricorderò preliminarmente che la convenzione proposta aveva due scopi: il primo, ed essenziale pel Ministero, era di procurare all'erario un nuovo imprestito di 122 milioni; incidentemente poi sorgeva un secondo intento, quello di sistemare o aver l'aria di sistemare le nostre relazioni colla Banca Nazionale, in ordine al regime del corso forzato ed anche alla sua abolizione definitiva.

Io credo importantissimo alla buona riuscita della discussione invertire quest'ordine; perché, a senso mio, occorra o non occorra un imprestito, occorra in una somma o nell'altra, io credo che dovremmo approfittare di questa opportunità, per operare una radicale riforma nel nostro regime del corso forzato; giacché io lo reputo così ingiustamente, così smodatamente favoritolo agli interessi della Banca, come è pernicioso alla nazione. Quindi più che parlare dell'imprestito, mi preme di dimostrare quali sono, nello stato attuale, i danni e gl'inconvenienti del sistema. Voglio poi esaminare se e come l'onorevole ministro, colla convenzione proposta, abbia tentato di rimediarvi. E finalmente in qual altro modo lo si potrebbe e lo si dovrebbe.

Verrò poi a dire due parole, se il tempo lo permetterà, intorno all'imprestito.

Ho detto ingiustamente e smodatamente. E cominciando dalla giustizia, non vi sorprenderete, signori, che io innanzitutto venga a combattere que' cinque, o quattro, o tre milioni, che sieno, i quali ci si vogliono ad ogni costo far pagare alla Banca in ogni anno, un momento a titolo d'interesse sopra di un mutuo, un momento a titolo di compenso per una supposta malleveria; e i quali, a mio parere, non sono che un nudo e pretto regalo.

Mutuo, voi lo sapete, è una parola sacramentale, colla quale oramai in Italia abbiamo tutti l'abitudine d'esprimere il fatto, pel quale la Banca Nazionale consegna ad un ministro di finanze un fascio di biglietti bancari, a cui la legge abbia tolto il diritto di farsi permutare in danaro. Il linguaggio inteso e ricevuto generalmente. Tutti se ne servirono i ministri di finanza, eccetto uno, succedutisi dal 1866 in qua.

L'onorevole Scialoja, invece di dire puramente e semplicemente, come pare avrebbe dovuto: «la Banca stamperà e consegnerà al Tesoro una quantità di biglietti, i quali fingeranno di rappresentare una somma metallica di 250 milioni,» disse: «la Banca darà in mutuo al Tesoro 250 milioni di lire.»

E tutto il mondo credette e ripeté che veramente la Banca dava al Tesoro un valore reale.

Più tardi si vollero altri 28 milioni per farli circolare nel Veneto; e si disse e si ripeté che si faceva ascendere a 278 milioni il mutuo già fatto per 250. Un anno appresso l'onorevole Rattazzi cercò un poco di rettificare la dicitura, si permise timidamente di sostituire alla parola mutuo un suo sinonimo meno impudente: disse anticipazione di 100 milioni. Ma ecco che oggi l'onorevole Sella, avendo bisogno di biglietti consimili, i quali portassero complessivamente la leggenda di 72 milioni, torna all'antico linguaggio; chiama anche egli mutuo l'operazione; l'assimila, la confonde colle altre, continuando sempre la finzione di un valore reale dato dalla Banca al Tesoro.

Ed ammesso il concetto del mutuo, ne viene la prima e spontanea sua conseguenza, il pagamento di un interesse. Così è che, rimpastando ogni cosa, facendo un conto da capo, noi siamo chiamati a promettere il pagamento annuale di quattro milioni, secondo l'onorevole ministro, di tre milioni, secondo la Giunta, alla Banca, sempre a titolo d'interesse sopra una somma che ora si calcola per 500 milioni, e che sempre si prende come realmente prestata dalla Banca al Tesoro.

Io prego la Camera a non attribuirmi il mal garbo di venir qui a sollevare una disputa pedantesca. (No! no! a sinistra) Non si tratta di una parola più o meno italiana, più o meno esatta, più o meno giuridica. Come vedete, si tratta di milioni che si debbano o non si debbano far pagare dal Tesoro alla Banca, senza aver prima esaminato e deciso se veramente lo Stato li debba.

Io non sono un giureconsulto; ma, conversando con giureconsulti distinti, anzi qualche volta sfogliando a caso un Codice qualunque, io ho imparato, sino dalla mia prima età, che l'imprestito, in generale ed in ogni caso, implica per sua inesorabile e fondamentale condizione la consegna della cosa prestata, la res credita del Diritto Romano, quell'oggetto che il mutuatario riceve, per farne poi restituzione, nella medesima quantità e specie, secondo i casi che danno luogo al comodato o al mutuo propriamente detto; e trattandosi di denaro, la condizione essenziale del contratto di mutuo sta, da parte del mutuante, nel privarsi di una somma monetale, che poi dovrà riavere in equivalente valor monetale.

Fin qui io credo che saremo d'accordo. Vediamo se sia possibile anche di intenderci sul modo di applicare questa comune definizione del mutuo al caso dei prestiti fatti dai Banchi.

Certamente un Banco, come qualunque mutuante privato, può prestare del danaro effettivo; ed in questo caso, se il danaro è di sua proprietà, vi sarà vero mutuo, perché vi sarà un valore di cui realmente il Banco si privi. Ma qui non siamo a discutere questo caso; perché il principio può essere

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più o meno applicabile a quell'operazione di 50 milioni che la Banca figurerebbe di dare in danaro contante: dico più o meno applicabile, secondoché poi vi piacerà di decidere a chi veramente appartenga la proprietà di questi 50 milioni; ma il punto su cui vorrei concentrata la vostra pazienza ed attenzione, è quello del caso in cui l'imprestito avvenga in biglietti bancari.

Infatti, un Banco può prestare dei biglietti fiduciari, dei biglietti pagabili al latore ed a vista; ed allora ognun vede che la res eredita, la cosa mutuata, non consiste già in quei pozzetti di carta macchiata d'inchiostro, che si chiamano biglietti di Banca; no, consiste in quel valore monetario, in quella somma di danaro, che il latore di questi biglietti ha il diritto di domandare presentandoli alla cassa del Banco. La cosa prestata si promette, non si consegna.

Credo di aver veduto in opere anche di sommi giureconsulti, che una volta si metteva fortemente in dubbio, se in fatto di mutuo la semplice promessa fosse sufficiente. Ed anzi, se dobbiamo leggere un poco giudaicamente l'articolo 1819 del nostro Codice, nel quale è detto che il contratto di mutuo è quello per cui una delle parti consegna all'altra qualche cosa a patto di restituzione, l'imprestito fatto in biglietti difficilmente potrebbe dirsi, nel senso strettamente giuridico, un contratto di mutuo. Ma io, o signori, su questo punto amo di pensare un po' più largamente.

Il credo che i sostenitori della massima, per cui, in fatto di mutuo, la promessa non può valere consegna, non l'avrebbero sostenuto in modo così generico, se avessero potuto ai loro tempi aver presente la natura delle operazioni che fanno i moderni Banchi di emissione. Io credo che, imprestando biglietti fiduciari, si fa un vero mutuo; in quanto che si da un danaro il quale, è vero, sarà consegnato più tardi, ma appunto per ciò rimane nello stato d'inerzia, pronto sempre ad essere pagato dal Banco che ne è mutuante, danaro perciò di cui esso non può disporre, non può cavare profitto, e quindi se ne priva. Il contratto, per conseguenza, di mutuo, secondo me, sarebbe innegabile.

Tuttavia, o signori, dall'ammettere che nel mutuo la cosa mutuata non deve necessariamente essere presente e consegnata, ma può essere futura e promessa, non viene punto che possa essere ancora bugiarda, immaginaria, fittizia. Ora tale è precisamente il caso in cui un Banco impresti, non danaro, non biglietti fiduciari pagabili al latore, ma unicamente biglietti a corso forzato.

La cosa è evidente, almeno finché duri il corso forzato. Imperocché, che cosa mai avviene in questo tratto di tempo? Nel primo istante, me lo concederete spero, il Banco non da che pezzi di carta, non si priva dì alcun valore reale. Solamente, osservandosi che quelle cartine portano la leggenda

con cui si promette il pagamento di qualche somma, e che per conseguenza si potrebbero assimilare ai biglietti fiduciari, nasce la idea del mutuo. Ma badate bene, o signori, è un'idea natamorta; perché sotto a quella lusinghiera leggenda voi siete costretti a leggere la fatale parola corso forzato, la quale significa che lo Stato, coll'autorità che egli deriva dal suo carattere di legislatore, ha vietato a chicchessia il diritto di domandare il pagamento di quella somma, ha liberato il Banco dall'obbligo di adempiere la promessa che si legge in quel biglietto; questa promessa egli ha convertito in pretta menzogna, l'ha cancellata, come se mai non vi fosse stata scritta. Voi dunque allora non avete né tradizione della cosa prestata, né vera promessa di tradizione; e non avendo né l'una né l'altra, dove andate a pescare il contratto di mutuo? (Bravo! a sinistra)

Farmi adunque che, nel caso del corso forzato, e finché dura il corso forzato, non è possibile parlare di mutuo; cucire insieme queste due parole, mutuo e corso forzato, è una vera contraddizione ne' termini.

Ma qui parmi di udire la replica che distrugge tutto questo ragionamento. Si dirà: e se il corso forzato viene a cessare, voi che cosa troverete? Troverete da un lato una carta che prometteva di esser pagata in danaro; troverete un Banco che, avendo sottoscritto questa promessa, l'adempirà e pagherà; la cosa prestata allora si troverà effettivamente consegnata; dunque vi fu vera promessa, dunque vi fu vero mutuo.

Ed io allora, o signori, ho l'onore di rispondervi due cose, che probabilmente vi parranno due paradossi.

Di regola, cessando il corso forzato, la Banca Nazionale non si troverà mai costretta a pagare un obolo solo; ma se voi vi spingete ad un'ipotesi estrema, se immaginate il caso in cui la cessazione del corso forzato implichi nella Banca il pagamento; ciò non basta per costituire il contratto di mutuo, e molto meno per domandarci il pagamento di un interesse.

Il corso forzato verrà a cessare, voi mi dite; ma vediamo un poco in qual modo potrà cessare, e quali conseguenze pratiche ne verranno?

La prima, la più spontanea, la più naturale, la più probabile maniera di farlo cessare, si trova nel caso in cui lo Stato, sdebitandosi dell'impegno che ha preso, fornisca egli stesso la moneta metallica, con la quale i biglietti, divenuti convertibili, devono essere permutati.

Ora voi vedete che questa prima ipotesi esclude radicalmente l'idea di pagamento da parte della Banca. Come nulla essa diede quando si fece il contratto, così nulla essa da ora che il contratto si estingue. Chi si priva di qualche cosa è lo Stato; la Banca non fa che l'ufficio materiale di cassiere intermedio; riceve il danaro dallo Stato e lo trasmette ai portatori dei biglietti.

Un mutuo sicuramente vi fu, ma tra lo Stato ed il pubblico. Mutuante non fu la Banca, fu il pubblico, furono i cittadini,

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che diedero allo Stato valori reali, merci, denari, servizi, e ricevettero in cambio solo pezzetti di carta, mostrandosi fidenti nell'implicita promessa dello Stato, sicuri che un giorno o l'altro esso si sdebiterebbe pagando le somme che quelle carte dicevano di doversi pagare.

Se dunque l'onorevole Scialoja, se dunque l'onorevole Sella, quando si sono serviti della parola mutuo, hanno inteso di alludere a questa prima ipotesi, evidentemente il loro linguaggio era inesatto. Invece di dire: la Banca darà in mutuo al Tesoro, avrebbero dovuto dire: il pubblico italiano è invitato, è costretto a dare in mutuo al Tesoro. (Bene ! a sinistra)

Togliamo dunque di mezzo questa prima ipotesi che pure, come ho detto, sarebbe la più naturale, la più spontanea, la più probabile. Se il Tesoro pagherà le somme indicate nei biglietti a corso forzato, da parte della Banca non vi sarà alcun sacrifizio (fatta astrazione dalla piccola spesa che occorra per la fabbricazione dei biglietti), non vi sarà alcun sacrifizio che possa conferire all'operazione il carattere di mutuo, e conferire alla Banca il diritto di esigerne un compenso.

Per giustificare dunque l'operato ed il linguaggio del nostro Governo, bisogna ricorrere ad un' altra ipotesi: lo Stato non pagherà. Ebbene, credete voi, o signori, che se lo Stato non pagherà, la Banca sarà costretta a pagare qualche cosa del proprio? Questa è la tacita supposizione da cui partono coloro i quali credono tanto al concetto del mutuo. Ma questo è un equivoco che poche parole basteranno a dileguare.

Due cose, o signori, distintissime e diversissime, qui si pretende confondere insieme. Che lo Stato non adempia al suo impegno è una cosa possibile, se volete, probabile. Ma che, mancando lo Stato, l'impegno suo passi a carico della Banca, ciò non dirò che sia metafisicamente impossibile, ma è ipotetico tanto, che sarebbe veramente ridicolo il volerlo porre nella sfera delle cose possibili. Perché si avveri l'ipotesi, non basta il dire che lo Stato non pagherà, bisogna aggiungere che questo Stato, divenuto così insolvente e decotto, divenga pure un essere così sfacciato e spregevole che, mentre non possa pagare il suo debito, dichiari pura mente e semplicemente di volerlo far pagare da un terzo che non c'entra per nulla.

Or io domando: il Governo italiano, un qualunque Governo semicivile, che bisogno avrebbe mai d'infangarsi in un'operazione che non può avere altro titolo, se non quello di sordida frode? Che bisogno ne avrà? Quando il Tesoro diventi impotente a soddisfare il valore rappresentato dalla carta a corso forzato, esso farà ciò che sempre in simili casi si è fatto; allora, invece di scatenare i latori dei biglietti sulle casse della Banca, prolungherà il corso forzato; o, non potendolo più prolungare (giacché anche questo caso si è dato talvolta), ricorrerà ad uno di quegli espedienti che sino ab antico,

sin da Aristotele si conoscevano, e che poi le moderne società hanno saputo così bene rivestire di forme gentili ed innocenti: consolidazioni di debito, cangiamenti di titoli, riduzioni od ammortamenti forzati, qualcuna insomma di Godeste speciose forme, con le quali la frode, è vero, si compie, ma si compie direttamente dallo Stato sul pubblico, non sopra un Banco innocente e più impotente di lui.

Vedete, per esempio, l'Austria, la terra classica della circolazione cartacea. Tre volte, se non erro, nel corso di un ventennio, l'Austria ha sentito il bisogno di tornare alla normale circolazione metallica, ma le forze le sono mancate. Credete voi, potete voi asserire che il Banco di Vienna, intrigato in tutte le operazioni del Tesoro austriaco, abbia mai dovuto sopportare una menoma parte del debito che il Tesoro austriaco non poteva pagare? Niente affatto. Si sono cercate, variate, esaurite tutte le forme della Bancarotta dissimulata: biglietti a rendita portanti giornaliero interesse; anticipazioni a lontana scadenza; imprestititi che si dissero volontari e che il giorno dopo si resero forzati; cartamoneta portante interesse e cartamoneta senza interesse; titoli pagabili in oro e titoli pagabili con altri titoli; carta ipotecata e carta a corso forzato senza ipoteca: tutto si a speculato, ordinato, adottato; la Banca, ne convengo, intromettendosi tanto nelle operazioni della finanza, se non per ora, per l'avvenire si sarà rovinata; ma avete mai adito che un Ministero austriaco abbia detto o pensato che. per tutta risorsa finanziaria, si dovesse addossare sugli azionisti del Banco di Vienna il carico di pagare una parte del debito che il Tesoro austriaco non poteva più soddisfare?

E se mai un Governo di questi tempi venisse nel pensiero di far così, ma dove, o signori, credete che potrebbe attingere la forza per attuarlo? Io immagino che un bel giorno l'onorevole Sella, col suo sangue freddo, o qualunque altro ministro italiano, venga qui a darci la trista novella che finalmente lo Stato italiano non possa o non voglia più pagare la carta che ha fatto emettere. Ebbene! voi colleghi di quel ministro, voi legislatori d'Italia, mi sapreste indicare un mezzo pratico per costringere la Banca a pagare il valore di questa carta? In un caso sì estremo, voi tutt'al più ve ne lavereste le mani; vi limitereste a dichiarare la bancarotta comune, la compensazione avvenuta tra ciò che la Banca dovrebbe ai suoi creditori, e ciò che i suoi creditori dovrebbero alla Banca. E dico espressamente i suoi creditori, perché in fine dei conti la finanza divenuta infedele ai suoi impegni non è che il mandatario supremo di quei cittadini che si presenterebbero col biglietto in mano alla Banca per averlo convertito in danaro. Ora non si comprende che si possa far diritto alla istanza di un creditore, il quale domandi al suo debitore precisamente la somma da lui dovuta al suo debitore. Io non so se, tra i sofismi giuridici, ve ne sia qualcheduno, per mezzo del quale si arrivi a provare che una Banca debba pagare alla sua nazione ciò di cui la sua nazione, per mezzo del suo Governo, al medesimo tempo, la voglia defraudare; ma se il sofisma esiste, mancherà (per l'onore del genere umano bisogna dire che mancherà) il magistrato a cui possiate strappare una sentenza così mostruosa.

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In tutta la storia del credito mi sarebbe impossibile trovare l'esempio di un simile fatto. Io conosco fallimenti e catastrofi d'ogni maniera; conosco quella di Law e quella degli Assegnati; conosco il famoso debito di Carlo II verso gli orefici inglesi; conosco Carlo I che brevi manu va alla Torre di Londra, e vi prende il tesoro depositatovi. Ma tutto ciò, lo comprendo, sono atti coi quali un Governo, divenuto impotente a sdebitarsi, cerca o di mascherarsi o di acquistare tempo; non è quell'atto che qui si pretenderebbe supporre, di un Governo il quale, atteggiato in tutta la serietà del legislatore, freddamente si limiti a dichiarare di volere puntualmente pagare il suo debito ma con danaro rubato ad un terzo. E, se anche mi spingo fino al medio evo, io trovo colà un Filippo il Bello, il quale ha bene il coraggio dell'assassinio, ha bene il coraggio di far arrostire sul rogo i Templari suoi creditori, ma non ha quel più difficile coraggio di decretare che i suoi creditori, appunto perché suoi creditori, sieno tenuti a pagare i suoi debiti.

Permettetemi ora di compiere il mio paradosso.

Io vi ho detto che, se si trattasse di addossare alla Banca il pagamento finale, non per ciò noi saremmo nel caso del mutuo.

Immaginate che, dopo dieci, venti, trent'anni di corso forzato, il Governo italiano veramente fallisca, e col suo fallimento la Banca sia chiamata a rispondere dei milioni che il Governo non può pagare. Se in questa ipotesi veniste a dirmi che, da quel momento in poi, noi saremo tenuti a corrispondere un interesse alla Banca, io lo comprenderei: questo è ragionevole, è giusto; da quel momento, io veggo l'imprestito, e sento il sacro dovere di retribuirlo. Ma dirmi che noi dobbiamo cominciare sin d'ora il pagamento d'un interesse, e continuarlo, a favore di chi nulla ci ha dato, e per una serie di anni prima che la menoma privazione, il menomo atto d'imprestato sia avvenuto; e soggiungere che questo si chiami contratto di mutuo, ciò è enorme, o signori.

Tutti i termini del contratto di mutuo si troverebbero qui rovesciati. Nel mutuo, la tradizione della cosa prestata è condizione essenziale; voi qui ne fate un incidente, una eventualità pescata nel mondo delle fantasie. Nel mutuo l'interesse è accidentale, può essere e non essere; voi invece ne fate la base, il punto di partenza di tutta l'operazione. Nel mutuo l'interesse non è dovuto se non in proporzione del capitale che si è prestato effettivamente; voi lo fate in proporzione ad una somma nominale, senza alcun riguardo a quella che si sia data o promessa. Nel mutuo, finalmente, il pagamento dell'interesse è proporzionale al tempo per cui dura il sacrificio del mutuante; voi qui volete pagarlo per molti anni prima che alcun sacrificio sia cominciato. Ma questo è un contratto che la scienza giuridica non conosce; in nessun Codice fu definito, in nessuna lingua si trova il vocabolo per esprimerlo. Si parla tanto della tenuità dell'interesse.

Ma, Dio mio! Io non so trovare la formola per esprimerlo. Nel linguaggio volgare si dice tanto per cento, per mille, per uno; ma io qui non vedo alcun termine positivo, non vedo che zero; e il tanto per zero, io non so con quale formola i matematici esattamente lo esprimano; io lo esprimo alla buona, e dirò che si chiama interesse letteralmente infinito. (Bravo!) Usura! Ma questa parola, presa anche nel suo senso più lurido, è lontana dallo esprimere il nostro concetto; perché un'usura così sterminata, l'usura infinita, non cadde mai nella mente di tutti gli antichi e moderni usurai. (Bravo I Bene! a sinistra)

Dopo queste riflessioni, che non mancheranno di essere dichiarate domani utopie di mente contemplativa, permettetemi d'invocare qualche autorità che conforti la mia opinione.

La prima, io la trovo nella Banca Nazionale medesima; la trovo nelle condizioni che costituiscono la tenuità dell'interesse. Come mai, se vi fosse un imprestito, sarebbe possibile che si fosse convenuto un interesse così meschino? Si tratta di 60 centesimi per 100 lire 1 Si può dunque supporre che Li Banca Nazionale, avvezza a guadagnare il 6 ed il 7 per cento nelle sue operazioni, ed a triplicare forse i profitti col giro dei suoi capitali, si contenti di un utile così minimo, di 60 centesimi per cento lire, e sopra una somma così ragguardevole, equivalente a 4 o 5 volte il suo capitale, e che in conseguenza non avrebbe modo di prestare, se non prendendola essa medesima ad imprestito, pagando, cioè, un interesse dieci volte maggiore, di quello che le si offre nella presente convenzione?

E non basta. Voi avete veduto con quanta docilità la Banca consenta sempre a ribassare questo interesse. Cominciò dall'1 1|2 per cento; la prima diminuzione si fece sotto il Ministero Rattazzi; l'onorevole Sella venne poi qui, tutto sfavillante di gioia, ad annunziarci che finalmente la Banca si contentava di 80 centesimi. Pareva che la sua generosità verso la patria fosse spinta al sublime; ma no, l'onorevole Giunta ha potuto avere lo splendido trionfo di far discendere la Banca a 60 centesimi! (Viva ilarità di approvazione a sinistra)

Ora è ben chiaro che gli azionisti di questa Banca avrebbero molto da dire al suo direttore nel vedere in che modo egli sciupa, per un falso patriottismo, il loro danaro, e come si lancia in operazioni così disastrose. Invece gli azionisti sono stati concordi nello applaudire all'operato del direttore; son contentissimi di vedere rinnovare ed allargare il contratto. Che cosa dunque dal loro contegno dobbiamo inferire? Evidentemente il loro contegno significa che qui la parola mutuo è affatto fuori di luogo, e che ad un contratto di mutuo non crede neanco la stessa Banca. (Ilarità)

3536 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Una seconda fonte di autorità io ho trovata nelle opinioni de' membri di questa Camera. Mi è venuto alle mani un recente opuscolo del nostro collega Pianciani sui provvedimenti finanziari, che io credo degnissimo di tutta l'attenzione; egli ha espresso così bene, ed in poche parole, il mio stesso concetto, che non so lare a meno di leggere le sue stesse parole:

«Che diritti può avere la B. a compensi?» E risponde: «né più né meno di quelli che possau competere ad uno stampatore qualunque.» Domanda poi: «Che cosa è il frutto in un mutuo?» E risponde: «È il compenso di quello che potrei guadagnare io stesso conservando l'uso della cosa mutuata; ma la Banca non poteva guadagnare nulla, conservando l'uso di quelle risme di carta, che han servito a stampare biglietti. Se essa le ha cedute allo Stato, e per lo Stato hanno avuto un valore, questo è dato a loro dall'autorità legislativa, non dall'industria bancaria. Il corso forzoso, che ha trasformato quella carta in moneta, non è opera della Banca; essa ne ha profittato pe' biglietti emessi per conto proprio; ed il pretendere un pagamento anche per gli altri, è veramente uno spingere le esigenze sino alla favola. Per questo titolo nullameno, la Banca in 4 anni ha percepito dalle nostre povere finanze oltre a 20 milioni.»

Queste parole, considerate in se stesse, sarebbero veramente assai bene azzeccate; ma sventuramente non possono avere una gran forza persuasiva, per l'ovvia ragione che il loro autore siede da questo lato della Camera. (Ilarità)

Volendo dunque meglio illuminare la mia coscienza e trovare qualche cosa di più persuasivo, io mi son venuto allargando un poco da quest'altra parte (Accennando a destra) e mi è capitato un altro opuscolo, più recente ancora. Ascoltate, signori, di quali espressioni si serve l'autore che non è un anonimo.

In un luogo dice: «Pe' 250 milioni che ora crescerebbero di qualche cosa, diciamo la parola nella sua crudità, la Banca ne ruba gl'interessi al pubblico, che glieli paga, mentre essa non ha alcun diritto di guadagnarvi sopra cosa alcuna.»

Immediatamente soggiunge: «Gl'interessi per questi 250 milioni sono un vero profitto illecito... non vi pone nulla di suo in corrispettivo... li prende indebitamente sui biglietti che si da l'aria di avere imprestato, senza mettervi altro del suo, che quella parte la quale rappresenta il costo materiale dei suddetti biglietti.»

Poco dopo, l'A. profferisce un dura sentenza, che io ripeto soltanto da storico. Dice che l'operazione dei 278 milioni, con la concessione del corso forzato, altro non fu che un mezzo di arricchire 100 mila capitalisti, rovinando 25 milioni d'Italiani; e ciò, soggiunge: «senza necessità per il paese, il che forma la ignominia del ministro che vi appose la sua firma, e che, insieme ai Cresi della Banca, tradì con quell'atto il Re e la nazione.»

MINISTRO PER LE FINANZE. Chi è?

FERRARA. Questo linguaggio evidentemente è più forte di quello che fu tenuto dall'onorevole Pianciani.

Voci. Chi è?

CHIAVES, relatore. Lo dica!

FERRARA. Non ho detto queste parole.

Credo, signori, che ne sarete sorpresi; ma io più di voi, al vedere che simili frasi si scrivono dai nostri onorevoli colleghi nel 1870, si distribuiscono a voi, si leggono senza che ne nasca rumore. Ne sono tanto più sorpreso, che ho sempre presente alla memoria lo scandalo che destò nel 1866 non so quale scrittore; il quale si permise timidamente, modestamente, di mettere in dubbio la legittimità della parola mutuo applicata all'operazione dell'onorevole Scialoja. Evidentemente il mondo cammina! (Ilarità)

Ma voi mi direte: a che giovano mai citazioni di questa fatta? L'onorevole De Cardenas, se non siede allato all'onorevole Pianciani, non siede neppure in uno di quei banchi della Camera dove, a quanto pare, il senno e il sapere si sono esclusivamente rifugiati, e vi godono circolazione a corso forzato. (Risa di approvazione e applausi a sinistra)

Ebbene, o signori, non mi sarebbe impossibile il portarvi qui una lunga serie di parole, di frasi, di periodi, di passi, venuti da uomini vostri, da nomini della cui ortodossia neppure l'onorevole Massari G. saprebbe dubitare un momento. (Ilarità) Ma a che ciò mi giova, quando io ho alle mani un'altra autorità, attinta ben altro che alla destra o all'estrema destra, autorità la più indiscutibile, la più efficace, che no a si va raccogliendo nei rendiconti del Parlamento, che ho potuto direttamente trovare nel seno medesimo del Gabinetto di S. M., anzi sulle labbra dell'onorevole Sella, e non come ministro delle finanze, non come Quintino Sella, ma come autore della convenzione che stiamo qui discutendo?

Voi sapete che egli vuol fare un imprestito in biglietti di 72 milioni colla Banca. Di questi 72 milioni, 50 sono precisamente una nuova creazione di carta a corso forzato, appunto come furono i 250 milioni che si crearono a tempo del ministro Scialoja. Ora, se l'onorevole Sella non avesse un momento perduto di vista la base di tutti i suoi ragionamenti, che cosa sarebbe venuto a dirci? Avrebbe detto che la Banca ci fa un nuovo mutuo pel valore di 50 milioni, bisogna retribuirlo, bisogna pagarne gl'interessi. Invece che cosa ha detto? Egli ha detto, e io veramente ne fui stupefatto: «per i 50 milioni in biglietti la Banca non ha altro onere fuorché la spesa di fabbricazione, giacché le si concede un equivalente, una maggiore circolazione.

Voi vedete come in una intelligenza pari alla sua la verità si fa strada a qualunque costo; vedete quali parole gli strappa di bocca. Ah! dunque siamo intesi, onorevole signor ministro: tutte le volte che la Banca Nazionale ci da biglietti, a cui noi conferiamo il corso forzato, non vi ha mutuo, non vi ha sacrifizio, vi ha una semplice spesa di fabbricazione! È quello appunto che io mi affannava tanto a provarvi! (Vivi segni di approvazione a sinistra)

3537 - TORNATA DEL 20 LUGLIO 1870

Dopo queste autorità, prese così alla spicciolata, permettete che io passi a qualche cosa di più generale, attinta nella storia del credito.

Signori, mai, in nessun paese, si è veduto così impudentemente abusare la parola mutuo come si è fatto da noi. Certo non vi è paese né Banco per cui una volta o l'altra non si sia dovuto ricorrere all'espediente del corso forzato; ma per tutt'altro motivo vi si ricorse, con tutt'altro ordine si è proceduto, tutt'altre condizioni si stipularono. Ordinariamente i Banchi che ottennero questo privilegio, l'ottennero come un soccorso, per evitare la necessità di venir meno ai loro obblighi, di sospendere i loro pagamenti. Se questo motivo abbia operato anche in Italia è impossibile definirlo, imperocché i ministri e i giornalisti un momento lo affermano, un momento lo negano, secondo le loro convenienze; ma non importa: la singolarità del nostro paese è questa, che noi prendiamo il corso forzato come ordinario strumento d'imprestito, laddove in tutti i paesi il corso forzato è stato sempre la conseguenza forzata d'un imprestito antecedente.

Trattavasi sempre di qualche Banco, il quale, dopo aver prestato una parte del suo capitale, o tutto il suo capitale, e qualche volta più del suo capitale, si trovò finalmente impossibilitato a far fronte ai suoi pagamenti; e fu allora, e si comprende come sia stato allora, che lo Stato, debitore del Banco, causa unica o principale dei suoi imbarazzi, impotente a soccorrerlo con altro mezzo, sentì la necessità di ricorrere all'espediente di sospendere la convertibilità dei biglietti.

Prendete l'esempio dell'Inghilterra, che l'onorevole Maurogonato, mi scusi, citava male ieri, quando diceva che noi abbiamo operato, come si operò da Pitt in Inghilterra. Niente affatto, o signori, il Banco d'Inghilterra nasce con un capitale di 1,200,000 lire sterline, versate dai suoi azionisti, ma immediatamente riversate nel Tesoro, prestate al Governo. Continua, procede innanzi, prestando sempre al Tesoro, e, per poter prestare, allargando il suo capitale per mezzo di soscrizioni private; arriva alla fine del secolo XVIII con 14 milioni sterlini di credito verso lo Stato, che formano tutto il suo avere. In quel momento di grandi commozioni politiche in Europa, il pubblico inglese sente il bisogno di un po' di danaro metallico. Va al Banco; ma il danaro manca nel Banco. Il Tesoro non può supplirvi, e, per riparare alla sua impotenza, immagina il Restriction Act, ordina l'inconvertibilità dei biglietti. Ecco tutto l'Atto di Pitt: la necessità di evitare il fallimento del Banco. Ma in Inghilterra non fu mai pensato né detto che per questo lo Stato dovesse qualche cosa al Banco. Pagavasi bene un interesse, ma per l'imprestito anteriore, per l'imprestito che era stato già fatto in tante belle ghinee, prima che si venisse all'espediente del corso forzato.

In Italia si è proceduto in un modo diametralmente contrario a quello che fu seguito in Inghilterra, la quale ogni momento si cita in esempio, e quasi sempre a rovescio. (Ilarità)

In Italia nel 1866 noi nulla dovevamo alla Banca, è vero? Eravamo soltanto in qualche urgente bisogno per l'imminenza della guerra; ed era venuto il giorno in cui questa Banca doveva mostrare tutto ciò che era capace di fare in prò della patria; l'Italia doveva calcolare sui suoi mezzi, sul suo capitale, sulla sua clientela, sull'ardente suo patriottismo, per avere gli aiuti necessari onde far fronte alle necessità della guerra. Ma la Banca non ci poté dare un quattrino; ed il Governo ricorse all'espediente del corso forzato, con cui voleva creare a sé stesso una certa somma di danaro fittizio. Ma ecco allora la Banca, a cui l'espediente giovava assicurandole e vita e guadagni, eccola a profittare della nuova opportunità: rovescia il linguaggio, prende l'operazione come una grazia che di lei si facesse allo Stato, la battezza col nome di imprestito, ne domanda un compenso; e si trova un Governo pronto ad accordarle il compenso; e si trovano ancora degli uomini pronti a sostenere che questo fu un grande atto di generosità, del quale l'Italia va debitrice ancora alla Banca! (Ilarità a sinistra) E noi non possiamo metterlo in dubbio, senza essere calunniati, senza sentirci dire fanatici nemici del nostro grande benefattore!

Io so che il diritto di priorità a questa formola ingiusta ed assurda, permettetemi le due parole, il diritto di priorità non appartiene esclusivamente all'onorevole Scialoja, rimonta al conte di Cavour, anzi fino al conte Di Revel. Ma so ancora che fin da quel tempo la qualificazione di mutuo fu riprovata; e molto se ne sarebbe parlato in Europa, se l'imprestito sardo del 1848 non fosse stato che per la piccola somma di 20 milioni, ed avesse avuto la lunga durata che poi non ebbe. Ed infatti si è poi veduto che l'esempio non ebbe mai imitatori fuori d'Italia.

Voi non ignorate che nel 1854 un'operazione simile alla nostra si volle fare a Vienna. Eravi molta carta governativa discreditata; si pensò di ritirarla; il Banco di Vienna assunse l'obbligo di permutarla in suoi biglietti bancari a corso forzato,.da doversi rimborsare a 10 milioni di fiorini per anno.

Ecco un contratto sostanzialmente eguale al nostro.

Che cosa credete che si sia dato alla Banca di Vienna per quest'operazione, per quest'imprestito ia carta a corso forzato? Nulla, un bel nulla. Il debito in questo modo contratto, ai legge nella convenzione del 24 febbraio, non porterà alcun interesse.

Non citerò alcun altro esempio, e la Camera comprenderà perché questo solo mi basti.

Riassumiamoci, adunque, su questo primo punto del mutuo.

Nell'imprestito che si faccia con carta a corso obbligatorio, non è possibile, secondo me, far figurare da mutuante la Banca la quale non può essere che, in certi casi, semplice editrice di biglietti, in certi altri semplice cassiere intermedio.

3538 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Nulla essa da di reale; non vi è caso in cui possa esser chiamata ad arrecare qualche cosa di proprio, ad arrecare il valore rappresentato dalla carta; sia che lo Stato paghi, sia che non paghi, la Banca in tutti i casi è destinata ad uscirne illesa.

Se mai si può supporre una ipotesi estrema, se si può immaginare che un giorno la Banca sia chiamata a pagare, allora sì, ma solo allora, l'imprestito comincierebbe; per adesso non vi è idea di sacrificio, e in conseguenza in tutto ciò che si è fatto finora è assurdo e illegale, dovremmo affrettarci a ripudiarlo.

Io lo ripeto: un mutuo vi è; ma tra lo Stato ed il pubblico direttamente. Quindi si può concepire (se non sempre approvare) il biglietto portante interesse, in mano di chi lo possiede, ma un interesse a beneficio esclusivo della Banca è per me cosa assurda.

(L'oratore si riposa qualche minuto.)

PRESIDENTE. Onorevole Ferrara, continui il suo discorso.

FERRARA. La questione dei 3 milioni non termina qui; l'idea del mutuo era veramente troppo impudente per poter sussistere a lungo. A poco a poco si è modificata ed abbandonata, e le si è venuto sostituendo quella di una malleveria, di un avallo. E l'avallo ci fu ricantato su tutti i tuoni. Si è presentato principalmente come motivo perentorio, pel quale i biglietti bancari debbano necessariamente godere di una fiducia che è impossibile far godere ai biglietti governativi. L'onorevole ministro ha molto bene, nella sua relazione, espresso questa idea, quando scriveva: «II biglietto bancario a corso forzato ha comparativamente ad un biglietto governativo il gran vantaggio di essere avvalorato dall'accettazione della Banca, la quale lega i propri interessi alle di lui sorti, immedesima la propria riputazione col di lui valore, e lo porge così garantito e forte del proprio avallo.»

Son parole eleganti, non se ne può dubitare; ma quanto a ciò che vi si contenga di vero dal punto di vista della fiducia comparativa delle due specie di carta, ne parleremo in appresso. Qui io mi limito ad esaminare quale sia l'importanza da attribuirsi a codesto avallo, relativamente soltanto al modo di retribuirlo.

L'idea da cui si parte si è: che la firma della Banca interviene nel biglietto a corso forzato per garantire al pubblico il pagamento dovuto dallo Stato, appunto come la firma di un banchiere solido fortifica e copre la firma d'un mercantuolo mal fermo. In questo caso non si tratterebbe più di mutuo, né d'interesse; ma la somma che si vuole da noi pagata ogni anno non sarebbe che una specie di provvisione, ciò che in commercio si chiama un del credere. Ecco una seconda maniera di giustificarla; e certamente sarà plausibile, se, e fin dove, si potrà sostenere che la firma della Banca rinforzi quella dello Stato.

Ora, signori, il difetto di questa supposizione fondamentale sta nel prevedere un solo fra i tre casi possibili ad avvenire, e di cui si deve egualmente tenere conto se vogliamo giustamente apprezzare il valore della garanzia; prevede, cioè, il caso che il Governo fallisca, ma lascia nell'ombra il caso in cui fallisca la Banca, oppure anche quello che falliscano entrambi.

Or ecco le diversissime conseguenze che vengono da questi tre casi diversi.

Nel primo caso, l'unico che il ministro sembra avere tenuto presente, si suppone dunque che lo Stato manchi al pagamento, mettiamo in cifra rotonda, dei 500 milioni che verrebbero, seconde il progetto, a costituire l'intero suo debito. Ora, perché in questo caso mi si possa parlare di guarentigia da parte della Banca, bisogna evidentemente supporre che essa paghi di proprio tutto ciò che il Governo non pagherà: almeno in commercio così s'intende l'avallo.

Ma la Banca non ha mezzi di sopperire a tanta deficienza, e la Banca non può esser tenuta a pagare al di là dei suoi mezzi, perché è un ente morale che lavora a responsabilità limitata entro i confini del suo capitale.

Dunque la Banca tutt'al più in questo caso disgraziato darà l'intero suo capitale, sacrificherà 100 milioni; e la massa dei creditori si dovrà accontentare di parteciparvi prò rata. Se la massa dei creditori rappresentasse soltanto la somma dal Governo dovuta, se equivalesse a soli 500 milioni, ne verrebbe che in questo caso la Banca darebbe ai portatori dei biglietti il 20 per cento, ed essi perderebbero l'80.

Ma se alla deficienza dei 500 milioni da parte dello Stato, supponete che venga ad aggiungersi la somma di 300, 400, 500 milioni per affari propri della Banca (e mi permetta l'onorevole Maurogonato, il quale ieri riguardava come infallibile una Banca, mi permetta di dirgli che esempio di Banche fallite, o che facciano cattivi affari, ne esistono in gran numero); se supponete, dunque, che si aggiungano questi 300, 400,500 milioni per affari propri della Banca; allora è chiaro che quel misero 20 per 100 scenderà a proporzioni ancora più tenui; dimodoché, arrivandosi al punto in cui i 100 milioni di capitale rimangono sopraffatti dalla massa dei debiti, epperciò cancellati dal patrimonio netto distribuibile, si verrà al punto in cui la Banca non avrà più data la menoma guarentigia reale.

E se, all'inverso di ciò, noi poniamo il caso che la Banca, avendo fatti cattivi affari, fallisca essa sola, mentre lo Stato si trovi preparato a pagare la parte sua in 500 milioni, allora avrete una massa di debiti, supponiamo, eguale a quanta è la carta a corso forzato, un debito di 800 milioni, di cui 500 si troverebbero coperti da ciò che deve lo Stato, ma 300 resterebbero allo scoperto.

3539 - TORNATA. DEL 20 LUGLIO 1870

E per dare ai creditori che rappresentano questi 800 milioni una somma la quale sia proporzionata al rapporto tra l'attivo ed il passivo, bisognerà distribuire alla massa i 500 milioni che paghi lo Stato. Dimodoché tutto il sistema di guarentigia in questa terza ipotesi rimarrà capovolto: non solamente la Banca nulla avrà guarentito, ma, viceversa, lo Stato sarà diventato mallevadore in faccia ai creditori della Banca fino alla concorrenza dei 500 milioni.

Così, fra i tre casi possibili, il più felice ad immaginarsi dal lato della Banca, il solo in cui la Banca risponda di qualche cosa, è quello che vi promette 20 per cento. Ma osservate, signori, da quale difficile condizione dipenda che questo caso si avveri.

Voi dovete in primo luogo supporre che tutto il vuoto del fallimento si limiti unicamente ai 500 milioni dovuti dallo Stato. Poi dovete rigenerare da capo l'ipotesi che io poco fa cercai di mostrarvi quanto fosse fantastica, immaginaria: non solo si deve supporre lo Stato fallito, ma dovete anche supporre che questo Stato insolvente nulla faccia per aiutare sé stesso e la Banca, ma puramente e semplicemente si limiti a dichiarare cessato il corso forzato, e poi la getti nelle fauci di un pubblico illuso ed esasperato, la consegni in mano di un magistrato che abbia il coraggio di condannarla al pagamento di un dubito non proprio. L'ipotesi è fanciullesca, ma ritenetela pure come possibile ed andiamo alle conseguenze.

La Banca dunque risponderebbe di cento milioni; ed è per questo che noi dobbiamo pagarle il Ricredere di 60 centesimi. Ma in commercio il delcredere si paga, sulla somma di cui si risponde. Come va dunque che la Banca risponde di 100 e domanda il delcredere su 500? Ah t dunque i 60 centesimi non sono la cifra vera, bisogna moltiplicarla per cinque; si tratta del 3 per cento. E in commercio un delcredere del 3 per cento è qualche cosa di enorme; voi non l'avrete udito giammai, e in un affare privato non si oserebbe neppur di proporlo.

Non basta. Il delcredere none interesse; quando non serve che a guarentire, e non vi si complica una qualche anticipazione di fondi, il delcredere si paga una volta sola, qualunque sia la durata dell'operazione. Voi qui volete che sia ripagato in ogni anno; dimodoché facciamo l'ipotesi, niente impossibile, che il corso forzato debba durare ancora 10, 20, 30 anni; e voi avrete questa insigne mostruosità, che noi avremo pagato 30, 60, 90 milioni; e perché? Perché la Banca ci ha guarentito che, in un caso tutto ipotetico e quasi impossibile, pagherebbe per noi una somma di cento milioni. Io so che nell'onorevole Giunta vi è pure un distinto banchiere; io mi lusingo che, quando prenderà la parola, ci vorrà spiegare come mai, secondo le regole e gli usi del commercio, possa giustificarsi una simile assurdità

FENZI. Non è interesse ne premio per lo star delcredere, è semplice rimborso di spesa. Eccolo spiegato.

FERRARA. Io prendo in parola l'onorevole Fenzi; non è interesse, non è compenso di un avallo; io voleva appunto ciò sostenere e ne inferiva...

Voce. Un regalo.

FERRARA... che, eliminando queste due idee, non resta, come ho detto in principio, se non un pretto regalo che noi facciamo alla Banca. (Applausi a sinistra)

Ma non è tutto: permettetemi ancora di venire ad una conseguenza finale. Il conto delle guarentigie non è in sostanza che un calcolo di eventualità. Qui abbiamo due eventualità egualmente possibili: fallimento della Banca, fallimento del Governo.

In quest'ultimo caso la Banca garantisce 100; nell'altro caso il Governo garantisce 500. Regolarmente, adunque questi due enti, Banca e Governo, nell'operazione di cui si tratta, vanno considerati come due persone che si associano insieme, coll'oggetto di garantire insieme l'interesse del pubblico.

Ebbene! Quelle due garanzie probabilmente sono di eguale valore; secondo il vostro sistema, l'uno dei due consociati è tenuto di pagare all'altro un prezzo per la garanzia che presta; lo Stato è tenuto di pagare 3 milioni all'anno alla Banca perché la Banca guarentisce 100. Sta bene; io accetto il principio; ma in nome della più volgare giustizia vi domando che si applichi egualmente e con eguale misura sui due consoci.

Adunque, se la Banca deve ricevere dallo Stato tre milioni all'anno perché ne garantisce 100, lo Stato riceverà dalla Banca 15 milioni perché ne garantisce 500. Quindi, pareggiando e compensando le partite, il risultato sarà che, invece di domandarci che si paghino annualmente tre milioni alla Banca, il ministro dovrebbe tutto impegnarsi a convincere la Banca che essa ci deve 12 milioni all'anno per questo titolo della garanzia. (Ilarità e segni d'approvazione a sinistra)

Mi direte forse che le due garanzie non hanno un valore eguale? Vorrete ripetermi ciò che ieri disse, in termini abbastanza espliciti, l'onorevole Maurogonato, che lo Stato, cioè, può fallire, ma la Banca non può?

Sì, o signori, io lo so bene: tra i moderni assiomi del regno d'Italia vi sarà forse anche questo, che l'infallibilità, negata al pontefice, si è tutta rifugiata nel Gabinetto del commendatore Bombrini. (Ilarità)

Permettete che io non pensi così; permettetemi di credere che, se una differenza occorre di fare nel valore di queste due guarentigie, la differenza va fatta in favore dello Stato e non della Banca. Io non son solo a pensare così. In tutti i paesi in cui i misteri del credito sieno un po' conosciuti, io ho visto sempre che tra Stato e Banche private, se vi ha qualcuno di cui debbasi dubitare, saranno queste, non quello.

3540 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Che diranno di noi gli Americani degli Stati Uniti? Otto anni sono, si trovarono nella necessità d'emettere. della carta governativa e nel tempo stesso di dar corso forzato a de' biglietti di Banca. Siccome laggiù nessuno osa di credere che lo Stato possa fallire ed i Banchi non possano, così la carta governativa fa emessa senz'altro; ma, in quanto al corso forzato dei biglietti di Banca, non fa conceduto se non a condizione che fosse depositato nelle pubbliche casse, in titoli del debito pubblico, non so se il 20 od il 25 per cento dell'emissione.

VALERIO. Non meno di 100 di valor reale al corso del mercato in deposito per emettere carta per 90.

FERRARA. Meglio ancora!

Siamo dunque noi così lontani dalla civiltà odierna, da dovere noi stessi screditarci, da dover essere vittime di queste misere e mendicate paure quando si tratta dello Stato? No, io non vi posso seguire su questa via.

E che dunque, o signori! Un paese il quale, per quanto sia squilibrato, dispone ancora d'un miliardo di reddito attivo in ogni anno; un paese che, per quanti sieno gli imbarazzi finanziari nei quali fu trascinato, più d'una volta ha dimostrato d'essere fermo a non voler d'una linea mancare ai doveri della fede pubblica; un paese che, penetrato da questo pensiero, in pochi anni è riuscito a resecare parecchie centinaia di milioni dalle sue pubbliche spese; un paese che, per quanto sia estenuato, è alla vigilia di sobbarcarsi a sacrifizi nuovi ed enormi; un paese poi che ha uno Statuto, una tribuna ed una libera stampa; un paese i cui rappresentanti veggo qui riuniti in buon numero per discutere ed accettare le proposte d'un ministro altamente benemerito, secondo me, quando viene a formolare il concetto di un pronto pareggio; questo paese, adunque, nella vostra opinione val meno di una Banca, il cui patrimonio, in 100 milioni di capitale, non sarebbe la ducentesima parte del patrimonio pubblico; una Banca, la cui amministrazione, tutta privata, sfugge ad ogni controllo; la cui potenza pecuniaria l'avete veduta tutte le volte che abbiamo chiamato soccorso da essa; una Banca, infine, i cui magri servizi non ci si rendono che a peso di milioni?

Signori, sarà questa la vostra opinione, ed io sono sempre pronto a rispettarla: la mia però, lo dichiaro, è diametralmente contraria. Io oramai non trovo che un sorriso di scherno per rispondere a chiunque ancora mi venga a presentare la Banca come garante del mio paese. Niuno potrà darmi a credere, e, sappiatelo bene, niuno farà credere al mondo che la ditta Bombrini meriti una fiducia della quale la ditta Italia non sia cento e mille volte più degna. E ne volete una prova pronta, evidente, palpabile?

Dichiarate, o signori, anzi lasciate soltanto sospettare da lontano, che lo Stato italiano più non possa o non voglia pagare il suo debito del corso forzato, e voi vedrete se i biglietti muniti del famoso avallo di questa gran Banca potranno più circolare; vedrete se tutti i vostri carabinieri avranno la forza di farne ricevere un solo nei pagamenti; e allora conoscerete, e mi direte allora se era la Banca che garantiva l'Italia, o l'Italia che garantiva la Banca. (Applausi a sinistra)

Voci a sinistra. A domani ! a domani!

PRESIDENTE. Dipende dall'oratore il riposarsi, ovvero continuare.

FERRARA. Desidero riposarmi un momento, la Camera deciderà.

PRESIDENTE. Se è per salute...

Voci a sinistra. A domani ! a domani!

(Moltissimi deputati escono)

La seduta è levata alle ore 5 a 40 minuti.

Ordine del giorno per la tornata di domani:

Seguito della discussione del progetto di legge relativo alla convenzione colla Banca Nazionale.


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3541 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DE SANCTIS

SOMMARIO. Atti diversi. = Seguita detta discussione dello schema di legge per l'approvazione di una convenzione colla Banca Nazionale - Discorso del deputato Ferrara contro la convenzione - Discorso del ministro per le finanze in risposta al medesimo - Spiegazioni personali e risposte al ministro del deputato Rattazzi - Repliche. = Presentazione delle relazioni stigli schemi di legge per la cessione al municipio di Genova dell'arsenale marittimo e per lo stanziamento di fondi pel compimento dell'arsenale della Spezia.

La seduta è aperta a mezzogiorno e 25 minati.

BERTEA. segretario, da lettura del processo verbale della tornata antecedente, il quale è approvato.

BACCHI, segretario, espone il sunto delle seguenti petizioni:

13,374. La Giunta municipale di Rolo, provincia di Reggio Emilia, nel rappresentare i gravi danni sofferti per la straordinaria inondazione avvenuta nel dicembre scorso, invoca a favore di quei proprietari e coloni l'esonero dal pagamento delle imposte erariali che non bastano a soddisfare i prodotti dell'annata;ii corso.

13,375.170 studenti di matematica della regia Università di Bologna rassegnano voti e istanze onde non venga effettuata la proposta soppressione del corso pratico di ingegneria.

13,376. La Giunta comunale di Trasacco; in provincia d'Abruzzo Ultra II, chiede siano incamerati a profitto della congregazione di carità del luogo i fondi tuttora posseduti dalla chiesa per poter provvedere ai poveri bisognosi, ed alle spese di culto strettamente necessario.

13,377.11 presidente della congregazione di carità di Siracusa domanda che gli impiegati di quell'opera pia siano equiparati, per quanto riflette all'imposta di ricchezza mobile, agli impiegati delle amministrazioni centrali, comunali e provinciali.

ATTI DIVERSI.

BUSI. Colla petizione 13,375 gli studenti dì matematica della regia Università di Bologna rassegnano al Parlamento voti ed istanza onde non venga effettuata la proposta soppressione del corso pratico di ingegneria.

Io non debbo e non posso addentrarmi per ora nel merito di codesta petizione; tanto meno intendo di apprezzare e discutere i motivi con cui si pretende giustificare la proposta soppressione.

Ma però credo di interpretare l'unanime voto, non solamente degli alunni dell'Università, ma bensì dei cittadini d'ogni ordine di Bologna, a cui sta sommamente a cuore la conservazione ed il decoro del patrio Ateneo, porgendo alla Camera una viva raccomandazione. E cioè di decretare l'urgenza di questa petizione, e di volerla inviare alla Commissione incaricata di riferire sui provvedimenti finanziari della pubblica istruzione.

(La Camera acconsente.)

VERGA. Odia petizione di n. 13,374 la Giunta municipale di Rolo, rappresentando i gravissimi danni che hanno sofferto quei proprietari e coloni dall'inondazione del dicembre scorso, invoca un provvedimento per l'esonero dall'imposta erariale.

Io prego la Camera a volere dichiarare d'urgenza questa petizione.

(È dichiarata d'urgenza.)

PRESIDENTE. Per motivi di salute l'onorevole Dannetta chiede un congedo di otto giorni; l'onorevole Bembo dì quindici.

Per privati affari l'onorevole De Cardenas domanda un congedo di sei giorni; l'onorevole Bertini di dodici.

(Questi congedi sono accordati.)

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DEL PROGETTO DI LEGGE

RELATIVO ALLA CONVENZIONE COLLA BANCA NAZIONALE

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge per una convenzione colla Banca Nazionale.

L'onorevole Ferrara ha facoltà di parlare.

FERRARA. Nelle attuali condizioni del corso forzato, nelle attuali nostre relazioni colla Banca Nazionale, la questione dell'indebito pagamento di tre o quattro milioni che siano, sia a titolo di interesse sopra d'un mutuo, sia a titolo di compenso per una malleveria, non sarebbe poi la più grave delle doglianze che a me sembra doversi muovere.

Tutte le volte che io incontro dei calcoli tendenti a mostrare i vantaggi e gli oneri della Banca Nazionale relativamente all'erario, considerato o come finanza o come paese, provo una grande sorpresa al vedere affatto dimenticato l'articolo di cui, secondo me, dovrebbesi principalmente tener conte, se si vogliono ben apprezzare queste relazioni: voglio dire l'articolo dei vantaggi speciali che la Banca ricava dalla privilegiata posizione in cui si trova, di poter operare con carta a corso forzato. In un certo senso questo generale silenzio sarebbe scusabile; perché codesti vantaggi sono uno di quei grossi effetti che non si vedono, avrebbe detto Bastiat, essendo coverti e oscurati dal bagliore di tante altre piccole cose che tutti vedono.

3542 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Pure io credo che, se non si comincia dal porre questa cifra in testa del conto, si rischia di far calcoli affatto erronei e di andare a risultati diametralmente opposti al vero.

Per farci una giusta idea della importanza di codesto elemento, è indispensabile entrare un momento sul terreno dei principii.

Il corso forzato giova pecuniariamente ad un Banco di emissione, liberandolo da quel freno che esso avrebbe, se i suoi biglietti si dovessero convertire in danaro al piacimento del portatore. Pigliamo l'esempio della nostra Banca. Essa nel 1866 poteva appena tenere una circolazione di non più che 117 milioni. Il ministro Scialoja ne volle 250 (che poi divennero 378) per conto dell'erario; ma al tempo medesimo il ministro Scialoja, proclamando in principio generale l'inconvertibilità dei biglietti, mise la Banca nella condizione di accrescere indefinitamente il suo debito verso del pubblico, emettendo biglietti che, confusi con quelli già emessi per conto dello Stato, divenivano pure inconvertibili. La Banca fu sollecita a profittarne. In meno di un mese, nel mese di giugno, quando ancora la consegna dei biglietti per conto dello Stato non era fatta, voi trovate che la sua circolazione da 117 milioni è già saltata a 322; alla fine del primo semestre si trova a 462; nel dicembre del 1867 è già a 686 milioni, e nel principio del 1868 si aggirava sugli 800 milioni, quando il Parlamento, accortosi dell'abisso verso cui correvamo, mise il suo veto, e stabilì un limite estremo di 750 milioni.

Lo stato attuale dunque è questo, come tante volte si è detto: Abbiamo una circolazione legale di 750 milioni, dei quali 378 sono per conto dello Stato, ed il rimanente è per conto della Banca. Dimodoché quella Banca, la quale nel 1866 stentava tanto a tenere un centinaio o poco più di un centinaio di milioni, in circolazione fiduciaria, dopo il 1 maggio 1866, ne può tenero comodamente 372.

È giusto per altro il dire che la Banca non si è pienamente giovata di questa facoltà conferitale dalla legge. In certi momenti può avere ecceduto, ma l'eccesso fu nel rapporto fra la circolazione e la riserva. Quanto alla somma assoluta di circolazione, io trovo che sempre si è tenuta al disotto del limite legale. Infatti, se prendete ad esaminare i conti settimanali della Banca, almeno da un anno in qua, troverete che in certi momenti la sua circolazione è bensì arrivata fino a 719 milioni, ma vi sono però delle epoche in cui è discesa a 710. Per avere una media ci sarebbero diversi metodi; ma, a non dilungarmi, io userò il metodo stesso che usa la Banca nei suoi resoconti annuali; prendo, cioè, gli estremi 749 e 710, e ne ricavo una circolazione media di 729 milioni. Da cui detratti i 378 per conto del Governo, resta una circolazione di 351 milione per contò proprio.

Ora sorgono qui tre questioni:

1° Questo stato di cose è un vantaggio per la Banca?

2° È dovuto al corso forzato?

3° Implica qualche danno che si soffra da qualcheduno?

Permettetemi di rispondere poche parole a queste tre domande.

Una circolazione di 351 milioni per una Banca, la quale vi arriva così di un salto, evidentemente è una circolazione che, in circostanze ordinarie si dichiarerebbe spropositata. Rappresenta tre volte e mezzo il suo capitale. Se fosse rimasta sotto il regime del biglietto fiduciario, evidentemente il prudentissimo e sagacissimo uomo che la dirige non si sarebbe così facilmente arrischiato ad andare sin là. Le sue operazioni in un tempo sì breve si sono quadruplicate, e voi vedete bene come non sarebbe possibile il credere che un progresso altrettanto rapido sia in così poco tempo avvenuto nello stato economico del nostro paese. Vi ha dunque un eccesso nella circolazione, un eccesso di 234 milioni comparativamente a ciò che si aveva nel 1866, prima cioè che si proclamasse il corso forzato.

Ora questa somma nominale, che si legge nella cifra della circolazione, e che di sua natura rappresenta operazioni di credito, è stata impegnata in operazioni lucrose.

Mettete che la Banca ne ricavi il solo 6 per cento di netto; ed eccovi, signori, un primo frutto di 14 milioni all'anno, di rendita netta, che il decreto del primo maggio 1866 le ha già procurato.

Ma a questo dovete aggiungere ancora le spese che la Banca, per virtù del corso forzato, risparmia, non dovendo tenersi pronta a rimborsare i suoi biglietti. E mi spiego.

Quando il biglietto è veramente fiduciario, quando il suo pagamento si fa a cassa aperta, l'amministratore di un Banco, per quanta prudenza e previdenza sappia spiegare, non può mai antivedere le domande di conversione; e quindi sarà sempre costretto, non solo a combattere la sua grossa e legale riserva, sopportando il carico dell'interesse, ma ancora a rifornire di tanto in tanto le casse con momentanee provviste di danaro, comperato all'occasione, e che perciò, come ben notava nel suo eccellente discorso l'onorevole Maurogonato, rappresenta una spesa di sconti, di trasporti, ecc.

Difficilmente io potrei calcolare a priori che cosa sia questa spesa, perché essa dipende da elementi poco prevedibili, dipende dall'abbondanza o scarsezza di metalli preziosi, dipende dall'andamento delle raccolte, dallo stato dei mercati, insomma da moltissime circostanze, le quali qualche volta si son volute supporre soggette a qualche legge di periodicità, ma è certo che da un'epoca all'altra presentano delle oscillazioni assai brusche.

3543 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Io, per parlarne in un modo che non lasci sospettare di volermi a bella posta allontanare dal vero, non andrò a rovistare i conti di Banchi stranieri; attingerò qualche cifra nei conti medesimi della nostra Banca. E dirò che, propriamente parlando, se da ciò che la Banca spese finora per questo titolo si volesse argomentare ciò che ora dovrebbe spendere, forse sarebbe necessario di calcolare a ragione composta del capitale e della circolazione. Ma mi è toccato di vedere che, calcolando così, si andrebbe forse ad una cifra spaventevole, almeno per alcuni anni. Quindi a levare di mezzo ogni difficoltà, credo che la Camera mi reputerà scrupolosamente discreto, se dico di voler calcolare unicamente sul semplice rapporto della circolazione.

Ora partendo da questa base, senza neanche rimontare ai primordi della Banca Nazionale, tenendomi solamente ai sei inni anteriori al corso forzato, si va ai risultati seguenti:

Prendendo la circolazione media di ognuno di questi anni, si ha un'unica media di circolazione in 79 milioni. Prendendo le spese di trasporto, di sconto ecc, che la Banca ha incontrato per far fronte alla continua conversione dei suoi biglietti, trovo una media di 459,000 lire. E quindi, data la circolazione di 351 milioni, il meno che la Banca potrebbe spendere, se fosse sotto il regime del biglietto fiduciario, sarebbe una somma annuale di 2,178,000 lire. I quali se fossimo sotto una circolazione libera, verrebbero sottratti dai suoi profitti lordi, ma operando a circolazione forzata, non è più necessario di sottrarli, vengono in aumento a quel reddito di 14 milioni che poco fa ho accennato, e che in conseguenza ascenderà a 16,200,000 lire.

E qui vi prego di tornare un momentino indietro. Finora la Banca aveva inoltre dal Tesoro un reddito di 5 milioni a titolo di interesse; e quindi aggiungendo anche quest'altra partita, siamo già a più che 21 milioni per anno.

So bene che secondo alcuni, da questa somma talune partite sarebbero da detrarre: la tassa di circolazione, la tassa di ricchezza mobile, le spese di fabbricazione dei biglietti ecc. Io potrei veramente replicare che quando ammette il sei per cento di utile netto, ho creduto di tener conto anche di queste piccole detrazioni. Ma non importa, non ci perdiamo in siffatte minuzie; leviamo pure un milione o due; ce ne rimane abbastanza; noi potremo con tutta sicurezza affermare, che questo scherzo, questa magica parola, corso forzato, rappresenta per la Banca un reddito annuo di 19 a 20 milioni!

Vedo bene che questo calcolo desta la meraviglia di qualchednno, e sarà dichiarato uno dei tanti sofismi che io son venuto oggi a portare in questa Camera. (Risa) Pure io v'insisto: e dico che è forza di riconoscerlo; è forza di confessare che la cosa dev'essere all'incirca nei termini che io vi dico. Perché questo calcolo è il solo che vi possa spiegare certi fatti e fenomeni, i quali senza di ciò resterebbero inesplicabili.

Vi spiega, ad esempio, come mai avvenga (non parlo del momento presente, che è tutto eccezionale, ma parlo dei momenti ordinari e normali) come mai avvenga che in Italia, quando tutti gli affari, tutte le imprese, tutte le società, tutti i valori di Borsa, scadono e perdono enormemente, solo le azioni della Banca Nazionale enormemente guadagnano.

Vi spiega perché il corso forzato, questo che tutti chiamano una delle principali calamità del nostro paese, sia divenuto nondimeno la pianta più difficile a sbarbicarsi dal suolo italiano; perché abbia sempre ai suoi comandi una stampa potente, la quale non mostra, è vero, l'impudenza di difenderlo a viso aperto, ma ha il coraggio codardo di dilaniare senza pietà chiunque osi di fare o dire la minima cosa contro 11 corso forzato. (Benissimo! Bravo !)

Vi spiega perché l'inchiesta parlamentare, il libro da cui doveva naturalmente e necessariamente scaturire la condanna del corso forzato, giaccia invece sotto la polvere del nostro archivio, dopo essere stato per altro il soggetto di tante invettive e calunnie.

Vi spiega ancora perché in Italia s'incontrino tante persone anche distinte, le quali, protestando sempre di voler presto tornare alla circolazione normale, inventano sempre tutti i sofismi, combinano sempre tutti i mezzi, perché alla circolazione normale mai non si torni.

E finalmente vi spiega perché in Italia oramai non vi è più un ministro di finanze possibile, se non sia un uomo, che apertamente professi, o coi suoi atti mostri di essere, occulto o palese partigiano del corso forzato. (Applausi a sinistra)

Vengo alla seconda questione. Quest'esuberanza di circolazione, unicamente favorevole agli interessi della Banca, è ella poi un effetto del corso forzato? Signori, non se ne può menomamente dubitare; imperocché vi possono essere opinioni diverse intorno a vari punti della teoria del credito e dei Banchi, ma vi è un punto su cui voi troverete unanime accordo, anche fra gli uomini pratici; cioè, che i Banchi d'emissione avrebbero di loro natura, ed hanno sempre mostrato, una grande tendenza a degenerare, e che la convertibilità dei biglietti, è l'unica forza capace di troncare ogni loro abuso se l'abuso sia nato, dì attraversarlo se sia ancora da nascere.

3544 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Senza entrare in ragionamenti teoretici, permettetemi solamente di citare pochissimi f atti che mettono in pienissima luce questa verità.

Il sistema di Law! Quel sistema fu un vero miracolo di scaltrezze bancarie. Ingegnoso in se stesso, accolto con entusiasmo, sostenuto da un Governo onnipotente, eppure non ebbe due anni di vita: perché? Perché al primo latore di biglietti che si presentò alla cassa del Banco, un secondo, un terzo, dieci, cento, mille, difilarono appresso a lui; e allora il Banco, sentendo l'impotenza di soddisfare alle loro domande, rivela la crisi; allora la stella del gran finanziere scozzese tramonta, lo mandano a morire povero e mezzo impazzito a Venezia.

Coloro che, come me nacquero nel principio di questo secolo, hanno tante volte potuto osservare come questo meccanismo della convertibilità dei biglietti serva mirabilmente, ed è l'unico che possa servire, a reprimere qualunque aberrazione dei Banchi. Non possono avere dimenticato il tempo in cui i Banchi degli Stati Uniti di America riuscivano così bene a mettere e tenere in circolazione somme equivalenti a 12 o 15 volte il loro capitale.

Tutti lo sanno: gli Americani, aiutati da una profluvio di biglietti di Banca, fabbricavano, come se potesse dipendere dalla volontà di un gruppo di uomini, improvvisare metropoli pari a Londra o Parigi; tagliavano strade come se il domani tutto l'uman genere dovesse anelare a formicolare sul loro territorio ancora mezzo inculto; speculavano sul raccolto del cotone, come se fosse stato possibile aumentarne all'infinito il prezzo. Chi poteva arrestarli in questa smania di progresso improvviso e fantastico? Lo poté la convertibilità dei biglietti, lo poté la gran crisi del 1837, dalla quale gli Americani impararono per la prima volta che tra il denaro effettivo e la carta che lo rappresenta vi ha precisamente la differenza che passa tra l'uomo vivo ed il suo ritratto.

Poi a Londra, a Parigi, a Madrid, a Copenaghen, a Stoccolma, a Pietroburgo, dappertutto lo stesso fatto, lo stesso fenomeno. Da principio le popolazioni, e, bisogna dirlo, anche gli economisti se ne mostrarono indispettiti; accusarono il credito e i banchi per non accusare se stessi; per un certo periodo il credito fu disconosciuto e perfino maledetto; ma finalmente si è riconosciuto che, in fin dei conti, le crisi bancarie non sono un salutare avvertimento, il quale, per essere sempre vivo ed efficace, non abbisogna di leggi, di artifizi, di monopoli, abbisogna soltanto di mantenere inviolabile il patto, che la promessa del pagamento a vista e al latore sarà sempre adempiuta, non sarà ridotta a vane parole. (Bene ! a sinistra)

Ora, mentre la lezione giovava tanto nell'interesse del pubblico, una conseguenza importantissima ne venne per l'amministrazione dei banchi. È inteso ormai che, se un banco vuol vivere una vita prospera, e rendersi benemerito al suo paese, la sua cura più assidua, e forse la più onerosa, dev'essere quella di tenersi sempre pronto alla conversione dei suoi biglietti, il che, per prima cosa, suppone che non ecceda nelle sue emissioni. Infatti la convertibilità naturalmente diviene come una valvola di sicurezza contro la tendenza espansiva dell'emissione. Il Banco, oltre di regolare le sue operazioni sulla solvibilità dei propri clienti, è costretto a regolarle sulle domande di rimborso. Appena che cada in un eccesso, un insolito ritorno dei biglietti alle casse del Banco lo avverte che ha già ecceduto; ed allora, mettendosi in guardia contro il pericolo di una irruzione sulle sue casse, rinunzia ad una parte dei suoi profitti, nega lo sconto, o accresce la meta dell'interesse, o in un modo qualunque ristringe la sua emissione. È così che la circolazione fiduciaria da se sola, senza bisogno di alcuno aiuto governativo, si tiene costantemente in un giusto rapporto colla quantità della carta che lo stato della società possa soffrire. Ma togliete ora questa specie di sanzione provvidenziale, cioè a dire introducete il corso forzato; ed allora le emissioni non avranno più freno; siccome la società, costretta a ritenere la carta insinuatavi a forza, non manda indietro un solo biglietto, così il Banco non opera più che sulla solvibilità dei suoi clienti; ogni minima guarentigia gli basta per moltiplicare i suoi affari: allora, se rimane pienamente libero, voi infallantemente lo vedrete largheggiare all'infinito, lo vedrete apparecchiare, anche alla sua insaputa e contro sua voglia, quella specie di eccitazione febbrile, che molto bene accennava l'altro giorno l'onorevole Maurogonato, quello spinto di speculazione avventata, che mai non mancò di farsi osservare negli splendidi periodi del corso forzato. Se poi gli si impongono dei limiti, allora si potrà, e non sempre, impedire qualche grande catastrofe, ma si dovrà necessariamente lasciare, al Banco una gran latitudine, una somma di operazioni abusivamente lucrose, che sotto il regime del corso libero non accadrebbero certamente.

Ora noi, colla nostra Banca, siamo precisamente a questo secondo caso della limitazione. L'abbiamo, è vero, arrestata nel più bello dei suoi progressi!; ma, come vedete, ciò non l'ha impedita di spingere sino a 729 milioni la sua circolazione, cifra nella quale evidentemente, palpabilmente, si legge l'eccesso di 234 milioni, che poco fa io vi diceva.

Mi rimane la terza questione.

Se questo è un vantaggio per la Banca, chi mai ne soffrirà?

Io la propongo quest'altra questione, unicamente perché sento il bisogno di dire due parole di risposta ad un'obbiezione che mi è toccato talvolta

3545 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

di sorprendere sulle labbra di uomini, ai quali non sono io che voglia negare il titolo di profondi finanzieri ed economisti.

Mi si è detto: concedendovi anche l'esattezza e la verità del vostro calcolo, concedendovi che la circolazione permessa alla Banca rappresenti quei 16 milioni di profitto che voi dite, chi avrebbe il diritto di dolersene? Questo profitto non gravita sopra alcuno; è il fratto di un'industria bancaria, non è un illecito guadagno, non è danaro rubato ad alcuno, non è effetto del monopolio.

Ora io comincio dai due milioni che diceva or ora risparmiati dalla Banca solo perché il corso forzato l'ha sciolto dalla necessità di tenere sempre rifornite le casse. E vi domando: in uno stato di cose normali, che cosa mai rappresentano questi due milioni? Sono evidentemente il costo d'un servizio pubblico; servono a far sì che il cittadino possa, senza ostacoli, senza ritardi, cambiare il suo biglietto in metallo prezioso, tostoché senta il bisogno di cambiarlo. Sa dunque la Banca riesce a risparmiarli, non vi riesce che coll'impedire al cittadino la soddisfazione di questo legittimo bisogne. E se così lo condanna a tenere, contro sua voglia, una carta che non gli è comoda o di cui diffida; se lo priva di un metallo che serve ai suoi affari, o è reclamato dalle sue paure; la Banca lo priva d'una utilità speciale, degrada un valore nelle sue mani, gli infligge una perdita.

Passo subito ai 14 milioni, che rappresenterebbero il fratto di quella massa d'operazioni, alla quale, mediante il corso forzato, la Banca può darsi, senza pericolo di cadere in fallita.

E anche qui sorge una analoga domanda. Una circolazione esuberante, una circolazione eccedente i bisogni della società, circolazione che non potrebbe durare, sé le cose fossero nella loro condizione normale, che significa mai? Io lo so, molti la riguardano come un fatto innocuo, anzi benefico; vi vedono un'elargazione di credito, un impulso dato all'attività economica del paese; ed è per ciò che tutte le volte in cui siasi introdotto in un paese il corso forzato, si sono poi manifestate delle grandi paure appena si è incominciato a parlare di toglierlo; è così che negli Stati Uniti d'America, nacque un partito apposito, il partito degli espansionisti, i quali professavano di volerlo eternare ed estendere all'infinito; è così che, anche fra noi erano cominciati a farsi vedere quelli che ho chiamati piagnoni della perturbazione; è così ancora, permetterai di ricordarlo, che ci è toccato di vedere un ministro, la cui memoria avrà un posto nella storia della finanze italiane (posto non invidiabile forse), che venne qui ed ebbe il coraggio di dirci sul viso, che, se egli avesse avuto nelle suo mani il danaro necessario per tornare alla circolazione normale, non si sarebbe deciso a proporre l'abolizione del corso forzato.

Voci. Chi? chi?

FERRARA. Ma queste stranezze hanno fatto ormai il loro tempo. Ora il corso forzato entra nel periodo...

Voci. Chi? chi è?

FERRARA. Come può non saperlo, signor ministro? Parlo dell'onorevole Cambray-Digny.

Dico, queste stranezze credo abbiano ormai fatto il loro tempo. Oggi che il corso forzato nel nostro paese entra nel periodo della sua canizie, credo che sarebbe difficile l'incontrare un nomo assennato il quale non sia capace di seguire il biglietto nella via che esso percorre. Vi sono, è vero, le prime mani che, ricevendolo dalla Banca, lo ricevono come manna piovuta dal cielo, come un valore che mai non si sarebbe loro accordato in imprestito sotto il regime del corso fiduciario; ma dopo di queste prime mani, troverete le seconde, le terze e le quarte, che sono unicamente condannate a subirlo come una calamità, che se lo veggono scapitare da un giorno all'altro, che pagano in travaglio accresciuto, in profitti diminuiti, in relazioni perdute, in prezzi alterati, pagano il fio della violenza che il legislatore ha esercitata sul pubblico. (Bravo) Certamente, se l'aggio si potesse rendere stabile, io sarei dei primi a credere che il corso forzato in tatto il ciclo che il biglietto percorre nella circolazione, in fin dei conti si potrebbe ridurre a un semplice spostamento di ricchezza, a una perdita subita da un lato, ma compensata da un guadagno ottenuto da altro lato. Ma per le oscillazioni continue che l'aggio è costretto a subire, il corso forzato si va sempre a risolvere in una massa di perdite occulte o palesi, difficili a calcolarsi, ma impossibili a disconoscersi.

Noi oramai lo abbiamo in tutta la sua maestà. Perché, dall'avere accordato un tal privilegio alla Banca Nazionale, si è creduto di doverlo anche accordare alla Banca Toscana ed al Banco di Napoli; e dall'averlo conceduto a questi maggiori istituti di credito, si è poi creduto di dover tollerare che una miriade di altri istituti minori, venisse liberamente ad assidersi a questo gran banchetto della circolazione cartacea ed inondasse il paese con tutte quelle carte, con le quali, tanto spiritosamente ed opportunamente l'onorevole Maurogonato proponeva ieri di fare il gabinetto patologico del corso forzato. Ed oggi lo stato delle cose si è questo: perché una volta il nostro paese ebbe bisogno di 378 milioni, eccolo condannato a subire mille e più milioni di carta a corso forzato, alla quale è permesso di regnare sovrana su tutti i mercati. Ora, io dico, per modo d'intenderci, nel corso di un anno questa carta passa per migliaia e migliaia di mani; nella sua trasmissione incontra, quando un aggio palese, quando uno scapito occulto, quando un prezzo alterato, e sempre mutazioni improvvise, delusioni sanguinose. Sommato tutto, mettiamo che, compensando le perdite coi profitti, la perdita definitiva per la società non rappresenti che un dieci per cento nel corso dell'anno.

3546 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

La supposizione mi sembra abbastanza discreta. Ebbene, voi avrete un onere, addossato al paese, che, volendolo tradurre in cifra materiale, per lo meno vi rappresenta un danno complessivo di cento milioni all'anno.

Ma che bisogno ho io di ricorrere a cifre, le quali probabilmente ad un calcolatore, come l'onorevole ministro delle finanze, darebbero una facile vittoria sopra di me? Non ne ho alcun bisogno, poiché niuno come l'onorevole ministro ha così bene definito che voglia dire il corso forzoso, considerandolo da questo lato. Permettetemi di leggere le sue stesse parole: «difficoltà di cambio coll'estero, discredito di tutti i valori nazionali, continuo ed ingiusto spostamento di proprietà e di valori, alterazione fittizia dei prezzi, instabili vicende dell'aggio, contrattazioni allentate e difficoltate, operosità arrestata dei capitali, dei baratti e dei lavori e finalmente, egli ha soggiunto queste solenni e serissime parole: sconvolta la ricchezza che già esiste, ed m parte anche impedita la produzione della ricchezza avvenire, il corso forzoso è uno stato permanente di crisi.» (Movimento)

MINISTRO PER LE FINANZE. È verissimo!

FERRARA. Vedete che io scelgo con attenzione e con buonissima fede le mie citazioni; ma, davanti ad una descrizione così viva, così vera e così elegante, voi mi domanderete ancora da dove vengano e su chi ricadano le perdite inerenti ai profitti che la Banca ricava dal corso forzato? Ve lo dirò nullameno, se mel domandate, in due parole. I lucri che il corso forzato procura alle Banca, vengono da quella medesima scaturigine da cui nel medio evo venivano i profitti dei principi che alteravano le monete; vengono da quella medesima origine da cui, sotto il regime delle corporazioni, venivano le ricchezze accumulate in poche mani, perché involate alla moltitudine degli operai; vengono da quella medesima origine a cui attingevano, fino a pochi anni addietro, i favoriti del protezionismo doganale; vengono, in una parola, dal seno della società, dagli uomini che gemono silenziosamente lavorando, vengono dalla massa dei cittadini, epperciò sono un danno dello Stato. (Benissimo!) Non mi si parli adunque d'industria bancaria. Se questa è un'industria, gli economisti imparino da ora in poi a mettere fra le industrie umane la falsificazione delle monete. (Sene!) Non mi si parli di frutti legittimi di una industria; qui non avvi che il monopolio, il brutto, l'ingiusto monopolio, che tende a rendere i ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. (Bravo! Bene!)

E per verità, signori, io non so a che cosa mai la parola monopolio si potrebbe d'ora in poi applicare, se mi si dice che monopolio non è il corso forzato, come ci è toccato sentire in questa Camera stessa. E se è un monopolio, la conseguenza sarà indeclinabile: l'individuo o l'ente che se ne giova (nel nostro caso a principalmente la Banca Nazionale)

fa un illecito guadagno, al quale non solamente risponde altrettanta perdita sociale, ma che è appena una piccola frazione della massa di perdite e sofferenze occulte, che la società è costretta a subire, prima di potere raggranellare quella cifra visibile la quale io, nel caso nostro, mi son contentato d'immaginare in una somma di soli 100 milioni per anno.

Tale, signori, è lo stato delle cose che l'onorevole Sella trovò quando succedette all'amministrazione del conte Cambray-Digny, sotto la quale mi si concederà che nulla si fece per migliorarlo, seppure non si vorrà avere la buona fede di dire che fu tentato un enorme peggioramento.

Passiamo ora a vedere un poco quale sarebbe la riforma possibile, ed in qual modo l'onorevole Sella, dal canto suo, intenderebbe avviarla.

Mettiamo in termini netti e precisi il problema.

Rimedio radicale e diretto, come ognun vede, sarebbe la pronta restituzione al pubblico, e per esso alla Banca, di tutto il danaro occorrente a soddisfare il valore della carta che l'erario ha ricevuta. Allora il rimanente della carta resterebbe, o non resterebbe, a condizioni puramente fiduciarie; sarebbe una carta del cui pagamento la Banca penserebbe a rispondere; in altri termini, il corso forzato sarebbe abolito; e con la sua abolizione, da un lato cesserebbe per noi l'onere di un interesse, dall'altro lato avremmo troncata tutta quella circolazione ridondante, di cui la Banca o i banchi oggi profittano a spese del pubblico.

Ma il danaro a ciò necessario ci manca; e quando esso manca ad una nazione, che debba destinarlo a qualcuno de' suoi bisogni, la nazione, se non vuole lasciare insoddisfatto il bisogno, altro espediente non ha, che quello di ricorrere ad un imprestito, sobbarcarsi a pagarne un interesse, accrescere d'altrettanto il suo bilancio passivo, aggravando di altrettanto i pesi de' contribuenti.

Messa così la logica posizione dell'argomento, non poteva lasciare equivoco.

L'onorevole Sella era chiamato a decidersi primieramente tra l'imprestito pronto e la conservazione del corso forzato, considerandoli come i due soli partiti possibili. Poi doveva decidere se mai non vi fosse qualche mezzo per modificare lo stato attuale in maniera, che le due condizioni onerose si potessero entrambe evitare.

Quanto all'imprestito, egli lo respinse decisamente. Né sono io chi possa dolersene, perché l'ho combattuto io pure altra volta, quando, in questa Camera e fuori, si voleva ad ogni costo, anche a costo di decretarlo in via coattiva. Quindi io e il signor ministro siamo pienamente d'accordo in questa risoluzione; differiamo soltanto intorno ai motivi sui quali questa nostra comune opinione reciprocamente si appoggia. Ed è bene notare la differenza per le conseguenze che ne discendono.

3547 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Il ministro è mosso dalla gravita (e badiamo, lo dico una volta per sempre, intendo parlare dei tempi anteriori ali' epoca attuale) dell'interesse, che l'imprestito implicherebbe, se noi volessimo procurarci, per via d'imprestato diretto, quei 300, 400 o 500 milioni che ci occorrerebbero, su cui dovremmo avere il coraggio di pagare un interesse di 30 o 40 milioni all'anno.

Ma io mi permetto di credere che questa non sarebbe stata una ragione sufficiente. In primo luogo, perché, in tempi normali, la gravita degli interessi era per noi un inconveniente temporaneo, legato all'attuale disequilibrio delle finanze, all'attuale depressione del nostro credito pubblico, dimodoché cento maniere si potevano trovare in appresso di attenuarlo, tostochà ci fosse riuscito di pareggiare il nostro bilancio e rilevare il nostro credito pubblico. Ma in secondo luogo, e principalmente, perché a me pare, se non m'inganno, che la base logica da cui parte il ministro, non era perfettamente esatta. Egli considerava gli oneri dell'imprestito per quello che sono in sé stessi; ma dimenticava di paragonarli coi danni del corso forzato, o se li ebbe presenti, non si mostrava ben persuaso della lor gravita, sebbene li avesse così bene descritti. Ma coloro che, come me, vedono nel regime attuale del corso forzato un grosso ed indegno tributo che il pubblico paga alla Banca, ed inoltre sanno prevedere e calcolare le perdite occulte che la società ne risente, costoro non possono dichiararsi appagati della ragione dall'onorevole ministro assegnata. Crederanno invece che 30 o 40 milioni per anno si possano bene sopportare, qualora si tratti di risparmiare quel centinaio di milioni che per lo meno lo stato presente ci costa.

Io dunque metterei la questione del prestito sotto un altro punto di vista. Se niente di meglio noi non abbiamo da poter fare, avrei accettato l'imprestito, persuaso che, qualunque fosse stato l'interesse, era sempre un minor male; ma io respingo decisamente l'imprestito, perché sono d'avviso che mezzi vi sarebbero di migliorare lo statu quo, in modo che sarebbe allora una vera follia il rassegnarci ad affrontare il peso d'un imprestito nuovo.

Partendo da un tal pensiero, si sente per prima cosa il bisogno di dare una forte scossa allo stato attuale. Il che naturalmente va fatto in due maniere: migliorando da un lato le condizioni pecuniarie del corso forzato, dall'altro apparecchiando quel complesso di mezzi che lascino sperare di poter giungere alla abolizione definitiva di esso, quanto più presto si possa.

Ma giusto perché i danni del corso forzato non erano, a quanto pare, un'idea di cui principalmente l'onorevole ministro si preoccupasse, gioito per ciò egli ha fatto precisamente l'opposto. Secondo me, il suo sistema consiste nel ribadire lo statu quo, rendendolo strettamente contrattuale; e intanto architettare un sistema, il quale riuscirà efficacissimo per assicurare al corso forzato una durata di cui è impossibile prevedere la fine.

Tale è l'impressione che lascia in me il suo progetto; e prego l'onorevole ministro a non chiamarsene offeso, e voler tollerare che io gli dica i motivi 'di questa mia opinione.

Circa a condizioni pecuniarie, è facile vedere che la nuova convenzione non le modifica punto.

Non altera la cifra della circolazione, per la parte che costituisce il profitto della Banca. Infatti, è vero che nominalmente la circolazione salirebbe da 750 ad 800 milioni; ma la convenzione è congegnata in modo che di questa cifra 450 milioni sarebbero per conto dello Stato, e ne resterebbero per la Banca soltanto 350. È la stessa cosa dei 351 di cui abbiamo parlato in addietro. L'eccedenza adunque sarà sempre quella dei 234 milioni, sui quali abbiamo già calcolato un profitto di 14 milioni.

Per conseguenza i 2 milioni risparmiati sulle spese necessarie alla continua manutenzione della riserva che debba far fronte alla conversione dei biglietti, rimangono intatti.

Il solo elemento su cui ci si presenta un risparmio è quello dell'interesse; il quale da 5 milioni discenderebbe a 3. Voi sapete, signori, quanto si è detto, per magnificare questo vantaggio! A me pare che, nel lodarlo come si è fatto, si abbia avuta sempre la cura di tenere nell'ombra un nuovo favore che noi accordiamo alla Banca, e che a un dipresso compensa questi 2 milioni risparmiati dall'altra parte.

Infatti oggidì la Banca, sopra una circolazione legalmente estensibile a 750 milioni, è tenuta a mantenere una riserva, eguale ad un terzo di questa somma meno i 278 milioni dell'operazione Scialoja; cioè a dire un terzo di 472 milioni, cioè a dire una riserva di 157 milioni.

La nuova convenzione che cosa fa? Da un lato innalza a 800 milioni la circolazione, il che, secondo la legislazione vigente, farebbe ascendere a 522 milioni la somma soggetta a riserva, ed il terzo di questa somma sarebbe 174 milioni; per conseguenza, secondo la legge attuale, la Banca dovrebbe tenere 174 milioni in riserva. Ma la nuova convenzione, affrettandosi a derogare subito a questa parte della legge, vi dice che la somma soggetta a riserva si limiterà a 300 milioni, cioè sarebbe di soli 100 milioni. E qui non sono d'accordo con la cifra accennata dall'onorevole Maurogonato, secondo il quale la riserva obbligatoria per la Banca sarebbe di 117 milioni...

MAUROGONATO. È così, moltiplichi per tre.

FERRARA. Prendo l'articolo della convenzione...

MAUROGONATO. Fu corretto.

FERRARA. «La Banca Nazionale è dispensata dall'obbligo di tenere nelle sue casse la riserva metallica per l'ammontare dei mutui indicati nell'articolo precedente ascendente in complesso a 500 milioni.»

3548 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Quando voi da 800 milioni ne levate 500 e li rendete liberi di riserva, la parte soggetta a riserva non potendo essere che 300 milioni, la riserva sarà di soli 100 milioni.

MAUROGONATO. È un errore di stampa e fa corretto.

SELLA, ministro per le finanze. Legga l'errata-corrige. È stata distribuita.

FERRARA. Ah! non ho letto l'errata corrige, e non mi venne in pensiero che una modificazione così importante si dovesse cercare in mezzo alle correzioni di stampa.

Ad ogni modo il mio ragionamento era questo, che, mentre la Banca ci lasciava a titolo d'interesse 2 milioni, essa veniva a risparmiare, per la riserva diminuita, un milione e mezzo all'incirca, precisamente un milione e 440 mila lire.

Se ora, in grazia dell'errata-corrige, la riserva invece di 100 milioni deve essere di 117, la differenza sarà minore, vuol dire che il mio calcolo deve essere diminuito di qualche cosa, di un mezzo milione forse. (È un'inezia! a sinistra)

Raccogliete ora le partite. Avremo:

1° Profitto sulla circolazione esuberante, 14 milioni;

2° Spesa risparmiata sulla manutenzione dei contanti in cassa per far fronte alle domande di conversione, 2 milioni;

3° Interessi da pagarsi alla Banca, 3 milioni;

4° Interessi sulla riserva risparmiati (io metteva 1,440,000 lire, sarà qualcosa di meno). Ma in totale, io avrei avuto 20,440,000.

Però, in quanto alle partite minori, non abbiamo nulla a detrarre. Perché l'onorevole ministro, colla sua buona fede, si affrettò a dichiarare egli stesso che tutte quelle piccole partite si debbono considerare come mille, in quanto che l'articolo 8 della convenzione assicura alla Banca da un altro lato un profitto, a un, di presso analogo, dandole la facoltà di non liquidare il conto corrente coll'erario che di semestre in semestre,abbandonandole cosi l'interesse delle somme incassate durante il semestre.

Siamo adunque sempre nello stesso caso. La nuova convenzione conserva alla Banca tutto l'utile attuale del corso forzato; anzi lo consolida sempre meglio, rendendolo strettamente contrattuale; le conserva il suo bel reddito d'una ventina di milioni all'anno.

Più che un oratore si è affaticato a presentarci come un argomento in favore della convenzione il fatto che essa non altera punto lo stata quo; ma, signori, è dello statu quo che mi lagno; è lo stata quo che sì doveva alterare; è questa ventina di milioni che bisognava negarle.

Se non che si può sospettare, anzi si è detto che per la nuova convenzione la Banca verrebbe sottoposta a sacrifizi nuovi.

E siccome, in tal caso, sarebbe bea giusto il tenersene conto, andiamo a vedere come stanno le cose.

Dove mal si potrebbe trovare il sacrificio? Si potrebbe principalmente supporto nell'operazione di 50 milioni in oro, che la nuova convenzione fingerebbe di farci imprestare dalla Banca. Ma quei 50 milioni sono tratti dalla riserva metallica, la quale dovrebbe la Banca tenere a qualsiasi costo nelle sue casse, quando venisse autorizzata a portare a 800 milioni la somma dei suoi biglietti. Propriamente parlando, i 50 milioni non sono neanche proprietà della Banca; appartengono al pubblico, appartengono ai cittadini che hanno nelle loro mani non 50 soltanto, ma tre volte tanto, 150 milioni in biglietti, i quali un giorno, appena che voi apriate il finestrino delle casse, immediatamente acquisteranno il diritto di farsi pagare in una somma di cui i 50 milioni non sono che un terzo, e due volte tanto ne resteranno ancora dovuti dalla Banca al pubblico. Ma non importa: sia pure di chi si voglia la proprietà dei 50 milioni: quello che qui mi preme di assodare si è che, nel prestarli al Governo, la Banca non fa il menomo sforzo, non si priva di alcun valore che già le fosse fruttifero, non va sul mercato a comperare danaro. Di che dunque si tratta? Si tratta di un semplice spostamento materiale. Tutta l'operazione si riduce a porre la somma in deposito presso le casse del Tesoro, invece di lasciarla nelle casse della Banca. Se dunque qualcuno si priva di qualche cosa, sarà sempre il povero pubblico, qualora bensì il pubblico creda che un biglietto a corso forzato sia meno garantito da una riserva di cui risponda il Tesoro, anziché dalla stessa riserva che si supponga inerte nelle casse della Banca e di cui rispondano i suoi cassieri.

Dicasi pure che intanto l'operazione gioverà alle finanze facendole risparmiare, per una sola volta, quell'aggio che dovrebbe pagare per procurarsi 50 milioni in oro.

Io lo concedo, ma si conceda a me pure che a questo profitto incidentale della finanza non corrisponde alcun sacrificio da parte della Banca. Dimodoché quest'aggio che la finanza risparmia, o non cade sopra di alcuno, e questo caso si verificherà qualora il pubblico accolga l'operazione con piena fiducia, e non provochi una recrudescenza d'aggio sull'oro; o si converte, come è possibile, in aggio accresciuto, e ricadrà sotto altra forma sempre sopra del pubblico, il quale soffrirà la perdita inerente all'aggio. In tutti i casi, la Banca se ne lava le mani, e non fa alcun sacrifizio, (Precisamente così! a sinistra)

Il sacrifizio dunque lo potremo forse trovare nell'altro imprestito di 72 milioni in biglietti?

Io già mi dispenso dal dimostrare una cosa oramai detta e ridetta, cioè che i 72 milioni si riducono soltanto a 22.

3549 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Lo stesso ministro delle finanze lo ha detto: «Se da un lato la Banca ci presta 72 milioni, e dall'altro ricevo l'autorizzazione di aumentare di 50 milioni la sua circolazione, per quest'ultima somma non ha altro aggravio, fuorché quello di fabbricare i biglietti.» Abbiamo dunque 22 milioni di sacrificio; ma in qual senso?

L'onorevole Pianciani, che ieri ho citato in proposito, ha detto in un luogo che, per questi 22 milioni, la Banca deve comprarli sul mercato per consegnarli allo Stato; in altro luogo ha detto che deve prelevarli dal suo capitale. Mi permetto, appunto perché queste parole sono sottoscritte dal suo nome, mi permetto di fargli osservare che queste parole per lo meno possono dar luogo ad equivoci. Intendiamoci: perché la Banca faccia un tal sacrificio, non è nuoto necessario che si procuri il danaro sulla piazza, molto meno che diminuisca di un obolo il suo capitale: solamente deve diminuire di altrettanto la somma delle sue emissioni. Saranno tante operazioni di meno che possa fare per conto proprio; ma non sarà mai il caso né di cercare danaro in piazza, né, e molto meno, di sottrarre un soldo dal suo capitale.

In massima generale, trovo più giusto il concetto dell'onorevole ministro il quale, vedendovi una diminuzione di affari, ne ha inferito una diminuzione di profitti, e l'ha calcolata alla ragione del 5 o 6 per cento, attribuendo così alla Banca un sacrificio di poco più che un milione per anno.

Se non che la massima medesima del ministro al caso concreto non è applicabile, imperocché il suo ragionamento supporrebbe due premesse, le quali certamente non gli si possono menar buone.

Suppone in primo luogo che per la Banca il tenere 372 milioni in circolazione sia già un diritto acquisito, sacro, intangibile, di modo che qualunque operazione noi facessimo, dalla quale risulti che si offenda questa specie di suo diritto feudale, noi saremmo costretti ad indennizzarla. Ma no, o signori, questo principio proverebbe troppo; sarebbe un vincolo che voi certamente non siete disposti ad accettare; sarebbe, in altri termini, un abdicare la libera facoltà che noi abbiamo, noi legislatori, di limitare la circolazione della Banca Nazionale secondo che i bisogni del paese richiedano. Ma inoltre l'onorevole ministro suppone implicitamente, in linea di fatto, che la Banca davvero si sia giovata di tutta la latitudine che alla sua circolazione le lasciava la legge. Ora noi abbiamo veduto che la media della sua circolazione venne sempre tenuta al disotto del limite concesso. Quale sia la causa di questo fatto, che cosa significhi, sarebbe lungo e inopportuno a discutersi qui; ma è un fatto che la media della sua circolazione è stata sempre al disotto del limite, ed appunto al disotto per una ventina di milioni, appunto per quella ventina di milioni di cui ora la nuova convenzione fingerebbe di volerla privare.

Voi dunque vedete che, se la Banca ha mostrato tanta docilità a lasciarsene privare, egli è stato perché sapeva bene che nulla ci concedeva di nuovo, che a nessun sacrifizio nuovo si voleva sottoporla. (Verissimo I a sinistra)

Da nessun lato, quindi, mi è possibile di scoprire la minima cifra che rappresenti un suo sacrifizio, che si debba- portare a suo credito. Io lo ripeto: pecuniariamente, la nuova convenzione è affatto innocua al& Banca. Malgrado l'apparente diminuzione dell'interesse, le partite del conto, colla differenza di qualche mezzo milione, si bilanciano sempre. Si conferma sempre e si consolida quel tributo di una ventina di milioni annuali, che il decreto del 1° maggio 1866 le diede facoltà di levare sul Tesoro e sul pubblico italiano.

Veniamo ora ad esaminare il secondo aspetto della convenzione, il modo, cioè, in cui essa apparecchia, per un'epoca la meno lontana possibile, sia la soppressione totale del corso forzato, sia la diminuzione dei danni che ne risente il paese..

Ad onore del vero, mi sia lecito di riconoscere ed encomiare il concetto fondamentale dell'onorevole Ministro. Assegnare a questo scopo il prodotto dei beni ecclesiastici che rimangono ancora a vendersi, questa, secondo me, era la miglior cosa che si poteva immaginare.

Qualcuno ha creduto vedervi un nuovo vantaggio alla Banca; sia pure; ma non sarà men vero che finanziariamente questo sarebbe il più economico imprestito che ci sia dato di fare.

I beni dell'asse ecclesiastico, affidati a quel pessimo amministratore che si chiama demanio, danno sempre un frutto minore di quello che possono dare in mano all'industria privata; e quindi noi, abbandonandone la rendita, convertendoli in capitale, avremo procurato al paese un imprestito a buone condizioni.

Dall'altro lato, la guarentigia materiale, questa specie di ipoteca sulla quale verrebbe appoggiata la carta da estinguersi, è il miglior modo di troncare anticipatamente o combattere le 'cause naturali ed artificiali dell'aggio. Da tutti gli aspetti, consacrare solennemente per legge questa esclusiva destinazione dei beni ecclesiastici, secondo me, è pensiero degno di pienissima adesione.

Non saprei egualmente pronunziarmi intorno al complemento che l'onorevole ministro intende aggiungervi, cioè il meccanismo delle obbligazioni.

Voi sapete in che esso consista. Invece di procurarci sulla piazza una somma, per esempio, di 500 milioni, la nuova convenzione affiderebbe alla Banca una somma nominalmente maggiore, in obbligazioni ecclesiastiche; le darebbe l'incarico di venirle vendendo ad un prezzo fisso di 85 per cento;

3550 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

e, a misura che si vendano, la Banca sarebbe costretta a ritirare altrettanta carta a corso coatto; dimodoché alla fine, con il netto ricavo dalle obbligazioni, si troverebbe saldato il debito della carta vecchia e nuova; e sarebbe allora che verrebbe ritolta alla Banca la facoltà di tenere in circolazione carta per conto proprio.

Ora, se non m'inganno, questo metodo, considerato come modo d'imprestito, sarà indifferente, inutile; considerato come strumento finanziario, sarà pericoloso, e più probabilmente riescirà contraddittorio allo scopo cui mira.

Come modo d'imprestito, l'onorevole ministro vi trova economia d'interesse e celerità d'operazione.

Quanto all'economia, mi permetto di dirgli che io la credo immaginata sopra un falso supposto. Quasi quasi l'onorevole ministro mi farebbe credere che egli partecipi all'illusione di coloro i quali suppongono che nel mondo economico l'impiego dei capitali non vada soggetto ad una legge suprema di perfetto equilibrio.

È impossibile che i capitalisti si ingannino così grossamente da voler prestare, sotto una data forma, il proprio danaro a un interesse minore di quello che ne ricaverebbero prestandolo in altra forma. Gli uomini che frequentano la Borsa sono così felici conteggiatoti, che il più profondo matematico si struggerebbe invano nel desiderio di trovarli in fallo per un sol centesimo., Delle volte, è vero, avviene che, in apparenza, stando ai listini della Borsa, un titolo sembri a miglior mercato di un altro; ma questo è perché il listino della Borsa nota solo la parte appariscente dell'interesse, e tace la parte occulta. È egli necessario un esempio? Diamolo pure.

Un giorno, per esempio, il listino della Borsa vi potrà segnare le obbligazioni ecclesiastiche all'85 e la rendita al 63. A vedere questi due numeri, qualcuno crederà che le obbligazioni si comprino alla ragione di-100 per 6, mentre la rendita si compra' alla ragione di 100 per 8. Ma i borsieri avran calcolato che le obbligazioni, oltre all'interesse apparente del 6 per cento, promettono 15 lire d'interesse finale; avran calcolato che bisogna attendere un certo tempo, mettiamo 8 anni, per poter rivendere al prezzo di 100 questo titolo comprato al prezzo di 85; avran calcolato che 15 lire sopra 85, per un periodo di 8 anni, è lo stesso che il 2 per cento sino da principio; avranno conchiuso che, se la rendita fruttante 8 si vende a 63, le obbligazioni, fruttanti 6 in apparenza, frutterebbero in sostanza anche 8 comperandole ad 85. Così questi due corsi, tanto disparati, quando si analizzino bene le circostanze, si troveranno perfettamente identici.

Ora questa è regola ordinaria, costante, indeclinabile in tutti gli affari di Borsa ed in tutti i tempi.

Quindi mi è impossibile il persuadermi del pensiero che campeggia nell'argomentazione dell'onorevole ministro, cioè che, operando con obbligazioni ecclesiastiche anziché con qualunque altra forma d'imprestito, si possa trovare un'economia d'interessi. Se un giorno verrà, nel quale il prezzo a cui si vendono le obbligazioni si risolva in un interesse del 6 per cento, allora una delle due cose dovete necessariamente aspettarvi: o che l'emissione della rendita costi l'eguale interesse del 6 per cento; o che, costando essa di più, le obbligazioni ecclesiastiche, tutto ben calcolato (vogliate notare Godeste parole), costino anche esse di più. Il signor ministro può aver avuto ragione quando ci diceva che in questo momento l'emissione della rendita costerebbe il 10 per cento, ed invece, procedendo colla vendita delle obbligazioni ad 85, si verrebbe a fare un imprestato al 6 per cento. Ma la questione a tutt'altra; la questione è di sapere se, in un momento nel quale voi potete, emettendo rendita, contrarre un imprestito al 10 per cento, vi sia possibile, in un'altra forma, con un altro titolo, fare un imprestito che vi riesca al sei. Questo è impossibile, lo si può asserire a priori; ma lo stesso ministro ve lo dice, perocché egli, avveduto come è, non ha affermato che oggi stesso, quando l'imprestito per via di emissione riesce alla ragione del 10 per cento, possa collocare alla ragione del 6 le obbligazioni ecclesiastiche. Egli dice che ciò potrà avvenire quando il corso della rendita sarà cresciuto, e per conseguenza l'interesse sarà diminuito. Dunque egli implicitamente confessa che bisogna attendere il momento dell'equilibrio; e ciò evidentemente vuol dire che in uno stesso momento, se si può con una specie di titoli operare il prestito ad un dato interesse, si potrà con un altro titolo operare allo stesso prezzo, tutto ben calcolato.

Se non è sperabile l'economia, vediamo almeno se si possa scoprire la celerità dell'operazione.

Da che mai si vuole che venga la maggiore celerità, operando per mezzo delle obbligazioni ecclesiastiche? Viene, mi si dice, da ciò che il credito pubblico si rialzerà prontamente. Io lo credo bene: se l'onorevole ministro avrà la fortuna, che io gli auguro di tutto cuore, di arrivare presto al pareggio del bilancio, il credito dello Stato italiano non può mancare di rilevarsi e di mettersi a livello con quello degli altri paesi. Ma, quando il credito si rialzi, si rialzerà indistintamente per tutti i titoli del credito pubblico. Voi potrete, in tal caso, servirvi indifferentemente dell'uno o dell'altro. L'operazione si troverà accelerata, non già per virtù propria del titolo chiamato obbligazioni, non già perché il ministro si sia risoluto ad operare per mezzo di esse, invece che colla emissione di rendita, ma solamente perché egli avrà avuto la gloria, ed a noi avrà procurato la sorte, di equilibrare la nostra finanza.

Mi si dice che le obbligazioni ecclesiastiche, in parità di circostanze, avranno la preferenza per motivi propri. Ma perché mai tanta predilezione?

3551 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Di che cosa volete che s'innamori il capitale? Della parola, della carta, dei fregi, dei caratteri? Il capitale non conosce che un solo dio: interesse e vantaggio. Ma no, mi si dice, le obbligazioni ecclesiastiche saranno sempre preferite perché hanno lo speciale destino di servire alla compra dei beni demaniali (Ahi Ecco! a destra): «perché (io cito letteralmente) l'amore della proprietà fondiaria e dell'industria agraria si riaccendono in ogni parte d'Italia, perché la grande e la piccola ricchezza si versano a gara sul terreno, ove l'una cerca solido impiego ai grossi capitali e l'altra cerca un sicuro rifugio, ecc., ecc.»

Ma voi, signori, vedete che qui la poesia comincia a prendere un po' il posto della finanza. Si vuol dunque supporre che, per fare omaggio ad un dato piano finanziario, l'Italia in uno di questi giorni si troverà tutta ridotta ad una provincia, ad un ceto di persone, e direi quasi, ad una sola famiglia? No. In ogni tempo ed in ogni società numerosa, se vi ha l'amore della terra e della coltivazione, voi troverete al medesimo istante l'amore della proprietà sciolta e circolante. In Italia, per esempio, oggi, se vi volgete da un lato, troverete a Genova la passione delle costruzioni navali; da un altro lato, a Torino, quella degli affari bancari; a Milano quella degli imprestiti pubblici; altrove quella delle ferrovie e dei canali; in altra parte quella dei giuochi di Borsa: son tante forze che, in una società numerosa, necessariamente agiscono in sensi diversi sull'impiego dei capitali, agiscono contrastandosi, elidendosi insieme; e la risultante del loro contrasto sarà che mai nessun modo d'impiego potrà ottenere quella predilezione sistematica e generale che qui si vorrebbe supporre.

Del resto supponiamo che sia così; ed allora eccovi in faccia ad un fatale dilemma.

Tutti questi vantaggi delle obbligazioni ecclesiastiche, o sono, o non sono già calcolati nel vostro prezzo di 85 per cento. Se lo sono, finiranno di essere vantaggi e motivi di preferenza.

Se non li avete messi in calcolo, allora è evidente che il vostro prezzo è di pura apparenza; voi vi sa rote illusi; avrete creduto di contrarre un imprestito a condizioni più miti di quelle che realmente avete subite. In altri termini, la vantata celerità dell'operazione non sarà che un sacrifizio di più. Ma, quando si tratta di far sacrifìzi, noi possiamo farne ad ogni momento e sotto ogni forma. Non vi sarà punto bisogno di ricorrere a questo titolo intermedio, chiamato obbligaeione ecclesiastica.

Tutto ciò per altro non tende a provare, se non che il meccanismo adottato dall'onorevole ministro sarebbe inutile. Ma a me preme ancora di aggiungere che, agli occhi miei, è nocevole, come strumento della finanza.

Vi farò innanzitutto la confessione che, in generale, io nutro una profonda antipatia alla creazione di cotesti titoli intermedi...

SELLA, ministro per le finanze. (A bassa voce) Ne critichi Rattazzi.

FERRARA. Non ho intesa la interruzione.

Dunque io nutro una profonda antipatia alla creazione di questi titoli intermedi, i quali mi sembrano molto pericolosi in finanza, e mi rassomigliano molto a quei mandati provvisori, coll'aiuto dei quali fu sempre possibile ad un ministro di finanze il calpestare ogni legge di contabilità e di bilancio. Sono titoli che, in un paese come il nostro, se si lasciano in potere del Tesoro, per lo meno diventano un potente narcotico che addormenta un ministro di finanze, lo sfibra, lo rende indolente; e non solo attraversano l'opera del pareggio, ma conducono anche direttamente a trascurare, dissipare, e sventuratamente anche a corrompere. È questa la storia di tutti i tempi. Così operavano nell'antichità i tesori metallici accumulati, così operano nei moderni tempi tutte le forme di debito galleggiante; e queste medesime obbligazioni delle quali ora discutiamo, voi sapete con quanta facilità si sono divorate, e non sapete ancora bene a quali usi servirono. (Bene! a sinistra)

Ma io riconosco che il pericolo rimane attenuato di molto, quando questi valori, sottratti alla libera disponibilità di un ministro, debbono -restare in deposito, con destino speciale, presso un istituto pubblico, che qui sarebbe la Banca Nazionale. Se non che, mi pare che in tal caso la navicella dello Stato si allontana da Scilla per andare a rompere sopra Cariddi.

L'onorevole Pianciani (lo cito per la terza volta) disse bene: affidare alla Banca Nazionale la cura di vendere le obbligazioni è un volere attraversare la vendita; ed io aggiungo: mettere in mano ad una Banca, che è quanto dito ad uno speculatore privato, un valore così serio, e portante interesse, è un volere aprire la via ad operazioni scandalose e brutto. Io non posso definirle, perché non sono un uomo del mestiere; ma domandatene, vi prego, al primo agente di cambio che troviate, ed egli forse saprà dirvene qualche cosa. Io mi guarderò fino dall'accennare in quest'Aula tutto ciò che la Banca, venuta in potere di un mezzo miliardo di obbligazioni ecclesiastiche, potrebbe operare a danno del paese e delle finanze.

MINISTRO PER LE FINANZE. Lo dica chiaramente.

FERRARA. Non è necessario, signor ministro; potrebbe operare, io diceva, se i suoi amministratori non fossero quegli uomini di specchiata probità e di delicatezza squisita che tutti sappiamo. (Ah! Ah ! - Benissimo! a sinistra e al centro) Ma io credo che, senza uscire dal limite del suo diritto, la Banca può, e forse deve, nel suo interesse, tentare ogni via perché le obbligazioni non escano dal suo portafoglio. Lo può con piccolissimi sacrifizi e con molti artifizi, dei quali mi basterà citarne uno solo e il più ovvio.

3552 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Non le diamo noi la facoltà di tenere una circolazione forzata di 350 milioni per conto suo? Ebbene, essa non deve che sottrarne una piccola parte, una cinquantina di milioni, e figurare d'impiegarla, o impiegarla realmente, in compra di obbligazioni ecclesiastiche. Il che potrebbe fare senza suo scapito, perché l'interesse delle obbligazioni la compenserebbe del guadagno che l'emissione poteva procurarle.

Ora ciò basterebbe perché queste obbligazioni ecclesiastiche si sparpaglino nelle mani dei suoi agenti, dei quali gli uni fingano di offrirle a basso prezzo, altri figurino di comperarle, e tutti di accordo le tengano costantemente depresse, lontane dal prezzo che la legge abbia fissato.

Voi avreste in tal caso un primo ente depositario di obbligazioni, un altro venditore, un terzo compratore; avreste ogni giorno il listino della Borsa che vi terrebbe perfettamente informati dei ribassi avvenuti; vedreste il capitale atterrito rifugiarsi in altri impieghi; niuno si accorgerebbe, niuno avrebbe modo di provare che depositario, venditore, compratore, sensale, redattore del listino di Borsa, tutto ciò non sia che un solo e medesimo ente, la Banca! (Il ministro delle finanze ride)

Non rida, onorevole ministro, non sono cose nuove. Le abbiamo vedute sovente e anche in molto maggiori proporzioni. Non sa ella, signor ministro, la storia dei tempi di Law? quando il Governo francese si fingeva Banco reale per emettere biglietti di Banco, si fingeva finanza per pagare con questa carta i suoi creditori, si fingeva Compagnia detta Luigiana per riassorbire la carta bancaria, cambiandola in azioni a prezzi favolosi? ed era sempre un solo e medesimo ente, il Governo francese, che chetamente occupavasi a maturare la pubblica rovina. (Benissimo! Bravo! a sinistra e al centro)

Adesso non ho bisogno di dirvi altre parole per convincervi che il meccanismo dall'onorevole Sella ideato, attraversando la vendita delle obbligazioni, mirabilmente riuscirebbe a paralizzare, o ritardare quella dei fondi ecclesiastici, e quindi l'estinzione del corso forzato. Ma ho d'uopo di aggiungere una riflessione per mostrare come questa ingegnosa maniera di allontanare la fine del corso forzato è poi suggellata da una strana maniera con cui si vuol procedere nel ritirare i biglietti.

Voi lo sapete, codesto ritiro si fa sempre sopra la parte che è debito dello Stato; e resta sempre intatta la parte che circola a benefizio della Banca, sino a che l'erario non abbia potuto soddisfare fino all'ultimo soldo. Ora la logica più comune, il più spontaneo senso d'equità, potevano suggerire che, dovendosi procedere al successivo ritiro, si procedesse in esatta- proporzione: estinguendosi 5 milioni per conto dello Stato, se ne dovevano estinguere 3 per conto della Banca. (Segni d'incredulità da parte dei ministri e dal centro)

Mi sarò male spiegato.

Io dico che, logicamente ed equamente, vendendosi per 5 milioni di beni, e consegnandone il prezzo alla Banca, essa dovrebbe ritirare, non 5, ma 8 milioni di carta a corso forzato, perché di tutta la carta esistente in circolazione ne appartengono 500 milioni allo Stato e 300 agli affari propri della Banca.

Mi sono spiegato?

Vedo bene che l'onorevole ministro consulta la cosa con un distinto banchiere, quasi per farmi capire che praticamente vi sarebbero della grandi difficoltà.

MINISTRO PER LE FINANZE. Vi sarebbe l'assurdo.

FERRARA. No, non dico nulla di assurdo, e udrò poi con piacere la maniera con cui il ministro lo proverà. Del resto, supponendo, come io credo, che, praticamente, la cosa è possibile, ne sarebbe venuto quest'effetto: che la Banca, gradatamente, si sarebbe trovata costretta a venire mescolando insieme alla carta a corso forzato un tantino di moneta metallica, o anche, se volete, di carta fiduciaria, in vece di rimanere sempre padrona del campo, per tutta la serie degli armi che lo Stato avrà di bisogno onde giungere a sdebitarsi del tutto. Ma ciò non avrebbe secondato per nulla i suoi fini; ed io comincio ad avvedermi che ogni cosa la quale non poteva secondarli, non doveva trovare un posto nella nuova convenzione.

Ora possiamo formarci una chiara idea della vera indole riformativa della nuova convenzione.

Noi potevamo appigliarci al partito dell'imprestito; ed allora la riforma si sarebbe ridotta a preferire l'onere dall'interesse, anziché i danni del corso forzato. Ma la nuova convenzione ricusa l'imprestito che poteva essere il male minore; accettai! maggiore, la continuazione del corso forzato.

Accettando il corso forzato, noi avremmo potuto applicarci ad attenuarne le condizioni pecuniarie. Ma la nuova convenzione le conserva tali quali si trovano, e le consacra con un contratto.

Conservandole tali quali, noi avremmo potuto disporre le cose in maniera da avvicinare quanto più si potesse l'epoca in cui il corso forzato si sarebbe potuto abolire. Ma la convenzione, invece, da alla Banca il mezzo più efficace per ritardare quanto è possibile codesta definitiva abolizione.

In una parola se l'onorevole ministro me lo permette, e se io non m'inganno, volendo dare una definizione a questo progetto, altro io non so dire se non che, agli occhi miei, esso è la più ardita e decisa negazione di ogni riforma possibile.

Ed ha ragione adunque l'onorevole ministro quando se ne compiace e lo Loda come il miglior metodo che si poteva ideare; il metodo che non precipita, egli dice, l'abolizione del corso forzato, non genera scosse, non isposta interessi, ecc. Qui ha piena ragione. Ma io, appunto perché non parlo da suo avversario, che avrei parlato diversamente, ma da suo vero amico...

MINISTRO PER LE FINANZE. Grazie tante di questi amici!

3553 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

FERRARA. Ne avesse parecchi e sapesse apprezzarli!

... io mi affliggo appunto perché sono convinto che egli ha piena ragione. Giacché io non avrei mai creduto che un ministro di finanza, succedendo all'amministrazione dell'onorevole Cambray-Digny, ne avrebbe così prontamente, e, mi lasci dire, così ciecamente sposato gli errori in materia di Banca Nazionale e di credito.

Quando, o signori, al giorno in cui siamo si osa ancoro parlare di precipitanze, di scosse, di spostamenti, io mi accorgo che noi siamo ancora ai pregiudizi di tre anni fa, che nulla abbiamo imparato o dimenticato in Italia, benché avessimo molto sofferto. (Benissimo ! a sinistra)

Svolgendo poi le pagine dell'esposizione finanziaria, e leggendo che il signor ministro domanda quasi perdono, per ben due volte, della troppa celerità con cui propone di voler procedere, mi permetto di stringere le spalle, e dirgli, che io non credo sul serio né alla troppa celerità, né alla colpa che egli vuole attribuirsene. Io posso invece assicurarlo che la Banca medesima, a cui la troppa celerità più che ad ogni altro potrebbe riuscire molesta, se potesse parlare una volta sinceramente, direbbe essere pronta ad alzare ambe le mani, per assolverlo da questo immaginario peccato della troppa celerità, gli darebbe un abbraccio cordiale e fraterno. (Risa di approvazione a sinistra)

Se la Camera me lo permette, mi riposerò un momento.

(Pausa di 15 minuti.)

Signori, io vedo bene che sarebbe abusare troppo della pazienza della Camera se volessi estendermi a spiegare tutte le ragioni per le quali sento il bisogno di oppormi a questa convenzione.

Mi accorgo che anche le forze fisiche m'assistono poco; e quindi procurerò di compendiare tutto quello che mi rimane a dire nel minor numero di parole che mi riesca possibile.

Desidero almeno di toccare la questione della carta governativa, la quale sarebbe la conseguenza delle riflessioni che vi ho sottoposte fin qui.

Il maggior male adunque che potrebbe rimproverarsi ai sistema attuale deriva dall'aver voluto far passare come imprestato fatto dalla Banca allo Stato quello che era un imprestito fatto unicamente dal pubblico. Da ciò è venuto il primo errore, di pagare un interesse; e poi l'errore, ancor più grave, dell'aver confuso una carta che rappresentava un debito dello Stato con quella che rappresentava un debito de' Banchi; d'averle trattate entrambe egualmente, ed aver così generato quell'esuberanza di circolazione, della quale gli istituti di credito raccolgono il frutto e il paese sopporta i danni.

La conseguenza che ne ricavo si è, che qualunque riforma dovrebbe avere per base il segnare una linea di demarcazione tra ciò che è debito dello Stato verso i cittadini, e ciò che è debito degli istituti di credito verso i latori dei loro biglietti.

Il sistema di indissolubilità nel quale abbiamo vissuto finora è tutto fittizio. Non vi ha rapporto alcuno tra le spese della finanza e le operazioni di credito degli istituti bancari, o le operazioni di dubbia natura alle quali son destinate le Banche popolari e le Banche del popolo.

Il Governo, non il pubblico, non il commercio, non i bisogni della circolazione, non la necessità delle cose, solo il Governo ha creato questa strana confusione d'interessi e d'idee.

Cercando in qual modo si potrebbe rimediarvi, io non ne trovo che un solo: ritogliere agli istituti di credito il privilegio del corso forzato per tutta la carta che si mantiene in circolazione a solo comodo loro, e limitarlo a quella carta soltanto che vi si tenga per necessità dello Stato.

Da ciò la necessità di creare una carta governativa, inconvertibile per ora, emanata direttamente dallo Stato, lasciando agli istituti di credito intatta la facoltà che hanno, secondo i loro statuti, di emettere carta fiduciaria per conto proprio.

Io dico carta governativa, senza orpelline reticenze. Applico quest'epiteto, non alla forma, ma alla sostanza. Lo prendo nel senso di una carta che non dica menzogna, si presenti a viso aperto, e dichiari essere un debito dello Stato, e prometta solennemente di dover essere convertita in danaro, a quell'epoca, con quei mezzi, con quelle condizioni che un'apposita legge avrà stabilito. Quanto alla forma, io non me ne preoccupo punto. Sia bianca, sia rossa, sia nera la carta; sia a bella posta creata, o si riduca a metterò un marchio nella carta bancaria; porti l'emblema d'Italia o il busto del commendatore Bombrini o del ministro delle finanze, per me è indifferente. (Si ride)

Io vi domando tre sole cose:

1 Che sia creata in un'unica volta, con tali formalità e solennità, da non poter lasciare nell'animo del pubblico il menomo dubbio sulla vera sua quantità;

2 Che abbia essa sola il privilegio del corso forzato; sia data come danaro effettivo alla Banca ed al pubblico; come danaro si paghi e sia ricevuta nelle relazioni tra i cittadini fra loro, nelle relazioni tra i cittadini e lo Stato;

3 Che il prezzo dei beni residuali dall'asse ecclesiastico sia esclusivamente destinato al suo rimborso, e a periodi determinati si estingua effettivamente e notoriamente, o per via di sorteggio, o in qualunque altro analogo modo, ma sempre in via diretta e senza intervento di alcun titolo intermedio.

Ognun vede quale sarebbe l'effetto spontaneo di un tal sistema. Non più la favola del mutuo e dell'avallo; non più interesse, non più delcredere, e soprattutto non più circolazione cartacea esuberante.

La coercizione del corso forzato si troverebbe ridotta a minimi termini; scenderebbe da 1000 a 3 o 4 o 500 milioni. Se poi alla limitazione aggiungete le guarentigie materiali e la periodica e fedele estinzione della carta, potremo esser sicuri che, non solamente avremo risparmiato

3554 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

al paese gli oneri pecuniari del corso forzato, ma avremo trovato il modo più semplice, il più economico, il più sollecito per venire alla definitiva abolizione del corso forzato.

È chiaro che tatto ciò si riduce alla sostanza dei progetti presentati da molti onorevoli nostri colleghi di sinistra; sostanza alla quale in conseguenza io do la mia pienissima adesione, sebbene mi riservi di proporre degli emendamenti ai singoli articoli, nel caso, altamente improbabile, che ad un progetto di sinistra possa essere dato l'onore di venire fino ad una discussione di articoli.

L'onorevole Maiorana, che ha così strettamente legato il suo nome al primo dei progetti presentati da questo lato della Camera, certamente assumerà l'incarico di svòlgerlo in tutti i suoi particolari. Io non posso qui che considerarlo in digrosso, e soprattutto dal punto di vista delle maggiori obbiezioni con cui, nominato o non nominato, mi sentii assalito per aver osato parlare di questa benedetta o maladetta carta governativa.

Noterò in primo luogo che il progetto in sé non si è combattuto e non si poteva combattere. Nessuno oserebbe mai dire che, se si potesse senza inconvenienti ottenere una così sensibile diminuzione della carta a corso forzato, e da un altro lato risparmiare quella strenna di tre milioni che ci si vuol far presentare annualmente alla Banca, il paese e la finanza ne proverebbero un sensibile sollievo. Ma su questo terreno non mi è stato possibile di udire la menoma obbiezione. Tutti gli attacchi si son fatti partire da un altro punto. Si è preteso affermare che l'introduzione di una carta governativa sia cosa piena di grandi difficoltà e di pericoli immensi.

Quali sieno le grandi difficoltà non si è neppure voluto spiegare. Io non ho potuto raccoglierne che una sola. Quella che a stento potrebbe chiamarsi una pratica difficoltà è una obbiezione che fu prodotta fin dal primo annunzio di una carta governativa. Nacque in un giornale, il quale all'autorità propria congiunge quella che gli deriva dalla speciale predilezione che nutro per tutto ciò che sia un vantaggio della Banca. Nacque e morì senza fare grande impressione. E più non se ne sarebbe forse parlato, se l'onorevole Giunta non l'avesse ora risuscitata, facendola sua non solo, ma aggiungendovi qualche cosa di proprio. A me pare importante di dirne qualche cosa, perché vedo che fece effetto perfino sull'onorevole Maurogonato, il quale non è uomo da lisciarsi facilmente ingannare dalle prime apparenze.

L'obbiezione, in termini intelligibili a tutti, è questa: Se si adottasse il sistema della sinistra, non si farebbe che porre a disposizione della Banca una somma, per esempio, di 500 milioni in carta governativa.

E poiché questa carta va considerata come danaro effettivo, così la Banca,

considerandola come danaro effettivo, ne farebbe la sua riserva metallica; ed appoggiata su questa riserva, emetterebbe una carta fiduciaria tre volte maggiore, cioè mille cinquecento milioni.

Forse col pensiero di antivenire questa obbiezione, l'onorevole Maiorana Calatabiano proponeva nel suo progetto una limitazione alla quantità della carta governativa che la Banca avrebbe potuto tenere come riserva metallica. Ma io mi permetto, scusi il mio onorevole amico, di non appoggiare neppure questa sua idea, e voglio abbondare nel senso dei nostri avversari. Per me, credo che la carta governativa dovrebbe considerarsi affatto come puro danaro. Ammetto che la Banca possa liberamente servirsene come riserva, e per conseguenza accetto la obbiezione nella sua maggior forza.

Però non posso essere così generoso intorno alla recrudescenza che l'onorevole Giunta ha immaginato di apportare su questa obbiezione, e che l'onorevole Maurogonato ha pur fatto sua.

La Giunta ha immaginato che non solo la Banca potrebbe emettere il triplo della carta governativa, ma che ne potrebbe emettere il sestuplo. Avendo 150 milioni, ella dice, in carta governativa, la Banca potrà emettere 900 milioni. Ma questo calcolo è evidentemente erroneo. Con 150 milioni, la Banca non può che emettere il triplo, cioè 450: e per raddoppiare la somma e portarla ai 900 milioni, bisogna che si procuri e metta in riserva un altro valore di 150 milioni. Dunque non è il caso del sestuplo; si tratterà sempre del triplo, come era detto nei termini primitivi in cui l'obbiezione fu messa innanzi.

Ciò avvertito, dirò che l'obbiezione fu presentata sotto due aspetti: dal lato della Banca, e da quello del pubblico interesse.

Dal punto di vista della Banca, si è preteso asserire che, per mezzo della carta governativa, la Banca otterrà il segnalato vantaggio di emettere una data quantità di carta fiduciaria senza bisogno di subire il sacrificio che occorre per procurarsi la corrispondente riserva.

Io già, se la cosa fosse così, non comprenderei come i nostri avversari si dolgano di cosa che tanto giovi al loro stesso cliente. Ma la verità è che la cosa non si trova precisamente nei termini in cui essi la dicono.

Un sol punto è incontestabile: quando la Banca possieda e tenga in riserva un biglietto governativo di mille lire, acquista la facoltà di emettere 3000 in suoi biglietti fiduciari. Sin qua siamo nel vero e saremo di accordo. Ma sin qua nulla abbiamo di cui dovessimo meravigliarci: mille lire, in una carta dichiarata equivalente al denaro, le darebbero quel diritto che può acquistare se possieda e metta in riserva 50 milioni d'oro. Il segnalato vantaggio spunterà, allorché vogliate imporre, come supponeva l'onorevole Maurogonato, che per la Banca il possedere mille lire in carta governativa non sia qualche cosa che esiga lo stesso sacrificio che è necessario per possedere mille lire in oro. Ecco l'equivoco de' miei avversari.

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Comunque, signori, vogliate operare perché i biglietti governativi pervengano in potere della Banca, voi sarete costretti di riconoscere che la Banca dovrà sacrificarne l'equivalente, o in oro, o, ciò che è lo stesso (e permettetemi che ora dica esser lo stesso), con biglietti fiduciari.

Infatti, tre maniere vi sono di introdurre la carta governativa, né si potrebbe, credo, trovarne una quarta.

Volete voi che lo Stato prenda dalle sue casse i biglietti da marchiare, li marchi, li spenda come spenderebbe l'oro, e così li metta in circolazione? Ebbene, in questo caso, la carta marchiata non va in potere della Banca, ma del pubblico con cui contrae la finanza; la Banca, se la vuole per sé, bisogna che la comperi, bisogna che dia l'equivalente, che sarà in oro o in biglietti fiduciari.

Volete voi che lo Stato, dopo aver marchiato il biglietto, lo dia alla Banca? Ma, io vi domando, perché mai dovrà darlo? Questo biglietto è per lo Stato un valore; esso stava nelle sue casse come un valore; lo ebbe in pagamento di una imposta, è destinato a pagare qualche cosa in servizio della finanza; come volete che la finanza se ne spogli? Se la Banca ha tanto interesse ad averlo, bisogna che ne dia l'equivalente, che sarà in oro o in biglietti fiduciari.

Volete finalmente che il biglietto sia fabbricato apposta, invece di essere preso tra i biglietti bancarii, e poi dato alla Banca in soddisfazione del così detto mutuo? Ma la Banca non può riceverlo in questo caso, se non assumendo l'obbligo di ritirare dalla circolazione un eguale biglietto; il quale perciò sparirà dalla circolazione forzata, diventerà fiduciario e dovrà essere rimborsato. Ma come volete voi che la Banca lo paghi? Collo stesso biglietto governativo? Ma allora quest'ultimo immediatamente finirà di appartenere alla Banca, la quale non sarà stata che un momentaneo organo di trasmissione. Se però la Banca ama di ritenerlo e farne la sua riserva, allora il biglietto, che è divenuto fiduciario e che va alle sue casse, bisogna che sia pagato in danaro.

In tutte le supposizioni, una delle due cose avverrà: o la Banca non può divenire proprietaria del biglietto governativo; o, affinché lo divenga, dovrà privarsi d'un equivalente, come appunto farebbe se, in vece che in carta, volesse costituire la sua riserva in moneta reale. Il che prova che si cade in un inesplicabile errore, allorché si viene ad ammettere che per la Banca sarebbe un grandissimo beneficio il costituire in carta governativa la sua riserva. Si prende la carta come manna piovuta dal cielo; si mostra, mi permettano di dirlo i nostri avversari, di non avere un'idea chiara intorno alla natura della operazione, ed al modo in cui si possa recare ad effetto.

Seguendo ora l'impulso che le parole della Giunta me ne danno, consideriamo la cosa da un punto di vista più generale.

L'ipotesi si è, che la Banca in un modo qualunque venga in possesso di una quantità di biglietti per una somma, ad esempio, di 500 milioni; che, invece di spenderli e farli entrare nella circolazione, li stipi nelle sue casse e ne faccia la sua riserva; e che, appoggiata su questa riserva, emetta un miliardo e 500 milioni in suoi biglietti fiduciari.

In circostanze ordinarie, se non vi fosse di mezzo questa carta governativa, nessuno potrebbe negare che una circolazione fiduciaria di 1500 milioni non si può reggere se non a patto di un movimento continuo, consistente in biglietti che vadano alla cassa per reclamare il loro rimborso, e poi tornino a mettersi in circolazione per rappresentare altre operazioni di credito. Questo è il giuoco inerente ai ogni circolazione fiduciaria. Ma l'onorevole Giunta, e con essa l'onorevole Maurogonato, mi sembra essersi illusa fino al punto di credere che il solo fatto della esistenza di una carta governativa basterà per troncare radicalmente questo inevitabile giuoco, di modo che i 1500 milioni di carta fiduciaria debbano rimanere in circolazione a corso implicitamente forzato.

Siccome, si è detto, la Banca pagherà in carta il proprio biglietto, e in una carta che nessuno vuole, così nessuno lo porterà al rimborso. Avremo una carta in apparenza fiduciaria, in realtà costretta a rimanere circolai» «, e che perciò si viene a risolvere, senza bisogno di alcuna prescrizione di legge, in una massa di carta coattiva, molto superiore a quella che attualmente abbiamo. Tale è l'obbiezione; ed io mi lusingo di nulla aver fatto per affievolirla, anzi mi pare di averla presentata dal suo punto più lucido.

Ora io non so come si possa non vedere l'assurdità di una simile supposizione Come mai immaginare che rimanga in circolazione un biglietto, il quale, secondo l'ipotesi, se va alla Banca non trova danaro con cui cambiarsi, se resta in circolazione niuno è tenuto a riceverlo,'perché non ha corso forzato e sarà fino respinto dalle casse pubbliche? Che cosa volete voi che ne faccia il suo possessore se non può pagarlo in soddisfazione dei propri debiti? Sarà costretto di cercarne il cambio, e dove volete che lo trovi? Mi direte forse che lo porterà al cambia-valute? Ma il cambiavalute non potrà ricevere questo biglietto, se non con un aggio superiore a quello che avrebbe la carta governativa, unico equivalente che possa trovarne alla cassa della Banca. Dunque il possessore non avrà altro espediente che di portarlo al cambio presso la Banca, e domandarne il rimborso, non dico in oro (perché l'ipotesi non lo permette), ma in una carta la quale, godendo corso forzato, può da lui essere ceduta al suo creditore, sia finanza o cittadino privato, e ceduta a valore integro, adempiendo così all'ufficio del denaro effettivo in tutti i casi nei quali la carta propria della Banca non possa adempirlo. Io non saprei immaginare un paradosso più strano di questo,

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con cui i nostri avversari si avventurano ad affermare che 1500 milioni di carta fiduciaria rimangano inchiodati nel seno della società, senza mai sentire il bisogno di farsi cambiare in quell'altra carta che equivale al danaro. Dovranno per necessità comportarsi come nei casi ordinari. Una parte rimarrà circolante; un'altra alimenterà quel continuo moto di va e vieni che costituisce l'essenza di ogni circolazione fiduciaria.

Ora, se questo o innegabile, se il biglietto fiduciario deve una volta o l'altra andare alla cassa della Banca, voi vedete quale sarà la conseguenza. Quando la carta fiduciaria si presenta alla Banca in qual modo vi piace supporre che la Banca la paghi? Se la vuol pagare colla carta governativa, eccovi tutta la vostra obbiezione caduta: dunque non sarà più vero che la carta governativa resti nelle casse della Banca, e vi resti come riserva. Se la Banca non vuole privarsene, se crede tanto utile ai suoi interessi il tenerla come riserva, allora bisogna che paghi in oro. E allora ne verranno due effetti. Avremo da un lato, che questo gran mostro della carta governativa, la quale doveva, presentandosi sul mercato, mettere tutto a soqquadro e rovina il paese, questo mostro rimarrà incatenato e sepolto nei forzieri della Banca, non sarà più una carta circolante a corso forzato. Dall'altro lato, la Banca si troverà costretta a metter fuori tant'oro, quanto sia necessario per alimentare il moto dei biglietti fiduciari. E quando la Banca è costretta a mettere fuori dell'oro, la circolazione diviene mista; e quando è mista l'aggio sarà finito; noi saremo arrivati al principale dei nostri scopi. Che si potrebbe desiderare di meglio?

Disinganniamoci adunque; costituire in riservala carta governativa sarebbe, non per la Banca, ma sibbene per noi, un grandissimo beneficio; noi avremmo abolito, senza saperlo, il corso forzato; e questo sarebbe tal vantaggio che, invece di presentarcelo come un'obbiezione, io pregherei il signor ministro di farcelo ottenere come un patto espressamente acconsentitoci dalla Banca.

Così mi trovo già passato, dalle difficoltà grandissime, ai danni immensi della carta governativa.

Proseguendo su questa linea, debbo primieramente avvertire che tutta la crociata oggi bandita contro questo pensiero ha un'origine sola: si fonda sopra un piccolo ed innocente equivoco, in cui sono caduti alcuni corifei della stampa periodica, i quali, per ben servire alla loro missione politica, si fecero in fretta passare dottori di scienza economica, prima che avessero avuto il tempo d'impararne i rudimenti. (Ilarità)

Costoro, al primo sentire le parole carta governativa, si unirono e gridarono a tutta gola: fuori la carta-moneta! Probabilmente avevano percorso di volo, o forse non avevano mai veduto, un bel capitolo di un economista veramente illustre, maestro di quanti nel secolo XIX abbiano imparato a balbettare parole di economia politica.

Sapevano in confuso che aspre censure quest'uomo aveva scagliato contro ciò che i Francesi chiamano papier-monnaie e che i nostri dottori in economia politica malamente tradussero in carta-moneta. Credettero che questa detestabile cartamoneta fosse un sinonimo di carta governativa. Ignoravano che le censure di G. B. Say non erano solamente dirette a quella carta che emani da uno Stato, ma a qualunque carta a corso forzato. Ignoravano che, tra gli esempi citati dall'illustre economista francese, non erano solamente i vales di Spagna o gli assegnati francesi, ma erano ancora tutti i biglietti di Banca a corso forzato, ma quelli, per esempio, del Banco reale sotto il reggente, ma quelli della Cassa di sconto m Parigi, e, inorridite, o signori, i biglietti, tante volte da voi citati, del Banco d'Inghilterra ai tempi di Pitt.

Ora, in questa loro ignoranza, non si accorgevano che, gridando fuori la carta-moneta, gridavano contro se stessi, cioè domandavano per prima cosa l'abolizione del corso forzato in favore di questa Banca Nazionale, di cui credevano patrocinare gl'interessi.

Ma che volete? La parola era lanciata, trovò un terreno propizio, sdrucciolò e passò. D'allora in poi abbiamo dovuto ascoltare ogni momento che noi, noi i quali domandiamo che si restringa il corso forzato ad una piccola quantità, di cui risponda direttamente lo Stato, noi appunto minacciamo all'Italia il gran flagello della carta-moneta, e chi vuol salvarla da questo flagello sarebbe, per esempio, l'onorevole Sella che vi domanda 800 milioni per parte della sola Banca Nazionale, oltre a 300 o 400 milioni che più tardi verranno di sbieco.

Ecco un bel capitolo che si potrebbe lepidamente aggiungere al noto libro Sulla fortuna delle parole. Più tardi forse verrà corretto l'errore; per ora conviene di rassegnarci; rassegnarci a leggere ogni giorno nella stampa di certi partiti l'avvertimento salutare, il ritornello obbligato, che l'Italia si guardi bene dalle insidie della sinistra, perché gli uomini della sinistra oggidì la minacciano delle due più grandi sciagure che le possano incogliere: la carta-moneta come essi la intendono, e, per soprappiù, un Ministero Rattazzi. (Ilarità a sinistra)

Chiamando la vostra attenzione sull'equivoco fondamentale fra la carta-moneta e la carta governativa, io credo di essermi sbarazzato da un primo gruppo di attacchi, i quali si fondano tutti sopra di esso. Ora se ne presenterebbe un secondo, che io amo e devo passare sotto silenzio, perché tutto composto di vano declamazioni, e di esercizi rettorici, o tutt'al più d'ingiurie gratuite.

Si fa presto, per esempio, a sentenziare che chiunque osi proporre la carta governativa (cito testualmente) «rivela, non solamente un'assoluta mancanza di sennò pratico, ma rivela ancora tutta l'imprevidenza e la temerità rivoluzionaria.»

3557 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Perché, secondo gli autori di questo linguaggio, noi che abbiamo avuto il coraggio di mettere avanti una tale idea, noi scalziamo le basi del credito, noi turbiamo la vita economica del paese, noi starno nemici della proprietà, noi miriamo a distruggere fino la costituzione politica e nazionale...

MINISTRO PER LE FINANZE. Chi dice questo?

FERRARA. Si legge in qualche pubblicazione ufficiosa.

...Ma io, all'incontro, signori, conosco persone le quali han consumata la miglior parte della loro vita e delle loro forze a professare, insegnare, difendere la proprietà, il lavoro, il credito, la produzione, l'economia, l'ordine, la giustizia e la libertà; e posso accertare che esse non temono punto di smentire ogni loro passato, schierandosi oggi fra i sostenitori della carta governativa; e quindi cedeste freccie, più o meno ufficialmente attossicate, non arriveranno ad imprimere su di loro il marchio dello spirito rivoluzionario e comunistico, che loro vorrebbesi affibbiare in mancanza di ragioni buone a combatterli. Quanto poi alla povera mia persona, la Camera saprà, lo spererei, che di simili brutture io sono affatto innocente. Io posso avere un sol torto, non esiterò a confessarlo, quello di non voler secondare affatto, a qualsiasi costo per parte mia, l'avidità insaziabile d'una Banca, la quale, istituita per fecondare la potenza del credito, si trova invece avviata sopra un sentiero sul quale, credetelo a me, non si può camminare, se non quando si miri a divenire il quarto potere dello Stato, a qualsiasi costo (Movimento), a costo di dissanguare il paese, di guastare e corrompere le nostre migliori istituzioni. Ecco il mio delitto. Non è della Banca che io son nemico, onorevole signor ministro; son nemico bensì della terribile deviazione che con tanta condiscendenza da parte degli uomini di Stato le si va permettendo.

Vengo dunque all'ultimo gruppo d'attacchi, il solo che si possa discutere con qualche serietà parlamentare. Crederei poter dire che li ho tutti esaminati e coordinati; e son lieto d'aggiungere che, spogliandoli dalla farragine di vane parole in cui s'è cercato di avvolgerli, si riducono ad un solo punto, presentati sotto aspetti diversi, ma sempre appoggiati sopra fragilissima base.

Questo punto così cardinale sta nel temere, o fingere di temere, che una carta governativa implicherebbe necessariamente uno scapito enorme; il quale in certi casi si è presentato come semplice, in certi altri come doppio.

Quanto al semplice, l'onorevole ministro, con una sicurezza che io gli invidio, non ha temuto di vaticinare uno scapito del 15, od almeno del 10 per cento. Confesso che è stato assai discreto, perché i giornali della sua parte l'hanno già calcolato al 40 ed al 50 per cento, e l'onorevole Marazio l'altro ieri ci dava per sicuro il 25 per cento.

Ora, per vedere la ragionevolezza di questa opinione, che è tanto già divulgata, non si può a meno di riflettere un momento alle cause che possono determinare l'aggio d'una carta a corso forzato. Io su questo punto avrei la mia idea, ma non intendo né esporta, né imporla alla Camera. Codesto fenomeno dell'aggio è uno di quelli che più abbiano eccitato la mia curiosità, e tutto mi ha indotto ad opinare che l'aggio altra causa non ha, fuorché il grado di fiducia che si nutra dal pubblico intorno al futuro rimborso. Ma, secondo l'opinione più generale, l'aggio ha due cause: fiducia nel rimborso e quantità della carta. Io non mi oppongo ad ammetterle entrambe, appunto perché mi sembra che, nel nostro caso, entrambe mirabilmente concorrono a farci vaticinare, contrariamente a ciò che forse l'onorevole ministro ne pensa che la carta da noi proposta sarebbe il più efficace dei mezzi per combattere l'aggio.

I nostri avversari, per provarci che nessuna carta governativa possa godere fiducia, ed invece ogni carta bancaria debba trovarla, si appoggiano primieramente sopra una teoria evidentemente falsa, e poscia ricorrono ad una teoria giusta in sé, ma falsamente applicata.

La loro teoria (giacché voi sapete che anche gli uomini pratici hanno la debolezza di ricorrere alle teorie, e solamente le foggiano alla giornata, secondo il bisogno), la loro teoria consiste nel credere che il disaggio della carta è un cancro da cui d«ve essere immune ogni carta di Banco, di cui deve essere vittima necessaria ogni carta governativa.

Ma questo principio è evidentemente contrario a ciò che vi dice il senso comune, ed a ciò che vi conferma la più costante esperienza.

Il senso comune vi dice che l'aggio, quando voi lo volete considerare come effetto della sfiducia, non può venire fuorché dall'opinione che si abbia intorno al sicuro o non sicuro rimborso della carta; non può venire da alcun'altra circostanza estranea, non dal nome, non dal chiamarsi Governo, o provincia, o comune, o individuo privato l'ente che ne debbo rispondere, salvo che queste medesime circostanze si risolvano in motivi di sfiducia.

In pratica poi avete una lunghissima ed innegabile esperienza, la quale per lo meno ci deve impegnare ad andare cauti nell'avventurate proposizioni di questa fatta, che possono trovarsi smentite da ogni pagina della storia del credito.

Così, è fatto costante che tutte le carte bancarie, non governative, appena ottennero il privilegio della impermutabilità, immediatamente scapitarono. Così avvenne al biglietto di Law; così alla carta olandese; così alla carta della cassa di sconto; così alla carta del Banco di Vienna nel 1797: tutte perdettero immediatamente qualunque favore godessero tostoché ne fu sospesa la conversione.

3558 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

E poi, noi abbiamo l'esempio nostro medesimo. La carta della nostra Banca nacque col peccato originale dello scapito; appena emessa, scadde enormemente. Io non ne cerco le cause, che possono essere diverse; ma il fatto è che scadde enormemente, ed era carta bancaria, non era carta governativa.

Mi si posson citare due soli esempi in contrario: il biglietto francese del 1848, e il biglietto inglese del 1797.

Quanto al francese, voi tutti sapete che fu dichiarato inconvertibile nel momento in cui non ce n'era il menomo bisogno, per la semplice ragione che le casse del Banco di Francia rigurgitavano di monete; tanto è vero che, poco dopo, si manifestò un aggio, non a favore dell'oro, ma a favore della carta. D'altronde il corso forzato del 1848 in Francia ebbe una durata sì breve, che sarebbe una vera follia il volere citare questo fatto ad esempio per sostenere la tesi de' nostri avversari.

Quanto all'inglese, essa non si mantenne a paro dell'oro che nei primi quattro anni. Ma or ora vi dirò che vi si mantenne appunto perché rappresentava non la responsabilità della Banca, ma quella dello Stato.

Andiamo ora alle carte governative.

Io ve ne potrei citare un gran numero che dal primo loro apparire, a differenza di qualunque carta banca ria, non soffrirono il menomo scapito. E comincio dagli stessi assegnati francesi, i quali non iscaddero se non quando il pubblico si accorse del grande abuso che il Governo d'allora intendeva di farne. Poi vi citerò l'assegnato russo, che si mantenne per non breve tempo senza scapito alcuno, quantunque si dubitasse sin dall'inizio se si sarebbe pagato in argento od in rame. Vi citerei la carta continentale degli Stati Uniti nel 1776, la quale circolò per un paio d'anni senza subire la menoma differenza a paragone dell'oro.

Cosicché, da questo primo aspetto, o nessuna differenza è da fare, o una sarà forza di fame a favore delle carte governative.

In secondo luogo io cercai nella storia del credito quali sieno le carte che abbiano potuto per luogo tempo conservare un valore costante, e non ne trovai una sola fra le carte bancarie; ne trovai parecchie tra le carte governative. Fra le carte bancarie, se non altro, vi posso ricordare le carte germaniche (esclusa l'austriaca) create nel 1848, e dì cui rimangono ancora più che 100 milioni in circolazione. Ma a proposito di carte governative mantenutesi a lungo in integrità di valore, ne trovo una in Italia, che non capisco come mai l'onorevole ministro Sella, piemontese, abbia potuto dimenticare. Non sa egli che nell'isola di Sardegna, per quasi un mezzo secolo, esisteva, fino a pochi anni or sono, una carta governativa, che circolò,

per quanto mi ricordo (e se sbaglio gli onorevoli deputati dell'isola son qui per correggermi)...

ASPRONI. Fu abolita nel 1853.

FERRARA.... senza mai portare il menomo scapito a paragone della moneta metallica, sebbene non avesse mai ricevuto il battesimo da alcuna Banca, perché il nome di Banca non si conosceva in Sardegna?

In terzo luogo ho cercato se le oscillazioni, che formano il maggior danno del corso forzato, sieno un tristo privilegio che appartenga all'una e all'altra specie di carta. Ed ho trovato che appartiene indifferentemente ad entrambe.

Oscillano (amo di dirvelo) anche le carte governative; ma oscillano, e molto più, le carte bancarie. E per non dilungarmi in esempi, non basta forse citare quello solo dei biglietti inglesi sotto il Restriction Act, carta bancaria di puro sangue?

Come vi ho detto, il biglietto inglese si mantenne alla pari nel primo periodo di 4 anni, quando il popolo inglese ne vedeva direttamente responsabile il suo Governo, sulla cui fedeltà e potenza manifestò di avere piena fiducia; quando i commercianti inglesi si adunarono e giurarono insieme di non opporre giammai la menoma difficoltà all'accettazione di quella carta, considerandola appunto come obbligazione contratta immediatamente dal Governo inglese. Ma nel 1801 il corso degli avvenimenti s'intorbida; il popolo inglese comincia ad avere dei dubbi sulla potenza del suo Governo, e, non vedendo più nel biglietto che la risponsabilità del Banco, rallenta la sua fiducia, lascia che il biglietto scada sino ad 8 per cento.

Poco dopo, le sorti del paese si vedono un po' meglio assodate; e dal 1803 al 1809 l'aggio si aggira soltanto sul 3 per cento. Invece, dal 1812 al 1816 si abbuia di nuovo l'avvenire della Gran Bretagna, e l'aggio del biglietto inglese va fino al 25 per cento. Quando poi si annuncia che tra non guari si riprenderebbero i pagamenti, l'aggio discende fino a che nel 1821 sparisca del tutto.

Questo esempio dovrebbe bastare per convincerci che le cause di credito e di discredito agiscono egualmente sulla carta bancaria come sulla governativa. Ma ne abbiamo ancora di più espressivi.

Uno è quello che sta oggidì sotto i nostri occhi in America e in Austria. Lo si cita tante volte a rovescio, che sarà permesso anche a me di notarlo in favore della mia tesi.

In quei paesi contemporaneamente vi ha circolazione di carta governativa e di carta bancaria; e sia perché la fiducia nel rimborso non è molto solida, o più veramente perché la incerta epoca del rimborso la rende un po' debole, il fatto è che esiste un grave disaggio sulla carta, ma un disaggio che gravita egualmente ed in uguale misura sull'una e sull'altra.

3559 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Un altro esempio si può citare, attingendolo nel nostro stesso paese. Quando il biglietto della nostra Banca Nazionale scadeva del 20 per 100, ciò che poté attenuarlo fu appunto la sopravvenienza di una carta governativa, che tali erano lo marche da bollo, le quali non portavano impressa la menzogna del pagamento; delle quali non rispondeva che il solo Governo; nelle quali l'avallo della Banca non aveva nulla da fare; le quali, appena emesse, furono avidamente ricercate ed assorbite nella circolazione, e non solamente non portarono alcuno scapito proprio, ma all'incontro fecero immediatamente scendere dal 20 all'8 per cento la perdita che già soffrivano i biglietti della Banca.

Oggi, io lo so, perché il loro aggio alcuni giorni sono vedevasi sceso al 3 e al 2 per cento, si è veduto con quanta impudenza siasi asserito che questa mitezza fosse dovuta alla natura bancaria e non governativa della nostra carta. Cosicché i nostri avversari contano per nulla l'azione che parecchie cause vi hanno esercitata, sempre nel senso di accrescere il sentimento della fiducia. Si conta per nulla la limitazione imposta dal Parlamento; per nulla i desiderii manifestati da una imponente minoranza in questa Camera, imponente, dico, per numero; per nulla la sua costanza nel domandare qualche cosa che potesse assicurare il futuro rimborso; per nulla l'inchiesta sul corso forzato; per nulla la discussione medesima che noi stiamo facendo sulla convenzione medesima proposta dall'onorevole Sella, la quale, se da una parte del pubblico può essere stata presa come un mezzo di assodare il predominio del partito banchista, da un'altra parte del pubblico si considera come una circostanza dalla quale, volere o non volere, qualche cosa dovrà scaturire che renda meno improbabile il ritorno alla circolazione normale. E finalmente si son volute contare per nulla due stupende raccolte che bastarono a dileguare in un attimo le primitive paure che si nutrivano nel paese intorno ad una vicina catastrofe. Tutto ciò per nostri avversari è nulla; ma tutto ciò ha operato, ed avrebbe operato anche meglio, se, invece di carta bancaria, noi avessimo avuto una carta governativa. I nostri avversari non ne tengono conto alcuno. Per loro non vi è che il nome miracoloso della Banca; ci minacciano il finimondo, se noi abbandonassimo questo gran talismano, che abbiamo la fortuna di possedere contro la possibilità dello scapito. Non sanno (poveri ciechi) o non voglion sapere (nel qual caso acquisterebbero il titolo di malvagi) che alla prima contrarietà, al primo Hohenzollern che voglia salire sul trono di Spagna, con cui non abbiamo nulla da fare, questa carta 'è destinata a precipitare, e ridursi a termini molto peggiori di quelli in cui la vedemmo sin dal suo nascere! (Bene I bene 1 a sinistra)

In breve, signori, la teoria dalla quale partono i nostri avversari è falsa evidentemente.

Questo supporre che una carta debba scadere solo perché sia governativa, e non possa scadere solo perché sia bancaria, è idea che non regge davanti al più semplice ragionare ed alla più volgare e costante esperienza. Ma io vi ho detto che essi ricorrono ad una teoria giusta in sé e falsamente applicata.

Io veggo, o signori, che vi stanco.

Molte voci a sinistra. Noi no!

FERRARA. Io sono pronto a desistere...

Molte voci. Parli! parli!

FERRARA. È innegabile che una carta meno guarentita va più soggetta a scapitare. Ma è falso che una carta come quella che noi vorremmo si troverebbe men guarentita dell'attuale carta bancaria.

Ascoltate: tutto ciò che l'onorevole ministro propone per fortificare la sua carta bancaria, è voluto dalla sinistra per fortificare la carta governativa. Ipoteca sui beni, e successivo ritiro, queste sono condizioni comuni. Ma noi domandiamo qualche cosa di più. Domandiamo che ad un biglietto la cui creazione è un semplice mistero della Banca, se ne sostituisca un altro il quale, prima di venire alla luce, sia costretto a passare sotto gli occhi e sotto la penna di autorità indiscutibili. Domandiamo inoltre che questa carta, creata sotto gli occhi del pubblico, si venga estinguendo. Non è questo un richiedere aumento di guarentigia?

Ma dicono che la carta governativa dovrebbe naturalmente scadere, perché non avrebbe che l'unica guarentigia del Governo, mentre che l'attuale carta bancaria ha insieme le due guarentigie, del Governo e della Banca.

Io non voglio ripetermi. Ho detto già a che misera cosa, secondo me, si riduca la malleveria della Banca. È ben probabile che il pubblico italiano l'abbia finora creduta; ma, a lungo andare, sono certo che la benda cadrà, e quest'opera buffa della Banca che guarentisce l'Italia, finirà coll'essere fischiata. (Si ride)

Ma, indipendentemente da ciò, intendiamoci bene sopra un fatto materiale che troppo leggermente vedo sempre passato sotto silenzio. Non è punto vero che Fattuale biglietto porti con sé la garanzia dello Stato. Nell'attuale biglietto lo Stato non figura per nulla; è un biglietto della Banca; letteralmente e giuridicamente il portatore non ha veruna azione verso lo Stato; non può mai presentarlo alle casse del Tesoro per farselo permutare in danaro. Il suo debitore è unicamente la Banca; lo Stato ha un debito verso la Banca; ma non perciò si potrà mai direttamente richiedere che paghi il biglietto.

Ora col nuovo sistema che cosa avverrebbe? L'obbligazione dello Stato, la quale oggi, tutto al più, è implicita e dubbia, diverrà esplicita e patente. Non è dunque vero che si abbandoni una guarentigia fra due; è vero bensì che fra due guarentigie sceglierebbesi la migliore. Noi col nuovo sistema abbandoneremmo il mallevadore chiamato Banca, il quale non può,

3560 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

nel caso più felice, rispondere che di 100 milioni, per avere in sua vece il mallevadore chiamato regno d'Italia, per il quale il rispondere di questa somma, in fin dei conti, sarebbe un'inezia.

Io comprendo che si può non rimanerne contenti, che ai può desiderare di avere una seconda malleveria, e sarebbe stato questo il pensiero dell'onorevole Maurogonato. Ma è sicuro che finora non l'abbiamo. Del resto, vogliono i nostri avversari assicurarsele entrambe? Manca per loro ! Accettino da un lato la diretta responsabilità dello Stato; poi si rivolgano alla Banca, la persuadano a farsene anche essa mallevadrice nel senso vero, cioè la inducano a dimostrare che potrebbe anche ella rispondere della somma di cui risponde lo Stato; la inducano ad obbligatisi in forma buona e legale; e questo sì, sarebbe un contratto a cui darei molto volentieri il mio voto; e sarebbe la gloria dell'onorevole ministro, se potesse stipularlo.

Ne faccia dunque il tentativo; e quando avrà trovato il perentorio e deciso rifiuto della Banca Nazionale ad impegnare così il suo nome e la sua responsabilità, allora, ne son persuaso, l'onorevole ministro comincierà ad avvedersi che l'attuale biglietto di questa Banca non ha guarentigie, né due né una.

Ora è il caso di dirvi due parole sulla incredibile conseguenza a cui si va colla supposizione di questa doppia guarentigia.

Si dice che il sistema della sinistra avrà per effetto di creare due circolazioni, l'una di carta governativa a corso forzato, l'altra di carta bancaria a corso libero. Essendo queste due carte diversamente garantite, ne nasceranno due aggi diversi, il che vuol dire, si soggiunge, un aggiotaggio sfrenato, perdite immense, il credito pubblico sconquassato.

L'idea di una doppia guarentigia poteva essere un errore di fatto; ma quella di un doppio aggio è così falsa, che solo alla smania di creare obbiezioni si può perdonare.

Ecco un'altra confusione d'idee. Il caso di due carte a corso forzato si confonde col caso nostro, nel quale sì avrebbe una carta a corso forzato ed un'altra a corso libero. Quando, come in America, esistono parecchie specie di carta, inconvertibili tutte, può ben avvenire, ed avviene molto spesso che si producano aggi diversi, secondo la diversa natura della carta, secondo il diverso grado di fiducia che ispiri ciascuna di esse. Ma quando la carta inconvertibile è una sola, la seconda, a corso libero, altro scapito non può soffrire (e non deve necessariamente soffrirlo) se non quello che graviti sulla carta a corso forzato. La ragione è evidente. Il biglietto fiduciario di sua natura non potrebbe mai scapitare; poiché, essendo permutabile ad ogni istante in danaro, appena uno scapito lo minacci, si manderà a convertirlo.

Se però la Banca è autorizzata a pagarlo con della carta a corso forzato, allora potrà accadere che esso scapiti tanto, quanto la carta a corso forzato, ma non più né meno di tanto. Ecco ciò che ragionevolmente potevasi dire dai nostri avversari. Il biglietto bancario potrebbe avere un di saggio eguale a quello della carta governativa, la qual cosa è grandemente diversa dal dire che vi sia il pericolo di due differenti disaggi. Ma questa non sarebbe stata un'obbiezione. L'aggio sopra la carta fiduciaria è la stessa cosa che l'aggio della carta governativa a paragone dell'oro.

E se anche i nostri avversari avessero esattamente presentato così l'obbiezione, avrebbero sempre dimenticato che, nel nostro caso pratico, mancherebbe la primitiva, la più essenziale condizione, perché un tale fenomeno si verifichi. Diffatti, esso suppone che la carta a corso forzato sia in tal quantità, da poter tutta occupare la sfera della circolazione. Certo, se il biglietto fiduciario si paga sempre con carta a corso forzato, dovrà partecipare allo scapito di questa carta. Ma quando la carta non convertibile e calante sia comparativamente poca; quando, in un paese che ha bisogno di un miliardo per la sua circolazione, voi avete soltanto tre, quattro, cinquecento milioni di carta governativa, è evidente che la carta fiduciaria non può essere di continuo cambiata con carta governativa...

(Alcuni deputati, stando seduti davanti al banco degli stenografi, impediscono di udire la voce dell'oratore.)

Per fortuna della Camera io non posso continuare a lungo.

Voci. Si riposi e dica tutto.

FERRARA. In tal caso, io diceva, una parte dei pagamenti dovrà farsi in oro, e verrà il caso della circolazione mista, davanti alla quale l'aggio medesimo della carta a corso forzato sparisce.

Non solo, adunque, i due aggi diversi sarebbero un sogno, ma vi è anche a sperare che la poca quantità della carta governativa riesca a contrariare qualunque causa di discapito proprio.

E qui passo naturalmente alla seconda delle cause da cui l'aggio si fa derivare, cioè a dire la soverchia quantità della carta.

È riconosciuto generalmente che il gran tarlo della circolazione cartacea consiste nel poterla moltiplicare senza alcun freno. E veramente è così. Se non vi si bada accuratamente, se non si usano le più diligenti precauzioni, la moltiplicazione può essere causa di gravi danni. Ne abbiamo esempi infiniti, ed a capo di tutti sta quello degli assegnati.

È pure innegabile che la moltiplicazione della carta diviene cagione di scapito. Io ho detto che non discuto questo principio; mi piacerebbe modificarlo nel senso che la quantità della carta non può riguardarsi come causa di discapito se non quando sia causa di diminuzione della fiducia.

3561 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Ma comunque sia, io aderisco al principio generalmente ammesso. Per un motivo o per un altro, ritengo io pure che la sfrenata moltiplicazione della carta sia un male che bisogna ad ogni costo evitare. Pienamente d'accordo in ciò coi miei avversari, veda ora la Camera con quale inconseguenza essi cercano di applicare questo principio.

Dapprima, comincio dal domandare all'onorevole ministro uno schiarimento che certamente mi darà nel rispondere.

Io non so bene se egli creda o non creda oramai ai danni che la moltiplicazione della carta sia capace di produrre. Egli ci ha vaticinato l'aumento rapido dell'aggio; ma io non so se, dovendo immaginare una causa qualunque di questo aumento, abbia o non abbia avuto presente che, introducendo la carta governativa, cioè sostituendo un po' di carta governativa alla molta carta che esiste attualmente, sì avrebbe una diminuzione così sensibile, come da un miliardo a 300 o 400 milioni. Se egli non ebbe presente questo fatto, allora è chiaro che, qualunque sia la causa da lui escogitata alla recrudescenza dell'aggio, avrebbe commesso una dimenticanza nel non considerare che l'efficacia di questa causa naturalmente deve essere modificata dalla circostanza di un decremento così sensibile.

Se poi egli ha avuto presente il fatto della diminuzione cartacea, in tal caso, perché mai avrebbe voluto ragionare sull'effetto della moltiplicazione della carta, a controsenso di ciò che generalmente si fa? Avrà voluto, per esempio, dire che l'aggio è in ragione inversa della quantità? Avrà voluto dire che, se noi-con mille milioni di carta abbiamo un aggio del 3 per cento, con 300 o 400 milioni avremo un aggio del 10 o del 15 per cento? A me pare impossibile che questo avvenga; ma quando fosse così, io più non saprei come la possibilità della moltiplicazione sia un fatto che lo preoccupi. Noi dovremmo ragionare diversamente. Giacché l'aggio procede in ragione inversa della quantità, perché angustiarci così? Moltiplichiamo allegramente la carta, ed i danni del corso forzato saranno spariti. Ed allora mi permetta l'onorevole ministro Sella di fargli osservare che, in questo caso, l'onorevole deputato Sella ebbe torto di prendere una parte così attiva in quella Commissione d'inchiesta, che appunto venne a proporre ed ottenne una diminuzione di carta.

Ma, lasciando l'opinione del ministro, vediamo le cose in termini un po' più generali.

Noi, signori, su questo punto, sappiatelo bene, siamo in una posizione lagrimevole davvero. Checché si pensi, checché si dica, noi siamo sotto un regime il quale non differisce per nulla dal regime degli assegnati; ne differisce soltanto perché l'Italia monarchica, costituzionale, ordinata, tranquilla, ubbidiente alla legge, non ha nulla da fare colla Francia della Convenzione e della ghigliottina.

Ma del rimanente, se mai un Governo italiano si sviasse un momento dal suo retto sentiero, col regime attuale, con quello che l'onorevole ministro vuol ribadire, non si troverebbe nessun ostacolo a moltiplicare la carta a corso forzato all'insaputa di tutti. Una semplice intelligenza tra un ministro di finanze ed il direttore della Banca a ciò basterebbe. Perché noi abbiamo, è vero, una legge che limita la quantità della carta, ma risulta da documenti che la fedele esecuzione di questa legge non ha sanzione, non ha controllo alcuno.

Esempi di occulte e prolungate collusioni, tra una Banca ed un Governo infedele, ve ne sono moltissimi; e quante volte avvennero, furono difficilissime a scoprirsi per lungo tratto di tempo. Ci vollero due secoli e mezzo, e ci volle un'invasione francese perché l'Europa scoprisse che erano vuote le cantine del Banco di Amsterdam, che tutti credevano piene zeppe di oro. Ma per iscoprire che, per esempio, la circolazione della nostra Banca Nazionale sia doppia o tripla di quello che la legge permetta e che i conti dicano, non basterebbe un'invasione straniera, ci vorrebbe la caduta, la distruzione finale della Banca, la liquidazione del suo fallimento. Noi dunque non abbiamo i Robespierre e i Marat, ma il nostro rame degli assegnati credete pure che lo abbiamo, benché sia stato sinora affidato a fedelissime mani.

Ora, un fine che io veggo nel progetto della sinistra, e per parte mia, lo dico francamente, il fine principale che io mi sono sempre proposto, quando ho parlato di cambiare la carta attuale della Banca con una carta governativa, è appunto questo: di voler adottare un sistema in cui ad un direttore della Banca, ad un ministro qualunque, divenga assolutamente impossibile abusare del corso forzato, ricorrendo a nuove e clandestine emissioni di carta (Benissimo! a sinistra); ed appunto per togliere questa incertezza dell'avvenire, per ispezzare risolutamente sin d'ora il nostro rame degli assegnati, si è pensato di proporre una carta la quale, circondata di molte solennità, creata una volta per tutte, riesca impossibile ad aumentarsi, senza che quelle solennità si rinnovino e divengano notorie alla nazione. Or bene, questo pensiero, che rivela un fondo di prudenza, di integrità e di rettitudine, e questa carta, che si vuole così limitata e così sorvegliata, che cosa sono mai divenuti sulle labbra dei nostri avversari?

Il pensiero è un orrenda manovra politica; la carta è un torchio da moneta falsa, un torchio che i partigiani della carta si vogliono riservare per il giorno in cui un fato avverso all'Italia li spinga al potere!

Tale è la logica e la buona fede dei nostri avversari.

Quanto alla logica, voi, signori, vedete a che si riduca l'obbiezione. Si riduce a scambiarci le carte in mano.

Noi vogliamo limitare la circolazione a corso forzato; essi, continuando sempre sull'equivoco primitivo, considerando la nostra carta come se fosse una moneta di Sparta, una moneta ossidionale dell'antichità, rispondono di temere appunto la possibilità di quella moltiplicazione, che noi facciamo ogni sforzo per rendere veramente impossibile.

3562 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Quanto alla buona fede, io mi asterrò dal discuterla. Qui saremmo oramai fuori del campo di una discussione pacifica; qui più non abbiamo se non ciò che di più basso e crudele si possano scambiare i partiti. Se simili insinuazioni fossero all'altezza della tribuna parlamentare, io crederei che si potrebbero rimbeccare in un modo molto espressivo. Mi limito solamente a domandare se fu la nostra carta governativa o la loro carta bancaria quella che, creata per soli 250 milioni appena quattro anni or sono, è già arrivata al di là del miliardo. E quando poi dovessimo passare innanzi, e investigare per quali atti si distinguono questi uomini i quali si affrettano tanto a spargere nel paese il terrore del torchio clandestino, attribuito a noi; e quando avessimo per caso a scoprirli fra i sostenitori di certe sciagurate Regie, di certe indecifrabili emissioni di titoli, di certe convenzioni abortite, avremmo tutto il diritto di dire che, per certi partiti, quando più si vuol mostrare di prendere a cuore i grandi interessi del paese, non si fa che dare uno sfogo a misere e grette gelosie di mestiere. (Bravo! Bene! a sinistra)

Per troncare, signori, questo grande abuso che io faccio della vostra pazienza, conchiuderò che le grandi obbiezioni dei nostri avversari sono già esaurite.

Io credo non avervi incontrata la menoma cosa che possa mettere in dubbio l'opportunità e forse la necessità di operare una riforma nel senso che bramerei.

Il pericolo della moltiplicazione della carta è tutto nel loro sistema; da parte nostra non facciamo che domandare tutto il possibile per avversarla.

Il fantasma del doppio aggio è un'illusione ottica, generata unicamente dal supporre la doppia guarentigia nell'attuale biglietto bancario che, siamo costretti a dirlo, non ha neppure una sola guarentigia.

La supposizione di un aggio innato in ogni carta bancaria è un errore teoretico e pratico.

Tutto l'apparato poi delle obbiezioni discende da un idiotismo economico, con cui si suppone che cartamoneta sia sinonimo di carta governativa, che la detestabile carta-moneta sia qualunque carta che debba direttamente pagarsi allo Stato.

Finalmente un idiotismo, se non economico, certamente bancario, è il supporre che la carta governativa ci possa riuscire nocevole da un altro lato, in quanto che si possa farne la riserva della Banca.

Questa operazione è impossibile, e se mai fosse possibile, noi non dovremmo temerla come un male, ma desiderarla ed accoglierla come un grande e inatteso vantaggio.

Due sole parole ancora. Io ho udito, e l'ho udito da persone rispettabili, che qui la questione è di principii e di scienza economica. Giacché si dice, lo confermo da parte mia, in quanto che, malgrado ogni sforzo che ho fatto a fin di celarlo, le conclusioni a cui vado discendono veramente in linea retta dai più duri e più pensati principii dell'economia sociale.

Ma sarebbe un errore, una presunzione da parte dei nostri avversati, il voler dare ad intendere che anche essi domandano armi all'arsenale di qualche scienza, e molto meno poi all'arsenale della scienza economica.

Una economia politica, la quale preferisca un miliardo di corso forzato e rinunzii a qualunque mezzo di attenuarne la somma; una economia politica che voglia conservata senza alcun bisogno una circolazione esuberante a profitto di Banchi privati; una economia politica che consigli di sciupare tre milioni per anno a titolo di un mutuo che non esiste, e di un avallo illusorio; una economia politica che, per venire a conclusioni così antieconomiche, comincia dall'essere così poco analitica, da non avere neanche la giusta idea della moneta di carta: questa, signori, non è scienza economica, è la calunnia della scienza, (Risa d'approvazione a sinistra) Può benessere una dottrina prevalsa nelle Borse italiane; potrà essere un programma ministeriale, un partito preso dalla maggioranza parlamentare; ma scienza economica non è, non fu mai. Non fu mai insegnata in alcuna Università, in alcun libro; e se i nostri avversari ne possono citare qualcuno, io dirò loro che essi non farebbero altro fuorché portare una nuova pagina alle tante e tante in cui si trova narrata la storia delle aberrazioni economiche. (Vivissimi segni di approvazione a sinistra)

Signori, dopo questi preliminari, io avrei desiderato ancora di venire a delle pratiche conclusioni; ma, dico francamente la verità: se io avessi veduto nel Ministero la menoma disposizione ad abbandonare il suo piano, anche io avrei formulato qualche proposta; invece, tutto mi fa riconoscere, e l'onorevole ministro presto lo confermerà, che egli è risoluto, che la maggioranza è risoluta, a non cedere di una linea, ad approvare tal quale la nuova convenzione.

Pure, lasciando le argomentazioni da parte, a me parrebbe che le circostanze politiche d'Europa ormai ci creano una vera necessità di venire a un sistema il quale restringa l'attuale corso forzato bancario a pochi milioni, e lasci al Governo la latitudine, in tutte le evenienze da cui speriamo che la provvidenza vorrà liberarci, la latitudine, dico, di procurarsi 600 o 700 milioni.

Ma è inutile estendermi su tal punto; mi basta di avere adempiuto il mio debito, venendo a tediare così lungamente la Camera (No! noi), per dirle lamia umile ma franca opinione.

Io prego caldamente l'onorevole ministro, se gli è possibile, a smettere l'idea che qui ci siano manovre politiche, se è possibile persuadersi... (Il ministro Sella ride)

No, non rida, almeno per me che mi sento affatto libero e puro da ogni idea di manovre politiche.

Io non desidero di meglio che vedere il suo nome legato ad una buona riforma della questione bancaria, nel modo che la sua coscienza gli possa suggerire più tardi, se questa idea di riforma potrà mai penetrare nella sua mente.

Io lo scongiuro di accettare qualunque fra le proposizioni varie che sono state fatte nel senso di una sospensione: ci pensi bene prima di incatenare così il paese.

3563 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Adesso, nelle circostanze in cui siamo, la questione non è più tanto una questione di riforma economica nel senso di cui ho parlato finora, quanto sarebbe, secondo me, questione di salvezza del paese.

Ci pensi il ministro, e ci pensino i colleghi della destra. Per le circostanze mutate, si tratta oggi di scegliere tra la Banca e la nazione I (Rumori in vario senso)

Sì, certamente, se la loro coscienza li può conviti cere che la conservazione dell'attuale sistema di corso forzato non può avere nessun interesse dal punto di vista del paese, ma ha interesse unicamente dal punto di vista delle Banche, io credo di formolare giustamente la questione quando dico che si tratta di scegliere tra la Banca e la nazione. (Movimenti diversi)

Consultino la loro coscienza; vedano se in questo momento convenga accarezzare la Banca, anche col rischio di poterci trovare da un giorno all'altro in una grande difficoltà; pensi bene l'onorevole ministro a quale abisso ci trascinerebbe se egli domani fosse, suo malgrado, costretto di ricorrere all'unico espediente che, nei momenti simili a quello in cui siamo, rimane alle nazioni, se dovessimo determinarci a nuove emissioni di carta; rifletta che cosa vuol dire una nuova emissione di carta, soprapposta a quella che attualmente abbiamo; e pensi dall'altro lato quale latitudine avrebbe il Governo, restringendo ora il corso forzato, e riservandosi così la possibilità di emettere 500 o 600 milioni senza alterare per nulla lo stato attuale della circolazione.

Che se poi la nostra sventura portasse che gli affari politici d'Europa s'imbarazzino tanto, da doverci ingolfare nel regime della circolazione cartacea, io, che pur sono tanto contrario alla circolazione cartacea, vi dirò, o signori: abbiate coraggio! La carta, quando è voluta dalla prepotenza delle circostanze, quando mancano tutte le altre risorse, la carta non è niente di tristo né di spaventevole; è il mezzo con cui si sono operati tutti i grandi avvenimenti politici del mondo. Leggete un poco la storia, e voi vi troverete che da Cartagine a Waterloo, in tutte le peripezie mondiali, non si è potuto andare avanti, che con l'aiuto di una moneta fittizia, la quale, ai nostri tempi, non è e non può essere che la moneta di carta. (Applausi a sinistra)

SELLA, ministro per le finanze. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.


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[Intervento di Sella, ministro per le finanze]

MINISTRO PER LE FINANZE. (Cenni di attenzione) Nella tornata di ieri io non mi opponeva, signori, a che si chiudesse la discussione generale, e dichiarava anzi di rinunciare per il primo a prendere la parola nella medesima, lasciando che parlasse un oratore contro ed uno

dei membri della Commissione, a nome di essa, in favore; ma il discorso dell'onorevole deputato Ferrara mi pone in tale condizione da trovarmi obbligato a chiedere oggi alla Commissione ed alla Camera di volermi concedere di dire alcune parole.

Epperciò prego la Commissione di permettermi che io prenda il turno dell'oratore che essa avrebbe delegato (Segni d'assenso dal banco della Commissione), e la Camera di lasciarmi fare alcuno osservazioni. (Parli I parli )

L'onorevole Ferrara ha cominciato il suo discorso con alcune dichiarazioni personali di amicizia, di cui gli sono grato. Egli ha detto che le nostre relazioni personali lo hanno reso esitante a prendere la parola in quest'argomento; ma io debbo confessare che, se la sciabola stentò a venir fuori dal fodero, l'attrito l'ha resa assai splendente, ed in pari tempo se ne è talmente aguzzato il filo e la punta, che io non ho potuto non sentirmi colpito...

FERRARA. Era una sciabola di carta.

MINISTRO PER LE FINANZE... da tutti i lati, e di fronte, ed anche un tantino (me lo perdoni) alle spalle, imperocché mi è sembrato che anche le intenzioni fossero travolte e dileggiate..

Voci a sinistra. No! no!

FERRARA. Protesto!

MINISTRO PER LE FINANZE. Perdoni, onorevole Ferrara...

FERRARA. Si spieghi, onorevole ministro.

Voci a destra. Si è spiegato!

MINISTRO PER LE FINANZE. Mi spiegherò man mano, onorevole Ferrara; ma, quando in un discorso non improvvisato, studiato, si viene a dire ad un ministro che si è posto fra la nazione e la Banca...

Voce a sinistra. Ed è così!

MINISTRO PER LE FINANZE... mentre l'onorevole Ferrara doveva credere che le mie intenzioni non potessero essere sospettate, non mi attendeva... (Violente interruzioni del deputato Ferrara e di altri deputati a sinistra)

CHIAVES, relatore. Il vostro oratore fu da noi sentito in silenzio; ora voi non dovete interrompere il ministro.

MINISTRO PER LE FINANZE. Permetta, onorevole Ferrara, le mie intenzioni sono sospettate.

Voci a sinistra. No! No!

MINISTRO PER LE FINANZE. Come no? Non bisognerebbe capire l'italiano.

CURTI. Questa è una cattiva maniera d'interpretare.

PRESIDENTE. Facciano silenzio, non interrompano.

3564 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

MINISTRO PER LE FINANZE. Del resto mi lascino andare in fondo. sarò breve, ed abbiano con me la cortesia che hanno dimostrato col loro illustre oratore.

Io risponderò pochissime parole. L'onorevole Ferrara ha attaccata a fondo la convenzione che io ebbi l'onore di presentare alla Camera, dicendo che essa importa un corrispettivo alla Banca che non è in alcun modo dovuto.

L'onorevole Ferrara dice: date voi questo corrispettivo alla Banca perché ne abbiate un mutuo?

Voi non avete mutuo dalla Banca, e nulla le dovete, imperocché il valore di moneta al biglietto lo date voi, non lo da la Banca; da essa non avete che una quantità di carta stampata.

Io osserverò che, pur supponendo questo, pur ammettendo interamente la teoria dell'onorevole Ferrara per ciò che riguarda i 450 milioni ricevuti in carta, i 50 milioni che si vanno a prendere in oro sono pure una res credita, a meno che io mi faccia un'illusione.

È vero che l'onorevole Ferrara ha spinto la forza della sua argomentazione fino ad asserire e, secondo lui, a dimostrare che questi 50 milioni che la Banca ha nella cassa non sono suoi, ma ad ogni modo, siccome sono sicuro che dello Stato non sono, almeno per questi 50 milioni in oro che lo Stato va a prendere alla Banca, io trovo la res credita, e quindi l'obbligo di pagare un interesse. Ora l'onorevole Ferrara faccia il calcolo di questo al saggio corrente delle operazioni che si possono fare, ed egli troverà che si dovrebbe corrispondere alla Banca non meno di 5 milioni all'anno; e per trovare i 3 milioni all'anno che le si corrispondono, si dovrebbe supporre che questo mutuo fosse fatto al 6 per cento. (Sussurro a sinistra)

Dovrei osservare all'onorevole Ferrara, che sostiene nulla doversi alla Banca, che occorre pure tener conto della tassa di circolazione sopra i 450 milioni in biglietti dati dalla Banca allo Stato, tassa che attualmente è dell'uno e un decimo per cento corrispondente quindi a 495,000 lire, e che ascenderà a lire 540,000 quando, per effetto della legge dei provvedimenti finanziari, sia aumentata di un altro decimo; questa somma almeno io spero che l'onorevole Ferrara ammetterà doversi rimborsare alla Banca, dal momento che questi biglietti sono dati allo Stato, anche ammesso che non ci sia mutuo, nel senso legale della parola, sul quale terreno non mi sento di forza da discutere con lui. Le spese di stampa che questa odiata Banca sostiene per dare questi biglietti è pur naturale che debbano essere rimborsate; ed ecco un altro mezzo milione circa del quale non so come l'onorevole Ferrara non voglia tener conto, quando ci accusa di dare in puro regalo, nei 3 milioni che si danno alla Banca...

Voci dal banco della Commissione. E la ricchezza mobile?

MINISTRO PER LE FINANZE. Della ricchezza mobile non va tenuto conto. Non mi interrompano.

Tutto al più concedeva l'onorevole Ferrara eh si poteste considerare l'intervento della Banca nel biglietto che da allo Stato come un'operazione di avallo, ed avete udito il suo peregrino ragionamento sopra quest'avallo, ragionamento che mi ha fatto, come sempre, ammirare la singolarissima potenza del suo

ingegno, ma, in pari tempo, me lo perdoni, l'arte del sofisma elevata all'apogeo. (Sussurro a sinistra) L'onorevole Ferrara dice: vi sono tra casi; fallisce lo Stato, fallisce la Banca, falliscono entrambi.

Prescindiamo dal terzo, che non è semplice; prendiamo gli altri due. Fallisce lo Stato, dice l'onorevole Ferrara: a che ammonta la somma per cui la Banca da l'avallo? Non essendo il capitale della Banca che da 100 milioni, l'avallo della Banca non si deve commisurare che ad un capitale di 100 milioni. Fin qui dice bene, ed io sto coll'onorevole Ferrara. Ma egli osserva: volete voi dare il 3 per cento, nulla tenendo conto di tutto quello che si disse, volete voi dare il 3 per cento d'avallo alla Banca? Dicano i banchieri, dicano quelli che s'intendono di questa materia se un'ipotesi di questo genere sia ammessibile.

Fermiamoci un momento. Credo che l'avallo solito sia di regola d'un quarto per trimestre (Interruzioni diverse), parlo di buone ditte; ma, intendiamoci bene, o signori, se è per operazioni di merci e che si vada ad un semestre o più, l'avallo cresce. Non crediate che un quarto per trimestre corrisponda all'uno per cento all'anno, come parrebbe; imperocché, se uno acconsente a pagare un quarto impegnando la sua firma per un trimestre, non si contenta di prendere un avallo nella stessa ragione quando il tempo s'allunghi, e ciò per ragioni che sono troppo evidenti perché io ne faccia cenno. Anche trattando con ditte rispettabili, se l'onorevole Ferrara provasse a chiedere degli avalli la cui durata dovesse essere non d'un trimestre, ma di uno o di due anni, molto probabilmente un avallo del 2 per cento non sarebbe creduto per nulla una cosa fuor di ragione. Metta l'uno, metta il due, l'onorevole Ferrara, sotto il punto di vista avallo, avrebbe dovuto concedere uno o due milioni. Ma egli ha negato ogni ragione di corresponsione per un avallo.

Se l'onorevole Ferrara parla di patriottismo, delle sorti, dell'unità del paese, capisco che egli si pone sopra un terreno sul quale non verrò certamente io ad emettere dei dubbi. Ma, signori, nelle cose di denaro sventuratamente si tien conto e di quello che può e di quello che non può succedere, si tien conto dei convincimenti politici, si tien conto di tutto.

Dirò una cosa della cui impossibilità sono personalmente al pari dell'onorevole Ferrara convinto, ma che un Borbone, per esempio, crederà possibile.

3565 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Se dovessero avverarsi le previsioni, i sogni d'un Borbone (Bisbiglio) (parlo ipoteticissimamente) sorgerebbe contro la Banca un'avversione ben più formidabile che quella che può esistere in questo lato della Camera. (Accennando a sinistra) La Banca si troverebbe a fronte dei possessori de' suoi biglietti, si troverebbe nella necessità di liquidare, di dare il suo capitale e per conseguenza dovrebbe soddisfare all'avallo.

Ma, dice l'onorevole Ferrara, il caso d'avallo si presenta e converso quando invece fallisce la Banca, ed ecco il curioso ragionamento dell'onorevole Ferrara: se fallisce lo Stato, la Banca perde 100 milioni; ma se fallisce la Banca, cosa perde lo Stato? cosa deve egli pagare? Lo Stato, dice l'onorevole Ferrara, deve pagare 500 milioni; per conseguenza, se l'impegno dell'avallo è di 100 milioni per la Banca, è di 500 milioni per lo Stato; e conduceva fino in fondo il suo ragionamento dicendo: se voi ammettete che la retribuzione dell'avallo sia del 3 per cento, lo Stato deve dare alla Banca 3 milioni in ragione dei 100 che la Banca avalla, ma la Banca deve dare allo Stato il 3 per cento sopra 500 milioni che esso Stato avalla; cosicché se 3 milioni vanno alla Banca, 15 vanno allo Stato, e quindi, se considerate la convenzione colla Banca sotto il punto di vista di un avallo, il risultato è che la Banca deve dare 12 milioni allo Stato, perché 15, meno 3, fa 12. (Movimento)

Ora, o signori, che il pagamento di una cosa che si deve si consideri come un avallo, credo sia la prima volta che io abbia avuto l'onore d'udirlo. Nel caso del fallimento dello Stato, la Banca cosa deve dare? Deve dare i 100 milioni dei suoi azionisti i quali non sono colpevoli del fallimento dello Stato; questa è una perdita che essi hanno. Ma se, come l'onorevole Ferrara suppone, la Banca venga a fallire, cosa deve fare lo Stato? Nient'altro che, come un altro debitore qualunque, pagare il debita suo che è di 500 milioni. (Interruzione del deputato Ferrara)

Se dunque l'onorevole Ferrara con fina ironia ricordava all'antico professore di matematiche che quando si da per un supposto mutuo, che non è mutuo, un interesse comunque minimo; la ragione del poco che si da, al nulla che si deve, è infinita; io debbo ora rispondere che se l'antico professore di matematica fosse ancora sulla sua cattedra, dovrebbe negare ogni tatto di rapporto di quantità a chi gli avesse svolta una teoria di avallo come quella che è stata esposta ieri. (Marita)

Grandi colpe, signori, ha questa convenzione. Infatti lo scopo, si dice, è di lasciar le cose come sono. Ma prima di tutto io confesso che, anche partendo dall'ordine di idee in cui è l'onorevole Ferrara (ordine d'idee in cui, se non in tutto, in certi limiti almeno mi trovo anche io, imperocché non ho aspettato adesso a dichiarar o soverchi i lucri che coll'aulica condizione di cose si davano alla Banca, per il modo con cui era combinato il corso forzoso)

anche, dico, partendo da questo ordine d'idee, io mi attendeva di ricevere qualche parola, non dirò di elogio, poiché gli elogi vi possono essere solo quando si parla senza preoccupazione politica, mentre, guardando alla linea tenuta nel suo discorso dall'onorevole Ferrara, io non poteva aspettarmeli, ma almeno almeno qualche parola di conforto; imperocché nell'antica condizione di cose (niun riguardo avuto all'entità delle relazioni che Esistessero fra la Banca e lo Stato, ed alla quantità di carta che fosse data allo Stato), siccome la Banca aveva 5 milioni direttamente dallo Stato, e di più dai 22 milioni di biglietti che erano a sua disposizione, e che sono in circolazione per conto proprio, ne ricavava un altro milione, così erano in tutto 6 milioni che riceveva la Banca; ora invece con questa convenzione i suoi lucri sono ridotti a 3 milioni, e si vengono ad accrescere i suoi oneri, sia sotto il punto di vista della maggior tassa di circolazione, sia sotto quello della maggiore spesa di fabbricazione. Io quindi, ripeto, mi aspettava qualche parola di conforto, perché, anche stando nell'ordine di idee, dell'onorevole Ferrara, ho ridotto del 50 per cento il male che si suppone esistere e che egli lamentava, riducendo a tre i sei milioni che primitivamente godeva la Banca.

Ma l'onorevole Ferrara dice: il lucro resta quello che è oggi. Però, sebbene io abbia attentamente seguito le idee che egli ha espresso, pure, colpa forse della tardità del mio ingegno o colpa anche della debolezza della sua voce, fatto sta che io devo dichiarare di non essere arrivato ad intendere come si possa dimostrare che, quando invece di 6 milioni, se ne danno 3, quando 22 milioni di circolazione che oggi sono a benefizio della Banca domani passano ad uso dello Stato, come si possa, dico, dimostrare che iu tal caso il lucro della Banca rimane quello che è. Ho ben sentito che l'onorevole Ferrara disse: sapete cosa sono questi 22 milioni? La Banca non vi da nulla; osservate che la media della circolazione della Banca non è oggi esattamente di 750 milioni, ma sta sempre un po' al disotto; ora saranno 5, ora 10, ora 20, qualche volta anche 50 milioni; fate la media, troverete che la circolazione media della Banca è di 730 milioni. Sapete cosa vi da la Banca dandovi quei 20 milioni? Vi da niente; completa quella circolazione che oggi non può tenere fuori.

Mi perdoni l'onorevole Ferrara: io, come ho già detto più volte, sono fra i più grandi ammiratori della forza del suo ingegno; ma gli domando come può uno stabilimento bancario, il quale abbia una circolazione determinata, limitata, tenera sempre fuori tutta questa circolazione? Lo potrebbe, se volesse, imperocché i richiedenti sconti ed anticipazioni non mancano, ma, così operando, farebbe opera prudente? Un illustre economista come l'onorevole Ferrara che direbbe di uno stabilimento bancario che procedesse in quella maniera?

Sa l'onorevole Ferrara esamina l'andamento di questa circolazione, vedrà che quello stabilimento, al pari di tutti gli altri

3566 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

i quali hanno qualche intelligenza, si prepara a certi periodi dell'anno in cui sono più o meno grandi i bisogni di circolazione.

Se l'onorevole Ferrara, per esempio, ha osservato la circolazione della Banca nei mesi scorsi, avrà veduto che calò quasi a 700, e precisamente a 704 milioni, e poi, a poco a poco, crescendo sempre, si avvicinò ai 750.

Cosa è avvenuto? La Banca si è preparata all'operazione delle sete; se essa ha rallentata la sua circolazione si è per poter fare delle anticipazioni in 40 o 50 milioni sull'industria serica.

E l'onorevole Ferrara, perché trova che la media tra 700 e 750 milioni è 725, viene qui a dirci che, quando la Banca prende 20 milioni della sua circolazione e li cede a nostro beneficio, non ci da nulla? (Si ride)

Ma l'onorevole Ferrara non vede dunque che, quando la Banca ci da questi 20 milioni, sarebbe non solo mancare d'intelligenza, ma sarebbe quasi gran colpa se quind'innanzi tenesse tutta la sua circolazione costantemente impegnata in sconti ed anticipazioni?

Certamente la Banca lo potrebbe fare, ma non lo fa.

Anche partendo quindi dal punto di vista dell'onorevole Ferrara, che la remissione dei biglietti della Banca fatta allo Stato non debba considerarsi come un mutuo propriamente detto, e che l'avallo debba commisurarsi a 100 milioni a cui ascende realmente il capitale della Banca, e non a 500, come figurerebbe in debito, anche, dico, partendo da quel punto di vista io suppongo che non voglia imporre alla Banca la spesa della tassa di circolazione e quella per la fabbricazione dei biglietti; quindi deve riconoscale come pienamente giustificata la rimunerazione di 3 milioni concessa alla Banca.

E in tutti i casi mi permetta di sostenere che vi è una grande variazione dallo stato delle cose quale oggi esiste, per ciò che riguarda i lucri della Banca, e quale sarà allorquando sia attuata la convenzione che ebbi l'onore di presentare, e che il Parlamento, spero, troverà degna della sua approvazione.

L'onorevole Ferrara, che ebbe delle freccie, degli strali molto e tanto più acuti, in quanto che erano scoccati da mano veramente maestra, non solo verso questa parte della Camera (Accennando a destra), ma anche contro di me, l'onorevole Ferrara ha dimenticato che anche quella parte (Accennando a sinistra) c'è entrata per qualche cosa nella formazione dell'attuale condizione di cose.

L'onorevole Ferrara ha messo in disparte l'episodio della convenzione Rattazzi. I 378 milioni attuali, o signori, che origine hanno? (Mormorio a sinistra)

Siamo giusti per tutti.

E badi l'onorevole Rattazzi che sono qui sino a un certo punto per prenderne le difese e non per dirne male, imitando in ciò la condotta dell'onorevole Maurogonato. Ma quando si viene qui a nome di un partito a trattare le relazioni dello Stato colla Banca con tanta energia di linguaggio, perdoni, onorevole Ferrara; quando si viene qui a toccarci in tutte le fibre del nostro animo e del nostro cuore (Rumori a sinistra), e quando si conclude un discorso dicendo che la questione che il Ministero pone è tra la patria e la Banca... (Vive interruzioni e denegaeioni a sinistra)

Voci a destra. Sì! sì!

MINISTRO PER LE FINANZE. Voi non potete dire nulla di più grave.

FERRARA. (Con forza) Non l'ho detto, non l'ho pensato, non l'ho potuto dire!

Voci a destra. Sì! Sì!

FERRARA. Io non ho detto che il Ministero mettesse la questione tra la patria e la Banca, ho detto che la posizione attuale delle cose oggi era a questo punto che si trattava di votare tra la Banca e la nazione. (Ilarità e rumori a destra) Io non voleva che porre in evidenza la natura della questione.

Ma quel che dice l'onorevole Sella, che io, cioè, ho espresso questo pensiero contro di lui o contro la maggioranza, non può essere che un'insinuazione. (Nuovi rumori)

LAZZARO. Se lo avesse detto, avrebbe detto bene.

MINISTRO PER LE FINANZE. Se l'onorevole Ferrara protesta che tale non fu il suo intendimento nel pronunziar e quelle parole che scrissi sotto dettato, cioè quando egli parlava, certamente io non voglio attribuirgli delle intenzioni che egli dichiara di non aver avute; ma, se egli dice che il rilievo da me fatto di queste parole è una insinuazione, perdoni, onorevole Ferrara, ma ella le ha dette troppe volte, ed io le ho troppo ben sentite, e le ho troppo precisamente scritte mentre egli parlava, perché facessi altra cosa che ripeterle quali furono pronunziate. (È vero! a destra - Rumori)

PINZI. Erano anzi scritte.

PRESIDENTE. L'onorevole Ferrara dice di non averle dette.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ed io ne prendo atto e non vi torno più sopra. Sono anzi lieto di aver provocate queste dichiarazioni dell'onorevole Ferrara, perché le sue parole mi pesavano, non voglio nasconderlo.

Dunque, io diceva, voi avete diretti i vostri dardi sempre ad una parte della Camera od anche al Ministero; ma osservo io,'dei 378 milioni di cui ci troviamo oggi in debita colla Banca, 278 milioni si debbono al ministro Scialoja a causa della guerra che tutti ricordiamo; gli altri 100 milioni a chi si debbono?

RATTAZZI. A quest'ora sarebbero pagati!

Domando la parola per un fatto personale.

3567 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

MINISTRO PER LE FINANZE. Io capisco che l'onore fole Rattazzi, se potesse, come ha sottoscritto il progetto Maiorana-Calatabiano, fare un rigo...

RATTAZZI. È stata una disposizione ministeriale; non vi è nessuna disposizione legislativa.

MINISTRO PER LE FINANZE. Se l'onorevole Rattazzi trova che è una buona ragione l'averlo fatto piuttosto per disposizione ministeriale che per disposizione legislativa, in tal caso mi convien dire che non capisco più nulla delle istituzioni parlamentari. (Rumori e risa a destra - Interruzioni a sinistra)

ALFIERI Non interrompete!

PRESIDENTE. Non interrompano. Si è ascoltato por più ore l'onorevole Ferrara, si ascolti ora il ministro.

MINISTRO PER LE FINANZE. Io ho ascoltato mansueto come un agnello. (Ilarità) Sapete poi che anche gli agnelli qualche volta finiscono per perdere k pazienza. Dunque concedetemi, ve ne prego, di rispondere, e finirò presto. (Parli ! parli !)

Lascio stare la prima convenzione che riguarda il Ministero Rattazzi, perché attribuiva un interesse del due e mezzo per cento; di questa dunque non parlo neppure, e prendo l'altra che fa pattuita di poi, perché fu attuata, almeno in massima parte.

L'onorevole Rattazzi, riguardo all'interesse (si parla anche d'interessi, onorevole Ferrara), da corrispóndersi dal Tesoro alla Banca per l'anticipazione di 100 milioni, per quaranta milioni dava alla Banca dei vaglia del Tesoro che figuravano come riserva metallica, e per questi 40 milioni la Banca, figurando oro questi vaglia del Tesoro, dava 40 milioni di biglietti. Capisco anch'io che, non essendovi mutuo, la Banca non pigliasse interesse. Quindi questi 40 milioni di biglietti erano dati gratuitamente contro quest'oro nominale. Per gli altri 60 milioni si pagava l'uno e mezzo per cento. Ecco cosa era l'interesse che aveva pattuito l'onorevole Rattazzi!

Quella convenzione fu poi cambiata dall'onorevole Digny, il quale, oltre a mantenere l'anticipazione veramente avuta in cento milioni, dovette occuparsi del modo di formazione della riserva, acciò la Banca potesse dare questi cento milioni allo Stato, e gli furono dati 60 milioni all'uno e mezzo, e 40 milioni senza interesse, che fanno cento milioni a novanta centesimi d'interesse; ma l'interesse che aveva pattuito l'onorevole Rattazzi era veramente dell'uno e mezzo per cento.

Ora, onorevoli rappresentanti che sedete da questo Iato {Accennando la sinistra), non siate così acerbi contro di me e contro gli onorevoli membri della Commissione, che vi presentiamo una convenzione, in cui non solo sulla somma che prendiamo dalla Banca, ma anche sopra tutte le altre vi ha una corrisponsione di sessanta centesimi per cento.

Il vostro capo ci aveva insegnata la via che si poteva andare anche sino all'uno e mezzo per cento! (Movimento)

Signori, quale è il proposito dei proponenti?

E qui voglio credere che l'onorevole Ferrara non intenda dire nulla delle intenzioni; suppongo che egli parli di un proposito che ha la convenzione, ma che non è nella mente di chi la stipulava, perché davvero dovrei tornare a suscitare la questione di un momento fa, quando egli supponeva che questi propositi fossero nella mente mia.

Dunque poniamo che sia il proposito, non mio, ma degli articoli che stanno davanti a voi (Ilarità), così la questione sarà assolutamente impersonale.

Questa disgraziata convenzione, signori, sapete che cosa sarebbe? Una ingegnosa maniera di mandare alle calende greche il corso forzoso! Questo è il proposito specioso della convenzione!

Eh! se io trovassi una maniera di avere, o signori, non solo i 122 milioni, ma inoltre avessi mezzo, non dirò più di pagare il debito, perché pare che oggi non si debba più dire così, ma insomma di fare scomparire questi 378 milioni, che costituiscono l'attuale corso forzoso, senza aggravare notevolmente il nostro bilancio, in modo da non inquietare molto più seriamente i creditori del regno d'Italia di quello che lo siano oggi, davvero io sarei ben lieto d'intuonare il mea culpa e di pregarvi, o signori, di mandarmi al mio banco di deputato, seppure fossi ancora degno di sedervi, e di far venire qui immediatamente chi avesse trovato modo di ottenere tutti questi effetti. (Ilarità)

Ma io vi diceva: possiamo noi procedere all'estinzione del corso forzoso per mezzo di operazioni di crediti straordinari, cioè andando ad accattare 300 o 400 milioni all'anno? Io credo che non lo possiamo fare, né convenga farlo.

L'onorevole Ferrara mi ha fatto l'onore di citare le mie parole stesse relativamente ai malanni del corso forzoso. Certamente io non ho cambiato opinione: basterebbe vedere quello che succede in questi giorni per capire che cosa è l'inconveniente del corso forzoso. Se l'aggio stesse sempre ad un saggio determinato, sarebbe un male in principio, un inconveniente in fine; ma poi durante tutto il periodo intermedio si potrebbe dire che tutti gl'inconvenienti si elidono a vicenda: ma con questa saltuarietà io non posso che ripigliare la mia frase, ringraziandolo di avermela ricordata, che il corso forzoso è una crisi in permanenza.

Ma l'onorevole Ferrara si spinse più avanti, egli è venuto ai numeri. Non vorrei rammentare quello che io diceva un momento fa in questione di numeri.

Egli valuta a circa cento milioni all'anno il danno che la nazione soffre dal corso forzoso. E udite gli elementi di questo danno. Prima di tutto la massa di circolazione che vi è, poi i movimenti che vi sono, tutto questo farà un miliardo all'anno; poi mette il dieci per cento di perdita dovuta al corso forzoso, ed eccovi qui i cento milioni.

3568 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ma, onorevole Ferrara, io vedo che si può perdere, ma vedo altresì che si può guadagnare in fatto di corso forzoso.

Se, per esempio, io dovessi all'onorevole Ferrara mille lire e lo avessi pagato un mese fa, dandogli della carta anziché una mercé, la quale avesse avuto un valore effettivo paragonabile alla specie di moneta che scegliamo, se gli avessi dato carta, cosa gli avrei dato? Essendo l'aggio al 2 per cento un mese fa, gli avrei dato mille lire ed egli avrebbe perduto venti lire, nell'ipotesi che effettivamente avesse consegnato a me un valore effettivo di mille lire nominali; ma non posso nascondere che queste venti lire le avrei guadagnate io. Oggi l'aggio è cresciuto sventuratamente, ma certo non per un Hohenz oliera qualunque, sebbene io ammiri la frase...

Una voce. È un pretesto.

MINISTRO PER LE FINANZE. È un pretesto, lo capisco. Si rivolga all'onorevole Ferrara. Ma, signori, quando sì viene a dire: questo regime (perché tale fu la frase dell'onorevole Ferrara), questo regime di circolazione che noi abbiamo instituito in Italia, è così fatto, che basta una questione di un Hoheuzollern qualunque al trono di Spagna per far salire l'aggio dal due all'otto per cento, davvero che il volo è un po' pindarico.

Ma torniamo al mio calcolo. Se oggi pago le mille lire essendo l'aggio all'otto per cento, la perdita che farebbe l'onorevole Ferrara sarebbe di ottanta lire. Ma se devo dar grano od altra mercé, chi le guadagna queste ottanta lire che egli non riceve? Per conseguenza se da una parte vi sono perdite, queste non esistono se non in quanto dall'altra esistono dei lucri. Quindi aritmeticamente la sua proposizione non regge.

Ma da ciò ne vie ne forse che io abbia minor riprovazione pel corso forzoso, causa di questi indebiti lucri e di queste indebite perdite e delle perturbazioni che ne conseguono?

Oibò! Io sto d'accordo coll'onorevole Ferrara per deplorare i malanni del corso forzoso; ma se mi si dice: il corso forzoso produce alla nazione una perdita di 100 milioni, io dico che aritmeticamente la proposizione non è esatta.

L'onorevole Ferrara poi, continuando nella sua critica della convenzione, parlando di (non so più come chiamarli per essere ortodosso), di quei tali 3 milioni che si danno alla Banca; diceva che è proposito della convenzione, di rimandare alle calende greche la cessazione del corso forzoso, perché ci si intende provvedere con la vendita delle obbligazioni dell'asse ecclesiastico.

Qui (mentre riconosco che il mio primitivo concetto è molto modificato, perché la Camera si manifestò assai chiaramente contraria, o almeno né dall'una parte né dall'altra fece plauso all'idea dell'incameramento dei beni parrocchiali) prego però la Camera ad osservare che la vendita delle obbligazioni andrebbe in tanta estinzione del corso forzoso.»

Ma l'onorevole Ferrara critica appunto questo sistema di graduale estinzione, mediante l'operazione delle obbligazioni ecclesiastiche, e fa una carica a fondo contro il sistema delle obbligazioni ecclesiastiche. Io prego l'onorevole Ferrara di rivolgersi ancora una volta all'onorevole Rattazzi, che è stato il creatore delle obbligazioni ecclesiastiche...

NICOTERA. E le obbligazioni demaniali?

RATTAZZI. È il Parlamento.

MINISTRO PER LE FINANZE. Se si trattasse di obbligazioni demaniali, dovrei io prestare il petto agli strali; ma siccome qui si tratta di obbligazioni ecclesiastiche, e che udiva qualificare questi titoli intermediari come immorali, li udiva insomma criticare abbastanza acerbamente, desidero che non ci illudiamo, e che non cadano queste critiche né sopra il Ministero, né sopra questa parte della Camera; è una questione in famiglia, in ciò io non mi permetto di entrare... (Si ride)

Una voce a sinistra. È il Parlamento.

MINISTRO PER LE FINANZE. Dice l'onorevole Ferrara: 'ma che credete voi di fare con queste obbligazioni ecclesiastiche? Crede il ministro di fare per tal modo degli imprestiti ad interessi diversi di ciò che sia l'interesse plateale? No, onorevole Ferrara; io dissi que sto: che siccome l'esperienza ci ha dimostrato che i beni si vendono ad un valore effettivo, non nominale di obbligazioni ecclesiastiche, ma togliendo la nominalità e riducendo al valore effettivo, che corrisponde circa al 5 per cento, ne viene per conseguenza che, mentre si vendono delle obbligazioni ecclesiastiche, si pigliano le medesime in pagamento di beni. Quindi che cosa si fu in definitiva? Si da via un reddito di beni, e dall'altra parte si estingue una parte del corso forzoso, perché si è ricevuto un corto numero di biglietti di Banca per l'acquisto di quelle obbligazioni, le quali poi furono date in corrispettivo dell'acquisto dei beni...

Ora, io diceva, stando ai dati, che in sostanza con questo modo di vendita dei beni ecclesiastici combinato dall'onorevole Rattazzi e, ripeto, in molte parti felicemente combinato, si viene ad ottenere poco a poco un prestito al 6 per cento; e soggiungevo: finché si tratta di accattar danari, per estinguere il corso forzoso, coll'interesse dal 5 al 6 per cento, gradualmente, senza perturbare il pubblico mercato, come si farebbe colla vendita non artificiale, non esagerata, ma naturale delle obbligazioni ecclesiastiche, si fa un passo verso l'estinzione del corso forzato, come credo corrisponda alle nostre forze. Questo è il sistema che io mi permetteva di consigliare alla Camara.

Io diceva poi che, quando le condizioni del credito nostro fossero migliorate (e qui ragionava io come l'onorevole Ferrara) in guisa che l'interesse dei fondi pubblici fosse inferiore al 6 per cento, avverrebbe che il corso forzoso si dissiperebbe da sé, imperocché quei titoli ecclesiastici verrebbero evidentemente collocati senza grande indugio, imperocché quando si vendono all'85 si ha l'interesse del 6 per cento anche prescindendo dalla differenza fra il valore nominale ed il valore d'emissione.

3569 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

Questi titoli si spendono per acquistare beni, ed è evidente che nel prezzo dei beni si tiene conto della circostanza, che questi titoli si comprano per 85 lire e non per 100. Quindi non mi pare che in questa parte le mie proposizioni meritino così acerba censura.

Ma, dice l'onorevole Ferrara, sapete voi a quali fatti scandalosi può dare luogo il sistema da voi proposto di far vendere queste obbligazioni dalla Banca? Pregato l'onorevole Ferrara di non usare reticenze e di citare qualcheduno di questi fatti scandalosi che possono avvenire, egli si limitò a dire che la Banca avrà, per esempio, un agente che offrirà al ribasso queste obbligazioni ecclesiastiche, mentre da un'altra parte un altro agente le comprerà quando saranno screditate e nessuno più ne vorrà pel discredito in cui cadranno.

Se io mi trovassi ad avere, il che non è, 100,000 lire è volessi comprare una tenuta ecclesiastica, andrei bravamente all'incanto, e dopo averne fatto l'acquisto, piacesse a Dio, quando avessi a pagarne il prezzo, che mi capitasse fra i piedi quest'agente misterioso della Banca, il quale mi offrisse con grande ribasso queste obbligazioni. Se poi si presentasse quell'altro malcapitato, il quale ne esigesse di più, lo lascierei e andrei alla cassa pubblica a comprarle semplicemente all'85. Davvero il fatto che l'onorevole Ferrara citava coma scandaloso, a me, forse non lo intenderò, a me pare puramente e semplicemente impossibile.

Egli dice: il proposito della convenzione è sempre di mantenere i lucri alla Banca.

Mi parve che sopra questa parte l'onorevole Maurogonato avesse risposto con molta autorità; egli vi- ha fatto vedere con cifre quali sieno stati i dividendi degli altri stabilimenti; ma anche senza andare molto lontani da noi, vediamo qui la Banca Toscana, che ha la fortuna di non sollevare questi odi che si eccitano contro la Banca Nazionale, ma in verità vedete che i suoi dividendi sono abbastanza gentili. (Ilarità)

E per certo, se la Banca Nazionale non avesse fatto nel 1866 l'operazione del prestito nazionale, mi pare che c'è qualche anno in cui la Banca Toscana non lucra meno della Banca Nazionale.

E il Banco di Napoli, questo Banco che sarebbe rovinato dalla Banca Nazionale, mi pare che quando il regno si formò, aveva nove milioni di capitale...

Voci a sinistra. Venti, venticinque!.

MINISTRO PER LE FINANZE. Adesso ne ha 27, quasi 28. Aveva 9 milioni, se sono esatte le statistiche che ho veduto,..

NICOTERA. Adesso ha quello che aveva nel 1866.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma parla di circolazione o parla di capitale proprio?

NUOTERÀ. Parlo di capitale.

MINISTRO PER LE FINANZE. Distinguiamo bene le due cose.

NICOTERA. Voi lo volete ammazzare.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ammazzare! Onorevole Nicotera, il Banco di Napoli guadagna intanto due bravi milionetti all'anno.

Vedo qui: rendita del corrente esercizio; è un dato che ha avuto la cortesia di comunicarmi adesso il mio collega il ministro Castagnola, il quale vedo con molto piacere che intende far pubblicare ogni mese le situazioni dei conti delle società e degl'istituti di credito agrario, ecc. Io non vorrei che mi credeste reo di mutua ammirazione, ma lasciatemi dire che il mio collega fa molto bene ad occuparsi di questo pubblicazioni, perché così potremo vedere tutto questo famoso soffocamento, questa uccisione di ogni sviluppo di credito che avviene in Italia.

Ebbene io trovo qui che il profitto del Banco di Napoli nel corrente esercizio è di lire 2,291,000; e siamo appena a metà dell'anno ! Ora, per un capitale di 25 milioni mi pare un profitto abbastanza considerevole. Se la Banca Nazionale continua in questo modo ad ammazzare il Banco di Napoli, davvero che esso prospererà e camperà più di noi. (Ilarità)

L'onorevole Maurogonato ha paragonato altri stabilimenti di credito colla Banca Nazionale ed ha dimostrato quale fosse questa modicità di lucri.

Mi pare di avere portato anch'io il mio granellino per diminuire di una misura non insignificante il lucro che si fa dalla Banca Nazionale, e se paragoniamo i suoi guadagni con quelli delle altre Banche, vediamo che esse non si trovano al disotto. Infatti io vedo che i guadagni conseguiti nel 1869 dalle trentasette principali Banche d'Inghilterra superano in media il 15 per cento del capitale versato, anzi dodici di queste Banche ebbero un interesse del 21, del 25 e via discorrendo. Non credo dunque che sia esagerato il lucro che si ottiene dalla Banca Nazionale.

Ma, si dice, e il monopolio? monopolio! Gran parola. Fortuna delle parole, dirò anch'io come l'onorevole Ferrara.

Io però vedo sorgere da tutte le parti stabilimenti di credito, Casse di sconto, Banche popolari. Credo che il mio collega farebbe anche bene a metterli per ordine di antichità questi istituti di credito, onde possiamo vedere ogni anno quante se ne sono andate facendo. Per quello che riguarda la mia esperienza personale, non conosco piccola città in cui, se non vi è ora uno stabilimento di credito, non si pensi ad istituirlo.

Altra volta si temeva a Firenze dagli azionisti della Banca Toscana che, venendo a Firenze la Banca Nazionale, la Banca Toscana dovesse cessare,

3570 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

non avesse più che a vendere il palazzo, e quanto gravi fossero le inquietudini lo so io che ho commesso quel grande, e, a quanto vedo, pare che si ritenga da parecchi non ancora espiato, delitto di avere trasferito la Banca Nazionale in Toscana; eppure io vedo che tutti questi mali non sono successi.

Io credo che la Banca Toscana, malgrado che sia venuta a Firenze la Banca Nazionale, continua a fare affari; ed anzi si sente così poco morta, che, come sapete, io avantieri vi presentai una domanda da essa fatta di accrescere il suo capitale da 10 milioni a nientemeno che 50 milioni; sentì così poco il monopolio della Banca Nazionale, che le pare di poter operare in una sfera d'azione cinque volte più grande di quella in cui sino ad oggi ha operato.

E notate, o signori, che in questo frattempo si creò a Firenze, per opera, credo, specialmente dell'onorevole Alvisi, una Banca del Popolo che ha non so se quattro o cinque milioni.

C'è poi una succursale, anzi una sede del Banco di Napoli: si sono istituiti altri stabilimenti di sconto, la Banca Anglo-Italiana, di Credito mobiliare, di Credito agricolo, di Credito provinciale, e non so quanti altri stabilimenti eretti dal nostro ci lega Servadio.

SERVADIO. Senza emissione però.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma però preoccupano il campo; per emettere della carta ci vuole uno scopo. Per esempio, il Banco di Napoli e la Banca Nazionale emettono carta. Io davvero quando sento a parlare di monopolio della Banca Nazionale, di monopolio bancario in Italia, non posso (la cosa è un po' arcadica), non pensare all'araba fenice del Metastasio,

Che vi sia ciascun lo dice,

Dove ila, nessun lo sa. (Ilarità)

Un altro scopo che si attribuisce alla convenzione, o signori, è quello di continuare questo stato di cose, per cui la Banca Nazionale dissangua il paese; sì, o signori, a fare delle operazioni di sconto di anticipazioni, di movimento di fondi si dissangua il paese.

Scopo della convenzione è la negazione di ogni riforma, di ogni passo che si voglia fare nel miglioramento delle nostre condizioni di cose rimpetto al credito, ed io, presentando un progetto di legge sulla libertà delle Banche, credeva di aver fatto una proposizione la quale avesse qualche valore, e che dovesse essere accolta con piacere da tutti coloro i quali, mentre parlano contro il monopolio, pretendono fare il monopolio della libertà delle Banche!

Invece io confesso, o signori, che per la mia conoscenza personale, sarò disgraziato, ma non conosco altro che una serie di stabilimenti i quali non domandano che di mettersi in regola con una legge la quale li autorizzi a fare le loro più o meno grandi, le loro più o meno piccole emissioni secondo le forze loro.

Conosco una serie, una democrazia di stabilimenti piccoli, i quali oggi hanno profittato, non dirò della libertà, ma dalla licenza che esiste, ed hanno in realtà fatto delle emissioni di carta fiduciaria, e notate bene che molti di questi stabilimenti si sono accinti ad accompagnare questa emissione di certe precauzioni che avranno immaginato, per esempio, investono in Buoni del Tesoro, tingono una contabilità distinta, e ve ne hanno di quelli che hanno il dipartimento dell'emissione separato dal dipartimento dello sconto, né più né meno come se fossero la Banca di Londra. Ebbene io vedo quegli stabilimenti ed una quantità di altri simili, i quali non domandano che una legge per operare alla sua ombra e in conformità di questa avere la facoltà di emettere della carta.

I monopolisti della libertà delle Banche ci dicono: finché c'è corso forzoso non si può fare una legge sulla libertà delle Banche; il perché, confesso che sarà proprio colpa del mio ottuso ingegno, non sono ancora arrivato a capirlo.

Quando io vedo che il fatto risolve certe questioni, quando vedo che, malgrado le vostre osservazioni che in un momento di corso forzoso non bisogna pensare a libertà di emissione, quando malgrado queste vostre osservazioni vedo tanti stabilimenti che col fatto emettono ed emettono carta con soddisfazione delle popolazioni, quasi quasi mi ricordo di quel filosofo il quale all'avversario che gli negava il moto, rispondeva camminando.

Insemina, o signori, io credo che la convenzione colla Banca presentata dal Ministero, non sia attaccabile per le ragioni che avete udite. Non è vero, per quello che io capisco, che questa convenzione attribuisca una corrisponsione indebita sotto ogni punto di vista alla Banca, come diceva l'onorevole Ferrara; non credo, anzi sono convinto del contrario, che questa convenzione abbia, non dirò il proposito, ma che abbia per effetto di ritardare la cessazione del corso forzoso.

Questa convenzione stabilisce un modo di applicare una data somma ad una diminuzione del corso forzoso, fino a quando venissero migliori circostanze, oppure il Parlamento potesse disporre di altri mezzi per consacrare ad una più sollecita e, se volete, ad una totale estinzione del corso forzoso. La convenzione davvero non vi toglie in nulla cotesta facoltà.

Che poi la convenzione sia la negazione di ogni riforma, sia un monopolio, abbia per effetto di far ti che la Banca dissangui il paese e soffochi il movimento economico dello stesso, confesso, signori, che io avrò veramente una benda agli occhi, ma di tutto questo non so veder la ragione.

Signori, capisco la grande invidia, non dico qui dentro la Camera, ma la grande invidia di cui la Banca è oggetto, la capisco, ma vogliate un momento considerare la storia della Banca. La Banca nacque a Genova, fu uno stabilimento puramente genovese. Il conte di Cavour disse: giova avere una Banca che operi sulla superficie di tutto il regno subalpino;

3571 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

e la Banca non esitò dal cessare di essere genovese e diventò torinese alla sede centrale subalpina alla periferia.

Un giorno il conte di Cavour invitò una Banca, di cui non dirò il nome, ad estendere la sua azione ad una provincia che non era compresa nella cerchia dell'antico regno in cui questa Banca operava, e questa Banca non credette di dovere arrischiare i suoi capitali andando in quell'altra provincia.

Voi vedete che appena una provincia era libera dalle antiche dominazioni, la Banca tosto recavasi a sollecitare il ministro delle finanze. Ma io l'ho già detto altra volta: sono i ministri delle finanze, e forse avranno avuto torto, saranno da lapidarsi, lapidateci, ma sono essi che hanno creduto che fosse utile, nelle condizioni in cui era l'Italia, avere un istituto che operasse su tutta la superficie del regno. Avremo avuto torto, biasimateci, condannateci; ma, signori, considerate quale fu l'intendimento. Un oratore diceva, avanti ieri, che davvero non si aspettava di vedere rimpicciolire le questioni di Banca, riducendole a questioni di movimenti di fondi, come se queste questioni di Banca fossero una lingua che non s'intenda, fossero cosa inaccessibile agli occhi di noi miseri volgari.

Come! Impicciolite questo questioni, riducendole a considerazioni di movimenti di fondi? Ma io ho sempre creduto che la prima condizione di ogni cambio di merci e di commercio fosse quella di aver modo per una parte di mandare le merci e per l'altra di mandare il prezzo della medesime. Ora se si crede che sia una cosa da poco il ridurre il costo della trasmissione dei fondi da ciò che era prima per talune provincie a ciò che è oggi, confesso che anche qui io debbo avere una benda agli occhi; perché a me pare essere stato questo tra vantaggio veramente capitale per accelerare i commerci in Italia.

La Banca, venendo la capitale a Firenze, fu da me sollecitata a seguirla. Signori, qualche volta ho sentito dire, ed ho letto anche più che certe simpatie si capiscono, che gli azionisti sono piemontesi, e cose simili.

Se io avessi voluto tenere una condotta piemontese in questo fatto, se fossi stato guidato dal proposito di conservare popolarità a Torino, io avrei detto alla Banca: guardatevi bene dal muovere da Torino, state lì. Provino gli onorevoli oppositori a dire al Banco di Napoli che porti via la sua sede da quella città e la trasporti a Firenze, e me ne sapranno dare qualche notizia.

NICOTERA. Lo sarà, quando lo mettiate nella condizione della Banca Nazionale. Sono giuochi di parole.

MINISTRO PER LE FINANZE. Siccome l'onorevole Ferrara vi ha insegnato il modo di abolire hic et nunc il corso forzoso, vuol dire che vedremo presto anche la realizzazione di questa parte del programma del partito dell'avvenire. (Ilarità)

Tornando al mio argomento, io capisco tutte queste ire, tutte queste passioni, ma non credo che meriti ciò un istituto privato, il principale istituto di credito che abbiamo nel paese.

ASPRONI. Che diventa lo Stato!

MINISTRO PER LE FINANZE. Se l'onorevole Di San Donato non si sente più libero, come deputato, per la esistenza della Banca Nazionale, io mi sento liberissimo per il Banco di Napoli e per la Banca Nazionale...

Una voce. Non ne ho mai dubitato!

MINISTRO PER LE FINANZE... come per qualunque stabilimento di credito che vi sia in Italia.

DI SAN DONATO. Non so perché si rivolga a me; perdoni, ma se le fa comodo...

PRESIDENTE. È dell'onorevole Asproni l'interruzione.

MINISTRO PER LE FINANZE. Mi scusi l'onorevole Di San Donato, mi venne un'interruzione da quella parte: ora sento che venne dall'onorevole Asproni e a lui faccio la girata della risposta. (Si ride)

PRESIDENTE. Il miglior sistema è quello di non interrompere.

MINISTRO PER LE FINANZE. Sì, e così si fa più presto.

Io credo che la convenzione colla Banca non meriti queste accuse, e che possa venire accolta con piena tranquillità di coscienza dalla Camera, imperocché, non avendo cattivi effetti economici, avrà molti buoni effetti finanziari, soprattutto nei momenti in cui siamo.

L'onorevole Ferrara vuole l'abolizione del corso forzoso lì per lì; la Camera ricorderà il suo progetto di legge del 1867, che era un semplice articolo primo ed unico:

«A partire dal 1 gennaio 1868 il corso forzoso o abolito.» (Si ride)

Se fosse possibile, plaudirei anch'io; ma mancavano gli altri articoli per cui fosse indicata la possibilità di attuare il concetto contenuto in quell'articolo.

Adesso dice l'onorevole Ferrara: «Recipe carta governativa,» ed eccoti il corso forzoso è bell'e abolito ! (Si ride) Sarà!

Io non credo che convenga entrare nel sistema della carta governativa, no. Io non voglio calunniarla, né permettermi di criticare neppure (veda l'onorevole Ferrara) quelli che la sostengono; io mi dichiaro pieno di rispetto verso questa opinione contraria alla mia e verso coloro che l'hanno.

Ma io faccio qui una confessione plenaria, io mi rassegno perfino, o signori, alla parte di idiota che mi fa l'onorevole professore Ferrara; io mi rassegno a questo idiotismo economico di credere che, nelle circostanze attuali, non convenga fare il passo che egli propone, di cambiare la circolazione fiduciaria che esiste in Italia per adottate quella che egli vorrebbe.

3572 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

GHINOSI. Ed è pur fiduciaria.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma, tra corso forzoso e circolazione...

CRISPI. Si vede che non è economista.

PRESIDENTE. Ma non interrompano.

MINISTRO PER LE FINANZE. Eh! Anche i maestri qualche piccolo errore lo fanno.

CRISPI. Non così grossi però.

PRESIDENTE. È questione di apprezzamento.

MINISTRO PER LE FINANZE. È questione di apprezzamento, prendo l'interpretazione dell'onorevole presidente. (Si ride)

Signori, quando io scorgo un paese come il nostro, col bilancio che ha, colla quantità di carta che tiene in circolazione, e vedo l'aggio (lasciamo stare l'aggio di oggi, perché resta almeno a disputarsi qual sarebbe quando vi fosse la carta governativa; ma non voglio dire nulla contro la carta governativa), vedo l'aggio che aveva qualche tempo fa del 2 per cento; quando considero gli aggi di altri paesi, per esempio, degli Stati Uniti e dell'Austria, di cui ci avete parlato con favore, e considero i loro bilanci che sono in condizioni così immensamente migliori delle condizioni del nostro; ebbene, a parte ogni questione teorica, scientifica, accademica, io sono pronto ad abbruciare il mio grano d'incenso ai dotti; ma dico che non prendo sopra di me la responsabilità di cambiare questa condizione di cose.

Voi volete abolire così presto il corso forzoso! Ma il corso forzoso bisogna pure abolirlo, facendo sì che alla carta si sostituisca il metallo a giuoco finito, salvo quella parte di carta che sarebbe in circolazione come fiduciaria.

Ora, signori, voi che credete intollerabile l'attuale stato di cose, che volete procedere albi cessazione del corso forzoso, ma perché prendere la responsabilità di un cambiamento di assetto a questa circolazione, come oggi l'abbiamo? E questa responsabilità la vorreste prendere in questi momenti?

L'onorevole Ferrara ha fatto appello alla mia coscienza; egli ha detto pensateci bene! non continuate in questo sistema, in cui siete, che vi porterà a conseguenze funeste, specialmente nelle condizioni gravissime in cui versiamo.

lo non voglio, ripeto, combattere l'opinione dell'onorevole Ferrara, però non posso non guardarmi un tantino attorno.

L'onorevole Ferrara dice che l'Italia è invasa d» sgomento della carta governativa e di un Ministero Rattazzi, o almeno che si cerca di spaventare l'Italia con questo duplice spettro, carta governativa e Ministero Rattazzi.

FERRARA. Ho detto che in certa stampa si legge continuamente che la sinistra minaccia il paese di questi due flagelli, carta governativa e Ministero Rattazzi.

Non ho d'uopo di accennare di quali giornali si tratta.

MINISTRO PER LE FINANZE. Io capisco che sia comodo di dire, le manifestazioni delle Camere di commercio non sono genuine, le opinioni di questo o di quell'altro sopra questo argomento non hanno valore, perché gente infeudata alla Banca. Ma, onorevole Ferrara, io potrei citare tutti quelli che conosco che sono fuori della politica, e per niente infeudati alla Banca, che non hanno nemmeno azioni della Banca, poiché pare a taluno che l'aver azioni della Banca non rendesse più un italiano uguale ad un altro.

Ebbene, signori, io non ho udito che una voce sola. Per carità, non toccate la condizione attuale delle cose! Sarà un pregiudizio, mi dirà l'onorevole Ferrara; avranno torto; egli potrà dimostrar loro scientificamente che sono idioti (come diceva poco fa), è possibile, ma io so che in questioni di fiducia, in questioni di credito, non si fa la dimostrazione della fiducia, non s'impone; non vale un bel discorso per ispirare la fiducia: quindi, per parte mia, non posso entrare nell'ordine d'idee dell'onorevole Ferrara. Se si deve entrarvi, v'entrino coloro che ne sono persuasi, io sono nei miei convincimenti assolutamente agli antipodi da sistemi di questo genere.

Ma, dice l'onorevole Ferrara, sospendete la questione; sospendiamo l'esame, vediamo, non fate decidere una questione di questa natura, nella quale io vedo tanti malanni. Ebbene, signori, io invece pregherò la Camera di accelerare il più che può la sua deliberazione sopra questo argomento, imperocché le condizioni delle principali piazze italiane, mi duole il dirlo, sono allarmanti. Io non dico questo, o signori, per far pressione sopra di voi, perché votiate...

NICOTERA. Proveremo che la convenzione è peggiore.

MINISTRO PER LE FINANZE. L'onorevole Nicotera dice che può dimostrare che la convenzione peggiora la condizione delle cose.

PLUTINO AGOSTINO. Facciamo presto.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ebbene, peggiori o migliori, abbiamo ognuno la propria opinione; di una sola cosa vi prego: o convenzione con la Banca, o carta governativa, ma... (Rumori a sinistra)

NICOTERA. Né l'una né l'altra.

MINISTRO PER LE FINANZE. Allora, signori, guardiamo di avere almeno, una cosa, almeno la convenzione con la Banca; imperocché mi pare che i nostri colleghi, i quali seggono da quella parte (Accennando a sinistra) non sono nemmeno d'accordo intorno alla carta governativa. Io credeva che in questo fossero unanimi, e dicevo: vediamo, sono due sistemi contrari, schieriamoci, e si decida.

Io mi permetto del resto di pregare che quel partito che si vuol prendere, lo si prenda presto. Circa alla gravita della condizione delle cose,

3573 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

credo che siamo tutti d'accordo, tutti sapete abbastanza come vanno gli affari per tenere in conto la mia viva raccomandazione, la mia stringente preghiera. Decidiamo: o carta governativa o quell'altra cosa che vorrà l'onorevole Nicotera, egli lo dirà, o la convenzione colla Banca. Ma bisogna decidere. Badate che il paese non ci ricordi il Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. (Segni di viva approvazione a destra ed al centro)

PRESIDENTE. L'onorevole Ferrara ha chiesto la parala per un fatto personale, ma panni che non abbia ragione di essere.

Anche l'onorevole Rattazzi ha chiesto di parlare per un fatto personale.

RATTAZZI. Sarò brevissimo: imiterò l'esempio dell'onorevole ministro il quali, per far presto, parmi che non abbia risposto all'onorevole Ferrara; io non mi dorrò che l'onorevole Sella abbia voluto tiranni in iscena. Dovendo rispondere al discorso del mio amico il deputato Ferrara, non poteva a meno di trovarsi grandemente imbarazzato per distrarre gli argomenti che furono addotti contro il suo progetto di convenzione colla Banca: probabilmente ha creduto di potersi salvare scaricando una parte delle censure sopra di me. Questo artifizio però non può giovargli, e mi permetta la Camera che in breve io dimostri la diversità che passa tra l'operazione da me fatta nel 1867 e la convenzione che oggidì l'onorevole Sella ci ha presentato.

Lascio, o signori, in disparte le circostanze straordinarie nelle quali quell'operazione si è compiuta; ricordi la Camera che fu sottoscritta il 15 ottobre, pochi giorni prima che io rassegnassi il potere, fu fatta in un momento in cui il paese era vivamente agitato, in cui non era possibile di mandare ad effetto l'impegno che io stesso aveva preso innanzi al Parlamento (e pel cui adempimento ogni cosa era già da me predisposta) di alienare le obbligazioni dei beni ecclesiastici per pubblica sottoscrizione.

In quei giorni era pure indispensabile il provvedere anche ai pagamenti degl'interessi che scadevano il 31 dicembre, inviando la somma occorrente in Parigi, ed inviandola in oro sonante. Ognuno vede pertanto che in sì gravi condizioni ed in mezzo a fante strettezze, quando pure vi fosse stato alcun che di meno conveniente nella operazione conchiusa colla Banca, il Ministero d'allora non potrebbe esserne rimproverato. E del pari l'onorevole Sella non potrebbe oggidì invocare la stessa operazione, che costituisce un fatto eccezionale compiuto in circostanza straordinarie per addurlo come esempio e come legittima giustificazione della sua convenzione, la quale, quando pure presentasse gli stessi caratteri, non è consigliata da ragione alcuna d'urgenza e venne proposta in circostanze perfettamente normali. Ma non mi varrò di questo argomento. Amo meglio mettere in piena luce l'intrinseca e sostanziale differenza delle due operazioni. Che cosa si fece nel 1867?

In quell'anno mi trovava dinanzi alla Banca, la quale già era legalmente investita ed in possesso del monopolio del corso forzato, di quel monopolio che il signor ministro, non sapendo come rispondere all'onorevole Ferrara, finse di confondere col monopolio dell'emissione o dello sconto, quando invece evidentemente il deputato Ferrara in tutto il suo discorso aveva inteso di parlare, e parlò del monopolio di battere moneta con carta. Ero, dico, a fronte della Banca posseditrice di questo monopolio, il quale le era stato concesso dal decreto legislativo del 1866.

Ed a me, o signori, non apparteneva il diritto e non competevano i mezzi per distrarre o solo in qualche parte modificarlo, poiché dall'un canto io non potevo esercitare il potere legislativo; dall'altro mi mancava, stante l'urgenza, il tempo per presentarmi innanzi al Parlamento per chiedere speciali facoltà, le quali mi permettessero di trattare in altro modo ed a condizioni più vantaggiose. Io non poteva valermi, rimpetto anche alla Banca, salvo di quei mezzi che erano consentiti al potere esecutivo, e fra questi mezzi non v'era certamente quello di mutare o modificare la disposizione legislativa, in forza della quale la Banca aveva il diritto esclusivo di coniare moneta a piacimento, ossia di emettere biglietti a corso coatto ed incontrovertibili. In altri termini, io mi trovava al cospetto della Banca nella stessa condizione in cui poteva trovarsi qualunque privato, il quale, avendo bisogno d'una somma, si rivolge ad essa per procacciarsela; ed io perciò mi trovavo costretto a trattare e dovevo rassegnarmi ad essere trattato nello stesso modo con cui poteva essere trattato un privato.

Ma l'onorevole ministro Sella è posto oggidì, chiedendo l'approvazione al Parlamento del suo progetto, in altre e ben più vantaggiose condizioni. Egli può fare assegnamento così, non solo sopra le facoltà proprie del potere esecutivo, ma eziandio sopra quelle assai maggiori che appartengono al Parlamento. Egli può proporre che siano o tolte o modificate le disposizioni della legge del 1866, colle quali fu attribuito alla Banca il monopolio del corso forzoso; ed ognuno comprende che, valendosi di un simile diritto, ha in mano un mezzo assai potente ed efficace p r indurre la Banca a patti più equi e men duri. Ognuno deve riconoscere che, trovandomi io nella condizione testa accennata, ero necessariamente costretto a concedere un qualche correspettivo alla Banca per la somma che chiedevo in anticipazione; poiché, se io a ciò non avessi consentito, essa era perfettamente nel suo diritto negandomi la somma di cui il Governo aveva bisogno; né mi rimaneva alcun mezzo diretto od indiretto per astringerla a concedere quella anticipazioni.

Eppure, o signori, malgrado questa situazione, quali sono i corrispettivi che furono dati alla Banca in quella operazione? L'onorevole Sella ve li ha ricordati. Per 40 milioni non si corrispondeva verun interesse, per i rimanenti 60 si prometteva l'uno e mezzo per cento.

3574 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ora si ripartisca quest'uno e mezzo applicato ai 60 milioni sopra tutta la somma dei 100 e si vedrà che il vero interesse convenuto non era né più né meno di 90 centesimi per 100, come io aveva indicato.

Mi si dice che questo non era il solo compenso convenuto, perché si erano pur anco riméssi i Buoni del Tesoro per 40 milioni, i quali dovevano servire di riserva. Ma, o signori, e l'onorevole Sella che cosa propone colla sua convenzione? Egli non propone è vero di fornire alla Banca la riserva o con Buoni o con danaro, ma scioglie più facilmente ogni difficoltà, propone di liberare la Banca dell'obbligo della riserva stessa, il che, rispetto alla Banca, torna perfettamente allo stesso; per la qual cosa non può dirsi che egli abbia ottenuta in questa parte una condizione più favorevole. Né si potrebbe addurre che la riserva sia per la proposta convenzione divenuta inutile; poiché con essa si somministra la garanzia delle obbligazioni dei beni ecclesiastici; imperocché, se ciò mi obiettasse, potrei osservare che nella tornata di ieri l'altro l'onorevole Maurogonato mi faceva perfino censura perché avessi io pure consentita una garanzia e l'avessi anzi conceduta maggiore di quella consentita dall'onorevole Sella; dal che risulta che anche in questo senso non ci sarebbe divario di condizioni.

È chiaro pertanto che, mentre io mi trovava in una situazione diversa da quella dell'onorevole Sella, la mia operazione però si fece a condizioni non meno vantaggiose di quelle che ora ci sono proposte.

Ma v'ha di più, o signori; vi ha una differenza intrinseca ed essenzialissima fra l'una e l'altra di queste operazioni. Quella del 1867 era semplicemente provvisoria e non imponeva al Governo vincolo alcuno. A questo rimaneva sempre salvo ed illeso il diritto di farla risolvere all'istante e sì tosto che le condizioni politiche del paese avessero permesso di esporre ad una pubblica sottoscrizione la vendita delle obbligazioni ecclesiastiche. Ed era appunto perché serbava nell'animo mio il proposito di mandare ad effetto questa sottoscrizione al primo momento in cui le circostanze l'avessero consentito, che io mi risolsi al partito di appigliarmi a quell'operazione, la quale mi lasciava perfettamente libere le mani e non mi imponeva vincolo di sorta. Io non stipulava propriamente alcuna convenzione, in forza della quale mi sottoponessi a qualsiasi condizione; io non confondeva insieme il debito di 250 milioni portato colla legge della creazione del corso forzato, come verrebbe a fare l'onorevole Sella col suo progetto di convenzione; io non aveva uniti i 100 milioni al rimanente, come egli li unisce, riunendo e confondendo insieme tutto il debito è formando una sola ed intiera somma di 500 milioni.

E di più, o signori, se anche non si fosse voluto aprire quella vendita per pubblica soscrizione, la quale non so perché non siasi promossa dall'amministrazione che nello stesso mese di ottobre mi è succeduto,

se anche si fosse soltanto lasciato che l'operazione naturalmente si compiesse e non fossero in appresso intervenuti altri patti, ebbene, anche in questo caso, oggidì ed anche prima d'ora i 100 milioni dovuti alla Banca si sarebbero soddisfatti, e qualsiasi traccia o conseguenza di quell'operazione sarebbe interamente scomparsa, e l'onorevole Sella troverebbe 100 milioni di meno nel debito che lo Stato ha verso la Banca. Sarebbe, dico, interamente scomparsa, perché le alienazioni che dal 1867 in poi si fecero rispetto alle obbligazioni dei beni ecclesiastici rilevano ad una somma ben maggiore di 200 milioni, e così sono più che sufficienti per estinguere i 100 che la Banca aveva forniti in anticipazioni; e se questa estinzione non ebbe luogo, si è perché con posteriore convenzione si stabilì che il prezzo delle obbligazioni, anziché rimanere presso la Banca in soddisfazione della somma da essa anticipata, dovette versarsi nelle casse dello Stato; ed anzi, mentre una parte dello stesso prezzo si era già applicata a siffatta soddisfazione, in conformità di ciò che erasi pattuito nel 1867, il prezzo medesimo, in virtù di una nuova convenzione, fu ritolto dalle casse della Banca e passò nelle casse dello Stato.

Dunque, signori, il fatto che esiste oggidì, non è più quello che venne creato coll'operazione del 1867, ma è la conseguenza di quell'operazione posteriore che si fece, e che, se non fosse intervenuta, lo ripeto, i 100 milioni sarebbero a quest'ora intieramente soddisfatti.

Vede dunque l'onorevole Sella che nulla hanno di comune lo due operazioni; che quella del 1867 è assolutamente e per carattere e per iscopo diversa da quella che si contiene nel progetto di convenzione che oggidì egli presenta, nel quale progetto egli mette insieme i 250 milioni della creazione del prestito forzoso ed i 100 milioni del 1867, mutando interamente l'indole di questo debito.

E ciò, o signori, che più monta, egli vi aggiunge i 122 milioni, formando un complessivo debito di 500 milioni; e dopo di aver creato questo unico e gravissimo debito, non esita a consegnare in mano alla Banca le obbligazioni dei beni ecclesiastici con patti e condizioni tali, che costituiscono la Banca arbitra assoluta di far continuare a piacimento il corso forzato, e che se venissero dal Parlamento approvate, egli è evidente che non sarebbe possibile di far cessare questo corso coatto, non dico, in cinque o dieci anni, ma nemmeno prima di venti o venticinque.

Per conseguenza, se le censure che fece l'onorevole Ferrara al progetto di convenzione possa meritarle anche io per quell'operazione, ne lascio giudice la Camera ed il paese. (Bene I a sinistra)

MINISTRO PER LE FINANZE. Prima di affermare così esplicitamente, come fa l'onorevole Rattazzi, che la sua operazione nulla ha di comune con questa convenzione, mi si permetta di leggere alcune poche parole:

3575 - TORNATA DEL 21 LUGLIO 1870

«11 ministro delle finanze incarica la Banca Nazionale nel Regno d'Italia della vendita dei titoli creati dalla legge del 15 agosto passato ristrettivsmente però alla somma di 250 milioni, valor nominale.»

Mi pare che c'è già un gran punto comune. Noi mettiamo 343 milioni.

RATTAZZI Legga tutto.

MINISTRO PER LE FINANZE. Leggerò anche il resto:

«La Banca Nazionale farà al Governo l'anticipazione di 100,000,000 di lire contro deposito delle suddette obbligazioni pel valore di 150 milioni nominali.»

E noi prendiamo 122 milioni con un deposito di obbligazioni precisamente nella ragione di 150 milioni.

NICOTERA. Suggerimento di Maurogonato. (Ilarità a sinistra)

PRESIDENTE. Non interrompano.

MINISTRO PER LE FINANZE. «L'anticipazione dei suddetti 100 milioni verrà eseguita nel modo qui sotto indicato:

«Quaranta milioni, somma pagata dalla Banca senza interessi sulla consegna che le sarà fatta dal Tesoro d'una somma corrispondente in vaglia del Tesoro, pagabili in numerario sulle tesorerie dello Stato.»

Awi qui una differenza fi a l'onorevole Rattazzi e me; io piglio dalla Banca 50 milioni in oro ed egli da alla Banca 40 milioni di vaglia pagabili in oro nelle tesorerie.

«Per gli altri 60 milioni di lire (continua la convenzione Rattazzi) la direzione generale della Banca Nazionale aprirà al Tesoro un conto corrente, di cui si varrà a seconda dei bisogni; e per le somme avute in anticipazione il Tesoro corrisponderà alla Banca l'interesse dell'1 e mezzo per cento all'anno.» (Rumori a sinistra)

Voci a destra. Lasciate parlare.

CRISPI. Neanche in tribunale si fa una citazione così.

PRESIDENTE. Non interrompano.

MINISTRO PERLE FINANZE. Signori, erano dati alla Banca 250 milioni; i primi 100 milioni si vendevano per conto dello Stat;-, e finché questi non erano venduti e 1 incassati, il debito verso la Banca non diminuiva: poi cominciava l'estinzione del debito.

Ora, per noi, il giorno dopo che la convenzione sarà ammessa, ogni obbligazione che sarà dalla Banca venduta, sarà venduta a titolo d'estinzione del debito dello Stato verso la Banca; non c'è nemmeno quel cuscino, quell'elastico di 100 milioni d'obbligazioni che l'onorevole Rattazzi aveva messo nella sua convenzione, prima che cominciasse l'estinzione del debito dello Stato verso la Banca. (Ilarità)

RATTAZZI. Domando la parola.

MINISTRO PER LE FINANZE. Mi pare quindi che non si possa dire veramente che non c'è nulla di comune tra la convenzione dell'onorevole Rattazzi e quella di cui oggi si tratta.

PRESIDENTE. L'onorevole Rattazzi ha facoltà di parlare.

Voci a destra. Basta! Basta! (Rumori)

PRESIDENTE. Permettano, l'onorevole Rattazzi ha diritto di rispondere.

RATTAZZI. L'onorevole Sella, dopo avere fatto delle citazioni della convenzione del 1867 monche e dimezzate, osservò che, anche secondo la stessa convenzione, il debito doveva estinguersi col prezzo delle obbligazioni, come si è pure proposto col suo progetto di convenzione, e che perciò non awi in questo differenza alcuna tra le due operazioni.

Ma, o signori, altro era estinguere un debito di 100 milioni, altro quello di 500, come lo sarebbe oggidì pei 250 e pei 100 e pei 122 che tutti si vorrebbero unire insieme.

Altro era nel 1867 fare assegnamento sul prezzo delle obbligazioni dei beni ecclesiastici, altro è farlo oggidì, perché allora erano le prime obbligazioni che si alienavano, e colla loro vendita si spingeva pure l'alienazione dei beni; al che ora non si pensa né punto né poco. Del resto l'onorevole ministro avrebbe dovuto rispondere, e non ha risposto, all'altro argomento; non rispose se sia vero oppur no che vi erano già alcuni milioni nelle casse della Banca per l'estinzione del debito dei 100 milioni, e che questi milioni ritornarono nelle casse dello Stato, in forza di una nuova convenzione; non rispose nemmeno se sia vero o no che all'ora in cui siamo quei 100 milioni sarebbero intieramente soddisfatti, se nuovi patti non fossero intervenuti. Il di lui silenzio, signori, dimostra essere questa una verità incontestabile, e spiega ad un tempo con quanta ragione ed opportunità si voglia ora invocare l'operazione del 1867, quando la medesima più non esiste, ed il debito dei 100 milioni deve attribuirsi a posteriori contratti, ai quali non ho io certamente presa la menoma parte.

PRESIDENTE. Interrogo la Commissione se intenda valersi del diritto di parlare prima della chiusura.

MINGHETTI. Domani al principio della seduta o dopo lo svolgimento degli emendamenti.

MINISTRO PER LE FINANZE. Certamente tutti convengono che vi è necessità di far presto, e d'impiegar bene il tempo.

3676 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Io comprendo che la Commissione intenda replicare, ma io la pregherei di riservarci a rispondere dopo lo svolgimento dei controprogetti e degli emendamenti. Nella urgenza di deliberare siamo tutti d'accordo, tanto a destra che a sinistra.

MINGHETTI. Quando nessun altro voglia parlare mi riservo di ciò Care domani in principio di sedata.

PRESIDENTE. Sta bene.

PRESENTAZIONE DI UNA RELAZIONE.

PRESIDENTE. L'onorevole Maldini ha la parola per presentare due relazioni.

MALDINI, relatore. Ho l'onore di presentare la relazione sul progetto di legge intorno allo stanziamento di fondi per complemento di lavori alla Spezia, 6 su quella per cessione al municipio di Genova dell'arsenale marittimo, e della foce.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

La seduta è levata alle ore 6 e 7 minuti.

Ordine del giorno per la tornata di domani :

Seguito della discussione del progetto di legge relativo alla convenzione colla Banca Nazionale.


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3677 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE AVVOCATO GIUSEPPE BIANCHERI.

SOMMARIO. Atti diversi. = Seguito della discussione dello schema di legge per l'approvazione di una convenzione colla Banca Nazionale - Discorso del deputato Minghetti in risposta ad alcuni opponenti alla convenzione - Osservagli del deputato De Cardenas - Svolgimento di un voto motivato del deputato Avitabile,che è combattuto dal ministro per le finanze - Svolgimento delle proposte dei deputati Corte, Catucci, Nicotera, Romano, Asproni, e Sineo. = Presentazione delle relazioni sui progetti di legge: ripartizione dell'imposta fondiaria nel compartimento ligure-piemontese; esonera dal dazio di esportazione per gli abitanti tra il confine e la linea doganale; disposizioni organiche sulle spese per opere idrauliche; approvazione degli elenchi delle opere idrauliche di due categorie. = Svolgimenti delle controproposte di legge dei deputati Servadio, Maiorana Calatabiano, Mellana e Alippi - Proposta del deputato Sanminiatelli - II relatore Chiaves e il ministro si oppongono ai voti motivati ed ai controprogetti e chieggono si passi sovra essi all'ordine del giorno, il quale è approvato a votazione nominale.

La seduta è aperta a mezzogiorno.

FOSSA, segretario, da lettura del processo verbale della tornata antecedente, il quale è approvato; indispone il sunto delle seguenti petizioni:

13,378. Il municipio di Tonile appoggia la petizione della Giunta comunale di Spezia per la concessione dell'esercizio delle ferrovia littoranea ligure alla società dell'Alta Italia e per l'obbligo alla medesima della costruzione della linea Parma, Pontremoli, Borgotaro, Spezia.

13,379.1 sindaci dei mandamenti più produttivi della provincia di Como rassegnano alle considerazioni del Parlamento una proposta relativa ad una nuova combinazione ferroviaria pel valico alpino, che promette un risparmio di 20 milioni nella sola costruzione della rete d'accesso al Gottardo.

13.380. Le Giunte municipali di Masone, Bavari, Pieve di Sori, Molammo, Cagligliene Chiavarese fanno adesione alle istanze della deputazione provinciale e Camera di commercio di Genova, perché l'esercizio delle ferrovie liguri non venga affidato alla società dell'Alta Italia, ma ordinato in servizio separato.

13.381. La deputazione provinciale di Reggio nell'Emilia sottomette alla Camera varie considerazioni tendenti a dimostrare che il tronco di strada ferrata da Mentova a Reggio debba essere preferito ad ogni altra combinazione ideata per congiungere Mantova all'Italia centrale.

ATTI DIVERSI.

CAGNOLA CARLO. Desidererei piacesse alla Camera decretare l'urgenza per la petizione con brodi stinta col

n 13,379. Essa, come la Camera ha inteso, si collega col progetto di legge sul valico alpino; quindi chiederei che fosse trasmessa a quella Commissione che sarà nominata per riferire su questa legge, perché la tenga in considerazione e ne riferisca a suo tempo.

(La Camera acconsente.)

FORNACIARI. Colla petizione n° 13,381 la deputazione provinciale di Reggio nell'Emilia sottopone alla Camera molte gravi considerazioni in favore del progetto di ferrovia da Reggio a Mantova e contro la convenzione stipulata nel 26 ottobre 1868 fra il ministro dei lavori pubblici ed una società di speculatori per la costruzione di una ferrovia tra Modena e Mantova. Io prego la Camera a voler accordare l'urgenza su questa petizione, e trasmetterla alla Commissione incaricata di riferire sul progetto di legge per le convenzioni ferroviarie.

(La Camera acconsente.)

PRESIDENTE. Per motivi di salute l'onorevole Rastelli chiede un congedo di otto giorni.

Per ragioni dì famiglia l'onorevole Marcello chiede un congedo di dieci giorni.

(Cotesti congedi sono accordati.)

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DELLO SCHEMA DI LEGGE PER L'APPROVAZIONE DI UNA CONVENZIONE COLLA BANCA.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge relativo alla convenzione colla Banca Nazionale.

L'onorevole Minghetti ha facoltà di parlare a nome della Commissione.


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3578 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

[Discorso del deputato Minghetti in risposta ad alcuni opponenti alla convenzione]

MINGHETTI. La Giunta, la quale ebbe l'incarico di riferire alla Camera intorno a questo progetto di legge sperava, dopo il discorso dell'onorevole Maurogonato, di non dover più interloquire. Le pareva che, avendo egli largamente e profondamente discussa la materia, avesse per avventura dileguato dagli animi ogni dubbiezza. Ma l'onorevole Ferrara, entrando colla sua dottrina e colla sua facondia nell'arringo, ha fatto una lunga ed elaborata orazione, la quale obbliga la Giunta a rompere il silenzio ed a rispondere ad alcuni suoi appunti.

L'onorevole Ferrara si è lagnato al principio del suo discorso che nella questione che si tratta siasi infiltrato lo spirito di parte, che le passioni politiche l'abbiano perturbata, e che manchi quella serenità e quella calma, la quale in problemi siffatti dovrebbe pur sempre conservarsi.

Io credo che egli abbia grandemente ragione, ma mi duole che non abbia seguito i precetti che lodava, mostrando quanto sia difficile vincere sé medesimo. Io cercherò di esservi più fedele, e mi sforzerò eziandio di servire alla brevità, poiché in questo momento sarebbe inopportuno stendersi in lunghi discorsi, e le condizioni dei tempi che corrono e quelle perfino dell'ora e della stagione mi costringono a brevità.

La tesi dell'onorevole Ferrara si divide in due parti che hanno occupato due giorni la vostra attenzione: nella prima parte egli ha preteso di dimostrare che il Governo col presente contratto da alla Banca un lucro ingiusto e smodato; nella seconda parte ha preteso di dimostrare la convenienza che il Governo emetta per conto proprio una carta moneta.

Perché il lucro o premio che il Governo ha accordato alla Banca è ingiusto e smodato? Codesto premio era maggiore e scema di due milioni per questo contratto, e nondimeno rimane ingiusto e smodato. E perché? Perché, risponde l'onorevole Ferrara, non vi è mutuo, né poteva esservi; solo il pubblico è creditore, e la garanzia e il valore dei biglietti che circolano sta nel decreto che statuì il corso forzoso o, come dicesi, la loro inconvertibilità.

Noi non possiamo accettare né le teoriche giuridiche né le teoriche economiche svolte dall'onorevole Ferrara.

Perché non vi è mutuo? Perché, dice l'onorevole Ferrara, manca la res eredita, perché non vi è la tradizione materiale della cosa fungibile, nel caso presente, la tradizione materiale dell'oro e dell'argento.

Ma, per verità, come mai l'onorevole Ferrara poteva fermarsi a questo speciale carattere, in mezzo al grande sviluppo delle transazioni moderne? Quel giorno in cui fu stilata una cambiale, e che questa cambiale fu girata, quel giorno il mutuo poté compiersi senza bisogno delle tradizioni materiali dell'oro e dell'argento.

Lasciamo per ora in disparte il corso forzoso, ne parlerò fra breve. Supponiamo lo stato normale della circolazione e del credito. Quando un istituto da una quantità dei suoi biglietti ad un commerciante, non fa esso un mutuo al medesimo? Quando un banchiere apre un conto corrente ad un privato, sino ad una data somma, e lo fornisce di un libretto di assegni, di mandati, chéques, e quando questi ne fa uso, non riceve egli un mutuo? Ed il credito fondiario, quando da le sue cartelle, non le da a titolo di mutuo?

La numerosa schiera di titoli rappresentativi, che oggi circola nel mondo, nelle transazioni commerciali può esser materia di mutuo, tiene luogo dell'oro e dell'argento, perché ha luogo una tradizione simbolica, la quale non è meno giuridica né meno efficace.

Ma, dice l'onorevole Ferrara, il vero creditore non è la Banca, è il pubblico. Certo sì, è il pubblico, ossia il portatore dti biglietti, e ciò è tanto vero che, se voi prendete la situazione di qualsivoglia Banca, voi trovate nella colonna del passivo biglietti in circolazione. La Banca dunque dichiara di avere un debito verso i portatori dei biglietti. E questo a chi ben guardi è nella natura di tutti gli istituti di credito, i quali non fanno altro, se non che essere intermedi fra i prestatori ed i sovvenuti.

Le operazioni bancarie, sia di un istituto, che di un banchiere, non sono già fatte interamente col proprio capitale, esse sono fatte in gran parte col capitale dei propri clienti del quale il banchiere fa Ubo, e li somministra altrui. Vi è un doppio credito e un doppio debito: l'istituto di credito è debitore verso i portatori dei suoi titoli; è creditore verso i suoi sovvenuti; nà fra questi avvi differenza o siano privati o Governi; la Banca pone nel suo portafoglio le cambiali dei commercianti, essa vi pone egualmente le obbigazioni del Governo pel mutuo che ad esso ha fornito.

Quando l'onorevole Ferrara dunque dice che il Governo non ha ricevuto che un mazzo di carte, egli, a parer nostro, s'inganna. Egli dovrebbe dire il medesimo non solo del Governo, ma di tutti i commercianti i quali ricevono dalla Banca biglietti, che non hanno cogli altri alcuna differenza. Ma, come i commercianti si sono valsi dei biglietti dati loro dalla Banca per i propri affari, così se ne è servito il Governo, e con essi nel 1866 acquistava cavalli, salmerie e foraggi e tutto ciò che alla guerra era necessario.

Godesti biglietti diventeranno un mazzo di carta il giorno in cui il Governo, avendoli ritirati dalla circolazione, delibererà che siano annullati, e in questo caso avverrà quello che avviene ogni giorno alla Clearing-house di Londra, cioè un giro di partite di credito e di debito che si bilanciano.

Ma l'onorevole Ferrara ha detto, e insistito fortemente su questo punto, che il corso forzoso ha cambiato la natura di questo contratto; che esso ha dato garanzia e valore a questo mazzo di carta e lo ha reso moneta.

3579 - TORNATA DEL '22 LUGLIO 1870

Io non toccherò dell'origine del corso forzoso; mi basta solo di citare un'autorità su questo punto che non sarà certo rifiutata. L'onorevole Ferrara stesso, parlando dell'origine del corso forzoso, diceva innanzi a voi queste parole: nel momento in cui fu adottato (il corso forzoso) l'uomo che se ne rese responsabile ha un titolo indubitato alla nostra riconoscenza. Mi basta questa sentenza del Ferrara, e passo direttamente agli effetti di questo decreto.

Che cosa fece il decreto 1° giugno 1866? !l decreto prosciolse la Banca dall'obbligo del cambio immediato, ma non la prosciolse dall'obbligo del cambio futuro, non distrusse, non menomò la promessa che la Banca ha verso i portatori dei suo biglietti; soltanto tolse ad essa l'obbligazione inscritta sui biglietti medesimi di convertire il biglietto in metallo a presentazione. Ma da questo fatto a quello che l'onorevole Ferrara stabilisce come verità inconcussa, cioè il Governo ha dato il valore col corso forzoso a questi biglietti, vi ha un immenso intervallo. Grazie a Dio! il valore non lo può dare alcun Governo, esso segue le leggi sue naturali indipendenti dalla volontà dei re e delle repubbliche.

Certo, se un Governo poteva imporre il valore ad una carta, sarebbe stato il Governo che i Francesi chiamano del terrore, poiché non rifuggiva, al suo fine, dai provvedimenti i più efferati ed insani; pur nondimeno voi sapete, o signori, come gli assegnati minassero in basso e non valessero più che un semplice foglio di carta.

Come dunque, se il Governo non da e non può dare valore ad un biglietto, come dunque il biglietto è ricevuto per moneta e quale è la misura del suo valore? La misura del suo valore, o signori, nasce da due elementi: l'uno lr Ha proporzione della carta col bisogno della circolazione, l'altro dalla fiducia, e questa ha cingine nelle garanzie del biglietto stesso.

Supponiamo che il contratto con la Banca, che è sottoposto alle vostre deliberazioni, sia approvato, si potrà dire che l'emissione ecceda il bisogno della circolazione? Io credo che no. Io credo che in termini ordinari, col corso coattivo, la circolazione cartacea che esiste in Italia non sorpassi il bisogno della sua circolazione; anzi vi sono certi momenti (e forse noi ci troviamo in uno di questi momenti) nei quali la circolazione cartacea potrebbe estendersi senza che per ciò soverchi i bisogni della circolazione.

Quanto poi alla seconda parte, cioè alla guarentigia, vediamo quale sarebbe il giorno nel quale voi aveste approvato il contratto colla Banca, che vi è presentato dal ministro delle finanze. Quale è la quantità di biglietti di Banca che saranno in circolazione? Essi non potranno oltrepassare il massimo di 800 milioni. Quali ne sono le guarentigie?

1° i 100 milioni degli azionisti della Banca e della riserva; 2° i 283 milioni di beni demaniali che voi consegnate alla Banca.

E notate che l'averli consegnati alla Banca ed averne costituito un pegno rassicura il pubblico, inquantoché, se quei beni rimanessero proprietà libera del Governo, potrebbe sempre supporsi che fossero volti ad altro uso fuorché all'estinzione dei biglietti; inoltre i 450 milioni di valori e cambiali private che si trovano nel portafoglio della Banca; finalmente la cambiale del Governo, la quale rappresenta il suo debito.

Così, o signori, dal complesso di queste garanzie insieme congiunte, ne sorge quella fiducia per la quale il pubblico accetta il biglietto, e l'aggio dell'oro è piccolo, salvo circostanze eccezionali, come quelle in cui oggi ci troviamo. Il fare una sottile analisi ed il dedurne talora che dirimpetto alla massa dei biglietti in circolazione non vi è altra garanzia che i 100 milioni di capitali degli azionisti, talora invece che la sola garanzia è quella del Governo è un fuorviare la questione, laddove per giudicarla convenientemente si conviene riunirne insieme tutti gli elementi e presentarli complessi davanti alla mente del pubblico. Se il pubblico credesse, per esempio, che il portafoglio della Banca fosse un portafoglio zaroso, che le cambiali fossero firmate da negozianti che non avessero solidità, voi vedreste di conseguenza il biglietto perdere della sua fiducia e del valore; ma siccome per buona fortuna la Banca è riputata savia e preveggente, siccome si crede che il suo portafoglio sia solido, così per questa parte il pubblico ha buona fiducia. Similmente quando il pubblico vede che il Governo si sforza di arrivare il più presto possibile ad equilibrare la rendita colla spesa, la sua fiducia si accresce, e i biglietti si ricevono e si usano come moneta.

Ma non è certamente il corso forzato, ne il decreto del Governo che possano aver dato loro la fiducia e il valore.

Io ho voluto, signori, mostrare come, a mio avviso, sia fallace la teorica che è stata qui sostenuta dall'onorevole Ferrara, perché non sarebbe stato conveniente che passasse inosservata e si decantasse trionfante, come se alcuno non avesse osato di contrapponi alla sua autorità.

Ora torniamo al compenso che lo Stato da alla Banca, e vediamo se possa chiamarsi smodato. Dato e non concesso che non vi sia mutuo fatto dalla Banca al Governo, diceva ieri l'onorevole ministro delle finanze, dato che non vi sia neppure un avallo, vi sarà pur sempre un servizio reso; vediamo se il compenso di questo servizio sia ad esso adeguato o sia esorbitante, come taluni pretendono. Noi diamo alla Banca 60 centesimi ogni cento lire. Certo non par grave, e, se si ragguaglia al passato, è molto minore.

Anzi a questo proposito l'onorevole Ferrara diceva: volete voi vedere che non è un mutuo; se fosse un mutuo voi non gli dareste meno del 6 per cento,

3580 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

perché tale è il corso dell'interesse, invece gliene date solo al decima parte. Ora, che cosa prova questo? Prova che le condizioni speciali del corso forzoso rendono al giusto ed equo di dare alla Banca un interesse molto minore; ma non è l'entità dell'interesse quella che qualifica il mutuo. Appunto perché il Governo ha col suo decreto dispensato la Banca dal cambio dei biglietti, può pretendere dalla Banca un mutuo a condizioni diverse da quelle che gli verrebbero fatte nei casi ordinari. In quanto a questi tre milioni che il Governo da alla Banca per compenso dei 500 milioni che ha ricevuto, una parte dei medesimi rappresenta un lucro cessante per la Banca, poiché essa deve ritirare dalla circolazione 22 milioni che prestava ai commercianti, e che d'ora innanzi dovrà dare al Governo. La perdita che fa la Banca non si può ragguagliare a meno del 5 per cento, e perciò valutasi di 1,100,000 lire. Inoltre la Banca deve pagare al Governo 1,10 per cento per diritto di circolazione dei biglietti, il che fa 575,000 lire, che, sotto forma di tassa, ritornano al Governo. Sui tre milioni inoltre la Banca deve pagare l'imposta sulla ricchezza mobile, la quale ascende a circa lire 400,000.

Ecco adunque un altro milione circa, parte del quale proviene dalla tassa di circolazione dei biglietti, e parte dalla tassa sulla ricchezza mobile, che rientrano nelle casse dello Stato. Vi sono finalmente le spese di manutenzione, di rinnovazione e di classificazione dei biglietti, che si calcolano annualmente 600 mila lire. Vedete, signori, che il compenso delle spese e del lucro cessante ascende a circa 2,700,000 lire. Dunque, non solo non si può dire essere questo un lucro smodato per la Banca, ma si deve dire che rappresenta approssimativamente il rimborso delle spese.

Codesto fu il pensiero della vostra Commissione, espresso nella sua relazione con queste parole: «Mentre la Banca rende indubitatamente grandi servigi allo Stato, non si può disconoscere che essa ne riceve dei non meno grandi, e che perciò sia equo che non cerchi altri guadagni nelle operazioni che fa per conto dello Stato, quando per detto e fatto di essa non riceva danno né corra l'alea di una perdita.»

Io non parlo dei 50 milioni in oro, perché ne ha già parlato ieri l'onorevole ministro delle finanze, e in questi momenti sarebbe arduo molto e dispendioso il raccoglierli; ma, indipendentemente anche da ciò, mi pare di avere dimostrato che la teorica sostenuta dall'onorevole Ferrara non ha fondamento, e che, quand'anche l'avesse, il compenso che da il Governo alla Banca si può considerare puramente come il ristauro di spese, e che non vi sia alcun titolo, alcun motivo per asserire che il Governo da alla Banca un lucro ingiusto e smodato.

Ma, lasciando gli argomenti dell'onorevole Ferrara, non si può tacere

che nella presente discussione si sono attribuiti a questo contratto altri effetti indiretti, dannosi, anzi esiziali. E per dire il vero, chi penetrasse nell'animo di molti degli oppositori, troverebbe per avventura questa concetto, che il contratto della Banca per se stesso non è un cattivo contratto, il compenso che lo Stato le attribuisce non è smodato né ingiusto. Ma pur riconoscendo che in sé stesso il contratto non è cattivo, vi sono molti i quali soggiungono: ciò che noi temiamo sono i suoi effetti indiretti, imperocché esso vincola lo Stato colla Banca e, per usare una parola nuova, infeuda lo Stato alla Banca, allontana e impedisce la fine del corso forzoso, ribadisce e consacra il in enopolio, vieta che si possa fare una legge sulla libertà delle Banche, arreca detrimento e ruina al credito, al commercio, all'industria, all'agricoltura in Italia. Questi effetti, secondo loro, rendono la convenzione degna di biasimo, non le clausole del contratto riguardate in se stesse, che anzi riconoscono meritevoli di accettazione.

Bisogna adunque che la Camera mi permetta di esaminare brevemente anche queste obbiezioni.

La convenzione vincola lo Stato alla Banca? In che cosa? Quale è la novità introdotta in questo contratto per cui lo Stato pigli degli obblighi o faccia delle promesse alla Banca? Supponiamo che il Governo domani possa restituire i biglietti che ne ha ricevuti, qual è il vincolo che lo lega per l'avvenire? Quale è l'obbligazione che assuma? In verità io non ho udito da alcuno degli oratori citarne alcuna, anzi non ho udito citare una sola ragione, un solo fatto, il quale, non dirò dimostri, ma dia indizio di codesto nuovo vincolo che legherebbe la Banca allo Stato. Questa convenzione non fa che regolarizzare i patti precedenti pur migliorandoli.

Ma si allontana il fine del corso forzoso, anzi si recide la speranza di pervenirvi. Spieghiamoci, signori, su questo punto. Ogni volta che lo Stato ha bisogno di fare un debito, evidentemente allontana il fine del corso forzoso, imperocché il fine del corso forzoso non potrà raggiungersi se non mediante il pagamento del debito. Questo vero, forse per la sua stessa evidenza, è stato chiamato da un oratore, con dispregio, una volgarità. Ma, se non si può cessare il corso forzoso senza pagare il debito, egli è evidente che ogni volta che lo Stato ha bisogno di fare un altro debito, naturalmente si allontana dal fine desiderato. Ma questa conseguenza è indipendente affatto dall'operazione colla Banca.

Supponete che lo Stato per provvedere ai bisogni del Tesoro nel 1870 vendesse, come fece nello scorso anno, una porzione di obbligazioni ecclesiastiche, manifestamente non potrebbe più destinare quelle obbligazioni ecclesiastiche al ritiramento dei biglietti, sarebbe ugualmente allontanato il fine del corso forzoso.

3581 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870.

Se vi è qualche condizione in questo contratto che abbia rapporto al corso forzoso, essa è, al contrario di ciò che si dice, che ne avvicina al suo fine, in quanto che sottrae 283 milioni di beni alla possibilità di essere destinati ad altro uso, e determina fin d'ora che il prezzo della vendita debba andare ad estinguere altrettanto debito verso la Banca, a distruggere altrettanti di quei biglietti che lo Stato le deve.

Ora, signori, egli è chiaro che, quando lo Stato sarà giunto a pagare 283 milioni sopra 500; quando il suo debito sarà ridotto a 200 milioni o poco più, egli è chiaro, dico, che un'operazione di credito o qualche altro provvedimento che adesso sarebbe lungo e inopportuno svolgere, ci aiuterà a superare d'un tratto quella differenza, né potrebbero mancare mezzi ad estinguere il nostro debito.

Però ripetiamo ancora, signori, che l'estinzione vera del corso forzoso non può seguire se non per due mezzi, il pagamento del debito passato e la possibilità di non incontrarne dei nuovi per l'avvenire. Quando lo Stato avrà conseguito il pareggio delle sue entrate a delle sue spese annue, o, almeno, si sarà avvicinato grandemente al pareggio, e sarà in condizione di non dovere incontrare debiti ogni anno per sopperire al l'esercizio della cosa pubblica, allora alla soluzione del problema del corso forzoso sarà tolta la maggior difficoltà.

La terza obbiezione è che con questo contratto si ribadisce e si consacra il monopolio.

Qui, o signori, permettetemi di dire che c'è un equivoco, e temo che molti non si rendano ben conto dell'idea che con quella parola vogliono esprimere..

Prima di tutto taluni intendono il monopolio dell'inconvertibilità, altri il monopolio bancario. Distinguiamo queste due cose, e parliamone ad una ad una.

Il monopolio d'inconvertibilità che cosa vuol dire? Non vuol dir altro che vi è un biglietto solo, il quale abbia corso coattivo. Ora io credo che questo monopolio sia naturale e necessario. Certo per un paese l'aver il corso coattivo della carta è un gran danno, è una calamità, ma quando un biglietto dee circolare invece dell'oro e dell'argento, quando si è costretti a darlo e riceverlo come moneta, io dico che se non è necessario, a rigor di termini, e metafisicamente, che questo biglietto si conservi unico è però grandemente utile. Il male del biglietto avente corso coattivo sarebbe aggravato dalla sua moltiplicità.

Voi sapete quanto si discuta attorno all'unicità del biglietto di circolazione, anche là dove non v'è corso coattivo. Codesta dottrina è sostenuta da uomini dottissimi ed espertissimi della materia; il Gladstone n'è propugnatore.

L'America dopo le terribili esperienze che fece della moltiplicità delle Banche e dei biglietti, anch'essa ha adottato il biglietto unico, sebbene distribuito fra molteplici Banche. Non voglio con ciò lodare tutto quanto il sistema americano, che anzi, rispetto alla circolazione, pare che anche colà non faccia buona prova né possa continuare senza riforme; ma egli è certo che l'unicità del biglietto è una teorica sostenuta oggi da moltissimi uomini di Stato e di affari; anzi direi che il maggior numero de' testimoni è in suo favore.

Ora che diremo quando questo biglietto deve essere inconvertibile? Quando lo dispensate come moneta? Daremo a ciò il nome di monopolio, nel senso odioso in cui suole usarsi questa parola?

Io vedrei un monopolio di tal genere, qualora la Banca avesse facoltà illimitata di emettere biglietti; comprenderei allora che il privilegio paresse esorbitante, potesse riguardarsi come un monopolio nelle sue mani; ma quando avete limitata l'emissione dei biglietti, che adopera per suo conto, io non trovo più giustificata l'accusa. Ma almeno la Banca ha tentato di abusarne? Fu mai la sua emissione soverchia? No, per vero, e ne adduco in prova un'autorità non sospetta, quella dello stesso onorevole Ferrara, il quale vedrà che anche io so scegliere le mie citazioni. In quel medesimo discorso che ho indicato sopra egli diceva così: «Gli istituti bancari a cui fu permesso il corso forzato non ne abusarono; la Banca Nazionale soprattutto si è fatta su questo punto distinguere, perché in luogo di eccitare, come sempre avviene in simili contingenze, le operazioni tendenti a provocare l'emissione, si è non solo rigorosamente ristretta nei limiti impostile dai suoi statuti, ma ha tenuto nella sua cassa una considerevole quantità di biglietti che per poco lo avesse voluto potevano impunemente lanciarsi nella circolazione.»

Tale era l'opinione del Ferrara quando alla Banca non era posto limite alcuno di biglietti: oggi c'è, e perciò anche il pericolo dell'abuso è venuto meno: per la qual cosa il monopolio dell'inconvertibilità non può dirsi un favore fatto a quell'istituto, ma una guarentigia richiesta dalla pubblica utilità.

Bissiamo ora al monopolio bancario; questa è tutt'altra cosa, come voi vedete.

Come può darsi che vi sia monopolio bancario in Italia, quando abbiamo cinque istituti di credito che hanno diritto di emissione di biglietti? Quando una legge che, secondo me, ha molte mende e dovrebbe riformarsi, concede questa facoltà larghissima alle Banche agrarie? Quando, oltre i biglietti legittimi, ne avete in tanta copia degli illegittimi, ai quali non si pone rimedio o freno di sorta? E che monopolio è codesto della Banca, se nello statuto suo è dichiarato espressamente che il potere legislativo si riserva la facoltà di accordare gli stessi privilegi a qualunque altro istituto?

3582 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Quando finalmente avete davanti a voi una legge generale, la quale vi propone la moltiplicità e la libertà delle Banche, legge che a voi spetta discutere ed approvare?

Ma si soggiunge: non è monopolio di diritto, è monopolio di fatto. Or chi vi vieta di creare fin d'ora altre Banche agrarie, le quali abbiano lo stesso o maggiore capitale della Banca Nazionale, e non solo agrarie, ma commerciali, una volta che abbiate votata la legge che dall'onorevole ministro delle finanze vi è stata presentata?

Regna comunemente, o signori, un errore, ed è quello di credere che le piccole Banche siano soffocate e spente da un grande istituto. Quelli che così la pensano s'ingannano a partito, imperocché la verità è nel contrario, cioè che le piccole e le grandi Banche possono coesistere insieme, e sono utili le une e le altre allo svolgimento del credito e della ricchezza nazionale.

Le piccole Banche hanno una clientela loro particolare, diversa da quella' dei grandi istituti; ma, in certe occasioni, esse trovano nelle grandi il sostegno del risconto, come le grandi Banche trovano spesso nelle piccole un cliente utile e sicuro.

Ma si dice: sia pur vero ciò che affermate in condizioni normali; ora non è così a cagione del corso coattivo dei biglietti; per questo non si possono fondare nuove Banche.

A me pare che su questo punto abbia risposto così vittoriosamente l'onorevole Maurogonato, che non saprei che cosa aggiungere alla sua bella dimostrazione. Se vi è condizione di cose nella quale sia agevole ad una Banca nuova di superare le difficoltà dei primordi, egli è appunto quando esiste il corso forzoso.

Quale è la difficoltà per una Banca nei suoi principii? La difficoltà è di cattivarsi la fiducia, e per conseguenza di dovere tenere una grande riserva metallica necessaria per far fronte in modo puntualissimo al cambio dei suoi biglietti; ma quando il cambio si fa con altri biglietti, cessa la spesa dell'acquisto della moneta dal di fuori e il cambio stesso ha luogo in termini così limitati, da non portare alcuna perturbazione.

L'onorevole Maurogonato vi ha mostrato con dati di fatto il Banco di Napoli, le due Banche toscane, altre Banche popolari hanno migliorato le loro condizioni nonostante il corso forzoso, e forse mercé del medesimo. Ma si vuol considerare che essendo posti alla Banca Nazionale limiti di emissione, mentre il commercio si svolge, e con esso la circolazione, vi saranno affari ed utili impieghi anche per tutte le altre Banche che sorgessero.

Dunque è assurdo il predicare che vi sia un monopolio bancario, quando molte Banche esistono di fatto, e si possono creare in condizioni favorevoli alla loro prosperità.

Del resto, o signori, corrono in questa parte giudizi molto esagerati e falsi, e nascono, secondo mio avviso, da un concetto erroneo della condizione vera della circolazione, dall'erroneo supposto che la facoltà precipua del credito, la molla della ricchezza pubblica stia nell'emissione del biglietto di Banca.

Ora, o signori, l'emissione del biglietto di Banca non forma che una parte assai ristretta delle operazioni di credito, non è che un elemento secondario della prosperità di un paese.

Tutti parlano e sempre delle Banche italiane del medio evo, ma queste Banche non avevano facoltà di emettere biglietti; molti istituti non ne emettono neppure oggi, e fra questi mi sovvengono la Banca di Amburgo, le Joint-Stock Banks inglesi. E le Banche scozzesi, di cui si mena tanto vanto, quanti biglietti credete voi che abbiano in circolazione? Hanno 100 milioni circa di biglietti, mentre solo a titolo di deposito ricevono un miliardo e mezzo. Non è dunque vero che l'emissione del biglietto sia la forza vera del credito; meno ancora che sia la forza produttrice della ricchezza; il biglietto non crea ricchezza; la crea la scienza, il capitale, il lavoro.

Neppure è vero che l'emissione dei biglietti stia in rapporto colla prosperità di un paese.

Vedete l'Inghilterra che ha quadruplicato il suo commercio, che ha moltiplicato di tanto la sua ricchezza. Ebbene la sua circolazione cartacea è diminuita dal 1841 in qua.

Nel 1841 aveva 39 milioni di lire sterline in circolazione; nel 1867 ne aveva 38; il biglietto in Inghilterra rappresenta appena il 5 per cento della circolazione. Il resto è rappresentato da mandati, assegni, cedole e da mille altre forme di transazioni bancarie. Dunque, signori, voi vedete che, non solo non vi è il monopolio di cui si parla, ma che si da anche un'importanza esagerata all'emissione dei biglietti come elemento di ricchezza e di prosperità nazionale. Vado più oltre: vi sono molti esempi, e vorrei che gli onorevoli opponenti ma li spiegassero, di paesi, i quali sono prosperi con una Banca sola, che ha veramente il monopolio dell'emissione. La Francia, il Belgio, l'Olanda, la massima parte dei paesi d'Europa hanno l'unità del biglietto; e l'Inghilterra stessa si avvia verso l'unità della circolazione fiduciaria.

Il paese che in Europa ha moltiplicità e, per alcuni cantoni, anzi libertà piena di Banche, è la Svizzera; ma, come voi ben sapete, la Svizzera ha una circolazione fiduciaria assai piccola; rappresenta circa 6 lire per testa, il che equivarrebbe a 150 milioni di lire per tutta l'Italia. Dunque, anche con una Banca sola, anche col monopolio bancario, può coesistere ed esiste la prosperità di un paese, come è chiaro da tutti gli esempi che vi ho citato.

Si parla sempre di concorrenza, e si dice che uno dei principali caratteri della civiltà moderna è la concorrenza nel lavoro, la concorrenza nell'industria, la concorrenza negli scambi; deve esservi dunque, per logica deduzione, la concorrenza anche nel biglietto di Banca.

3583 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Ma, o signori, come io vi diceva, il biglietto di Banca non crea una ricchezza che non esiste. La concorrenza tende a procurare i prodotti migliori, più a buon mercato ed in maggior copia, ma qui non si tratta di produrre biglietti in maggior copia ed a miglior mercato; qui si tratta di assicurarne il valore coll'integrità e la solidità di coloro che li emettono, colla fiducia di coloro che li ricevano, e quindi la concorrenza non ha luogo nei termini medesimi delle industrie e degli scambi, perché riguarda soltanto la qualità e non la quantità, e questo è il pensiero che preoccupa gli uomini di Stato, specialmente in Inghilterra da Guglielmo Pitt a Roberto Peel, da Peel sino a Gladstone.

Non vi è dunque, o signori, infeudamento dello Stato alla Banca, non vi è allontanamento né impedimento dell'abolizione del corso forzoso, non vi è altro monopolio di carta inconvertibile, fuor quello che è richiesto dalla pubblica necessità; non vi è monopolio bancario, non vi è né vi può essere, per questo, diminuzione di prosperità nel paese.

Tutte queste sono immaginazioni o illusioni le quali si attribuiscono come veri effetti esiziali ad un contratto che, a nostro avviso, non può produrre nulla di simigliante.

Mi resta a dire brevemente di un ultimo punto. Che cosa si sostituisce a questo contratto? Quando noi discutevamo i provvedimenti pel pareggio, io ebbi più volte a chiedere all'opposizione quali erano i provvedimenti che essa proponeva invece di quelli del Ministero, e non ebbi mai categorica risposta. Ora non è così: si contrappone colla proposta ministeriale una proposta concreta, la carta governativa.

L'onorevole Ferrara ha supposto che da noi si faccia una confusione; e si creda essere carta-moneta solo la governativa e non quella della Banca. Ma in verità io non so quale, non dirò oratore della Camera, ma uomo ragionevole abbia mai potuto fare la confusione che a lui è piaciuto di creare per combatterla. Tutti sanno che è carta-moneta tanto quella della Banca, quanto quella Governo.

La questione conviene dunque che sia posta così: nello stato presente delle cose conviene che il Governo emetta carta per suo conto, o conviene che mantenga quella della Banca che è attualmente in circolazione? Io non veggo altro problema che questo; e mi pare che si possa esaminare spassionatamente..

Per conseguenza, lasci ero l'infallibilità del papa, cui aveva ricorso l'onorevole Ferrara, lascierò la dignità del paese, che egli ha invocato: né l'una, né l'altra entra per nulla nella questione.

L'Inghilterra ha avuto per un tempo il corso coattivo dei biglietti di Banca,

e se ne è valsa nella gran lotta contro Napoleone, né ha mai creduto per questo che la sua dignità venisse meno. L'onorevole Ferrara si rassicuri, creda pure che coloro i quali sostengono questo contratto sono uomini che almeno al pari di lui hanno a cuore la dignità della nazione. (Bene!)

Due sistemi si sono presentati a questo proposito: l'uno è quello dell'onorevole Maiorana Calatabiano e dei suoi colleghi; l'altro quello dell'onorevole Ferrara. A me pare che quello dell'onorevole Maiorana Calatabiano abbia gli stessi inconvenienti di quello dell'onorevole Ferrara, con uno di più, ed è di generare un equivoco. Il che è tanto vero, che lo stesso onorevole Ferrara, sebbene infiorasse il suo giudizio, pure non esitò a chiamarlo un sistema bastardo.

E infatti esso lascia il biglietto di Banca in circolazione e lo fa marchiare dal Governo con un bollo sul quale è scritto: a debito dello Stato. Ma che cosa significa questo bollo? Significa che da quei biglietti la Banca ha completamente sottratta la sua responsabilità? Ma allora perché e come rimangono le firme di coloro che li hanno emessi? Perché e come volete che la semplice girata di una cambiale spenga la responsabilità del traente?

Se vi è una ragione in ciò, egli è solamente perché si suppone che il pubblico, avendo nelle mani da molto tempo quel biglietto, continuerà per l'abitudine a ritenerlo, cioè a dire serberà quella fiducia che ha avuto finora nel biglietto della Banca, senza che vi siano più le stesse garanzie che esistevano prima. (Voci: Bene!)

Adunque io non potrei in nessuna guisa accettare questo sistema, perché, lo ripeto, oltre gl'incovenienti che ha quello dell'onorevole Ferrara, genera un inganno, o per lo meno lascia che un equivoco sussista nella mente degli uomini.

Io accetto invece la discussione del sistema dell'onorevole Ferrara, quello cioè della carta propriamente e meramente governativa.

Egli stesso ha convenuto che vi è una ripugnanza nel paese ad accettarla, e questo solo basterebbe a mettere in guardia; imperocché in materia di credito, o signori, non sono soltanto i giudizi ma anche i pregiudizi che si debbono tenere in conto: pel fatto solo che, cambiando una carta, si ingenera nell'animo della moltitudine una certa perplessità e dubbiezza, per questo solo fatto dovreste astenervi dal mutarla.

Ma non è solo il volgo, come egli diceva, che abbia questo pregiudizio. Come sapete, molte Camere di commercio e fra esse le principali del regno hanno fatto opposizione a questo disegno.

E qui debbo dolermi che l'onorevole Ferrara abbia fatto così poco conto di quelle corporazioni, e con insinuazioni poco benevole abbia supposto che esse potessero agire per interesse o per pressione governativa.

No, signori, le Camere di commercio sono corpi elettivi indipendenti, ed hanno mostrato in molte circostanze che, non solo sapevano esprimere i veri bisogni del paese senza riserva, ma resistere eziandio a provvedimenti che avessero il suffragio dell'autorità o della moltitudine.

3584 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

La stessa opposizione ne ha invocato molte volte l'autorità, ed ha lodato la sapienza pratica dei loro congressi. Pertanto io credo che, se vi è nel paese un'autorità la quale sia in questa materia competente, e inoltre non viene dal Governo ma viene dalla elezione, è appunto quella delle Camere di commercio. Laonde io non posso a meno di protestare contro la insinuazione che l'onorevole Ferrara si è permesso contro di esse.

Primo di tutto, signori, ponete mente quale sarà il rapporto degli istituti di credito dirimpetto alla carta governativa, se sarà coniata secondo la proposta dell'onorevole Ferrara? Per quello che egli disse ieri, se io ho bene inteso, le casse governative non riceveranno più nessuna carta d'istituti di credito; non riceveranno che carta governativa.

Ed invero tutto il congegno ed il meccanismo del suo progetto per sostenere il valore della carta, sta appunto in ciò.

Ora io non esito a dirvi che il giorno in cui avrete tolta alla Banca Nazionale, alla Banca Toscana, al Banco di Napoli, la facoltà ed il privilegio di cui godono, che i loro biglietti siano ricevuti nelle casse governative, quel giorno voi avrete recato loro tanto danno che nessun avversario il più crudele saprebbe minacciare peggiore. Imperocché, una gran parte degli abitatori, specialmente di quei paesi meridionali nei quali non si fanno molti affari di industria e di commercio, ricevono il biglietto in tanto solo in quanto sanno che possono servirsene per pagare le tasse, o per versarlo nelle casse del Governo.

Se dunque l'onorevole Ferrara non vuole che il Governo riceva alcun biglietto degli istituti di credito come li ha ricevuti finora, egli li condanna, lo sappia bene, ad una prossima rovina. E la rovina sarà maggiore e più imminente per quegli istituti che vorrebbe particolarmente difendere. Se poi al contrario mantiene ai biglietti il privilegio di essere ricevuti in pagamento delle tasse, o per qualsiasi altro titolo nelle casse del Governo, allora tutti i pericoli che la Giunta ha esposto nella sua relazione sono veri e reali, allora avviene che, potendo questi istituti, invece di una riserva metallica, tenere nelle loro casse carte del Governo, e non avendo altro freno, potranno ampliare la loro circolazione al di là del bisogno. E quanto l'ampliamento della circolazione possa influire sul mercato non pure interno, ma internazionale, e con quali gravissimi effetti, basterebbe a provarlo le inchieste fatte in Inghilterra nel 1810, nel 1833 e nel 1848.

Ma io dico che la fondamentale obbiezione che si fa alla carta governativa e che spiega quella ripugnanza invincibile che si riscontra negli animi di tutti è che, una volta che il Governo avrà il torchio a sua disposizione per coniare moneta, sempre quando si trovi stretto dalla necessità di sopperire ai suoi impegni, sarà tentato di ricorrere a questo espediente medesimo.

Voi dite: il dubbio è erroneo; sarà come volete, ma esso è infiltrato negli animi, ed è un dubbio che per sé solo basta a togliere la fiducia del biglietto.

Quale è il vantaggio di avere un biglietto di Banca? Questo appunto, che la emissione trova nell'istituto di credito un controllo, un sindacato, un freno che impedirà al Governo di valicare certi limiti.

L'Italia, o signori, come tutte le nazioni del mondo, sapete voi che cosa teme? Teme la teorica di quegli espansionisti che l'onorevole Ferrara ci descriveva così bene nel maggio 1867, di coloro ai quali pare sia facile cosa, con una emissione di biglietti, il provvedere a tutti i bisogni di un Governo e di un paese.

Del resto gli esempi che abbiamo sotto gli occhi non sono fatti per confortarci.

L'America, la quale è stata dall'onorevole Ferrara più volte citata, ha avuto la sua carta in perdita del 60 per cento, ed oggi, se non erro, il disaggio è al 15 o al 16 per cento. Dell'Austria non ho d'uopo parlarvi, perché le fluttuazioni della sua carta vi sono troppo note.

Ora, chi oserebbe, in questi momenti soprattutto, di adottare una risoluzione di tale natura? Chi oserebbe di prendere sopra di sé la responsabilità di cambiare una carta, alla quale il nostro paese è abituato, che riceve senza difficoltà, anzi con fiducia, in una carta nuova di cui le vicissitudini ci sono ignote?

Io sono tanto convinto della gravita di questo problema, che non dubito di asserire che, se l'onorevole Ferrara, invece di sedere sul banco di deputato, sedesse su quello di ministro, esiterebbe e forse finirebbe col respingere -la proposta di una carta governativa, quando sopra di lui dovesse cadere tutta la responsabilità delle conseguente che ne derivassero.

Signori, io finisco perché mi sono proposto di essere breve e lo debbo essere nelle circostanze in cui ci troviamo.

Mi sembra di avere dimostrato che le teoriche economiche e giuridiche dell'onorevole Ferrara non reggono all'esame.

Mi sembra di avere dimostrato che gli spauracchi, che ci si vogliono mettere davanti agli occhi da molti colle parole monopolio, infeudamento detto Stato, rovina del paese, non hanno fondamento alcuno. Finalmente mi sembra di avere dimostrato che il rimedio che ci si propone, invece della convenzione colla Banca, sarebbe un rimedio probabilmente peggiore assai del male,

certo sommamente pericoloso, e del quale in questi momenti nessun uomo assennato e discreto oserebbe prendere la responsabilità.

Quindi è che la Giunta per mio mezzo insiste presso la Camera ed insiste vivamente perché essa voglia accettare questa convenzione nella quale essa trova rettitudine, onestà, temperati compensi alla Banca e nessuno di quegli inconvenienti che si sono predicati.

E qui ritornando là d'onde ho preso le mosse, dirò che questa questione non avrebbe mai dovuto suscitare lo spirito di parte e peggio ancora servire di pretesto ad eccitare le moltitudini.

3585 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Noi avremmo dovuto in questa materia prender esempio da altri paesi, ove le questioni della circolazione e delle Banche si sono discusse con serenità, con imparzialità, lungi da qualsiasi preoccupazione di parte, come si conviene a questi problemi, che potrebbero chiamarsi di meccanica economica.

Noi sventuratamente siamo andati per altra via. Coloro che leggeranno in avvenire le discussioni del Parlamento, gli opuscoli e i diari i quali si intitolano gli interpreti e i governatori dell'opinione pubblica, se vi sarà chi li rilegga, stupiranno nel vedere che tante ire e tante passioni siensi commosse. Ma stupiranno ancor maggiormente di ciò, che cinquantanni di studi e di meditazioni degli uomini più eminenti d'Europa sieno stati disconosciuti e tenuti in non cale; e non abbia potuto temperare, che l'arroganza di un giudizio, né la violenza di una contumelia. (Bene! Bravo ! a destra)

DE CARDENAS. L'altro giorno l'onorevole Ferrara mi ha fatto l'onore di citarmi, nello splendido discorso che egli ha fatto, per sostenere la sconvenienza che vi era in questa convenzione, nelle parti, non solo, ma nell'insieme del sistema.

Quest'oggi l'onorevole Minghetti, qual relatore della Commissione, ha combattuto queste idee, come era naturalmente il suo compito. Io, non per entrare nel merito della discussione, ma siccome le parole che ha citate l'altro ieri l'onorevole Ferrara, hanno un senso molto grave se non fossero spiegate nel senso nel quale furono dette, io desidererei che mi fosse permesso di dichiarare questo senso, senza entrare maggiormente nella discussione: mentre non credo, come osservò benissimo testé l'onorevole oratore che mi ha preceduto, che vi sia nulla più a dire di nuovo; il quale fu svolto e prò e contro dai diversi oratori che ne hanno parlato. L'onorevole Ferrara citò due mie frasi: una è quella alla quale non credo che l'onorevole Minghetti abbia risposto, quella cioè dei guadagni illeciti che fa la Banca sul pubblico per la maggiore emissione della sua circolazione, grazie al corso forzato, con che cessa di essere fiduciaria, e per obbligare forzatamente il pubblico ad accettare questi suoi biglietti. È questa la dichiarazione che io desidero di fare.

Quando io mi risolsi a scrivere un opuscolo sopra questa quistione bancaria, non fu già per combattere quest'istituto della Banca individualmente, la sua forma, il suo scopo, il suo andamento, e molto meno l'individualità ed il morale dei suoi amministratori come individui, ma la questione sociale era il punto saliente che m'indusse a scrivere; era l'ordinamento pel quale si veniva a riunire il capitale in poche mani in modo anormale per un monopolio accordato dal Governo a favore della Banca. Un gran capitale accumulato in poche mani, per mezzo delle operazioni finanziarie di qualunque genere, commerciali od industriali, protetto da uno speciale favore, non può a meno di assorbire, coll'attività e nell'abilità di chi lo amministra, in pochi anni, tutto ciò che entra nel giro di ciò che forma la ricchezza circolante del paese.

Io non muovo guerra al capitale accumulato del risparmio, anche in poche mani, ma a quello accumulato in virtù del monopolio e per utile illecito, perché proveniente da questo, e danneggiando grandemente la forti-n.-i pubblica e la privata

Da noi si può considerare la Banca come se avesse una gran quantità di pompe aspiranti, di vasi assorbenti in tutte le parti d'Italia, che assorbono da tutti, e poi rendono il raccolto in poche mani, che sole ne approfittano.

Io non ne. faccio un delitto a chi se ne approfitta, ma dico essere impossibile che quest'ordinamento del credito si conservi senzadio la società ne soffra un danno, senzaché sia questo per essa un pericolo permanente. Questa è la ragione per cui manifestai la mia idea, che alla lunga questo stato anormale deve portare un tale squilibrio nel nostro ordinamento interno, tanto disordine, tanto disgusto da dover finire con qualche cataclisma sociale, perché vi abbiamo aggiunto il corso forzoso, che siamo certi non poter con questa nuova convenzione cessare per molti anni, poiché, come hanno detto uomini più di me capaci, neanco i nostri figli lo vedranno cessare. Ecco le ragioni per le quali ho in iscritto manifestato queste idee. Non iute tino entrare nel merito della questione, mentre voglio, per conto mio, che la questione sia riguardata come questione di ordinamenti, non come questione d'individui.

Vorrei solo fare una risposta.

PRESIDENTI!. Onorevole De Cardenas, la discussione generale è chiusa; non la posso lasciar continuare.

DE CARDENAS. Una sola parola, un solo fatto ho a citare.

L'onorevole Minghetti disse che non è infeudato lo Stato alla Banca.

A questo riguardo non voglio citare che un fatto solo, come dissi.

Quando, pochi giorni sono, si discusse la legge relativa alle fabbricerìe, si volle venire alla soppressione dell'Economato, e fu detto dal banco dei ministri, e fu ripetuto da un autorevole deputato della destra che ciò non si poteva e non era necessario di fare, perché la Banca non ne aveva bisogno per questa nuova convenzione sua. Non è questo un infeudamento dello Stato alla Banca? Io ve lo domando, e non ho più nulla ad aggiungere.

PRESIDENTE. L'onorevole Asproni ha chiesto la parola. Su che cosa intende egli parlare?

ASPRONI Sulla questione.

PRESIDENTE. La discussione generale è chiusa; non posso permettere che si riapra. Dica su che cosa vuol parlare.

ASPRONI. Potrei esprimere alcune brevissime considerazioni, ma non amo trattenere la Camera che è stanca. Siccome però sono firmato ad un ordine del giorno, prego l'onorevole presidente di conservarmi la parola per un rapidissimo cenno di alcune idee.

3586 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

PRESIDENTE. Desidera di svolgere quest'ordine del giorno invece dell'onorevole Romano?

ASPRONI. Siamo firmati in due.

PRESIDENTE. Per lo svolgimento di una proposta sottoscritta da due o più deputati, non può aver la parola che un solo.

ASPRONI. Allora mi permetta di spiegarmi in due parole.

PRESIDENTE. Me ne appello a lei, onorevole Asproni, che da molto tempo siede nel Parlamento; dica ella se io possa ancora permetterle di parlare sulla discussione generale, quando è chiusa.

ASPRONI. Mi permetta allora di dichiarare il mio voto.

PRESIDENTE. Se tutti-volessero dichiarare il loro voto, non si finirebbe più.

Onorevole Asproni, non posso assolutamente lasciarla parlare. Quando verrà l'ordine del giorno firmato dall'onorevole Romano e da lei, le darò la parola.

ASPRONI. Se ella mi avesse lasciato parlare, a quest'ora avrei finito.

PRESIDENTE. Ma se io ne avessi avuto facoltà, l'avrei lasciato parlare.

ASPRONI. Io voleva fare una osservazione semplice all'onorevole ministro delle finanze, il quale ieri si è scandalizzato del dilemma del Ferrara: o la Banca o la nazione. Io ripiglio questo dilemma e ne do la ragione, che per altro conoscerà egli stesso...

PRESIDENTE. Onorevole Asproni, parlerà quando verrà il suo ordine del giorno; adesso non glielo posso permettere.

ASPRONI. Un Governo impotente ha dichiarato... (Rumori a destra)

PRESIDENTE. Onorevole Asproni, ella non ha la parola; non mi metta nell'ingrata necessità di chiamarlo all'ordine.

(L'onorevole Asproni pronuncia alcune parole in messo ai rumori della Camera.)

Ora veniamo alla discussione degli ordini del giorno.

OLIVA. Domando di parlare per una mozione d'ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

OLIVA. Prima di procedere alla discussione degli ordini del giorno, bramerei fare un'avvertenza alla Camera, sperando che verrà anche accettata benevolmente dall'onorevole presidente che dirige le nostre discussioni.

In breve io accenno il mio pensiero.

Io desidererei che nelle discussioni del Parlamento non si facessero allusioni alla stampa, la quale qui non può essere difesa...

LAMI, presidente del Consiglio. Ha ragione !

OLIVA. Io più volte ho dovuto con dolore constatare questo fatto per deplorarlo pubblicamente, come faccio. Non v'ha a tale proposito questione o distinzione di partito, è questione di libertà e di franchigia per tutte le opinioni. Fuori di questo recinto, o signori, vi è l'opinione pubblica,

alle cui espressioni fa precipua parte la stampa, e che ha diritto di essere rispettata dovunque, massimamente qui dentro, dove siede la maestà della rappresentanza nazionale. Io stimai mio debito di fare questa avvertenza; sparo che l'onorevole presidente ne vorrà tenere conto.

PRESIDENTE. Ne sarà tenuto conto, per quanto è in sua facoltà, dalla Presidenza.

Nella classificazione degli ordini del giorno, si trova innanzitutto quello proposto dall'onorevole Avitabile, il quale si diversifica dagli altri che riguardano il progetto di legge, inquantoché ha tratto ad una interpretazione da darsi, e perciò entra in una sfera più vasta.

Quindi verrebbero gli ordini del giorno, dirò così, di reiezione presentati dagli onorevoli Corte, Catacci e Castellani; poi quelli sospensivi proposti dagli onorevoli Nicotera, Sineo e Romano, e da ultimo le controproposte.

Prego la Commissione a dichiarare se voglia esprimere adesso il proprio parere su queste proposte o riservarsi di emetterlo dopo che siano svolte.

CHIAVES, relatore. La Commissione è in grado di esprimere fin d'ora la sua opinione sopra questi ordini del giorno. Non parlerò...

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Chiaves.

Anzitutto debbo annunziare alla Camera che l'onorevole Bertani ha dichiarato alla Presidenza che ritira il suo ordine del giorno, attesoché, per circostanze di famiglia, non può recarsi alla Camera per svolgerlo.

Dunque, onorevole relatore, vuole riservarsi ad esprimere l'avviso della Commissione su questi ordini del giorno quando saranno svolti?

CHIAVES, relatore. Mi riservo.

PRESIDENTE. Do lettura dell'ordine del giorno presentato dall'onorevole Avitabile:

«La Camera, deplorando l'interpretazione data alla legge del 3 settembre 1868 per quanto concerne i biglietti che la Banca Nazionale (nel regno d'Italia) deve dare agli istituti di credito in forza dell'articolo 6 del decreto del 1° maggio 1866, passa all'ordine del giorno.»

Domando se quest'ordine del giorno è appoggiato.

(È appoggiato.)

L'onorevole Avitabile ha facoltà di svolgerlo.

Voci. L'ha già svolto.

PRESIDENTE. Ora ha facoltà di sviluppare il suo ordine del giorno.

AVITABILE. Io ho presentato quest'ordine del giorno prima che si chiudesse la discussione generale; perciò, prima di svolgerlo, desidererei sapere che cosa né dice l'onorevole ministro delle finanze, poiché io ho citato dei fatti,coi quali, a modo mio di vedere, si sono oltrepassati i limiti del corso forzoso stabiliti dalla legge del 3 settembre 1868.

3587 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Io vorrei sapere se l'onorevole ministro delle finanze accetta o non accetta i fatti da me deplorati.

Se l'onorevole ministro nega l'esistenza dei fatti, allora la questione consisterà nel vedere se esistono o non esistono. Per me credo che esistono, ma desidero che il ministro delle finanze parli, perché deve conoscerli meglio di me.

SELLA, ministro per le finanze. Io aveva dovuto uscire dalla Camera un istante l'altro giorno allorquando l'onorevole Avitabile parlò di questo speciale argomento, e quindi confesso che non ho presenti le sue parole; ma dal tenore stesso dell'ordine del giorno che egli propone, mi immagino che egli intenda parlare di questa quistione: cioè se i biglietti di Banca che sono dati agli istituti di credito in corrisponsione delle riserve metalliche da tessi immobilizzate, debbano o no essere compresi nei 750 milioni, a cui la legge del 1868 fissò la circolazione della Banca. Credo che sia questa la sua idea.

AVITABILE. Non solo questa, ma ce n'è una seconda; e, se permette, spiegherò il mio concetto.

MINISTRO PER LE FINANZE. Anzi lo pregherei a farlo.

AVITABILE. Ripeterò quello che ho detto. Sono due questioni: vale a dire se i biglietti, che in forza della legge del 1° marzo 1866 la Banca Nazionale è obbligata di dare agli altri stabilimenti di circolazione, in compenso della loro riserva metallica, per metterli in circolazione dovevano o no essere compresi tra i 750 milioni della legge 3 settembre 1868.

Ma ve n'è un'altra, cioè se anche quando questi biglietti dovessero essere compresi nei 750 milioni, era permesso al Governo di creare un sistema fittizio col quale la circolazione dei biglietti inconvertibili potesse aumentarsi, poiché facendo dei depositi di valori presso i Banchi secondari, diciam così, questi Banchi, ritenendo questi depositi come riserva metallica, e nell'istesso tempo come depositi potessero prendere dalla Banca Nazionale nuovi biglietti, e questi nuovi biglietti consegnarli al Governo per metterli nella circolazione sempre in di più dei 750 milioni da una parte, e dall'altra rilasciare i biglietti in corrispettivo del deposito.

In appoggio di quanto ho detto, ho citato il fatto di 16 milioni depositati al Banco di Napoli, con verbali fatti dal Banco, coll'intervento del direttore della Banca Nazionale e di un agente governativo. Dopo dichiarazione scambievole di garanzia tra la Banca ed il Banco di Napoli, e tra il Banco di Napoli ed il Governo, si presero 16 milioni di biglietti e si misero in circolazione al di fuori dei 750 milioni. Con questo fatto io intendeva di dimostrare che, se è pericolosa la carta governatila, è pericolosissima la carta della banca.

MINISTRO PER LE FINANZE. Come dice l'onorevole Avitabile,

sono due emissioni: della prima si è già parlato, se non vado errato, nella discussione del bilancio del Ministero dell'agricoltura e commercio, ed il mio collega ha già dato spiegazioni sopra questo argomento, ed ha detto come fosse stato interpretato dal precedente Consiglio dei ministri che i biglietti dati agli istituti di credito in corrisponsione della riserva metallica da essi immobilizzata non dovessero contare nel maximum dalla legge stabilito.

Per conseguenza, su tal cosa non avrei nulla di nuovo da dire, imperocché è già decisa.

AVITABILE. Ma non fu decisa.

MINISTRO PER LE FINANZE. Intendo dire ciò come notizia di fatto sulla discussione che già ci fu in Parlamento.

Vengo al secondo fatto che ha citato l'onorevole Avitabile, ed ecco in che termini si trova.

Esaminato lo statuto anche dal punto di vista dei desiderii che furono più volte espressi in quest'Aula, ed anche specialmente dalla Commissione del bilancio, dietro i lavori soprattutto dell'onorevole Mezzanotte, cioè che non si dovesse ridurre, per quanto è possibile, la somma che il Governo tiene in cassa per fare il servizio, io ho dovuto acquistare il convincimento, o signori, che questa somma ragguardevole di milioni che il Governo deve tenere in cassa è in gran parte dovuta allo stato delle valute che sono nella medesima.

Infatti avviene questo, o signori, che, oltre il bronzo, che non si può, come sapete, a termini delle leggi vigenti, spendere al di là di una certa misura; oltre all'oro che si deve andare accumulando onde provvedere ai pagamenti in oro cui la finanza è obbligata, e che certo nessuno vorrà consigliare di dare per somme che si possono pagare in biglietti, io ho dovuto vedere che c'era nelle casse una considerevole massa d'argento, specialmente di quello divisionario, vale a dire 20, 21 o 25 milioni. Ora anche questa si trova in condizione da non potersene quasi far uso.

Il mio onorevole predecessore ha provato una volta, a fare il pagamento di metà del debito pubblico per mezzo di moneta divisionaria in argento. Volete sapere, o signori, che cosa è avvenuto?

È avvenuto questo fatto, che i sacchetti di pezze da 20, 50 centesimi, da una lira andarono fuori e di lì ad alcuni giorni tornarono senza essere slegati nelle casse governative. Erano stati adoperati come pagamento di diritti doganali, imperocché a tale riguardo si riceve tanto l'oro, quanto questa specie di moneta.

Dimodoché in pochissimo tempo tutta questa moneta rientrò, e siccome non se ne può fare uso per i pagamenti in oro, ne avvenne che questa manovra non ebbe altra conseguenza pratica se una quella di esporre lo Stato alla perdita dell'aggio corrispondente; imperocché, se questa massa metallica

3588 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL, 1869

non fosse stata messa fuori, i pagamenti dei diritti doganali sarebbero stati fatti in oro, e con questo il Governo avrebbe potuto pagare i suoi debiti. Invece, siccome rientrò immediatamente, e lo Stato non ne può fare uso, ne viene in conseguenza che il Governò deve cercare l'oro, e allora, ripeto, col proposito di diminuire per quanto possibile quest'aggravio, io ho creduto utile per lo Stato di deporre questa massa metallica presso il Banco di Napoli, il quale non aveva d'immobilizzate, a termini del decreto costitutivo del corso forzoso, che una somma (della quale non ho qui la cifra precisa) ma so che era di poco più di 3 milioni; ed allora si sono presi 16 o 17 milioni (neppure qui ho la cifra precisa) e furono dati al Banco di Napoli acciò l'immobilizzasse.

A tenore del decreto costitutivo del corso forzoso, immobilizzandosi questa massa metallica, il Banco di Napoli richiese la Banca Nazionale acciò gli desse un correspettivo in suoi biglietti; e questi furono dati al Governo, che se ne poteva servire più utilmente, e senza quelle conseguenze assai nociva di cui testé ho parlato per i suoi pagamenti.

Questa è l'operazione che ho fatta io. Quindi se non fu un errore ciò che fece il Ministero precedente e di cui ha parlato il mio collega, cioè che la riserva immobilizzata nelle casse dei vari istituti di credito dia luogo ad un'emissione di biglietti della Banca Nazionale a questi istituti, i quali non contano nella massa della circolazione autorizzata, allora la legge si estende non solo alle antiche quantità, di biglietti emessi per quella immobilizzazione, ma audio alla mia. Se errore ci fu, anche io vi sono incorso; ma, se non vi fu errore nella prima, non vi è neppure nella seconda operazione. Ecco l'esplicazione del principio di cui io mi sono valso, e con quale scopo io abbia ciò fatto, lo vede l'onorevole Avitabile, lo vede la Camera. Lo scopo era di valermi dei 16 o 17 milioni che realmente giacevano completamente inoperosi nelle casse dello Stato e di cui se il Governo si fosse servito, il risultato sarebbe stato di privare le entrate dello Stato di un'uguale somma in oro, e per conseguenza di esporre il Governo ad una perdita d'aggio corrispondente a questa somma di 16 o 17 milioni. Credo che, come fatto, io non abbia altro ad aggiungere all'onorevole Avitabile.

AVITABILE. L'onorevole ministro delle finanze non vuol fare alcuna distinzione tra il primo ed il secondo fatto. Io credo che non solamente vi è differenza tra il primo e secondo fatto, ma osservo che le giustificazioni che ha date il signor ministro pel secondo fatto sono anche in contraddizione della legge monetaria del 24 agosto 1862. Il signor ministro disse: il mio movente nel fare questa operazione è stato la necessità di fare uso degli spezzati di argento che giacevano inutili nelle casse dello Stato e dei quali, se si fosse fatto uso per pagare il debito pubblico o per altre spese, i medesimi sarebbero,

con danno dello Stato stesso, rientrati di nuovo nelle casse pubbliche pei pagamenti dei dazi doganali. Io rispondo all'onorevole ministro che, se 1 amministrazione; pubblica facesse eseguire le leggi, il fatto messo in campo dall'onorevole ministro non si potrebbe verificare.

MINISTRO PER LE FINANZE. Perché?

AVITABILE. La legge del 24 agosto 1862 stabilisce i limiti entro i quali si possono usare nei pagamenti gli spezzati d'argento. Quando la legge ha stabilito che la moneta divisionaria d'argento doveva essere di un titolo inferiore al reale, io non so se abbia fatto bene o male. Io, quantunque allora non fossi deputato, l'ho combattuta con tutte le mie forze. E nel Parlamento francese in quel momento una legge simile proposta è stata respinta. È stata l'Italia quella che dopo trascinò la Francia sul pendio della moneta divisionaria di basso titolo. Quando la moneta divisionaria d'argento fu stabilita al titolo di 835, vale a dire con il 7 per cinto circa di meno del valore reale, la legge stessa ha provveduto il modo come dovevano farsi i pagamenti. Colla legge monetaria del 24 agosto 1862 si è stabilito che non si possono usare nei pagamenti più di 50 lire di spezzati d'argento. Io domando quindi al signor ministro come potevano i 25 milioni rientrare nelle casse dello Stato per pagamento di dazi doganali? È un bel pretesto, signori, ma non è una realtà il timore dell'onorevole ministro. Non può essere che il Governo, la direzione generale del Tesoro e le pubbliche amministrazioni ignorassero la disposizione della legge del 24 agosto 1862. Questo si è fatto per procurarsi una risorsa finanziaria, aumentando il corso forzoso, per trovare un mezzo di eludere la legge del 3 settembre 1868.

Io non so come il paese possa giudicare questi mezzi che si usano dal Governo per trasgredire le leggi solennemente votate dal Parlamento, le solenni promesse che la rappresentanza nazionale aveva date al paese di non oltrepassare col corso forzoso il limite de' 750 milioni; io non so come la Camera possa impunemente tollerare questo sistema dì violazione della legge!

Voci a destra. Ai voti ! ai voti!

AVITABILE. (Con calore) Che voti, e voti! Non crediate che sia il numero dei voti che conta soltanto, perché il paese sa anche giudicare dove stia la ragione!

Mi fa troppo dolore sentire questo chiamare ai voti.

Una voce. Dica le sue ragioni!

PRESIDENTE. Facciano silenzio. Onorevole Avitabile, continui il suo discorso.

AVITABILE. Io non temo delle grida ai voti; io queste infrazioni della legge le dico perché le debbo rivelare in questi momenti solenni: il paese giudicherà.

3589 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

La ragione addotta dall'onorevole ministro non mi persuade, perché è in contraddizione colla legge del 24 agosto 1862.

Ma mi si dice: è vero, che tra i 750 milioni non debbono essere calcolati i biglietti che si danno dalla Banca Nazionale agli altri stabilimenti in ricambio della loro riserva metallica sequestrata; ma o signori, quando il testo e le ragioni della legge stanno per me la questione non è discutibile; quando la proposta della legge al Parlamento è stata motivata dalla Commissione in modo da non ammettere dubbio, io non so come si possa dire che i biglietti non debbono complessivamente calcolarsi.

Ed infatti, quali erano i dati dai quali partiva la Commissione?

Una circolazione di 250 milioni che stava per conto del Governo in forza del decreto 1° maggio 1866; una circolazione di 28 altri milioni posteriore per metterli in circolazione nel Veneto; 100 milioni per la convenzione Rattazzi, più circa 120 milioni di circolazione fiduciaria che la Banca aveva pria del corso forzoso; gli affari che la Banca aveva aumentati dopo il corso forzoso, i biglietti che la stessa aveva dati agli altri stabilimenti di circolazione.

Da questi dati, o signori, è partita la Camera nello assegnare il limite di 750 milioni ai biglietti; questo limite non si poteva oltrepassare quando il Parlamento l'aveva decretato senza somma alcuna esclusa, od eccettuata.

Ora, se per poco la legge si volesse interpretare che non comprendesse i biglietti che la Banca da agli altri stabilimenti di circolazione, non si avrebbero nemmeno dovuto comprendere quelli che la Banca ha dati al Governo, poiché coll'articolo 7 della legge 1° maggio 1866 i biglietti che la Banca da agli altri stabilimenti sono stati completamente eguagliati a quelli che la Banca dava al Governo.

Il decreto del primo maggio 1866 vuole che, tanto i biglietti che la Banca da al Governo, quanto quelli che da agli altri stabilimenti siano ugualmente considerati; per essi si disse soltanto che la Banca non è obbligata a tenere riserva metallica. Non si è fatta altra eccezione che la sola della riserva metallica; eccezione comune a biglietti che dava al Governo ed a quelli che doveva dare agli stabilimenti di circolazione.

Come viene adesso il potere esecutivo a creare un'altra eccezione, cioè che tra i 750 milioni non debbano essere compresi i biglietti che la Banca da agli altri stabilimenti di circolazione? Quale ne sarebbe la conseguenza? Che il corso forzoso della Banca potrebbe arrivare anche ad un miliardo e ad un miliardo e mezzo, messi d'accordo la Banca Nazionale col Banco di Napoli e col ministro di finanza; la Banca sia prendendo spezzati dalla sua riserva metallica, sia acquistandoli colla sua carta inconvertibile e depositandoli al Banco di Napoli; il Banco di Napoli potrebbe dare l'equivalente

in biglietti propri al Governo e la Banca figurare la creditrice del Banco, nel mentre nel fatto sarebbe creditrice del Governo non solamente la Banca, ma benanche il Banco di Napoli. Una volta ammessa questa eccezione, questa interpretazione, questa stiracchiatura della legge, il corso forzoso tornerebbe illimitato.

Io non ho proposto una censura, né all'amministrazione passata, né all'amministrazione attuale, ho presentato semplicemente un ordine del giorno modestissimo, col quale la Camera deplora che si sia data tale interpretazione alla legge. Non intendo censurare alcuno, voglio solo col mio ordine del giorno che la legge del 3 settembre 1868 sia eseguita, e nel vero suo senso; e se pur si voterà la convenzione colla Banca, ed il Parlamento nella sua maggioranza crederà che la circolazione non debba essere più di 750 milioni, ma di 800, siano 800 effettivi e non già un miliardo o un miliardo e mezzo.

MINISTRO PER LE FINANZE. L'onorevole Avitabile suppone che questa operazione sia stata fatta per accrescere il corso forzoso; io posso assicurarlo invece che non feci altro con detta operazione se non rendere utilizzabili 16 o 18 milioni che erano nelle casse dello Stato e di cui non mi poteva servire.

Se avessi potuto ottenere questo risultato in altro modo conveniente, io certo non avrei fatto quest'operazione; però, lo ripeto, non ha altro scopo che questo.

Dice l'onorevole Avitabile: voi violate la legge se ammettete la moneta divisionaria nelle casse del Governo in limiti diversi da quelli che sono stabiliti dalle leggi generali monetarie.

Ma lo prego di considerare che fu appunto per attenuare le conseguenze che il corso forzoso poteva avere nel pagamento dei diritti doganali in metallo che si è creduto in principio di ammettere la moneta divisionaria in codesti pagamenti.

VALERIO. Nella legge questo non si è detto.

MINISTRO PER LE FINANZE. Dunque qui si tratta, lo ritengano bene, o signori, di dichiarare che nel pagamento dei diritti doganali non si potrà pagare più di cinquanta lire in moneta.

VALERIO. Nella legge è già scritto.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma se l'onorevole Valerio dovesse pagare dei diritti doganali...

VALERIO. Eseguirei la legge.

MINISTRO PER LE FINANZE., troverebbe che è una tal cosa abbastanza ragguardevole.

Il fatto sta che bisogna che la Camera ponderi tutte le conseguenze della sua deliberazione.

Quando fu dato il corso forzoso e quando fu dettò che i dazi doganali dovessero pagarsi in materia metallica... (Mormorio a sinistra)

VALERIO. Questa facoltà non fu data né colla legge...

3590 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

MINISTRO PER LE FINANZE. Mi lasci parlare onorevole Valerio.

Io sto sempre a sentire gli altri, eppure non posso parlare senza che mi si interrompa ad ogni tratto. Che le mie parole sieno proprio prive d'ogni senso, d'ogni lume di ragione...

Voci. No! No!

MINISTRO PER LE FINANZE... e che io abbia di continuo bisogno di essere istradato!

VALERIO. Domando la parola per un fatto personale.

FENZI. Domandi, ma lasci parlare.

MINISTRO PER LE FINANZE. Dunque ripeto: quando fu stabilito il corso forzoso venne deciso che, per attenuarne le conseguenze abbastanza gravi, specialmente quando l'aggio sale ad un'altezza ragguardevole, si potesse anche pagare con moneta divisionaria.

Or bene, avendo nelle casse governative questa somma, se la si spende in pagamenti senza aggio, tornando essa, sotto forma di dazio doganale, nelle casse dello Stato, si ha il risultato che ho testé riferito.

Supponiamo, per rotondità di cifra, siano 20 milioni che si mettono fuori, rientrando essi nel semestre, dovete pagare 20 milioni e per conseguenza sareste dispensati dall'aggio sopra 20 milioni.

Se l'aggio dovesse continuare, il che non credo, considerate la conseguenza di questa piccola manovra, e vedrete che è già abbastanza grave, per quel che riguarda le dogane; imperocché si adoprano tutti gli artifizj per fare pagamenti minori di 50 lire onde mandarvi quanta moneta divisionaria a in cassa.

Il risultato è dunque una perdita notevole per l'erario, quindi non credo, almeno nel concetto da cui fui guidato, di poter maritare biasimo.

Ma l'onorevole Avitabile se ne inquieta sotto un altro punto di vista. Egli riconosce che questa questione relativa a 16, 17, 18 milioni, non può per parte della finanza andare al di là, perché, anche volendolo, non si avrebbero più altre masse metalliche colle quali poter conseguire tale effetto, perché la somma che accennai è il totale delle monete divisionarie raccolte nell'anno, e quanto alle somme in oro, ce ne serviamo pei pagamenti in oro.

Ma soggiunge l'onorevole Avitabile: in tal modo i biglietti a corso forzoso si possono aumentare a miliardi, perché basta che si portino masse metalliche nelle casse di questi istituti bancali e che questi le immobilizzino, per avere una corrispondente quantità di biglietti.

Dio volesse, onorevole Avitabile, che le condizioni finanziarie fossero tali che manovre di questo genere potessero farsi; evidentemente il corso forzoso sarebbe bell'e finito!

Ma, come può egli supporre, l'onorevole Avitabile, che col biglietto, il quale soffre una perdita per essere convertito in oro, uno stabilimento possa avere in vista d'andare a prendere, ad esempio, 100 milioni in oro che pagherà ora con 110 milioni in biglietti, portare questi milioni nelle sue casse per farsi dare in corrispettivo 100 milioni di biglietti?

Questa è una operazione impossibile, quindi io prego la Camera di riflettere che nell'attuale condizione delle cose non è accettabile l'ordine del giorno proposto dall'onorevole Avitabile.

Quest'ordine del giorno ha per conseguenza di ricacciare 20 milioni nelle casse dell'erario, facendo ritornare quelle monete divisionarie per mezzo dei pagamenti doganali fatti in somme non superiori a 50 lire alla volta. Ora poi, anche questo ammesso, ne avverrebbe sempre una notevolissima perdita per l'erario, perdita per l'erario che sulla base di 16 o 18 milioni sarebbe in 6 mesi di un milione e mezzo, stanteché l'aggio è sventuratamente di molto cresciuto.

Tale questione è stata di già sollevata dall'onorevole Avitabile quando si discusse il bilancio di agricoltura e commercio, essa non venne risolta dalla Camera e rimase perciò impregiudicata.

Ora prego l'onorevole Avitabile di considerare che se vi è momento in cui non convenga obbligare le finanze o ad avere in cassa 15 o 20 milioni di cui non si può e non si deve servire, o a soffrire una grave perdita, tale momento è questo.

L'onorevole Avitabile non può non avere contezza delle difficili circostanze in cui siamo per ciò che riguarda l'aggio. Se questo fosse più rimesso, la questione avrebbe molto minor gravita.

Pregherei dunque l'onorevole Avitabile di lasciare impregiudicata la questione, come fu fatto in occasione della discussione del bilancio d'agricoltura e commercio; non vincolandola né in un senso, né in un altro.

Una sospensione è pure conferme all'interesse della tesi che egli sostiene, poiché in altra epoca la Camera potrà esaminarla, scevra dalle gravi preoccupazioni presenti.

Laonde voi vedete, o signori, che se mi dite: riprendetevi questo danaro, servitevene, io lo spenderò; ma evidentemente voi esporrete l'erario ad una perdita di un milione o di un milione e mezzo pel semestre.

Quindi, se le mie parole possono avere un effetto sull'onorevole Avitabile, lo pregherei di sospendere il suo ordine del giorno, per non pregiudicare nulla anche nel senso delle sue idee. Se egli insiste per una decisione immediata, mi raccomando vivamente alla Camera onde voglia respingere l'ordine del giorno da lui proposto.

PRESIDENTE. L'onorevole Avitabile ha la parola per una dichiarazione.

AVITABILE. Io, col mio ordine del giorno, non intendeva che le operazioni fatte si dovessero distruggere; intendeva semplicemente che la Camera deplorasse l'interpretazione data alla legge del 3 settembre 1868.

3591 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Se l'onorevole ministro delle finanze domanda una sospensione per la definizione della questione, per me niente di meglio, ma purché l'onorevole ministro delle finanze sia compiacente di dichiarare che, fino a che tale questione non sia decisa, egli non farà operazioni simili.

MINISTRO PER LE FINANZE. Posso soddisfare completamente l'onorevole Avitabile, perché, quand'anche avessi voglia di fare una operazione di questo genere, non ne avrei i mezzi.

PRESIDENTE L'onorevole Valerio accenni il fatto personale per cui chiese di parlare.

VALERIO. Sarò molto breve.

L'onorevole ministro delle finanze, il quale ordinariamente cerca con piacere le interruzioni...

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma. no!

VALERIO... si è un po' inquietato di una interruzione mia, dandogli l'aspetto come se io volessi istradarlo.

Me lo perdoni, Dio mi salvi dal prendere uno scolaro simile. (Risa del ministro delle finanze) Io voleva tutt'altro che istradarlo; voleva fargli osservare che egli ci menava per una via falsa, perché egli stabiliva per principio che le amministrazioni pubbliche potessero colle loro interpretazioni speciali violare le leggi ed ammettere che i diritti di dogana possano essere pagati in violazione delle leggi monetarie. Ecco quello che io voleva dire.

MINISTRO PER LE FINANZE. Duolmi di non essere uno scolaro degno dell'onorevole Valerio; ma siccome si trattava di un filo di idee che andava esponendo, io desiderava che me lo lasciasse terminare; dopo egli avrebbe potuto rispondermi.

PRESIDENTE. Dunque l'ordine del giorno dell'onorevole Avitabile si intende ritirato colla riserva da lui fatta.

Ora entriamo nella discussione degli ordini del giorno che racchiudono il concetto della reiezione della legge, quindi passeremo a quelli che mirano soltanto alla sospensione della medesima.

Primo fra gli ordini del giorno, che racchiudono il concetto della reiezione della legge, è quello dell'onorevole Corte. Ne do lettura:

«La Camera, considerando che la convenzione colla Banca Nazionale nel regno d'Italia è tale da compromettere seriamente gl'interessi politici e sociali del paese, respinge la proposta ministeriale e passa all'ordine del giorno.»

Domando se quest'ordine del giorno è appoggiato.

(E appoggiato.)

L'onorevole Corte ha facoltà di svolgerlo.

CORTE. Ieri l'onorevole ministro delle finanze, rispondendo al discorso dell'onorevole Ferrara, si è lamentato che lo si era perfino attaccato alle spalle. Io prometto all'onorevole ministro che non lo attaccherò alle spalle, ma di fronte.

Io credo che nulla sia stato più fatale, che abbia fatto più male al sentimento unitario in Italia che la mania dell'unificazione.

Nato nelle antiche provincie, io ho seguito con grandissimo dolore l'applicazione di quell'eccessivo accentramento che doveva produrre quella non meno deplorabile reazione contro il Piemonte.

Noi non dobbiamo dimenticare che il trasferimento della capitale, sebbene frutto di una convenzione che io deploro e condanno, perché imposta dall'estero, fu però accolto con grandi applausi dagli Italiani in generale, come una reazione contro la troppa mania dell'egemonia burocratica piemontese. (Bene! a sinistra)

Qui premetto che parlò chiaro. Ora sono costretto a dichiarare che il progetto di legge che noi abbiamo avanti, mi addolora, e mi addolora specialmente perché, appartenente alle antiche provincie, sono pur troppo convinto che la stessa reazione provocata contro l'egemonia burocratica piemontese, sarà per prodursi ancor più fortemente contro l'egemonia bancaria ed economica che alle antiche provincie indirettamente si da sanzionando questo progetto di convenzione colla Banca Nazionale. (Benissimo! a sinistra)

Io ho conosciuto in Piemonte, come altrove, ma in Piemonte segnatamente, tre scuole di uomini politici.

Quelli che hanno desiderato ed hanno promosso l'unità d'Italia. E qui mi sia permesso di dire brevemente che se taluno ha ravvisato una contraddizione nella nostra condotta per aver noi in molte circostanze differito dalla politica interna dell'onorevole Rattazzi, noi siamo però perfettamente logici quando ora stiamo a lui uniti, poiché l'onorevole Rattazzi è uno degli uomini più egregi di quella scuola che fin dal 1848 ha desiderata e promossa l'unità d'Italia. Viene una seconda scuola, quella che ha accettato l'unità. La terza scuola finalmente è quella che l'ha subita.

Io sono dolente di dover dire una verità dura, ma che pure è una grande verità, che, cioè, questo progetto di convenzione mi spaventa, perché, guardando l'onorevole Sella, mi ricordo il proverbio francese Dis-moi qui tu hantes, je te dirai qui tu es. [Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei. - N. d. R.]

Io sono convinto che gli uomini i quali credono un fatto meravigliosamente utile per l'unità d'Italia questo concentramento di potenza bancaria ed economica in mano a quello stabilimento, abbiano motivi i più puri ed i più onesti; ma ricordo che, la prima volta che io ho visitato la grotta azzurra di Capri, io ne sono uscito vedendo tutto di colore azzurro.

Ora, colui che vive in un centro dove una data operazione pare molto buona, finisce per persuadersi che quello che è buono per sé è buono per tutti. Questo è il vero punto della questione.

3592 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

È un fatto che non mi si può negare che la convenzione colla Banca Nazionale, se è accolta bene in quei paesi dove gl'interessi di quello stabilimento hanno una grande prevalenza, offende però profondamente gl'interessi, e, se volete, vi dirò anche i pregiudizi di una parte notevolissima d'Italia.

Ora, quando i pregiudizi sono divisi da un gran numero di persone, in politica bisogna tenerne conto.

Non è inutile che io vi dica che noi siamo in momenti siffattamente solenni, in cui forse l'Italia non si è mai trovata, in circostanze così difficili, nelle quali direi elio forse una nazione non si è trovata mai; perciò credo sia grave imprudenza il mettere di mezzo, sotto qualunque forma, un nuovo pomo di discordia.

L'onorevole ministro delle finanze ci dice: ma io non posso fare altrimenti: o la convenzione colla Banca o il finimondo.

MINISTRO PER LE FINANZE. No, no!

CORTE. Ed io dico francamente: non capisco che l'onorevole Sella, col suo ingegno, voglia abbassarci a fare, per così dire, la parte di Esaù. Per me, 100 milioni, 200 milioni, se volete, non valgono il danno che si può arrecare in questo momento al paese, buttando in mezzo questo nuovo motivo di dissensione.

I momenti, come ho detto, sono difficilissimi, bisogna star compatti tutti, per cui io credo che se la convenzione colla Banca era una cosa imprudente venti giorni sono, è divenuta in oggi imprudentissima.

I pericoli che questa convenzione può produrre, che io vi prego di considerare, e che saranno per voi evidenti, se solamente volete spingere il vostro sguardo più in là di pochi mesi dal giorno in cui siamo, questi pericoli non sono solo politici, ma sono anche sociali.

Io amo che tutti si arricchiscano, io desidero che tutti col lavoro possano acquistare agiatezza, ma io so quali pericoli produce nell'ordine sociale quella ricchezza la quale, più che del lavoro, è frutto di un privilegio. Voi potete fare quello che volete; voi favorirete degli azionisti, ma li rendere tepontemporaneamente odiosi.

Leggete la storia, e vi persuaderete che molti paesi hanno tollerata, vi dirò di più, qualche volta sono stati lieti di subire la dominazione di un'aristocrazia territoriale; ma la dominazione di un'aristocrazia creata fittiziamente con dei monopolii bancari nessun paese la tollererà mai, nessun paese l'amerà mai.

Ricordatevi i trapetisti di Atene, gli argentieri di Roma ed i traitants di Francia negli anni che precedettero la rivoluzione francese, e voi converrete con me che coloro i quali credono di rinforzare lo Stato creandovi attorno un' aristocrazia di uomini di danaro, cadono nel massimo degli errori.

Io conchiudo. Sono convintissimo che questa convenzione fa male al paese, che questa Convenzione è politicamente e socialmente un gravissimo errore.

Io la deploro con tutte le mie forze, e io la deploro tanto più inquantoché, essendo io rappresentante di uno dei collegi delle antiche provincie, io vedo colla medesima rinascere quell'odio, in molte parti ingiusto, con cui è stato fatto bersaglio il Piemonte per la mania di troppo volere centralizzare in cose burocratiche; odio che sarà ancora più vivo se si viene anche a rinforzare nelle sue mani l'egemonia bancaria. (Vivi segni di approvazione a sinistra)

PRESIDENTE. Ora viene l'ordine del giorno dell'onorevole Catucci. Lo leggo:

«La Camera, ritenendo che può provvedersi ai bisogni del Tesoro con una operazione di sconto sugli arretrati, secondo il concetto manifestato dall'onorevole Castellani, dichiara di non passare alla discussione degli articoli della convenzione con la Banca.»

Domando se è appoggiato.

(È appoggiato.)

L'onorevole Catucci ha la parola per isvolgere il suo ordine del giorno.

CATUCCI. L'onorevole deputato Minghetti terminava il suo breve discorso manifestando il dispiacere di non aver osservato in questa discussione una serenità, una calma, ma invece egli ha osservato delle passioni.

Signori, queste parole dell'onorevole Minghetti mi confortano a dire alla Camera, che un giorno, e non sarà tardi, la nostra Italia leggerà i discorsi che noi facciamo nella Camera, ed ora più che mai in questa solenne discussione relativa alla convenzione con la Banca, e non potrà addolorarsi, anzi sono certo, che il paese comprenderà che coloro, i quali soccombettero, avevano più ragione di quelli che vinsero.

Sì, o signori, noi discutiamo per l'avvenire non per il presente. Facciamo, è vero, leggi che si attuano presentemente, ma gli effetti, ma la bontà di esse, ma le conseguenze noi le vedremo in seguito, saremo giudicati dopo, ed un dopo non molto lontano.

Dopo il discorso dell'onorevole deputato Ferrara, io credeva, e non è nuovo nella storia parlamentare, io credeva che il ministro proponente si fosse levato dal suo posto, ed avesse detto: ho sbagliato, io ritiro il progetto per la convenzione colla Banca.

È vero, signori, che quest'atto sarebbe stato troppo virtuoso, e perché troppo virtuoso, molto raro; ma, ripeto, la storia non è priva di fatti consimili. E lo stesso onorevole Sella ce ne dava un esempio non è molto, quando discutevamo la legge intorno alla riscossione delle imposte dirette. In quella legge vi erano degli articoli che toccarono la coscienza della Camera; la discussione fu sospesa.

Signori, non ci troviamo noi nelle stesse condizioni intorno alla convenzione colla Banca? Abbia la gentilezza la Camera di ascoltarmi per pochi momenti.

Io non sono un economista, quindi non vi è timore di un lungo discorso, né ne sarebbe il caso dopo quanto si è detto contro la legge che discutiamo.

3593 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

E, per vero, noi abbiamo udito dei grandi economisti, e molte volte, signori, anche tra gli scienziati vi sono le passioni dei principii, delle differenti scuole cui appartengono e che professano. Ma io, non essendo un econemistà, parlerò solamente, dirò così, coi principii di ragione, unica e sola fiaccola della verità, unico regolo che dovrebbe noi tatti guidare, senza nessun partito preso per i principii di scienza della economia sociale.

Adunque io non ritornerò all'esame della convenzione colla Banca: questa è stata così eloquentemente ed evidentemente confutata per due giorni continui dall'onorevole deputato Ferrara, che sarebbe ardimento mio il tentarlo. Abbiamo bisogno di danaro, eccomi alla mia proposta.

Il mio ordine del giorno ha imo scopo che certamente non può essere da voi contraddetto.

Egli è facile comprendere che, quanti più giorni passano, ne convengo, tanto più imperioso si presenta il bisogno di dare dei mezzi al Governo.

lo dunque non mi fermerò a discutere della convenzione colla Banca; come diceva, il mio brevissimo discorso tende solo a concludere che, dinanzi al bisogno di numerario che ha la nazione, il mio ordine del giorno vi somministra il mezzo di procuracelo, e con sicuro risultato.

L'onorevole Ferrara diceva che egli sarebbe piuttosto addivenuto, sebbene a malincuore, ad un altro imprestito, anziché dare il suo voto a questa convenzione, e, secondo il suo solito, ne dava larghissime ragioni.

Io, signori, vi presento un mezzo che voi non potete respingere senza rinunciare alla giustizia, all'opportunità.

La destra della Camera non può certamente non approvare la preghiera che io li sottopongo e che svolgerò brevemente, perché l'evidenza va meglio intuita, che dimostrata.

La Camera sa che noi abbiamo 352 milioni di arretrati, come risulta dalla tabella numero 7, annessa all'esposizione finanziaria dell'onorevole Sella, il quale soli 49 milioni li chiamava di dubbia esazione.

Sta ancora in fatto che, eseguite tutte le detrazioni che volete, noi abbiamo sempre un supero certo e sicuro di 268 milioni, e che questo supero indubitato, certo, incontrastabile, viene nientemeno che garantito da stabili: eccone in proposito una più minuta dimostrazione.

Sta o non sta in fatto che dei 352 milioni di arretrati apparenti dalla tabella numero 7, annessa all'esposizione finanziaria dell'onorevole Sella, soli 49 milioni sono dichiarati di dubbia esazione?

Sta o non sta in fatto che, anche detratti gli 11 milioni dai 25 milioni circa di arretrati pel dazio-consumo dovuti dalla città di Napoli, questa partita rimane di 14 milioni?

Esclusi questi milioni coi suddetti 49 di dubbia esazione, sono 60 milioni, o gli arretrati esigibilissimi restano sempre 292 milioni.

Qual dubbio può avverarsi sulla esigibilità degli arretrati delle tasse dirette in lire 138 milioni, mentre essi (esclusa la ricchezza mobile) sono garantiti dagli stabili?

Lasciamo poi fuori la tassa sul macinato in 10 milioni.

Qual dubbio può pure sorgere sulle somme dovute dai comuni e dalle provincie in lire 12 milioni?

Questi aggiunti ai suddetti 138 milioni fanno già 150 milioni, che occorrono per la operazione che si propone.

Nessun dubbio, oltre a ciò, può sorgere sulle somme dovute per le obbligazioni demaniali in ….........................

L. 4,000,000

ma queste restino pure in margine.

Mettiamo pur fuori i rimborsi pei danni delle truppa borboniche in Sicilia e sull'amministrazione toscana in

» 9,800,000

Sulle società ferroviarie non può muoversi dubbio, essendoché vi è ipoteca e tanto meno dando loro tempo a pagare in …..........................................................................

» 53,000,000

Lo stesso dicasi della ferrovia di Savona » 1,400,000

Nessun dubbio sul credito verso il Governo francese in » 500,000

Nessun dubbio sull'arretrato delle rendite degli stabili demaniali in ….................................................................... » 4,000,000

Lo stesso dicasi sulle rendite dell'asse ecclesiastico in » 10,000,000

Escludiamo pure il credito pei beni demaniali venduti prima della società anonima per i medesimi, nonché il ritardo nella tassa di manomorta, in tutto

» 3,800,000.

Nessun dubbio in fine sui Buoni del Tesoro in pegno per conto di diverse ferrovie in …............................................

» 70,000.000

Di talché il margine sarebbe nientemeno che di.............. L. 102,900,000

Passo ora alla ricchezza mobile.

Essa risulta:

Dal 1 quadro ….................................................................... L. 8,627,882 72

Dal 2° quadro …................................................................. » 45,005,222 95

Dal 3° quadro …................................................................. » 5,548,777 79

Dal 4° quadro …................................................................. » 19,472,185 55

In uno... L. 78,654,019 01

Io dunque riepilogo e dico:

Esclusi come sopra 49 milioni per dubbia esazione e per Napoli.......................................................................…......

L. 60,000,000

Pel macinato » 10,000,000

Per Sicilia e Toscana…....................................................... » 9,800,000

Demaniali e manomorta.…............................................... » 3,800,000

In uno... L. 83,600,000

Restano sicuri …............................................................... » 268,400,000.

3594 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Escludendosi pure la metà della ricchezza mobile in 39,300, resterebbero sempre liquidi 229.

Ed escludendo anche tutta la ricchezza mobile, pure resterebbero liquidi 189 milioni, che bastano a far rientrare nelle casse dello Stato lire 150 mila, pei residuali in lire 189,800,000.

Ma si ha bisogno di danaro? E di guanto? Voi dite di 122 milioni. Sia; ma voi, per averli, impegnate tutte le obbligazioni ecclesiastiche, voi diminuite la riserva metallica della Banca, voi rendete perpetuo il corso forzoso, voi favorite il più sfrenato monopolio, voi pagate delle somme non dovute, secondo ha così lucidamente dimostrato l'onorevole Ferrara, mentre invece, con una operazione sugli arretrati, come ha proposto l'onorevole Castellani, ne avrete 150 milioni, senza tutti questi danni, e conservando l'asse ecclesiastico tutto intiero.

Che obbiezioni potete farmi? Sulla realtà degli arretrati? Nessuna. Fatta, come io feci, ogni possibile detrazione, vi restano liquidi 190 milioni. Io lo dimostrai con cifre.

Sull'aggravio dello Stato? No, perché ogni aggravio colpisce e deve colpire i morosi, che se ne troveranno contenti.

Temete infatti che i morosi si lagnino? No, vi ringrazieranno, perché date loro tutto il tempo che può metterli in grado di pagare.

Volete dirmi che sugli arretrati avevate fatto assegnamento? No, perché appunto avevate sostenuta la necessità di 200 milioni pei bisogni di cassa.

E poi il Sella, a pagina 93 della sua relazione, a proposito degli arretrati, dice: «trovate una somma di 352 milioni, la quale figura nei residui attivi, ma che non sarà riscossa.»

Badate bene che dicesi che non sarà riscossa, e per ciò non vi avevate fatto assegnamento.

Credete infine che ci guasti il non poter incassare tutti gli arretrati subito?

Vi rispondo:

1° Che non potreste mai farlo;

2° Che la operazione vi consente di non pagare che il 23° circa delle somme incassate, cioè circa 15 milioni, supponendo che vogliate farne la restituzione in dieci anni; giacché ogni spesa di sconto resta a carico dei morosi.

Ora io domando, o signori, perché su questo arretrato non si faccia una operazione di sconto?

In questi momenti noi non possiamo ricorrere ad operazioni di altra natura, perché forse forse non molto facile ad attuarsi. Secondo me, la operazione più facile sarebbe quella che io in astratto vi proponeva sopra gli arretrati, e ciò io faceva perché ne vedevo la probabilità dopo quanto si è letto io diversi giornali; ed ecco perché io rivolgo la mia preghiera all'onorevole ministro perché abbia almeno la gentilezza di rispondere a queste brevi domande che gli dirigo.

È indubitato, signori, che abbiamo un arretrato di esazione incontrastabile, ora perché non avete procurato di fare una operazione di sconto sullo stesso arretrato, che riscuoterete indubitatamente, giacché i vostri debitori sono, come voi lo sapete, solvibili? Né questo argomento degli arretrati è nuovo nella Camera, né l'impulso ad una operazione di sconto sugli stessi è ancor nuovo; ma intanto, e notino bene, signori, la preoccupazione a favore della Banca era ed è tuttavia tale che si prescinde da tutto, purché rimanga la convenzione con la stessa; ma il silenzio del signor ministro è andato molto oltre.

Ho letto sopra un giornale un atto nei seguenti termini. (Rumori a destra)

Prego la Camera di avere la gentilezza di sentirlo. (Legge:)

«L'anno 1870 e questo dì 20 del mese di giugno in Firenze.

«Io sottoscritto usciere del tribunale civile e correzionale di Firenze, ivi domiciliato e residente; ad istanza del signor conte Andrea Del Medico, possidente domiciliato in questa città ed effettivamente in casa del signor Giuseppe Casalini, in via dei Ginori, n° 10, secondo piano.

«Ho dichiarato a S. E. il ministro delle finanze del regno d'Italia, commendatore Quintino Sella, quanto segue:

«Che essendo stata rimessa da Venezia ad esso signor conte Del Medico un'offerta dal banchiere S. Henry Teixeira de Mattos, diretta a S. E. il ministro delle finanze, per fargli sapere che era pronto a trattare con esso lui, sia in nome proprio che di un consorzio di banchieri, una operazione di cento cinquanta milioni in oro, sulla base degli arretrati, dei quali è stato dato l'elenco nella esposizione finanziaria, ed in ordine a quanto su di ciò è stato detto dall'onorevole signor deputato Castellani cella tornata dell'11 corrente, esso signor Del Medico si è recato fino dalla sera del 18 al Ministero delle finanze per presentare, secondo l'affidatogli incarico,la sua suddetta offerta nelle mani dell'eccellenza sua, ma non essendo stato ricevuto, di nuovo nel giorno di ieri, per ben tre volte, si recò al Ministero medesimo, ma sempre infruttuosamente, dopo di che, informato che il signor ministro si trovava in Parlamento, anche ivi si recò inviandogli un biglietto col quale lo pregava di accordargli un breve momento onde presentargli la indicata offerta: al quale biglietto, avendo il ministro cortesemente risposto, che, stante la sua materiale impossibilità di ascoltarlo, lo avvisava di potersi presentare dal signor commendatore Peruzzi, nuovo segretario generale; esso signor Del Medico ieri sera, 19 corrente, domandò presentarsi per due volte, ma invano. Questa mattina, alle ore sette, avendo fatto nuova istanza personale per parlare al prelodato signor ministro, l'usciere si è rifiutato di consegnare al medesimo la sua carta di visita.

«Stante ciò, compreso il signor Del Medico dell'importanza e dell'urgenza

3595 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

dell'incarico avuto, e sebbene che nell'accettarlo non abbia inteso di fare altro che di rendere un amichevole servizio alla casa bancaria suddetta, pure, per allontanare da sé qualunque responsabilità che potrebbe legalmente derivare contro dì lui dal non sollecito adempimento del ripetuto incarico, ed avendo da sua parte esauriti tutti i mezzi per poter compiere personalmente ed a tempo utile, presso il sullodato signor ministro, si è veduto costretto di ricorrere, con grave suo rammarico, all'uffiziale della legge per protestare, come protesta, che esso non deve menomamente ritenersi responsabile di qualunque eventualità che potesse scaturire dal fatto della non sollecita presentazione della detta offerta, e, nello stesso tempo, per rendere consapevole all'eccellenza sua che l'offerta medesima trovasi presso di lui nell'indicato domicilio elettivo a tutta disposizione della prefata eccellenza sua.

«Copia del presente atto è stata da me sottoscritto usciere notificata al prelodato signor ministro delle finanze, rilasciandola nella sede di detto Ministero, parlando all'usciere Michelo-Pacchettino, ritrovato in detto Ministero questo giorno 20 giugno 1870, ore 12 meridiane.»

La Camera dunque non mette in dubbio l'esistenza degli arretrati di gran lunga maggiore della somma di 150 milioni di oro, che si sarebbero offerti da una casa bancaria. Io pregava il ministro perché, abbandonando l'idea della convenzione in esame, si fosse rivolto ad altra operazione, come quella di cui discorro.

Ma tralasciando tutto ciò, io domando al signor ministro se è vero questo fatto, che io leggo in un giornale, e si sa che i giornali molte volte non dicono il vero, perché spesse fiate sono anch'essi ingannati; ma supponendosi che il narrato dal giornale fosse vero, come pare, io domanderei al signor ministro, per qual cagione egli non ha creduto neppure di ascoltare questa offerta, che venivagli fatta da banchieri? Io non so se i banchieri esistano oppure no; leggo un fatto avvenuto, e di fronte al quale c'è un silenzio di sprezzante.

Ma, signori, se veramente il fatto sta, per qual ragione noi non dobbiamo fare una operazione su questi arretrati, e poi in questo momento? Quale potrà essere l'inconveniente che vi trova il Governo? Si potrà dire: ma i poveri contribuenti debitori saranno sottoposti ad angario per parte dei banchieri che farebbero le operazioni. Niente affatto, poiché questi debitori non sarebbero già ceduti ai banchieri, invece lo Stato continuerebbe ad esigere ed a fare quello stesso che fa oggi. Ma dovrebbero pagare un interesse, tanto bene ed è giusto, perché debitori, che avrebbero un tempo per soddisfare il loro dare; e certamente dovranno ringraziare un Governo che si rende agevolante alle posizioni loro.

Ma si dirà: questi banchieri domanderanno uno sconto, e non si sa a qual ragione; ma questo sconto chi lo pagherà? Lo pagheranno i debitori per le ragioni innanzi brevemente accennate.

Signori, noi ogni giorno gridiamo, e la Commissione stessa in tutte le sue relazioni di leggi finanziarie ripete il principio di non essere giusto che, pel debitore il quale non paga, si aggravi poi l'intero paese. Mettiamo dunque l'eguaglianza; e qui sta la vera eguaglianza, cioè che quei debitori che non hanno pagato, paghino gli interessi sulla somma che il Governo per la loro morosità è costretto ad imporre agli altri nuove tasse. Io pregherei dunque il signor ministro a dirmi perché non ha risposto francamente; io dubiterei dell'esistenza anche del fatto stante il contegno silenzioso del ministro, non dirò del fatto materiale, perché l'ho letto nei giornali, ma dell'esistenza vera dell'offerta. Se dunque è certo che un'offerta si è fatta, egli avrà la gentilezza di dire per qual ragione non ha creduto neppure di onorare l'offerente di una risposta.

Io perciò voterò contro la convenzione colla Banca, e prego la Camera di approvare il mio ordine del giorno che ho avuto l'onore di svolgere con la massima brevità.

PRESIDENTE. Ora viene il turno dell'ordine del giorno Castellani.

Onorevole Castellani, il suo ordine del giorno è l'espressione riassuntiva del suo discorso, quindi credo che avrà poche cose da dire.

CASTELLANI. Sarò più breve di quanto ella possa desiderare.

PRESIDENTE. Mi permetta, darò prima lettura del suo ordine del giorno:

«Considerando che la convenzione colla Banca non può ammettersi né finanziariamente né economicamente, e che non si può disporre delle obbligazioni ecclesiastiche senza una previa inchiesta sul valore reale dell'asse ecclesiastico incamerato, la Camera passa all'ordine del giorno.»

Chiedo se quest'ordine del giorno è appoggiato.

(È appoggiato.)

L'onorevole Castellani ha facoltà di parlare.

CASTELLANI. Riguardo alla prima parte del mio ordine del giorno, quantunque pronto a provare con un discorso che la convenzione è un errore finanziario e una rovina economica, dopo quanto è già stato detto e provato in questo senso dagli oratori che mi hanno preceduto, non dirò altre parole. Riguardo poi alla seconda parte, cioè a quella che sarebbe relativa ad una inchiesta da farsi per verificare il valore reale dell'asse ecclesiastico, viste le condizioni di stanchezza e di fretta nelle quali la Camera si trova presentemente, e il desiderio di abbreviare la discussione, e visto infine che questo argomento si attiene più specialmente all'articolo 5 ed all'articolo 12 della convenzione, pel caso in cui la Camera deliberi

3596 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

di passare alla discussione degli articoli, rimando la mia proposta d'inchiesta a quell'occasione.

Mi riservo di svolgere allora la mia proposta.

FENZI. (Della Commissione) Mi permetto di osservare che l'ordine del giorno del deputato Castellani è Sospensivo di tutta quanta la convenzione, quindi non so come si possa mandare una questione sospensiva alla discussione degli articoli.

PRESIDENTE. Onorevole Fenzi, le osserverò che il deputato Castellani, ritirando il suo ordine del giorno, rientra nel diritto di presentare alla convenzione quelle proposte che crederà più opportune; è un diritto che ha.

La convenzione sarà letta come allegate, e ogni deputato ha il diritto di fare lo proposte che crede.

CASTELLANI. Non ho alcuna difficoltà d'arrendermi a quest'osservazione, ma mi permetto di domandare all'onorevole presidente se col rimandare la mia proposta d'inchiesta a tal epoca, io perda, o conservi il diritto di farla. Se lo perdo, parlo adesso, se lo conservo, parlerò allora.

PRESIDENTE. Quando verrà in discussione la convenzione, ella avrà il diritto di chiedere la parola su tutti gli articoli. È questo il diritto comune, non e' è che dire.

CASTELLANI. Va bene.

PRESIDENTE. Ora veniamo agli ordini del giorno sospensivi.

Il primo sarebbe quello dell'onorevole Nicotera il quale lo ha modificato nel modo seguente:

«La Camera, riconoscendo mutate le condizioni che determinarono la convenzione con la Banca Nazionale;

«Riconoscendo il danno pel paese dallo scemare la riserva metallica della Banca di 50 milioni, e di accrescere di altrettanto la circolazione forzosa;

«Riconoscendo il danno di procedere oggi a nuova emissione di rendita, ed il vantaggio di lasciare allo Stato la disponibilità del residuo dei beni ecclesiastici, in conformità delle leggi vigenti;

«La Camera, sospende di deliberare sul progetto di convenzione con la Banca Nazionale, e passa alla discussione e votazione del seguente articolo di legge:

«Articolo unico. È data facoltà al Governo del Re di procurare al Tesoro dello Stato col concorso di tutti gl'istituti di credito del paese, avvalendosi sia dei residui attivi, sia delle obbligazioni ecclesiastiche nel tempo e nei modi che crederà più proficui alla cosa pubblica la somma di 180 milioni effettivi.»

Domando se quest'ordine del giorno è appoggiato.

(È appoggiato.)

L'onorevole Nicotera ha facoltà di svolgerlo.

NICOTERA. Confesso francamente che, al punto in cui siamo giunti, ho domandato a me stesso se vale la pena di combattere ancora la convenzione colla Banca Nazionale. L'onorevole Minghetti lamentava che in questa questione si fosse portato lo spirito di parte; ed io credo che, senza lo spirito di parte, sarebbe impossibile che dell'accettazione della convenzione si parlasse ancora

Esaminiamo per un momento quali erano le cause che determinavano il Governo a presentare al Parlamento la convenzione colla Banca Nazionale; e meglio che cercare le cause nella logica dei fatti, le cercherò nelle dichiarazioni stesse dell'onorevole Sella ed in quella dell'onorevole Commissione.

L'onorevole ministro Sella nella sua esposizione prendeva le mosse dalla necessità di ottenere nel più breve tempo possibile il pareggio; ed uno dei mezzi per raggiungerlo, e per arrivare all'abolizione del corso forzoso, era la convenzione colla Banca. Egli diceva, nella sua esposizione:

«Appena siffatta combinazione venga approvata, non solo il corso forzato sarà abolito in principio ed in un modo certo e relativamente di prossimo compimento, ma subito l'abolizione comincierà ad effettuarci realmente e subilo se ne risentiranno i primi influssi, che andranno poi in seguito sempre più e più progredendo.»

La onorevole Commissione dei Quattordici, seguendo le traccio dell'onorevole ministro delle finanze, anche essa afferma che, «estinto il debito verso la Banca, cesserebbe il corso forzato, frattanto le garanzie reali, ecc.»

È evidente adunque che, se non la principale ragione per la quale l'onorevole ministro delle finanze presentava la convenzione colla Banca, per lo meno una delle più gravi ragioni era la cessazione del corso forzoso.

L'onorevole ministro delle finanze nel sostenere la convenziono, considerandola come mezzo per la cessazione del corso forzoso, esaminava parimente tutti gli altri modi, tutti gli altri mezzi che noi potremmo' avere per provvedere alla cessazione del corso forzoso, tra i quali vedeva l'emissione di rendita; ma subito osservava che sarebbe una operazione pericolosissima, poiché al tasso al quale si trovava allora sarebbe stata di un aggravio enorme alle finanze; ed affermava che, quando la rendita fosse arrivata all'85, una operazione si potrebbe fare per provvedere all'immediata abolizione del corso forzoso. Intanto, a completare la somma necessaria ai bisogni dello Stato, chiedeva pure la facoltà di emettere 80 milioni di rendita. La Commissione dei Quattordici riteneva anch'essa la necessità dell'emissione della rendita, e la limitava a 60 milioni.

3597 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Secondo il concetto dal quale muoveva l'onorevole ministro, l'abolizione del corso forzoso si sarebbe conseguita, se non in dieci, in quattordici o quindi ci anni, poiché, di fronte all'obbligazione verso il pubblico, come giustamente ha detto l'onorevole Ferrara, metteva 500 milioni di obbligazioni ecclesiastiche. Secondo il concetto della Commissione, le cose erano completamente mutate.

Non consentendo essa l'incameramento di quell'altra parte dei beni ecclesiastici, l'operazione colla Banca non si faceva più col corrispettivo di 500 milioni di obbligazioni, ma coi 333 milioni esistenti, e sognando sempre nelle beatitudini della pace generale di Europa, prevedeva che un'altra operazione lo Stato avrebbe dovuto e potuto fare in seguito per far fronte a quel tanto di differenza che passa fra il capitale delle obbligazioni ecclesiastiche ed il capitale dei 500 milioni del corso forzato.

Come la Camera vede, tutto il piano del Ministero e della Commissione dei Quattordici aveva a base queste due condizioni: convenzione colla Banca ed emissione di 60 milioni di rendita per arrivare all'abolizione del corso forzoso, e per provvedere ai bisogni del Tesoro.

Per verità, se in questa questione non vi si portasse lo spirito di parte, io credo che Ministero e Commissione, venuta meno la base sulla quale era fondato il loro sistema, avrebbero dovuto essi stessi sentire la necessità di modificare il loro progetto; dico modificare, poiché io non intendo assolutamente di negare al Governo i fondi di cui può aver bisogno; ma, variate le condizioni, variata la base sulla quale stava fondata la convenzione, essa non può più esistere.

Ma l'onorevole ministro delle finanze dichiara: signori, io non posso, io non voglio fare altro: o la convenzione, o cercatevi un altro ministro delle finanze; e la Commissione dei Quattordici, spaventata, forse, dalla dichiarazione di una crisi, anch'essa si arresta, tiene fermo alla convenzione, e cerca per sostenerla degli argomenti che fanno torto all'intelligenza splendidissima dei suoi membri.

Io non posso nascondere la bruttissima impressione che mi ha prodotto il discorso dell'onorevole Minghetti. Egli è uno dei più chiari economisti del nostro paese, e mi ha fatto male sentire da lui che la convenzione, che il contratto colla Banca può considerarsi come una cambiale, come un conto corrente con un banchiere; dimenticando che la cambiale ha una scadenza certa, dimenticando che il conto corrente ha un limite, e che questa cambiale che noi avremmo tratta sulla Banca Nazionale non ha termini, e-che questo conto corrente che noi avremmo aperto colla Banca Nazionale non si sa ancora quando sarà liquidato.

L'onorevole Minghetti, anche non volendo accettare il sistema sostenuto

dall'onorevole Ferrara, avrebbe dovuto definire questo contratto come un'obbligazione solidale. In fondo, di che trattasi? Lo Stato aveva bisogno di 300 o 400 milioni, la Banca ne aveva bisogno di altri 300 o 400, si è fatto un'operazione assieme, ed il giorno in cui cesserà il corso forzoso, il Governo pagherà da una parte, e la Banca dall'altra. Di modo che se vi è un obbligo del Governo, ve n'ha un altro da parte della Banca.

Ma la convenzione deve essere approvata; e se pure si provasse che la Banca non può assolutamente più mantenerla, si escogiterebbe un altro mezzo qualunque, per provare che, ad onta che non lo può, deve assolutamente farla. Così egualmente se si dimostrasse che la convenzione colla Banca torna d'immenso danno e, permettetemi la parola, che giustificherò poi spiegandola, di disdoro al Governo e d'incalcolabile pericolo a tutti gli altri istituti di credito, si griderebbe utopie, oppure si direbbe: provvediamo all'oggi, al domani provvederà Iddio.

L'onorevole Minghetti, volendo confutare gli argomenti rigorosissimi dell'onorevole Ferrara, a forma di domanda, diceva: nello stato presente delle cose è possibile accettare il sistema dell'onorevole Ferrara.?

Ed io, servendomi delle stesse sue parole, domando nello stato presente delle cose conviene che il Governo stipuli una convenzione colla Banca che non basta ai bisogni dello Stato né a quelli del commercio?

Debbo ora dimostrare come la convenzione colla Banca non basta ai bisogni dello Stato, e pregiudica ai bisogni del commercio?

Non basta ai bisogni dello Stato.

Io non voglio far previsioni, non voglio spingere Io sguardo nel futuro prossimo, molto prossimo che potrà svelarsi subito dopo la votazione della Camera, subito dopo che una maggioranza avrà dato il suo voto di fiducia all'attuale Gabinetto, tenendo in petto una crisi extra-parlamentare; io non voglio spingere lo sguardo verso questo futuro prossimo, ma esamino le cose tali quali mi si presentano oggi.

I bisogni del Tesoro, a meno che l'onorevole Sella non volesse contraddire oggi quello che ha sostenuto i giorni passati in opposizione all'ultima relazione della Commissione del bilancio, i bisogni del Tesoro sono di 180 milioni.

Ebbene, entreranno questi 180 milioni nelle casse del Tesoro con la convenzione? No; ne entreranno solamente 122.

E gli altri sessanta il Governo se li potrà procurare coll'emissione di rendita? No. È vero che l'onorevole Sella ci ha detto che non fa bisogno di vendere o di negoziare immediatamente la rendita; che, quando il Governo fosse autorizzato all'emissione dei sessanta milioni, si potrebbero fare tante operazioni, dalle quali il Governo potrebbe ricavare del danaro.

3598 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ma quali sarebbero queste altre operazioni? Si parla di cosa che tutti sanno. Le altre operazioni sarebbero la pignorazione.

Ma, onorevole Sella, pignorerete voi la rendita che oggi si trova al 45, al 46, e quanto ne ritrarrete?

Concedetemi che dalla pignorazione voi non ricaverete i 60 milioni; quindi anche con la convenzione colla Banca, nelle condizioni attuali, continueranno a mancarvi i 60 milioni.

E che sarà poi se i bisogni dello Stato aumenteranno? Che sarà se la previsione di una crisi extra-parlamentare si avvererà? Che sarà se le condizioni del paese saranno mutate? Se l'attitudine del Governo sarà un'altra? Se il Governo avrà un bisogno urgente di nuovi fondi?

Allora io non vedo che una via sola, porterete il corso forzoso da 500 a 700 milioni.

Signori, è decoroso per un Governo che si rispetta, non prevedere quello che potrà accadere domani?

Dissi l'altro giorno, e mi piace ripeterlo oggi, non accuso il Ministero per non avere saputo prevedere la guerra; non l'hanno saputa forse prevedere neppure coloro che adesso vi sono impegnati; ma sareste più che colpevoli se non prevedeste oggi il bisogno che potrete avere domani.

Voi meritereste, se fosse possibile che il Parlamento fosse aperto, e se fosse possibile trovare una maggioranza che non si ispirasse ad interessi di partito, voi sareste meritevoli di essere messi in istato di accusa, perché avreste gettato il paese in una condizione terribile, in una perturbazione ancora maggiore di quella in cui la mette oggi la convenzione colla Banca. Voi attirereste il disprezzo sul Governo italiano, per non aver saputo prevedere le necessità del domani.

Veniamo adesso alla condizione che voi fate al commercio.

Ho inteso lamentare che una crisi dispiacevolissima nel commercio si è già avverata in una provincia del regno d'Italia, che altre crisi simili stanno per avverarsi nelle altre provincie. Ho sentito dire che a tutto questo il Governo devo pur pensare, e taluno arriva a credere che il Governo debba pensarvi apprestando i milioni.

Io, senza negare le condizioni realmente difficili nelle quali si trova il commercio, dubito un tantino che questa condizione si esageri, poiché mi rammento che nel 1866 il fantasma che si presentò al -Governo per indurlo al corso forzoso fu precisamente il pericolo del commercio.

Non è esatto quello che ha affermato l'onorevole Minghetti, cioè che coi biglietti a corso forzoso della Banca Nazionale il Governo comprò il fieno, i cavalli, le biade e pagò i soldati.

L'onorevole Minghetti dovrebbe sapere che, durante la guerra, il Governo non prese un centesimo dalla Banca Nazionale: i milioni furono presi dopo.

Leggendo in questi giorni la storia di Francia, mi è caduto sottocchio un discorso di Napoleone I all'Assemblea francese.

«Non è vero, egli diceva, che il paese, nel momento della guerra, ha preso un soldo dalla Banca, invece è la Banca che si è servito della carta del Governo. La Banca, che per sua istituzione dovrebbe venire in soccorso del commercio, la Banca nega a quel commercio che può averne bisogno, nega il danaro, nega lo sconto, e da i milioni (è Napoleone I che parla) a dei ricchi, a delle società vistose.»

Pare proprio che questa pagina fosse scritta per noi.

Aprite il volume dell'inchiesta, e troverete che la vostra Banca Nazionale, la filantropica Banca Nazionale, la patriottica Banca Nazionale, nel mentre che rìduceva lo sconto ai commercianti, dava 8 milioni, non dico a chi. Ora qual è la condizione che voi fate al commercio?

La Banca toglie dalle sue casse 50 milioni di valuta metallica e porta l'emissione ti Ila carta a corso forzoso al 800 milioni. L'aumento in gran parte è destinato al servizio del Governo, ed alla Banca restano 300 milioni.

Ma, se è vero che le condizioni del commercio sono deplorevoli, spaventevoli, può la Banca con 300 milioni provvedere a tutti i bisogni del commercio? Certo voi non lo affermerete. A chi dunque dovrà rivolgersi il commercio? Agli altri istituti di credito. Ma qual è la condizione in cui mettete, coll'aumento del corso forzoso, gli altri istituti?

L'onorevole Minghetti, è vero, con una teoria nuova, possibile solo per la forza del suo ingegno, vi ha detto poc'anzi che non è vero che ci sia monopolio, come se la inconvertibilità del biglietto accordata ad un solo Banco non fosse causa di monopolio!

Ma, lasciando le questioni teoretiche, veniamo alla questione pratica. Il corso forzoso dato ad un solo istituto di credito nuoce agli altri istituti per una ragione semplicissima, perché gli altri istituti debbono tenere nelle loro casse o la riserva metallica o i biglietti di quell'istituto al quale tanto è accordata l'inconvertibilità. Infatti, se voi guardate l'ultima situazione del Banco di Napoli, troverete che la riserva di biglietti della Banca Nazionale è di 35 milioni; e, se oggi che il corso forzoso è di 750 milioni il Banco di Napoli tiene 35 milioni di biglietti della Banca, quanti ne dovrà tenere quando il corso forzoso sarà aumentato, non dico a 900 milioni, non dico ad un miliardo, ma dico solo a 800 milioni? Egli è evidente, signori, che per questo fatto voi mettete gli altri istituti nella necessità di tenere nelle loro casse immobilizzato un capitale maggiore, il quale per conseguenza mancherà al commercio.

La Banca Nazionale non potrà bastare a tutti i bisogni del commercio,

3599 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

gli altri istituti di credito diverranno impotenti, dovendo tenere una parte del loro capitale impegnato al cambio dei biglietti della Banca Nazionale, ed è allora davvero che possono prevedersi guai seri.

Io non sono di quelli che pensano che il Governo debba fare da padre di famiglia a tutti individualmente; io credo invece che il Governo debbe proporsi degli interessi generali, provvedere a questi scopi generali, e lasciare che ognuno faccia gli affari suoi come meglio può; dunque non credo che il Governo debba mandare 9 milioni a Genova, 4 a Milano, 5 a Torino, 15 a Napoli; niente affatto, sarebbe questa veramente una via deplorevole, nella quale si metterebbe il Governo; ma io credo però che il Governo non debba far peggiorare le condizioni attuali creando una posizione impossibile, e, se non impossibile, difficilissima a tutti gli altri istituti di credito.

Io potrei dire molte altre cose, come mi era proposto, ma ho detto già che credo questo un tempo perduto.

Parliamoci chiaro.

L'onorevole Ferrara vi ha detto che la questione è tra la Banca e l'Italia; io mi permetto di modificare un poco questa sua sentenza, e dico qualche cosa di più.

Signori, oggi la questione sta fra una parte della Camera che vuole che il Parlamento pronunci il suo voto come va pronunciato, ed un'altra parte della Camera, che si preoccupa del voto e, per farlo avvenire poi extra-parlamentare, che non vuole produrre una crisi parlamentare. Mi perdonino quelli che hanno questo intendimento, io credo che nell'interesse delle istituzioni bisogna sperare che le crisi avvengano dentro il Parlamento (Movimenti), e per questa ragione io voterò contro questa convenzione, e come me voteranno tutti i miei amici; deplorando che il ministro Sella si ostini a volerla mantenere.!

Voglio fare una profezia, pur troppo dispiacevole: dopo il voto quei ministri non saranno più su quel banco, anche se il voto sarà loro favorevole.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Dipende da lei?

NICOTERA. Non dipende da me, onorevole Lanza; li manderei col voto del Parlamento, e così sarebbero scongiurate molte disgrazie pel paese; ma, siccome questo non dipende da me, ma dai voti, ecco perché io prevedo che non ve ne andrete col voto del Parlamento, ma sarete licenziati dopo.

lo non debbo far torto ad alcuno, e quindi non posso ritenere che vi sia chi possa credere che la convenzione colla Banca Nazionale basti tanto ai bisogni del paese quanto a quelli del Governo; e quindi debbo credere che non si vuole respingere con un voto del Parlamento, per poi avere il facile trionfo di una crisi dietro le cortine.

Che non sia intendimento mio e dei miei amici di mettere il Governo in condizioni difficili, se non giova provarlo al Parlamento (perché, ripeto, oramai le decisioni sono preso, e non la mia parola, che vale poco,

ma l'eloquenza di Cicerone non riuscirebbe a mutare i voti), interessa dimostrarlo, per quello che può avvenire in appresso, e giova il paese sappia che noi non intendiamo togliere i mezzi al Governo, che noi siamo più larghi di quello che possono esserlo i nostri avversari. Diciamo noi forse al Governo: ritirate la convenzione, e non provvedete diversamente? No, noi diciamo al Governo: non fate la convenzione, la quale vi da solamente 122 milioni, ma fate quest'altra operazione che ve ne da 180, e provvedete complessivamente agl'interessi dello Stato ed a quelli del commercio.

Ma mi si può chiedere: in che modo intendete ottenere questo? In un modo semplicissimo, risponderò: dividendo fra gl'istituti quell'operazione che volete fare con un solo. Taluno, della potenza d'ingegno dell'onorevole Minghetti, mi dirà: e come volete che lo Stato faccia cogli altri istituti? Dove sono i capitali di questi altri istituti?

Io potrei osservare che, quando era facile trovare i capitali, la Commissione dei Quattordici in una sua relazione che ha qualche cosa di simile alle tavole di Mosé inspirate sul Monte Sinai, la Commissione dei Quattordici lo credeva un'utopia; e se si fosse discusso un mese fa, allora vi avremmo data la risposta con un fatto che non avreste potuto negare e che il ministro sa; ma oggi che le condizioni sono divenute difficili, che non è più possibile fare quelle operazioni che si potevano fare allora, voi dite: mancano i capitali, chi da al Banco di Napoli i danari?

Ebbene, io rispondo che non occorrono nuovi capitali. In che consiste l'operazione che voi fate con la Banca Nazionale? Voi mettete nelle sue casse le obbligazioni ecclesiastiche e le fate funzionare come riserva metallica, e le date così modo di diminuire la riserva metallica e di aumentare la circolazione.

Ebbene, nello stesso modo che fate l'operazione con la Banca Nazionale, fatela con gli altri istituti. Mettete una parte di queste obbligazioni ecclesiastiche nelle loro casse e fatele funzionare come le fate funzionare nelle casse della Banca Nazionale. Così sarà aumentata la loro riserva metallica, e potranno accrescere la loro emissione; in questo modo provvederete ai bisogni dello Stato e a quelli del commercio.

Signori, pensateci bene, quando più tardi, forse non l'attuale Ministero, ma i paladini che oggi sostengono la convenzione, saranno al timone dello Stato e dovranno ricorrere all'aumento del corso forzoso lasciando l'inconvertibilità dei biglietti alla Banca Nazionale, io non so se la questione sarà regionale, politica o quello che sarà. Ho pronunziato senza volerlo la parola regionale, e giacché l'onorevole mio amico Corte, con un disinteresse veramente ammirabile, ha parlato testé di questi interessi, mi ricordo quello che ha detto giorni fa l'onorevole Chiaves, uno dei Santi Padri della Commissione dei Quattordici. (Ilarità)

CHIAVES, relatore. Tredici.

NICOTERA. Il tredici è un brutto numero.

3600 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ebbene, l'onorevole Chiaves giorni fa, rispondendo ali' onorevole Mellana che proponeva una ritenuta maggiore sulla rendita, l'onorevole Chiaves, compreso da un giusto sentimento di dolore, diceva: signori pensate che, quando una parte del corpo è ammalata. tutto il corpo deve risentirne gli effetti.

Ebbene, quantunque io potessi fare molte osservazioni a questa teoria dell'onorevole Chiaves, pure l'accetto perché mi conviene in questo momento, e dico ai deputati napoletani e ai deputati toscani: signori, quando, non una parte del corpo, ma più della metà del corpo è ammalata, voi ucciderete il corpo intero se non provvederete. (Bene ! a sinistra)

PRESIDENTE. Ora viene l'ordine del giorno sospensivo dell'onorevole Romano, sottoscritto anche dall'onorevole Asproni, che è il seguente:

«La Camera, considerando che la convenzione con la Banca Sarda rende elusoria la inchiesta sul corso forzoso, ordina che, sospeso il voto sulla convenzione medesima, si proceda a completare la Commissione sull'inchiesta anzidetta ed alla discussione di questa, e passa all'ordine del giorno.»

Chiedo se è appoggiato.

(È appoggiato.)

ROMANO. Io non farò un discorso, dirò poche parole per fare una dichiarazione.

Io proponeva di sospendere la discussione sulla convenzione, e che si discutesse invece la relazione della Commissione per l'inchiesta sul corso forzoso; perché ritengo che, in pendenza di questo grave giudizio intorno agli illegittimi rapporti tra la Banca Sarda ed il Governo, sia una Sagrante illegalità il procedere ad una convenzione con quella Banca, che è sub judice, per accuse gravi e documentate, ad essa fatte dalla vostra Commissione.

Io riteneva che fosse questo un esautorare la Camera; un rendere elusorio l'importantissimo mezzo delle inchieste parlamentari, che fosse rendere un pessimo servizio alle istituzioni del paese. Ma poiché le illegalità non sono aliene dalle abitudini del nostro potere esecutivo, a me basta di averle denunziate alla Camera e di lasciare al già preso partito della maggioranza la responsabilità di procedere alla votazione della convenzione.

Io proponeva altresì un controprogetto col quale dava al Governo la facoltà di emettere 500 milioni di biglietti governativi a corso forzoso, per estinguere i 378 milioni di consimili biglietti emessi dalla Banca e fornire al Governo gli altri 122 milioni pei bisogni del Tesoro.

L'onorevole Ferrara ha fatto col suo dotto ed eloquente discorso tale svolgimento di questa mia proposta, che sarebbe per me troppo audace se ritornassi sull'argomento; e troppo ingenuo se sperassi di rimuovere con le mie parole i proponimenti della maggioranza.

Io quindi, per non sprecare invano altre parole, mi limito solo a rivolgere una preghiera, non alla maggioranza che ha già formate le sue convinzioni; non all'onorevole Sella che ha il cuore di bronzo, inaccessibile a tutti gli affetti umani, tranne due soli: la sua passione di imporre tasse che confiscano il capitale, e il suo cieco ed antico amore per la Banca Sarda, dimenticando la favola della tigre, che per le sue troppe cure perde il suo figliuolo prediletto.

Rivolgo invece la mia preghiera all'onorevole presidente del Consiglio il quale par che dorma sonni tranquilli, fidente nell'appoggio di un'omeopatica maggioranza, che lo sostiene ora con una dozzina, ora con una dozzina e mezza di voti, ora con una parità, per iscavargli sotto ai piedi il terreno e preparare il letto a coloro che forse dovranno succedergli. Ma io ricorderò all'onorevole presidente del Consiglio che Guizot aveva una ben altra maggioranza, la quale con la prodezza del numero lo sostenne per molti anni: ma un bel giorno vennero i banchetti, ed i brindisi non furono per quella maggioranza, non furono per Guizot, non furono per quella dinastia che essi pretendevano di servire, e spingevano nell'abisso.

Dirò infine all'onorevole presidente del Consiglio che vi sono delle vittorie le quali sono peggiori di una sconfitta, e che accanto al Campidoglio vi è la rupe Tarpea.

PRESIDENTE. Leggo l'ordine del giorno sospensivo dell'onorevole Sineo:

«La Camera, nell'intendimento che il Ministero possa sottoporre a più profondo esame i vari progetti formolati e quelli che gli si potessero ulteriormente presentare per far fronte ai bisogni dello Stato e per restaurare il credito pubblico, sospende, sino a nuova relazione per parte del Governo, la discussione della presente legge.»

Chiedo se quest'ordine del giorno è appoggiato. ((È appoggiato.)

ASPRONI. Perdoni, onorevole presidente, ho domandato la parola sull'ordine del giorno sottoscritto dall'onorevole Romano e da me.

PRESIDENTE. Siccome l'onorevole Romano l'ha già svolto, io credeva...

ASPRONI. Voleva fare una dichiarazione.

PRESIDENTE. Scusi l'onorevole Sineo; do prima la parola all'onorevole Asproni per una dichiarazione.


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[Intervento del deputato Asproni]

ASPRONI. In questa discussione mi sono convinto della forza che hanno nei petti umani le passioni politiche. Se c'era argomento che doveva essere esaminato con animo pacato e senza preoccupazioni né di odio, né di vendetta, né d'ira, né di favore, era questo della convenzione colla Banca. E non è stato così. Io, signori, vi confesso che, quando sento parlare della Banca collo Stato e dello Stato colla Banca,

3601 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

mi vengono i brividi addosso, non perché io sia nemico della Banca; vorrei anzi che questa grande istituzione di credito fosse prospera, facesse lauti guadagni, alimentasse il commercio pel quale fu creata, e fosse copiosa fonte di ricchezza per la nazione.

Ma, signori, quando voi convertite la Banca in una istituzione più politica che commerciale, quando voi mettete in tali rapporti lo Stato colla Banca che lo Stato diventi servitore e la Banca padrone onnipotente, allora naturalmente gli uomini che amano la patria e la libertà, grandemente debbono allarmarsi. Signori, sapete che cosa è questa convenzione?

È l'inaugurazione del Governo bancario. Almeno il barone Corvaia, che aveva creato un sistema di bancocrazia in cui tutto era subordinato al denaro, vi collocava contemporaneamente gl'ingegni. Ma l'istituzione di cui si tratta, è peggio del millenarismo, e si avvicina all'ordine soppresso della società delle Indie, è l'imitazione del Banco di San Giorgio. Signori ministri, avete pensato alle conseguenze? Avete ponderato che cosa è una Banca sovrana? Avete badato alla forza che ha il Governo italiano? Sono 22 anni che assisto alla lotta dello Stato con varie società. Ebbene, credete voi che lo Stato abbia avuto mai la virtù di dichiarare una società decaduta? Fra pochi giorni, discutendo le convenzioni ferroviarie, vedrete quante società vi sono che meriterebbero di essere messe in liquidazione; ma dov'è la forza che dovrebbe avere il Governo per proclamare la verità ed abbattere queste società che non hanno alcuna ragione d'esistere? Ebbene, le società trovano tutte le vie coperte e palesi per far prevalere la loro influenza sugli interessi dello Stato, dominare gli stessi ministri, e dominare la maggioranza della Camera.

Ora cosa volete voi che faccia lo Stato una volta che si sarà gettato con questa convenzione in braccio alla Banca? Chi potrà più dominare la Banca, o signori? La dominerà, sì, l'odio pubblico che insorge contro questa istituzione, per reazione naturale, specialmente ora che crudelmente offendete gli interessi principali di due terzi d'Italia. Terrà, sì, questa reazione della offesa coscienza pubblica, ma, disgraziatamente, dovrà compiersi in un modo che non vi voglio segnalare neppure colle parole: voi ben lo capite.

Sono questi fatti che generano le rivoluzioni dei popoli, che poi si compiono erigendo il popolo stesso in alta Corte di giustizia, la quale esercita l'officio terribile, sommariamente ed in modo suo proprio.

Niuno di voi ignora, o signori, che cosa accadde in America quando c'era questa Banca privilegiata che voleva assorbire tutto. Essa aveva già ramificato largamente tutte le sue operazioni, in modo che i popoli degli Stati Uniti d'America si allarmarono dell'influenza che avrebbe esercitato sul Governo e sulle elezioni.

Chi vi ha provveduto? Un colpo di mano del presidente più ardito che esistesse in quei tempi: Johnson, liberando da quell'incubo la repubblica, soggiogò la Banca e la ridusse al diritto comune.

Credete voi che la repubblica degli Stati Uniti sarebbe oggi in piedi se la Banca fosse rimasta tale quale era sino al 1836?

Permettetemi che io vi dica di no; almeno quelli che ragionano diversamente si abbiano la coscienza di dubitarne.

La Banca, che non conosce che il danaro e la speculazione, perché questo è nell'istituto suo e nell'indole sua, si sarebbe collegata coi Sudisti e con tutti coloro che bramavano la rovina dell'unione contro la libertà del paese.

Se gli esempi storici giovano a nulla, va bene. Io capisco che tutte queste osservazioni non guadagneranno un voto; ma, signori, voi obbligherete noi stessi a provvedere alla dignità del paese e a fare che il paese pronunzi la sua definitiva sentenza in questa gran lite.

PRESIDENTE. L'onorevole Sineo ha facoltà di parlare per svolgere il suo ordine del giorno.

SINEO. A me pare inutile di prendere parte a questo soliloquio; inutile di dire cose alle quali nessuno risponde. Il mio ordine del giorno esprime bastantemente il mio pensiero.

Io lamento veramente che il Ministero persista a volere una convenzione che fu impugnata con tante buone ragioni e così debolmente difesa; una convenzione alla quale esso avrebbe dovuto rinunciare per motivi economici non meno che politici. Lamento la cecità di chi ci governa e la troppo arrendevolezza di chi li asseconda.

PRESENTAZIONE DI RELAZIONI

PRESIDENTE. L'onorevole Depretis è invitato alla tribuna per presentare una relazione.

DEPRETIS, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera la relazione sull'imposta fondiaria del compartimento ligure-piemontese per gli anni 1871 e seguenti. (Stampato n" 46-A)

DI SAMBUY, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera la relazióne della Giunta incaricata di riferire intorno al progetto di legge presentato dal ministro delle finanze per provvedimenti onde esonerare dai dazi dj esportazione gli abitanti delle zone di territorio italiano poste tra la linea doganale e la frontiera dello Stato. (V. Stampato n" 133-A)

CADOLINI, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera la relazione della Giunta incaricata di riferire sui progetti di legge relativi alle opere idrauliche. (V. Stampato n° 120-121-A)

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

3602 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

SI RIPRENDE LA DISCUSSIONE DELLO SCHEMA DI LEGGE PER L'APPROVAZIONE DI UNA CONVINZIONE COLLA BANCA.

PRESIDENTE. Ora passeremo allo svolgimento dei diversi controprogetti. Il primo per data di presentazione è quello dell'onorevole Alvisi. Se ne da lettura:

«Banca d'Italia Unione del credito - Titolo primo. Costituzione e scopo della società. - Art. 1. Una società è costituita, intitolata Unione del credito Banca d'Italia.

«La società risiede nella capitale del regno ed avrà la durata di 20 anni, che potrà essere prolungata od abbreviata per legge del Parlamento Nazionale.

«Art. 2. È scopo della società di costituire una Banca limitata all'ufficio di emissione di Buoni a vista al portatore fino al quintuplo del capitale sociale di fondazione coll'obbligo del terzo della riserva metallica in cassa. (Vedi Statuto della Banca Nazionale nel regno d'Italia.)

«La emissione però, oltre la somma rappresentata del capitale sociale, dovrà essere garantita integralmente:

«a) da verghe d'oro, d'argento o da metalli preziosi;

«b) da valori pubblici governativi, cioè rendita pubblica, obbligazioni dell'asse ecclesiastico;

«c) da obbligazioni rappresentanti crediti liquidi del Governo esigibili a scadenza fissa;

«d) da Buoni del Tesoro a scadenza fissa non maggiore di un anno;

«e) da deposito di cambiali di primo ordine a 90 giorni appartenenti a stabilimenti bancari solidissimi italiani od esteri.

«Art. 3. Tutte le Banche di circolazione di credito mobiliare, lo Casse di risparmio e gli istituti di credito di qualunque natura saranno invitati, prima di aprire la sottoscrizione pubblica, a dichiarare la quota di capitale sociale che essi intendessero di sottoscrivere.

«Titolo secondo. Capitale sociale ed emissione dei biglietti al portatore e a vista. - Art. 4. Il capitale sociale sarà di lire 200 milioni, diviso in 200 mila azioni, ciascuna di lire 1000, ripartite in dieci serie ciascuna di 20 milioni.

«Art. 5. La società è autorizzata ad emettere Buoni a vista al portatore per il quintuplo del capitale di fondazione, quando però siano garantiti, come è detto nel l'articolo 2, con eguai somma di valori pubblici o privati di sicura e pronta realizzazione in denaro.

«Art. 6. È l'unica società, che per essere a esclusivo servizio dello Stato, abbia il biglietto al portatore per la delta somma e colla indicata garanzia a corso legale, e quindi accettato quale moneta nelle contrattazioni private

e in quelle con il Governo, salvo il diritto nei privati di poterlo barattare in valuta metallica presso la sede della Banca e nei luoghi che saranno indicati con apposito avviso.

«Art. 7. Il solo Parlamento con una legge potrà variare le condizioni di garanzia e la quantità della emissione, egli solo potrà determinare la cessazione del corso legale quando le condizioni del Tesoro e lo stato della circolazione ne manifestino l'opportunità.

«Art. 8. La Banca emetterà fino alla somma determinata dall'articolo 5 della presente legge Buoni a vista al portatore in correspettiro. delle seguenti operazioni:

«a) Prestiti al Governo, garantiti sui depositi di rendita pubblica, di obbligazioni dell'asso ecclesiastico e di Buoni del Tesoro;

«b) Acquisto degl'immobili e mobili appartenenti allo Stato

«e) Riscontro del portafoglio degli stabilimenti consorziati, sempre poro che non ammettano rinnovi e della scadenza non maggiore di 90 giorni.

«d) Prestiti sopra pegni d'oro, d'argentò e metalli preziosi.

«Qualunque operazione aleatoria di Borsa è assolutamente vietata.

«Titolo terzo. Assemblea generale ed amministrazione. - Art. 9. L'assemblea si compone:

«a) Dei rappresentanti le azioni degli stabilimenti e corpi morali consorziati.

«Ciascuno di essi avrà un voto e poi un altro per ogni milione in azioni fino ai 20 voti e non più.

«b) Degli azionisti privati che abbiano intestate al loro nome almeno 20 azioni: questi avranno diritto ad un solo voto fino a che le azioni non sorpassino un milione, e poi saranno pareggiati ai corpi morali in proporzione dei milioni posseduti.

«Art. 10. L'assemblea nomina un Comitato di sette membri che deve dirigere ed amministrare la società e deve nominare il personale addetto all'amministrazione.

a II Governo nominerà a formare parte del Comitato direttivo dine consiglieri di Stato ed un consigliere della Corte dei conti.

o Titolo quarto. Servizio delle tesorerie. -Art. 1. È affidato alla Banca l'intero servizio di tesoreria per gli incassi e pagamenti di qualunque somma sia all'interno che all'estero.

«La Banca non potrà mai pretendere alcun compenso per questo servizio assolutamente gratuito.

«Art. 2. La Banca terrà un conto corrente attivo e passivo col Governo per tutti gli incassi e pagamenti.

3603 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

«La Banca pagherà al Governo un frutto per i depositi in contante di qualsiasi provenienza e giacenti nelle sue casse in ragione dell'1 per cento, mentre il Governo pagherà un interesse del 3 per cento stille somme anticipate dalla Banca di cui risultasse debitore al termine di ogni anno.

«Art. 3. La Banca potrà cedere e distribuire egualmente sotto la sua responsabilità il servizio delle tesorerie compartimentali e provinciali a quelli fra gli stabilimenti consorziati che ne facessero regolare denuncia e dessero le debite garanzie.

«Proposta di formazione del capitale sociale per 200 milioni.

1. Banca Nazionale d'Italia.... L. 50,000,000

2. Id. Toscana » 10,000,000

3. Id. di Napoli e di Sicilia.. » 30,000,000

4. Id. di credito mobiliare... » 4,000,000

5. Istituti di credito » 4,000,000

6" Altre Banche pubbliche e private » 6,000,000

7. Banche del Popolo e mutue popolari » 5,000,000

8. Casse di risparmio » 20,000,000

9. Consorzio Nazionale » 2,000,000

10. Sottoscrizione pubblica » 69,000,000

L. 200,000,000

«N. B. Se gli stabilimenti sopra indicati non volessero prestare il loro concorso, che ridonderebbe a tutto loro interesse, è certo che la sottoscrizione pubblica in Italia ed all'estero si compirebbe in pochi giorni. In Francia arri una società bancaria di primissimo ordine che offerse di assumere tutta la emissione delle azioni per l'intero capitale sociale. Anche lo Stato potrebbe concorrere col capitale di 20 milioni.

«Nota dei titoli da sopprimersi del bilancio passivo.

«In forza della circolazione massima degli 800 milioni di biglietti di Banca.

«Biglietti della Banca Nazionale. L. 378,000,000

«Buoni del Tesoro » 100,000,000

«Sbilancio di cassa e differenza fra l'entrata e le spese nel 1870, 1871, 1872

» 322,000,000

L. 800,000,000

«Nota dei titoli a pegno per la garanzia dei biglietti inconvertibili.

«Cessione dell'amministrazione dell'asse ecclesiastico, capitale immobiliare e rendita, ovvero deposito delle obbligazioni sull'asse ecclesiastico per la somma di L. 400,000,000

«Buoni del Tesoro » 100,000,000

«Rendita pubblica incamerata sull'asse ecclesiastico o da emettersi per estinzione dei debiti redimibili » 300,000,000

«L. 800,000,000

Domando se questo controprogetto è appoggiato.

(È appoggiato.)

L'onorevole Alvisi ha facoltà di parlare per isvolgere il suo controprogetto.

Una voce. Non c'è.

PRESIDENTE. Non essendo presente l'onorevole Alvisi, passeremo «$ controprogetto dell'onorevole Servadio.

La Camera deve ritenere che l'onorevole Servadio arerà presentato un controprogetto, è già qualche tempo, e pochi giorni or sono dichiarò che, attese le mutate circostanze del paese, egli vi avrebbe fatto delle variazioni; quindi ei lo ha ripresentato così modificata, e sottoscritto anche dai deputati Mancini Stanislao e Consiglio:

«Articolo unico. È fatta facoltà al Governo:

«a) Di concludere convenzioni speciali colla Banca Nazionale Sarda, col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e colla Banca Toscana, onde provvedere i fondi pel servizio di cassa dell'esercizio 1870 fino alla concorrenza di 180 milioni, senza poter eccedere come maximum del corrispettivo l'interasse proposto nella relazione della Commissione sullo stesso allegato E;

«b) Di dispensare ciascuna di queste Banche dall'obbligo di tenere nelle loro casse la riserra metallica per l'ammontare del t rj dei mutui che da esse saranno contratti;

«c) Di portare il maximum della circolazione dei biglietti della Banca Nazionale sino a 800 milioni;

«d) Di provvedere, nei modi e nelle epoche che il Governo giudicherà più opportune, alla rendita per mezzo degli istituti surrammentati di tante obbligazioni dell'asse ecclesiastico quante bastino, al prezzo dell'85 per cento, a rimborsare il mutuo dei 180 milioni agli istituti predetti, e il rimanente alla Banca Nazionale in conto della somma dei 378 milioni dovutale in forza dei decreti 7 maggio e 5 ottobre 1866.»

Domando se questa proposta è appoggiata.

(È appoggiata.)

3604 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

SERVADIO Le poche parole che precedono questa proposti vi diranno le ragioni per le quali io ho creduto di sottoponila.

Sono mutate le circostanze del paese, e gravemente mutato, ed io pregherei la Camera, che con tanta bontà ascolta tutti i suoi membri, ed i grandi oratori che possiede, a porgere un po' di attenzione anche ad alcune considerazioni che avrò l'onore di sottometterle e ad alcuni fatti che mi sento in dovere di esporle.

Mi permetterete, o signori, che in questa occasione vi dica come, se voi aveste accettata la proposta che ebbi l'onore di farvi, ora sono due mesi, e che voi prendeste in considerazione, oggi avreste quattro forti istituti di credito i quali potrebbero dare al commercio ed all'industria, o allo Stato puranco, un potentissimo aiuto.

Sì, o signori, non è un'utopia, non è una allucinazione l'avervi sostenuto che il Banco di Napoli potesse portare il suo capitale a 100 milioni.

E voi avrete campo di sapere quando che sia come il Banco di Napoli, se le mie informazioni, che credo sicure, non fallano, avesse già pronti i suoi 75 milioni in oro, a condizioni più eque di quanto potete immaginare.

Oggi, o signori, voi avete pure un disegno di legge, che l'onorevole ministro delle finanze vi ha presentato con una relazione veramente degna del suo senno, la quale vi fa vedere come la Banca Nazionale Toscana intenda anch'essa di venire in aiuto al commercio ed all'industria, e migliorare nel tempo stesso le condizioni delle forze produttive del nostro paese.

Se questa proposta fosse stata accettata appena vi fu presentata, o signori, le mie previsioni pur troppo non si sarebbero avverate così presto, previsioni di cui vi sarebbe facile il ricordarvi solo che voleste gettare un rapido sguardo sulla relazione che l'accompagnava.

Se quella mia proposta fosse oggi un fatto compiuto, noi non avremmo l'aggio dell'oro ali'11 per cento, e domani e più tardi forse in più grande aumento.

E se le circostanze politiche dell'estero sieno per aggravarsi e se sieno per crescere conseguentemente le urgenze finanziarie del Governo, non solo, o signori, voi vedrete sempre più verificarsi nell'aggio dell'oro un aumento che sposta, come dicevano l'onorevole Ferrara e l'onorevole Sella, la pubblica fortuna, ma avrete sempre più da verificare dei ribassi considerevolissimi in tutti i valori dello Stato.

Non mi accusate, o signori, di venire qui a farvi delle lamentazioni; vi sono interessi che soffrono e che meritano tutta la vostra attenzione.

Io non seguirò l'esempio di alcuni miei colleghi, i quali, a giudicarli alle loro parole, si sarebbe potuto dire fossero qui esclusivamente per fare delle leggi a prò degli azionisti d'una Banca anziché di quelli d'un'altra. Non udii io forse l'onorevole Maurogonato, il quale non ci parlò che degli azionisti della Banca Sarda, di quelli della Banca Toscana, e si compiacque dirci quanto questi avevano lucrato,

aggiungendo che noi abbiamo un eccellente sistema di credito, quando si vede che la Banca Toscana, dorante il periodo del corso forzoso, dal 1866 in qua, non ha fatto che aumentare i propri dividendi?

Nell'udire tali ragionamenti io fui per domandare: ma, signori miei, siete voi i rappresentanti delle Banche, ossivvero quelli della nazione?

Anziché guardare quanto sia stato il lucro fornito a questo o a quello istituto di credito, dal corso forzoso, dovrebbesì por mente al modo e come quei guadagni si producessero, ed io, signori, io che vi parlo solo secondo coscienza, e che non esagero punto, posso dirvi che si fecero a carico più specialmente delle classi meno abbienti.

Appunto in vista degli interessi di questi, ora che siamo alla vigilia di vedere paralizzato il commercio, ora che la fiducia è scomparsa, voi dovete cercare in qualche modo di venire loro in aiuto.

Io non vi dico di venire in aiuto soltanto dell'alta Banca. Io crederei di mancare al mio dovere di legislatore se ciò facessi. Io so distinguere il mio interesse di banchiere dal mio dovere di legislatore.

Io non vi consiglio di sostenere un solo ordine d'interessi, né vi consiglio di appoggiare un solo istituto di credito; ma bensì vi esorto a sostenere gl'interessi della generalità dei cittadini, vi scongiuro di propugnare l'incremento di tutti gli istituti di credito.

Se oggi la Banca Nazionale Sarda, della quale non sono niente affatto antagonista come si vorrebbe far credere, sopperisse a tutt'i bisogni del Governo, del commercio, dell'industria e dell'agricoltura, io vi direi: Gettatevi nelle sue braccia; io sono con voi.

Ma, o signori, la Banca Nazionale, nel modo in cui è costituita, non può sopperire per certo a tutti questi bisogni. Essa si tiene in una cerchia di operazioni affatto diversa da quella in cui si aggira la Banca Nazionale Toscana. Altrettanto dicasi del Banco di Napoli il quale ha un sistema di operazioni affatto diverso e dall'una e dall'altra. E perché dunque vorreste voi rafforzare e migliorare le condizioni di un solo istituto che serve ad una sola classe di cittadini, mentre, come poc'anzi vi diceva, è vostro dovere di sostenere egualmente gl'interessi di tutti? Perché volete dimenticare che la possidenza non ha altro modo di servirsi del credito fuorché ricorrendo alla Banca Toscana o al Banco di Napoli?

Infatti, se voi fate astrazione dal mutuo ipotecario che per un bisogno temporaneo e di poche migliaia di lire è ben lungi dal convenire al possidente, questo in Italia si trova costretto sovente a forti sacrifizi, quando deve ricorrere al credito al dì fuori dei due istituti da me rammentati.

Nel modo con cui il credito fondiario è organizzato in Italia, nessun possidente può trovare in esso quell'aiuto di cui può abbisognare. Voi ne sapete le ragioni, come pure sapete che, per i bisogni temporanei della possidenza, per i quali si ricorre al credito cambiario, chiuso come è loro lo sportello della Banca Sarda,

3605 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

solo trovar possono un fido negli altri istituti. Ecco perché io vi ripeto, o signori: non dimenticategli altri istituti, il Banco di Sicilia compreso, i quali tutti nelle loro regioni hanno reso e rendono grandi servigi al paese.

Passiamo ad altro.

Signori, l'onorevole Rattazzi mi può far fede di ciò che io gli diceva quindici giorni fa, quando il ministro delle finanze, per sostenere i suoi provvedimenti finanziari, vi decantava il rialzo della rendita, e vi parlava del prezzo favoloso al quale questa sarebbe arrivata. Sì, o signori, domandategli un poco. se io non gli dicessi come questo rialzo ci avrebbe fatto vedere dei tristi effetti alla prima occasione e presto.

E sapete da che cosa lo arguiva?

Dal vedere i riporti della rendita e degli altri valori dello Stato al 12 e al 14 per cento, di modo che io non poteva persuadermi come il rialzo del nostro credito fosse un fatto serio e duraturo. Infatti, quando di rendita, che dava dall'8 al 9 per cento, io la vedeva messa in deposito pagando sovr'essa il 14 per cento d'interesse, era facil cosa prevedere che questo non era conseguenza dell'impiego dei capitalisti, ma erano soltanto operazioni degli aggiotisti e giuocatori di Borsa, i quali rischiavano quello che non avevano per tentare un guadagno di cui pur troppo si sono veduti i tristi effetti.

L'onorevole Sella, che ride in questo momento, mi permetta gli dica che queste sono verità incontrastabili e di grande importanza per chi si occupa di questioni finanziarie. Son cose che bisognava prevedere, ed a cui oggi egli è in debito, per quanto sta in lui, di provvedere.

Io non vengo a fare qui recriminazioni contro nessuno. Io vi confesso che, quando ho udito i discorsi dei nostri onorevoli contraddittori, me ne sarebbe venuta la volontà, e vi confesso che avevo, ed avrei tuttavia, tanti e tali argomenti da provare con tutta evidenza come essi fabbricassero sopra la rena, e come col sistema da essi propugnato e praticato non fosse possibile vedere che i tristi effetti sin qui veduti.

Non è tempo di recriminazioni, ripeto, è tempo di provvedere e con mezzi migliori.

Il paese, o signori, salvi il paese!

Voi avete gli elementi per raggiungere questo scopo. Ed ora, prima di andare più oltre, permettete che vi mostri a quali perdite va soggetto il nostro paese in questo momento. Né crediate che io vi dica ciò con iscoraggiamento; no: io ho fede, e gran fede, nell'Italia e nei suoi destini.

Or bene, sappiate che tutti i mercati italiani, la città di Firenze compresa, son oggi rattristati da perdite intentissime. La situazione è grave; ma possiamo provvedervi, e riparare a questi mali presenti, sol che sappiamo fare.

Ed io vi dico ciò con mente fresca e serena, poiché, lode al cielo I né per mio conto né per conto degli stabilimenti di credito che ho l'onore di dirigere, sono per nulla immischiato né compromesso in qualsiasi operazione.

Però vedo la necessità che l'Italia dia prova all'estero che il suo credito vale più di quanto lo calcolano coloro i quali lo vorrebbero vilmente schiacciare.

Lo scorgere che la rendita dello Stato si negoziava ieri a Parigi al corso di 41, è tal cosa da recare vero dolore. Ma che? Forse una nazione che si rispetta deve vedere sì basso il suo 5 per cento? Deve permettere che la sua irma cada a prezzo sì vile? Noi Noi dobbiamo provvedere, dobbiamo contribuire come meglio si può a che i possessori di rendita trovino modo di riportarla: a che le transazioni riprendano il corso abituale.

Pur troppo io so perché succede questo deprezzamento della nostra rendita. Perché per la nostra rendita nulla si fa, perché noi non abbiamo mercato italiano e siamo invece soggetti a subire i corsi dei mercati esteri. E ciò non accade presso alcuna delle grandi nazioni. Vedete se in Inghilterra le oscillazioni degli altri paesi influiscano alcunché sul suo consolidato 1 Noi, al contrario, alla più piccola perturbazione d'altro paese, risentiamo... i Tinnì or i, segni d'impazienza a destra)

Non si stanchino: io ho lasciato parlare tutti i miei onorevoli contraddittori, ora essi permettano anche a me di esporre le mie idee. (Parli! parli 1 a sinistra) Sarò breve quanto più mi sarà possibile, ma non posso fare a meno di dire ciò che penso.

Io desiderava dunque far vedere alla Camera a quali perdite, come diceva poc'anzi, va soggetto il nostro paese nel momento attuale. Voi che siete qui per tutelare gli interessi di ventisei milioni di cittadini che ve li hanno confidati, è giusto sappiate le condizioni in cui versano questi vostri amministrati.

Voi avete in Italia un valor nominale di 4 miliardi circa di rendita, dal prezzo di 60 di pochi giorni fa discesa oggi a 44, alla Borsa di Parigi, con una perdita del 16 per cento, che val quanto dire 640 milioni. Voi avete 400 milioni di prestito nazionale, dal prezzo di 86 disceso a 76, loché vi da una differenza di ben 40 milioni. Le obbligazioni ecclesiastiche, calcolato che ve ne sia in circolazione 100 milioni, dal prezzo di 81 discese oggi a 66, vi danno una differenza di 15 milioni. Le azioni sulla Regia dal prezzo di 750 discesero a 625, loché vi da una differenza di 12 milioni e 500 mila lire. Le obbligazioni della Regia da 475 discesero oggi a 375, che val quanto dire una differenza di 47 milioni e 500 mila lire. Le azioni delle ferrovie meridionali, da 350 discese a 225, vi danno una differenza di 25 milioni. Indi avete le obbligazioni meridionali, le ferrovie romane e livornesi, le obbligazioni demaniali ed altri valori garantiti dallo Stato, sui quali tutti, non esagero punto, si può calcolare la perdita approssimativa di 50 milioni.

Or bene, tutte queste cifre, come voi vedete, vi danno una somma di 850 milioni; e qui si tratta di conto fatto con molta esattezza, sempre, s'intende, come vi diceva poc'anzi, a cifre approssimative. È vero, pur troppo, che anco altra volta feci a voi presenti delle cifre, e mentre esse non furono mai confutate da chicchessia, si disse da alcuno di voi che erano sogni, che erano ipotesi, che io aveva errato in quelle stesse cifre le quali solo si potevano confutare e combattere mettendone altrettante di fronte per mostrare ove stava l'errore.

3605 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ma oggi non è più il caso di parlare di quelle; cosicché vi piaccia ricordare soltanto i calcoli da me fatti oggi, e vedrete a quali ingenti perdite sia assoggettata l'Italia in questo momento.

Voi direte che chi conserva questi valori nulla perde perché ritira la medesima rendita. Ma il ministro delle finanze ci ha detto, in una recentissima occasione, che pur troppo le cose procedono ben diversamente. La speculazione portata sui valori, la quale si trova nella quasi impossibilità di poterli depositare ed avervi sopra delle anticipazioni di danaro, non può fare fronte ai propri impegni, né può pagare all'istante le ingenti differenze.

E ciò tanto più accade oggi in quanto che vi sono vari istituti di credito che non fanno sconti, non ricevono depositi e rimangono quasi in una completa inazione.

Da questo stato di cose emerge, ed emergerà sempre più, che all'estero la nostra rendita, la quale si trova così abbandonata in Italia, andrà sempre ribassando. Da questo stato di cose possono derivare sventure maggiori che dobbiamo cercare di prevenire. Ed ecco perché, o signori, a me arrideva il concetto di dare nuova vita agli altri istituti di credito, di metterli nelle medesime condizioni della Banca Sarda, per poter così aiutare il commercio nei suoi bisogni e fare sì che l'idea dell'ingrandimento di questi istituti, dell'affida mento ad essi dei servizi governativi, cominciasse ad essere un fatto compiuto.

L'idea però è entrata già nel concetto di tutti. Sapete chi me ne fa fede? Voi stessi colle proposte che ho sottocchio.

Io vedo l'onorevole Alfieri, della cui amicizia mi compiaccio, comunque abbiamo la sfortuna di trovarci sempre in discordanza di opinioni (Si ride), come in un invito che fa al Ministero prende una parte delle mie idee, mentre desidererebbe che i servizi governativi fossero divisi fra i diversi istituti.

Lo stesso debbo dire degli onorevoli Bonghi e Massari, e, anzi, confesso il vero, mi fu grato oltremodo il vedere un uomo come l'onorevole Bonghi propugnare un'idea, e propugnarla con tanta sicurezza.

DI SAN DONATO. E Massari?

SERVADIO. Giacché l'onorevole Di San Donato mi parla dell'onorevole Massari, mio gentilissimo amico, dirò che non ho mai avuto occasione di trattare con esso di queste questioni, per sapere la sua forza in tali materie; ma, in quanto all'onorevole Bonghi, me ne compiaccio, perché valuto altamente la sua opinione.

Quando anche la Camera non accettasse di entrare in questo ordine d'idee, per me sarà sempre di conforto che l'onorevole Bonghi mi abbia dato il suo appoggio morale, e di questo lo ringrazio, non per me, ma pei principii che io sostengo.

Ho veduti vari altri emendamenti, tra i quali quello del mio onorevole amico Avitabile, il quale nella seconda parte del suo progetto entra perfettamente nelle idee da me sostenute; e l'onorevole Abitabile e uomo competente, uomo che ben conosce come si fanno i servizi governativi,

perché quando egli era direttore del Banco di Napoli, tutti i Napolitani poterono apprezzare l'esattezza con cui disimpegnava gli uffici affidatigli dal Governo. Or bene, signor ministro delle finanze, si compia l'opera: entrate nel concetto della divisione dei servizi governativi fra i principali istituti di credito, e l'attual Ministero avrà reso un segnalato benefizio al paese. Ed in questa occasione io mi permetterò di citare alcune parole all'indirizzo del ministro delle finanze, che uno dei più distinti deputati della destra pronunziava nella discussione dei provvedimenti finanziari.

«Cedere a tempo è saggio consiglio, resistere sempre è pernicioso»

Signor ministro, accettate questo consiglio, entrate nella via dello sviluppo del credito: in una via che vi darà grandi risultati, in una via nella quale voi, col vostro ingegno e colla vostra perseveranza, potete riescire ad attuare questo concetto in modo splendido, in modo degno del paese che rappresentate. Voi me ne deste una prova, signor ministro, quando, or son pochi giorni, col vostro accorgimento induceste chi meno si credeva pieghevole ad accettare certe combinazioni, che non so perché non si sieno poi condotte a maturanza. Calcolate, signor ministro, che, se persistete di volere far passare la vostra convenzione quale la presentaste, voi mettete in una difficile posizione molti deputati del vostro stesso partito. Come potranno votarvi la convenzione, al esempio, gli onorevoli Corsini, Bandini, Vincenzo Ricasoli, Sansoni, Fossombroni ed altri che ora non ricordo, i quali hanno presentato delle petizioni sottoscritte da una gran parte dei loro elettori, petizioni tendenti a far respingere la convenzione, e ne hanno raccomandata l'urgenza affinché fossero prese in seria considerazione? Come potranno essi consentire a mettersi in contraddizione colle petizioni che hanno appoggiato, e dare il loro voto favorevole alla convenzione?

Vedete, signor ministro, in quale difficile posizione voi mettete i vostri amici.

Domando due minuti di riposo.

PRESIDENTE. Riposi pure.

(La seduta è sospesa per due minuti.)

SERVADIO. È tanto il rispetto che ho per l'onorevole Minghetti, che, confesso il vero, non posso a meno di rispondere qualche parola a quant'egli disse poco fa.

Mi scusi l'onorevole Minghetti se mi trovo in disaccordo con lui. Egli diceva poc'anzi che è preferibile l'unicità del biglietto alla moltiplicità, ed allegava, citando alcuni economisti, che la diversità nei biglietti può produrre sconcerti economici.

Io lascio da parte gli economisti, m'attengo ai fatti, e cito all'onorevole Minghetti l'esempio dell'Italia, rammentandogli eh il biglietto della Banca Toscana, dal 1816 sino ad oggi, non ha mai perduto un centesimo, e che è sempre stato ricercatissimo. Quando vi era il cambio in oro, si cercava il biglietto della Banca Toscana a preferenza dell'oro, come possono farne fole molti miei onorevoli colleghi.

3607 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Altrettanto dicasi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia. Il fatto dunque, senza il corredo della dottrina e delle teorie di grandi economisti, mi da pienamente ragione. Par la qual cosa null'altro ho da rispondere all'onorevole Minghetti su questo particolare.

Egli ha detto pure non esservi monopolio in quanto la Banca Sarda, poiché avvi una legge che accorda l'emissione dei biglietti agli altri istituti, e citava diversi stabilimenti di credito che hanno la facoltà di emettere biglietti, e citava infine la recente leggo sulla libertà delle Banche, presentata, or son pochi giorni, dall'onorevole ministro delle finanze.

Ma, signori, questi sono argomenti in favor nostro è non in favore di quanto vuol provare l'onorevole Minghetti, ed io non ho bisogno di dirvene la ragione, perché tutti gli oratori da questo lato della Camera vi han parlato della convertibilità del biglietto a cui sono obbligati tutti gli altri istituti, mentre avete un istituto privilegiato colla carta a corso forzoso.

In quanto poi alla circolazione della Banca agricola, di cui vi parlò l'onorevole Minghetti, signori miei, essa non è una circolazione la quale abbia un corso legale né un corso forzoso; per conseguenza le manca un gradino ad arrivare alla situazione in cui si trovano la Banca Toscana ed il Banco di Napoli, e le mancano due gradini per arrivare ad avere il corso forzoso. Di più, diceva l'onorevole Minghetti, sapete quali sono le funzioni che debbono adempiere gli istituti secondari di credito? Essi devono portare le loro cambiali al risconto della Banca unica, della Banca madre.

Ma io dirò all'onorevole Minghetti, senza bisogno di citare nessuno autore, come non possa la Banca agricola e come non possano neppure gli istituti secondari di credito portarsi al risconto della Banca madre, poiché colà occorrono tre firme, due delle quali del commercio.

Dunque vede l'onorevole Minghetti che la Banca agricola la quale sconta alla possidenza, la quale sconta con una sola firma, non può godere del benefizio al quale egli alludeva. E ciò, come ben comprendete, nuoce alla classe dei possidenti, dei quali dobbiamo tenere gran conto, poiché la possidenza agricola è la vera sorgente di prosperità per l'Italia.

Vedete, per conseguenza, o signori, che, anche sotto questo rapporto, mi pare di avere risposto trionfalmente all'onorevole Minghetti.

L'onorevole Minghetti ha pure parlato delle Banche inglesi, ed ha citato la Banca inglese ed il Joint-Stock; e per provare come il sistema della Banca unica potrebbe essere seguito con successo e con utilità in Italia, accennava al progresso economico dell'Inghilterra.

MUGHETTI. Domando la parola.

SERVADIO. Ma l'onorevole Minghetti sa molto meglio di me come sieno diverse le condizioni dell'Inghilterra, come se colà vi è oggi un solo biglietto privilegiato a corso legale, questo biglietto sia circoscritto agli effetti legali della sua circolazione a 60 miglia dalla capitale.

Altrettanto, come vedete, non può dirsi in Italia nei rapporti della Banca Sarda colle Banche di Napoli, Sicilia e Toscana per ciò che riguarda la circolazione del biglietto.

Ma v'ha di più, dirò all'onorevole Minghetti, per provare la differenza che passa nei rapporti della circolazione fra l'Inghilterra e l'Italia.

Egli sa molto bene quale cifra enorme di deposito hanno tutte le Banche inglesi ed in special modo il Joint-Stock, al quale egli si riferiva poc'anzi. In questo momento, me ne duole, non ho qui gli appunti a ciò relativi, ma posso assicurare all'onorevole Mughetti che quei depositi oltrepassano di gran lunga il miliardo.

E dico ciò senza contare le Banche private di tutta l'Inghilterra. Ma quello di cui posso pure assicurare l'onorevole Minghetti si è che il biglietto della Banca d'Inghilterra era precisamente nel 1840, epoca citata da lui, in circolazione per la metà di quanto vi fossero quelli degli altri istituti di credito. E quando l'onorevole Minghetti lo desideri, gli potrò fornire il dato che è esattissimo, poiché ho dovuto appunto pochi giorni sono fare degli studi in proposito.

Ora noi in Italia siamo precisamente nel caso inverso.

Qui abbiamo 750 milioni (che io calcolo oggi ad 800) in circolazione della Banca Sarda, circa 100 milioni del Banco di Napoli, 30 milioni della Banca Toscana, 7 od 8 milioni, mi pare, del Banco di Sicilia. Vedete bene quale sproporzione vi sia fra l'Inghilterra e l'Italia.

Non volendo abusare maggiormente della bontà della Camera, ora io mi limiterò a spiegare, con quanta maggior brevità e chiarezza mi sarà possibile, la proposta che ho avuto l'onore di sottomettervi.

In questa proposta (parrà strano il dirlo, ma voi lo vedrete esaminandolo attentamente) mi trovo d'accordo e )n tutti. E mi trovo d'accordo anche coll'onorevole ministro, poiché, mentre dico che prima, nelle circostanze in cui ci trovavamo, non era prudente di fare un'operazione di questo genere, oggi però, in vista delle mutate circostanze, veduta la necessità del momento, io gli concedo la convenzione colla Banca Sarda, colla sola condizione però che, insieme ad essa, intervengano gli altri istituti di credito nel riparto del prestito in proporzione delle loro forze.

E, come vedrete, per questo prestito, sempre in vista delle attuali circostanze, io gli concedo i 180 milioni, dei quali egli ha bisogno per il servizio del 1870. Sono sicuro che già sorge nell'animo dei miei oppositori il desiderio di esclamare: venite a proporre un' ipotesi, venite a proporre di fare una convenzione con istituti che non sono presenti, che non hanno dato la loro approvazione.

3608 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Ed io, che non sono il potere esecutivo e non posso domati fare la loro adesione, ma che mi limito soltanto a farvi la proposta, dirò all'onorevole ministro che essa gli lascia la latitudine di consultarli, e, quando gli altri istituti non accettino, il ministro delle finanze resta libero di fare la operazione colla Banca Sarda nei termini di questa convenzione.

Anzi su tal proposito dirò come avessi sperato che il ministro dello finanze, a seconda della promessa fatta all'onorevole Villa, si fosse deciso a depositare sul banco della Presidenza il patto firmato dalla Banca Sarda che l'obbliga a tal convenzione. E ciò in ogni modo mi pare utile che egli faccia pi ima che la Camera passi alla votazione sulla convenziona stessa.

Come vedete, o signori, la mia proposta in nulla pregiudica le proposte e tutto quanto possa desiderare di fare l'onorevole ministro delle finanze colla Banca Sarda. Ma se volete che io vi dica come può realizzare praticamente questa operazione per ciò che riguarda gli altri istituti, ve lo dirò, se mi accordate ancora cinque minuti di attenzione.

Or bene, in primo luogo incominciamo dal dire che colla convenzione colla Banca Sarda soltanto voi avreste 122 milioni, e non 180 di cui avete bisogno, e quindi sorgono gli inconvenienti a cui accennava l'onorevole Nicotera.

Dunque nella proposta di accordare la vostra autorizzazione al ministro delle finanze per 180 milioni, anziché per 122, v'è una latitudine maggiore che evita tutti gli inconvenienti temuti.

E non vi dispiaccia, o signori, di provvedere fin d'ora a 60 milioni di più, mentre nei momenti in cui siamo è necessario provvedere anticipatamente, perché i tempi si fanno ognora più ardui.

Ebbene, nella mia proposta, onde anche le altre Banche si possano trovare in misura di concorrere al prestito di 180 milioni, è fatta facoltà al Governo di dispensare ciascuno di questi istituti di credito dall'obbligo di tenere nelle loro casse la riserva metallica per l'ammontare del terzo dei mutui che da essi saranno contratti.

Eccomi a spiegarvi meglio il meccanismo.

Colla convenzione che vi propone l'onorevole ministro delle finanze, voi lo autorizzate a togliere la riserva metallica della Banca Sarda per 50 milioni. Colla mia proposta, anche facendo la Banca Sarda il prestito di 120 milioni, toglierebbe dalla sua riserva soltanto 40 milioni, per cui vedete che anche da questo lato ci sarebbe un vantaggio di 10 milioni di maggiore riserva.

Ammesso dunque che la Banca Sarda prestasse i 120 milioni, il Banco di Napoli 45 milioni, la Banca Toscana 7 milioni e mezzo, e altrettanto il Banco di Sicilia, voi avete i 180 milioni senza nessuno scomodo per questi istituti, poiché, dispensati essi dalla riserva metallica per la maggiore emissione che dovrebbero fare

per questa operazione, nessun dissesto può loro derivarne, anzi sarebbe un vantaggio che in questi momenti si porterebbe alla circolazione la quale ha necessità di essere aumentata.

Del resto, l'onorevole ministro delle finanze che recentemente ha ricorso al Banco di Napoli per un prestito di 30 milioni, che egli deve restituire in settembre, potrebbe ricorrervi nuovamente oggi, e siccome dovrebbe pure sapere che per 5 milioni che la Banca Toscana è obbligata a prestare al Governo...

MINISTRO PER LE FINANZE. Lo so, lo so.

SERVADIO. Ma non se n'è servito mai! E sì che in tutte le circostanze ed in tutte le evenienze la Banca Toscana, che sarebbe la vera Banca dello Stato, ha fatto ogni possibile sforzo per mostrarsi degna della fiducia del Governo e del paese. Se l'onorevole ministro delle finanze leggesse bene i suoi statuti, e bene esaminasse la sua origine, la Banca Toscana potrebbe rendere anche oggi dei grandi servizi al paese, col credito di cui essa dispone, coll'integrità con cui essa pure è amministrata e coll'ingrandimento di capitali di cui presto sarà al possesso.

E per ciò, come sapete, l'onorevole ministro delle finanze ha presentato, e di questo gliene faccio davvero i dovuti elogi, una legge che voglio sperare sarà con urgenza da voi approvata.

A me pare di avervi chiaramente dimostrato come potreste avere 380 milioni senza menomamente dissestare questo istituto, risolvendo così un gran principio quale è quello di fare entrare nella concorrenza pei servigi governativi tutt' i principali istituti d'Italia.

lo vi ho detto in altra occasione che mi spingerei ancora più oltre; ma oggi ciò non è opportuno, oggi dobbiamo limitarci a questo mezzo che io vi propongo, che è pratico, che è possibile, ed al quale vi prego di dare 11 vostro voto.

Degli altri paragrafi che sono nell'articolo da me proposto è inutile che io dia spiegazioni maggiori, perché mi paro che sieno abbastanza chiari. Mi riservo di fornire ancora maggiori schiarimenti se avrò la fortuna che l'onorevole ministro delle finanze voglia accettare il consiglio e le parole che l'onorevole Bonfadini gli dirigeva, e che ripeto, perché a dire il vero mi piacquero assai: Cedere a tempo è saggio consiglio; resistere sempre è pernicioso!

PRESIDENTE. Ora tocca all'onorevole Maiorana Calatabiano...

MINGHETTI. Un momento solo...

PRESIDENTE. Per un fatto personale?

MINGHETTI. Sì.

PRESIDENTE. Parli per un fatto personale.

MINGHETTI. Mi pare che l'onorevole Servadio mi abbia fatto dire delle cose del tutto diverse da quelle che ho dette.

Io non sono venuto qui a fare l'apologia della unicità del biglietto di circolazione fiduciaria. Ho detto che queste opinioni sono dibattute e studiate in tutte le parti

3609 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

del mondo, e, senza pronunziarmi, ho trovato strano che si condanni, e si dica assurdo quello che in tutti gli altri paesi è oggetto di studio e di discussione.

SERVADIO. Domando la parola per una dichiarazione.

PRESIDENTE. Parli.

SERVADIO. Mi è grato davvero, e non mi aspettavo meno dall'onorevole Minghetti, l'udirò la dichiarazione da lui fatta, cioè che egli non si era pronunziato in favore dell'unicità del biglietto, ma che solo aveva enunciato idee d'altri economisti.

PRESIDENTE. Stimo inutile di domandare se il controprogetto dell'onorevole Maiorana Calatabiano, già stato pubblicato, sia appoggiato, dacché esso è sottoscritto da oltre 80 deputati.

L'onorevole Maiorana ha facoltà di parlare.

MAIORANA CALATABIANO. Se all'ora in che siamo, allo stato in che si trova la Camera, al punto in che è giunta la discussione, nel prendere la parola io non esercitassi che un diritto, vi renuncierei volentieri, come feci più volte; ma per me in questo momento la parola è un dovere, e sebbene a malincuore, io lo adempio.

La Camera facilmente comprenderà come la mia posizione si trovi veramente eccezionale. Avendo avuto l'onore di sottoscrivere per primo un progetto di legge che venne preso in considerazione dalla Camera e trasmesso alla Commissione dei Quattordici; avendo avuto il maggior onore di vedervi, tra le firme degli altri ottantatrè deputati, molti dei più cospicui uomini di Stato, e molti, per singolari titoli e meriti, riveritissimi non solo in Italia ma anche fuori; d'altra parte avendo veduto il doloroso spettacolo della grande burrasca sollevata dal mio progetto, nei sentimenti, nelle volontà, nei giudizi di coloro che credevano ne verrebbe offeso lo stato presente di cose, e che si sollevarono in modo nuovo, unico nella storia della legislazione italiana contro il mio progetto, povero per la mia firma, ma ricchissimo, oso dirlo, per quella degli altri, e anche pel concetto; essendosi codesta agitazione sviluppata in modo legale nel paese, e la pròva di tale agitazione esistendo nella Camera stessa, inquantoché vi sono delle proteste e petizioni per le quali s'invoca dal Parlamento la reiezione del mio progetto, mentre pur vi furono domande in senso contrario, cioè perché lo si accolga; la stampa essendosene lungamente occupata; la Commissione dei Quattordici, frammezzo al riso di scherno con cui volle onorare tutti i controprogetti, avendo, pure respingendolo, considerato degno di men lieve esame il mio, capiranno benissimo gli onorevoli colleghi che, essendo stato taciturno non colla stampa, perché qualche volta ebbi a rispondere, ma nella Camera...

CHIAVES, relatore. Domando la parola per una dichiarazione personale.

Mi pare che la Commissione non abbia mai schernito nessuno!

MAIORANA CALATABIANO. essendo stato spettatore di una discussione nella quale direttamente o indirettamente fu preso di mira il mio progetto e la mia persona, non mi è lecito di soddisfare al mio desidero del silenzio; io dovrò dire qualche parola, comeché mi adoprerò a essere breve.

Del resto, l'onorevole mio amico Ferrara si diede l'incomodo, nel suo lungo e dotto discorso, di occuparsi pure e largamente del mio progetto e della difesa dalle accuse che gli vennero mosse dalle Camere di commercio, accuse che erano state ripetute e sviluppate da parecchi oratori di destra. £ se aggiungo che a quelle accuse io aveva anticipatamente risposto nelle considerazioni che precedono il progetto; che gli argomenti tutti in difesa di esso per altre mie stampe furono divulgati e costrinsero al silenzio gli avversari, io non avrò a fare un lungo esame. E però mi propongo di accennare e svolgere sommarissimamente ciò che io credo indispensabile perché venga rilevato il vero concetto non solo del progetto, ma anche degli appunti che contro di esso si sono mossi.

E noterò che, mentre adoprai ogni cura per escludere qualunque accusa alle intenzioni, mentre mi limitai a costatare fatti, a rilevare i danni del sistema contrario, la necessità di cambiarlo e di ricorrere francamente, efficacemente ai principii, a me e agli onorevoli miei amici nulla fu risparmialo. Fra i tanti, il titolo di socialisti, come accennava l'onorevole Ferrara, non è forse il più offensivo.

Per iscusare poi in faccia ai miei amici la brevità del mio dire osserverò eh-, per quanto la destra abbia date prove di sapere e di valore nella discussione delle più gravi proposte di legge che sono passate in questa Camera, di quelle che per inopportunità o errore non furono seconde alla proposta della convenzione con la Banca, come, ad esempio, la legge del macinato e di altre imposte, la legge della Regia; per quanto abbia avuto energia nel dare apparenza di ragionevolezza a ciò che, secondo la scienza e l'esperienza, era poco ragionevole e giustificabile, io debbo manifestare la mia sorpresa che, non solo, nella proposta del Ministero e nella relazione della Commissione, ma in nessuno dei discorsi che fino a questo momento si sono fatti a difesa della convenzione e a critica del controprogetto, io ho trovato quel consueto talento, quella consueta abilità, quella scienza per la quale si potè elevare a dubbio ciò che era certo, si poté giustificare, se non a nome dei principii, almeno dell'opportunità, un espediente.

A me pare che Ministero e Commissione sentano la grande debolezza delle loro ragioni, sentano il peso delle ragioni contrarie, e trovino più comodo ricorrere alla forza numerica del voto, anziché alla forza morale dello studio della verità.

In vista di ciò a me pare che mancherebbe vera-, mente la materia di discutere, inquantocbè ragioni serie, ragioni che valgano la pena di una seria confutazione non si addussero fin qui in favore della convenzione, né contro il progetto che le si sarebbe voluto surrogare, anzi nemmeno contro alcuni espedienti che sarebbero stati certo preferibili alla convenzione.

3610 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Quali sono stati in fatti i motivi sui quali si sarebbe fondata l'utilità e la giustizia della convenzione?

Ecco i motivi. Le attualità dei rapporti dello Stato con la Banca in ordine al corso forzato sono onerose; si paga molto caro il servizio che da essa si riceve in ordine ai mutui fatti allo Stato. Deve procurarsi un vantaggio maggiore dal corso forzato. I bisogni del Tesoro non si possono soddisfare che mediante qualche operazione straordinaria. Nelle condizioni presenti nulla si può far di meglio che la convenzione con la Banca, la quale, se non è un gran bene non è neppure un gran male, ed è il maggior bene possibile.

Accettatela, vi si dice, è migliore di altre operazioni, di altre convenzioni precedentemente fatte.

Ma, quando si ricorre a questa sorta di asserzioni, di argomentazioni, è possibile che una Camera legislativa si arresti là, e dica: si ha ragione, si traduca in legge una convenzione, si respinga un progetto del quale con eguale leggerezza si contesta la base nella scienza, nell'esperienza? In questo modo io credo che non si può guari legittimare la convenzione, non si può guari legittimare l'attacco che è stato fatto ai vari progetti, ed in particolare a quello di cui mi occupo.

E diffatti, chi mai contestò l'onerosità dei rapporti dello Stato con la Banca?

Chi negò i bisogni del Tesoro?

Ma, quando si propone una convenzione del genero di quella in esame, non basta dire che per l'avvenire si pagherà meno alla Banca, che pel presente si ricavano dei milioni a sollievo dello Stato; bisogna risolvere altre e gravissime questioni. Ciò che pagasi alla Banca, ove sia completamente indovuto, solo perché se ne pagherà meno per l'avvenire, diventerà legittimo?

Quand'anche si rinunzi alla questione sul diritto di restituzione contro di essa, sarà opera buona sanzionare, anche diminuendola per l'avvenire, la spogliazione a danno dello Stato?

I proventi della Banca dovuti all'emissione per suo conto dei biglietti a corso forzato, dovranno continuare in danno del paese e della circolazione?

Se non si toglie alla Banca la circolazione a suo esclusivo servizio, non deve almeno lo Stato partecipare agli utili?

La convenzione non prolunga indefinitamente uno stato di cose esiziale al paese, giovevolissimo al privilegio e al monopolio della Banca?

La convenzione non aggrava il flagello del corso forzoso, non vincola a servizio della Banca la libertà del Governo?

Tutte queste questioni furono sollevate e risolute nelle considerazioni sul mio progetto e nella discussione; né Commissione né Ministero né oratori in favore della convenzione seppero efficacemente contraddire alle dimostrazioni della scienza e della pratica; opposero asserzioni e parole.

Ma no, qualcosa si è detto in favore della convenzione, e precisamente per legittimare il compenso che ancora e per lunghi anni si attribuirebbe dallo Stato alla Banca pel mutuo della carta.

Si ricevono 50 milioni in oro, diceva ieri il signor ministro; e questo è varissimo. Ma il signor ministro delle finanze, che in una associazione puramente scientifica ho l'onore di avere a collega, sul serio vorrà egli affermare che i 50 milioni in oro che per la convenzione dalle casse della Banca passano in quelle dello Stato, sieno un mutuo che ad essa dia titolo a interessi ordinari? Immaginiamo che il mutuo, accetto la parola, invece di essere di 50 milioni in oro fosse stato di 50 milioni di carta; immaginiamo in conseguenza che i 122 milioni fossero tutti in carta, avrebbe preteso allora l'onorevole Sella che sui 50 milioni d'uro surrogati in carta si sarebbe dovuto pagare l'interesse ordinario che, in vista delle attuali angustie, egli valutò al 10 per cento? Se ciò egli avesse affermato, non vi sarebbe stata ragione di non attribuire il 10 per cento su tutta la somma di 122 milioni, ma certo bui 72 milioni, deducendo i 50 di aumento assoluto di circolazione. Ma siccome un tale assurdo non è presumibile voglia sostenersi dall'onorevole ministro, così il mutuo di 50 milioni in oro non è altro che un mutuo effettivo dell'aggio su 50 milioni in carta che si sarebbe speso dal Governo per procurarsene oro, cioè d'un milione o un milione e mezzo al tempo della convenzione, o più, secondo l'accresciuto disaggio della carta.

E si noti che il mutuo dei 50 milioni, sieno in carta, sieno in oro, non lo fa la Banca, appunto perché non rappresentano una parte del di lei capitale disponibile, non rappresentano una parte della circolazione cartacea a di lei conto, ma una riserva metallica a cautela e garanzia del pubblico, vero creditore della Banca perché possessore dei biglietti.

Ora come garanzia, lo Stato, secondo la convenzione, darebbe il surrogato nelle obbligazioni ecclesiastiche; e quanto alla differenza del mutuo in danaro e del prestito in carta non si fa alcun servizio allo Stato, il quale, secondo la convenzione, dovrebbe restituire i 50 milioni in oro, obbligo graditissimo alla Banca perché allontana sempre più il pagamento e la cessazione del corso forzato.

Vi sarebbe stato un vero mutuo dei 50 milioni in oro quante volte, invece di rappresentare la garanzia dei creditori della Banca, essi stessi fossero una parte del di lei proprio capitale, e soprattutto quante volte si fossero ottenuti mediante nuova emissione di azioni ed accrescimento del suo capitale effettivo. Ma ciò non essendo avvenuto, non solo non sarà sostenibile la legittimità dell'interesse ordinario attuale al 10 per cento o meno, ma nemmeno quell'interesse o compenso che si concede pel prestito della carta.

3611 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Pei 50 milioni in oro manca qualunque titolo che si avrebbe per la carta, cioè la spesa per la sua fabbricazione e per la tassa di circolazione.

A me pare dunque che l'onorevole ministro di finanze, volendo giustificare la legittimità del compenso dato alla Banca col fatto del preteso mutuo dei 50 milioni di riserva metallica, abbia indebolito ancora più la giustificazione.

Oggi poi l'onorevole Minghetti, pure sforzandosi a legittimare quel compenso, oltre della base dei 50 milioni in oro accennata dal signor ministro, indicava quella del mutuo dei 22 milioni, dei quali la Banca veniva ad attenuare la circolazione di suo conto.

Egli diceva: su quei 22 milioni compete incontestabilmente un interesse al saggio ordinario, perché essi sono un valore reale; ma io domando all'onorevole Minghetti...

MINGHETTI. Non ho detto questo.

MAIORANA CALATABIANO. Egli ha sommato a 2 milioni e 700 mila lire l'interessa ordinario dei 22 milioni che la Banca presta allo Stato, la tassa di circolazione e quella dell'imposta mobiliare; ha calcolato pure la spesa per la fabbrica e consumo di biglietti; e per tutti questi elementi (che io ho notati, come egli, l'onorevole Minghetti, ebbe l'attenzione di notare la parola dell'onorevole Ferrara, che chiamò bastardo il concetto dei biglietti marchiati), per tutti questi elementi, diceva, sarebbe provata l'incontestabile legittimità, non solo degl'interessi che vanno attribuiti per la convenzione, ma anche d'interessi maggiori.

Ma io demando all'onorevole Minghetti: solo perché si danno 22 milioni di carta, la quale non è che una parte della carta di cui si compongono i 750 milioni in biglietti, stabiliti con la legge del 1868, o, meglio, una parte di quella maggior somma del miliardo, a cui ascende probabilmente la circolazione di fatto (e le rivelazioni testé fatte dall'onorevole mio amico Avitabile, e non potutesi smentire dall'onorevole ministro delle finanze, ne darebbero prova), solo pel fatto del prestito di quella carta si crederebbe provata la legittimità dell'interesse, e quindi la bontà della convenzione?

Ma dunque è un diritto irrevocabile della Banca quello di tenere in circolazione a corso forzato 378 milioni di biglietti (non contando se di fatto ve ne sieno di più, contando l'impossibilità, fin qui, d'una rigorosa sorveglianza)?

Ed è un diritto sul quale nemmeno in avvenire si può muovere doglianza? Ma se invece di passare in mano dello Stato i 22 milioni in biglietti, si fossero bruciati costringendo la Banca di attenuare la circolazione di altrettanto, quel compenso a lei si sarebbe pur dovuto? D'altra parte se essa fosse stata obbligata ad accrescere la circolazione in servizio dello Stato, avrebbe sofferto altro incomodo fuori della spesa dei biglietti?

Ma se la limitazione nella circolazione a suo conto, da titolo alla Banca ad un interesse, perché non si ebbe scrupolo con la legge del 1868 la quale costrinse la Banca a diminuire la circolazione di 100 e più milioni a non proporre di attribuirle alcun compenso?

Con quel sistema non sarebbe giusto indefinitamente assicurare alla Banca una parte del reddito del paese; che l'errore e l'indulgenza di un momento sarebbe così elevato a di lei vero diritto di proprietà.

Né discuto più su altri punti l'illegittimità dei compensi attribuiti alla Banca. Superando la misura dei tributi che la circolazione dei biglietti apporta alla Banca, ogni compenso è ingiustificabile; nemmeno quello delle fabbricazioni potrebbe largamente compensarsi, se si rifletta che, oltre di guadagni già fatti, nella perdita dei biglietti in mano dei suoi creditori, la Banca pur trova un guadagno.

Ma se non sono titolo a tutto il pattuito compenso i 50 milioni in oro, i 22 in carta e i 50 di aumentata circolazione, tutto insieme sarà pur vero che costituisca una risorsa per lo Stato.

122 milioni nei momenti presenti sono un vero sollievo per le sue esauste finanze. Ma chi il negherà?

Ciò che importa sapere si è, se i 122 milioni vengono al Tesoro mediante un sacrifizio a cui non sarebbe tenuta la Banca, o se costano sacrifizi ben maggiori al paese e anche alle finanze dello Stato.

Io penso che il preteso benefizio dei 122 milioni sia in sostanza un onere immenso che s'impone al paese e che nessuno a in condizione di valutare per quante centinaia di milioni costerà di più. Qui invoco l'attenzione dei miei onorevoli colleghi, perché ritengo che il lato più debole dell'argomentazione contraria colla quale si vorrebbe provare la legittimità, la convenienza della convenzione, sia precisamente questo.

Le condizioni presenti del corso forzato sono tali che dovrebbero farci spaventare molto di più della guerra.

Ieri l'onorevole Ferrara ricordando il compianto Bastiat, disse: si parla di ciò che si vele, non si parla di ciò che non si vele. Infatti l'Italia è visibilmente commossa, minacciata dalla guerra, e sopra tutto dai suoi effetti; già le crisi fanno capolino; l'artificiale avviamento delle nostre industrie, il loro mancato svolgimento, la grande estensione della vita del giuoco alla Borsa e delta speculazioni arrischiate, in pochi giorni hanno prodotto effetti disastrosisiimi. Ciò si vede, e non è poco. Ma quello che più minaccia d'influire su quelle cause deprimenti e di operare una catastrofe non soltanto finanziaria, ma economica, per lo Stato e pel paese, è il corso forzato di cui l'indole e gli effetti molto meno sensibili degli altri mali ci preoccupano di meno.

3612 - CAMERA DEI DEPUTATI -. SESSIONE DEL 1869

Ma questo corso forzato è stato fin qui forse un benefizio per le finanze dello Stato? Se voi, o signori, riflettete che lo Stato, sui pagamenti, sulle spese e sulle compere che dal 1866 in qua ha dovuto fare in effettivo, ha dovuto avere la perdita per lo meno, comprendmdovi gl'interessi composti all'8 per cento, della bagattella di 116 milioni; se riflettete che lo Stato ha imposto un dazio straordinario ai suoi impiegati della media del 10 per cento senza che nulla entri nelle casse di lui, il quale dazio se fosse da costoro corrisposto allo Stato avrebbe prodotto, con gl'interessi composti, 116 milioni; se riflettendo che tenendosi conto di ciò che si è pagato alla Banca per i così detti interessi dei così detti mutui, e sempre con gl'interessi composti dell'8 per cento, la spesa e la perdita è ammontata a 31 milioni, si potrà, senza timore di essere accusati di esagerazione, affermare che lo Stato ha speso e perduto a quest'ora pél corso forzato almeno l'ingente somma di 250 milioni.

E ometto il calcolo delle perdite in tutte le operazioni di credito state grandemente ritardate dal fatto del corso forzato, o certo costate molto più caramente anche in causa del maggiore deficit che ha prodotto il corso forzato.

Ora quando io veggo economisti, uomini di Stato che respingono o anche differiscono il concetto di togliere il corso forzoso a costo di gravi sacrifizi, quando vedo che essi non si preoccupano di trovare modo di temperare gli effetti, di circoscrivere, attenuare le cause delle fluttuazioni nell'aggio, di preparare la cessazione del corso forzato, a costoro non potrei dire altro se non che sono veramente ciechi, non vedendo essi l'abisso che scavano al paese!

L'onorevole ministro contestava ieri la realtà del danno del 10 per cento su tutta la massa dei biglietti circolanti. Io potrei provargli che il danno ragguagliato alla media di più anni, a molto maggiore, poiché lo strumento di circolazione col suo continuo movimento mette gli uomini d'affari nell'impossibilità di compensare le perdite coi guadagni, e se taluni vi riescono o anche vi speculano, ciò non può attenuare, ma accrescere anzi la media del danno comune.

Ora, calcolando le perdite dirette e indirette dello Stato e del paese, domanderei: quante volto le poche centinaia di milioni a cui giunge il sussidio che al Tesoro è venuto dal corso forzato, non sono state fin qui superate dalla perdita fatta dal paese, perdita la quale si traduce in miseria ed in diminuzione nel reddito delle altre imposte, cioè in nuova causa di deficit e di rovina delle finanze dello Stato?

Giorni addietro si cantava osanna perché il cambio dei biglietti era al 2 per cento, e per ciò non si voleva credere che il vizio è radicale e che non si può ripararvi con misure che tendono ad accrescerlo; e per ciò a noi che avevamo escogitato e proposto un mezzo di trarre profitto della posizione, e antivedere e impedire i danni di possibili anzi inevitabili fluttuazioni, si rispondeva: ma non turbate l'attualità, quasiché la fosse stata frutto della previdenza dei nostri avversari, i quali, forse, senza saperlo, si preparavano a guastare quella passeggera armonia.

Ma quell'osanna ebbe termine; è tornato l'allarme, anzi il danno della fluttuazione. Ora, il mettere in circolazione altri 50 milioni di carta e il diminuire la riserva in oro di 50 milioni, per noi è tal fatto che non può a meno di produrre disastrose conseguenze.

Io credo che, aggiungendo alla causa indipendente dal Parlamento e dal Governo, la quale ha depresso il valore della carta, una nuova causa quale è quella di un nuovo aumento di circolazione, per ciò solo siavi un danno notevolissimo, che nessuno si crederà sicuro da una novella creazione di carta.

E se la guerra od altro malanno più direttamente colpirà l'Italia, dove si arriverà col deprezzamento della carta?

Sarà impossibile che la carta scapiti del 20, 25, 30 per cento o anche di più?'

E gli effetti pei servizi pubblici?

Dovremo dare un soprasoldo agl'impiegati, i quali non potranno più sopperire alle spese necessarie alla vita, o non troveranno adeguato compenso alle loro fatiche.

Così dovremo da una mano subire un lavoro peggiore, dall'altra aumentare le spese, e quindi le imposte. Ma avremo da sperare sopra un loro maggiore aumento, appunto quando ogni cosa va a male? Se si emetterà nuova carta, avremo intera la catastrofe, saremo agli assegnati. La riduzione della carta sarà impossibile, e sarà anche inutile; poiché, allorquando è esuberante, o soltanto allorquando è aperta la via al discredito, non lo si può più frenare con espedienti. Le spese occorrenti per la riduzione saranno una nuova sorgente di danni. La riduzione è utile quando valga a scemare la quantità entro i confini nei quali si sviluppa il bisogno del concorso della circolazione dell'oro, e si opera perciò la circolazione mista; è utile quando vale a generare la fiducia. La riduzione, come espediente, rovina; e se ne è visto il fatto in Russia, in Austria ed altrove.

Vorremo noi avventurarci ad un sistema nel quale si ha da surrogare una carta ad un'altra? Non si dimentichi ciò che è avvenuto agli altri Stati, e segnatamente all'Austria; non si entri in una via nella quale si avrebbe per mezzo secolo e più il fallimento in permanenza!

È necessità dunque opporre qualche ostacolo all'onda invadente. Non possiamo addormentarci sopra la brace.

Il corso forzato per sua indole volge al peggio, avuto riguardo alle condizioni presenti di cose in Italia rapporto all'Europa. La convenzione non lo migliora, ma lo peggiora grandemente.

Io non ritornerò sull'esame della convenzione sotto quel punto di vista. Non nego che vi ha in essa un'apparenza di miglioramento quanto al corso forzato, ma ripeto ed affermo che sostanzialmente lo peggiora: in primo luogo perché sciupa un'occasione suprema di porre un argine alla di lui azione nociva; in secondo luogo perché continuerà a pesare gravissimamente sopra lo Stato ed il paese ed a beneficio ingiusto di un istituto.

3613 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

E conviene io dica qualche parola più specialmente in rapporto alla Banca.

Per la convenziono, non determinandosi un limite nella circolazione a corso coatto, ma dichiarandosi che si deve provvedere alla sua cessazione e destinandosi i fondi che restano in potere della Banca, non si è con ciò stabilito un contratto tra lo Stato e la Banca sulla quantità ed il rapporto dei biglietti che dovranno circolare per conto dell'una e dell'altro?

Io vorrei davvero trovare un modo da rendere impossibile l'ulteriore falsificazione della moneta mediante l'ulteriore emissione del biglietto; ma è possibile, è decoroso che ciò si faccia in una convenzione con un istituto privato? Che lo Stato abdichi la sua facoltà quand'anche, conservandola, egli possa abusarne?

I giureconsulti del Ministero e della Commissione hanno esaminato in fatti, se lo Stato, dopo la convenzione, sia sempre in diritto di accrescere ancora la circolazione cartacea pur costringendovi a fabbricarla la Banca?

Se si crede che quel diritto si sia abdicato, e si crede anzi che tale rinuncia costituisca la migliore garanzia della cessazione del corso forzato, io allora risponderò che questa, che apparentemente sarebbe la migliore garanzia, non è altro che un nuovo privilegio, un'estensione novella che si darebbe al monopolio della Banca, un inqualificabile abbandono dei più sacri diritti e doveri dello Stato.

Ma dunque da ora in poi sullo Stato occorrerà la tutela della Banca?

D'altra parte, se è una maggiore garanzia, verrà di conseguenza che si debba avere il coraggio d'introdurre nella convenzione un articolo per cui venga vietato allo Stato non solo di accrescere la circolazione cartacea nella forma in cui è attualmente, ma di mettere qualunque altra carta che abbia corso forzato.

Io ritengo infatti che lo spirito della convenzione sia propriamente quello. Imperocché senz'essa, la Banca sarebbe stata sempre dipendente dallo Stato, il quale ad ogni momento avrebbe potuto far cessare il corso forzato ai biglietti della Banca e darlo ad altro istituto, o mutar quelli in governativi; e la Banca per non perdere i pingui lucri, per non fallire, avrebbe sempre prestato i suoi torchi allo Stato, molto più che essa avrebbe fatto fruttificare la carta quasi come oro. Ma dopo la convenzione la Banca ha interesse di usufruttuare il monopolio per sé sola, e opporsi a ogni nuova convenzione.

Ma indipendentemente dalla questione di dignità, potrà il Parlamento tollerare che s'inforzi per tornaconto privato un diritto che, quantunque nei suoi effetti nocivissimo, in alcuni momenti e in talune condizioni straordinarie potrà essere creduto indispensabile di esercitare? Si risponderà che sarà fatta un'altra legge; ma la legge sarà una violazione dei diritti privati.

Esiste la convenzione, la Banca domanderà altri vantaggi; io non so quali vantaggi possa, domandare la Banca; non si farà convenzione; lo Stato è onnipotente, ma si farà una confìsca se ciò che va a compirsi si reputa legittimo; si farà una nuova legge per dichiarare esorbitante quello che ci si chiede.

Ma, signori, si farà allora una confisca; se oggi dobbiamo fare una convenzione per violarla domani, a me pare grandemente più morale che in questo momento stesso si neghi che venga fatta.

L'onorevole Minghetti stamattina sorvolava sulla maggiore difficoltà, cioè sul fatto che il corso forzoso è in servizio della Banca, se non per tutta la somma dei biglietti messi in circolazione, inquantoché quelli prestati allo Stato le apportano uh lucro minore, certo per la massima parte. Non si arrestò un momento per tentare di giustificare come fosse legittimo di lasciare a disposizione della Banca 300 milioni a corso forzoso; ciò che per altro nemmeno tentò di fare l'onorevole ministro.

E se ciò non fu fatto come potrà dirsi che non vi a privilegio, non monopolio? Ma il diritto della circolazione a corso coatto, guarentito dalla legge, e ora riconosciuto e conservato indefinitamente dalla convenzione, non è privilegio, non o monopolio? L'onorevole Minghetti sorvolava sull'effetto della convenzione di liberare la Banca dal giusto pericolo di avere soppresso da un momento all'altro, per semplice atto del Parlamento, il corso forzoso a suo conto. Ma è propriamente quel rischio che pesa sull'animo della Banca; ed è propriamente tal diritto che può, opportunamente esercitato, liberare dai mali presenti lo Stato. Ora per la convenzione si vuole apportare quell'inestimabile vantaggio alla Banca, e quel gravosisaimo onere e perdita di diritto e di libertà allo Stato. Gli azionisti della Banca che dalla sera alla mattina, possono udire (non c'è legge che lo proibisca) la proclamazione di essere cessato il corso forzoso, gli azionisti, oltre della cessazione per sé di esorbitanti guadagni, possono veder fallire il loro istituto. Certamente che, per far male ad esso, nessun uomo di Stato sf abbandonerebbe ad un atto intempestivo; ma un Governo energico potrebbe mettere a prezzo il prolungamento di uno stato di cose che tanto funesto riuscì al paese, e tanti profitti, né del tutto equi, apportò ad un istituto privilegiato.

Ora, mentre non abbiamo potuto trovare un vantaggio reale per lo Stato nella convenzione, essa produrrà l'effetto innegabile di far cessare per lei l'unico rischio che sempre ha turbato i sonni dei suoi fautori, cioè il pericolo di veder cessare uno stato di cose che le è tanto a cuore, e di assicurarsene la durata in modo indefinito e, per un complesso di circostanze, quasi dipendente dall'azione della stessa Banca.

3614 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

E non si obblii che, prolungandosi uno stato di cose in cui più centinaia di milioni in biglietti sono conservati al corso forzoso per conto della Banca, e non cesseranno di esserlo se non quando avverrà il caso difficilissimo della totale precedente estinzione del debito dello Stato in 500 milioni; si prolungheranno così indefinitamente i mali del corso forzoso.

Per la convenzione sin da ora i vantaggi sono assicurati alla Banca e senza corrispettivo. Ora ciò non sarà privilegio, non sarà monopolio che viene da una legge, la quale pur costituisce una condizione eccezionale ad un istituto a danno di tutti gli altri istituti e, quello che è più, a carico della libertà del credito e della giustizia?

A me pare inutile ogni discussione su ciò; ne mi pare al suo posto la quistione dell'unità del biglietto. Qualunque sia il giudizio che si porti in ordine a quella questione, qualunque sia il merito di chi sostiene il vincolo o la libertà (io sostengo l'ultima), non si troverà uno scrittore, sia della scuola detta metallica, sia della proibizionista, sia della liberale, il quale giudicherà regolare la circolazione al triplo, garantita gratuitamente a spese del pubblico e di altri istituti, in favore d'un solo istituto. Il biglietto potrà essere unico: ma il corso forzato in servizio di chi sarà?

Nessuno Stato creollo mai in servizio di privati azionisti!

Queste brevi osservazioni ho fatte per provare come non si è giustificata e non è giustificabile la convenzione. Io credo che essa ai potrebbe difendere quando ci si dicesse francamente che la prosperità della Banca è scopo supremo dello Stato, e tale scopo si deve raggiungere anche a costo d'una catastrofe. Ma ingiuria cosiffatta io non posso scagliare ad alcuno; e perciò spero mi si conceda che la convenzione non si può valevolmente difendere.

Gli onorevoli di Destra hanno voluto supporre che io fussi un accanito avversario della Banca: io dirò loro, e segnatamente al mio amico l'onorevole Marazio che io non conosco nemmeno di vista il signor direttore della Banca. Io ritengo che la Banca o un'istituzione eccellente, quando si consideri l'eccellenza in un significato molto ristretta e poco armonico al.'insieme degl'interessi sociali. Ma anche in quel significato ristretto io penso che si potrebbe dire che quest'eccellenza va cassando, una volta che la Banca spinga i suoi desiderii oltre il possibile e il conveniente, una volta che interviene in contrattazioni che non possono non esserle presto o tardi di grave danno; e non possono non produrre anche per essa la catastrofe. Venendo alla seconda parte del mio discorso, io proverò brevemente come gli avversari non sieco stati più felici nel combattere il mio progetto di quanto lo furono nel difendere la convenzione.

Il progetto mio e dei miei amici muove da questo concetto: noi non possiamo distruggere il corso forzato, ma possiamo circoscriverlo, possiamo metterlo a esclusivo profitto dello Stato, possiamo provvedere a che si estingua graduai'; ente, interamente, e intanto possiamo far cessare una causa di disturbo nell'ordine del credito, di prevalenza artificiale a spese di ogni istituto esistente, della libertà, della giustizia. Il limite sarebbe alla massa dei biglietti che rappresenta il debito dello Stato, estendendolo alquanto per sopperire alle più urgenti necessità del Tesoro.

Io presento questa idea, che è incarnata in una serie di articoli del progetto, i quali stabilirebbero le diverse modalità e garanzie d doversi mettere in atto.

Io non domando che la semplice riconoscenza e attuazione di una verità incontestabile per giustizia, cioè che, sebbene pel mezzo della Banca, puro il corso forzato non fu istituito, non si doveva intendere istituito per di lei favore e per aggravio dello Stato e del paese.

Accettate dunque, o signori, l'idea che il corso forzato fu istituito per provvedere ai bisogni dello Stato. E allora sarete nel concetto mio: varierà il modo, la sostanza sarà concordata.

Quando il corso forzato non sarà più, o almeno precipuamente, in servizio della Banca, si sarà liberato il paese dalle maggiori calamità del corso forzalo, le quali sono mille volte superiori al beneficio che ne ricava la Banca.

Infatti il danno maggiore del corso forzoso non fu nella somma dei biglietti rappresentanti il debito dello Stato, ma in quelli rappresentanti il debito della Banca, e più nella facoltà di moltiplicarli, quasi, a piacimento, e certo senza una vera garanzia.

Se la somma dei biglietti fosse stata fin da principio circoscritta al debito proprio ed esclusivo dello Stato, non ne sarebbero venute tutte quelle conseguenza dell'enorme deprezzamento dei biglietti fin dal principio del corso forzoso; le fluttuazioni susseguenti non sarebbero state così frequenti e così gravi; il paese avrebbe nello Stato conseguito un qualche compenso alle sue perdite.

Quando la circolazione infatti si restringa ad un quinto o ad un quarto della massa dei valori che rappresenta tutto il movimento delle entrate e delle spese pubbliche, il deprezzamento non può mai essere grave; può verificarsi qualche piccola variante in circostanze straordinarie, ma, in generale, questo deprezzamento è quasi insensibile e passeggero.

La carta è apprezzata generalmente quando sta in menome proporzioni a rispetto degli incassi e delle spese; come strumento di circolazione conserva il suo valore; se molto circoscritta, a causa del comodo che offre, può avere perfino un valore maggiora. Ma se supera il quinto, il quarto della somma dello pubbliche entrate è molto contestabile la conservazione

3615 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

del valore intiero in conformità del nominale, a meno che causa particolari di fiducia e anche di abitudini non influiscano a impedire il disaggio. Di e «ita governativa, con il nome di Buoni del Tesoro o con altro nome, si ha esempio nei piccoli Stati di Germania e più in Prussia, ne fornì esempio la Russia, la Polonia e fino la China, e non vi fu disaggio finché non se ne abusò. Il concetto da me sostenuto e che trovo applicabile, anzi più urgentemente applicabile nelle condizioni presenti, riuscirebbe grandemente giovevole al paese e alle finanze dello Stato; che attenuerebbe grandemente il disaggio in tempi eccezionali, e lo distruggerebbe in tempi normali; risparmierebbe allo Stato la spesa degli aggi pei pagamenti e le spese che deve fare in effettivo; e pei compensi che pur sempre si pretendono dalla Banca; farebbe cessare quell'antagonismo tra essa che guadagna col corso forzoso, e lo Stato e il paese che ci perdono; e il corso forzoso potrebbe davvero cessare, essendovi allora anche interessata la, Banca stessa.

Ma il progetto in esame ferisce interessi esistenti, benché non sempre equamente costituiti, affretta l'attuazione della libertà e dell'eguaglianza, distrugge i piani di nuovi profitti a spese del paese; il progetto combatte pregiudizi, dai quali pure uomini rispettabili e di buona fede non sono meno dominati; il progetto dunque doveva incontrare forti ostacoli.

Il progetto era il solo che in modo concludente, decisivo, pronto, pratico avrebbe potuto combattere radicalmente la convenzione e surrogarsele.

Da lì l'agitazione delle Camere di commercio; però, mentre, secondo annunciò la stampa, e disse l'onorevole Ferrara, si osservava la desolante uniformità nelle Camere protestanti, mentre molti dei membri di esse non si potevano credere del tutto scevri d'interesse e di parzialità, mentre la competenza di quei corpi, almeno dal riguardo scientifico, poteva essere contestabile; non mancarono altre Camere le quali si pronunciavano, e alcune anche con espresse istanze al Parlamento, in senso favorevole al progetto. Indicherò le Camere di Cosenza, di Reggio di Calabria, di Ancona, di Caserta, e per quella di Bologna il suo presidente, le quali ne accettarono o propugnarono il concetto.

Fino dai tempi dell'inchiesta del corso forzoso, nel più o meno, quelle e altre Camere propugnavano il concetto di cui va informato il mio progetto; anzi la Camera di Avallino, che ora ha pensato di protestare, in coro con le altre, al 1868 propugnava la carta governativa, che è qualcosa di più largo della mia idea del 1867, e sostenuta finora, dei biglietti marchiati!

Quel mutamento di avviso prova molto in ordine al valore dei voti delle Camere protestanti, come non provano meno le lettere di alcuni onorevoli componenti le Camere di commercio di Firenze e di Napoli,

i quali protestarono contro l'unanimità delle petizioni di quelle Camere, state, contro il vero, strombettate dalla stampa. Soprattutto il voto motivato e pure stampato dall'egregio Incagnoli di Napoli, spiega molti particolari sul modo adoperato nel procurare i deliberati.

Ora, le Camere di commercio protestanti fornirono il materiale alla Commissione dei Quattordici per venire a quel suo opinamento sul progetto dei biglietti marchiati.

La Commissione adottò e ripeté gli errori, i pregiudizi, le contraddizioni, nei quali incespicarono i redattori dei deliberati di quelle Camere di commercio; fu detto e si ripeté nella Camera come sarebbe un gran i flagello la carta governativa (si chiamava governativa la carta marchiata, e carta-moneta, quasi noi fossero i biglietti di Banca a corso forzato); si sparse l'allarme j per la coesistenza di carta a corso forzato, della carta marchiata e dei biglietti che diverrebbero fiduciari (quasiché in atto non esistano, oltre di quelli a corso forzato, i fiduciari di cento istituti); i biglietti marchiati, dice l'onorevole Maurogonato, si sarebbero fotografati presso gli istituti che li terrebbero per riserva (si noti che io propongo per metà la riserva in carta marchiata), e così, sarebbe inondato il mercato, e la Banca avrebbe enormemente accresciuto il profitto (si vede che si vuole impedire il bene delle Banche respingendo il progetto); cT»ltra parte gli stessi sostenitori di quell'assurdo si preoccupano che la Banca non potrebbe tenere più in circolazione i suoi biglietti (e qui si difende il di lei interesse); cento altre cose futilissime si dissero; si parlò di poca dignità, lo disse l'onorevole Maurogonato, lo ripeté l'onorevole Minghetti, nel valersi lo Stato della carta di un istituto! Ma a tutto ciò e cose simili avevo risposto nelle mie considerazioni premesse al progetto.

E dopo il discorso dell'onorevole Ferrara nella Camera, cosa è rimasto indifeso del progetto? Qual è l'appunto che può tuttavia avere apparenza di ragione?

Il ministro delle finanze, quasi dandosi vinto, si limitò ad asserire che egli soggiacerebbe al comune pregiudizio di credere pericolosa la carta che si direbbe governativa; non insisté sopra alcuno degli appunti fattigli, perché la sua ragione glielo vietava; si limitò a dire: io non ho l'animo di accettare la carta governativa, non ne assumo la responsabilità, non voglio cambiare via, la cambi chi verrà al posto mio! Ma si noti che la carta governativa c'è, se è vero che cinque ottavi di tutti i biglietti son debito dello Stato. Si noti che il progetto non crea nessuna carta, ma limita la esistente, e toglie l'equivoco di farla supporre garantita da un istituto che non la garantisce né può garantirla.

Per tutto ciò io non devo più immorare nella difesa del mio progetto, che la sola forza del numero può respingere, che approva la ragione.

3616 - CAMERA BEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Noi vogliamo che cessi l'ingiusto vantaggio della Banca, esiziale pel paese, pregiudizievole per gli altri istituti; intendiamo che il corso forzato sia circoscritto a tutto il debito dello Stato; intendiamo sia determinato e al più presto attuato il modo dell'estinzione totale.

E però non rimane che la questione di forma, cioè resta a vedere se si ha da adoperare biglietti di conio governativo o biglietti della Banca, che sarebbero marchiati.

L'onorevole Ferrara disse: io avrei preferito i biglietti di fabbrica esclusivamente governativa; ma io mi sono sempre opposto a quell'idea; e la ragione è stata appunto di non doversi presentare l'unico lato debole ai colpi degli avversari, i quali, mentre sono prodighi di fiducia e d'imprevidenza sul conto della Banca, sollevano tutti i sospetti e dubbi quando si parla del Governo.

Per altro è ben certo che contro la carta di conio governativo si può rispondere che, sebbene il credito dello Stato sia preferibile a quello della Banca, pure mancherebbe la garanzia che, lasciando i torchi in mano del Governo, non se ne abusasse, o almeno non vi sarebbe la certezza della superiorità sui biglietti della Banca.

È vero che dal fatto di averne abusato un istituto non si deve ricavare la conseguenza che lo Stato debba pure abusarne; è vero che, ove questi ne abusi, il paese troverebbe qualche sollievo al danno della moltiplicazione dei biglietti; ma pure sussiste la difficoltà, e noi abbiamo dato ragione agli avversari; abbiamo detto: lo Stato non sia mai fabbricante di carta che debba avere corso di moneta.

Ecco la ragione per cui si o andato all'idea del biglietto marchiato, idea che, da me concepita, annunziai nel 1867 alla Camera e sviluppai nel 1868; idea che formò allora oggetto degli emendamenti e proposte a mio nome e del mio amico il deputato Rizzati; idea che nel 1869 pure accennò l'onorevole Maurogonato.

Se la mia idea poteva non essere, coi nuovi temperamenti acconci alle contingenze, accolta interamente, se ne sarebbero potute variare alcune modalità, anzi si sarebbe potuta accettare con l'emendamento che risultava dall'adozione del mio concetto dei biglietti marchiati che ne aveva fatta l'onorevole Maurogonato. Ed io riteneva che, con me, tutti gli onorevoli amici che mi onorarono del loro concorso, avrebbero accettata la modificazione Maurogonato.

Che cosa diceva l'onorevole Maurogonato? Si metta un marchio sui biglietti di Banca. E nelle parole che vi si iscriverebbero, sia che si dica a debito detto Stato o o debito della Banca, io potrò rispondere che i biglietti

sarebbero nell'uno e nell'altro caso sempre ed essenzialmente governativi. Infatti una volta che debbono essere marchiati i biglietti di Banca, e una legge

dichiara che tutti sono a debito dello Stato ed esclude il dubbio che sieno a debito della Banca, non saranno le parole che determineranno la qualità dei biglietti e il rapporto giuridico, ma sarà la legge. Dice però l'onorevole Maurogonato: io non intendo disimpegnare la Banca dall'obbligo di pagare i biglietti. E non vede egli che oggi è sospeso il pagamento e continuerà ad essere sospeso finché non cesserà il corso forzoso? Ma quando sarà cessato il corso forzoso si dovrà ritenere che la Banca è stata pagata del suo credito; vale a dire l'obbligazione sua potrà essere reale per pagare la parte di creditori che rappresentano le sue operazioni proprie, sarà estinta di fatto, pel rimanente dei biglietti che compongono il debito dello Stato, mediante il pagamento anticipato che ne avrà ricevuto dal Governo.

Io intendo che se si vuole il fine di sopprimere il corso forzato si devono adoperare i mezzi.

E noi vogliamo l'uno, e- indichiamo gli altri.

Se no assicuri l'onorevole mio amico Maurogonato,

10 non gli cedo in odio contro il corso forzato, non gli cedo in tenacità di proposito di sopprimerlo. La mie idee del 1870 sono in armonia con quelle del 1867; se non concedo di più è dovuto alla progrediente miseria delle cose della finanza italiana; e, se si tralascia questo momento ciò che è ancora possibile noi sarà più. Dico anzi che la mia opinione contro il corso forzato è così assoluta che non credo, come mi è parso dalle sue parole, con l'onorevole Ferrara, che sia stato in certi casi un bene il corso forzato. L'Austria potrà dirlo; e l'Inghilterra, dove sembra avere fatto meno danno, è consenso dei più dotti che non vi trovò nemmeno una buona risorsa; l'Inghilterra si conservò e progredì malgrado i mali del corso forzato.

L'onorevole Maurogonato poi, proponendo modificata la mia idea al 1869, non pur mi abbia fatto bene a rinnegarla nel 1870; infatti son certo ei l'abbia rinnegata quando accettò di farsi propugnatore della convenzione e si fece autore dell'Opinamento sul mio progetto.

Pare che, finché si tenne nelle sfere della contemplazione, vide e promulgò nettamente la verità; quando era sul punto di venire alla pratica, gli fece difetto l'energia per sostenere il proprio divisamento.

Devo ancora una risposta all'onorevole Maurogonato per la sua doglianza contro di me che ei crede l'abbia accusato di plagio; e qui mi valgo del fatto personale per cui chiesi la parola. Io non ho mosso un'accusa di plagio, la quale andrebbe fino all'intenzione.

L'onorevole Maurogonato avrà potuto conoscere e dimenticare la mia proposta del giugno 1867, come emendamento al progetto

3617 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico; avrà potuto conoscere e dimenticare la mia proposta del 1868 con le considerazioni che la precedono, e lo svolgimento che ne feci alla Camera nel 6 marzo di quell'anno. L'idea mia propriamente consisteva nella separazione per mezzo dell'applicazione di un marchio, dei biglietti di Banca da quelli che rappresenterebbero il debito dello Stato. Quell'Idea era stata accettata anche dall'onorevole La Porta, e più tardi anche dall'onorevole Ferrara.

Se l'onorevole Maurogonato nel 1869 presenta la stessa idea dei biglietti marchiati, quantunque il concetto della limitazione avesse pur egli accennato al 1867, se vuole si paghi ancora qualcosa alla Banca dopoché i biglietti saranno marchiati, non ne verrà che io non trovi due anni dopo ciò che mi avevo proposto prima; ma ciò notando non ne verrà che io muova un'accusa di plagio. Anzi fin da principio io fui lieto nel vedere adottato il mio concetto, fra gli altri, da un uomo così rispettabile per dottrina ed esperienza com'è l'onorevole Maurogonato.

Io vorrei metter fine al mio dire. Le critiche sul progetto che ho avuto l'onore di presentarvi sono consigliate dal tema obbligato di conseguire l'approvazione della convenzione con la Banca. Ma non sarà inutile che io ripeta anche qui come la si è potuta direttamente o indirettamente giustificare; e vedo che sarebbe stato interesse del Ministero e della Commissione di purgarla dagli appunti gravissimi che si fecero e sui quali s'insiste; vedo che le ragioni per respingerla si sono sempre più rafforzate; vedo invece che col modo con cui si è tentato di combattere quelle ragioni, le si sono maggiormente rese valide.

Vedo che il concetto dei biglietti marchiati, rispondendo all'idea della carta governativa, ne respinge completamente gl'inconvenienti, inquantoché garantisce che non si potrà mai moltiplicarla. Le garanzie stabilite nel progetto valgono ad impedire che questa moltiplicazione avvenga. Se quelle garanzie non si credessero sufficienti, le si potrebbero accrescere e migliorare.

Io vedo che coi biglietti marchiati non _si corre affatto il pericolo dei biglietti bancari, inquantoché per questi qualunque legge, qualunque sorveglianza è stata sempre incapace ad impedire che si aumentassero.

Vedo che con questo sistema si fa il grande servigio di impedire le falsificazioni, le quali sono a danno dello Stato. In conseguenza al biglietto marchiato malamente si vorrebbe appiccicare il nome di bastardo, in quanto non avrebbe la genuina procreazione dell'ente-Banca o dell'ente-Stato. Il biglietto marchiato respinge completamente i vizi dell'uno e dell'altro, e ne coordina le buone qualità. Del resto, noi lo proponiamo come un farmaco alla malattia del paese, e come un'opportunità che ci fornisce la stessa di lui condizione morbosa.

A quel biglietto facciamo voti si concentri l'attenzione di coloro che davvero vogliono liberare il paese dal corso forzato.

Quando il concetto della limitazione mediante il marchio sarà adottato, noi accetteremo ogni modalità. Che si dichiari sul biglietto a debito dello Stato, o si apponga un qualunque segno come potrà proporre l'onorevole Maurogonato, il debito sarà sempre dello Stato; e più propriamente, pendente la condizione del corso forzato, il debito non sarà di alcuno; quando il corso forzato cesserà, i portatori saranno stati pagati dallo Stato che farà abbruciare dalla Banca i biglietti, o essa sarà abilitata coi danari di quello a pagare i portatori.

Però aggiungo una parola. Io insisterei nel mio pensiero netto di dichiararsi a debito dello Stato, perché il fare altrimenti, a mio giudizio, sarebbe una ipocrisia, e la respingerei. Ma trattandosi della salute del paese, e siccome l'onorevole Maurogonato, impietosito delle condizioni della Banca e dei rischi che crederebbe egli quella corresse pel debito dello Stato, vorrebbe che qualche cosa si facesse in di lei favore, io non sarei alieno dall'accettate il temperamento che ancora qualcosa le si pagasse e annualmente.

Ma non si parli più dell'avallo.

Ieri l'onorevole ministro delle finanze mise in questione il concetto dell'onorevole Ferrara che io trovai esattissimo, cioè che l'avallo non esiste per parte della sola Banca; ma ove esistesse, sarebbe reciproco, cioè la Banca garantirebbe col suo capitale di 100 milioni i propri creditori, e quelli che posseggono i titoli rappresentante il debito dello Stato; 0 questo garantirebbe col suo credito, cioè con tutta la sua fortuna e forza, i creditori della Banca.

Laonde se fallisse questa, i 500 milioni di attivo contro lo Stato garantirebbero i di lei creditori in maggior proporzione, che i creditori dello Stato non potrebbero essere garantiti dalla Banca con l'unico fondo di 100 milioni.

Combattendo però alcune idee contrarie alle nostre, non lo facciamo che per ottenere che venga cancellata la mostruosità, che la Banca debba tuttavia avere un premio, non già un indennizzo che non le compete; che essa debba avere conservati ancora 300 e più milioni di garantita circolazione, in un momento in cui. ne sono convinto, sarebbe impossibile di farla coesistere con la massa di tutti i debiti dello Stato, in ordine al corso forzoso, molto più dopo gli accrescimenti di debiti e a diminuzione di riserva metallica per effetto della convenzione. E ove pure la circolazione potesse tollerare pur quella dei 300 milioni usufruiti dalla Banca, ma perché non si destinano quei 300 milioni a sollevare ancora le angustie delle finanze, a scongiurare la catastrofe che ne minaccia?

Ma io lo so, a questo punto mi si farà una obbiezione dai pratici.

3618 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Anche voi, mi si dirà, anche voi siete un teorico: ma come si faranno gli sconti, come si provvedere al commercio?

Ed io domanderò alla mia volta: forse che la Banca. fa il donativo de' suoi favori? La Banca non riceve degli equivalenti importanti, e qualche volta usurati su questi movimenti di fondi?

Quando si ha da risolvere un problema, è dovere di metterlo bene ne' suoi termini. Qui si tratta, se non della rovina, certo d'una terribile crisi dello Stato e del paese, cioè di tutte le classi della società, e si tratta dello svantaggio di un istituto e di una data classe di speculatori, anch'essi più o meno favoriti e privilegiati, la quale si trova più compromessa.

Io so che quando si è commesso un errore, questo errore deve portare le sue conseguenze. Qui noi siamo al punto di vedere e avvisare se le conseguenza di un errore commesso, non dallo Stato, ma da coloro che l'hanno governato, si debbano spingere fino agli ultimi loro termini, fino alla catastrofe del fallimento dello Stato, appunto per evitare che ne soffra un istituto il quale era bene informato di questa eventualità,il quale ne correva l'alea, il quale sapeva che da un momento all'altro poteva essere sbalzato nel nulla, il quale perciò faceva il maggiore assegnamento sull'attuale prosperità, sull'abbondanza dei frutti, anziché sulla stabilità e sull'aumento del capitale.

Quell'istituto sapeva come esso non esistesse per forza propria, per vera concorrenza, per solerzia e produttività di lavoro, per agevolezze fornite ai depositi, e perciò ai risparmi, alla capitalizzazione; sapeva come i suoi lucri esagerati erano fattizi, erano frutto di favori e di speculazione, non di servizi interamente produttivi, rappresentavano quei lucri principalmente il frutto del privilegio e del monopolio, ciò che in buon volgare significa il frutto d'una spogliazione.

Ora, se tutto ciò sapevasi dall'istituto, ma come si può esitare a scegliere tra il male legittimo di lui e de' suoi clienti, e anche degli imprudenti o infelici e anche inconscii fautori, e tra il male illegittimo, incommensurabile dello Stato e del paese?

Quando, o signori che non convenite nel mio ordine d'ide?, avrete messo in bilancia da una parte i mali del sistema che avete inaugurato e che volete aggravare, che volete perpetuare colla vostra convenzione, i danni irreparabili che ne verranno al paese; e quando avrete mes o dall'altra parte della bilancia i piccolissimi inconvenienti di alcuni azionisti i quali sino a questo momento potranno non essere rifatti delle giuste perdite che potrebbero risentire mutandosi via, e di tutti gli altri i quali, per dar vita ad una industria illegittima di giuochi e di speculazioni di Banca, ebbero tanta parte nel deviamento del capitale dalle sorgenti veramente produttive,

e tanto male apportarono allo sviluppo della ricchezza e della prosperità pubblica, allora vi deciderete.

Ma, onorevoli colleghi d'ogni parte della Camera, quando si tratta di proclamare ed attuare o soltanto ristaurare un principio, non dobbiamo mai arrestarci.

Ora, mentre la convenzione è esiziale, il progetto adottato dalla sinistra ha la potenza di migliorare le condizioni del bilancio, senza recare alcun danno al commercio, all'industria, al credito, all'agricoltura, quel progetto non genera alcuno di quegli innumerevoli danni che la discussione ha dimostrato inseparabili dal sistema ministeriale e della Commissione. Scegliete dunque, e ne siete a tempo come che ne speri poco, il sistema che vi garantisce contro tutti i pericoli e tutti i danni, i quali certamente avrà a subire il paese allorquando i principii inaugurati dalla convenzione saranno messi in atto. (Bravo! Bene! a sinistra)

PRESIDENTE. Ora viene il controprogetto dell'onorevole Avitabile, firmato anche dagli onorevoli deputati Martire, Carcani, Zizzi, Bove, Sole, Pepe, Aliprandi, Golia, Rogadeo, Catucci, Carbonelli, Nunziante. Esso è sostanzialmente un emendamento ai due controprogetti Maiorana Calatabiano e Servadio, ed è composto dei seguenti articoli:

«Art. 1. Dal primo gennaio 1871 la circolazione a corso forzato dei biglietti di Banca sarà ridotta alla somma di lire 378 milioni, e sarà circoscritta ai biglietti della Banca Nazionale (nel regno d'Italia), Bui quali verrà apposto un marchio, che porterà iscritte le parole: A debito dello Stato.

«Art. 2. I 378 milioni in biglietti marchiati verranno attribuiti alla Banca Nazionale (nel regno d'Italia), in estinzione dell'equivalente quantitativo dei biglietti da essa somministrati allo Stato. A misura che si verificherà tale estinzione, cesserà nella Banca il dritto ad ogni pattuito compenso in ordine alla somministrazione di detti 378 milioni in biglietti.

«Art. 3. Il Governo del Re determinerà, per decreto regio, le garanzie per l'apposizione del marchio, le categorie di tagli e l'ammontare per ciascuna categoria, di cui dovrà comporsi la totale somma dei biglietti da marchiarsi.

«Art. 4.° Col primo gennaio 1871, cessando il corso forzato dei biglietti non marchiati della Banca Nazionale (nel regno d'Italia) e dei biglietti d'ogni altro istituto di credito nel territorio del regno, ciascuno di essi regolerà l'emissione fiduciaria secondo i proprii vigenti statuti.

«I loro biglietti sai-anno convertibili, a scelta degli istituti, in biglietti marchiati od in moneta effettiva.

«La loro riserva metallica, fino alla terza parte, potrà essere surrogata in biglietti marchiati.

3619 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

«Art. 5. Il Governo del Re depositerà nelle casse della Banca Nazionale (nel regno d'Italia) tante obbligazioni dell'asse ecclesiastico da raggiungere, unitamente a quelle che essa ha in deposito, in tutto, la somma nominale di lire 378 milioni.

«La Banca ne continuerà la vendita; ed a misura che ne introiterà il prezzo, l'investirà in altrettanti biglietti marchiati, che verranno di sei mesi in sei mesi, a cominciare dal 30 giugno 1871, pubblicamente abbruciati.

«Il Governo del Re è facoltato accordare alla Banca per tale incarico un corrispondente compenso.

«Art. 6. Il prezzo di vendita delle obbligazioni sarà fissato, per regio decreto, di sei mesi in sei mesi, e non potrà essere inferiore a lire 75 per ogni lire 100 nominali.

«Ari. 7. Il Governo del Re non potrà emettere altre obbligazioni dell'asse ecclesiastico, oltre quelle di cui nell'articolo 5, le quali però è anche facoltato di alienarle direttamente, in una o più volte, purché il prezzo non aia inferiore a quello stabilito nel precedente articolo, e si depositi presso la Banca pel corrispondente ritiro dei biglietti marchiati.

«Art. 8. Ultimata la vendita delle obbligazioni, il Governo del Re proporrà al Parlamento i mezzi per supplire alle somme che potranno occorrere pel ritiro dei residuali biglietti marchiati.

«Art. 9. Una Commissione composta: a 1° dal presidente e tre membri del Senato; «2 dal presidente e tre membri della Camera dei deputati;

«3° dal presidente del Consiglio di Stato e dal presidente della Corte dei conti;

«4° dal direttore generale del Tesoro e, dal ragioniere generale, sarà presieduta dal ministro delle finanze, e sarà chiamato ad assistervi, anche per mezzo di mandatario, il direttore generale (.'ella Banca Nazionale (nel regno d'Italia).

«La Commissione sovrintenderà all'operazione del marchio da apporsi ai biglietti, al loro susseguente graduale abbruciamento ed all'attuazione delle guarentigie che saranno decretate.

«Art. 10. Il Governo del Re è facoltato affidare dal 1 gennaio 1871 il servizio di tesoreria per dieci anni:

«Al Banco di Napoli per le provincie napoletane;

«Al Banco di Sicilia per le provincie siciliane;

«Alla Banca Toscana per le provincie centrali;

«Alla Banca Nazionale (nel regno d'Italia) per tutte lo altre provincie dello Stato.

«Gli stabilimenti suddetti saranno tenuti a versare nelle casse dello Stato in garanzia della gestione che sarà loro affidata, 100 milioni, a titolo di deposito, e senza interessa alcuno, proporzionatamente ali' ammontare delle somme, che sarà riconosciuto che ciascuno stabilimento introiterebbe in ogni anno per la rispettiva gestione.

«Art 11. Durante i dieci anni le somme che i menzionati stabilimenti, sia per effetto dei loro statuti, sia per altri particolari accordi, sono obbligati di tenere a conto corrente a disposizione dello Stato, saranno aumentati:

«Dalla Banca Nazionale (nel regno d'Italia), di 28 milioni;

«Dal Banco di Napoli, di 20 milioni;

«Dalla Banca Nazionale Toscana, di 20 milioni;

«Pel Banco di Sicilia, resta fissato il conto corrente a 12 milioni.

«L'interesse su tutte le somme sarà del 3 per cento.

«Art. 12. Il Banco di Napoli e quello di Sicilia sono facoltati ad emettere e negoziare, il primo tante obbligazioni, ammortizzabili dai 15 ai 25 anni, per quante saranno sufficienti a fare entrare nelle sue casse la somma massima di 75 milioni di lire; il secondo, tante obbligazioni alle stesse condizioni di ammortamento, da fare entrare nelle sue casse la somma di lire 25 milioni.

«Art. 13. La Banca Nazionale Toscana è anche facoltata ad aumentare, mercé l'emissione di novelle azioni, il proprio capitale fino a 50 milioni.

«Art. 14 Ove qualcuno dei quattro istituti rifiutasse il servizio di tesoreria, la sua parte potrà essere attribuita dal Governo del Re all'altro o agli altri o anche ad estranei istituti dai quali, in base alle suespresse condizioni, potranno aversi le maggiori guarentigie.

«Art. 15. Sarà con reale decreto provveduto al regolamento per l'esecuzione della presente legge.»

Debbo può osservare che questo controprogetto può considerarsi come già svolto dai discorsi fatti ieri l'altro dal proponente.

Viene poscia la proposta dell'onorevole Mellana, la quale è così concepita:

«La Camera, ritenendo che, nelle condizioni economiche e politiche in cui si trova attualmente il paese, potrebbe riuscire grandemente nociva, sia l'approvazione del progetto di convenzione colla Banca Nazionale, sia l'alienazione della rendita del debito pubblico, e considerando d'altra parte la suprema necessità di fornire al Governo i mezzi per provvedere al servizio del Tesoro, sospende ogni deliberazione intorno al detto progetto, non che a quello relativo all'emissione di 60 milioni di rendita, ed approva i seguenti articoli:

«Art. 1. Il Governo del Re è autorizzato a fare, nei modi che gli sembreranno più convenienti, le operazioni necessario per far entrare nelle casse dello Stato la somma capitale di 200 milioni effettivi, disponendo per queste operazioni,

3620 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

sia dei residui attivi a tutto l'anno 1869, sia delle obbligazioni dei beni ecclesiastici che dovranno emettersi a termini dell'articolo... allegato...

«Art. 2. Il ministro delle finanze, compiute che siano queste operazioni, dovrà raderne conto al Parlamento.»

Domando se questo controprogetto sia appoggiato. (È appoggiato.)

L'onorevole Mellana ha facoltà di svolgere la sua proposta.

MELLANA. Se mai io ho desiderato di avere voce autorevole in questo recinto, sarebbe in oggi; ma quello che dolorosamente mi affligge si è che oggidì, stante le profonde divisioni che regnano, non solo la mia, ma credo non vi sia qui parola autorevole quanto si addice alla circostanza gravissima nella quale versiamo.

Io, o signori, nella mia oramai lunga vita parlamentare, in alcune e difficili circostanze del paese, ho dimenticato assolutamente il luogo nel quale io siedo per preoccuparmi esclusivamente del paese: ed in oggi se io mi sono indotto a fare una proposta, la quale può essere a primo aspetto male accetta nel suo primo appresentarsi da miei amici politici, io porto fiducia che sarà favorevolmente da essi accolta quando ne avrò espresse le ragioni. Volesse il nostro buon destino che essa fosse egualmente compresa dagli uomini di destra e da quelli che stanno al potere! Se non altro io avrò la coscienza di aver fatto quello che si addiceva ad onesto e coscienzioso deputato in questi supremi momenti.

Signori, io ho la profonda convinzione che dal subitaneo sconvolgimento europeo, al quale dolorosamente assistiamo, l'Italia abbia grandemente ad avvantaggiarsi, a condizione che il suo Governo, come vuole il paese, si ponga in una politica conforme alla dignità ed all'assoluta indipendenza d'Italia.

Quindi in questo stato di cuse, o signori, come non potrei preoccuparmi del fatto che noi abbiamo colle precedenti leggi diviso e, non dirò sconvolto, ma perturbato grandemente il paese? Ma voi ciò facevate in mezzo ad una profonda pace, ed il Governo poteva essere legittimato laddove si valeva di questa profonda pace che regnava nella famiglia europea, per provvedere in qualche modo ai bisogni delle nostre finanze.

Ma oggi le circostanze sono profondamente invertite. Possiamo noi a tutte le altre cagioni di perturbazione interna aggiungere anche questa della legge che stiamo discutendo?

La legge attuale, signori, o la si prenda dal lato scientifico od economico o politico, essa ha profondamente diviso il Parlamento ed il paese in due campi opposti, pressoché eguali in numero ed influenza.

Se la discussione avesse potuto scientificamente e praticamente proseguire, come si richiederebbe in tali normali circostanze, forse una delle due parti avrebbe attratta a sé la pubblica opinione.

Benefizio delle discrezioni parlamentari che hanno un'eco ed una non equivoca dimostrazione della pubblica opinione in un paese retto a libero reggimento!

Ma, allo stato di febbrile concitazione cui soggiace l'Europa per la guerra gigante che sta per irrompere per colpa d'una nazione che ama la guerra per la guerra, e per rimedio a' suoi mali interni, possiamo noi pacatamente discutere di scienza e di principii economici? Àrroge che presso noi questa questione scientifica, economica, politica veste un altro più grave pericolo, cioè di questione regionale. Sì, per noi la questione attuale è questione scientifica, economica, politica e regionale.

Qualunque possano essere gli argomenti dall'una e dall'altra parte addotti in contraria sentenza, non varranno mai a convincere coloro che credono di essere offesi nei loro interessi e nella loro dignità. Ed in ! questo io non fo colpa né all'una, né all'altra parte, d'Italia. Noi siamo fusi in un grande concetto: in quello dell'unità, ma non abbastanza fusi per avere dimenticate le tradizioni delle singole parti.

Ognuno conosce i benefizi che le proprie istituzioni hanno apportato nel loro paese; le nuove generali istituzioni non hanno gettato ancora s-ì profonde radici come le antiche. Ora, come volete che una Banca, che ebbe vita in una delle regioni italiane, assuma il carattere e l'ufficio di Banca principale d'Italia tutta, quando in alcune provincie si crede ancora che questa sua universalità sia di danno agli interessi delle Banche speciali che pure hanno resi non equivoci benefìzi in alcune regioni? Voi avete un bel ripetere che gli azionisti di questa Banca sono in tutto il regno e fuori del regno; ma la generalità non vede che il luogo ove è nata questa Banca. Quindi gelosie e diffidenze. Contro a queste suscettività non vi è altro argomento che quello del tempo. Voi volete precipitare, ma v'infrangerete innanzi alla forza inerte, ma prepotente delle consuetudini.

Ma vi era forse una suprema ineluttabile ragione di Stato che a ciò vi potesse spingere? No, e ve lo prova la mia proposta, Iti quale mentre vi offre tutti i mezzi dei quali voi dite di abbisognare, vi lascia liberi di riprodurre a tempo più opportuno, cioè quando la luce sarà fatta sulla grave controversia, il vostro progetto di legge. Se per ora il vostro provvedimento non è urgente ed indispensabile, esso vestirà il carattere di partigiano e di regionale; ed i maligni vi potranno accagionare di essere più teneri degl'interessi di un istituto privato, che del supremo interessa della patria, quello cioè di non aggiungere perturbazioni intorno a quelle già gravissime che ci sono create dalla male intesa suscettività del Governo francese, che inopinatamente ha scossi tutti gl'interessi delle popolazioni europee.

Ma per iscusare la ostinazione si dirà che un Governo deve essere fermo nei suoi propositi. La fermezza onora talora un Governo, quando giova alla cosa pubblica. Nel caso nostro le condizioni Sodo mutate dall'epoca della proposta a quella della votazione, e quello che in allora poteva iscusarsi od ammettersi, diventa oggi inammessibile a fronte dell'inopportuno dissenso politico che create.

3621 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Oggi il Governo per questione interna deve essere unito col paese per questione esterna, e voi senza scopo lo dividete in tali momenti solenni e difficili.

Quale ragione potete addurre per non rimandare a tempo più opportuno la soluzione di così arduo problema economico? Mi si permetta anche una osservazione: credete voi, nello stesso interesse dell'ente al quale si crede che con questa legge si portino vistosi lucri, che sia opportuno di fare oggi questa legge, oggi, in mezzo alle politiche ed economiche perturbazioni nelle quali versiamo? Oggi la Banca Nazionale non solo cammina bene, ma quasi modello è nel suo apogeo. Qualunque possano essere le ragioni da voi addotte, qualunque possano essere i vantaggi che al medesimo possono ridondare dalla vostra convenzione, non credete voi che il solo fatto di togliere ad esso una cospicua parte della nua riserva metallica non debba fare una grave sensazione all'estero ed all'interno? Voi stessi dite che la carta-moneta della Banca ha il vantaggio sulla carta governativa, perché la riserva metal lica della Banca è una garanzia apprezzata dal pubblico. Ora, togliendogli questa qualsiasi garanzia, ed in momenti difficili, non dovete voi temere di perturbare il credito della Banca, credito che in questi momenti difficili può giovare ai privati ed al pubblico?

D'altronde io dico: siete voi sicuri che questo medesimo ente, se venissero tempi ancora più difficili di quelli nei quali noi versiamo, credete voi che quest'ente potrebbe sottoscrivere questa convenzione?

Mi si risponde che esso è legato. Noi non abbiamo veduta questa convenzione, né possiamo giudicare dell'efficacia dei patti convenuti.

Io non ho qui ben presente la legge che regge quest'istituzione; però mi sembra che, qualunque possa essere la sottoscrizione della sua amministrazione, in cose di tanto rilievo, se non vi è, per effetto necessario, per effetto legale, però per effetto morale è necessario il concorso della maggioranza dell'assemblea degli azionisti. Questa non esiste né può esistere dopo le modificazioni introdotte dalla nostra Commissione.

Ora, se venissero tempi difficili per cui questi padroni veri, assoluti, richiedessero il loro assentimento; e se gli avvenimenti facessero ad essi una ineluttabile necessità di respingere, massime per le mutate circostanze, l'operato della loro amministrazione, non credete voi che porreste il Governo in una triste e difficile posizione; quando cioè, credendo di avere a tutto provveduto con questo progetto di legge, esso si trovasse colle mani vuote, ed a fronte di eventi incalzanti, difficili, ineluttabili?

Esaminate invece la mia proposta. Voi domandate i mezzi, e mezzi sicuri, per far fronte per tutto l'anno corrente alle esigenze imperiose del Tesoro.

Noi dapprima discutevamo sulla effettività di questi bisogni.

Ora a fronte delle mutate condizioni politiche non discutiamo più, questi mezzi ve li diamo, e non solo quali ve li ha ristretti la vostra officiosa Commissione, ma ve li diamo nella misura domandata da voi stessi nel vostro primo progetto. Più vi diciamo: noi non intendiamo di risolvere ora, né tampoco di condannare il vostro progetto sulla Banca; solo desideriamo rimandare la grave questione economica a tempo più opportuno, cioè quando si potrà discutere scevri da ogni politica preoccupazione; voi siete liberi di riproporla al Parlamento, a questo Parlamento che oggi vi da tutti i mezzi per far fronte alle esigenze dello Stato, e ve li da colla fiducia che saprete sostenere la dignità e la indipendenza del paese senza soggiacere a nessuna estera pressione..

Più, dandovi i mezzi, vi lascia in serbo quello stesso mezzo che voi tanto accarezzate. E per soprappiù vi lascia ampia balìa di ricorrere a quella stessa Banca per procurarvi i mezzi che vi accordiamo.

Nel mio emendamento ho usato uno stile che non è certo quello di un uomo d'opposizione. Preoccupato dalla difficile posizionò politica, forse per la prima volta dacché siedo in Parlamento, voterò un atto di così ampia fiducia ad un Ministero che combatto.

Io accordo, senza discuterli, tutti i mezzi che domanda il Governo; solo stabilisco da quali cespiti debba ritrarre questi mezzi; più gli lascio piena libertà d'azione nel modo di conseguirli. Questi mezzi sarebbero, o un'operazione sui residui crediti, secondo l'idea svolta dall'onorevole Castellani, lasciando piena libertà d'azione al Governo nella scelta del contraente; ovvero di fare un'operazione sulle cartelle dell'asse ecclesiastico, che devono emettersi in forza di questa legge. Dapprima pensavo che 100 milioni si dovessero procurare col primo mezzo, e gli altri 100 milioni col secondo cespite. Poi, con maggiore larghezza, lasciai libero il Governo di ricorrere a quello dei due mezzi che meglio rispondesse al pubblico interesse; giacché sia coll'uno che coll'altro si provvedeva ai bisogni con mezzi nostri propri. E nella presente crisi far fronte col nostro ai nostri bisogni reputo savio consiglio. E questa mia larghezza, che sa di ministerialismo anziché di opposizione, era per dare un'arra del nostro sincero desiderio di spogliare di ogni apparenza di opposizione la nostra proposta.

Siccome poi io sono proclive al un'operazione sugli arretrati, per dare senza danno dello Stato lunghe e comode more ai nostri debitori, io risponderò a coloro i quali credono che questo sia un modo effimero di provvedere al Tesoro, inquantoché dicono: gli arretrati non sono un mezzo nuovo, potendo sempre lo Stato esigere il suo avere dai creditori morosi. Ora si tratta di dare i mezzi per provvedere alle nostre urgenze; voi non potete d'un tratto esigere tutti gli arretrati; se pure il poteste, sarebbe una calamità per il paese. Coll'operazione che vi proponiamo voi incassate il danaro, voi evitate perturbazioni, voi provvedete alle urgenze nostre; col tempo vedremo e provvederemo definitivamente alle nostre esigenze.

3622 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Provveduto così ai bisogni del momento, si potrà più tardi, in novembre, al riaprirsi del Parlamento, pensare definitivamente ai bisogni del Tesoro. Ma nullameno, perché neppure mi si potesse dare questa accusa, io ho lasciato libertà nel Governo di provvedere o nell'un modo o nell'altro. Io non aggiungerò che poche parole, perché oggi non mi sorregge più la speranza che ho nutrita alcuni giorni addietro di trarre il Governo e la maggioranza ad un onesto accomandamento utile al paese; questa speranza si è dileguata quando ho veduto testé comparire e distribuirsi ai deputati, con. la solita forma nuova parlamentare, un ordine del giorno degli onorevoli Sanminiatelli e Arrivabene, i quali oramai ci hanno abituati a comprendere l'indeclinabile volontà dei ministri quando nei momenti difficili essi si presentano quali Deus ex machina con un loro ordine del giorno. Da questo comprendo che oramai è partito preso, e, se parlo, parlo soltanto per soddisfare un debito di coscienza e per addimostrare al paese che da noi si è fatto quanto si poteva per provvedere senza accrescere dissensi o cagionare perturbazioni.

Ma mi permettano gli onorevoli proponenti di dir loro, come possono dire a coloro, i quali, per convinzioni profonde, derivate dalla scienza, dai più savi principii economici e da tradizioni per loro care e rispettate: rinunciate ai dettami della scienza, ai principii, agli interessi delle vostre popolazioni, e noi in compenso vi promettiamo, in mere parole, di concedervi ciò che sempre vi abbiamo per lo addietro negato di dare, cioè, anche al vostro Banco, il privilegio di addivenire tesoriere per conto dello Stato: anche il vostro Banco potrà concorrere a perpetuare in Italia il corso forzoso. Che i deputati delle provincie del Mezzodì debbano votare la legge per questa specie di promessa effimera ed umiliante, certo non potrete sperarlo. Il loro patriottismo respinge l'offerta; e, se mai ve ne fosse stato alcuno propenso per considerazioni politiche, oggi, dopo tale proposta, deve respingere la legge.

Aggiungo una considerazione e prego i miei amici, ed in ispecial modo l'onorevole Ferrara, a perdonarmi una bestemmia contro i principii economici. Io, quanto essi, conosco e sostengo i dettami della scienza: io perfettamente condivido i principii in quest'occasione sostenuti dai miei amici della sinistra; ma so come sieno prepotenti i fatti i quali talora legittimano le eccezioni.

Se il Governo accettasse i mezzi che gli offriamo; se rinunciasse, per ora, al suo progetto; se dopo avere provveduto ai bisogni dello Stato, si preoccupasse, come pur lo deve, in momenti anormali delle condizioni degli istituti di credito, e ci domandasse di aumentare in loro favore di 100 milioni il corso legale della carta-moneta, io forse avrei anche assentito ad una cosa che altamente combatto, quella cioè della carta.

Se in questo momento il Governo, cercando altri mezzi ed abbandonando il suo progetto della Banca, avesse detto: «io domando in questi momenti eccezionali di potere autorizzare i vari stabilimenti italiani ad aumentare la carta», io avrei acconsentito a questa domanda. E sapete perché? Ve lo dico in due parole.

Fra gli atti che non possono spiegarsi, ma che lasciano profonde radici nei popoli, vi è questo, che in un conflitto, nel quale l'Italia è perfettamente straniera, i fondi italiani alla Borsa di Parigi ribassano molto più di quelli del paese il quale va incontro ad una delle più giganti ed incerte guerre che l'Europa possa concepire: e questa è una nuova umiliazione gettata dai nostri vicini sull'Italia, alla quale si dice in modo esplicito che la sua carta non è seria, ma che serve a meri giuochi di Borsa. (Bene! a sinistra).

E sapete perché io, contro tutti i principii della scienza e contro le mie convinzioni, in questo momento, quando il Governo rinunziasse a questa convenzione, io voterei un aumento di emissione di carta, per esempio, di 100 milioni fra i quattro stabilimenti italiani? Per mettere gì' Italiani in condizione di poter comprare tutta quella nostra carta che i Francesi ci manderanno ridotta al 35 o 36. (Segni d'approvazione) Questa sarebbe la più bella ed utile vendetta che noi potremo fare dell'aggiotaggio che si è fatto a nostro danno, cioè di riprendere a basso prezzo la nostra carta.

Signori, un'ultima osservazione, e la dirigo al banco del Ministero ed ai banchi della maggioranza.

Io aveva scritto questa proposta, la quale non è nell'indole d'un uomo d'opposizione, ma piuttosto col sentimento d'un uomo che in certi tempi sa far tacere qualunque sentimento proprio a benefizio del suo paese.

Ma mi rincrescerebbe che questa mia proposta non venisse accolla, per questa considerazione.

Ditemi voi cosa si potrà rispondere a coloro che nel paese vi diranno, un membro dell'opposizione vi offriva tutti i mezzi di cui avevate bisogno, od almeno tutti i mezzi che voi domandavate, più vi assentiva di provvedere agl'istituti di credito; egli vi ha pregato e scongiurato in questi momenti in cui tutto il paese deve unirsi al Governo in una politica degna dell'Italia, vi ha scongiurato a togliere di mezzo una questione ardente, una questione che oggi non può essere definita, ma che solo il tempo e lunghissime e profonde discussioni possono togliere; e voi li avete negati, avete voluto sotto una pressione vincere ciò che forse non avreste vinto quando si fosse avuto di norma solo la scienza ed i principii economici: io vi domando cosa potreste rispondere. Notate quali potranno essere le conseguenze che ne trarrà da questo nostro contegno quella gran massa che, straniera ai partiti, alle agitazioni, esamina freddamente gli atti nostri.

3623 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Ove la mia proposta non venisse accolta, io rimpiangerei di averla fatta, giacché il vostro rifiuto aggrava la vostra responsabilità. Ma ora che io l'ho messa in campo, ora che il ritirarla non vi salverebbe, pensateci prima di respingerla.

Io prego quindi e scongiuro il Ministero e coloro che seggono sui banchi della maggioranza a voler accogliere, se non questo, qualunque altro provvedimento che possa raggiungere lo scopo che io mi prefiggo.

E qui io pregherei l'onorevole Sanminiatelli, il quale ha il privilegio di trovar modo di assicurare la destra col concorso del centro, a ritirare il suo ordine del giorno ed a trovare un mezzo che, dando al Governo tutti i mezzi di cui esso abbisogna, dando a tutti indistintamente i nostri istituti quei mezzi che si richiedono per resistere alla crisi attuale, per poterla risolvere in un beneficio economico del paese, ci faccia sortire da questa questione ardente, che oggi non sarebbe risolta che sotto una pressione politica, e di voler provvedere al Governo ed ai nostri istituti e di levare insomma un seme, una causa di discordia che non potrà essere di leggieri tolta quando l'abbiate gittata e di cui forse non se ne misurano tutte le conseguenze. (Segni d'approvazione a sinistra)

PRESIDENTE. Ora do lettura del progetto dell'onorevole Alippi:

«Art. 1. Dal primo giorno di ottobre del corrente anno, e sino alla cessazione del corso forzoso, le Banche d'omissione, legalmente costituite, estenderanno la quantità dei loro biglietti al quadruplo del capitale effettivamente versato in conto delle azioni, ovvero accumulato a titolo di riserva.

«Art. 2. La quarta parte dei biglietti di emissione vena prestata allo Stato, che corrisponderà su di essi il compenso annuo di 50 centesimi per ogni cento lire, finché duri la loro circolazione.

«Art. 3. Su questi biglietti verrà apposto un marchio, che avrà inscritte le parole: Prestito allo Stato.

«Art. 4. Al ricevimento dei biglietti ed all'operazione del marchio assisterà una Commissione presieduta dal ministro delle finanze, e composta di tre senatori, di tre deputati, di due consiglieri della Corte dei conti, del direttore generale del Tesoro e del ragioniere generale.

«Art. 5. È riservata allo Stato remissione dei biglietti inferiori a lire 30. Quest'emissione non potrà eccedere la somma di 450 milioni di lire, e verrà sorvegliata dalla Commissione predetta.

«Art. 6. Dal primo gennaio 1871 il corso forzoso sarà limitato ai biglietti enunciati negli articoli 2 e 5, e da quel giorno cesserà ogni privilegio concesso alla Banca Nazionale.

«Art. 7. A misura che si venderanno le obbligazioni dell'asse ecclesiastico verrà ridotta la circolazione di questi biglietti, e ne verrà eseguito l'abbruciamento.

«Art. 8. Per la graduale loro ammortizzazione verrà inoltre stanziata ogni anno sul bilancio dello Stato la somma di dieci milioni di lire.»

Domando se questo progetto è appoggiato.

(È appoggiato.)

Voci. Lo ritiri! lo ritiri!

PRESIDENTE. L'onorevole Alippi ha facoltà di parlare.

ALIPPI. Dirò pochissime parole per svolgere il mio progetto.

Fra il capitale di una Banca e la sua emissione deve esservi necessariamente un rapporto, ma questo non può fissarsi una volta per sempre con una regola assoluta in una determinata misura. Sono troppe le circostanze, sono troppe le vicende che influiscono sulle condizioni del mercato.

Ora è a me sembrato, riguardo alla circolazione dei biglietti delle Banche d'emissione (quali sono la Banca Nazionale, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Toscana, la Banca Toscana di credito e le Banche autorizzate dalla legge del 21 giugno 1869), ohe, estendendola dal triplo al quadruplo del capitale versato in conto delle azioni, ovvero accumulato a titolo di riserva, non si venga a portare alcuna perturbazione, dal momento che la quarta parte dei biglietti dovrebbe prestarsi allo Stato ed avere il privilegio del corso forzoso.

In ogni modo sarebbevi sempre in questo provvedimento un pericolo ben minore di quello che si incontra col dispensare la Banca Nazionale dalla garanzia della riserva per i 500 milioni del debito dello Stato, siccome si farebbe colla convenzione presentata dall'onorevole ministro delle finanze.

Partendo da questo punto di vista io ho inteso di raggiungere quattro scopi, che brevemente accenno, e poi finisco:

1 Far cessare il monopolio della Banca che si è già troppo avvantaggiato dalle strettezze del pubblico erario:

2° Stabilire una perfetta eguaglianza di trattamento tra le Banche di emissione legittimamente costituite;

3° Procurare una sensibile economia alle esauste finanze dello Stato;

4° Preparare la graduale cessazione del corso forzoso.

PRESIDENTE. Ora trova il suo posto un controprogetto che ha poscia formulato l'onorevole Romano, che è il seguente:

«Articolo unico. Il Governo è autorizzato ad emettere cinquecento milioni di biglietti governativi a corso forzoso per estinguere 378 milioni emessi dalla Banca medesima di conto dello Stato e provvedere col resto ai bisogni del Tesoro.»

3624 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Chiedo se questo controprogetto è appoggiato.

(È appoggiato.)

Onorevole Romano, non ha più bisogno di svolgerlo, mi pare.

(Segni di adesione dell'onorevole deputato Romano.)

C'è finalmente l'ultimo controprogetto composto di un articolo unico, dell'onorevole Nicotera, che la Camera conosce, avendone già data lettura.

Panni che l'onorevole Nicotera l'abbia già svolto.

Dunque sono esauriti i controprogetti.

Rimane un terzo ordine di proposte e sono quelle degli onorevoli Alfieri, Sanminiatelli e Arrivabene.

Quella del deputato Alfieri è in questi termini:

«La Camera invita il Ministero a presentare, al riaprirsi della Sessione parlamentare, un progetto di legge, che, coordinatamente alla soppressione del corso forzoso, affidi alla Banca Nazionale, alla Banca Toscana, al Banco di Napoli ed al Banco di Sicilia, unitamente e complessivamente, e regolando il modo ed i limiti dell'accettazione e dello scambio reciproci della rispettiva caria di emissione, il servizio di tesoreria dello Stato; e conceda alle dette Banche il corso legale dei propri biglietti, e passa alla discussione degli articoli della legge per la convenzione colla Banca Nazionale.»

Quella dei deputati Sanminiatelli e Arrivabene è del seguente tenore:

«La Camera, considerando la gravita della situazione politica d'Europa che già incomincia a reagire in modo allarmante sulle condizioni commerciali d'Italia, passa alla votazione della convenzione presentata dal ministro delle finanze e nello stesso tempo invita il Ministero a fare nel più breve termine gli studi occorrenti per proporre una legge che affidi il servizio di tesoreria dello Stato ai più ragguardevoli istituti di credito delle varie provincie del regno che vorranno approfittarne e che daranno le necessario garanzie..»

Vi sono altresì gli articoli aggiuntivi degli onorevoli Bonghi e Massari Giuseppe e dell'onorevole Mancini Stanislao.

Questo terzo ordine di proposte ha tratto all'articolo per cui H servizio di tesoreria dovrebbe essere distribuito tra i diversi istituti di credito, Banca Nazionale, Banca Toscana, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, con questa differenza che gli onorevoli Sanminiatelli e Alfieri si contentano di un semplice ordine del giorno, e gli onorevoli Bonghi, Massari e Mancini propongono appositi articoli addizionali.

Però, siccome questa materia non può precedere la convenzione con la Banca, ma deve seguire invece gli articoli che hanno tratto colla convenzione stessa, pare a me che troverà sede opportuna la loro discussione quando la Camera abbia deciso in mento alla convenzione.

E non mi pare che l'ordine del giorno dell'onorevole Sanminiatelli, proposto perché si passi alla votazione della convenzione, debba discutersi ora, perché verrebbe a pregiudicare gli articoli aggiuntivi proposti e dall'onorevole Bonghi e dall'onorevole Mancini, o per lo meno bisognerebbe aprire una discussione su questi stessi articoli.

Non sarebbe che nel caso in cui gli onorevoli Bonghi e Mancini volessero contentarsi di un semplice ordine del giorno, che la proposta Sanminiatelli troverebbe il suo posto qui; ma, qualora essi non vi acconsentano, io pregherei l'onorevole Sanminiatelli e l'onorevole Alfieri a rinviare In loro proposta dopo che la Camera avrà deciso intorno alla convenzione colla Banca, ed allorquando si tratterà della materia che fa oggetto delle proposte medesime.

L'onorevole Sanminiatelli aderisce?

SANMINIATELLI. Io non tengo punto ad occupare la Camera colle brevi parole che mi proponeva di proferire. Mi permetto solo di osservare che la mia proposta, firmata anche dall'onorevole Arrivabene, se per una parte deve aver tratto al servizio di tesoreria, per l'altra riguarda la convenzione che ha da essere approvata. Cosicché, se la discussione della mia proposta dovesse rinviarsi agli articoli, in tal caso potrei ritirarla.

PRESIDENTE. Ella ha ragione. La sua proposta può dividersi in due parti. Nella prima, invita la Camera a passare alla votazione della convenzione colla Banca; colla seconda, chiede al Governo un progetto di legge.

Ha facoltà di parlare l'onorevole Bonghi.

BONGHI. Quanto a me mantengo l'articolo di legge proposto; perciò, quando fosse messa in votazione la proposta degli onorevoli Sanminiatelli e Arrivabene, io sarei costretto a chiedere la divisione per la seconda parte dell'articolo, perché altrimenti non potrei chiedere che queste materie siano solo raccomandate al Governo senza spiegare gl'intendimenti.

Mi rassegno del resto al parere del presidente di rimandare questa materia all'articolo 3.

MINISTRO PER LE FINANZE. Domando la parola.

SANMINIATELLI. Chiedo di parlare per una dichiarazione.

MINISTRO PER LE FINANZE. Permette, onorevole San miniatela?

SANMINIATELLI. Come vuole.

MINISTRO PER LE FINANZE. Fra le proposizioni che ci stanno davanti ne vedo quattro relative al servizio di tesoreria. L'una è presentata dall'onorevole Alfieri, l'altra dall'onorevole Bonghi e di altre dagli onorevoli Sanminiatelli e Arrivabene. Sotto forma di ordine del giorno s'invita il Governo a studiare un disegno di legge per cui si venga ad affidare il servizio di tesoreria del regno ai quattro principali istituti di credito.

3625 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

Veggo poi la stessa proposizione contenuta in articoli di legge presentati gli uni dagli onorevoli Bonghi e Massari Giuseppe, gli altri articoli o l'altro articolo presentato dagli onorevoli Mancini e Servadio.

In questo stato di cose io credo veramente opportuno il divisamente manifestato dalla dichiarazione dell'onorevole presidente, a cui avrebbero annuito anche gli onorevoli Sanminiatelli e Bonghi, che, cioè, se ne tratti a parte.

Ma però, prima che si faccia riserva di questa questione, devo dichiarare che, per conto del Ministero, io sono disposto ad entrare in questo ordine di idee, cioè io ritengo che sia utile lo studiar modo di dare il servizio delle tesorerie a questi quattro principali istituti di credito, imperocché sono d'avviso che saranno atti a fare questo servizio, non solo con vantaggio dell'erario pubblico per la riduzione effettuabile nelle masse metalliche che è d'uopo tenere in cassa pel servizio cumulativo e delle tesorerie e delle Banche, come ancora per la semplificazione che non può non derivarne nel servizio dei pagamenti stessi. Una volta che un servizio di pagamento è montato, certo il lavoro non si raddoppia quando si debba fare per due anziché per uno: è mio convincimento che si possano congiungere tutti codesti effetti anche mantenendo la unicità del conto di tesoreria.

Voi sapete, o signori, come sopra questo argomento del servizio di tesoreria io avessi altra volta con esito non felice proposto al Parlamento una convenzione colla Banca Nazionale, per cui le era dato questo servizio per tutto il regno.

Nell'affidare i servizi di tesoreria agli istituti di credito, oltre agli altri vantaggi in genere, io era allettato dal vantaggio che per le finanze è certamente grandissimo, della unicità del conto che ogni settimana, ogni sera avrebbe questo istituto potuto presentare al Tesoro.

Ma io non credo impossibile, panni anzi che debba essere non tanto difficile lo stabilire una unicità di conti, anche combinando con pia istituti, i quali siano per stabilire i patti convenienti fra loro, in guisa che questa unicità di conti si ottenga. Per il che, per parte mia, non rifuggo, anzi entro ben volentieri in quest'ordine d'idee.

Sarei già per dire che, dietro le manifestazioni di quest'idea fatte in quest'Assemblea, ho già incominciate trattative e studi con questi stabilimenti stessi.

Devesi ora fare la cosa per ordine del giorno, ovvero per articolo di legge? È questa una questione, se volete, che vedremo dopo; porche faccio osservare che la distanza tra l'ordine del giorno e l'articolo di legge non è molto grande, come potrebbe parere a prima giunta; imperocché anche coll'articolo di legge non si fa altro che dare al Governo facoltà di affidare il servizio di tesoreria, ma, in realtà, siccome questi patti non sono ancora né intesi, né tanto meno stipulati, non vi è grande differenza. Ma, ad ogni modo, discorreremo poi dell'opportunità.

Per parte del Ministero dichiaro sin d'ora di accettare il concetto; del modo, dell'opportunità ne parleremo poi, dopo avere deliberato intorno alla convenzione colla Banca. E ciò avrà per effetto anche d'introdurre una notevole semplificazione nell'andamento delle nostre discussioni.

Se l'onorevole presidente e la Camera lo credono, io potrei anche esprimere l'opinione mia.

PRESIDENTE. Sentiremo prima anche la Commissione.

MINISTRO PER LE FINANZE. Come crede.

CHIAVES, relatore. La Commissione dirà molto brevemente il suo avviso sugli ordini del giorno in discorso Alcuni respingono senz'altro la convenzione; altri vogliono parere di sospenderla; altri poi, più che ordini del giorno, sono controprogetti, e vengono ad ordinare al Governo, od almeno decretano che la convenzione, od una convenzione, debba farsi con questi, o con quei determinati istituti di credito.

La Commissione, riguardo a quelli che tendono a respingere la convenzione, si formò il suo concetto molto semplice. Essa, indipendentemente da qualsiasi altro riflesso, ha potuto riconoscere che la convenzione di cui si trattava, era convenzione la quale, non solo poteva dirsi buona, ma che portava con sé rimedi incontestabili allo stato di co e attuale nei rapporti tra lo Stato e la Banca, e si è persuasa che, quando la convenzione venisse respinta, restando le cose tali e quali sono, si verrebbe evidentemente ad andare contro a quei rimedi i quali pur cominciano ad essere introdotti colla convenzione medesima.

Fu discusso grandemente della persona dell'altro contraente la Banca Nazionale e la parte principale della opposizione ebbe questo obbiettivo, ma certo la Banca, quando fosso respinta questa convenzione, rimarrebbe qual è. Si parlò della necessità, non dirò di demolirla, ma di scemarne grandemente l'importanza, ma, respingendo la convenzione, non scemate l'importanza della Banca.

Quindi la Commissione, spassionatamente ed imparzialmente dice: visto che con questa convenzione le cose cambieranno, e non staranno più come sono nel senso di un miglioramento, naturalmente la Commissione crede che non siano ammessibili quegli ordini del giorno che tenderebbero a respingerò senz'altro la convenzione.

Altri la vogliono sospendere, in vista di altri mezzi che s'indicherebbero onde provvedere ai bisogni dello Stato, e fra questi la Commissione ha alquanto maravigliato vedendo ripetersi l'idea relativa ai residui attivi, i quali dovrebbero formare come base di un'altra operazione. E per verità, dopo che la Camera ha rimandata la discussione della legge sulla riscossione delle imposte, essenzialmente fondandosi su questo, che convenisse badare alla condizione dei contribuenti ed alle loro guarentigie rispetto ai modi ii esazione, non credo che a quella Camera si possa efficacemente fare questa proposta, di dar facoltà al Governo, senza stabilire condizioni di sorta, di aggiustare le cose come crede riguardo a questi arretrati, mettendo cosi i contribuenti in balìa di chi sa chi e chi sa come.

3626 - CAMBRA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

MELLANA. Domando la parola per un fatto personale.

CHIAVES. relatore. Questa è cosa che non sembra alla Commissione logica, la quale essa non consentirebbe anche per un'altra ragione, perché, secondo la Commissione, bisognano duo cose ad un tempo, cioè: che gli arretrati vi siano, e che se ne possa il Governo valere in quanto gli sia possibile il valersene; e poi che si faccia anche questa convenzione colla Banca; poiché di queste risorse non ve ne è alcuna che possa dirsi sovrabbondante. Dunque, anche per questo riguardo, questo modo di deliberazione la Commissione lo respinge.

Vi sono poi altri controprogetti i quali vengono a stabilire, o almeno a dire al Governo che debba contrattare con questo e quello stabilimento detcrminatamente.

Per verità, quando è presentata a questo modo una proposta, indicando gli stabilimenti con cui il Governo deve contrattare, il Governo sembrami abbia buon giuoco a respingerla. Ma potete voi, potrà dire, potete voi stessi, voi Parlamento, votare ora una convenzione qualsiasi, quando non c'è la certezza dall'altra parte contraente? Ma potete voi andar tant'oltre negli apprezzamenti del potere esecutivo, da venire ora a stabilire voi delle condizioni di stipulazione, delle quali io Ministero debba portare la responsabilità?

Queste cose ha considerate la Commissione, per cui non crede ammissibili da questo lato le proposte che vengono fatte; tanto più quando questi istituti i quali vengono indicati, possono presumibilmente ritenersi come quelli i quali dovrebbero in determinate condizioni prescegliersi; e la Camera sa, e deve sapere che non vi sarebbe ragione (se si vuol usare una legge di uguaglianza) di trascurare altri stabilimenti, i quali hanno, non dirò, maggiore, ma eguale importanza, di quelli che sono indicati nelle proposte in discorso.

Né mi muove ciò che mi diceva l'onorevole Nicotera, il quale, quando proponeva di trattare con gli altri stabilimenti, parve che volesse presentarlo come rimedio ad una malattia, di cui questi stabilimenti fossero affetti.

L'onorevole Nicotera mi fece l'onore di ricordare alcune mie parale dette in questa discussione qualificandomi come uno dei santi padri della Commissione (probabilmente perché, avendomi veduto da lungo tempo seduto a questo banco, ha creduto che cominciassi a diventare degno di santificazione). (Ilarità)

L'onorevole Nicotera ha detto che io mi era spiegato altra volta così, che cioè quando una parte del corpo è ammalata tutto il corpo se ne risente, e quindi esclamava, poiché vi sono più parti d'Italia ammalate, tutto il corpo deve anche risentirsene, e deve procurare di risanarle.

Ma l'onorevole Nicotera accenna a stabilimenti baucari che non sono veramente da confondersi affatto, o da immedesimarsi colle popolazioni in cui questi stabilimenti sono costituiti. Soggiungerò poi che nessuno ha mai creduto che questi stabilimenti fossero ammalati. Io non rifarò qui in proposito una lunga discussione, ma mi ricordo di certi dati che l'onorevole ministro delle finanze ci ha messi dinanzi, e questi dati ci hanno persuaso che veramente vi sarà fra gli uni e gli altri stabilimenti che sono in Italia una differenza di prosperità e d'importanza, ma che gli stabilimenti principalmente ai quali accenna l'onorevole Nicotera siano ammalati, oh! questo certamente non sì può dire. Io terminerò, signori, avvertendo la Camera che, per quanto riguarda quei controprogetti i quali già formarono oggetto dell'esame della Commissione, e intorno a cui essa ebbe a deliberare, stampando i suoi pareri che vennero distribuiti alla Camera, essa non crede di dover ora tornarvi sopra con lunghe discussioni, le quali d'altronde non farebbero che far rivivere il merito della discussione intiera.

Terminerò con una dichiarazione che ho bisogno di fare all'onorevole Maiorana Calatabiano, il quale diceva che la Commissione aveva quasi con atto di scherno pronunciati i suoi giudizi riguardo alla sua proposta. L'onorevole Maiorana Calatabiano non fu, credo io, né nel giusto né nel vero. Può la Commissione, nel dare il suo giudizio, aver creduto che qualcuno non fosse nel vero negli apprezzamenti e che commettesse errore in via di raziocinio o in via teorica, ma la Commissione si è fatta una legge di non usare verso altri ciò che però altri ha creduto di usare verso di lei, poiché ci siamo sentiti qualificare come avvocati degli azionisti della Banca, come coloro che venivano a proporre cosa per fare essenzialmente gli interessi della Banca anziché quelli del paese.

Signori, poco mi commovono cedeste insinuazioni: ma quando qualcuno accenna al modo con cui la Commissione ha giudicato e discusso in questa materia, la Commissione ha ben il diritto di dire che essa si è tenuta grandemente al di qua di ciò che siasi permesso altri, il quale certamente non aveva ragione di permettersi codesto sistema di discussione. (Segni di approvazione)

Ora, signori, conchiudendo, propongo, a nome della Commissione, l'ordine del giorno puro e semplice sopra tutti gli ordini del giorno di cui ho discorso, riservando a nome della Commissione stessa il giudizio riguardo a quelle proposte che riflettono il servizio di tesoreria, riguardo al quale, aggiungo fin d'ora che, massimamente dopo le spiegazioni dell'onorevole ministro, il voto della Commissione non potrebbe essere quello di un ordine del giorno puro e semplice sulle proposte che a tale argomento si riferiscono.

MAIORANA-CALATABIANO. Chiedo di parlare per una dichiarazione.

3627 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

PRESIDENTE. Su che cosa intende parlare l'onorevole Mellana?

Mili AVI. Intendo parlare per un fatto personale.

PRESIDENTE. Lo accenni.

MELLANA. Pochi giorni sono, mentre parlava l'onorevole Sella, ho chiesto di parlare per un fatto personale, e non me ne fu data facoltà. Ora l'onorevole relatore ha ripetuto le stesse non esatte parole dell'onorevole ministro, ed è quindi necessario che io le rettifichi.

In vari discorsi ho sostenuto l'idea di fare un'operazione sugli arretrati. Panni che a questo proposito l'onorevole Sella abbia detto che io non vorrei gli appalti per l'esazione delle imposte, e che poi condannava i debitori morosi alla speculazione privata.

Oggi l'onorevole relatore ha detto che io vorrei mettere i debitori dello Stato in balìa degli appaltatori.

Io invece, conformemente all'idea svolta con tanta ampiezza dall'onorevole Castellani, ho sempre sostenuto essere ottime tali operazioni, a condizione che l'esazione rimanga sempre in mano del Governo e che fosse concessa una mora ai debitori che la desiderassero.

Si combattano le idee e le proposte, ma non siano adulterate. Ad ognuno la propria responsabilità. Io l'assumo intiera per quello che dico, non per quello che inesattamente mi si fa dire.

Per tal modo vede la Camera che l'osservazione dell'onorevole ministro e quella dell'onorevole relatore sono contrarie a quanto ho sostenuto, e che sostengo con convinzione profonda.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Maiorana Calatabiano.

MAIORANA CALATABIANO. Io voleva dichiarare soltanto che, non avendo espresso l'idea accennata dall'onorevole Chiaves, ritengo che quelle cose non l'abbia dette al mio indirizzo; io sono bene alieno dal fare simili appunti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Avitabile per una dichiarazione.

AVITABILE. Sono in dovere di fare una dichiarazione alla Camera, onde non si attribuisca al mio disegno di legge un'interpretazione diversa da quella che fu nell'intendimento mio e dei miei amici nel presentarlo.

Quando abbiamo proposto che si desse il servizio di tesoreria alla Banca Nazionale ed agli altri istituti di credito, l'abbiamo proposto pel solo caso che venisse a cessare il corso forzato; poiché, durante il tempo che In Banca ha il monopolio dei biglietti inconvertibili, la concessione del servizio di tesoreria sarebbe un danno pel paese e la morte degli altri istituti...

PRESIDENTE. Ne parleremo dopo, onorevole Avitabile, è riservata la questione.

ABITABILE. Mi perdoni, poiché ho inteso che l'onorevole ministro...

PRESIDENTE. Ella ne potrà parlare più lungamente in altra occasione.

AVITABILE.. e la Commissione accettano la parte che riguarda il servizio di tesoreria, stimai opportuno di fare sin da ora questa solenne dichiarazione alla Camera. Noi non possiamo mai smentire i nostri principii contrari al monopolio da qualunque parte venga; siamo convinti che il servizio di tesoreria con il corso forzoso non produrrebbe altro che l'aumento dell'aggio.

Voci. Ai voti! ai voti!

PRESIDENTE. Il signor ministro per le finanze ha la parola.

Voci a sinistra. Ai voti! (Rumori)

MINISTRO PER LE FINANZE. Discorrerò brevissimamente, o signori.

Non occorre dire come nelle condizioni attuali sieno completamente inaccettabili tutte quelle proposte le quali hanno per oggetto di differire e sospendere le deliberazioni che il Parlamento ha da prendere intorno al servizio di tesoreria.

Controprogetti io ne vedo di tre specie; vedo la proposta dell'onorevole Servadio il quale dice: vi do facoltà di fare convenzione colla Banca e con altri istituti di credito in guisa da procacciarvi i 180 milioni. Ammette che il maximum della circolazione dei biglietti della Banca Nazionale sia portato ad 800 milioni e che la vendita delle obbligazioni dell'asse ecclesiastico si faccia esclusivamente per l'estinzione del debito che si avrebbe con codesti istituti.

Rispondo all'onorevole Servadio che, se con questa sua proposizione egli intende, come mi sembra, di lasciare facoltà al Governo di stipulare la convenzione colla Banca Nazionale quale è dal Ministero proposta, allora tanto vale approvare questa convenzione anzitutto e di riserbare poi a quell'articolo di legge che concerne il modo di trovare altri 60 milioni lo studiare se, per trovare questi altri 60 milioni, si possa fare uso di altri istituti di credito in una maniera più o meno analoga a quella con cui, per mezzo della convenzione, si fa uso colla Banca Nazionale.

Se poi la sua proposta (ma questo non credo che sia il suo intendimento) ha per proposito di non accordare la facoltà di stringere questa convenzione, io mi permetto di notare all'onorevole Servadio, che dovendo trovare 180 milioni, se si comincia a trovarne 120, voglia concedermi codesti, salvo poi, se vuole, darmi maggior ampiezza, quando discorreremo degli altri 60.

Quindi, a mio avviso, la sua proposizione non dovrebbe impedire il voto della convenzione, e dovrebbe poi, quando discorreremo degli altri 60 milioni, riservarsi l'onorevole Servadio, se non vuole questo o quell'altro articolo, di estendere la facoltà che il Governo domanda, in guisa che non per mezzo della sola emissione di rendita egli abbia facoltà di trovare questo danaro.

3628 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

L'onorevole Mellana e l'onorevole Nicotera propongono che il Governo abbia facoltà di trovare, l'uno 200, l'altro 180 milioni por mezzo di operazioni sopra obbligazioni dell'asse ecclesiastico o sopra gli arretrati.

Ora io devo far notare che se si tratta delle obbligazioni disponibili dell'asse ecclesiastico, è da considerarsi che allo stato attuale delle cose, i i cui 150 milioni di codeste obbligazioni sono attualmente impegnate presso la Banca Nazionale per quella certa operazione di cui ho tante volte parlato, non rimangono più disponibili in realtà che 183 milioni di obbligazioni nominali; in guisa che, ove si ponga mente che il prezzo di vendita si stabilisce ad 85 per cento, si riducono queste obbligazioni ad una tal somma che, quando le portiate ad un istituto di credito perché vi faccia un'anticipazione, se ritenete che gl'istituti di credito non fanno anticipazioni che dandovi i quattro quinti od i tre quarti del valore di Borsa delle obbligazioni, voi non potreste ricavare, per questa maniera, che 122 milioni, quando gl'istituti di credito consentissero ad accettare come corso di Borsa di cedeste obbligazioni l'85 per cento.

Ora, sventuratamente, l'onorevole Servadio mi pare abbia detto che a 65 se ne possono anche trovare.

SERVADIO. 68.

MINISTRO PER LE FINANZE. 68 nominali.

Voci a sinistra. Ai voti ! ai voti ! (Rumori a sinistra)

MINISTRO PER LE FINANZE. Signori, se desiderate di finir presto, vogliate concedermi cinque o sei minuti, non di più. Se mi s'interrompe, se si fanno rumori, bisognerà impiegarne quindici, per la natura stessa della questione.

Voci. Parli! parli!

MINISTRO PER LE FINANZE. Quanto agli arretrati, avete udito come l'onorevole Mezzanotte dimostrasse che in realtà, se si tien conto delle carte contabili, non fossero poi quella gran cosa che può parere a prima giunta. E sappiate di più che parecchi dei crediti che figurano come arretrati, nella situazione stessa del Tesoro figurano come arretrati di dubbia esazione. Perciò io non potrei in nessuna maniera accettare come sufficiente il progetto dell'onorevole Mellana, e così pure quello dell'onorevole Nicotera.

Vengono poi i progetti degli onorevoli Maiorana-Calatabiano, Avitabile, Romano ed Alippi, i quali, in sostanza, si fondano sopra una carta più o meno governativa.

È inutile che io dica, o signori, come il Ministero sia nella impossibilità di accettare queste proposte; quindi il Ministero non può esimersi dal pregarvi di accogliere la proposta della Commissione, cioè di votare,

per semplicità anche di votazione, l'ordine del giorno puro e semplice sopra tutta questa serie di proposte che ho testé indicate, a parte sempre quelle relative al servizio di tesoreria che rimangono impregiudicate, e di passare alla votazione dell'articolo col quale si approva la convenzione.

L'onorevole Mellana ci dice: non vogliate servirvi di una difficile posizione generale politica per esercitare una pressione sul Parlamento in una questione economica.

Se scorgessi nei miei convincimenti (e sono in ciò anche l'interprete dei miei colleghi) altri mezzi per trovare un così cospicuo sussidio per il Tesoro, Come sono convinto di trovarlo nella convenzione colla Banca, i quali fossero più convenienti, io assicuro l'onorevole Mellana che sarei ben lieto di dimostrargli che è pur mio desiderio che nelle questioni economiche abbia a mischiarsi il meno possibile la questione politica. Ma noi non sappiamo vedere miglior mezzo per trovare questi 122 milioni; e per conseguenza non possiamo a meno di respingere le altre proposizioni, e pregare la Camera di voler accettare la proposta del Ministero, modificata dalla Commissione.

Dietro ciò, o signori, ritengo che ogni altra parola sia inutile, imperocché ogni cosa che io dicessi in merito e per ribattere obbiezioni e far vedere i vantaggi della nostra proposta e gli svantaggi delle proposizioni opposte a questo punto sarebbe opera perduta, imperocché ormai credo che ciascuno si è fatto un criterio deciso intorno a tutte le proposte, ed ha deliberato il partito che intende di dare all'attuale gravissima questione.

PRESIDENTE. Rimaniamo intesi adunque che le diverse proposte intorno al servizio di tesoreria saranno riservate.

SERVADIO. Io intendo di fare una dichiarazione. (Rumori)

Voci. No 1 no! Ai voti!

PRESIDENTE. Parli per una dichiarazione; ma vede che la Camera è impaziente.

SERVADIO. Venti parole, ed ho finito. (Rumori prolungati)

Voci. No ! no ! Ai voti! ai voti 1

SERVADIO. Bisogna che io chiarisca il mio pensiero; si tratta di rigettare tutto.

PRESIDENTE. Ma la Camera desidera di andare ai voti...

SERVADIO. Io credo di aver il diritto di parlare.

Il ministro delle finanze ha dotto che, siccome io gli voglio dar facoltà di stipulare la convenzione, valeva meglio approvarla e parlare poi degli altri istituti più tardi.

Se l'onorevole Mancini fosse stato poco fa qui presente, mi avrebbe appoggiato nello svolgere il mio emendamento; ma ad ogni modo mi giova ripetere nuovamente che, se non fossero state le circostanze in cui versiamo,

3629 - TORNATA DEL 22 LUGLIO 1870

non gli avrei data la facoltà di approvare la convenzione; ma se l'onorevole ministro delle finanze avesse letto esattamente le nostre proposte, avrebbe scorto che queste facoltà, che noi gli diamo, senza turbare menomamente l'andamento degli altri istituti, gli sono date affinché egli possa fare l'operazione insieme cogli altri istituti e non soltanto colla Banca Nazionale.

PRESIDENTE. La Camera ritiene che vi sono più proposte che racchiudono il concetto della reiezione della legge, e varie che includono la sospensione, e che ci sono pure controprogetti.

Riguardo a queste proposte e questi controprogetti la Commissione, per organo del suo relatore, propone l'ordine del giorno puro e semplice.

Su questa proposta di passare all'ordine del giorno puro e semplice hanno chiesto la votazione nominale gli onorevoli Asproni, Bove, Romano, La Porta, Melissari, Brunetti, Salvatore Morelli, Antona-Traversi, Olivieri, Grassi, Lazzaro, Oliva, Nicolai, Massarucci, Ripandelli, Salaris e Rega.

Coloro che approvano l'ordine del giorno puro e semplice sopra queste proposte risponderanno sì; co loro che non l'approvano, risponderanno no.

(Si procede all'appello nominale.)

Votarono in favore:

Acquaviva - Acton - Adami - Alfieri - Andreucci - Arrigossi - Arrivabene - Atenolfi - Bandini - Bargoni - Barracco - Bassi - Bellelli - Bernardi - Bersezio - Berti Domenico - Berti Lodovico - Bertolè-Viale - Biancheri avvocato - Bianchi - Boncorapagni - Bonfadini - Bonghi - Borgatti - Borromeo - Bosi - Bràcci - Briganti Bellini - Brignone - Broglio - Cadolini - Gagnola Carlo - Calandra - Camuzzoni - Cantoni - Carazzolo - Carini - Casati - Castagnola - Castellani-Fantoni - Cavalietto - Cavallini - Cavriani - Checchetelli - Chiaves - Como - Concini - Correnti - Corsini - Cosenz - Costa Luigi - D'Amico - Damis - D'Ancona - D'Aste - Da Blasiis - De Capitani - Dé-Filippo - De Martino - Deodato - De Pasquali - Dina - Di Rudinì - Di Sambuy - Donati - Fabris - Fabrizi Giovanni - Facchi - Fambri - Fenzi - Ferri - Pinocchi - Finzi - Fogazzaro - Fornaciari - Gabelli - Gaola-Antinori - Garzoni - Gerra - Giaccmelli - Gigliucci - Giorgini Carlo - Giorgini Giovanni Battista - Goretti - Govone - Grattoni - GrifSni Luigi - Grossi - Guerrieri-Gonzaga - Guiccioli - Guttierez - La Marmora - Lancia di Brolo - Lanza - Loro - Maggi - Maldini - Malenchini - Mancini Girolamo - Marazio - Marchetti - Mari - Mario tti - MartelliBolognini - Mattinati - Martinelli - Marsi - Massa - Massari Giuseppe - Massari Stefano - Mattei - Maurogonato - Mazzagatti - Merzario - Messedaglia - Minghetti - Mongenet - Mongini - Monti Coriolano - Monti Francesco - Mordini - Morelli Giovanni - Merini - Morosoli - Morpurgo - Murgia - Negrotto - Nervo - Nobili - Nori - Ornar - Padovani - Paini - Paulucci - Papafava - Pasetti - Pasini - Pasqualigo - Pellegrini - Pera -

Perazzi - Peruzzi - Pianell - Piccoli - Piolti de' Bianchi - Piroli - Quattrini - Raeli - Ranalli - Rasponi - Riboty - Ricasoli Bottino - Ricasoli Vincenzo - Righi - Robocchi - Rorà - San Martino - Sanminiatelli - Sartoretti - Sebastiani - Sella - Serafini - Sena-Cassano - Serristori - Sgariglia - Siccardi - Sirtori - SormaniMoretti - Spaventa Silvio - Speroni - Spini - Tenani - TVnca - Testa - Tornielli - Torre - Valussi - Valvasfri - Villa-Pernice - Visconti-Venosta - Visone.

Votarono contro:

Abignente - Alippi - Aliprandi - Alvisi - Arnaduri - Angeloni - Antona-Traversi - Asproni - Avitabile - Baino - Bertea - Botta - fiotterò - Bove - Brunetti - Bullo - Busi - Cairoti - Caivino - Cainerata-Scovazzo - Campisi - Cancellieri - Cannella - Capozzi - Carbonelli - Carganico - Castellani Giovanni Battista - Castiglia - Cattani-Cavalcanti - Catucci - Ciliberti - Consiglio - Corte - Cosentini - Crispi - Cucchi - Curii - Curzio - Dumiani - De Cardenas - De Luca Francesco - Del Zio - Depretia - De Sanctis - Di filaaio - Di San Donato - Fabrizi Nicolo - Fanelli - Farini - Ferraccia - Ferrara - Fossa - Frapolli - Frisari - Garau - Ghinosi - Grassi- Gravina - Greco Luigi - Griffini Paolo - Lacava - La Porta- Lazzaro - Lobbia - Lorenzoni - Levito - Macchi -. Maiorana Calatabiano - Mancini Stanislao - Mannetti - Marolda-Petilli -Marsico - Massarucci - Matina - Mauro - Mazzarella - Melchiorre - Melissari - Mellana - Merialdi - Mezzanotte - Miceli - Michelini - Molinari - Monzani - Morelli Salvatore - Musolino - Mussi - Nicolai - Nicotera - Nunziante - Oliva - Olivieri - Palasciano - Paria - Parisi - Pecile - Pepe - Pescetto - Pianciani - Pissavini - Fiutino Antonino - Ranco - Ranieri - Rattazzi - Rega - Regnoli - Riberi - Ricci - Ripandelli - Ripari - Rizzari

-

Rogadeo - Romano - Ronchetti - Rossi - Salaris - Sansoni - Seismit-Doda - Servadio - Sineo - Sipio - Sole - Solidati - Sonzogno - Sprovieri - Strada - Tamaio - Torrigiani - Toscanelli - Toscano - Trevisani - Ugo - Ungaro - Valerio - Vicini - Zanardelli - Zarone - Zizzi.

astennero:

Bortolucci - Costamezzana - Masci - Fiutino Agostino - Salvago - Silvani - Spantigati - Verga.

Camera Dei Deputati - Sessione Del 1869

Assenti:

Accolla - Ani bile - Amore - Andreotti - Annoni - Araldi - Assanti Pepe - Assanti Dannano - Barazzuoli - Barone -Bartolucci Godolini - Bembo (in congedo) - Bertani - Bertini (in congedo) - Berlo! ami (in congedo) - Billia - Biancheri ingegnere - Buttar! - Botticelli - Breda (in congedo) - Brenna - Bruno - Buratti-- Cadorna (in conged») - Calisi - Gagnola Giovanili Battista (in congedo) - Calvo - Cacone (in congedo) - ('arcani - Carcassi - Carleschi (in congedo) - Carrara - Casaretto - Casarini - Castelli - Chidichimo

- 3icuelli (in congedo) - Cimino - Civinini (in congedo) - Colesanti - Collotta (in congedo) - Comin - Conti (in congedo) - C' rapi - Corrado - Corsi - Cortese - Costa Antonio - Grotti - Cugia - Cumbo-Borgia - Danzetta (in congedo) - D'Ayala (in congedo) - Do Boni (in congedo) - Del Giudice - Delitala - Del Re (in congedo) - De Luca Giuseppe - De Sterlicb - De Roggero - Di Belmonte - Di Monale (in congedo) - Di Revel (in congedo) - Di San Tomnmso - D'Ondes-Reggio Giovanni - D'Ondes-Reggio Vito - Emiliani Giudici (in congedo) - Fano - Farina - Ferrari (in congedo) - Ferraris (in congedo) - Fiastri - Foneca - Fossombroni (in congedo) - Frascara - Friscia - Galati - Galeotti - Galletti (in congedo) - Gigante - Giunti - Giusino - Golia - Greco Antonio - Grella - Guerrazzi - Guerzoni (in congedo) - La Masa - Leardi - Legnazzi (in congedo) - Leonii - Lo-Monaco - Lualdi - Maiorana Cucux'-lla - Maiorana Benedetto - Manni - Mantcgazza (in congedo) - Marcelle (in congedo) - Marincola - Martire-Mazziotti - Mazzucchi - Merìzzi - Minervini - Molfiao - Morelli Carlo (in coiigedu) - Morelli Donato - Moretti - Mosti - Muti (in congedo) - Napoli - Nisco (in congedo) - Origlia - Panattoni (in congedo) - Pendola - Pttagalli - Pellatis - Pescatore - Pessina - Petroiie - Pieri - Pisacane (in congedo) - Pisanelli - Podestà - Pulcinelli - Possenti - Praus - Puccioni - Restelli - Ruggero Francesco - Salomone - Salvagnoli (in congeda) - Salvoni - Sandonnini - Sandri - Sangiorgi - Sanguinetti - Schininà (in congedo) - Semenza - Serpi - Spaventa Bert.ando - Speciale - Stocco - Tufdno (in congedo) - Tommasini (in congedo) - Tozzoli (in congedo) - Trigona Domenico - Trigona Vincenzo - Valitutti - Viacava (in congedo) - VigoFuccio - Villano - Villa Toinmaso - Villa Vittorio - Vinci - Vollaro - Zaccagniuo - Zauli - Zuradelli - Zuzzi.

Risultamelo della votazione:

Presenti 327

Votanti 320

Maggioranza 161

Risposero sì 181

Risposero no 139

Si astennero 7

(La Camera approva l'ordino del giorno.)

La seduta è levata a ore 7.

Ordine del giorno per la tornata di domani:

Seguito della discussione del progetto di legge relativo alla convenzione colla Banca Nazionale.


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3631 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE AVVOCATO GIUSEPPE BIANCHERI.

SOMMARIO. Atti diversi. = Deposizione di documenti relativi al contratto colla Banca Nazionale. = Seguito della discussione dello schema di legge per una convenzione colla Banca Nazionale - Avvertenza del deputato Rattazzi - Obbiezioni del deputato Massa sull'articolo 7 dell'allegato per la convenzione, e spiegazioni del relatore Chiaves e del ministro, e osservazione del deputato Broglio - Emendamento del deputato Griffini Luigi all'articolo 12, oppugnato dal relatore e ritirato -Gli articoli dell'allegato sono approvati - Votazione nominale e approvazione dell'articolo 1 del progetto generale per faccettatone della convenzione. - Presentazione di un'aggiunta alla relazione sul progetto per la riscossione delle imposte dirette. = Domanda dei deputati Corte e Nicotera circa ti manifesto di neutralità, e risposta del presidente del Consiglio - Proposizione del deputato Miceli di una discussione e delibi ragione sulla politica estera, appoggiata dai deputati Nicotera, Corte e Oliva - Dichiarazioni e adesione del presidente del Consiglio - Osservazioni del deputato Morelli Donato, e sua istanza per la discussione della politica interna - Opposizioni e proposizioni dei deputati Toscanetti, Broglio e Massari Giuseppe - Osservazioni dei ministri per l'interno e per le finanze e del deputato Chiaves - Proposizione di votazione nominale sulla proposta d'ordine del giorno del deputato Broglio, che è ritirata quando si sta per porre ai voti - Vivo incidente e sospensione della seduta -Dichiarazioni del presidente - Emendamento del deputato Cadolini all'articolo 2 - Osservazioni dei deputati Penai, Nervo, Nisco, Mancini P. 8., Torrigiani, Rattazzi, Valerio e del ministro - È ritirato - Approvazione dell'articolo 28 emendato - Sulla proposta del deputato Sanminiatelli, relativa all'affidamento del servizio di tesoreria agli istituti di credito, parlano i deputati Minghetti, Alfieri, Bonghi,. Mancini P. S., Ruttazzi, Chiaves e ti ministro - Si prende atto delle dichiarazioni del ministro - Proposta del deputato Sanminiatelli per la votazione separata della legge - Istanze del ministro Sella, anche per la votazione della Ugge sulle ferrovie - Parlano i deputati Plutino Agostino, Donati, Cadolini, Mancini P. S. - La votazione è rinviata a lunedì.

La seduta è aperta a mezzogiorno e 20 minuti.

ATTI DIVERSI.

MACCHI, segretario, da lettura del processo verbale della tornata antecedente, quale è approvato.

CUCCHI, segretario, espone il sunto della seguente petizione:

13,382. 92 cittadini dei comuni di Troia e di Lucera nella provincia di Capitanata si rivolgono al Parlamento reclamando per non essere stato pubblicato ed eseguito un regio decreto col quale furono dichiarati esenti dal dazio-consumo il vino, vinello e altre bevande vinose d'inferiore qualità, distribuite ai braccianti per lavori strettamente agricoli.

PRESIDENTE. Per motivi di salute l'onorevole Mnrtelli-Bologuini domanda un congedo di 15 giorni.

L'onorevole Fossombroni chiede un congedo di 12 giorni per affari di famiglia.

L'onorevole Mazzucchi scrive che per malferma salute non può intervenire alla Camera. Propongo gli sia accordato un congedo di quindici giorni.

L'onorevole Tofano scrive che per ragione di salute non può prendere parte ai lavori del Parlamento, e che essendo prevedibile una prossima proroga della Camera, chiede un congedo sino alla detta epoca.

(Cotesti congedi sono accordati.),

Avverto la Camera che il signor ministro delle finanze, nella seduta di ieri, ha deposto sul banco della Presidenza vari documenti, i quali fanno fede come la direzione della Banca sia pronta a stipulare la convenzione della quale si tratta in questa discussione.

Questi documenti rimangono a disposizione degli onorevoli deputati.

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DELLO SCHEMA DI LEGGE

PER UNA CONVENZIONE COLLA BANCA NAZIONALE.

PRESIDENTE. L'ordite del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge relativo alla convenzione colla Banca Nazionale.

Siamo alla discussione degli articoli. Leggo l'articolo 1 del progetto generale:

II Governo del Re ha facoltà di stipulare colla Banca Nazionale nel regno d'Italia la convenzione contenuta nell'allegato B.

3632 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

«Prima che il credito della Banca verso lo Stato sia ridotto di lire 283 milioni, il Governo provvedere alla estinzione totale del mutuo di 500 milioni ed alla cessazione del corso forzato.»

Si da lettura dell'allegato R:

«Art. 1. La somma di 100 milioni di lire anticipate al Tesoro dello Stato dalla Banca Nazionale contro deposito di obbligazioni dell'asse ecclesiastico sarà portata in aumento al mutuo di 278 milioni in biglietti fatto dalla Banca al Tesoro in forza dei decreti legislativi in data 1° maggio e 5 ottobre 1866.»

A quest'articolo 1 l'onorevole Sineo ha proposto il seguente emendamento.

RATTAZZI. Domando la parola.

Si è deliberato di passare agli articoli?

PRESIDENTE. Si è deliberato implicitamente colla votazione di ieri. L'onorevole Catucci aveva fatta una proposta, con cui chiedeva che non si passasse alla discussione degli articoli; e poi vi erano gli altri ordini del giorno. Avendo la Camera accettato l'ordine del giorno puro e semplice, per ciò respinse tutte le proposte. Ora tra esse essendovi quella dell'onorevole Catucci, vuol dire che la Camera ha deliberato di passare alla discussione degli articoli.

RATTAZZI. Non è per insistere, perché non ha nessuna importanza, ma perché non si stabilisca un precedente. L'ordine del giorno puro e semplice su tutti gli ordini del giorno non toglie che si debba sempre decidere se si debba passare, o no, alla discussione degli articoli...

PRESIDENTE Permetta...

RATTAZZI. Perdoni. Si deve sempre andare alla votazione se si debba passare o no alla discussione degli articoli. Comprendo che, quando non vi è discussione generale, si passi agli articoli senza bisogno di voto, perché non può essere di deliberare intorno a ciò che non fa oggetto di contestazione; ma quando vi è una discussione, quando vi è viva lotta tra chi ammette e chi non ammette il progetto di legge, allora credo che il presidente non può esimersi dal mettere ai voti il passaggio o no alla discussione degli articoli.

Quindi, vi fosse, o non vi fosse l'ordine del giorno Catucci, certo si doveva mettere ai voti se si dovesse 0 no passare alla discussione degli ' articoli, su che ieri non si è votato.

Io non insisto però in questo caso speciale; ho fatto più tale avvertenza perché non serva questo di precedente, che in quanto si interpelli ora la Camera se si debba o no passare ora alla discussione degli articoli.

PRESIDENTE. Mi permetta che io gli dia due schiarimenti. Il primo si è che, a tenore del regolamento e dello Statuto, non si deve sottoporre alla votazione se si deve passare alla discussione degli articoli o no, se non quando ci sia una formale proposta che non si passi alla discussione degli articoli. La Presidenza appunto, non è gran tempo, si è preoccupata di sciogliere codesta questione, secondo lo Statuto ed il regolamento, ed è risultato che non si dovesse passare alla discussione degli articoli allora soltanto che vi fosse una formale istanza in tal senso. Ieri questa venne fatta; ma contro la medesima fu proposto l'ordine del giorno puro e semplice che fu adottato. Conseguentemente mi è parso che con ciò si fosse respinta la proposta Catucci, e così si dovesse passare senza altro alla discussione degli articoli.

L'onorevole Sineo insiste nel suo emendamento?

SINEO. Io aveva proposto parecchi emendamenti, i quali contenevano l'applicazione dei principii che erano stati sviluppati nella discussione, ed alcuni di essi mi sembravano potersi accettare dal Ministero e dalla Commissione; alcuni sapeva che non sarebbero accettati, ma credeva mio dovere di formolarli affinché ci fosse almeno una protesta che salvasse i principii. Ma nello stato attuale delle cose e dopo che la maggioranza ha dimostrato energicamente che essa respingeva qualunque modificazione alla convenzione mi pare inutile di persistere e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Leggo l'articolo 2 dell'allegato:

«Art. 2. La Banca Nazionale verserà inoltre al Tesoro, a titolo di mutuo, altri 122 milioni, dei quali 50 milioni in oro e 72 in biglietti. Le somme suddette saranno versate a misura che ne sarà fatta richiesta dal Governo, e dalla data dei rispettivi versamenti decorrerà l'interesse di cui all'articolo 9.

«Art. 3. La Banca Nazionale è dispensata dall'obbligo di tenere nelle sue casse la riserva metallica per i 450 milioni di biglietti emessi, o da emettere per far fronte ai mutui indicati agli articoli precedenti.»

A quest'articolo l'onorevole Valerio aveva proposto di sostituire la seguente redazione:

«La Banca Nazionale è dispensata dall'obbligo di tenere nelle sue casse la riserva metallica per il montare dei biglietti mutuati al Tesoro dello Stato ai termini degli articoli precedenti.

«II detto montare ha per limite massimo la somma di 450 milioni di lire, o sarà ridotto col ridursi del mutuo ai termini dell'articolo 10.»

3633 - TORNATA DEL 28 LUGLIO 1870

PRESIDENTE. La Commissione accetta questa redazione?

CHIAVES. relatore. La Commissione l'accetta perché è quella che rende più precisa la locuzione.

SELLA, ministro per le finanze. Accetta anche il Ministero l'emendamento dell'onorevole Valerio, e posso anche dichiarare che è accettato dall'altra parte contraente.

PRESIDENTE. Dunque all'articolo 3 si sostituirà la redazione proposta dall'onorevole Valerio che ho letto.

«Art. 4. Il maximum della circolazione dei biglietti della Banca Nazionale stabilito in 750 milioni colla legge del 3 settembre 1868 potrà essere aumentato sino a 800 milioni.»

A quest'articolo l'onorevole Nervo ha proposto una aggiunta così concepita:

«Finché durerà il corso forzoso la Banca Nazionale opererà lo sconto degli effetti di commercio al tasso invariabile del tre per cento all'anno.»

Prego la Commissione di dire se accetta questa proposta.

CHIAVES. relatore. La Commissione non può accettare l'emendamento dell'onorevole Nervo. L'argomento di cui si occupa questa proposta non entra nella convenzione: è cosa la quale dipende dall'andamento degli affari e che male potrebbe con un articolo legislativo o con un articolo di convenzione approvato per legge essere stabilita. Quando è l'interesse dello stabilimento e l'andamento degli affari che deve essere norma ad un limite di sconto, la proposta dell'onorevole Nervo non potrebbe ammettersi. Oltre di che non potrebbe qui introdursi un emendamento non solo, ma un articolo nuovo di convenzione senza che la Camera fosse sicura che fosse accettato, e per necessità di cose la Commissione può presumere che non lo sarebbe.

PRESIDENTE. Onorevole Nervo, ritira il suo emendamento?

NERVO. Desidererei di dare alcune spiegazioni.

PRESIDENTE. Lo mantiene o lo ritira?

NERVO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora anzitutto bisogna che domandi se è appoggiato.

(6 appoggiato.)

Dal momento che la Commissione non lo accetta, credeva..,

NERVO. Non posso ritirarlo se l'onorevole presidente non mi da la facoltà di spiegare il motivo per cui, come membri della Commissione, mi sono indotto a presentare quest'emendamento.

PRESIDENTE. Ella insomma vuole spiegare il motivo per cui lo ritira.

NERVO. Vedendo che la Commissione non l'accetta, mi contenterò di un ordine del giorno.

CHIAVES, relatore. Ne parleremo quando saremo giunti al fine della discussione, perché si tratta d'argomento estraneo.

PRESIDENTE. Onorevole Nervo, formoli il suo ordine del giorno e lo trasmetta alla Presidenza, intanto si ritiene come ritirato il suo emendamento.

«Art. 5. In garanzia del mutuo suddetto di 500 milioni il Governo italiano depositerà nelle casse della Banca Nazionale obbligazioni dell'asse ecclesiastico per un valore nominale di lire 333,000,000.

«Art. 6. La Banca Nazionale nel regno d'Italia continuerà a fare come ora la vendita delle obbligazioni dell'asse ecclesiastico, di cui all'articolo precedente, in tutte le sue sedi o succursali ed in quelle della Banca Nazionale Toscana.

«Nelle provincie in cui non esistono sedi o succursali delle Banche predette, il ministro delle finanze autorizzerà i tesorieri provinciali ad effettuare la vendita delle obbligazioni per conto della Banca Nazionale nel regno d'Italia.

«Art. 7. Il prezzo di vendita delle obbligazioni resta fissato a lire 85 per ogni lire cento nominali.»

MASSA. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

MASSA. Desidero di avere un chiarimento o dall'onorevole ministro, o dalla Commissione intorno a questo articolo.

Io vedo che quivi è detto: «II prezzo della vendita delle obbligazioni resta fissato a lire 85 per ogni cento lire nominali.»

Io dubito che la dizione dell'articolo non risponda esattamente al concetto dei contraenti. Ritengo che questo sia il minimo, al quale la Banca Nazionale può vendere le obbligazioni date in pegno, m che non aia un prezzo definitivo, di modo che, migliorando il mercato, la Banca possa far suo il maggior valore al quale le obbligazioni potessero alienarsi.

Bramerei quindi che ciò fosse ben chiarito: credo che la Commissione intende l'articolo nel senso da me dichiarato, epperò si potrebbe all'attuale dizione sostituire che il prezzo di vendita delle obbligazioni non potrà essere minoro dell'85 per cento del loro valore nominale. Se non ci fosse difficoltà, bramerei dunque che l'articolo fosse così modificato, od almeno desidererei che la Commissione mi dichiarasse se intende quest'articolo nel senso che a me pare doverglisi attribuire secondo lo spirito della convenzione.

3634 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

CHIAVES, Quest'articolo è precisamente concepito nel senso indicato dall'onorevole Messa. Si tratta di obbligazioni, le quali non possono essere vendute se non al prezzo di 85 lire per ogni cento lire nominali. Questa determinazione del prezzo della vendita equivale anche alla determinazione di un minimum e non altro, come l'onorevole Massa ha appunto inteso.

MASSA. Nel modo con cui è redatto l'articolo, sembra che si voglia dire che il prezzo di 85 lire è invariabile.

Per esprimere il concetto che si ha in animo, si potrebbe dire che il prezzo delle obbligazioni non potrà essere minore di 85 lire.

CHIAVES, relatore. Non è una legge, è un contratto.

VALERIO. Si metta nella lgge un articolo.

MINISTRO PER LE FINANZE. L'intendimento che si ha è veramente quello di determinare che il prezzo di vendita sia' di 85 lire. Se domani mattina uno speculatore presume che queste obbligazioni debbano crescere di prezzo, perché l'emissione sta per finire, ne comprerà per 10, per 20, per 50 milioni, è nell'interesse...

VALERIO. Si metta d'accordo colla Commissione, poiché questo è precisamente il contrario di quello che essa ha detto.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. È il prezzo tassatiro.

MINISTRO PER LE FINANZE. Il relatore della Commissione ha detto che il prezzo non può essere al di sotto di lire 85. (Conversazioni)

Permettano un momento.

Sta bene. Ci sono due cose: il minimum ed il maximum; il minimum è stabilito in lire 85, non si possono vendere al di sotto di questo prezzo, onde non avvengano nuovamente quelle cose che già sono avvenute e che potrebbero nuovamente succedere.

VALERIO. E se si potessero vendere a 87?

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma la Banca non può vendere che ad 85.

Si sovverrà la Camera che, quando io faceva l'esposizione finanziaria e dicevo che poteva l'estinzione del corso forzato venire molto più rapidamente di quello che fosse il consumo di obbligazioni ecclesiastiche per la vendita dei beni demaniali, io accennai che poteva succedere che, quando migliorasse il corso della rendita, allora il pubblico avrebbe, per speculazione, cercato nelle casse della Banca o nelle tesorerie che vendono per conto di essa codeste obbligazioni, e le avrebbe trovate all'85, poiché questo è il prezzo fisso a cui la Banca per parte nostra. deve venderle.

Dico per parte nostra perché è per conto del"erario che queste obbligazioni si vendono, e vanno in diminuzione di tanto debito che si ha verso la Banca. Se poi, una volta che sieno tutte vendute, avverrà un rialzo, tanto meglio; questa sarà una ragione per cui il corso forzoso si estingua più presto.

Bisogna ben notare, signori, che l'estinzione del debito verso la Banca non ai fa se non in quella certa misura che corrisponda all'estinzione delle obbligazioni ed allora, messa la questione così, hanno ragione coloro i quali rimproverano al sistema che si è adottato che si rimandi l'estinzione del corso forzato alle calende greche.

Io ho detto nell'esposizione finanziaria che, se fosse stato adottato il sistema completo quale io lo proponeva l'estinzione del corso forzoso si sarebbe fatta quando il corso della rendita pubblica fosse tale da dare un interesse un poco più del 6 per cento, imperocché evidentemente in quel caso le obbligazioni ecclesiastiche si sarebbero tutte collocate.

Adesso col progetto modificato non posso parlar più di estinzione totale del corso forzoso, imperocché il progetto di legge come resta non provvede che ad una estinzione parziale; ma tutti coloro i quali desiderano che questo corso forzoso si estingua il più presto possibile, non possono non interessarsi a che anche questa estinzione parziale avvenga il più rapidamente che si può: ora perché avvenga il più rapidamente che si può è necessario lasciare l'articolo redatto come è, vale a dire che la vendita di queste obbligazioni si fa ad 85.

Spero che queste dichiarazioni possano soddisfare l'onorevole Massa.

MASSA. Domando la parola per una dichiarazione.

Io non mi oppongo a che la vendita avvenga all'85 per cento, e che in un determinato caso la Banca Nazionale, dando il conto semestrale, possa accreditarsi dell'importo delle obbligazioni in ragione dell'85 per sento; ma quando avvenisse d il mercato migliorasse talmente che le obbligazioni pure migliorassero per la ricerca (sulla piazza fossero alienabili per esempio al 90 per cento), forse che la Banca Nazionale potrebbe addebitarsi solo dell'85 per cento, e non dare il conto di vendita al Governo?

So si fosse operata una vendita fin d'ora, sarei d'accordo coll'onorevole ministro, ma siccome non è che un pegno, così è contrario alla natura del pegno il determinare fin d'ora una quota fissa che, parrebbe essere minore di quella che sul mercato fosse per ottenersi. Questo vantaggio non potrebbe mai lasciarsi alla Banca che per l'articolo 8 ha già un altro guadagno sugli interessi delle vendite fatte in ogni semestre il cui prezzo porta solo a favore dello Stato una sistemazione semestrale del conto.

3635 - TORNATA DEL 28 LUGLIO 1870

Mi pare perciò che le dichiarazioni dell'onorevole relatore della Commissione rispondano meglio ai concetti che la lettura dell'articolo ingenera, ed io non dubito che: avvenendo il caso che io bonificato, anche l'onorevole ministro interpreterebbe la legge nel modo che ho indicato e non darebbe alla Banca un guadagno che non le può appai tenere.

BROGLIO. È evidente che l'onorevole Massa fa un'ipotesi, che non potrà mai verificarsi. Come è possibile che sul mercato le obbligazioni vengano a costare 90 finché c'è un pozzo a cui si può andare ad attingerle a 85? Questo distacco non può verificarsi finché ci saranno azioni invendute presso In Banca.

Un cittadino il quale voglia acquistare di queste obbligazioni si presenta alla Banca, offre 85 lire e la Banca non potrà rifiutargliele; finché ce ne sono a questo prezzo presso la Banca non potranno mai valere 90 in piazza; questo è chiarissimo.

Quando tutte le obbligazioni saranno esaurite, allora diventeranno un valore come tutti gli altri, e avranno il loro prezzo in Borsa.

PRESIDENTE. «Art. 8. Il conto della vendita delle obbligazioni sarà regolato semestralmente il 31 marzo ed il 30 settembre. Il prodotto della vendita risultante da detto conto sarà ritenuto dalla Banca e portato a credito del Tesoro alle date suddette a diminuzione del suo debito pel mutuo di 500 milioni.

«Art. 9. Sulle somme di cui il Tesoro sarà debitore nel conto d«-l mutuo di 500 milioni alle epoche suddette, sarà liquidato e corrisposto alla Banca Nazionale l'interesse annuo di centesimi 80 per ogni cento lire, cessando gl'interessi ora vigenti sul mutuo di 278 milioni e per anticipazione dei cento milioni.

«Art. 10. A misura e fino alla concorrenza della somma che la Banca riceverà dallo Stato per effetto della vendita delle obbligazioni, od altrimenti, in isconto del mutuo di 500 milioni sarà ridotto il limite della circolazione dei biglietti stabilito coll'articolo 4.

«Art.. 11. Dei 500 milioni dovuti dalla Banca allo Stato 50 saranno restituiti in oro.

«Art. 12. Il Governo si obbliga a non vendere altro obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, oltre quelle date in garanzia alla Banca Nazionale, fino a che il credito della Banca sia ridotto a 217 milioni.»

A quest'articolo 12 l'onorevole Griffini ha proposto il seguente emendamento:

«Fino a che il credito della Banca sia ridotto a 217 milioni, il Governo si obbliga a non vendere altre obbligazioni dell'asse ecclesiastico, se non al prezzo di lire 85 per ogni 100 lire nominali, e rimettendone il ricavato alla Banca medesima in conto del di lei vivere.»

Prego la Commissione a dichiarare se accetta questo emendamento dell'onorevole Griffini, che mi pare già in parte soddisfatto nel progetto della Commissione.

CHIAVES, relatore. La Commissione non accetta questa proposta, perché pare che gli articoli della convenzione già soddisfacciano a quello che vuole l'onorevole Grifoni; anzi ha già notato, se non vado errato, l'onorevole Maurogonato in questa discussione che non è solamente a cura della Banca Nazionale, ma ben anche del ministro delle finanze chela vendita si sarebbe fatta presso le tesorerie provinciali di queste obbligazioni per conto della Banca Nazionale; ed il prezzo resta fissato a lire 85 appunto coll'articolo 7.

Quindi la Giunta, come ho detto, non può accogliere questa proposta, perché superflua.

PRESIDENTE. È ciò che io feci osservare all'onorevole Griffini, che quanto egli cercava di scrivere nel suo emendamento era già espresso nel progetto della Commissione.

Onorevole Griffini, pare che ella può ritirarlo.

GRIFFINI LUIGI. Io non sono affatto dell'avviso dell'onorevole relatore della Commissione, che il di lei progetto provveda sufficientemente, e che altri articoli proposti dalia Commissione tolgano quel vincolo al Governo che io vorrei eliminato col mio emendamento all'articolo 12. Però trattandosi di un emendamento che è proposto non già ad un articolo di legge, ma ad una convenzione, e siccome finché questo emendamento possa essere accolto occorrerebbe anche l'adozione dell'altra parte contraente, cioè della Banca Nazionale, cosi dal momento che vedo che la Commissione non ha creduto di accettarlo, quantunque io l'abbia proposto in tempo perché essa potesse studiarlo e parlarne con l'amministrazione delta Banca, e malgrado deplori che la Commissione abbia voluto stravincere respingendo anche questo emendamento, della cui opportunità io sono perfettamente convinto, dichiaro di ritirarlo, non volendo ora far sorgere delle difficoltà che sarebbero contrarie ai miei propositi e che reputerei pericolose.

3636 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

CHIAVES, relatore. Se l'onorevole Griffini ha ben udito le dichiarazioni della Commissione, essa non ha detto di respingere l'emendamento da lui presentato, poiché vi fosse contraria, ma disse che lo credeva superfluo, perché ciò che la sua proposta mirava ad ottenete era già compreso negli articoli di cui ho parlato.

Anzi questa dichiarazione della Commissione dovrebbe persuadere viemeglio l'onorevole Griffini dell'utilità del suo emendamento, in quanto che quando es»a afferma che l'articolo al quale ho accennato corrispondeva alla formola daini proposta, fa in tal modo una dichiarazione della quale dovrebbe l'onorevole Griffini esser pago, dappoiché questa dichiarazione risulta mossa appunto dall'emendamento da lui presentato.

GRIFFINI L. Io non posso fare una discussione dal momento che ho ritirato il mio emendamento; debbo però dichiarare che non sono niente affatto persuaso di ciò che ha detto l'onorevole relatore della Commissione...

CHIAVES relatore. Perdoni, delle mie dichiarazioni sono persuaso io; non importa che ne sia persuaso lei.

GRIFFINI L.... e sono certo che ove potessi rientrare nella discussione, potrei persuadere la Camera come questo mio emendamento sia necessario.

PRESIDENTE. L'onorevole Nicotera ha la parola per una mozione d'ordine,

NICOTERA. Sono tre giorni che l'onorevole mio amico Corte ed io abbiamo depositato sul banco della Presidenza una domanda rivolta all'onorevole presidente del Consiglio, e fino a questo momento non venne letta alla Camera. Io prego quindi l'onorevole presidente a volerne dare lettura.

PRESIDENTE. Ella sa che il presidente non ha letto questa domanda, perché il presidente del Consiglio non era presente quando fu presentata.

Non la posso leggere adesso giacché la discussione sulla convenzione esilia Banca è già incominciata; e l'onorevole Nicotera dovrebbe sapere, se non gliel'ha detto l'onorevole Corte, che fu deciso che quando saremmo giunti alla fine della votazione della convenzione colla Banca, immediatamente avrei data lettura della sua domanda.

NICOTERA. Mi perdoni un'osservazione; sono tre giorni che questa domanda è presentata.

PRESIDENTE. Ed io l'avrei letta, se il presidente del Consiglio fosse stato presente e la Camera non avesse avuto altro in discussione.

E l'onorevole Nicotera sa che quando c'è una discussione incominciata sarebbe mancanza verso la Camera l'interrompere il lavoro del quale essa sta occupandosi per mettere fuori un'altra proposta.

DI RORÀ. Dal momento che è stata interrotta per altro la discussione...

Voci. No! no!

DI RORÀ. Scusino, per il fatto è stata interrotta, e quindi, siccome mi pare che sia un soggetto abbastanza interessante, pregherei la Camera ad autorizzare il presidente a dare lettura di quella domanda.

PRESIDENTE. Lasci terminare la discussione della convenzione.

«Art. 14. La presente convenzione avrà il suo effetto il giorno successivo a quello in cui sarà approvata per reale decreto.»

Ora pongo ai voti l'articolo primo del progetto generale, che è il seguente:

«Il Governo del Re ha facoltà di stipulare colla Banca Nazionale nel regno d'Italia la convenzione contenuta nell'allegato E.

«Prima che il credito della Banca verso lo Stato sia ridotto di lire 283 milioni, il Governo provvederà alla estinzione totale del mutuo di 500 milioni ed alla cessazione del corso forzato.»

MASSARI G. Domandola parola per una mozione d'ordine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

MASSARI 0. Desidero rivolgere una preghiera all'onorevole presidente; vorrei sapere per qual motivo dal giorno di mercoledì in poi non è stato distribuito alla Camera il rendiconto dei dibattimenti parlamentari.

PASSAVINI. Anche i ministri tardano.

PRESIDENTE. Deggio dire alla Camera che gli onorevoli Ferrara e Seismit-Doda e forse anche altri oratori che hanno parlato in quel giorno, e nel seguente, non hanno consegnato in tempo alla stamperia il manoscritto dei loro discorsi, per quante sollecitazioni si sieno fatte.

LAZZARO. Molte volte per i ministri si aspetta tre giorni. (No! a destra)

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mussi, Sonzogno, Curzio, Antona-Traversi, Fanelli, Mauro, Ripari, Lorenzoni, Lazzaro, Bottero, Nicolai, Olivieri, Frigari, Marolda, Castellani, Zizzi e Asproni chiedono la votazione nominale su questo articolo 1.

Si procederà all'appello; coloro che lo approvano, risponderanno ad alta vece sì; coloro che lo respingono, risponderanno ad alta voce no. (Si procede all'appello nominale.)

Votarono in favore:

Acton - Adami - Alfieri - Amabile - Andre-ucci

-

Araldi - Arrigossi - Arrivabene - Atenolfi - Bandini - Bargoni - Bassi - Bellelli - Bernardi - Bersezio - Berti Domenico - Berti Lodo vico - Bertolè Viale - Bianche! i avvocato - Bianchi - Boncompagui - Bonghi - Borgatti - Borromeo - Bori - Breda - Briganti-Bellini - Brignone - Broglio - Cadolini

-

Gagnola Carlo - Gagnola G. B. - Camuzzoni - Cantoni - Carazzolo - Carini - Casati - Castagnola - Caskellani-Fantoni - Cavalietto - Cavallini - Cavriani - Checchetelli - Chiaves - Como - Concini - Correnti - Corsini - Cosenz - Costa Luigi - D'Amico - Damis - D'Ancona - D'Aste - De Blasiis - De Capitani - De Filippo - De Martino - Deodato - Dina - Di Rudinì - Di Sambuy - Di San Tommaso - Donati - Fabris - Fabrizi Giovanni - Pacchi - Fenzi - Pinocchi - Fogazzaro - Fornaciari - Gabelli - Galeotti - Gaola-Antinori - Garzoni - Gerra - Giacomelli - Giglincci - Giorgini Carlo - Giorgini G. B. - Goretti - Covone - Grattoni - Griffini Luigi - Grossi - Guerrieri-Gonzaga - Guiccioli - Guttierez - La Marmora - Lancia di Brolo - Lanza - Lo-Monaco - Loro - Maggi - Maldini - Malenchini - Mancini Girolamo - Manna - Marazio - Marchetti - Mariotti - Martinati - Massa - Massari Giuseppe - Massari Stefano - Mattei - Maurogonato - Mazzagalli - Messedaglia - Minghetti - Mongenet - Mongini - Monti Coriolano - Monti Francesco - Mordini - Morelli Carlo - Morelli Giovanni - Moretti - M orini - Morosoli - Morpurgo - Murgia - Negrotto - Nervo - Nisco - Nobili - Non - Ornar - Padovani - Paini - Paulucci - Papafava - Pasetti - Pasini - Pasqualigo - Pellegrini -Pera - Perazzi - Peruzzi - Pianell - Piccoli - Piolti de' Bianchi - Piroli - Podestà - Possenti - Quattrini - Rasponi - Riboty - Ricasoli Bottino - Ricasoli Vincenzo - Righi - Robecchi - Rorà - Salvagnoli - Sandonnini - Sanguinetti - Sanminiatelli - Sartoretti - Sebastiani - Sella - Serafini - Serra-Cassano - Sgariglia - Siccardi - Silvani - Sirtori - Sormani-Moretti - Spaventa Silvio - Speroni - Spini - Tenani - Tenca - Testa- Tornielli - Torre - VaTussi - Valvasori - Villa Pernice - Visconti-Venosta - Visone.

Votarono contro:

Abigneute - Alvisi - Amaduri - Angeloni - Antona-Traversi - Asproni - Avit&bile - Bertea - Bottero - Bove - Brunetti - Bullo - Cairoli - Calvino - Camerata-Scovazzo - Campisi - Cancellieri - Cannella - Capozzi - Carbonelli - Carganico - Gasarini - Castellani Gic. Battista - Castiglia - Catucci - Ciliberti - Consiglio - Corrado - Corte - Cosentini - Crispi - Grotti - Cucchi - Corti - Curzio - Damiani - De Cardenas - De Luca Francesco - Del Zio - Depretis - De Sanctis - Di Belmonte - Di Blasio - Di San Donato - Fabrizi Nicolo - Fanelli - Fai ini - Ferraciù - Frisari - Garau - Ghinosi - Grassi - Gravina - Greco Luigi - Grifoni Paolo - Lacava -

3647 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

La Porta - Lazzaro - Lobbia - Lorenzoni - Levito - Macchi - Mannetti - Marolda-Petilli - Marsico - Massai-ucci - Matina - Mauro - Mazzarella - Melchiorre - Merialdi - Mezzanotte - Miceli - Michelini - Molinari - Monzani - Morelli Donato

-

Morelli Salvatore - Musolino - Mussi - Nicola! - Nicotera - Nunziante - Oliva - Olivieri - Palasciano - Paris - Parisi - Pecile - Pepe - Pescetto - Pianciani - Pissavini - Fiutino Antonino - Ranco - Ranieri - Rattazzi - Rega - Ricci - Ripandelli-Ripari - Rizzari - Rogadeo - Romano - Ronchetti - Rossi - Salaris - Sansoni - Servadio - Sineo - Sipio - Sole - Solidati - Sonzogno - Sprovieri - Strada - Tamaio - Torrigiani - Toscanelli - Trevisani - Ugo - Ungaro - Valerio - Viacava - Vili» Tommaso - Zanardelli - Zarone - Zizzi.

Si astennero:

Bortolucci - Costamezzana - Giusino - Masci - Fiutino Agostino - Spantigatì.

Assenti:

Accolla - Acquaviva - Àlippi - Aliprandi - Amore - Andreotti - Annoni - Assanti Pepe - Assaliti Damiano - Baino - Barazzuoli - Barone - Barracco (in congedo) - Bartolucci-Godolini - Berubo (in congedo) - Bertani - Bertini (in congedo) - Bertolami (in congedo) - Billia - Biancheri ingegnere - Bonfadini - Botta - Bottari - Bottìcelli - Bràcci - Brenna - Bruno - Buratti - Busi - Cadorna (in congedo) - Cafisi - Calandra - Calvo - Capone (in congedo) - Car cani - Carcassi - Carleschi (in congedo) - Carrara - Casaretto - Castelli - Cattaui-Cavalcanti - Chidichimo - Cioarelli (in congedo) - Cimino - Civivini (in congedo) - Colesanti - Collotta (in congedo) - C o min - Conti (in congedo) - Corapi.- Corsi - Cortese - Costa Antonio - Cugia - CumboBorgia - Danzetta (in congedo) - D'Ayala (in congedo) - De Boni (in congedo) - Del Giudice - Delitaia - Del Re (in congedo) - De Luca Giuseppe - De Pasquali - De Sterlich - De Ruggero - Di Monale (in congedo) - Di Revel (in congedo) - D'Ondes-Reggio Giovanni - D'Ondes-Reggio Vito - Emiliani-Giudici (in congedo) - Fambri - Fano - Farina - Ferrara - Ferrari (in congedo) -. Ferraris (in congedo) - Ferri - Fiastri - Finzi - Fonseca - Fossa - Fossombroni (in congedo) - Frapolli - Frascara - Friscia - Galati - Galletti (in congedo) - Gigante - Giunti - Golia - Greco Antonio - Creila - Guerrazzi - Guerzoni (in congedo) - La Masa - Leardi - Légnazzi (in congedo) - Leonii - Lualdi - Maiorana Calatabiauo - Maiorana Cucuzzella - Maiorana Benedetto - Mancini Stanislao - Mantegazza (in congedo) - Marcelle (in congedo) - Mari - Marincola - Martelli Bolognini (in congedo) - Martinelli - Martire - Marzi - Mazziotti - Mazzucchi (in congedo) - Melissari - Mellana - Merizzi - Merzario - Minervini - Molfino -

Mosti - Muti (in congedo) - Napoli - Origlia - Panattoni (in congedo) - Pandola - Pelagalli - Pellatis - Pescatore - Pessina - Petrone - Pieri -. Pisacane (in congedo) - Pisanelli - Polsinelli - Praus - Puccioni - Raeli - Ranalli - Regnoli - Restelli (in congedo) - Riberi - Ruggero Fiancesco - Salomoue - Saivago - Salvoni - Sandri - Sangiorgi - San Martino - Schininà (in congedo) - Seisnùt-Doda - Semenza - Serristori - Serpi - Spaventa Bertrando - Speciale - Stocco - Tofane (in congedo) - Tommasini (in congedo) - Toscano - Tozzoli (in congedo) - Trigona Domenico - Trigona Vincenzo - Valitutti - Verga - Vicini - Vigo-Fuccio - Villano - Villa Vittorio - Vinci - Vollaro - Zaccagnino - Zauli - Zuradelli - Zuzzi.

Risultamelo della votazione:

Presenti 315

Votanti.308

Risposero 180

Risposero no 128

Si astennero 7

(La Camera approva.)

PRESENTAZIONE DI UNA RELAZIONE.

PRESIDENTE. L'onorevole Villa-Pernice ha facoltà di parlare per presentare una relazione.

VILLA PERNICE, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera un'aggiunta alla relazione della Commissione incaricata di riferire sul progetto di legge per la riscossione della imposte dirette. (V. Stampato n° 81-B)

Quest'aggiunta si riferisce ali' emendamento dell'onorevole Pisanelli, che venne rinviato alla Commissione perché lo esaminasse.

PRESIDENTE. Quest'aggiunta alla relazione sarà stampata e distribuita.

DOMANDA DEI DEPUTATI CORTE E NICOTERA SULLA DICHIARAZIONE DI NEUTRALITÀ, E PROPOSTA DEL DEPUTATO MICELI E DI ALTRI PER UNA DISCUSSIONE SULLA POLITICA ESTERA.

PRESIDENTE. Come la Camera ha inteso, è stata presentata, or son tre giorni, la seguente domanda di interrogazione dagli onorevoli Corte, Nicotera e Miceli:

«I sottoscritti desiderano sapere dall'onorevole signor presidente del Consiglio dei ministri se e quando il Governo del Re intendo di pubblicare il suo manifesto di neutralità.»

3638 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Prego l'onorevole presidente del Consiglio a voler dichiarare se e quando intenda rispondere a questa interrogazione.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Subito.

CORTE. Io fui lietissimo quando udii in una delle antecedenti sedute il presidente del Consiglio dei ministri e l'onorevole ministro degli affari esteri dichiarare che il Governo italiano intendeva mantenere in questa guerra, che si sta per incominciare tra la Prussia e la Francia, un'attitudine di osservazione vigilante, un sistema di neutralità.

Udii di più con piacere l'onorevole ministro degli affari esteri dichiarare che il Governo italiano intendeva in questa vertenza di associarsi alla linea di politica conciliatrice e desiderosa di pace seguita da altre potenze, ed in i specie-dal Governo inglese.

Or bene, io ho visto che, dopo che si è pubblicatala dichiarazione di guerra per parte delle potenze belligeranti, l'Inghilterra ha pubblicato un solenne manifesto di neutralità, come si u -a di fare presso i popoli civili affinché i sudditi di ciascuna nazione sappiano quali sono i loro doveri durante un conflitto in cui il loro Governo intende mantenersi imparziale, e sarebbe strano che dovessero saperlo, per esempio, dai giornali e non per mezzo del loro Governo.

A noi son note le relazioni molto intime le quali esistono tra il porto di Genova e quelli della Francia; noi abbiamo in Italia una compagnia ferroviaria la quale ha una gran parte d'interessi francesi.

Noi abbiamo il dovere, volendo essere neutri, di mantenerci tali con tutta la lealtà; epperciò credo che al Governo incomba stretto dovere di render consapevoli gli Italiani di questa situazione di cose, e di avvertirli che qualora essi in qualche modo direttamente od indirettamente partecipassero alla guerra o facessero atti tali da violare la neutralità, essi non potrebbero in verun molo invocare quella protezione che ai cittadini è accordata dallo State.

Ed io credo che sia tanto più necessario in queste contingenze di fare la solenne dichiarazione di cui ho poc'anzi parlato, anche per calmare molte apprensioni, le quali si sono manifestate nel paese in seguito ad articoli di giornali esteri più o meno ufficiosi, i quali hanno riferito, contrariamente a quello che ne abbiamo sentito dichiarare in questo Parlamento dai ministri, che il Governo italiano era impegnato in un'alleanza e Ila Francia.

E naturalmente qualunque ritardo nella pubblicazione di questo manifesto di neutralità non può che dare un certo peso alle voci che si sono diffuse, che in credo false, perché se fossero vere sarebbero molto offensive alla lealtà- del Gabinetto italiano, ed io non posso credere che egli abbia fatte alla Camera le dichiarazioni che abbiamo udite, se non fosse perfettamente deciso di rimanere in quolla via di condotta politica che ci ha tracciata.

Io spero per conseguenza che la risposta dell'onorevole presidente del Consiglio sarà tale da appagar me o tutti coloro i quali desiderano (e sono la gran generalità degli Italiani) che la neutralità sia religiosamente e lealmente rispettata dai nostri concittadini tanto verso l'uno che verso l'altro dei belligeranti.

PRESIDENTE L'onorevole presidente del Consiglio ha facoltà di parlare.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. (Segni d'attenzione) Dopa le dichiarazioni così esplicite fatte a nome del Governo dal Ministero avanti alla Camera, a me pare che non possano avere verun peso sull'opiniona pubblica gli articoli pubblicati in alcuni diari, i quali, come l'onorevole Corte testé asseriva, mettono in dubbio le dichiarazioni fatte dal Governo, giacché non si può supporre che un Ministero, per poco che si rispetti,vogHa avanti alla nazionale rappresentanza fare una dichiarazione esplicita di neutralità coll'intendimento poi di contemporaneamente violarla.

Ciò detto, vengo all'interrogazione mossa dall'onorevole deputato Corte, il quale desidera di sapere se e quando il Governo intenda di pubblicare un manifesto di neutralità onde rammentare ai cittadini i loro obblighi verso la neutralità, quali sono sanciti dal diritto internazionale.

A tale proposito io debbo dire all'onorevole Corte che il Governo del Re ebbe solo ieri l'altro una comunicazione ufficiale e diplomatica dalle potenze le quali intendono prender parte alla guerra; per conseguenza se fin qui non ha ancora pubblicata veruna dichiarazione, non si deve attribuire a trascuranza, ma tale ritardo derivò unicamente da che i riguardi dovuti alle potenze le quali vogliono impegnarsi nella guerra richiedevano che si attendesse da 1 To una comunicazione ufficiale, non dovendosi ritenere bastevoli le notizie che si potevano per avventura ottenere per via di giornali esteri.

Ora dunque che è ufficialmente conosciuta l'odierna condizione delle cose, ed è noto quali sono le potenze che intendono prender parte alla guerra, il Ministero venne in divisamento di fare siffatta pubblicazione, che diffatti verrà in luce nel giornale ufficiale di quest'oggi.

3639 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

Null'altro ho (a aggiungere all'interrogazione direttami dall'onorevole Corte.

NICOTERA. L'onorevole presidente del Consiglio ha detto che le affermazioni e dichiarazioni dei giornali esteri e le corrispondenze di taluni giornali del regno non hanno veruna importanza di fronte alle esplicite dichiarazioni che il Ministero ha già fatte ed a quelle che or ora ha ripetute; ed io, pur comprendendo la giustezza delle parole dell'onorevole presidente del Consiglio, gli osserverò che il paese si preoccupa molto della questione, e, senza per nulla forse negar fede alle sue promesse ed a quelle de' suoi colleghi, dubita un poco.

L'onorevole presidente del Consiglio poi sa quanto me che le dichiarazioni di neutralità non sono mai assolute, e che un Governo può mutare la neutralità in partecipazione alla guerra.

Ora, di fronte a questa situazione, io credo che non bastino le dichiarazioni fatte dall'onorevole presidente del Consiglio, e credo invece convenga che il Ministero ed il Parlamento s'intendano bene su questa questione; tanto più che probabilmente fra qualche giorno quest'Aula rimarrà deserta; e noi ritorneremo alle nostre ca?e, senza nulla aver detto in proposito, senza che il Ministero abbia potuto spiegare francamente la sua politica, e senza che una maggioranza della Camera abbia potuto nettamente dichiarare se ha o non ha fiducia nell'attuale Gabinetto. Credo che, se così avvenisse, creeremmo al Governo ed al paese una situazione assai difficile, che può tonnare gradita a qualche partito, ma che non può soddisfare a coloro che si preoccupano, al di sopra degli interessi dei partiti, delle questioni vitali del paese.

La discussione deve pure aver luogo, perché, come tutti fanno, le truppe francesi si sono ritirate dallo Stato pontificio. (Ilarità)

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Quando?

NICOTERA. Almeno si afferma che si ritireranno. (Oh! Oh! a destra)

Sentano, io ho poca voglia di parlare, anche perché fisicamente non sto bene; comprenderanno perciò che non ho volontà di fare un discorso. A quelli che mi stanno dirimpetto e che negano il fatto, io dirò che le affermazioni vengono dalla loro parte, dagli organi di parte loro. (Rumori a destra)

Dunque si è detto, si è scritto, si è stampato che le truppe francesi lasceranno il territorio romano; ebbene, io credo che convenga entrare in questa questione, e sappi e se questo avviene per effetto di un accordo col Governo italiano, o se avviene indipendentemente da qualsiasi accordo. (Movimento)

Mi riassumo.

Io non posso essere soddisfatto della risposta dell'onorevole presidente del Consiglio: primo, perché non mi basta una semplice dichiarazione di neutralità, ed ho bisogno di avere dal Ministero delle spiegazioni esplicite; secondo, perché credo che il Ministero ha il dovere di dichiarare alla Camera quale è il suo programma politico, e la Camera ha pur quello di manifestare la sua opinione intorno al programma politico del Ministero.

Così si eviteranno dei malintesi che potrebbero nascere nel paese, e si metterà la Corona in condizione di sapere se il Ministero rappresenta veramente la maggioranza della Camera.

Come vede il Ministero, io sono in questo momento dal Iato a lui favorevole. Se avvi tempo in cui il Governo ha bisogno di tutto l'appoggio morale del Parlamento è certamente questo.

Io non desidero crisi extra-parlamentari; quando debbono avvenire desidero che succedano per voto del Parlamento; ed è pure per questo che desidero si sappia se l'attuale Ministero ha la fiducia della maggioranza della Camera.

Se fosse possibile, formolerei la proposta all'inglese, domanderei che la Camera si pronunziasse se ha oppur no fiducia nella politica dell'attuale Gabinetto.

Io quindi propongo formalmente che domani, domenica, senza che la Camera interrompa i suoi lavori ordinari, si tenga una seduta straordinaria por trattare di tale questione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Miceli, Oliva e Damiani hanno mandato al banco della Presidenza la seguente proposta:

«Considerando che la rappresentanza nazionale ha il diritto e il dovere incontestabile di manifestare la sua opinione nelle gravissime circostanze create all'Italia dalla guerra sorta tra la Francia e la Prussia;

«Considerando che un Governo patriottico e liberale non può aver ragione al silenzio della Camera; che anzi dal voto ài essa può unicamente attingere norme alla sua condotta;

«I sottoscritti pregano la Camera di fissare a lunedì una discussione in proposito.»

Voci. Domani 1 domani!

Altre voci. No! Lunedì!

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. L'onorevole Nicotera si è dichiarato poco soddisfatto delle spiegazioni e della risposta da me data all'interrogazione presentata dall'onorevole Corte ed anche sottoscritta dall'onorevole Nicotera.

Si domandava se il Governo intende di far pubblicare nel giornale ufficiale una dichiarazione di neutralità, ed io ho risposto che ciò si farebbe oggi stesso; cosicché non mi pare che si potesse rispondere più categoricamente ed in modo più soddisfacente a quella interrogazione.

Ora prendendo le mosse da quest'incidente, l'onorevole Nicotera vorrebbe che la Camera fissasse un giorno per discutere sulla politica che il Governo in tende seguire.

LAZZARO. Sulla questione di Roma.

PRESIDENTE. È la questione politica in fine.

3640 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. È bene che la cosa sia precisata. S'intende di fare un'interpellanza per conoscere quale sia la politica del Ministero tanto all'interno quanto all'estero. È questo? (Bisbiglio a destra)

Se la Camera intende intraprendere una discussione sopra quest'argomento, il Ministero non può e non deve rifiutarsi; è pronto ad accettarla, ma, come ben si può prevedere, in quanto alla politica estera, le condizioni attuali imporranno dei riguardi al Ministero. Egli non potrà certamente prevedere tutte le eventualità, né fare delle ipotesi sull'avvenire e ad ogni ipotesi determinare la via che sarà per seguire.

Premetto tali avvertenze perché non vorrei per avventura deludere l'aspettazione degl'interpellanti.

Tutto quanto però potrà dire senza compromettere l'avvenire, il Ministero è disposto ad esporlo, ma naturalmente bisogna tenere conto della situazione attuale d'Europa e dei riguardi che essa impone al Governo nel fare qualsiasi dichiarazione.

NICOTERA. Creda pure l'onorevole presidente del Consiglio che non è mio intendimento, né quello dell'onorevole mio amico. Corte di suscitare delle discussioni che possano creare degli imbarazzi al Governo. Nostro scopo principale è anzi di diminuirgli gl'imbarazzi quanto più è possibile e procurare che il Ministero si abbia tutta la forza morale dal voto del Parlamento. (Bisbiglio a destra)

Se le dichiarazioni saranno tali da soddisfare una maggioranza nella Camera, probabilmente non soddisfaranno né me né i miei amici, allora quella stessa maggioranza che l'ha appoggiata nella questione finanziaria e nella questione della Banca, l'appoggerà nella questione politica, e quando la Camera sarà prorogata, resta indicato alla Corona che il Ministero che gode la fiducia della maggioranza della Camera è l'attuale. Se poi vi sarà una maggioranza che non crederà di accordare la sua fiducia al Ministero, allora la Corona saprà, e non ha bisogno che io glielo dica, qnal è il modo che deve tenere per dare al paese un Ministero che rappresenti la sua maggioranza legale.

Io comprendo che vi sono dei punti sui quali il Ministero deve contenersi in certi limiti, ma il Ministero dirà quello che crederà di poter dire, e non mancheranno quelli, che sono facili a contentarsi, che gli ricorderanno la loro fiducia.

Intesa così la cosa, io sono sicuro che il Ministero acconsentirà che questa discussione si faccia, e non vorrà apporvisi, perché sarebbe strano che il Ministero in questi momenti non volesse fare una discussione che lo mettesse in condizione di sapere se ha una maggioranza che politicamente ha fiducia in lui.

Fino a questo momento sappiamo che esiste una maggioranza che ha fiducia finanziariamente, che ha fiducia in certe combinazioni bancarie, ma non sappiamo che esista una maggioranza che ha fiducia politicamente. Ebbene, nell'interesse stesso del Governo, io credo che convenga sapere se esiste una maggioranza che politicamente appoggia il Ministero.

Insisto adunque nella mia proposta, che domani si tenga seduta e che si discuta la questione.

CORTE. Io mi permetto di aggiungere alcune parole alle considerazioni esposte dal mio amico Nicotera, le quali parole, spero, varranno a convincere sempre più l'attuale amministrazione che la proposta che abbiamo fatto, anziché un atto di ostilità, è piuttosto un atto di amicizia e di benevolenza.

Io accetto intieramente le dichiarazioni che sono state fatte dal Ministero, vale a dire di voler mantenere la neutralità, e di volere, nel trattare la questione ora pendente tra Francia e Prussia, navigare nelle acque dell'Inghilterra.

Ora, siccome io credo che questa sia l'unica linea che convenga a noi di seguire attualmente, io vorrei che il Ministero, il quale ha fatto già prima delle dichiarazioni in questo senso, avesse l'occasione di farne delle così esplicite, da avere in questa sua condotta politica un voto solenne dal Parlamento, il quale gli desse forza onde attraversare tutte le opposizioni e tutte le difficoltà che immancabilmente egli troverà sulla sua strada, volendo raggiungere questo scopo.

Io credo che a nessuno più che all'attuale amministrazione convenga, su questo terreno di larga, leale neutralità, desiderare di rendere questa guerra circoscritta per quanto è possibile, e di non lasciarsi trascinare da vano entusiasmo, né da nessun interesse secondario politico, in complicazioni, le quali non potrebbero ora che mettere a repentaglio i supremi interessi dell'Italia.

Ripeto che credo che a nessuno più che all'attuale amministrazione convenga di avere un voto di fiducia largo ed esplicito, il quale gli dia una base salda per potere attraversare tutte le difficoltà alle quali noi ora con un moto uniformemente accelerato andremo incontro. (Bene! a sinistra)

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Mi pare che è perfettamente inutile continuare in queste raccomandazioni, quando il Ministero ha dichiarato che accetta questa interpellanza appunto sopra il terreno politico.

Dopo i voti ripetuti dati dal Parlamento a questo Ministero sopra questioni importantissime, e con i mezzi di cui lo ha fornito, esso può lusingarsi, senza peccare di orgoglio, di avere l'appoggio della maggioranza della Camera. (Bisbiglio a sinistra)

Ma se si vuole portare segnatamente la questione di fiducia anche sul terreno politico, il Ministero ripete quello che ha già detto prima, cioè che è dispostissimo ad accettare una discussione a questo riguardo. Pregherei soltanto che tale interpellanza venisse differita a lunedì.

Alcune voci a sinistra. No! noi Domani!

Voci a sinistra ed al centro. Sì! sì! Lunedì!

3641 - TORNATA DEI, 23 LUGLIO 1870

MICELI. Io mi compiaccio che finalmente l'onorevole presiedute ilei Consiglio si sia accorto che è venuto il tempo di dare sfogo alla interpellanza che da parecchi giorni era stata presentata alla Camera dagli onorevoli miei amici Oliva, Damiani e da me.

Giacché l'onorevole presidente del Consiglio accetta l'interpellanza, io non ho altro da aggiungere, e consento di lieto animo che questa discussione sia rimandata a lunedì.

Alcune voci a sinistra Domani!

PRESIDENTE. Prima di tutto faccio osservare che se si tratta di rivolgere un'interpellanza, a tenore del regolamento, non può parlare che l'interpellante, salvo che presenti una proposta di deliberazione che viene poi discussa dalla Camera; o s'intende di fare una di«scusatone su quest'argomento, ed in tal caso è pure bene che la Camera, come il suo presidente, lo sappiano in modo preciso.

OLIVA. Io vorrei domandare all'onorevole presidente del Coniglio se l'accettazione che egli ha fatto si riferisce unicamente all'interpellanza che fu presentata dall'onorevole Miceli e da me, oppure anche alla discussione politica che si vorrebbe intavolare.

In questo caso, dal canto mio, sarei pronto a ritirare l'interpellanza, e pregherei anche quelli che si sono a me uniti a volere consentire a questo ritiro, affinché la discussione possa ampiamente e larghissimamente svolgersi.

NICOTERA. Io credo che non può esservi più questione, poiché ho espresso chiaramente qual è il mio concetto.

Noi dobbiamo fare una discussione su tutto il programma politico del Ministero, essendo necessario che si sappia se esso gode, oppure no, la fiducia della maggioranza del Parlamento; e non si può sapere questo stnza una larga discussione politica su tutto il programma politico del Ministero.

Io pregherei quindi il Ministero a non voler mettere delle difficoltà a che si tenga una seduta straordinaria.

Il Ministero ha avuto premura di affrettare la discussione della convenzione colla Banca, bisogna quindi cercare di guadagnar tempo quanto più è possibile, se si vogliono discutere le ferrovie, e prego il Ministero ad accettare la seduta straordinaria di domani, così faremo più presto.

LA PORTA. Aderisco alla proposta dell'onorevole Nicotera, e desidererei che fosse fissato innanzi -che non sia una interpellanza, ma una dichiarazione di programma, poiché non vorrei che il regolamento venisse colle sue disposizioni a limitare la discussione che io vorrei larga quanto è possibile. (Rumori a destra)

MORELLI DONATO. Io domando se il voto politico che si intende provocare dalla Camera debba limitarsi alla questione estera, ovvero se essa debba implicare anche l'altra questione egualmente gravissima della politica interna, della politica amministrativa.

Io aspetto dagli onorevoli interpellanti questa risposta per regolare le mie mosse.

PRESIDENTE. Onorevole Morelli, questo risalterà dalla discussione.

Voci a destra. Noi no!

Voci a sinistra. Sii sii

PRESIDENTE. Mi perdonino, non si può fin d'ora sapere il significato della discussione.

MORELLI DONATO, lo prego e desidero che sia inteso molto bene questo, cioè, che il voto politico sia provocato e dato complessivamente su la politica estera e su la politica interna; altrimenti io fin da questo momento farò uca domanda esplicita al Parlamento, cioè a dire, come l'onorevole Nicotera ha fatto quella perché sia provocato un voto di fiducia sulla questione estera, io farei l'altra che sia provocata contemporaneamente la questione di fiducia o di sfiducia sulla politica interna ed amministrativa del paese.

TOSCANELLI. Propongo l'ordine del giorno puro e semplice (Bene! benel a destra - Rumori a sinistra ed al centro), perché allo stato attuale delle cose il Ministero non potrà dire alcuna cosa al di là di quello che ripetutamente da esso noi abbiamo udito.

Credo perciò che una discussione sulla politica estera ed interna, in questo momento, sarebbe inopportuna. (Vivi rumori a sinistra)

Voci a sinistra. Noi no 1

TOSCANELLI. E perciò propongo l'ordine del giorno puro e semplice.

PRESIDENTE. Onorevole Toscanelli, il Ministero accetta.

Una voce al centro. Non ha ragione d'essere.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno puro e semplice vuol dire votare contro la proposta, ma se non c'è proposta? (rumori continuano in varie parti della Camera)

Allora il Governo avendo aderito a che questa discussione si faccia, rimane inteso che...

NICOTERA. Ritiro lamia proposta perché la discussione si faccia domenica.

PRESIDENTE. Lunedì si farà la discussione sulla politica estera ed interna, e dichiaro che le iscrizioni rimangono aperte fin da questo momento.

TOSCANELLI. Domando la parola sulla posizione della questione.

Se è accettata la proposta dal Ministero, si può mettere ai voti la mia dell'ordine del giorno.

PRESIDENTE. (Con forza) Le ripeto che non essendovi proposta, l'ordine del giorno puro e semplice n-n può aver luogo. (Vivi segni d'impazienza in alcuni banchi)

3642 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

L'onorevole Broglio ha la parola per un appello al regolamento.

BROGLIO. Io credo che nessuno pretenderà che in un'Assemblea si possa e si debba fare una discussione quando l'Assemblea stessa non la volesse fare. È dunque evidente che, ad ogni interpellanza, accettata o noa accettata dal Ministero, si può da un membro della Camera o contrapporre l'ordine del giorno puro o semplice, come propose l'onorevole Toscanelli, o chiedere che l'interpellanza si faccia in un termine più lontano di quello che gli onorevoli interpellanti chiedessero e che il Ministero accettasse. (Rumori a sinistra)

CHIAVES, relatore. Domando la parola contro l'ordine del giorno puro e semplice. (Bene ! Bravo! a sinistra)

BROGLIO. Io non pretendo che l'ordine del giorno puro e semplice abbia ad avere la precedenza sopra un'altra proposta; ma è evidente che ci deve pur essere un modo col quale la Camera possa esprimere la sua volontà, se vuole o non vuole una data discussione in un dato momento. (Continuano i rumori)

Per questo io propongo che la discussione sopra questa interpellanza sia rimandata dopo la discussione sulle ferrovie (Uh! uh! - Vivi rumori a sinistra), e prego l'onorevole presidente di mettere ai voti la mia proposta.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno puro e semplice non ha luogo di essere perché, come dissi, non c'è proposta; ccl anche perché, a tenore del regolamento, quando si domanda di fare un'interpellanza e che il Governo l'accetta, la Camera fissa il giorno e non altro; ma sta però la proposta dell'onorevole Broglio che vorrebbe rinviata l'interpellanza in questione dopo la discussione dei provvedimenti ferroviari.

Ora se l'onorevole Broglio persiste nella sua proposta la porrò ai voti.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Comprenderà la Camera quale sia la posizione del Ministero in questo momento.

Quando sorgono deputati i quali mettono in dubbio che il Ministero possa godere della fiducia della Camera (Bravo I a sinistra) e che per esplorare se esso abbia o no questa fiducia si propone un'interpellanza, è dovere del Ministero di accettarla, tanto più quando la Camera è in procinto di cessare dai suoi lavori e che il Ministero dovrà trovarsi solo davanti al paese.

È evidente che quando vi possa essere alcun dubbio che il Parlamento non abbia la fiducia nell'attuale Ministero, questi si troverà in faccia al paese in uno stato di debolezza. (Bravo ! Bene ! a sinistra e al centro)

Ora interessa a tutte le parti della Camera che vi sia un Governo forte, e poiché, mentre da alcuni deputati si è messo in dubbio che il Ministero possa godere questa fiducia, senza che questo dubbio sia stato contraddetto da nessuna altra parte della Camera...

TENANI. Abbiamo contraddetto col voto.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO... diventa indispensabile che la Camera si pronunzi. (Rumori a destra)

Avanti tutto bisogna dissipare gli equivoci; e se c'è stata mai circostanza in cui questo sia necessario, è l'attuale (Bene I a sinistra), trovandoci noi in faccia ad avvenimenti gravissimi che potrebbero dar luogo a complicazioni di un supremo interesse per il paese.

Queste sono le ragioni per le quali il ministro non crede di commettere alcuna imprudenza accettando detta interpellanza.

Ora, se questa interpellanza la si vuole, è ben inteso che deve aver luogo in quel limite di tempo che renda possibile il farla; epperciò quando vi sia una proposta la quale tenda a procrastinarla in guisa di equivalere al un rigetto della medesima, in questo caso il Ministero dichiara che si oppone ad ogni rinvio di quella interpellanza. (Benissimo! a sinistra e al centro - Bisbiglio a destra)

CHIAVES, relatore. Io credo, signori, che molto bene diceva l'onorevole presidente del Consiglio quando faceva presente alla Camera che nelle circostanze attuali, soprattutto quando al Ministero viene mossa una interpellanza della natura di quella di cui si tratta, il Ministero mancherebbe a se stesso se non l'accettasse.

Io non so perché l'onorevole Toscanelli, proponendo l'ordine del giorno puro e semplice, voglia significare che n 11 possa farsi questa discussione. Capisco le ragioni diplomatiche, capisco le riserve che nelle discussioni politiche, un Governo ha sempre bisogno di osservare; ma capisco anche questo, che non bisogna mai interpretare queste, cose in modo, quasi che il Governo eia una cosa, ed il paese ne sia un'altra. (Benissimo! a sinistra)

Il Governo è il Governo dc-1 proprio paese, e quando il paese è altamente commosso, guarda al suo Governo come guarda al suo Parlamento per vedere di che si tratta. (Bene !)

Il Parlamento apre una discussione: in questa discussione sorgerà, ad esempio, un ministro il quale dirà che le circostanze sono tali da non potere dir molto. In tal caso non vi sarà nessuno in questa Camera il quale abbia fiducia nella lealtà di quel ministro, che non resti persuaso che egli abbia taciuto cosa che avrebbe potuto dire. Ed anche il paese si calma, quando sente che i suoi rappresentanti hanno aderito a che di altro intanto non si parlasse.

Ma il fatto sta ed è, signori, che l'impedire fin d'ora una discussione pubblica sopra un argomento così importante, sarebbe cosa che io credo inquieterebbe grandemente il paese, ed alla quale naturalmente non poteva essere indifferente il Ministero.

Io mi limito a queste considerazioni credendo anch'io che il Ministero mancherebbe a se stesso se non accettasse questa interpellanza: credo che la Camera farebbe male se con un voto qualsiasi avesse sembianza

3643 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

di volere impedire che una discussione avesse luogo; quasi si magnificherebbero le cose più di quello che non meritino per avventura di esserlo rimpetto alla posizione dell'Italia riguardo alla vertenza fra le potenze belligeranti.

Adunque io prego la Camera a voler respingere l'ordine del giorno puro e semplice come quello che è assolutamente inopportuno, e che, a mio avviso, non porterebbe alcun giovamento alla cosa pubblica.

PRESIDENTE La parola spetta all'onorevole Massari Giuseppe.

Voci a sinistra. La chiusura! Ai voti!

PRESIDENTE. Loro hanno parlato liberamente, lascino pure parlare gli altri.

Voci a sinistra. Parli! Parti!

PRESIDENTE. La tolleranza reciproca è una delle primo virtù di un Parlamento. (Parli ! parli.')

MASSARI GIUSEPPE. Dirò una parola sola, ed o per esprimere la mia sorpresa, la mia maraviglia che la mozione di provocare una questione di fiducia o di sfiducia nell'attuale Gabinetto venga dai banchi dove seggono gli onorevoli deputati i quali hanno dato pochi momenti fa un solenne ed evidentissimo voto di sfiducia al Ministero (Rumori a sinistra), mentre noi poc'anzi abbiamo dato un voto in senso contrario.

NICOTERA. Domando la parola per un fatto personale.

MASSARI GIUSEPPE. E ciò serva di risposta all'onorevole presidente del Consiglio, il quale ha detto: quando dia una parte della Camera si domanda se il Ministero goda o non goda la fiducia del Parlamento...

Voci a sinistra. Non è vero!

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

MASSARI GIUSEPPE. e nessuno sorga a rispondere, è evidente che il Ministero deve accettare la interpellanza.

Ora io mi permetto di far osservare all'onorevole presidente del Consiglio che questa parte della Camera aveva già dato pochi momenti or sono, col suo voto esplicito e positivo, una risposta anticipata a tutte le interrogazioni (Risa a sinistra - No! no!), o come non sia punto il caso di parlare di equivoci da qui sta parte della Camera. Se equivoci ci sono, sono stati sollevati dai nostri onorevoli avversari. (Rumori a sinistra, e segni di assenso a destra)

NICOTERA. Ho domandato la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE. Prego i signori deputati di prendere i loro posti e di fare silenzio, poiché la questione è abbastanza grave.

L'onorevole presidente del Consiglio ha facoltà di parlare.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Io prendo atto delle dichiarazioni testé fatte dall'onorevole deputato Massari, e lo prego di rammentare che prima di lui io precisamente ho dichiarato che,

dopo i voti solenni dati dalla maggioranza della Camera al Ministero in questioni di grave momento, il Ministero aveva diritto di ritenere di avere l'appoggio della Camera. Ma, siccome da coloro che vogliono muovere un'interpellanza al Ministero si è fatta una distinzione tra il voto finanziario ed il voto politico, ed hanno asserito che i voti dati fin qui non sono altro che voti finanziari...

BROGLIO. Che sono necessità politiche.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Io non faccio che esporre lo stato della questione, appunto per evitare ogni malinteso, e spero che l'onorevole Broglio non lo avrà a male...

BROGLIO. Sicuro che l'ho a male!

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO... perché egli pure ama le questioni chiare.

BROGLIO. Domando la parola per un fatto personale.

PRESIDENTE DEL CONIGLIO. Non vi è personalità in quel che dico.

Parecchi deputati hanno asserito più volte che i voti dati fìn qui al Ministero sono voti puramente finanziari e non politici, ed hanno osservato essere necessario, tanto più nelle complicazioni attuali, che il Ministero abbia anche un voto relativamente alla questione politica. (Benissimo! a sinistra)

Ed è appunto a questo proposito che, come dissi, nessuna voce in contrario è sorta; e quindi, senza queste spiegazioni, si doveva ritenere che esista questa distinzione, e che tale possa essere l'opinione della Camera.

Ora, siccome il Ministero non potrebbe lasciarla sciogliere senza che venga chiarito questo dubbio, era per questo che io diceva di accettare l'interpellanza.

Dunque vede l'onorevole Massari che in queste mie dichiarazioni non vi è nulla che possa recare in alcun modo offesa, nemmeno, direi, fare il più piccolo appunto ad una parte od all'altra della Camera.

PRESIDENTE. L'onorevole Nicotera ha facoltà di parlare per un fatto personale.

NICOTERA. Non potendo io fare il torto all'onorevole Massari di attribuirgli una ingenuità preadamitica, debbo credere che egli ha compreso troppo la mia proposta; e quando egli manifesta la meraviglia e la sorpresa di veder partire la proposta da questi banchi, mi consenta che io, con una innocenza pari alla sua, gli esprima la mia meraviglia, la mia sorpresa nel vedere sorgere l'onorevole Massari a dichiarare, che bisogno ha il Ministero di sapere se ha un voto di maggioranza, o se non lo ha. (Bravo! a sinistra)

Ma l'onorevole Massari ha dimenticato che pochi giorni or Sodo biasimava il Ministero e dichiarava di non avere fiducia in lui, e poi votava alla quasi unanimità con tutta la Camera il voto di approvazione al Ministero.

Non posso poi lasciare passare l'osservazione dell'onorevole Massari la quale è una insinuazione.

Egli ha detto che gli equivoci possono farsi da questa parte e non da quella. Ora io sfido l'onorevole Massari di provare che noi siamo nell'equivoco.

3644 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Noi invece vorremmo togliere dall'equivoco i nostri onorevoli colleghi della destra; e i nostri onorevoli colleghi della destra dicono, a mozza voce: noi abbiamo votato a favore del Ministero. Ma io domanderò ali' onorevole Massari ed ai suoi amici, dicano ad alta voce: abbiamo fiducia nell'attuale Ministero tanto per la politica estera quanto per la politica interna.

MINGHETTI. Lo diremo!

NICOTERA. Io non so come risponderanno l'onorevole Massari ed i suoi amici. So come risponderò io e i i miei amici; ed è per questo che vogliamo provocare il voto affinché cessino gli equivoci e la posizione sia netta tanto da una parte quanto dall'altra. (Bene 1 a sinistra)

BROGLIO. Io ho chiesto la parola per togliere un equivoco olio dalle parole del presidente del Consiglio sarebbe venuto sull'opinione da me espressa. Io credo che avrò consenzienti tutti in questa Camera, quando dico che i voti di fiducia o di sfiducia non si danno mai o non si debbono dare da un Parlamento con delle parole o delle formole di ordini del giorno; ma si danno efficacemente coi voti, e principalissimi tra questi voti sono quelli dai quali si è sempre fatto dipendere in tutti i Parlamenti l'appoggio che un Ministero trova nella maggioranza, cioè i voti finanziari. (Rumori a sinistra)

LAZZARO. Non è vero.

BROGLIO. Da che fu inventato il sistema parlamentare fu sempre stabilito che sono i voti della maggioranza, specialissimamente poi i voti della Camera dei deputati in materia di finanza, quelli che stabiliscono il voto di fiducia in un Ministero. Ora io dico che il pretendere di scindere in due la politica di un Ministero, il quale debba trovare a destra la maggioranza per avere i fondi, ed a sinistra la maggioranza per un ordine del giorno che esprima fiducia, sarebbe il più grande degli equivoci. (Bravo ) Non c'è altra possibilità per un Ministero di sostenersi qui che avendo i voti ed i fondi che egli viene a chiedere; per conseguenza io non pt sso ammettere la distinzione fatta dall'onorevole presidente del Consiglio, ed insisto nella mia proposta che rimanda questa discussione dopo quella delle ferrovie. (Vivi segni d'opposizione a sinistra)

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. A mia volta io non posso ammettere che si possano dare al Ministero dei voti finanziari da una parte e dei voti politici dall'altra. Questa distinzione per me sarebbe un argomento maggiore j,er insistere che la Camera chiarisca i suoi intendimenti.

Io credo che l'onorevole Broglio non ha pensato all'esempio che citava, ma può essere una rivelazione, ed è necessario di tener conto anche delle rivelazioni, le quali sono fatte forse senza pensarvi molto sopra.

PRESIDENTE. La parola spetta all'onorevole Massari per un fatto personale. Dopo questo spero che la Camera ne avrà abbastanza.

Voci. No I no ! Parli! parli!

MASSARI G. Ringrazio l'onorevole Nicotera di avermi fornito con le sue parole occasione di dare alla Camera qualche spiegazione che forse non è superflua intorno, non so come chiamarla, alla sfuriata, che io mi permisi di fare l'altro giorno, a proposito dell'abbandono della legge per la riscossione delle imposte, fatto dall'onorevole ministro delle finanze. Io so, e so di scienza certa che in quella mia mossa si è voluto ravvisare non so quale macchinazione tenebrosa; mi si è voluto considerare come l'araldo di una combinazione ministeriale che fosse già bell'e pronta per rovesciare il presente Gabinetto.

Io dichiaro nel modo più esplicito ed il più formale che in tutti questi presupposti, in tutte queste ipotesi non c'è sillaba di vero, sono sogni di mente inferma.

Io l'altro giorno feci quelle rimostranze piuttosto vive all'onorevole ministro delle finanze, perché, in verità, mi cuoceva moltissimo che, dopo aver fatto il grande sacrificio, dirò precisamente per dare attestato di fiducia al Ministero, il grande sacrificio di votare una legge che a me molto ripugnava...

Una voce a sinistra. Ha fatto male.

MASSARI G... mi cuoceva moltissimo, ripeto, che l'onorevole ministro delle finanze tutto ad un tratto... (Vive interruzioni a sinistra)

Mi perdonino, sono spiegazioni necessarie, io debbo ribattere gli appunti che osservai stati fatti da parecchi, ed anche da qualche onorevole consigliere della Corona.

Ecco perché io parlo.

Dichiaro adunque che in quell'occasione non feci altro se non che obbedire ad un impulso della mia coscienza e fare uno sfogo che tutta la Camera, senza distinzione di partiti, deve comprendere. In ciò non o entrato per nulla alcun intendimento politico, ed il fatto lo ha provato, perché quegli onorevoli deputati innanzi ai quali l'onorevole ministro delle finanze ammainò la sua bandiera non erano ieri presenti in quest'Aula, ed io che feci quelle rimostranze così vive, mi trovai presente, e fedele a miei principii, diedi il mio voto favorevole alle proposte dell'onorevole ministro delle finanze, il quale mi aveva prima tanto acerbamente redarguito.

De Ito ciò per un fatto personale, mi pregio di dichiarare all'onorevole Nicotera che io non feci, né faccio né punto né poco insinuazioni, ho detto che se ci era un equivoco era sollevato da quella parte...

Voci a sinistra. No 1 no 1 (Rumori a sinistra)

MASSARI G... e pur troppo debbo confermare il mio avviso, avendone una prova nel vedere che quello stesso ministro il quale pochi momenti fa ha avuto un suffragio da questa parte, ora raccoglie gli applausi della Sinistra.

Voci. Ai voti 1 ai voti ! (Interruzioni e movimenti a sinistro,)

LAZZARO. Crede forse l'onorevole Massari che gli applausi della Sinistra siano un disonore?

3645 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

PRESIDENTE. Li prego a fare silenzio.

Tutte le manifestazioni delle varie parti di questa Camera meritano uguale considerazione.

MINISTRO PER LE FINANZE. Nelle vicende quotidiane d'un Ministero può avvenire anche questo, può avvenire, cioè, che gli opponenti sieno soddisfatti d'una dichiarazione del Ministero.

L'onorevole Massari (Rivolgendosi a destra) meno che altri se ne dovrebbe maravigliare. LAZZARO. Parli alla Camera.

MINISTRO PER LE FINANZE. Parlo in mezzo alla Camera, non parlo né di qua ne di là. LAZZARO. Non si sente.

MINISTRO PER LE FINANZE. Stieno zitti e sentiranno, mi pare di gridare. Una voce. Ha ragiono.

MINISTRO PER LE FINANZE. Io diceva che meno degli altri se ne dovrebbe maravigliare l'onorevole Massari, imperocché da un caloroso difensore e sostenitore del Ministero quale egli è ebbi pure l'altro giorno, come egli stesso diceva, a subire da lui una vivissima sfuriata in cui m'accusò con termini molto acerbi nientemeno che di fare un'evoluzione. Ora, se può avvenire un fatto come quello dell'onorevole Massari, egli non deve maravigliarsi che una dichiarazione del Ministero possa piacere alla parte sua avversa.

Ma, signori, più che altri, il ministro delle finanze deve vedere nei voti del Parlamento la parte sostanziale. Le belle parole sono sempre assai gradite, ma i bei voti valgono naturalmente meglio delle belle parole.

Quando sorgono questioni politiche così gravi, che riguardano tanto la politica estera quanto la politica interna, quando un gruppo di deputati pone in dubbio se il Ministero abbia o non abbia la fiducia della Camera, questa deve assolutamente pronunciarsi.

Il Ministero non può rimanere in una posizione dubbia, come avverrebbe qualora egli sembrasse rifuggire da un voto che può implicare fiducia o sfiducia.

Il Ministero deve tanto più accettare la discussione che la questione' ! posta da una parte della Camera da. cui non ci aspettiamo alcun voto di fiducia, da una parte della Camera la quale ci ha mostrato la sua sfiducia in tutte le occasioni immaginabili e possibili.

Una voce a sinistra. E continueremo.

MINISTRO PER LE FINANZE. Per conseguenza, signori, non possiamo non accettare questa questione come è stata posta.

L'onorevole Massari ha voluto ripetere qui l'accusa di evoluzione che egli mosse contro di me l'altro giorno. Ha parlato di un consigliere della Corona, il quale aveva detto qualche cosa...

MASSARI G. Parecchi consiglieri hanno detto una cosa che io respingo con tutte le mie forze.

MINISTRO PER LE FINANZE. Deve avere alluso a me perché fui io che mi alzai.

Signori, quando vedo un amico personale in cui non posso supporre mal'animo personale, un amico politico che ha appoggiato cordialmente e costantemente il Ministero nelle questioni finanziarie, venire in un dato momento, prescindendo da ogni considerazione che avesse potuto indurrai ad ammettere una sospensione di quella legge..

OLIVI. Ai voti ! Si fa una questione inutile.

PRESIDENTE. Non interrompa.

Continui signor ministro.

MINISTRO PER LE FINANZE. Permetta onorevole Oliva, un po' di tolleranza; se non trovano inutili le spiegazioni che si danno a questa parte (Accennando a sinistra), mi pare che si possano dare anche a questa. (Accennando a destra)

Voci. Parli ! parli!

OLIVA. Parli alla Camera.

Una voce al centro. Non gli risponda, seguiti.

MINISTRO PER LE FINANZE. Quanto, senza chiedere alcuna ragiona della mia condotta, l'onorevole Massari esce fuori con una accusa come è quella di evoluzione, fatta in termini così vivi, e quando tale accusa è fatta per un atto dettato dalle più volgari regole di prudenza, come mi pare lo dimostri anche quello che è avvenuto d'allora in poi, atto che in tutti i casi era un riguardo verso alcune provincie che non potevano non interessare l'onorevole Massari, imperocché il proposito ora quello dì studiare alcune modificazioni che la rendessero poi accettabile a quelle provincie, deve ben capire l'onorevole Massari che in una questione che non era di partito (e lo era così poco, che la proposizione veniva da deputati del suo colore politico) era evidente che, di fronte ad un attacco di questa natura, il quale presupponeva un'evoluzione politica per parte nostra, si domandasse se per contrario non vi fosse per avventura un'evoluzione politica in chi prendeva ad un tratto quel contegno e diventava in quell'istante (non fu che un istante) così acerbo oppositore del Ministero.

Quindi in questa nostra condotta credo che oggi la Camera riconoscerà un atto della più volgare prudenza, credo riconoscerà che ci saremmo veramente condotti malissimo, se non avessimo pregato la Camera di dar subito passo ai provvedimenti che riguardano il Tesoro.

Del rimanente, signori, io non posso non professare viva, vivissima gratitudine a quella maggioranza della Camera che ha appoggiato il Ministero in questa travagliosa via per la quale stiamo per arrivare al compimento dei nostri propositi. Ma non dimenticate, signori, che il Ministero non solo deve provvedere alle finanze, ma ha da compiere un mandato di politica interna ed estera, ed evidentemente non è possibile che in momenti così critici

3646 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

un Ministero rimanga al potere se non sa di avere il suffragio e l'appoggio pieno e cordiale del Parlamento. Considerate che è nell'interesse del paese e nell'interesse del Parlamento stesso che se il Ministero non ha la piena fiducia vostra, se non lo giudicate atto a fare quello che dove fare, voi manifestiate coi vostri voti quale è l'opinione vostra intorno al Ministero.

PRESIDENTE. L'onorevole Arrivacene ha facoltà di parlare.

Voci. Ai voti! ai voti!

PRESIDENTE. Essendo chiesta la chiusura, domando se è appoggiata.

(È appoggiata.)

Metto ai voti la chiusura della discussione.

(La Camera delibera di chiudere la discussione.)

L'onorevole Broglio insiste nella sua proposta di rinvio?

BROGLIO. Insisto.

PRESIDENTE. Come la Camera ha inteso, si è chiesto che PÌ apra una discussione intorno alla politica del Governo, eh» è stata accettata, e che questa discussione abbia luogo lunedì. L'onorevole Broglio invece propone che questa discussione, anziché aver luogo lunedì, sia rinviata dopo la discussione sulle convenzioni ferroviarie.

ASPRONI. Le calende greche I (Agitazione)

PRESIDENTE. Domando se questa proposta dell'onorevole Broglio sia appoggiata.

(È appoggiata.)

Su questa proposta si è chiesto l'appello nominale.

A destra. Oh I oh!

A sinistra. Sì ! sì 1 L'appello!

PRESIDENTE. La domanda della votazione nominale è stata fatta dagli onorevoli Brunetti, Ripandeìli, Curzio, Solidati, Bottero, Monti Francesco, Rorà, Ranco, Sineo, Villa Tommaso, Abignente, Nicolai, Lazzaro, Rocchetti, Pianciani, Grassi.

MINISTRO PER LE FINANZE. Domando la parola. (Rumori)

Voci a sinistra. Non si può, la discussione è stata chiusa!

MINISTRO PER LE FINANZE. Sulla posizione della questione.

Voci. Non si può! Noi no! Ai voti! ai voti! (Vivi movimenti e clamori a sinistra)

NICOTERA. (Al presidente) Faccia il presidente!

(Il deputato Broglio si alea per parlare.)

PRESIDENTE. Coloro che sono...(Grida vivissime a sinistra)

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. La votazione non è ancora incominciala. Quando uno vuol parlare per un appello al regolamento, o sulla posizione della questione, non gli si può negare la parola.

Molte Voci a sinistra. Ai voti! ai voti!

BROGLIO. Domando la parola per un appello al regolamento I (Noi noi - Rumori prolungati a sinistra)

NICOTERA. Signor presidente metta ai voti...

BROGLIO. Per una dichiarazione... (Violento scoppio di grida: Noi noi o sinistra)

PRESIDENTE. Non posso darle la parola perché ho già dichiarato che si passava alla votazione.

Voci a sinistra. La discussione è chiusa!

BROGLIO. (Alzando molto la voce per farsi sentire nel frastuono) Dichiaro di ritirare la mia mozione. (Nuovo scoppio di grida: No ! no ! a sinistra)

PRESIDENTE. L'onorevole Broglio avendo ritirato la sua proposta...

(Molti deputati di sinistra escono, apostrofando vivamente la parte avversaria ed il presidente - I deputati Nicotera, Avitabile, Castellani e molti altri della sinistra gridano: Fuori! Fuori! Il presidente si copre e sospende la seduta. I deputati di sinistra abbandonano quasi tutti l'aula gridando: Fuori ! fuori ! - La seduta è sospesa per un'ora, ed è riaperta fra il silenzio e la calma. Gli stalli della sinistra sono quasi tutti deserti.)

Un'ora fa si è sospesa la seduta perché, essendosi chiesto l'appello nominale sulla proposta dell'onorevole Broglio, si credeva che già la formola sacramentale dell'appello nominale fosse stata pronunziata dal presidente, e si dovesse a questo procedere.

Ma la formola non era ancora stata pronunciata, e l'onorevole Broglio avendo allora mostrato desiderio di parlare, ed avendole io interpretato nel senso che volesse ritirare la sua proposta, ho creduto di dover usare verso l'onorevole Broglio quella deferenza che ho sempre usata verso tutti i deputati e verso qualunque parte della Camera, ho creduto, cioè, di dovergli concedere il brevissimo tempo occorrente per dichiarare che ritirava la proposta, giacché il presidente non sa se vi siano premure o da una parte o dall'altra perché si venga alla votazione; egli non conosce che la Camera nel suo insieme, ed ha la stessa deferenza e lo stesso rispetto per tutti i singoli deputati. (Bravo! Bene! a destra)

Esprimo dunque il mio dispiacere per l'equivoco succeduto e ripiglio l'ordine del giorno..

L'articolo! fu approvato...

MUSOLINO. E per la discussione di lunedì che cosa si decide?

PRESIDENTE. Ho già dichiarato, prima che la seduta fosse sospesa, che restava convenuto dovere lunedì aver luogo la discussione politica; non mi occorreva più di rammentarlo. Anzi, dal momento che l'onorevole Broglio, dopo aver fatta la sua mozione, l'ha ritirata, non vi erano altre proposte.

MINISTRO PER LE FINANZE. Se però sarà terminata la discussione dei provvedimenti finanziari per il Tesoro.

PRESIDENTE. Sì, sì; ma giova sperare che questa terminerà dentr'oggi.

3647 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

«Art. 2. È data facoltà al ministro delle finanze di alienare tanta rendita del 5 per cento da inscriversi sul Gran Libro del debito pubblico quanta valga a far entrare nel Tesoro sessanta milioni di lire.»

A questo articolo 2 gli onorevoli Cadolini, Bargoni, Concini, Piolti de' Bianchi, Mordini, Maldini, Arrigossi e Carini hanno proposto di sostituire quest'altro:

«È data facoltà al Governo di stipulare col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana operazioni analoghe a quella approvata coll'articolo precedente affine di procurarsi una somma di 60 milioni di lire.»

Prego la Commissione a voler dichiarare se accetta quest'articolo sostitutivo.

CHIAVES, relatore. Così come è quest'articolo non sarebbe accettabile; imperocché non ci sarebbe una guarentigia di procurarsi una somma di 60 milioni, quando con altra disposizione non si dia il mezzo al Ministero, nel fare queste operazioni, di mettere questi istituti in grado di farle e sostenerne le conseguenze.

È questa una considerazione abbastanza grave perché si comprenda che la Commissione non può accettare l'articolo tale e quale è proposto.

CADOLINI. La proposta che fu letta testé dal signor presidente ha per iscopo di dare al Governo una facoltà che già era stata proposta in forma diversa da altri onorevoli colleghi.

Ora l'onorevole relatore fa osservare come la nostre proposta non potrebbe essere accolta, in quanto che non sarebbe con essa provveduto al modo di sostituire alle obbligazioni che lo Stato deposita presso la Banca Nazionale altri titoli da depositare presso gli altri istituti di credito da cui procurarsi i sessanta milioni dei quali ha ancora bisogno.

Ora questa osservazione era stata preveduta, e già ei era pensato dai miei colleghi di aggiungere alla nostra proposta una frase, la quale appunto dovesse fornire il mezzo allo Stato per depositare titoli che sarebbero come garanzia delle anticipazioni che gli istituti dovrebbero fare al Governo.

Quando poi la Commissione credesse che la proposta nostra dovesse venire dopo l'articolo proposto dalla Commissione, e costituirne la seconda parte, in tal caso quell'articolo lo si potrebbe conservare riguardo alla emissione della rendita; in seguito verrebbe la nostra proposta, cui, per altro, si potrebbe aggiungere la frase: mediante deposito di rendita.

In allora la nostra proposta suonerebbe nel modo seguente:

«È data facoltà al Governo di stipulare col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana operazioni analoghe a quella approvata coll'articolo precedente affine di procurarsi, mediante deposito di rendita, una somma di sessanta milioni di lire.»

Quando questa modificazione si faccia e che la nostra proposta venga dopo l'articolo della Commissione, il quale accorda al Governo la facoltà di emettere la rendita, credo che rimanga raggiunto l'intento di estendere anche ad altri istituti i benefizi di cui può

godere la Banca Nazionale, mercé la convenzione che è stata testé approvata.

È ben vero, taluni diranno, che si doveva dare una facoltà generica al Governo per stipulare convenzioni di questo genere con tutti gli istituti, escludendo così la necessità di approvare fin d'ora la convenzione colla Banca.

Ma noi invece abbiamo creduto che allo stato attuale delle cose, e dinanzi alla situazione politica che è stata creata all'Italia non si poteva ora respingere la convenzione colla Banca; si doveva anzi approvarla quale ci era stata presentata, e nello stesso tempo si doveva proporre l'aggiunta di una speciale autorizzazione al Governo per fare altre operazioni di simil genere cogli altri istituti di credito che sono nominati nel nostro emendamento.

A me pare che la Commissione quando tenga conto che si dovrebbe conservare la prima parte dell'articolo relativa alla emissione della rendita, e che alla proposta da noi fatta si aggiungerebbe la frase, mediante deposito di rendita pubblica...

FENZI. (Della Commissione) Domando la parola.

NERVO. Domando la parola.

CADOLINI... a me pare, dico, che la Commissione ed il Ministero potrebbero accettare la proposta che noi abbiamo fatta, e che è ispirata da quei sentimenti di conciliazione che ci hanno guidati in questa discussione.

PRESIDENTE. L'onorevole Fenzi ha facoltà di parlar

FENZI. Ho chiesta la parola per fare un'avvertenza intorno a questa proposta. A me pare che, l'accennare alla possibilità di fare delle operazioni simili a quella che è stata fatta colla Banca Nazionale cogli altri istituti, non avrebbe in se stesso nessun inconveniente, e potrebbe dare una certa soddisfazione a coloro che si preoccupano della floridezza degl'istituti medesimi. L'avvertenza che io voglio fare, e che non so se sarà sfuggita ai proponenti, pare a me di una certa gravita.

Quando il Governo voglia fare, cogli altri istituti che furono nominati, delle operazioni simili a quelle fatte colla Banca Nazionale, diviene una necessità che si dia l'inconvertibilità, nelle condizioni stesse che alla Banca Nazionale nel regno d'Italia, ai biglietti di questi altri istituti, che si venga a dare il corso forzoso anche ai biglietti del Banco di Napoli, della Banca Toscana, del Banco di Sicilia.

Io capisco che, nelle condizioni attuali, questa non sia un'innovazione troppo grande, perché questi biglietti, i quali sono convertibili, oggi hanno un corso legale nelle rispettive provincie, e la loro convertibilità non è assoluta; essi sono convertibili in biglietti della Banca Nazionale, ma sono, generalmente parlando,

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ricevuti dal pubblico, circolano senza difficoltà; epperciò il dichiararli essi pure inconvertibili assolutamente non credo che produrrebbe una novità tale da turbare in un modo molto grave lo stato attuale delle cose.

Però, quando a questo punto si voglia venire, io credo che il ministro delle finanze e la Camera saranno nella necessità di considerare che bisogna porre un limite a questa emissione. Il Banco di Napoli non ha un limite alla sua emissione; può sempre emettere, se io sono ben informato, tanti biglietti quanti rappresentino tre volte la riserva metallica.

Ora il Governo, facendo col Banco di Napoli delle operazioni simili a quella che è stata approvata per la Banca Nazionale, evidentemente bisognerebbe che venisse ad essere limitato nella facoltà della sua emissione, affinché non ai creasse uno stato di cose al quale si è voluto porre un limite quando la Camera ha votato nel 1868 una limitazione alla emissione della carta a corso coattivo.

NISCO. Domando la parola.

FENZI. Io ho voluto semplicemente fare un'avvertenza. Non intendo ci fare per ora una proposta, e mi riservo a dire la mia opinione quando l'onorevole ministro delle finanze e quando i proponenti avranno espresso il loro modo di vedere intorno alle osservazioni che ho avuto l'onore di fare.

MINISTRO PER LE FINANZE. Anzitutto dovesi creare un titolo per poter fare una operazione con codesti stabilimenti, quando non si vogliano invitare a farla in bianco, come si suoi dire. Quindi deve esservi una disposizione la quale dica esplicitamente:

«È data facoltà al ministro delle finanze di creare tanta rendita del 5 per cento del debito pubblico quanto valga a fare entrare nel Tesoro 60 milioni di lire.»

Una volta che avete creata questa rendita la potete o alienare, oppure porla presso stabilimenti di credito, acciò vi facciano sopra di essa delle anticipazioni.

Mi pare che il concetto dell'onorevole Cadolini e degli altri a scrittori. dell'ordine del giorno è che questa rendita sia depositata di preferenza presso gli istituti thè essi indicano, onde fare con quelli delle operazioni; ed io alla mia volta non posso che accettare molto volentieri. Ma, intendiamoci: volete voi che si cambi interamente l'attuale condizione di questi stabilimenti? Volete voi che si dichiari l'inconvertibilità della loro carta? La cosa vuol essere alquanto considerata, essendo molto gravo.

Come la volete dichiarare questa inconvertibilità? Forse nelle regioni soltanto in cui operano questi stabilimenti? In tal caso, badate che nascono delle differenze, cioè che uno il quale sai a pagato in una di quelle regioni con quella carta che ivi è inconvertibile, non troverà modo di cambiare la carta stessa senza pagare un aggio, tra carta e carta, cosa che sarà molto grave.

Volete invece dichiarare la inconvertibilità di tutta questa carta, sopra tutta la superficie del regno? È questa una misura la quale certamente il Parlamento non vorrà prendere, senza rendersi bene conto di quello che fa; imperocché è cosa molto grave il dare corso forzato in tutto il regno a cavia di stabilimenti che, in alcune provincie, sono completamento sconosciuti non avendovi né rappresentanza né sede.

Quindi io credo, quasi son certo, che non sia negli intendimenti degli onorevoli proponenti di cotesta disposizione l'ordinare delle cose di questo genere, e tanto meno poi, oserei dire, il dar facoltà ad un Ministero di farle; imperocché in quest'ultimo caso bisognerebbe almeno dare esplicitamente queste facoltà, affinché il Parlamento, avendo chiara conoscenza della cosa, decidesse o in un modo o nell'altro.

Una volta poi che non vi fosse l'inconvertibilità della carta per tutto il regno, è evidente che non sarebbero eguali le condizioni a cui questi stabilimenti potrebbero fare delle operazioni di anticipazione al Tesoro; imperocché non potrebbero essi certamente accontentai si di quella debole rimunerazione di 60 centesimi, di cui si può accontentare la Banca, per la ragione della inconvertibilità della sua carta.

lo quindi ammetto che dagli onorevoli preopinanti si voglia accennare ad un desiderio, per quanto è possibili e compatibile con le condizioni del mercato e coi bisogni del commercio; ma si rifletta che vi potrebbero essere momenti in cui le provincie stesse dove operano questi stabilimenti non fossero punto soddisfatte di veder sequestrati i mezzi di cui essi dispongono a totale o almeno a precipuo profitto del Tesoro, senza che fosse lasciato ai medesimi il modo di recare ai commerci locali quei vantaggi che se ne aspettano. Ma, prescindevo da una certa latitudine che evidentemente i proponenti stessi ammettono, dal momento che parlano di una facoltà data al Governo, mi sembra che si possa tener conto del desiderio sovraccennato e che è stato molte volte manifestato, cioè che, quando vi sono della operazioni da farsi, per esempio, d'anticipazione, le si facciano di preferenza con stabilimenti nazionali ed anche con corpi morali di questa natura, anziché con stabilimenti esteri. Ed in quest'ordine d'idee io sono, e vi sono tanto più che la Camera non ignora, poiché lo dichiarai io stesso, che per un'operazione da me fatta onde procurare i mezzi occorrenti pel pagamento del semestre testé scaduto, io mi rivolsi appunto alla Banca Nazionale Toscana, al Banco di Napoli, alla Cassa di risparmio di Milano, e pota per tal guisa contrattar, con molta convenienza, un'anticipazione soltanto per un trimestre.

Se l'onorevole Cadolini e quelli che hanno con lui sottoscritto accennane a quest'ordine di idee, cioè che, per le operazioni a farsi, ai faccia capo di preferenza agli istituti cui abbiamo accennato, io sto con loro; e credo in tal caso che alla parte dell'articolo con cui si da facoltà al Ministero di alienare la rendita occorrente, si potrebbe aggiungere:

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«detta rendita sarà alienata e servirà di base ad operazioni di anticipazione segnatamente col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana.»

Io credo che in tal modo si concilierebbe la cosa.

MUGHETTI. Si dirà possibilmente.

CHIAVES, relatore. Preferibilmente deve direi.

MINISTRO PER LE FINANZE. Bellissimo, avete ragione: preferibilmente col Banco di Napoli, ben inteso in circostanze pari, col Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana. Mi pare che una redazione di questo tenore possa soddisfare i proponenti.

NERVO. Ho chiesto alla Camera il permesso di fare una dichiarazione, non come membro della Commissione, ma per esprimere il mio avviso personale sopra la proposta dell'onorevole Cadolini e di altri nostri onorevoli colleghi. In seno alla Commissione, alla quale ho l'onoro di appartenere, ebbi ad esprimere l'avviso, che i 122 milioni che l'onorevole ministro per le finanze intende procurarsi dalla Banca colla convenzione no:i basteranno per supplire agli enormi bisogni del Tesoro.

Avvenimenti, che in quel momento non si potevano prevedere, vennero ben tosto a dar ragione alle mie previsioni. In faccia a questi avvenimenti i quali avranno per effetto immediato di diminuire le entrate ordinarie, su cui si faceva calcolo, di diminuire non solo quelle dell'esercizio corrente, ma probabilmente anche quelle che sono già state votate dalla Camera per l'esercizio prossimo; in faccia a questi avvenimenti, che avranno anche per effetto d'impedire il ministro per le finanze di tenere in circolazione una quantità ragguardevole di Buoni del Tesoro, come quella che poté tenere in circolazione sino a questi ultimi tempi, surge la necessità di altre spese che vanno a cadere sul Ministero della guerra.

Per conseguenza, senza soffermarmi a calcolare i maggiori oneri che derivano al Tesoro pel fatto delle maggiori spese, senza soffermarmi a calcolare di quanto ne saranno minori gl'introiti, debbo far notare alla Camini che ci troviamo nella necessità di procurare al Tesoro una somma maggiore di quella che l'onorevole ministro per le finanze chiedeva due mesi soni'. Di più il corso della rendita d'oggi non permette certo di fai e calcolo sopra una prossima applicazione della facoltà che con questo articolo si darebbe al ministro delle finanze di procurarsi 600 milioni. Egli dovrà per certo aspettare tempi migliori. Ora dunque in presenza d'una simile situazione si deve o no pensare a qualche altro mezzo poco costoso di aumentare le risorse straordinarie del Tesoro? Godeste mezzo non potrebbe per avventura trovarsi utilizzando la situazione in cui si trova il paese rispetto all'ordinamento de' suoi istituti di credito? Io crudo di sì, e per questa ragione nell'interesse delle finanze dello Stato appoggio la proposta dell'onorevole Cadoliui

e de' suoi onorevoli colleghi. Io mi permetto di osservare alla Camera che sarebbe onerosissimo, e certo non può essere questo il pensiero del ministro delle finanze, l'effettuare ora l'operazione dell'alienazione della rendita, che verrebbe autorizzata coll'articolo che si discute. Bisogna che il signor ministro aspetti che le circostanze gli permettano di valersi con maggiore convenienza di questa facoltà.

Ora, o signori, importa considerare che alla Banca Nazionale non si può chiedere una maggiore circolazione per conto dello Stato oltre quella dipendente dai 122 milioni che si procurano al Tesoro colla convenziono che si è discussa, senza mettere questo stabilimento nella impossibilità assoluta di adempiere alla principale sua missione, che è quella di elevare lo sconto all'altezza di un servizio pubblico, e quindi senza ledere grandemente gli interessi della industria e del commercio del paese, alla vigilia di una crisi che può diventare gravissima.

Ciò simile, è un mezzo indicato dalla stessa situazione del,e cose quello di domandare alle altre tre Banche di emissione che esistono nello Stato, qualche servizio finanziario in compenso del privilegio che esse hanno di emettere i biglietti.

L'onorevole ministro delle finanze osservava testé, con ragione, che sarebbe da tenersi conto della circostanza, se questi stabilimenti possano dichiararsi coutenti di vedersi imporre quest'obbligo, il quale potrebbe avere per conseguenza di sottrarre loro i mezzi che ora hanno disponibili per lo sconto degli effetti di commercio.

Ma, o signori, bisogna avvertire che la somma in biglietti, che le tre Banche dovrebbero emettere per dare 60 milioni allo Stato, sarebbe in di più dell'attuale loro circolazione destinata alle operazioni di sconto.

I tre stabilimenti, i quali hanno ciascuno una estesa zona di circolazione, assicurano la facile emissione di una simile maggiore somma dei loro biglietti. E questa maggiore circolazione, non che nuocere, gioverebbe al loro credito, quando avesse luogo colla garanzia di un deposito di valori dello Stato; imperocché, come conseguenza dell'adozione di questa proposta, io intenderci che si applicasse agli stabilimenti di credito dianzi indicati la stessa massima che si applica alla Banca Nazionale per la garanzia dei biglietti che emette per conto dello Stato.

Ora voi sapete, o signori, che alla Banca Nazionale noi applichiamo il vincolo della riserva fino ad una (erta proporzione per i biglietti che essa emette per conto dello Stato, perché non si può applicare la stessa massima a questi stabilimenti, i quali non sono già sorti soltanto ieri in Italia. Essi godono di una meritata fiducia, hanno estese relazioni nei paesi dove funzionano ed hanno saputo elevare lo sconto alla vera altezza di un servizio pubblico, imperocché appoggiano largamente anche la possidenza.

Non so quindi quali difficoltà si potrebbero opporre a valerci di questi stabilimenti in favore del Tesoro.

3650 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Quando il capitale incarisce, come avviene oggidì, quando gravissimi e straordinari avvenimenti possono aumentare grandemente il disavanzo e rendere onerosissima qualsiasi operazione ordinaria di credito, io penso sia dovere della Camera e principalmente dell'onorevole ministro delle finanze di escogitare i mezzi più convenienti per procurare al Tesoro capitali a buon mercato. Ciò si ottiene facendo in modo che il paese faccia credito a se stesso. Oggidì questa è una delle prime massime da seguire.

Io quindi, riassumendo quello che ho avuto l'onore di dire alla Camera, la prego di prendere nella più seria considerazione la proposta di cui si tratta, la quale darebbe i mezzi al ministro delle finanze di avere con tenuissimo sacrificio questi 60 milioni che ancora gli mancano, e che sono all'infuori dei maggiori bisogni che possono manifestarsi. Dico all'infuori dei maggiori bisogni, imperocché sono già fin da ora calcolabili le minori entrate e le maggiori spese a cui il Tesoro può trovarsi esposto, come si può fin d'ora asserire la impossibilità di mantenere in circolazione una sì rilevante somma di Buoni del Tesoro, quale è quella autorizzata dalla legge del bilancio.

Io desidererei che l'onorevole ministro delle finanze mi facesse conoscere con quali mezzi intende far fronte ai Buoni del Tesoro, che non potrà più mantenere in circolazione, se gli avvenimenti gravissimi, che ci hanno sorpresi, andranno a prolungarsi.

Mi pare dunque che sia di tutta evidenza la convenienza della proposta dell'onorevole Cadolini.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Nisco.

NISCO. Io piglio la questione dove l'ha lasciata l'onorevole Nervo.

Certamente il Ministero e la Camera si devono molto preoccupare delle condizioni finanziarie del paese, e di tutta Europa. In oggi non possiamo emettere rendita per portar danaro nelle casse dello Stato, perciocché la rendita, volendola negoziare, non la negozieremmo che al 40. Dunque è in una posizione difficilissima. D'altra parte il ministro delle finanze ha bisogno di danaro, ed il danaro non piove come la manna; quei tempi prodigiosi non ritornano più. Ora la proposta dell'onorevole Cadolini e compagni è una proposta di operazione comune, cioè quella di creare della rendita e di depositarla presso gli istituti di credito, ed avere da essi i 60 milioni.

Come vede l'onorevole ministro, è un'operazione di semplice anticipazione che comunemente questi istituti fanno. Quale poi debba essere il prezzo di questa rendita, sarà una cosa da calcolarsi d'accordo tra 11 ministro di finanze e gli istituti di credito, che certamente non vorranno aggravare la mano sulle finanze dello Stato.

Ma io prego l'onorevole ministro di finanze a riflettere che, facendo quest'operazione, non si da agl'istituti di credito il modo di poter emettere tanta carta quanta rappresenti i 60 milioni; perché, come sa bene l'onorevole ministro delle finanze, non darebbero che carta.

Come possono emettere questa carta? Senza dubbio la rendita pubblica, considerando gli statuti, non può essere ritenuta per fondo di cassa; gli istituti di credito non debbono venderla, altrimenti farebbero, economicamente e finanziariamente, quel danno al paese per cui ci occupiamo a trovare il modo onde il ministro delle finanze non lo produca, emettendola direttamente.

10 credo però che alla proposta dell'onorevole Cadolini si potrebbe fare un'aggiunta in questi termini: «mediante vaglia del Tesoro rinnovabili, e che si tengono come numerario in cassa.» Mi permetto di spiegare brevemente quest'aggiunta.

I vaglia del Tesoro si possono rinnovare, come l'onorevole ministro di finanze conosce, né essi rappresentano crediti effimeri, ma valori dello Stato medesimo, o almeno sono obbligazioni di pagare dello Stato, e quando sarà giunto il momento in cui noi possiamo negoziare la nostra rendita, allora la negozieremo e ci sottrarremo al debito che abbiamo verso questi istituti.

In quanto al tenere questi vaglia come numerario in cassa, noi ne abbiamo avuto già un esempio, ed è questo: quando l'onorevole Rattazzi si trovò aver bisogno di danaro, fece quello che avrei fatto io, che non divido l'opinione di censura emessa da altri sull'operazione, di prendere il danaro dalla Banca dandole dei vaglia del Tesoro. Si potrebbe quindi anche ora fare la stessa cosa, cioè ritenere come numerario in cassa i vaglia del Tesoro e permettere agli istituti di credito di emettere tanta quantità di carta quanta è necessaria a rappresentare questi vaglia.

In questo modo gli istituti di credito ed il commercio non soffrirebbero alcun danno; poiché, come prima osservava l'onorevole ministro delle finanze, e poi l'onorevole Nervo, se noi vogliamo obbligare questi istituti di credito a dare 60 milioni, rimanendo la circolazione loro sulle basi attuali, non vorremmo che questi sessanta milioni siano tolti al movimento degli affari del paese, e così renderemmo più difficili le condizioni economiche del paese stesso.

Dunque io prego l'onorevole ministro delle finanze a prendere in considerazione, se crede, questa mia proposta o altra che lasci a sua facoltà di trattare con tali istituti.

Quanto poi alla inconvertibilità, io non credo affatto che questi istituti di credito possano domandarla, perché domanderebbero la loro rovina.

Il Banco di Napoli e la Banca Toscana, che hanno un corso forzoso limitato, non possono domandare la inconvertibilità della loro carta, perché metterebbero la loro carta in una condizione molto inferiore a quella dello istituto che ha il corso forzoso per tutto il regno, e sono certo, ripeto, che questi istituti di credito che sono bene amministrati non vorranno il proprio suicidio.

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Quindi io penso che, valendosi di questi istituti di credito, senza dar loro l'inconvertibilità, che sarebbe la loro rovina, si potrebbe avvalere del mezzo di vaglia del Tesoro, affinché, servendo come base di emissione, rimanessero in casa. Certamente i vaglia del Tesoro possono essere considerati come un numerario in cassa per tutti quelli che hanno fiducia nei destini d'Italia.

MANCINI P. S. Anche io mi associo vivamente a coloro i quali raccomandano alla Camera l'adozione di un articolo in questo disegno di legge che possa rispondere, nella sua sostanza, alla originaria proposta scritta degli onorevoli Cadolini e compagni, che ho sotto gli occhi; ma ho bisogno di rettificare un concetto che mi pare meno esatto di quello del mio onorevole amico Nisco, desunto dalla notevole modificazione che lo stesso onorevole Cadolini poscia introdusse in quella proposta medesima.

Essi con ciò ridurrebbero l'operazione che si propone con questo articolo ad una operazione ordinaria, trattandosi di emettere della rendita e quindi depositarla facendo una operazione di anticipazione con deposito.

Portandosi invece lo sguardo sul tenore della primitiva proposta, si scorge che essa aveva uno scopo ben diverso e, a mio avviso, importantissimo, cioè di impedire ciò che sarebbe imprudente e pernicioso, nelle condizioni attuali, la emissione di 60 milioni di rendita; e per impedirla e non autorizzarla proponevasi di dare semplicemente facoltà al Governo di stipulare col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana operazioni analoghe a quella approvata nell'articolo precedente, ossia convenzioni di natura analoga a quella che avete già autorizzata con la Banca Nazionale Sarda affine di procurarsi 60 milioni.

Si tratta dunque di provvedere 60 milioni di lire con un tenue corrispettivo, non già di emettere 60 milioni di rendita, i quali, nella presente viltà del corso, sarebbero procurati con sacrificio onerosissimo per lo Stato, ed aggravando naturalmente l'erario dell'annua spesa di altri 3 milioni per gli interessi corrispondenti a questi 60 milioni di rendita.

Ciò che adunque conviene cercare è appunto se ancora sia possibile fare operazioni analoghe a quella che sarebbe si approvata colla Banca Nazionale Sarda.

Pur troppo, o signori, se questa discussione fosse sorta contemporaneamente alla disamina del progetto di convenzione con la Banca anzidetta, che costituiva l'allegato R, era ancora possibile di richiamare il signor ministro alle sue promesse fatte ieri, allorché respinse la proposta mia e dell'onorevole Servadio, per autorizzare una sola operazione complessiva di 180 milioni; era possibile di contemplare anche i 60 milioni insieme con i 122, e fare in modo che le cautele e condizioni di quel progetto di convenzione fossero concepito in modo che si potessero applicare cumulativamente all'intiera operazione dei 180 milioni Ma a quest'ora mi pare che pur troppo la cosa sia divenuta impossibile.

Quali sono, invero, i vantaggi assicurati dalla nuova convenzione alla Banca Nazionale Sarda?

I principali possono ridursi a tre: un pegno, od almeno qualche cosa dì somigliante (che, in verità, non so vedervi giuridicamente gli elementi di un pegno), di 333 milioni di obbligazioni dell'asse ecclesiastico, la riduzione della sua riserva metallica, l'inconvertibilità che essa conserverà dei suoi biglietti in tutto il regno.

Sono queste le tre condizioni, a fronte delle quali la Banca Nazionale Sarda ha fatto sembiante di generosa nel contentarsi del corrispettivo di 60 centesimi, corrispettivo della cui illegittimità, avuto riguardo alla sua origine, misura e periodica riproduzione in ogni anno, sarebbe ora tardi di occuparmi, non volendo io rientrare in una discussione che mi sembra esaurita. Ora, per quanto riguarda il pegno, è evidente che se ieri da me propongasi di dare al Governo facoltà di procurarsi non solo 122 milioni ma 180, stipulando nelle debite proporzioni tanto con la Banca Sarda, quanto con altri tre stabilimenti; la cautela reale del pegno di 333 milioni in obbligazioni ecclesiastiche avrebbe proporzionalmente garantiti tutti i 180 milioni, e quindi almeno un terzo di questa cautela avrebbe potuto giovare agli altri tre istituti di credito. In questo momento i 333 milioni sono stati già portati via, aggiungendo, senza giusta causa e senza esempio in casi simili, una nuova sicurezza a crediti già anteriormente costituiti senza di essa e disponendo di quest'ultimo avanzo del patrimonio nazionale unicamente in benefizio di uno dei quattro stabilimenti, di quello cioè che riceve sistematicamente tutti i favori, ed in prò del quale l'Italia non fa che accumulare privilegi, e rinnova la preferenza odiosa e parziale che fece detestare gli antichi diritti di primogenitura I Dunque è inutile di parlare di cautele reali per gli altri tre stabilimenti, perché io non so ciò che potreste ad essi concedere. Essi ormai dovrebbero sacrificarsi al bene dello Stato accettando condizioni che non sono punto comparabili a quelle di che avete generosamente largheggiato con la Banca Nazionale Sarda.

Per quanto riguarda il secondo vantaggio, comprendo anch'io che la riduzione della riserva, come si è accordata alla Banca Nazionale Sarda, si possa parimente accordare a questi altri stabilimenti; e sarebbe poi grande ingiustizia non consentirla in proporzione delle sovvenzioni che essi farebbero al Governo. Non sarà sfuggito all'attenzione della Camera che alla Banca Nazionale Sarda si è appunto consentito il vantaggio di permetterle di ridurre la sua riserva non già in proporzione di 122 milioni, ultimo mutuo, o tutto al più di 222 milioni, comprendendovi anche i 100 milioni della penultima operazione, ma le si accordava facoltà di tagliere la riserva corrispondente all'intiera somma dovutale dallo Stato in 500 milioni, vale a dire anche su quella parte della sua emissione di carta, o sul limite della sua circolazione, allora elevato a 750 milioni, provvedimenti consentiti, compiuti e consumati,

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senza che mai si fosse pretesa od ottenuta esplicitamente veruna dispensa dall'osservanza della legge costitutiva della Banca stessa, di far scomparire rapporto alle medesimo la sua riserva metallica.

FENZI. È appunto il rovescio.

MANCINI P. S. Non si toglie ora la riserva in rapporto a tutti i 500 milioni? Vorrei essere volentieri corretto dall'onorevole Fenzi, che, in queste questioni soprattutto, è in grado d'illuminare me e la Camera.

FENZI. È una questione di fatto. Domando la parola.

MANCINI P. S. Se io non m'inganno il tenore dell'articolo è concepito così, che mentre la Banca Nazionale Sarda, oltre i 100 milioni già anticipati, ne fornirà altri 122, cioè 50 tolti dalla sua riserva metallica, e 72 in carta nella maniera che tutti sappiamo, essa rimane dispensata non già unicamente dal ritenere nella propria riserva quei 50 milioni in oro, ma si dice espressamente che è dispensata dal tenere la riserva rispetto a tutti i mutui contemplati negli articoli precedenti, e, quasi che si temesse di non essersi adoperata sufficiente chiarezza, si aggiunge cioè per la intera somma di 500 milioni.

Voci a destra. Sono 450 milioni.

MANCINI P. S. Se la somma è stata corretta non si muta per ciò la sostanza del mio ragionamento.

Ad ogni modo il mio concetto è, non potersi aver difficoltà a consentire agli altri istituti di credito egualmente una riduzione della loro riserva, appunto per non costringerli a sottrarre al commercio quei capitali che essi dovrebbero somministrare al Governo; anzi ciò scorgesi di evidente e rigorosa giustizia.

Rimane l'ultima condizione della inconvertibilità. Ed anche qui mi pare che l'onorevole Nisco supponga cosa diversa da quella cui accennava il ministro delle finanze.

Ben dice l'onorevole Nisco che la inconvertibilità del biglietto dentro un raggio territoriale ristretto sarebbe la rovina di quegli stabilimenti. E chi ne può dubitare? Ma il signor ministro aveva posto altrimenti la questione, cioè se, trattandosi di stipulare con questi stabilimenti convenzioni analoghe a quella ora autorizzata colla Banca Nazionale Sarda, si dovesse anche ai medesimi accordare l'inconvertibilità dei propri titoli sia col metallo, sia col titolo oggi esclusivamente privilegiato della Banca Sarda, in tutto il territorio del regno; ed io mi dichiaro pronto a dimostrare che giuridicamente non vi è a ciò nessun impedimento sia nelle precedenti convenzioni stipulate colla Banca Nazionale Sarda, sia anche in quest'ultima. Se non esistono difficoltà di tal sorta per lo Stato, potrà unicamente disputarsi circa il limite da prefiggere in tal caso alla circolazione in carta di quegli stabilimenti e circa l'ordinamento di maggiori mezzi di sorveglianza e garanzie nell'interesse dello Stato e del pubblico;

le quali istituzioni certamente non sarebbe difficile introdurre come condizioni della concessione, quando non si credesse ancora sufficiente garanzia la generalmente lodata Amministrazione degli stabilimenti anzidetti.

Ad ogni modo io intendo venire a questa conclusione. Se volete al ogni modo autorizzare l'emissione di altri 60 milioni di rendita, il che significa gravare il Tesoro del relativo interesse, soscrivendo ciecamente ad ogni volere del ministro, e solamente lusingare con l'illusione e la maschera di un benefizio gli altri tre stabilimenti di credito, aggiungendo le parole che l'operazione del deposito di quella rendita dovrà farsi segnatamente e preferibilmente presso quegli stabilimenti, io francamente, come appartenente alle provincie nelle quali funziona uno dei più cospicui di quei tre stabilimenti, per mio conto, desidero piuttosto che non se ne parli, che non si abbia l'apparenza di accordare qualche cosa, mentre si accorda nulla. Tutto dipenderà dall'arbitrio del ministro; egli farà sempre quello che vorrà, essi faranno quello che vorranno, a dispetto del segnatamente e del preferibilmente.

Bisogna ricusare quest'apparenza fallace di un beneficio, quando non si è voluto concedere quello che era di stretta e di rigorosa giustizia, per beneficare esclusivamente la Banca Sarda, cioè uno stabilimento in cui non sono interessati che un ristretto numero di azionisti, i quali appartengono unicamente ad una regione del regno, mentre l'Italia media e l'Italia meridionale, cioè due terze parti del regno, quasi interamente non partecipano a' suoi profitti, non essendovi rappresentate né interessate, ed hanno dovuto essere, o signori, sistematicamente da ben dieci anni escluse dagli immensi lucri prodotti da una lunga serie di contratti ed operazioni sommamente proficue conchiuse con lo Stato.

Basta, o signori, ravvicinare due cifre.

La Banca Nazionale Sarda aveva 100 milioni di capitale, quando cominciò nel 1866 queste ultime operazioni col Governo, strappandogli l'agognato privilegio M corso forzoso dei suoi biglietti; oggi essa ha già 500 milioni di credito soltanto verso lo Stato; ravvicinate queste due eloquenti cifre, e potrete misurare quale è il cammino in pochi anni rapidamente percorso, e quale il cumulo dei benefizi e profitti che essa ha ricevuto; e che il più volgare sentimento di giustizia distributiva avrebbe almeno fatto ripartire sopra i vari grandi stabilimenti di credito sparsi nelle varie provincia d'Italia, senza una ingiusta e parziale predilezione, il che vuol dire sopra la popolazione di tutto il territorio del regno.

Ma se, invece di persistere nell'irragionevole divisamente di creare ed emettere nuova rendita nei momenti attuali, il ministro fosse disposto ad accettare la sostanza della proposta primitiva degli onorevoli Cadolini

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e compagni, io per parte mia l'appoggierò e la voterò; e quand'anche operazioni positivamente analoghe a quella autorizzata colla Banca Nazionale Sarda, circa la misura delle cautele, ed alcuni dei vantaggi, agli cechi miei oramai appariscano impossibili in massima parte, nondimeno io mi contenterei che fosse chiaramente spiegato che si intende concedere al Governo la facoltà di poter procurarsi a tenue interesse 60 milioni di lire, mercé l'opera, il credito ed i titoli di questi stabilimenti, concedendo ad essi tutte quelle facilità, tutti quei benefizi, tutti quei corrispettivi, che ancora sia possibile ad essi accordare, quali risultano dalla convenzione testé autorizzata colla Banca Sarda, e dichiaro che non ho difficoltà di votare una disposizione somigliante.

Comprendo che dare facoltà al Governo non è obbligarlo; ma possono sorgere momenti gravi, bisogni così imperiosi che il Governo stesso senta la necessità e la convenienza di ricorrere a questi stabilimenti, ed è bene che egli in cedeste eventualità non si trovi in difetto di facoltà sufficienti per poter conchiudere stipulazioni che a lui procaccino a tenue interesse i 60 milioni di cui abbisogna, e che non producano a quest'istituti la rovina, e la forzata impotenza di compiere la loro missione a comune benefizio dello Stato e del commercio privato.

Conseguentemente, sia noi termini in cui era concepito l'articolo proposto dall'onorevole Cadolini e da altri, sia con altra formola che dal canto mio mi permetterei di suggerire, ove il signor ministro dichiarasse che non ha difficoltà di accettare le mie idee, la Camera potrebbe essere invitata a pronunziarsi sulle medesime, ed allora io la pregherei vivamente di non voler ricusare col suo suffragio una testimonianza d'imparziale giustizia e di benevola simpatia verso quest'impotenti istituti di credito di Toscana, di Napoli e di Sicilia, dimostrando almeno questa volta che essi non sono sistematicamente scacciati dal banchetto bancario, imbandito a spese dello Stato e della nazione.

Che se poi si trattasse di autorizzare nuova creazione di rendita, e questa rendita verrà depositata scgnatamente o preferibilmente presso i connati istituti, evidentemente non può esservi bisogno di scrivere in una legge se e dove questa rendita debb'esaera depositata, appunto perché sarebbe questa un'operazione ordinaria, un'operazione che non ha bisogno di mettere in movimento l'autorità legislativa; e non si avrebbe altro scopo che d'illudere i creduli e gl'ignoranti con l'apparenza di una concessione, di un benefizio, di una deferenza che, per parte mia, non intendo accettare, non vedendone la serietà.

NISCO. Ma non dissi questo.

MANCINI P. S. Legga la proposta degli onorevoli Cadolini e compagni distribuita a stampa in principio della seduta. Io non ho inteso che di propugnare l'adozione di questa loro primitiva proposta scritta, senza l'inciso ora aggiunto con cui aderirebbero alla emissione della rendita. Che se la medesima potesse essere ripudiata dai proponenti, per abituale arrendevolezza a qualunque desiderio che al Ministero piaccia di esprimere, ne riprendo per conto mio la sostanza, e la Camera deciderà.

PRESIDENTE. L'onorevole Torrigiani ha facoltà di parlare.

TORRIGIANI. Dal canto mio io devo lodare le intenzioni dei proponenti quest'articolo di legge. Io credo che essi siano stati mossi dal vedere che altre proposte si erano fatte, ma assolutamente in condizioni diverse e sulle quali io non ritorno, perché la Camera ha presa di già la sua decisione; ma, al punto in cui siamo, io sono in questa parte d'accordo coll'onorevole Mancini, e non credo conveniente l'operazione proposta dall'onorevole Cadolini e da altri onorevoli colleghi, e reputo che sarebbe dannosa al Tesoro e di nessuna utilità, e dannosa fors'ancbe agli istituti di credito che si vorrebbero favorire.

Io, in verità, duro fatica a concepire persino l'operazione in sé. Si tratta, a buon conto, della creazione di 60 milioni di rendita, si tratta di depositare questi 60 milioni: e di levare poi che cosa? Di creare 60 milioni di biglietti. Ma, signori, parliamoci francamente, se voi date l'inconvertibilità del biglietto a tutti questi istituti, in questo caso sono altri 60 milioni di più di cui accrescete la massa dei biglietti in circolazione.

Sembrava già qualche cosa di abbastanza grave, e lo era anche per me, scemare la riserva metallica della Banca di cinquanta milioni e contemporaneamente aumentare l'emissione di altrettanto dei biglietti. Io dico: quale vantaggio ne avrebbero poi gli istituti? Prendendo questa sola operazione, gli istituti lucrerebbero soli 60 centesimi per ogni cento lire...

MINISTRO PER L'INTERNO. Che si riducono a quaranta.

TORRIGIANI... che si riducono a quaranta centesimi, come mi fa osservare l'onorevole presidente del Consiglio: allora che cosa si va ad escogitare di più? L'onorevole Nisco ha detto prima e l'onorevole Mancini ha ripetuto che per quanto alla riserva potremmo dispensarne gl'istituti di credito, perché abbiamo l'esempio dei vaglia del Tesoro che altra volta si sono sostituiti come riserva. Ma io credo realmente che l'onorevole Rattazzi, il quale una volta fece questa operazione, egli stesso la riguardi come una di quelle di cui non può gloriarsi, e credo che, so si trovasse nella stessa condizione, assolutamente non la vorrebbe ripeter?.

L'onorevole Nisco può egli venire qui, uomo com'è di scienza, e dirci che vorrebbe questo deposito di carta da mettere come riserva per fabbricarvi in cima dell'altra carta?

3654 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Non andiamo per carità su questa strada, che sarebbe la vera maniera di rovinare intieramente il nostro credito e subire tutte le conseguenze della rovina!

Io non annoierò la Camera con un esame più lungo di questo brevissimo che ho fatto, perché realmente mi pare che questi appunti sono sufficienti. Quanto all'ammettere come riserva i vaglia del Tesoro, francamente io dissento dall'onorevole Mancini e dall'onorevole Nisco, e badi l'onorevole Mancini, se egli lo nega... avrò capito male...

MANCINI P. S. Ridurre la riserva.

TORRIGIANI. Ridurre la riserva? Ma che cosa si sostituirà alla parte di riserva che manca?

Noi fabbricheremmo nelle nuvole oggi pur troppo che l'attrattiva sarà grande di questa maniera di fabbricare Io mi raccomando all'onorevole ministro di tenersi molto lontano dalle operazioni fantasmagoriche in fatto di credito, che riuscirebbero funestissime al paese.

Io quindi conchiudo che, lodando l'intenzione degli onorevoli proponenti, dissento assolutamente da questa proposta, e spero che non sarà accettata neppure dall'onorevole ministro, al quale mi permetto anche di aggiungergli di non adoperare neppure più l'avverbio preferibilmente che ha usato e che, come bene ha detto l'onorevole Mancini, sarebbe una lusinga dannosa e senza effetto.

PRESIDENTE. Il deputato Rattazzi ha facoltà di parlare.

RATTAZZI. Non entrerò nel merito della questione; dirò soltanto due parole all'onorevole Torrigiani, il quale ha detto che io non aveva da gloriarmi dell'operazione fatta nel 1866 con l'aver accresciuto il numero dei vaglia che dovevano servire di riserva per la Banca.

TORRIGIANI. È vero.

RATTAZZI. Perdoni. Io certo non aveva in animo di gloriarmene, come nessun ministro può gloriarsi se compie l'ufficio suo, quando lo fa nell'interesse del paese e nel tempo stesso non offende lò leggi dello Stato.

Ora, io credo che con questa operazione io ho raggiunto questo scopo, e perciò se non ho da gloriarmene, non ho nemmeno da pentirmene. Ciò asserisco, poiché egli si ricorderà che non è più di ieri l'altro che l'onorevole ministro delle finanze stesso affermava che nello casse dello Stato esiste continuamente una somma di metallo d'argento di moneta divisionaria.

Ora, se l'onorevole Sella volesse aver la compiacenza di riconoscere la moneta divisionaria d'argento che esisteva nell'ottobre 1867, riconoscerà che il Ministero aveva il mezzo di far fronte alla riserva metallica prescritta nell'interesse della Banca; ed era questa precisamente l'intelligenza che si era presa con la Banca, cioè che quella somma che si trovava nelle casse dello Stato in moneta d'argento' divisionaria vi fosse a titolo di riserva della Banca.

TORRIGIANI Dunque non erano vaglia del Tesoro.

RATTAZZI. Erano Buoni onde ritirare questa moneta; ma, siccome era urgente di fare la convenzione, e d'altronde non era un'operazione così facile il far dalle casse dello Stato rientrare in quelle della Banca questa moneta divisionaria, si diedero perciò dei vaglia immediatamente pagabili in moneta alla Banca, la quale poteva con essi in tutti i momenti andare a ritirare quella somma.

Vede dunque l'onorevole Torrigiani che io non ho per nulla violata la legge regolatrice della Banca e gli statuti della medesima, ed ho solamente agevolato una operazione, la quale era perfettamente regolare e conforme a ciò che l'interesse del paese e la sicurezza dei pagamenti potevano richiedere.

MINISTRO PER LE FINANZE. Sono necessario due parole di spiegazione su questa questione.

Se voi mi dite: andate al Banco di Napoli, munito di un plico di cartelle del debito pubblico, e dite al Banco di Napoli: «fatemi un'anticipazione sopra queste cartelle;» questa è in tal caso un'operazione ordinaria; il Banco di Napoli vedrà quale è il corso di questa rendita, e mi darà, credo, i tre quarti del valore di Borsa di questa rendita; mi darà questa somma in biglietti; avrà in cassa il terzo della riserva di questi biglietti;è insomma un'operazione ordinaria.

SPAVENTA SILVIO. E il Tesoro pagherà un interesse.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ben inteso, darà un'interesse come gli altri cittadini. Ora, se siamo in condizioni, per cui il commercio non faccia grande richiesta, se il Banco di Napoli può lasciar fuori le sue fedi di credito, sarà ben lieto che questo cliente verga col plico di rendita a chiedere codesta anticipazione.

È in questo senso che io, come già dissi, combinai un'operazione, per cui il Banco di Napoli mi anticipò 16 milioni per tre mesi, e fu ben contento, per le condizioni in cui versava, di trovare questo cliente, chi giungeva a prendere 16 milioni delle sue cartelle, corrispondendogli l'interesse del 4 per cento.

Se si tratta dunque di operazioni di questo genere, non ho difficoltà ad opporre, perché non si va fuori degli statuti; ma se si tratta invece d'andare più in là, esaminiamo un momento le conseguenze.

Taluno ci dice: fate facoltà al Banco di Napoli di diminuire la sua riserva. Tal altro ci dice invece: date un vaglia fittizio del Tesoro che tenga luogo di questa riserva. Ma un momento, signori, badiamo alle conseguenze di questa diminuzione nella riserva metallica; se si presentano al Banco di Napoli latori di fedi di credito per ottenerne il cambio, deve pure il Banco avere qualche cosa nelle sue casse per provvedere a questo cambio. Credo che coloro i quali s'interessano ad un istituto di credito, non vorranno certamente incoraggiarlo a lanciar fuori molta carta, senz'avere in riserva quello che, ragionevolmente parlando, io ritengo opportuno per provvedere al cambio;

3655 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

sarebbe, a mio avviso, un rendere a tale istituto un cattivo servizio. Basterebbe una cosa di questo genere per gettare lo scredito sul Banco. Un tale provvedimento avrebbe per effetto d'eccitare la sfiducia e di spingere la gente al cambio. Non si può quindi assolutamente operare una diminuzione nella riserva. Questa misura può stare per la Banca Nazionale, perché i suoi biglietti sono dichiarati inconvertibili.

Vorrete forse dichiarare inconvertibili i biglietti dei vari istituti di credito? Esaminiamo le conseguenze di una disposizione di questo genere. Tali conseguenze sarebbero gravi. Prima di tutto avrebbero corso obbligatorio in tutti i punti del regno i titoli di questi istituti di credito, cioè quelli della Banca Nazionale, della Banca Toscana, del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia. Non so se siate disposti ad adottare un provvedimento di questa natura, finché trattasi di dichiarare l'inconvertibilità dei biglietti nella regione in cui operano attualmente questi stabilimenti. Non avvi quella difficoltà poiché nelle provincie napoletane nessuno può rifiutare il biglietto del Banco di Napoli, che vi ha corso legale; ma, in tal caso, ogniqualvolta il biglietto deve abbandonare le provincie napoletane per venire, ad esempio, nelle provincie toscane, in Lombardia, in Piemonte, nel Veneto, sarà presentato al Banco per il cambio in biglietti della Banca Nazionale, che hanno corso in quel luogo dove va. Ma, se poi fosse dichiarato il biglietto del Banco di Napoli inconvertibile ed avente corso legale soltanto nelle provincie napoletane, voi vedete che grave inciampo mettereste alle relazioni commerciali tra le varie regioni d'Italia; sarebbe un dividere l'Italia in tre regni aventi ciascuno un corso forzato diverso; perché quando uno, per esempio, volesse dalle provincie napoletane recarsi nelle settentrionali, dovrebbe, chi sa con qual aggio, cercare che gli fosse cambiata questa carta in un'altra.

Volendo poi rendere inconvertibile la carta di questi istituti, evidentemente farebbe d'uopo prescrivere la limitazione della loro circolazione; ma ciò non ostante, se guardiamo, per esempio, la circolazione che ha il Banco di Napoli (credo sia di 114 milioni), e supponiamo che aia dichiarata la inconvertibilità di questi 114 milioni, in tal caso, attuando la proposta dell'onorevole Cadolini, si eccederebbe questa circolazione, e la conseguenza sarebbe quella esposta molto benj dall'onorevole Torrigiani, cioè che si accrescerebbe la circolazione obbligatoria, non di quei soli 50 milioni che avete stentato di ammettere colla convenzione culla Banca, ma di altri 60.

Quindi, o signori, la proposta che si è fatta si riduce

in poche parole a questo, che si accresca di altri 60 milioni la circolazione obbligatoria.

VALERIO. Domando la parola.

MINISTRO PER LE FINANZE. Io non credo che l'onorevole Cadolini abbia questo intendimento, ma se questo è il proposito suo, evidentemente la questione è ben diversa.

Si dice: ma le condizioni sono gravi.

Ve l'abbiamo detto più volte, o signori: se le circostanze venissero tali cha i mezzi che ponete a disposizione del Ministero non bastassero più, il Parlamento sarà convocato, perché provvegga in proposito; ma nelle condizioni attuali noi vi domandiamo di emettere della rendita.

E qui mi perdoni l'onorevole Mancini se io gli osservo che per andare ad un istituto di credito a domandare un' anticipazione, è necessario depositare qualche valore; ed egli ha osservato molto bene che, per esempio, alla Banca Nazionale, per farci dare 122 milioni, abbiamo dato in pegno tante nuove obbligazioni ecclesiastiche quante corrisponderebbero a ciò che essa ci ha dato. Ora vorrebbe egli che andassimo dal Banco di Napoli, dalla Banca Toscana, ecc., a domandare un prestito, anche nel caso d'inconvertibilità, senza metter nulla in deposito? Si nuocerebbe seriamente al credito di questi stabilimenti.

Quindi è, o signori, che siccome non si possono emettere più obbligazioni ecclesiastiche, se non deliberate l'incameramento di altri beni, così io non saprei vedere altro titolo da mettere a disposizione del Governo se non della rendita pubblica.

Questa rendita pubblica una volta che il Governo l'abbia, se si ristabilisse per fortuna nostra la pace, per cui le condizioni del credito migliorino e si possa alienare, allora che cosa andiamo facendo con novelle complicazioni di circolazioni di carta? Evidentemente non si avrebbe difficoltà alla alienazione di questa rendita. Se invece le condizioni del mercato saranno tali che non sia opera prudente l'alienare la rendita, avete voi difficoltà che si facciano operazioni di anticipazione? Siccome le operazioni di anticipazione sono operazioni precarie, è meglio, anziché vendere un titolo perpetuo, supponiamo al 50 per cento, è meglio pagare 10 o 12 per cento per tre, per quattro, per sei mesi e poi riavere il titolo, onde venderlo ad un maggior saggio più tardi.

Quindi io credo, o signori, che se la proposizione che io ho accennato non piace alla Camera, tanto vale che la Camera voti l'articolo come era stato proposto dal Ministero e dalia Commissione. Ma se la Camera crede di accettarlo, io devo dichiarare che il concetto nostro era puramente questo, cioè che il Governo di preferenza facesse delle operazioni, ma beninteso delle operazioni ordinarie, con questi istituti; poi che, o signori, in condizioni ordinarie, questi istituti desiderano che se vi ha qualche operazione di anticipazione da fare, il Governo la faccia di preferenza con loro, come, in regola generale, lo desidera qualunque stabilimento bancario. Se poila proposta, che io ho letto, fosse di natura tale da spiacere ai rappresentanti delle provincie meridionali, come all'onorevole Mancini, io allora pel primo direi: lasciamo l'articolo 7 com'è proposto dalla Commissione.

Molte voci. Ai voti! ai voti!

3656 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

PRESIDENTE. Domandò se la chiusura è appoggiata.

(È appoggiata.)

Essendo appoggiata, la metto ai voti.

(La discussione è chiusa.)

L'onorevole Cadolini ha la parola per una dichiarazione.

CADOLINI. Veramente la proposta da me fatta aveva una portata maggiore ed una significazione più estesa di quella che può avere la formola che il ministro ha creduto di contrapporre.

Ma, allo stato presente degli animi e nelle condizioni odierne della Camera, io non credo che sia più possibile di fare sopra la nostra proposta quell'ampia discussione che sarebbe inevitabile ove io insistessi.

Però, siccome la proposta del Ministero in parte soddisfa al desiderio nostro, che è quello di evitare l'immediata alienazione della rendita, e nello stesso tempo di chiamare anche gli altri istituti a partecipare alle operazioni di credito che deve fare lo Stato, così io ritiro la mia proposta e mi associò a quella del ministro, facendo ben rilevare tuttavia che la nostra proposta aveva una portata più estesa, e che, soltanto per le ragioni da me testé accennate, e che si verificarono dopo che la proposta era presentata, non crediamo più d'insistere nella medesima.

MINISTRO PER LE FINANZE. Io ringrazio l'onorevole Cadolini dell'adesione che fa alla nostra proposta.

Io avrei avuto desiderio di entrare in un ordine di idee come egli dice, ma per altra parte credo che l'onorevole Cadolini si sarà convinto delle difficoltà gravi che vi sono per venire ad una risoluzione di un concetto, quando questo concetto fosse stato nel senso di fare con quegli istituti operazioni completamente identiche a quelle che si fa colla Banca.

Voci. Ai voti! ai voti!

PRESIDENTE. Ecco quale sarebbe l'articolo secondo proposto dalla Commissione d'accordo col Ministero:

«È data facoltà al ministro delle finanze di creare tanta rendita del 5 per cento da iscriversi sul Gran Libro del debito pubblico quanto valga per far entrare nel Tesoro sessanta milioni di lire.

«Detta rendita sarà alienata, e servirà di base ad operazioni di anticipazione, preferibilmente col Banco di Napoli, cui Banco di Sicilia e colla Banca Nazionale Toscana.»

MANCINI STANISLAO. Domando la parola per la posizione della questione.

Prego l'onorevole presidente di rammentare che io ho ripreso per mio conto i concetti racchiusi nell'emendamento dell'onorevole Cadolini, qual era stato originariamente da lui formulato, e come contrapposto all'articolo della Commissione.

Pregherei quindi l'onorevole presidente di metterlo ai voti. Laddove venga respinto, allora si passerà alla votazione dell'articolo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. L'onorevole Mancini sa che, quando vi sono proposte che vennero ritirate dai proponenti, non si possono riprendere che da un membro della Commissione, che le ripresenti.

Darò lettura dell'articolo 63 del regolamento:

«Quando un emendamento è ritirato dall'autore, non può essere ripreso da altri, tranne che da un membro della Giunta.»

MANCINI P. S. L'emendamento è modificato; non è più quello. Adesso lo mando al banco della Presidenza.

VALERIO. Domando la parola.

PRESIDENTE. Sulla posizione della questione?

VALERIO. No.

PRESIDENTE. Non le posso dare la parola, perché la discussione è chiusa.

Voci. Ai voti! ai voti!

VALERIO. Domando la parola sulla posizione della questione.

PRESIDENTE. La posizione della questione mi pare che sia chiara.

VALERIO. Se non mi vuol lasciar parlare, faccia come crede.

PRESIDENTE. Accenni la questione.

VALERIO. Io vorrei pregare l'onorevole ministro a ritenere che, posta come ha egli la questione a fronte di quella che propone l'onorevole Mancini, si viene ad un risultato che può essere molto grave, ed il risultato è questo, di sottrarre dalla circolazione di quegli istituti quello di che essi hanno bisogno per il commercio. Questo non è certo lo scopo di quelli che vogliono la libertà delle Banche e che amano...

PRESIDENTE. È chiusa la discussione.

PLUTINO AGOSTINO. Lo lascino parlare un momento.

VALERIO. L'unico modo di risolvere definitivamente cotesta questione (spero che il ministro ci avrà pensato) è l'adozione del biglietto fornito dallo Stato agli istituti di credito nelle proporzioni stabilite, e da queste avallato: insomma il biglietto unico. Perché è evidente che, se vi è il corso forzoso, bisogna che vi sia un biglietto unico. Questa è l'unica maniera di uscirne, adottando in massima il biglietto americano.

MINISTRO PER LE FINANZE. La questione è piuttosto grave e, mentre l'onorevole Mancini scrive...

MANCINI P. S. Vedranno l'onorevole presidente e l'onorevole ministro che ho formulato la mia proposta in modo da non escludere il sistema della Commissione e che per ispirito di conciliazione mi contento di porla in alternativa con altre concessioni alla Banca Toscana ed ai Banchi di Napoli e di Sicilia. Spero che il ministro non vorrà ricusare deliberatamente queste maggiori facoltà utili agli istituti anzidetti.

3657 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

PRESIDENTE. Ne do lettura:

Il Governo è autorizzato a procurarsi una somma di 60 milioni di lire, stipulando col Banco di Napoli, col Banco di Sicilia e con la Banca Nazionale Toscana le relative convenzioni, sia accordando a tali stabilimenti le medesime facilità e privilegi accordati alla Banca Nazionale Sarda coll'allegato li, sia mediante il deposito di rendita pubblica.»

Domando se è appoggiata.

(È appoggiata.)

MINISTRO PER LE FINANZE. Dichiaro che non posso accettarlo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti quest'articolo sostitutivo.

(Non è approvato.)

Ora pongo ai voti l'articolo 2 che ho già letto.

(La Camera approva.)

Seguono le diverse proposte che hanno tratto al servizio di tesoreria.

Vi è quella dell'onorevole Alfieri, poi quella dell'onorevole Sanminiatelli, quindi quella consistente nei tre articoli aggiuntivi degli onorevoli Bonghi e Massari Giuseppe, ed in fine quella di un articolo unico dell'onorevole Mancini.

Leggerò i tre articoli aggiuntivi degli onorevoli Bonghi e Massari Giuseppe, avendo già data lettura delle altre proposte.

«Art. 1. (Art. 8 del progetto ministeriale) II Governo del Re è autorizzato ad affidare il servizio di tesoreria del regno a principiare dal 1° gennaio 1871 alla Banca Nazionale Sarda, al Banco di Napoli, al Banco di Sicilia ed alla Banca Nazionale Toscana.

«A ciascuno di questi istituti sarà affidato il servizio in quelle provincie ove continueranno ad avere corso legale i propri biglietti, cioè: al Banco di Napoli, per le provincie napolitano, al Banco di Sicilia, per le provincie siciliane, alla Banca Toscana per le provincie toscane, alla Banca Nazionale Sarda per tutte le altre provincie del regno.

«Mediante decreti reali da presentarsi al Parlamento nel corso dell'anno corrente per essere convergiti in legge saranno fissati gli accordi:

« a) Per le garanzie reciproche tra gli istituti per formare un conto corrente e per il trasferimento dei fondi;

« 6) Le mutazioni organiche che si dovranno introdurre negli statuti di ciascuno di essi stabilimenti per rendere efficace la sorveglianza dello Stato.

« Art. 2. Qualora uno dei suddetti istituti non volesse partecipare al servizio di tesoreria, è data facoltà ai Governo di affidarlo per quella parte ad uno degli altri tre istituti che volesse assumerlo, o di ripartirlo fra essi.

«Art. 3. Con decreto reale sarà provveduto al regolamento per l'esecuzione di queste disposizioni di legge.»

La Commissione vuole esprimere il suo avviso?

MINGHETTI. La Commissione esprime il desiderio che si accetti un ordine del giorno anziché un articolo di legge. Infatti il prescrivere al ministro di presentare un progetto di legge sopra una materia che deve essere discussa ancora tra i vari stabilimenti, il dargli un impegno così determinato è cosa molto grave.

Io sono d'avviso che il ministro abbia già cominciato degli studi su questa materia, e che delle trattative sieno già in corso; epperciò queste, confortate da un voto della Camera, non potranno a meno di avere maggiore efficacia. Ma, quanto a prescrivergli di presentare un disegno di legge, pare alla Commissione che sia un fare la cosa un po' anticipata, e che d'altronde potrebbe frustrarsi.

Se si suppone che il ministro non sia proprio in buona fede, potrebbe egualmente presentare poi uno schema di legge che non avesse tutte le condizioni desiderabili. A tutto questo si aggiunga

L'ora del tempo e la dolce stagione,

come disse l'onorevole Bonghi l'altro giorno, e per tutto questo la Commissione pregherebbe la Camera di accettare un ordine del giorno che inviti il Ministero a presentare questo progetto.

(I deputati Bonghi ed Alfieri domandano la parola.)

MINISTRO PER LE FINANZE. Dopo averci ben pensato concludo anche io per un ordine del giorno. Imperocché, signori, che voi mettiate quest'obbligo per legge, o per ordine del giorno, non si potrà tuttavia far nulla fino a che le trattative e gli studi non siano terminati. Ora io non ho difficoltà a dichiarare che queste trattative sono già cominciate prima d'ora, anzi non ho difficoltà di dichiarare a che punto sono le cose. Io mi sono rivolto specialmente a quelli fra codesti istituti, i quali non avendo da dare dividendi agli azionisti, come corpi morali, si trovano più vicini al Governo, oserei dire, di quello che siano gli istituti, i quali hanno invece degli azionisti. Io per conseguenza mi sono rivolto anzitutto al Banco di Napoli, il quale mandò qui due dei suoi rappresentanti, coi quali avemmo a discutere variamente le questioni. In seguito anche il Banco di Sicilia ha mandato dei delegati, ed io li pregai di fare essi stessi un progetto su questo punto, dopo del che si verrà agli altri istituti.

Quando questo progetto sarà in pronto e che tutte le difficoltà saranno ultimate, evidentemente si deve il tutto concludere con una convenzione! Ed io non nascondo che preferisco, per scarico di responsabilità, sottoporre una materia di questa natura alla Camera, e credo ancora che riuscirò meglio nel mio intento quando, anziché occuparmene io stesso per virtù di facoltà a me attribuite, debba munirmi dell'approvazione del Parlamento: io lo preferisco, imperocché esso resta sempre giudice supremo. (Si ride)

È evidente, signori, che voi mi agevolate la conclusione delle trattative non dandomi le facoltà, ma anzi stabilendo che debba il ministro, appena che siano condotte a termine, sottoporle alla vostra sovrana approvazione. (Segni di approvazione)

3658 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

PRESIDENTE. L'ordine del giorno più anziano è quello dell'onorevole Alfieri; lo invito a dichiarare se aderisce alle dichiarazioni del signor ministro.

ALFIERI. Quando io ho udito fin da ieri le dichiarazioni del signor ministra a questo proposito, stimai di averne fatta una giusta interpretazione osservando che esse corrispondevano al concetto che nella mia proposta io aveva inteso di formulare a differenza di quella degli onorevoli Sanminiatelli ed Arrivabene, come pure degli articoli di legge proposti dagli onorevoli Bonghi e Massari Giuseppe.

Io aveva introdotto nella mia proposta la raccomandazione al Ministero per parte della Camera di presentare un disegno di legge, il quale affidasse il servizio della tesoreria agl'istituti principali, che sono noti a tutti; ma io aveva aggiunto che questa attribuzione dovesse affidarsi unicamente e complessivamente ai 4 istituti che non occorre di enumerare, ed ho udito il ministro di finanze a spiegare come, noi suo concetto, convenisse al servizio di contabilità, agl'interessi delle finanze, che si facesse un unico servizio complessivo.

Io aveva una ragione di più, che credo di poter chia mare politica, imperocché mi pareva che, anche io materia di credito, anche quando si tratta d'istituti, fosse bene di promuovere, non certo il regionalismo del credito, dell'industria, del commercio, ina la loro unità.

Questa è la ragione per la quale io aveva inserito quelle parole nella mia proposta. Ma, dal momento che il signor ministro ha dichiarato che era in questo ordine d'idee, a me non resta che ritirare la mia proposta. (Rumori e segni d'impazienza)

Preferirei che si prendesse semplicemente atto delle dichiarazioni del ministro; ma, se la Camera preferisce di accogliere la proposta degli onorevoli Sanminiatelli ed Arrivabene, non ho poi nessuna difficoltà di ritirare la mia.

PRESIDENTE. Interpello ora l'onorevole Bonghi. BONGHI. Dirò poche parole. La differenza che l'onorevole Alfieri pone tra la sua proposta ed il mio articolo di legge, non la vedo punto, ma ne vedo un'altra. Egli aveva subordinata questa consegna del servizio di tesoreria ai"quattro istituti alla cessazione del corso forzoso. Ora, questa limitazione nel mio articolo di legge, ed in quello dell'onorevole Mancini come nella proposta Sanminiatelli manca; ed il ministro non ha punto detto che la crede necessaria; ed io certamente non la credo tale.

Premesso questo, osserverò semplicemente al Ministero e alla Commissione che la loro risoluzione di formulare cotesto concetto in un ordine del giorno anziché un articolo di legge non ci può non rincrescere. Il ministro delle finanze dovrebbe avvertire che la ragione che egli da di questa preferenza, non ha valore.

Egli ha opposto che l'articolo di legge darebbe a lui la facoltà di affidare e distribuire il servizio di tesoreria ai quattro instituti, dove egli preferisce di farne oggetto di legge da presentare al Parlamento. Questa obbiezione non potrebbe servire se non a persuadere l'onorevole Massari e me a redigere l'articolo di legge altrimenti da quello che abbiamo fatto; ed in luogo di esprimervi che l'affidamento del servizio di tesoreria deve esser fatto «mediante decreti reali da convertirsi in legge,» vi esprimessimo che il Ministero debba presentare la legge nella Sessione prossima. Cosicché se il ministro non avesse altra ragione, non vi sarebbe luogo se non a modificare l'articolo, non già surrogarlo con un ordine del giorno.

lo gli dico con intera schiettezza: tutti sappiamo come da tante parti della Camera chi di più chi di men lontano siamo venuti in questo parere. Oltre le ragioni più o meno economiche e finanziarie che possiamo avere, abbiamo anche chi più chi in. no delle ragioni politiche. Noi abbiamo voluto assicurare agl'istituti di credito principali interessi legittimi che intorno ad essi si rannodano una parte proporzionale del servizio di tesoreria, perché cotesto lor guarentisce nello stesso loro parere un'eguale diffusione del loro credito, un'eguale dignità ed un'esistenza del pari salda.

Ora, se questa disposizione non sarà deliberata per legge, la stessa debolezza della obbiezione messa innanzi dal ministro delle finanze farà credere (io non lo crederò, ma egli sa in quale turbamento sono gli spiriti o come siano aperti gli animi al sospetto), farà credere che egli abbia accettato un ordine del giorno, anziché un articolo di legge, perché un ordine del giorno non vincola il potere esecutivo, perché l'ordine del giorno ad ogni modo non vincola che il ministro che oggi l'accetta, mentre l'articolo di legge vincola davvero e tutto il potere esecutivo. È ben certo che quella sicurezza che questi interessi riceverebbero da un articolo di legge non l'avranno dall'ordine del giorno; cosicché mentre e ministro e Camera accettano il principio principalmente per conseguire un effetto, è appunto cotesto effetto, che per la forma dell'ordine del giorno prescelta non sarà che molto imperfettamente e forse punto conseguito.

MINISTRO PER LE FINANZE. Piego l'onorevole Bonghi di considerare...

Voci. Ai voti ! ai voti!

PRESIDENTE. C'è l'onorevole Mancini che ha lo stesso articolo, bisognerebbe vedere se lo ritira.

MINISTRO PER LE FINANZE. Due sole parole. Prego l'onorevole Bonghi & considerare che si avrebbe lo stesso effetto, perché pur troppo vi sono degli articoli di legge non eseguiti. Mi basti ricordare il conguaglio... Voce. E le ferrovie?

MINISTRO PER LE FINANZE... e diverse altre. Le differenze saranno minori il giorno in cui si stabilirà una convenzione per dar loro queste tesorerie.

3659 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

Non è cosa che s'improvvisi; una volta che essa sia portata alla Camera, non dubito che lo sancirà, per poco che sia ben combinata, ma in tutti i casi io credo, o signori, che non cambi nulla il far l'articolo di legge. Per parte mia credo di aver fatto qualche passo abbastanza significante; ho concesso al Banco di Napoli, insieme al mio collega dell'agricoltura e commercio, che estendesse anche nelle altre provincie del regno le sue sedi; è stato pure concesso al Banco di Sicilia di creare sedi e succursali in Sicilia e fuori. Diedimo a detto Banco un ragguardevole capitale, e per ottenere questo effetto ci affrettammo di venire ad una conclusione, anche venendo ad una transazione per terminare questioni pendenti.

Io capisco che le differenze finiranno, quando la cosa sarà fatta; ed osservo che per la facilitazione delle trattative convien meglio l'ordine del giorno che non l'articolo di legge.

PRESIDENTE. Onorevole Mancini, aderisce?

MANCINI P. S. Ritiro senza rincrescimento l'articolo di legge da me proposto insieme all'onorevole Servadio, perché esso era intimamente legato con l'altra proposta che erasi fatta ieri da noi stessi per autorizzare il Governo a stipulare cumulativamente coi quattro stabilimenti di credito l'operazione complessiva di 180 milioni. Respinta ieri quella nostra proposta sulla lusinga fatta concepire dal ministro che almeno per 60 milioni si farebbero stipulazioni analoghe colla Banca Toscana e coi Banchi di Napoli e Sicilia, ora che anche quella lusinga è venuta meno, la proposta di un articolo di legge circa il servizio di tesoreria non ha più ragione di esistere.

Avvertirò soltanto ciò che eravi di caratteristico in quest'articolo di leggo, che da me proponevasi: esso imponeva al Governo di stabilire le convenzioni concernenti il servizio di tesoreria, ma ad identiche conditimi, con tutti quattro gli stabilimenti di credito. Ora è evidente che quest'identità di condizioni, dopo le avvenute votazioni, trovasi così pregiudicata che io non saprei più vedere la possibilità che il ministro delle finanze eseguisse un mandato che in questi termini gli venisse circoscritto dalla Camera.

Conseguentemente io mi riservo di giudicare a miglior tempo il risaltato delle negoziazioni dall'onorevole ministro annunziate pendenti su questo argomento, e sperando che insieme col paese io possa rimanerne soddisfatto, per ora ritiro la mia proposta, lasciando discutere l'ordine del giorno Sanminiatelli.

PLUTINO AGOSTINO. La parola, signor presidente.

Voci. No! no! no!

PLUTINO AGOSTINO. Per una proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Fiutino, non è ancora giunto il momento che io le possa dare la parola sull'argomento di cui egli intende parlare. Lasci esaurire la questione.

RATTAZZI. Ho domandata la parola.

PRESIDENTE. Onorevole Rattazzi, su che cosa intende parlare?

RATTAZZI. Io veramente non so come la Camera possa votare sia un ordine del giorno su quest'argomento, sia un articolo di legge. A che serve che la Camera faccia dei voti perché il servizio di tesoreria sia affidato a questi stabilimenti, se noi, avanti tutto, non conosciamo quali siano le intenzioni di questi stabilimenti, cioè se vogliano o non vogliano accettare questo servizio...

MINISTRO PER LE FINANZE. Lo desiderano.

RATTAZZI. A noi ciò non consta.

Ora io domando: è egli conveniente che la Camera faccia un voto per la verificazione di un fatto, che probabilmente sarà rifiutato dalle parti interessate?

Io anzi ritengo, checché ne possa pensare l'onorevole ministro delle finanze, che questi istituti non saranno disposti ad accettare il servizio delle tesorerie, perché, a mio avviso, quanto poteva essere opportuno e conveniente nell'interesse loro, che questo servizio venisse ad essi affidato, ove si trovassero nell'identica condizione in cui si trova la Banca Nazionale, altrettanto risulterebbe nocivo, qualora essi l'accettassero a condizioni affatto diverse, poiché si troverebbero in una situazione peggiore quando prestassero questo servizio.

Ad ogni modo, siccome a noi non consta se questi istituti abbiano l'intenzione di assumere o no questo servizio di tesoreria, mi pare che sarebbe molto imprudente e poco conveniente nell'interesse del decoro della Camera che essa fin d'ora emettesse un roto a questo riguardo. Perciò prego la Camera di astenersi dal votare ordini del giorno in questo senso.

(Il ministro Sella ed il relatore della Commissione chiedono di parlare)

PRESIDENTE. Permettano, l'onorevole Sanminiatelli ha già chiesto quattro volte di parlare.

MINISTRO PER LE FINANZE. Scusi l'onorevole Sanminiatelli se mi permetto di dir subito una parola per influire sull'onorevole Rattazzi, sebbene io non possa nutrire una tale fiducia, e per pregarlo di non insistere in questa sua proposizione. Anche ammesso che non convenga a questi istituti assumere il servizio di tesoreria finché durano le condizioni fatte dal corno forzoso, tuttavia è bene vedere se non si può giungere ad affidar loro un tale servizio, e ciò per guarentire, non fosse altro, che non si vuole dare questo servizio esclusivamente alla Banca Nazionale. Posso anche tranquillare, se non persuadere, l'onorevole Rattazzi sopra questo punto, imperocché ho veduto che i direttori di questo stabilimento, ben ponderati i vantaggi e gli inconvenienti, si sono indotti a credere che meglio sarebbe per quegli istituti avere che non avere il servizio di tesoreria. In tutti i casi considererebbero il servizio di tesoreria come una grande guarentigia, come un grande affidamento che loro si darebbe.

3660 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Debbo dire alla Camera che il non prendere alcuna deliberazione sopra questa questione farebbe in quelle provincie cattivissimo senso. Non importa che si stabilisca il da fare con un articolo di legge o con un ordine del giorno. L'essenziale è che si venga presto ad una conclusione. Prego quindi vivamente la Camera a fare in un modo qualunque che l'amministrazione sia indotta a fare i passi occorrenti perché l'affidamento del servizio di tesoreria ai quattro istituti di credito diventi un fatto compiuto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Sanminiatelli.

SANMINIATELLI. Vi rinuncio.

Voci. Ai voti! ai voti!

CHIAVES, relatore. Ho l'onore di fare, per conto della Commissione, una proposta molto semplice. Dal punto in cui sembra che tutti gli oratori sono d'accordo, che un ordine del giorno od un articolo di legge non assicurerebbe definitivamente il risultato che si vuole ottenere, la Commissione si limita a proporre che la Camera voti la seguente deliberazione:

«La Camera, prendendo atto delle dichiarazioni del Ministero relative al servizio di tesoreria da affidarsi alla Banca Nazionale Sarda, al Banco di Napoli, al Banco di Sicilia ed alla Banca Nazionale Toscana, passa all'ordine del giorno,»

PRESIDENTE. Pongo ai voti quest'ordine del giorno.

(La Camera approva.)

SANMINIATELLI Domando la parola per una mozione d'ordine.

PRESIDENTE. Permetta: so già tu che cosa intende di parlare.

C'è ancora una proposta presentata dall'onorevole Nervo.

NERVO. La ritiro. (Bravo!)

PRESIDENTE. L'onorevole Sanminiatelli ha la parola per una mozione d'ordine.

SANMINIATELLI Mi si fa supporre che il signor presidente intenda adesso chiamare la Camera alla votazione per scrutinio segreto della legge...

PRESIDENTE. Onorevole Sanminiatelli, il presidente ricorda che c'è una deliberazione della Camera, ed avrebbe tutt'al più interrogato la Camera, se intendeva di mantenere questa sua deliberazione; ma il presidente non avrebbe mai mancato al suo dovere di far eseguire la deliberazione presa dalla Camera.

SANMINIATELLI. Sono molto lieto di aver constatata questa deliberazione.

PRESIDENTE. Allora mi duole che ne abbia dubitato.

SANMINIATELLI. Ebbene, domanderò la parola per il momento in cui il presidente metterà in discussione codesta deliberazione.

MINISTRO PER LE FINANZE. Signori, la condizione del credito nel nostro paese pone ma, che era fra quelli i quali hanno più insistito perché fossero votate contemporaneamente le tre leggi

«per la riscossione delle imposte, per la convenzione colla Banca e per le strade ferrate,» pone me nella necessità di pregare la Camera di votare ora a scrutinio segreto questo progetto di legge relativo ai provvedimenti del Tesoro. E se lo credete ne dirò senza ambagi la ragione.

È inutile che io dica che la posizione delle principali piazze commerciali è molto difficile; lo sanno tutti; e non sono soltanto le piazze italiane che si trovano in questa condizione.

Ora il Tesoro, come diceva testé, ebbe alla metà di giugno un'anticipazione dai tre principali istituti di credito del nostro paese: dalla Banca Nazionale, dal Banco di Napoli e dalla Cassa di risparmio. Questa anticipazione che era fatta in vista precisamente di questa convenzione, sarebbe da rimborsarsi verso il principio di settembre; ma, se sono posti a disposizione i mezzi qui indicati, io potrei provvedere al rimborso di una parte più o meno grande di questa anticipazione anche prima del settembre, cosicché si potrebbe fare questa restituzione (io parlo, signori, senza ambagi, perché la gravita della situazione mi fa credere che sia mio stretto dovere di far così), si potrebbe fare questa restituzione in questo momento in cui le condizioni delle liquidazioni sano veramente difficili.

Quindi è che io non posso a meno di pregare vivamente la Camera di voler dare il suo suffragio per scrutinio segreto al progetto di legge che 'costituisce i provvedimenti del Tesoro. Ma fatto questo io non posso che scongiurare che non si terminino i nostri lavori, senza che siasi provveduto soprattutto a ciò che riguarda le ferrovie. Imperocché vi sono molte popolazioni perle quali ciò è indispensabile, e, se non si facesse, questo produrrebbe in loro un pessimo effetto.

Io credo che su questo punto ciascuno ne sa quanto ne so io. Quindi prego vivissimamente la Camera, a nome di tutti i miei colleghi, malgrado che io debba chiamare che si voti anzitutto questa legge, a voler ritenere che noi dobbiamo continuare i nostri lavori, almeno por ciò che si riferisce alle ferrovie.

SANMINIATELLI Io non discuto il merito, la bontà e la gravita dei motivi che inducono il Governo a pregare la Camera di ritornare sopra la sua deliberazione circa al momento in cui debba essere votato il disegno di legge stato così lungamente discusso.

Mi preme di rammentare alla Camera un fatto, cioè che la proposta che io ed altri miei onorevoli amici avemmo l'onore di sottoscrivere, e ottenne l'approvazione della Camera, differiva la votazione di questa e di un' altra legge al momento in cui si sarebbe votata anche quella riflettente le convenzioni ferroviarie.

Ho bisogno di rammentare alla Camera che questo fatto fu variamente interpretato poco dopo la deliberazione della Camera, e fu vivamente assalito da quella parte di essa, della quale, con mio dispiacere, veggo che molti onorevoli membri non sono presenti in questo momento nell'Aula.

3661 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

Egli è perciò che, padrone il Governo d'insistere, e, se per gravissimi motivi, ha il dovere d'insistere perché la legge sia votata subito; io però ed i miei amici siamo nella penosa necessità di opporci e, per conto nostro personale, di protestare, e di più ci troviamo nella dolorosa necessità di astenerci dal voto.

PRESIDENTE. La parola spetta all'onorevole Fiutino.

Voci. Ai voti! ai voti!

PLUTINO AGOSTINO. Permettano: è una questione grave, è questione della dignità e della lealtà della Camera.

PRESIDENTE. Parli, onorevole Fiutino.

PLUTINO AGOSTINO. Signori, noi siamo rimasti qui in momenti molto gravi per tutti gli interessi di ciascuno di noi; siamo stati qui per mantenere il Parlamento in numero legale, affinché non soffrissero indugio né incaglio tutte le nostre deliberazioni.

C'era un patto stabilito, un patto di lealtà che si avessero a votare queste leggi.

Al giorno d'oggi, per necessità sopravvenute, che io rispetto altamente, il ministro ci espone che ha bisogno che ai voti questa legge, perché ha da presentarla al Senato subito, perché è urgente che egli abbia la disponibilità di fondi che il Parlamento mette a sua disposizione nelle circostanze molto gravi in cui versa il paese.

Tatto questo sta bene, io lo approvo; ma io prego i miei onorevoli colleghi a prendere un impegno d'onore di restar qui fino a che avremo votato le ferrovie.

Voci da tutte le parti. Sì! Sì!

FIUTINO AGOSTINO. Prendo atto di questa dichiarazione.

MINGHETTI. Anche la Commissione acconsente.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ringrazio l'onorevole Fiutino, il quale rappresenta provincie che più vivamente desiderano il compimento di queste strade ferrate, ma che per altro riconoscendo la gravita delle situazioni ha appoggiato la proposta da me fatta; egli vede co uie l'invito volto ai suoi colleghi di prendere impegno che queste leggi si voteranno, sia stato cordialissimamente accettato.

Io mi rivolgo all'onorevole Sanminiatelli e lo prego di considerare realmente la gravita della situazione; imperocché potrebbero avvenire fatti dei quali la responsabilità non Darebbe mia, ma sarebbe di coloro i quali non permettono che si realizzi il fatto che ho testé indicato. Prego vivamente l'onorevole Sanminiatelli a rendersi conto dei fatti quali sono e delle conseguenze che potrebbe avere una dilazione della votazione di questo progetto di legge.

DONATI. Io aveva chiesto di parlare per far eco alle parole dell'onorevole Plutino Agostino e per esporre che se le gravi necessità del momento ci obbligano a recedere da quella deliberazione, che si era presa in principio della discussione, deliberazione cioè che si dovesse votare contemporaneamente la convenzione colla Banca e la legge sulla convenzioni ferroviarie, sentiamo tutti l'impegno d'onore di non allontanarci, finché anche questa legge non sia approvata.

PLUTINO AGOSTINO. Ringrazio l'onorevole Donati, e prendo atto delle sue dichiarazioni.

CADOLINI. Io debbo ricordare, almeno perché serva di norma a voi nel prendere oggi una deliberazione, io debbo ricordare che nel 1865 era stato deliberato di votare insieme i provvedimenti finanziari e la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose.

Quando furono discussi gli articoli della legge sui provvedimenti finanziari, l'onorevole Sella ministro delle finanze venne e disse: «colle complicazioni europee che sono sorte in questi momenti io non posso ritardare a valermi delle facoltà che mi sono date dalla legge che voi avete discusso; io perciò vi prego di votarla immediatamente, restando però inteso che prendiamo impegno, sacrosanto impegno, di non separarci senza che sia votata la legge sulle corporazioni religiose.»

Invece che cosa è avvenuto? È avvenuto che la legge sulle corporazioni religiose incontrò degli ostacoli e che il ministro credette opportuno di ritirarla, e così la Camera dovette sciogliersi senza avere soddisfatto a quel sacrosanto impegno che aveva preso allorquando aveva deliberato di non votare l'una senza votare l'altra delle due leggi.

Io credo mio debito di ricordare questo precedente affinché gli onorevoli colleghi misurino bene fin d'ora, sia il voto che danno perché si passi subito alla votazione, sia l'efficacia dell'impegno che essi prendono di non separarsi senza votare la legge sulle ferrovie.

MANCINI P. S. Io credo signori che, non solamente ragioni di lealtà, ma anche ragioni costituzionali e di regolamento, impedirebbero alla Camera di passare in questo momento alla votazione della legge.

Ragioni costituzionali, perché io ho udito con qualche inaraviglia l'onorevole ministro accennare a circostanze così gravi ed urgenti da richiedere che egli, senza il menomo indugio e sin da domani, adottasse disposizioni e provvedimenti che sembrano reclamati dai bisogni e dalle condizioni di credito delle nostre piazze. L'onorevole ministro ha troppo rispetto degli altri poteri dello Stato, e non può certamente pensare, come non gli faccio il torto di supporre, di potersi permettere di far nulla prima che il Senato (Rumori) non eserciti anch'esso il diritto di discutere e votare la legge.»

3662 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

È naturale dunque, signori, che non si può parlare bui serio di provvedimenti da attuarsi immediatamente, poiché il Senato non è una macchina che stia docilmente al servizio dei ministri; è un corpo rispettabile dello Stato, che ha diritto di esaminare maturamente e discutere una legge così importante; lo farà con la possibile rapidità, come le circostanze lo impongono al suo patriottismo; ma il Ministero ferirebbe i più legittimi sentimenti di dignità del Senato, B«volesse considerare come una pura formalità la discussione ed il voto del medesimo. Dunque il signor ministro per necessità avrà almeno una settimana di tempo da aspettare.

Con ragione dunque dissi incontrarsi ostacoli costituzionali, i quali rendono impossibile il conseguimento di quello scopo che il ministro invoca nel proporre che in questo momento si passi alla votazione.

Vi sono inoltre ostacoli di regolamento. Rammenta la Camera che una sua solenne deliberazione, alla quale io per verità non ho preso parte alcuna, ma che è stata adottata in seguito ad una discussione appositamente annunciata nell'ordine del giorno di una delle molte sedute, ha stabilito doversi simultaneamente votare la convenzione con la Banca e le convenzioni ferroviarie. Una tale deliberazione ha ragionevolmente creato un morale affidamento per una parte di deputati che potessero allontanarsi da Firenze per alcuni giorni nella persuasione che non sarebbero chiamati a dare il voto sulla convenzione colla Banca se non contemporaneamente alla votazione della legge sulle ferrovie, e perciò dopo una discussione non breve che quell'altro importante progetto di legge richiede.

Conosco parecchi miei colleghi che sono partiti per Napoli; ne conosco altri che si recarono in Lombardia e nel Veneto per ritornare appena vedessero annunziarsi o manifestamente avvicinarsi la votazione. Ora io domando se potrebbe ritenersi come legittima e seria una votazione della convenzione con la Banca, e se anche in faccia al paese in essa potrebbero considerarsi rappresentate sinceramente le proporzioni di maggioranza e di minoranza, quando ne sorge improvvisa e per noi inaspettata la proposta alla fine della seduta, senza neanche essere stata posta all'ordine del giorno; e pure ciò è indispensabile, acciò tutti quei deputati che credono prender parte alla discussione circa l'opportunità e sufficienza di motivi per revocare o mantenere una precedente deliberazione della Camera, possano esercitare questo loro incontrastabile diritto.

Sotto entrambi questi aspetti vorrà la Camera riconoscere che non si può precipitare la votazione per scrutinio segreto di questa legge nel momento attuale.

Ad ogni modo non si può era neanche prendere la determinazione di rivocare una solenne risoluzione della Camera senza prima annunziare almeno nell'ordine del giorno di lunedì che si farà in proposito una

discussione e che la Camera ponderatamente deciderà se le convenga insistere nella deliberazione già presa oppure rivocarla.

Taluno accennò che la Camera prende un impegno di onore che, anche dopo votata questa legge, essa si manterrà in numero in questo recinto, e non sospenderà le sue sedute se non dopo aver pur anche votata l'altra legge sulle convenzioni ferroviarie. Ma io non ho che una risposta sola, ed è, che gli individui bensì possono vincolarsi colla parola d'onore, ma non ho mai inteso che le Assemblee o le maggioranze contraggano simili vincoli, ed abbiano un modo qualunque di esprimerli diverso di quanto già fece questa Camera nell'emettere la sua deliberazione precedente.

Pertanto asteniamoci, o signori, in faccia alle gravi difficoltà ed eventualità politiche che ci sovrastano, dall'arrischiarci a far rinascere indecise quelle questioni che tanto da vicino interessano le diverse provincie del regno, il che sembrerebbe quasi gettare alle popolazioni un ultimo guanto di sfida, deludendo le loro legittime aspettazioni. Che vi costa di aspettare un qualche giorno ancora? Avete una maggioranza sicura...

MINISTRO PER LE FINANZE. Ma, onorevole Mancini, io accetto la proposta di aspettare.

MANCINI P. S. Allora io ringrazio il signor ministro che aderisce alle mie osservazioni, suggerite dal bene del paese e dalla dignità della Camera.

Voci a destra. Noi no!

MINISTRO PER LE FINANZE. Permettano un momento, signori: se la votazione della legge ha luogo nel principio della seduta di lunedì, il mio scopo è ottenuto egualmente. Imperocché, se la Camera nelle sua votazione per iscrutinio segreto sarà conseguente a sa stessa, e darà un voto sulla legge, come quello che diede nella votazione pubblica, io allora mi permetterei di pregare il Senato di convocarsi in un'ora un pò1 più tarda di lunedì, affinché si possa presentargli il disegno di legge che sarebbe votato dulia Camera.

Voci. Sì! sii

MINISTRO PER LE FINANZE. In tal caso il nostro scopo sarebbe raggiunto nello stesso modo, ed io sarei lieto di escare riuscito... (Rumori a destra)

Permettano, signori, noi siamo lieti di aver potuto dimostrare all'onorevole Mancini ed ai suoi amici politici che... (Nuovi rumori), FIUTINO AGOSTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Facciano silenzio, altrimenti non si capisce quello che si dice dal signor ministro.

MINISTRO PER LE FINANZE. Ripeto che sono lieto di aver potuto dimostrare all'onorevole Mancini ed ai suoi amici politici, che non a nostro desiderio né intendimento di procedere per sorpresa. Per dir vero, siccome ai era deliberato che questi disegni di legge, e per l'approvazione della convenzione colla Banca, e per l'approvazione delle convenzioni ferroviarie

3663 - TORNATA DEL 23 LUGLIO 1870

si sarebbero votate nello stesso tempo, quando ora noi cambiassimo improvvisamente quella prima deliberazione, tanto più oggi nella circostanza che mancano molti deputati, parrebbe quasi che avessimo fatto questo per sorpresa.

Quindi, o signori, io prego tutti a voler acconsentire che il voto per iscrutinio segreto su questo schema di legge venga rimandato al principio della tornata di lunedì. (Movimenti in vario senso)

MANCINI. Domando la parola. (Rumori)

PRESIDENTE. La proposta dell'onorevole ministro delle finanze sarà intesa in questo senso, che sarà messa all'ordine del giorno di lunedì la questione se la Camera debba oro ritornare sulla sua prima deliberazione, e quando essa abbia deciso che la votazione di questa legge debba aver luogo subito, si procederà immediatamente alla votazione. Ma resta inteso che non è all'ordine del giorno la votazione della legge, bensì la questione se la votazione debba farsi separatamente e subito, oppure no.

MINISTRO PER LE FINANZE. No, no!

PLUTINO AGOSTINO. Domando la parola per la posizione della questione. (Noi no!)

(I deputati si avviano per uscire.)

Voci Al posto! al posto!

Altre voci. Vogliamo procedere immediatamente alla votazione o no? (No! noi Lunedì)

PRESIDENTE. Si deciderà lunedì.

Voci a destra. Decidiamo adesso ! (Scoppio di voci: No. Lunedì!)

PRESIDENTE. Resta inteso che si deciderà lunedì se si abbia a procedere separatamente alla votazione di questo schema di leggo.

La seduta è levata alle ore 6 e 35.

Ordine Ad giorno per la tornata di lunedì:

1° Discussione intorno alla proposta di recedere dalla deliberazione presa circa, la votazione contemporanea per scrutinio segreto sui progetti di legge Convenzione colla Banca Nazionale e Convenzioni ferroviarie;

2° Discussione sulla politica estera ed interna del Governo.


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3664 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

TORNATA DEL 25 LUGLIO 1870

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE AVVOCATO GIUSEPPE BIANCHERI.

SOMMARIO. Atti diversi. = Lettura di un disegno di legge del deputato Sineo per la eiezione dei presidenti di cassazione, dei conti e di appello. = Presentazione di un disegno di legge per una spesa straordinaria di 16 milioni sui bilanci della guerra e della marineria, e delle relazioni sui progetti per l'abolizione dei vincoli feudali nette provincie napoletane, e modificazioni allo statuto della Banca Nazionale Toscana. = Seguito della discussione dello schema di legge per provvedimenti pel Tesoro- Istanza d'ordine del ministro per le finanze - Dichiarazioni dei deputati Passavini e Sanminiatelli, e domanda del deputato Casati - Squittinio segreto e approvazione del progetto. = Discussione intorno alla politica estera ed interna del Ministero - Domanda del deputato Arrivabene - II deputato Nicotera formala alcune interrogazioni politiche - Incidente sull'ordine della discussione, in cui parlano i deputati Nicotera, Minghetti, La Porta, Oliva, Morelli Donato, Chiaves e il ministro Lama - Risposte del ministro per gli affari esteri al deputato Nicotera - Considerazioni politiche, censure e domande dei deputati Del Zio, Miceli, La Porta, Oliva, Morelli Donato sulla politica estera e interna - Dichiarazioni del presidente del Consiglio e risposte sui suoi atti - Osservatone del deputato Mordini, e risposta del ministro - Replica del ministro per gli affari esteri - Dichiarazioni del ministro Sella sopra l'effetto politico della votazione - Domani» del deputato Minghetti, e dichiarazione del ministro Lama - Osservazioni e critiche del deputato Nicotera - Voti motivati dei deputati Mancini P. 8., Nicotera Del Zio, Corte e Bonghi - Opinione del Ministero - A proposta del deputato Arrivabene si passa all'ordine del giorno, esprimendo fiducia nel Ministero.

La seduta è aperta a mezzogiorno e 25 minuti.

CUCCHI, segretario, da lettura del processo verbale della tornata antecedente, il quale è approvato.

MACCHI, segretario, espone il sunto delle seguenti petizioni:

13.383. Le Giunte comunali di Casti gliene Chiavarese, Deiva e Campofreddo fanno adesione alla petizione della deputazione provinciale di Genova tendente ad ottenere che l'esercizio delle ferrovie liguri non sia conceduto alla società dell'Alta Italia, ma ordinato in esercizio separato.

13.384. 23 uscieri delle preture del Piemonte si rivolgono ai rappresentanti della nazione perché non vogliano sanzionare il progetto di legge di riforma delle tariffe giudiziarie nella parte concernente gli uscieri.

13.385. Baulina Luigi Andrea, già sottotenente nel 16° reggimento di linea, rimosso da un Consiglio di disciplina reggimentale, avendo infruttuosamente ricorso nelle vie ordinarie per ottenere una riparazione a dotta decisione, si rivolge alla Camera perché, appurati i fatti esposti, inviti il ministro della guerra onde, previa un'inchiesta sull'operato del detto Consiglio di disciplina, voglia reintegrarlo nel grado e nell'impiego,

o dare a di lui riguardo quei provvedimenti che di giustizia.

13.386. Pidone dottore Giuseppe reclama contro il deliberato di una Commissione sanitaria di Catania che lo escluse dal posto di medico visitatore in Nicosia; espone i suoi diritti al conseguimento di esso, e fa istanza per la nomina di una nuova Commissione pel riesame dei suoi titoli, e subordinatamente domanda di essere compensato con equivalente impiego nella stessa città.

13.387. La deputazione provinciale di Sondilo, per incarico di quel Consiglio, rassegna il voto, perché per la congiunzione delle ferrovie italiane colle elvetiche, sia prescelto il valico dello Spluga.

ATTI DIVERSI.

FOSSA, segretario. Vennero fatti alla Camera i seguenti omaggi:

Dal presidente della Camera di commercio di Torino - Tavola lineare indicativa del corso della rendita del debito pubblico italiano alla Borsa di Torino e Parigi nel quadriennio 18661869, copie 300;

Dal signor Gennaro Sciarretta, da Napoli - Osservazioni sul progetto di legge approvato dal Senato pel riordinamento del notariato, copie 80;

Dal professore Mengozzi - Alleanza monoteistica. Programma e statuto, copie 10;

Dal prefetto di Ravenna - Atti del Consiglio provinciale di Ravenna, Sessioni 1869, copie 2;

Dai professori commendatori senatore Paolo Savi e dottore Fedele Fedeli - Storia naturale e medica delle acque minerali di Val di Nierole e specialmente di quelle delle regie tenne di Montecatini, una copia;

Dal senatore Giovanni Arrivabene - Alcuni scritti morali ed economici, una copia;

Da Bologna - Atti della Commissione per l'esposizione agraria ed industriale della provincia di Bologna nell'anno 1869, una copia;

3665 -TORNATA DEL 25 LUGLIO 1870

Dal sindaco di Caltagirone - Discorsi pronunciati dal professore Federico Ardilio e da Antonio maggiore Grimaldi in occasione della festa dello Statuto negli anni 1869-1870, una copia;

Dalla deputazione provinciale di Reggio nell'Emilia - Memoria concernente la ferrovia Reggio Borgoforte Mantova, copie 500.

PRESIDENTE. Per affari urgenti l'onorevole Spantigati chiede un congedo di tre giorni; l'onorevole Morpurgo di dieci.

(Sono accordati i chiesti congedi.)

Ha facoltà di parlare l'onorevole Oliva.

OLIVA. Ho l'onore di presentare alla Camera una petizione trasmessa dal signor Marco Sereggi, nativo dell'Albania, ma naturalizzato italiano, il quale, percorrendo l'Italia per oggetto del suo commercio, venne arrestato e tradotto di polizia in polizia senza causa né motivo, dimodoché sofferse gravissimi danni fisici e morali, come altresì negl'interessi commerciali. Egli si rivolge quindi al Parlamento ond'esso insista presso il Governo nel senso di fargli render ragione per quanto concerne i suoi interessi ed il suo onore.

PRESIDENTE. L'onorevole Regnoli ed altri deputati hanno presentato un progetto di legge che sarà inviato al Comitato privato.

Il Comitato privato ha ammesso alla lettura un progetto d'iniziativa parlamentare presentato dall'onorevole Sineo. (Se ne da lettura)

Art. 1.

Nelle Corti di cassazione, dei conti e di appello i presidenti saranno eletti a scrutinio segreto ed a maggioranza assolute di voti da ciascuna Corte in assemblea generale.

Art. 2.

Per procedere a questa elezione l'assemblea generale si riunirà, senz'altro avviso, a mezzodì della domenica successiva al giorno in cui la vacanza sarà pubblicamente conosciuta.

Art. 3.

Lo stipendio e gli emolumenti della carica correranno a favore degli eletti dal giorno della elezione.

Art. 4.

Gli attuali presidenti sono mantenuti nelle loro cariche.

PRESIDENTE. Interrogo l'onorevole Sineo quando intenda svolgere la sua proposta di legge.

SINEO. Giovedì.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, s'intenderà che nella seduta di giovedì l'onorevole Sineo avrà facoltà di svolgere il progetto di legge, da lui presentato.

PRESENTAZIONE DI UN PROGETTO DI LEGGE

E DI DUE RELAZIONI.

PRESIDENTE. Il signor ministro delle finanze ha facoltà di parlare per presentare un progetto di legge.

SELLA, ministro per le finanze. Ho l'onore di presentare un progetto di legge onde ottenere un credito straordinario di 16 milioni di lire sul bilancio del 1870, di cui 15 per il Ministero della guerra e uno per il Ministero della marina. Non è altro che una conseguenza di ciò che avevamo detto nelle tornate precedenti intorno a questo argomento. (V. Stampato n. 135)

Prego che questo progetto di legge venga dichiarato urgente.

PRESIDENTE. Si da atto al signor ministro delle finanze della presentazione di questo progetto di legge, che sarà stampato e distribuito, e, se non vi sono opposizioni, sarà dichiarato d'urgenza.

CANCELLIERI, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera la relazione sul progetto di legge per l'abolizione delle prestazioni feudali nelle provincie napoletane e siciliane. (V. Stampato N. 112 A)

PICCIONI, relatore. Ho l'onore di presentare alla Camera la relazione sul progetto di legge portante variazioni allo statuto della Banca Nazionale Toscana. (V. Stampato n. 134 A)

La Giunta mi incarica di pregare la Camera di voler dichiarare questo progetto d'urgenza, e volerlo porre all'ordine del giorno in una delle prossime seduto.

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite, e, se non vi sono opposizioni, questo ultimo progetto di legge sarà dichiarato d'urgenza.

SEGUITO DELLA DISCUSSIONE INTORNO AL DISEGNO DI LEGGE PER PROVVEDIMENTI PEL TESORO.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione intorno alla proposta di recedere dalla deliberazione presa circa la votazione per scrutinio segreto sui progetti di legge: Convenzione colla Banca Nazionale e Convenzioni ferroviarie.

La Camera rammenta come già da qualche tempo deliberasse di procedere alla votazione dei tre disegni di legge, uno per la riscossione delle imposte, l'altro sulle convenzioni ferroviarie e il terzo sui provvedimenti del Tesoro, ma che la votazione a scrutinio segreto, invece di aver luogo dopo la discussione di ognuno di questi progetti, si facesse simultaneamente. Nella tornata di sabato l'onorevole ministro per le finanze ha presentata la mozione, che piacesse alla Camera di recedere dalla anzidetta deliberazione per procedere senz'altro alla votazione per squittinio segreto sul progetto di legge già discusso e che ha tratto ai provvedimenti del Tesoro.

3666 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

MINISTRO PER LE FINANZE. Io non avrei che a ripetere ora quello che dissi nella seduta di sabato, cioè di essere per gravi ragioni costretto a chiedere alla Camera che voglia procedere alla votazione per scrutinio segreto sul progetto di legge relativo ai provvedimenti per il Tesoro.

Io so che molti si preoccupano del disegno di legge sulle convenzioni ferroviarie, ed io concorro con loro nel ritenere che il Parlamento non possa sciogliersi senza prendere anche le deliberazioni opportune su questo progetto.

A tranquillare tutti, mi basterà osservare che, oltre ai provvedimenti sul Tesoro vi è qualche altra disposizione che è di sua natura assolutamente indispensabile al Governo, e che certamente la Camera non lascierebbe mai mancare: vi è la legge intorno alla leva.

Non può venire in mente, e tanto più nei momenti attuali, che si lasci il Governo senza la facoltà di fare la leva.

Per conseguenza io credo, signori, che a tranquillare tutti possa la Camera, giusta la proposta che feci sabato, dare il voto definitivo intorno ai provvedimenti per il Tesoro, e deliberare che, dopo la discussione politica, passa all'ordine del giorno, sia immediatamente cominciata la discussione intorno alle convenzioni ferroviarie, onde non interromperla più fino a che sulle medesimo siasi votato, rimandando dopo di esse questo altre leggi assolutamente indispensabili, fra cui quella sulla leva. Questa è legge di tale importanza che certamente il Parlamento non può sciogliersi senza prendere un partito, e ciò credo sia sufficiente perché tutti possano essere tranquillati intorno al conseguimento dello scopo che tutti abbiamo, cioè che questa Sessione non abbia termine senza che si sia preso un partito intorno all'argomento importantissimo delle ferrovie, argomento che sta sommamente a cuore delle popolazioni di molte parti del regno, argomento che non possiamo lasciare in disparte senza produrre cattivissimi effetti economici e politici.

Io oso quinci sperare che la mia proposta della votazione dei provvedimenti per il Tesoro abbia il suffragio della Camera;e possa ancora ottenerlo quest'altra proposta, cioè che, non appena terminata la discussione politica che è all'ordine del giorno, venga cominciata quella delle ferrovie, o dopo si venga poi a quella dei pochi altri progetti di legge che sono assolutamente indispensabili al Governo fra cui metto in prima linea quello relativo alla leva.

PISSAVINI. Io non intendo entrare veramente nel merito della discussione; tengo solo a fare una dichiarazione, e rivolgere una preghiera ai pochi miei amici presenti nell'aula..

Quando l'onorevole Sanminiatelli presentava alla Camera la mozione, colla quale chiedeva che si votassero contemporaneamente tre distinto leggi della massima gravita e della massima importanza, l'opposizione, per organo dell'onorevole Corte, chiedeva il rigetto della proposta Sanminiatelli, che, se non era del tutto incostituzionale, era per lo meno contraria a tutte le regole parlamentari.

Nonostante questa opposizione, Ministero e maggioranza approvarono la proposta Sanminiatelli.

Oggi l'onorevole ministro delle finanze, per motivi che fino ad un certo punto io altamente apprezzo, chiede alla Camera che voglia recedere dalla presa deliberazione, e che si passi immediatamente alla votazione per scrutinio segreto sul progetto di legge: Convenzione colla Banca Nazionale.

Come dissi, io non intendo minimamente entrare nel merito della discussione, ma mi preme di dichiarare che, como fummo in allora contrari alla mozione dell'onorevole Sanminiatelli, oggi si deve essere lieti di constatare che si trovi innanzi al Parlamento una proposta dell'onorevole Sella la quale coincide perfettamente colle idee espresse dall'onorevole Corte allorquando discutevasi la proposta Sanminiatelli. Potrei illudermi, ma sono intimamente convinto che, coloro che approvarono la mozione dell'onorevole Sanminiatelli daranno ora il loro suffragio favorevole alla proposta Sella. Or bene, lasciando a ciascuno la parte di responsabilità che gli spetta, per conto mio lascio che maggioranza e Ministero distruggano oggi ciò che hanno ieri edificato.

Ciò detto, non ho altro ad aggiungere.

PRESIDENTE L'onorevole Casati ha facoltà di parlare.

SANMINIATELLI. Aveva domandato la parola.

CASATI. Io non intendo opporrai alla proposta fatta dal ministro delle finanze, anzi la voterò. Soltanto desidero uno schiarimento, ed è questo: nell'ordine del giorno Sanminiatelli ed altri non erano compresi soltanto i provvedimenti del Tesoro e le convenzioni ferroviarie, ma anche la legge sull'esazione delle imposte.

Io domanderei quale sia l'intenzione del Ministero rispetto a questa legge, la quale interessa molte provincie, verso le quali è una vera legge di giustizia,.

TORNATA DEL 25 LUUL10 1870

Se si devono votare nuovi aggravi al bilancio, è naturale che si voglia sapere se tutti vi concorreranno in agual misura.

Domando quindi uno schiarimento su questo punto all'onorevole ministro delle finanze.

MINISTRO PER LE FINANZE. Se l'onorevole Casati vuole colla sua domanda risollevare il rimprovero che mi è stato fatto intorno a questa legge...

CASATI. Non è questo il mio intendimento.

3667 - TORNATA DEL 25 LUGLIO 1870

MINISTRO PER LE FINANZE. Se questo non e il suo intendimento, io gli dirò che evidentemente le circostanze sono cambiate così gravemente, che io non posso a meno d'insistere perché prendano il passo sulle altre cose i provvedimenti relativi al Tesoro. Niuno è più desideroso di me che si possa finire quell'argomento della riscossione delle imposte; in questo convengo coll'onorevole Corte; ma se egli domanda a questo punto, se si possa prendere impegno di tenere il Parlamento aperto, perché oltre alle convenzioni ferroviarie, oltre alla legge sulla leva ed altre che ho indicate si possa ancora terminare l'argomento della riscossione delle imposte, io direi cosa della quale non sono certo.

Io assicuro l'onorevole Casati che uno degli argomenti che più mi stanno & cuore è quello di cui egli ha parlato; ma io domando se si poteva far diversamente di quello che si è fatto.

Per fermo quella legge sta davanti al Parlamento come una fra le più urgenti e le più reclamate dalla buona amministrazione e dalla giustizia, ma io non oserei proprio assumere l'impegno che adesso in questa settimana, o in quella prossima sia condotta a termine.

Io non posso che dichiarare qui, che gli avvenimenti i quali ora accadono hanno obbligato il Ministero a dare il passo ad alcune altre leggi; ciò non deve togliere in nulla i nostri propositi intorno alla legge della riscossione delle imposte che, di certo, lo ripeto, non è meno richiesta dalia giustizia che dall'interesse dell'amministrazione delle finanze.

Io desidero che questi schiarimenti possano soddisfare l'onorevole Casali.

SANMINIATELLI. Io non rientrerò sul merito della proposta di votazione simultanea della legge per le convenzioni ferroviarie con la legge dei provvedimenti del Tesoro, proposta che, se poteva essSre travisata da principio, ebbe per altro l'onore di convenirsi in una deliberazione della Camera; proposta che, se potè per un momento essere d'imbarazzo al Governo nell'ultima seduta, ha per altro operato l'effetto che l'onorevole ministro delle finanze abbia oggi fatta la dichiarazione che ha fatto, sostituendo alla garanzia della simultaneità della votazione delle leggi ferroviarie con la legge dei provvedimenti del Tesoro, un'altra garanzia non minore e forse più importante ancora, quella cioè da lui stesso proposta, che la discussione delle leggi ferroviarie precederà la discussione e

la votazione dell'importantissima legge della leva, la quale uon può a mono di richiamare da tutte le parti della Camera un amplissimo concorso. Solamente mi preme, tenuto conto di queste dichiarazioni del ministro, e, soggiungerò, di quelle ancora dell'onorevole Pissavini, il quale a nome dei suoi amici dichiarava di non avere interesse a che la deliberazione della Camera da me eccitata si mantenesse, anzi dichiarava d'insistere nell'opposizione già mossasi dall'onorevole Corte;

mi preme, ripeto, di dire che io recedo dall'opposizione fatta, nella tornata di sabato, alla proposta del ministro delle finanze; e questa dichiarazione io faccio anche a nome dell'onorevole Di Sambuy, il quale con me aveva domandato la parola, e degli altri firmatari.

PISSAVINI. Domando la parola per una semplice dichiarazione.

PRESIDENTE. A suo tempo. Ora spetta all'onorevole Casati.

CASATI. Sono lieto di avere provocato dall'onorevole ministro delle finanze queste dichiarazioni...

Voci. Ai voti! ai voti!

CASATI... le quali tranquilleranno molte apprensioni che si erano formate, e non mi rimane altro che di prenderne atto.

PISSAVINI. Mi preme di dichiarare che l'opinione da me esternata è mia propria, o non intendo di vincolare l'opinione dei miei amici, a nome dei, quali non mi tengo certo autorizzato a parlare.

PRESIDENTE. Interrogherò la Camera se è d'avviso di procedere alla deliberazione che ultimamente ha preso, che tutte le leggi dovessero essere votate simultaneamente, o se invece è d'opinione che si debba senz'altro addivenite alla votazione del progetto di legge, stato discusso, intorno ai provvedimenti pel Tesoro.

Coloro che sono d'avviso che si debba venire immeiatamente alla votazione per scrutinio segreto sul progetto di legge che riguarda i provvedimenti pel Tesoro, sono pregati d'alzarsi.

(La Camera delibera di passare alla votazione del progetto sui provvedimenti pel Tesoro.)

Rimane inteso, come disse l'onorevole ministro delle finanze, che, quando si trovi esaurita la discussione politica che è all'ordine del giorno, si metterà immediatamente in discussione il progetto di legge per le convenzioni delle ferrovie, e dopo si verrà alla discussione del progetto di legge per la leva.

Intende il signor ministro delle finanze che queste due leggi siano votate contemporaneamente?

MINISTRO PER LE FINANZE. No. Prima le ferrovie, e poi la leva.

PRESIDENTE. Si procederà all'appello nominale per la votazione del progetto di legge per provvedimenti pel Tesoro.

MASSARI G. Chiedo di parlare per una mozione d'ordine.

Vorrei pregare l'onorevole presidente e la Camera a conformarsi in questa occasione a ciò che si è praticato altre volte, vorrei cioè che, quantunque lo scrutinio abbia luogo in modo segreto, si prendesse nota di tutti i deputati che vi pigliano parte, e se ne pubblicassero i nomi nel giornale ufficiale.

PRESIDENTE. Sta bene. I signori segretari si daranno cura di prendere nota dei votanti; ma, affinché ciò possa avere luogo, la Presidenza prega i deputati di non presentarsi a deporre il voto nell'urna che man mano che saranno chiamati.

(Si procede all'appello nominale.)

3668 - CAMERA DEI DEPUTATI - SESSIONE DEL 1869

Diedero il voto i deputati:

Acquaviva - Acton - Adami - Alfieri - Aliprandi - Alvisi - Annoni - Araldi - Arrigossi - Arrivabene - Atenolfi - Bandini - Bargoni - Bassi - Bersezio - Bertea - Berti Domenico - Berti Lodovico - Biancheri avvocato - Boncompagni - Bonghi - Borgatti - Borromeo - Bortolucci - Bosi - Bràcci - Broda - Brenna - Briganti Bellini - Brignone - Broglio - Bullo - Buratti - Busi - Cadolini - Gagnola Carlo - Gagnola G. B.- Calandra - Calvo - Camuzzoni - Cancellieri - Cantoni - Carazzolo - Carini - Casati - Castagnola _ Castellani Fantoni - Castiglia - Cavalietto - Cavriani - Checchetelli - Chiaves - Comin - Como - Concini - Correnti - Corsini - Corte- Cosenz - Costa Luigi - Costamezzana - Cucchi- Cugia - Curzio - D'Amico - D'Ancona - D'Aste - De Blasiis - De Capitani - De Cardenas- Dd Filippo - De Luca Giuseppe - De Martino - Depretis - De Sterlich - Dina - Di Rudinì - Di Sambuy - Donati - Fubris - Fabrizi Giovanni - Pacchi - Fambri - Farini - Fenzi - Ferracciù - Ferri - Pinocchi - Fmzi - Fogazzaro - Fornaciata - Fossa - Gabelli - Galeotti - GaolaAntinori - Gerra - Giacomelli - Gigliucci - Giorgini Carlo - Giorgini G. B. - Goretti - Govone - Grattoni - Greco Luigi - Griffini Luigi - Grifoni Paolo - Grossi - GuerrieriGonzaga - Guiccioli Guttierez - La Marinura - Lancia di B olo - Lanza - LoMonaco - Loro - Macchi - MaLlini - Malenchini - Manni - Marchetti - Mariotti - Martinati - Martinelli - Marzi - Masci - Massa - Massari Giuseppe - Massari Stefano - Mattei - Maurogonato - Mazzagalli - Merzario - Messedaglia - Nichelini - Minghetti - Molinari - Mongenet - Mongini - Monti Coriolano - Monti Francesco - Monzani - Mordini - Morelli Carlo - Morelli Donato - Morelli Giovanni - Morosoli - Morpurgo - Murgia - Musolino - Nervo - Nisco - Nobili - Noti - Nunziante - Ornar - Padovani - Paulucci - Papafava - Parisi - Pasetti - Pasini - Pasqualigo - Pecile - Pellegrini - Pepe - Pera - Ptrazzi - Peruzzi - Pescetto - Pianciani - Pianell - Piccoli - Piolti de' Biancbi - Piroli - Pisacane - Pissavini - Plutino Antonino - Podestà - Possenti - Puccioni - Quattrini - Raeli - Ranalli - Raspuni - Riboty - Ricasoli Bettino - Ricasoli Vincenzo - Ricci - Righi - Ronchetti - Rorà - Salvagnoli - Sandonnini - San Martino - Sanminiatelli - Sansoni - Sartoretti - Sebastiani - Sella - Serafini - SerraCassano - Seiristori - Serpi - Sgariglia - Sirtori - Sommili Moretti - Spaventa Silvio - Speroni - Spini - Tenani - Tenca - Testa - Tornielli - Torre - losca nelli - Toscano - Valerio - Valussi - Valvasori - Verga - Viacava - VillaPernice - ViscontiVenosta - Visone - Zanardelli - Zauli.

Dichiararono di astenersi i deputati:

Alippi - Amabile - Deodato - Silvani - Stocco.

Erano assenti i deputati:

Abignente - Accolla - Aliprandi - Amaduri - Amore - Andreucci - Andreotti - Angeloni - AntonaTraversi - Asproni - Assanti Pepe - Assanti Damiano-Avitabile - Baino -Barazzuoli -Barone -Barracco (in congedo) - BartolncciGodolini - Bellelli - Bembo (in congedo) - Bernardi - Bertani - Bertóni (in congedo) - Bertolami (in congedo) -BerteleViale (in congedo) - Billia - Biaucheri ingegnere- Bianchi (in congedo) - Boufadini - Botta - Bottari - fiotterò - latticelli - Bove - Brunetti - Bruno - Cadorna (in congedo) - Cafisi - Cairoli - Caivino - CamerataScovazzo - Campisi - Cannella - Capone (in congedo) - Capozzi - Gàrbonelli - Carcani - Carcassi - Carganico - Carleschi (in congedo) - Carrara - Casaretto - Casarini - Castellani Giovanni Battista - Castelli - CattauiCavalcanti - Catucci - Cavallini - Chidichimo - Cicarelli (in congedo) - Ciliberti - Cimino - Givinini (in congedo) - Colesanti - Collotta (in congedo) - Consiglio - Conti (in congedo) - Corapi - Corrado - Corsi - Cortese - Cosentini - Costa Antonio - Crispi - Grotti - CumboBorgia - Curzio - Damiani - Damis - Danzetta (in congedo)- D'Ayala (in congedo) - De Boni (in congedo) - Del Giudice - Delitala - Del Re (in congedo) -De Luca Frane.- Del Zio - De Pasquali - De Rugherò - Da Sanctis - Di Belia onte - Di Blaaio - Di Monale (in congedo) - Di Revel (in congedo) - Di San Donato - Di San Touimaso - D'OndesReggio Giovanni - D'Ondes-Reggio Vito - Emiliani-Giudici (in congedo) - Fabrizi Nicolo - Fanelli - Fano - Farina - Ferrara - Ftrrat i (in congedo) - Ferraris - Fiastri-Fonseca - Fossombroni (in congedo) - Fi apolii - Frascara.- Frisar. - Friseia - Gelati - Galletti (in congedo) - Garau - Gaftoni - Ghinosi - Gigante - Giunti - Giusiuo - Golia - Grassi - Gravina - Greco Antonio - Grella - Guerrazzi - Guerzoni (in congedo) - Lacava - La Masa - La Porta - Lazzaro - Leardi - Legnazzi (in congedo) - Leonii - Lobbia - Lorenzoni - Lovito - Lualdi - Maggi - Maiorana Calatabiano - Maiorana Cucuzzella - Maiorana Benedetto - Mancini Girolamo - Mancini Stanislao - Mannetti - Mantegazza (in congedo) - Marazio - Marcelle (in congedo) - Mari - Marincola - Marolda-Petilli - Manico - Martelli-Bolognini (in congedo) - Martire - Massarucci - Matina - Mauro - Mozzarella - Mazziotti - Mazzucchi (in congedo) - Melchiorre - Melissari - Mellana -Merialdi - Merizzi - Mezzanotte- Miceli- Minervini - M.itiuu - Morelli Salvatore - Moretti - Morìoi (in congedo) - Mosti - Mussi - Muti (in congedo) - Napoli - N egrotto - Nicolai - Nicotera - Oliva - Olivieri - Origlia - Paini - Palasciano - Panattoni (in congedo) - Pandola - Paris - Pelagalli - Pellatis - Pescatore - Pessina - Petrone - Pieri - Pisanelli - Fiutino Agostino - Polsinelli - Praus - Ranco - Ranieri - Rattazzi - Rega - Regnoli - Restelli (in congedo) - Riberi - Ripandelli - Ripari - Rizzali

3669 - TORNATA DEL 25 LUGLIO 1870

- Robecchi - Rogadeo - Romano - Rossi - Ruggero Francesco - Salaris - Salomone - Salvago - Salvoni - Sandri - Sangiorgi - Sanguinetti - Schininà (in congedo) - SeismitDoda - Semenza - Servadio - Siccardi - Sineo - Sipio - Sole - Solidati - Sonzogno - Spantigati (in congedo) - Spaventa Bertrando - Speciale - Sprovieri - Strada - Tamaio - Tofano (in congedo) - Tommasini (in congedo) - Torrigiani - Tozzoli (in congedo) - Trevisani -Trigona Domenico - Trigona Vincenzo - Ugo - Ungaro - Valitutti -Vicini - VigoFuccio - Villano - Villa Tommaso - Villa Vittorio - Vinci - Vollaro - Zaccagnino - Zarone - Zizzi - Zaradelli - Zuzzi.

Risultamento della votazione:

Presenti 230

Votanti 225

Maggioranza 113

Voti favorevoli 170

Voti contrari 55

Si astennero 5

(La Camera approva.)

BERTEA. Domando la parola per una dichiarazione.

Tra gli assenti oggi dalla Camera figura l'onorevole Rattazzi. Siccome a me consta che egli è lontano per causa di gravissima sventura domestica, tengo che nel verbale risulti di questa circostanza.

PRESIDENTE. Si terrà conto nel processo verbale della dichiarazione fatta dall'onorevole Bertea.

NICOTERA. Domando la parola per una mozione d'ordine.

PRESIDENTE. La Camera deve ritenere che poco fa si è stabilito che siano messe in discussione le convenzioni sulle ferrovie subito dopo la discussione politica che deve aver luogo. Perciò dichiaro che sono aperte le inscrizioni per la discussione su questo progetto di legge.

La parola spetta all'onorevole Nicotera per una dichiarazione.

NICOTERA. Prego il presidente di ordinare la pubblicazione nella gazzetta ufficiale di questa sera dei nomi dei presenti e degli assenti cella votazione della legge per la convenzione con la Banca, affinché resti constatato chi ha votato e chi non ha votato.

PRESIDENTE. È già stata ordinata dalla Presidenza la pubblicazione dei nomi.


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[Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia]

RACCOLTA UFFICIALE DELLE LEGGI E DEI DECRETI 

DEL REGNO D'ITALIA


ANNO 1870
Dal n° 5444 al 6209
VOLUME VENTESIMOTTAVO

FIRENZE STAMPERIA REALE


[Emissione  di nuove obbligazioni dell'asse ecclesiastico]


Pag. 1559


N° 5794.

REGIO DECRETO concernente

la emissione di nuove obbligazioni dell'Asse ecclesiastico.

14 agosto 1870

VITTORIO EMANUELE II

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

RE D'ITALIA

Veduta la Legge dell'11 agosto 1870, n. 5784; Veduta la Convenzione conchiusa colla Banca Nazionale nel Regno d'Italia in virtù della Legge dell'11 agosto 1870, n. 5785, ed approvata con Decreto Reale dell'11 dello stesso mese di agosto;


Pag. 1560


Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposizione del Ministro delle Finanze;

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:


Art. 1.

I titoli emessi in esecuzione dell'articolo 1 7 della Legge 15 agosto 1867, n. 3848, coi Regii Decreti 8 e 15 settembre 1867 e 26 maggio 1868, n. 5912, 3918 e 4682, che con tutto il 30 settembre 1870 non siano stati venduti, saranno ritirati ed annullati dai registri del Debito pubblico.

Art. 2.

Per effetto dell'articolo 6 della succitata Legge delli 11 agosto 1870, n. 5784, saranno emesse, con decorrenza di godimento dal 10 ottobre 1870, ed inscritte sul Gran Libro del Debito pubblico nuove obbligazioni fruttifere al 5 per cento per un capitale nominale di trecento trentatre milioni di lire.

Le obbligazioni medesime saranno accettate al valor nominale in conto prezzo di beni da vendersi, tanto in esecuzione della Legge 15 agosto 1867, n. 3848, quanto di quella summenzionata dell'11 agosto 1870, n. 5784, cogli abbuoni del 7 o del 3 per cento, giusta l'ultimo capoverso dell'articolo 14 della succitata Legge del 15 agosto 1867.

Sarà inoltre abbuonato all'atto del pagamento l'interesse dei giorni decorsi sulla obbligazione pel semestre in corso.

Art. 3.

Le obbligazioni, di cui all'articolo precedente, saranno emesse nelle serie seguenti:

da     L.         400

»                   200

»                   500

»                4,000

 »               5,000

 »              40,000

»               50,000

Queste obbligazioni potranno ritmarsi e dividersi a volontà dei portatori nelle serie sovra stabilite.

Pag. 1561


Art. 4.

Il prezzo di vendita delle nuove obbligazioni, emesse in forza del presente Decreto, è stabilito in L. 85 per ogni lire cento di capitale nominale, da pagarsi integralmente all'atto dell'acquisto.


Oltre al suddetto prezzo di L. 85, gli acquirenti dovranno pagare l'ammontare degli interessi pei giorni decorsi sulle obbligazioni medesime e la spesa del diritto di bollo di centesimi 50 per ogni obbligazione.

Ordiniamo che il presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Firenze addi 14 agosto 1870.

VITTORIO EMANUELE

Registrato alla Corte dei conti addì 20 agosto 1870

Reg. 52 Atti del Governo a c. 58. Crodara Visconti.

Luogo del sigillo. V. il Guardasigilli M. Raeli.

QUINTINO SELLA.


Pag. 1562


[REGIO DECRETO - Convenzione colla Banca Nazionale]


N° 5795.

REGIO DECRETO 

che approva la Convenzione colla Banca Nazionale.

11 agosto 4870

VITTORIO EMANUELE li

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

RE D'ITALIA

Veduta la Legge dell'11 agosto 1870, n. 5785, che autorizza il Governo Italiano a stipulare colla Banca Nazionale nel Regno d'Italia la Convenzione contenuta nell'allegato R, annesso alla Legge medesima;

Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposizione del Ministro delle Finanze;

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:


Articolo unico.

E' approvata l'unita Convenzione, stipulata il giorno 11 agosto 1870 fra il Ministro delle Finanze ed il Commendatore Carlo Bombrini Direttore generale della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, per effetto dell'autorizzazione data dalla Legge 11 agosto 1870, n 5785.

Ordiniamo che il presente Decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Firenze addì 11 agosto 1870.

VITTORIO EMANUELE

Registrato alla Corte dei conti addì 13 agosto 1870

Reg. 52 Atti del Governo a c. 42. Crodara Visconti.

Luogo del sigillo. V. il Guardasigilli M. Raeli.

QUINTINO SELLA.


Pag. 1563


[Convenzione fra il Governo Italiano e la Banca Nazionale]


CONVENZIONE

 fra il Governo Italiano e la Banca Nazionale nel Regno d'Italia

Allo scopo di dare esecuzione al progetto di Convenzione che il Governo del Re fu autorizzato dalla Legge dell'11 agosto 1870, n. 5785, a stipulare colla Banca Nazionale nel Regno d'Italia;

Questo giorno undici del mese di agosto dell'anno milleottocento settanta, fra il Governo Italiano rappresentato dal Ministro delle Finanze, comm. Quintino Sella, e la Banca Nazionale suddetta rappresentata dal suo Direttore generale, commendatore Carlo Bombrini, a ciò debitamente autorizzato dal Consiglio superiore della Banca medesima;

Si conviene quanto segue:

Art. 1.

La somma di 100 milioni di lire anticipate al Tesoro dello Stato dalla Banca Nazionale contro deposito di obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, sarà portata in aumento al mutuo di 278 milioni in biglietti, fatto dalla Banca al Tesoro in forza dei Decreti legislativi in data 1° maggio e 5 ottobre 1866.


Art. 2.

La Banca Nazionale verserà inoltre al Tesoro, a titolo di mutuo, altri 122 milioni, dei quali 50 milioni in oro e 72 in biglietti. Le somme suddette saranno versate a misura che ne sarà fatta richiesta dal Governo, e dalla data dei rispettivi versamenti decorrerà l'interesse di cui all'art. 9.

Pag. 1564


Art. 3.

La Banca Nazionale è dispensato dall'obbligo di tenere nelle sue casse la riserva metallica per l'ammontare dei biglietti mutuati al Tesoro dello Stato, a termini degli articoli precedenti.

Il detto ammontare ha per limite massimo la somma di 450 milioni di lire, e sarà ridotto col ridursi del mutuo, a termini dell'art. 10.

Art. 4.

Il maximum della circolazione dei biglietti della Banca Nazionale, stabilito in 50 milioni colla Legge del 3 settembre 1868, potrà essere aumentato sino a 800 milioni.

Art. 5.

In garanzia del mutuo suddetto di 500 milioni, il Governo Italiano depositerà nelle casse della Banca Nazionale obbligazioni dell'Asse ecclesiastico per un valore nominale di L. 333,000,000.

Art 6.

La Banca Nazionale nel Regno d'Italia continuerà a fare come ora la vendita delle obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, di cui all'articolo precedente, in tutte le sue sedi o succursali ed in quelle della Banca Nazionale Toscana.

Nelle Provincie in cui non esistono sedi o succursali delle Banche predette, il Ministro delle Finanze autorizzerà i Tesorieri provinciali ad effettuare la vendita delle obbligazioni per conto della Banca Nazionale nel Regno d'Italia.

Art. 7.

Il prezzo di vendita delle obbligazioni resta fissato a L. 85 per ogni lire cento nominali.

Art. 8.

Il conto della vendita delle obbligazioni sarà regolato semestralmente il 31 marzo ed il 30 settembre. Il prodotto della vendita risultante da detto conto sarà ritenuto dalla Banca, e portato a credito del Tesoro alle date suddette a diminuzione del suo debito pel mutuo di 500 milioni.

Pag. 1565


Art. 9.

Sulle somme di cui il Tesoro sarà debitore nel conto del mutuo di 500 milioni alle epoche suddette, sarà liquidato e corrisposto alla Banca Nazionale l'interesse annuo di centesimi sessanta per ogni cento lire, cessando gl'interessi ora vigenti sul mutuo di 278 milioni e per anticipazione dei 100 milioni.

Art 10.

A misura e fino alla concorrenza della somma che la Banca. riceverà dallo Stato per effetto della vendita delle obbligazioni, od altrimenti, in isconto del mutuo di 500 milioni, sarà ridotto il limite della circolazione dei biglietti stabiliti nell'art. 4

Art. 11.

Dei 500 milioni dovuti alla Banca dallo Stato, 50 saranno restituiti in oro.

Art. 12.

Il Governo si obbliga a non vendere altre obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, oltre quelle date in garanzia alla Banca Nazionale, fino a che il credito della Banca sia ridotto a 217 milioni.

Art. 13.

La presente Convenzione avrà il suo effetto il giorno successivo a quello in cui sarà approvata per Reale Decreto.

Fatta in triplice originale, di cui uno per essere posto a corredo del Decreto Reale di approvazione, e gli altri due per uso delle Parti contraenti.


Il Ministro delle Finanze

QUINTINO SELLA.

Il Direttore Generale della Banca Nazionale nel Regno d'Italia

BOMBRINI.

C. PERAZZI, Testimonio.

T. ALFURNO, Testimonio.






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