Eleaml



EUGENIO TORTORA

NUOVI DOCUMENTI PER LA STORIA

DEL

BANCO DI NAPOLI

NAPOLI

A. BELLISARIO E C. - R. TIPOGRAFIA DE ANGELIS

Portamedina alla Pignasecca, 44

1890

Nuovi documenti per la storia del Banco di Napoli - Eugenio Tortora   ODT
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Cap, 1 - Nuovi documenti per la storia del Banco di Napoli - Eugenio Tortora   HTML
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CAPITOLO II.

IL SERVIZIO APODISSARIO (1) DEGLI ANTICHI BANCHI

1. Antichi banchieri a Napoli. Privilegio di Giovanna d'Aragona - 2. Prammatiche di Carlo V. e di Filippo II.-3. Elenco dei banchieri. Notizie sui loro libri commerciali-4. Dispute per la cauzione - 5. Tentativo di mettere un monopolio bancario (1580)-G. Petizioni del Monte della Pietà e della Casa Santa dell'Annunziata - 7. Il Banco

Incurabiles

-8. Provvedimenti presi contro dei Banchieri-9. Secondo tentativo di mettere il monopolio con la

Depositerio Generale

-10. Indole ed operazioni dei banchi nei primi tempi - 11. Le alterazioni di monete-12. Sedicente riforma monetaria del Card. Zapatta-13. Sospensione di pagamento dei banchi per le zannette -14. Prammatica 10 aprile 1623-15. La

Gabella

sul vino-16. Prammatiche sulle monete tosate-17. Altre sospensioni di pagamento al 1636 ed al tempo di Masaniello-18. L'ufficio di Regio pesatore e le monete scarse-19. Dispute pel denaro

demortuo -

. Riforma monetaria del Marchese del Carpio -21. Bilanci del 1091 22. Uso di tagliare le monete false o tosate-23. Fallimento del Banco e Casa Santa dell'Annunziata-24. Ordinanze dei Viceré Austriaci che proibiscono la riscontrata-25. Altro tentativo di monopolio bancario-26. Atti di Carlo III. e di Ferdinando IV.-27. La denunzia dell'Avvocato Rossi- 28. Bilanci dei banchi al 1788.

Fin dall'epoca degli Aragonesi (secolo XV), ed anche prima, ci lurono in Napoli case di banca che accettavano depositi, speculavano sul cambio, riscuotevano o pagavano per conto altrui, adempivano insomma ai più necessari uffizi degl'istituti di credito. Le funzioni erano maggiori di quelle dei moderni banchi pubblici o privati, perciocché tenevano qualità di Regi uffiziali, e nel tempo stesso lavoravano da agenti di cambio, da sensali, da commissionari e specialmente da notai. Brano queste case di banca che pigliavano ragione, sulle proprie scritture, delle compre e vendite fatte pel loro mezzo, e formavano gli atti giuridici bisognevoli all'acquisto di qualsivoglia cosa. Alcune meritarono tale fiducia, e disponevano di tanta moneta, che gli stessi Sovrani ne diventarono clienti. Esistono, nell'archivio di Stato, molti volumi di conti finanziari del secolo XV,

(1) Da ?p?d????t?????-dimostrativo-Voce usata per dimostrare che sono tenute le scritture contabili con forma assolutamente analitica.

Difatti, per ogni cliente, è aperto un conto speciale, con molte indicazioni sulla data di emissione, numero d'ordine, giratario, somma, data di estinzione etc. delle fedi e polizze, nonché dei polizzini, mandati e madrefedi, da lui formati durante l'esercizio. Tanto i titoli, quanto i registri appartengono alla scrittura apodissaria.

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dove sono spesso ricordati i nomi ed i servigi dei banchieri Antonio e Luigi de Gaeta, Filippo Strozzi, Giovanni di Costanzo, Ambrogio Spannocchio, Lorenzo e Francesco Palmieri, Battista Loniellino e parecchi altri.

Da questi conti, chiamati Cedole di tesoreria, il prof. Faraglia (1) ha trascritto un documento del 1488 che prova quanto fosse vecchio a Napoli l'uso di pagare collo cheque, cioè mediante ordine al proprio banchiere: più di mentovare nello cheque o polizza o cedola le cagioni ed i patti del pagamento, nonché gl'individui che vi sono interessati.

"A dì 31 di ottobre 1488, da Ludovico d'Afflitto, Commissario nella provincia di Terra di Lavoro, e per esso da Iacopo Foce,sindaco della Università di Alife. Ducati quarantacinque per lo banco di Filippo Strozzi. Disse sono cioè, ducati trenta per conto del terzo del sale di agosto prossimo passato. E ducati quindici per conto delli residui dovuti per detta università alla Real Corte."

Un privilegio della Regina Giovanna, vedova di Ferrante I, francava le case di banca da qualsivoglia tassa giudiziaria (2).

Magnifici viri regii Consiliarii no bis dilectissimi - Voi sapete molto bene quanta obligacione lo Serenissimo quondam Re nostro figlio et Noi, dovemo haver a li cittadini Napolitani, per quello hanno fatto e che continuamente fanno per stato et servicio de S. M.; la quale ha deliberato continuamente, quanto li sarà possibile beneficameli, et usarli ogni demostracione de amore et de bollore; et per questo S. M. et Noi voli mo, et ve comandamo, che da qua avante, per nesciuno tempo, in questa Camera, non debiate per modo alcuno molestare, né permettere siano molestati li banchieri Napolitani, per qualsivoglia ragione o deritto loro si domandasse dal banco de la Justicia; et si alcuno atto per questa Camera contro de loro, per questa cosa se fosse fatto, li tornareti al pristino stato, non facendo altramente per causa alcuna. La presente restituirete al presentante. Datam in Castello novo Neap. XVIII Martii 1496. La Trista Reina.

Con questa sottoscrizione Giovanna alludeva alla vedovanza, alla guerra che teneva lontani i figli, ed alle miserrime condizioni della Casa d'Aragona, insidiata a quel tempo e minacciata dagli Spagnuoli e dai Francesi, che con segreti patti s'avevano già diviso il Regno.

Le leggi niente disponevano sulle accettazioni di depositi; permettevano a chi voleva farsi banchiere, senza guardare alla sua ricchezza e senza nemmeno ordinare che fosse regnicolo.

1.

Il Comune nell'Italia Meridionale, pag. 117.

2.

Giulio Petroni, dei Banchi di Napoli, pag. 17 nota.

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L'importanza degli affari ed il valore della clientela dipendevano unicamente dai capitali e dal credito che ciascuna casa sapeva procacciarsi, nonché dalla maggiore o minore abilità di ehi dirigeva. Di siffatta grande libertà si giovarono molte famiglie Genovesi e Catalane, e specialmente gli Strozzi Fiorentini; i quali aprirono in Napoli un'agenzia molto accreditata, che teneva relazioni continue d'affari con le altre condotte da loro stessi, o dai loro corrispondenti Toscani, nell'Italia superiore, in Francia, ed anche in Germania, Inghilterra, Spagna ed Oriente.

*

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2. Al secolo XVI, la libertà di aprir banco fu limitata coll'obbligo di presentare mallevadori per ducati 40,000 (Prammatica di Carlo V, 16 settembre 1549) poi aumentati a Duc. 100,000 (prammatica 18 giugno 1553), e quindi a Duc. 150,000; non che con parecchie regole o leggi, che formavano oggetto delle prammatiche De Bancis, De Nummulariis. Le più importanti erano:

a) Quando per sei giorni un banchiere avesse mancato all'obbligo suo di restituire i depositi, o di pagare i debiti, e si fosse nascosto o allontanato, dovevano i giudici spiccare mandato di comparizione; e scorsi altri sei giorni, senza che si fosse presentato, incorreva nella pena di morte, procedendosi contro di lui con la forgiudica.

Statuimus propterea et mandamus, quod dicti comptores seu bancherii, qui se absentaverint, et per sex dies latitaverint, citenturi in domi bus in quibus solebant habitare, et si citati per alios six dies non comparuerint, et suis creditoribus non satisfacerint, in poenam mortis naturalis incurrant; et quod elapsis dictis sex diebus, post citationem ita factam, pro cedatur contra eos ad foroiudicationem, nullo alio tempore expectato, et pro foroindicatis publicentur per solita loca, (prammatica 1a de nummulariis, anno 1586, governo di Carlo V.)

b) Ogni Banchiere aveva facoltà di trarre mandati di pagamento sulle casse dei proprii colleghi, e soddisfare con questi li creditori per depositi o per mutui; ma incorreva nella multa di cento once di oro se a tali mandati non si faceva onore (D.

(1) Prammatica del Viceré Giovanni de Zunica, a nome di Filippo II, del 25 Decembre 1579, 4a de nummulariis.

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Questa multa di cento once (ducati 300 o lire 1275) fu poi minacciata anche ai cassieri ed impiegati dei banchi (1).

e) Dovevano i banchieri presentare ogni due anni, ad un delegato del Viceré. i loro bilanci, e si minacciava pena di falso, cioè la morte, ai mentitori. Egual pena colpiva i fideiussori che pei uscire di responsabilità si facessero scrivere in questi bilanci come creditori del Banco. La malleveria era solidale fra tutti i fideiussori.

Verum bilancium effectuum Banci, quolibet biennio, praesentetur Commissario deputando per Suam Excellentiam; quo non reperto vero, bancherii puniantur poena falsi. Incidantque in eandem poenam falsi, fideiussores qui procurabunt se describi creditores banci et non sunt. Eidemque fideiussores, pro rata qua fideindebant, teneantnr in solidum; in oppositionibus bancorum publicorum Sua Excellentia providebit super quantitatibus fideiussionium (prammatica 5 de nummulariis 29 ottobre 1580).

3. Il Rocco (2) ed il Toppi (3) danno un elenco dei banchi aperti dal 1510 al 1604.

Ravaschiero- 1516 a 1579,

Vaglies - 1519 a 1554.

Marruffo e Oria - 1529.

De Mari e Citarella- 1533 a 1570.

Lomellino e Pallavicino - 1535 a 1546.

Galzarano e Vidal- 1536 a 1547.

Sommaya - 1542. Serra e Vivaldo.

Larcaro e Imperiale- 1544 a 1551.

Spinola e Mare - 1551.

De Montenigro- 1559 a 1576.

Grimaldi-1571 a 1588.

Citarella e Rinaldo - 1572.

Olgiatti e Solaro - 1573 a 1580.

Composta e Cordone- 1573 a 1580.

Colamazza e de Pontecorvo - 1576 a 1582.

Casola e Marrocco - 1582 e seg.

Cimino - 1578 a 1581.

(1) Prammatica 29 ottobre 1580, 5a de nummulariis.

(2) Ragione dei Banchi vol. 1 pag. 3, 4.

(3) De Origine Tribun. pag. 50.

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De Leone e Bonaventura- 1579 e seg.

Olgiatti di nuovo- 1578 a 1597.

Coneglio - 1580.

Di Belmosto - 1580.

Bifoli - 1581.

Casola, Baccaro e Borrella- 1578 e seg.

Vollaro, Solaro e Composta- 1582 a 1596.

Incurabiles - 1583 a 1588.

De Centurione - 1591 a 1596.

Spinola, Mari e Grillo- 1592 a 1595.

Lorenzo e Sebastiano Mari - 1595 a 1598.

Talamo e Mari - 1595 a 1598.

Spinola, Ravaschiero e Lomellino - 1596 a 1608.

Turbolo e Caputo - 1602 a 1604.

Franco e Spinola - 1604.

Dal Cav. G. Petroni (1) si aggiungono a questo elenco, senza però determinare epoca, Michele Coriel, Gian Vincenzo e Giannandrea del Solaro, Ravaschiero e Pinelli, Rafael Galsareno, Acciaiuoli e Giulio Comeres.

La massima parte di questi banchieri dimorava, ed esercitava il suo negozio, alla strada che oggi si chiama S. Biagio dei Librai; passarono poi vicino al Sedile di Porto, dove tuttavia la contrada serba il nome di Banchi nuovi.

Quando scriveva Nicola Toppi (1666), nell'archivio dei tribunali c'erano circa cinquemila volumi di scritture dei mentovati banchieri. Ma il tempo; più del tempo il saccheggio della Vicaria, che avvenne all'epoca della congiura di Macchia (1701), con la poca cura ed i molti trasporti da luogo a luogo ne hanno fatto perdere gran parte, sicché adesso l'Archivio di Stato di Napoli non ne tiene più d'un migliaio. La conservazione di questo residuo pare che sia dovuta al seguente fatto.

A Maggio 1581, un certo Aniello Paolillo domandò il diritto di raccogliere e conservare i libri e documenti contabili dei banchi che avevano e che avrebbero liquidato le operazioni e cessato di esistere, per volontà del conduttore, morte, fallimento o altre cause. Egli ne voleva fare un archivio simile a quello dei notai, ed incassare il compenso di un carlino, per ogni copia, notizia o certificato.

(1) Dei Banchi di Napoli pag. 18.

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Avvalorò la domanda con descrizione del male temuto dalla dispersione di quei registri, che provavano le ragioni creditorie o liberatorie di molte persone, nonché con offerta di pagare D. 1700; cioè 500 subito ed il resto fra un anno. Al Paolillo si oppose Giovanni Flores, Uffiziale della Regia Camera, sostenendo che spettava a lui la conservazione degli archivi dei banchi smessi, per averlo ordinato il Viceré Parafan de Rivera, fin dal 18 gennaio 1 563.

Ed era cosi. In seguito di rimostranze del Procuratore del Regio Patrimonio, contro dei banchieri che, chiudendo il negozio, portavano i libri e le scritture a Genova o in altri siti, avea D. Parafan disposto che tutti i documenti relativi alla gestione dei banchi si dovessero consegnare alla Regia Camera. La domanda del Paolillo, col chiamare l'attenzione sul valore di quei libri, avrà forse assicurata l'osservanza degli ordini Viceregnali.

Un catalogo dei libri esistenti, che pei nomi dei banchieri e gli anni d'esercizio differisce dagli elenchi di Toppi e Petroni, compilò lo storiografo del Banco sig. Aniello Somma nel 1834 (D. Buffe dispute ci furono e strana corrispondenze si scambiarono l'istituto e l'archivio di stato a proposito di tale lavoro, che per poco non fece assaggiare le prigioni al suo autore.

Molti anni prima, cioè nel 1808, quando insieme con altri banchi fu soppresso Sant'Eligio, il demanio, impossessatosi dell'edificio, aveva fatto affastellare in uno dei saloni le scritture degli antichi banchieri, togliendole dal locale Vicaria. Si era chiusa la porta principale, ritirando la chiave il sopra in tendente dell'Archivio di Stato, ma senza badare all'esistenza di altri accessi.

Ottenuta in seguito la restituzione dei locali dall'antichissimo conservatorio ed ospedale di Sant'Eligio, olim proprietario dell'omonimo Monte e Banco, i nuovi Governatori, ch'intendevano ridurre quel salone a dormitorio delle giovanette, e c'erano entrati senz'aver bisogno di forzarne la chiave, trovandolo pieno di libri vecchi, supposero, naturalmente, che fossero del banco smesso. Invitarono perciò il Reggente De Rosa a ritirare subito le scritture, avendo essi urgente bisogno della camera.

De Rosa tentennò qualche tempo. Sebbene ignaro dei dritti dell'Archivio di Stato, dubitava della propria facoltà.

(1) Archivio del Segretariato Generale, vol. 45 fasc, 29.

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Sollecitato nondimeno da altre lettere del Conservatorio, e dalla minaccia d'esecuzione dei lavori di muratura, ch'avrebbero fatto perdere i pregevoli documenti, mandò il sig. Somma a prenderne la consegna. Erano già fatti gl'inventari quando si svegliò l'Archivio di Stato, che fece un chiasso incredibile. Voleva promuovere l'azione penale pel Reggente, poi Governatoli, per gl'impiegati stessi e facchini che, ubbidienti agli ordini, avevano ardito di toccare quei volumi.

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4. La cauzione di Duc. 40,000, ed i successivi aumenti a ducati 100,000 e 150,000, non impedirono le malversazioni ed i fallimenti, per la ragione che non occorreva il possesso di grandi capitali, e non e' era obbligo di tenere le mentovate somme. Per fondare il banco, bastava presentare al Presidente della Regia Camera le dichiarazioni di mercatanti ed altre persone solvibili, che dessero malleveria personale. Pagando poi qualche mancia, si otteneva la licenza, ed a suono di tromba usavano di pubblicare il Bando, che annunziava a tutti l'apertura del nuovo banco. I mallevadori dovevano manifestare per quanto tempo e per quale somma volevano restare obbligati; sei mesi prima che scadesse il termine da loro posto avevano obbligo di nuovamente dichiarare che intendevano di ritirare la fideiussione, altrimenti si reputavano responsabili per tempo indefinito.

Ma all'obbligo di presentare i mallevadori non sempre e non interamente adempivasi. Li 3 novembre 1574, il Viceré, Carlo di Granvela, sapendo che dei banchieri, alcuni non avevano dato malleveria, altri non l'avevano compiuta, ordinò alla Regia Camera che li costringesse a mettersi in regola. Andrea de Mari, rispose per conto suo e del socio Girolamo 'Grimaldi, che avendo dato fideiussori per Duc. 100,000, non era ad altro tenuto, mancando ordini Regi che prescrivessero somma maggiore. Infatti, nelle raccolte stampate delle prammatiche, non si trova quella per l'aumento della cauziono da Duc. 100,000 a Duc. 150,000. Girolamo Montenigro similmente osservò che quando il padre suo Giambattista, nel 1558, aveva aperto banco, dava malleveria per soli Duc. 100,000, e tanto era bastata per ottenere la licenza e pubblicarsi il Bando. I figli ed eredi di Bernardino Turboli dissero che il padre, che il padre, per mote, non aveva potuto dare altra guarentigia, oltre i Duc. 100.000, e chiesero dilazioni per compiere la malleveria; ma, ricevendo nuove ingiunzioni, dichiararono di volere smettere.

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5. Verso il 1580, si pensò di fare un monopolio delle operazioni di banca, concedendo a quattro ditte commerciali Olgiatti e Grimaldi, Citarella e De Rinaldo, Colamazza, Pontecorvo, che per lo spazio di 20 anni, cioè fino al 1600, non si potessero imponere in Napoli altri banchi, ne tavole, né depositari, né altre sorti di mezzi di giramenti di negozii pecuniarii, eccetto il monte della Pietà. Fra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, ci sta un fascicolo di lettere di Filippo II su questo affare, data 26 maggio 1580 al 15 settembre 1583, dalle quali si scorge che il Re, e il Segretario che scriveva le lettere, era più intelligente e più coscienzioso del suo rappresentante a Napoli. Alle proposte di concedere il monopolio, rispondeva ordinando che si fosse bene studiato il progetto, e si fossero intesi il Consiglio Collaterale e la Summaria; dappoiché temeva non tanto per la rovina degli altri esistenti banchi da sopprimere, quanto pel pericolo che veniva allo Stato ed ai cittadini, dal concedersi per 20 anni, a pochi speculatori, un'assoluta signoria sull'azienda del Reame.

Ma dal monopolio si speravano denari. I concessionari avevano promesso di prestare Duc. 400,000, alla ragione del 6 1|2 all'anno. Il Viceré forte insisteva, dicendo che avrebbe potuto riscattare molte rendite dello Stato, precedentemente vendute a condizioni più svantaggiose. Quanto poi la promessa di prestito fu aumentata a ducati 600,000, vaio a dire che ogni richiedente offrì di dare 150,000 ducati, finirono le difficoltà da Madrid.

Con la pubblicazione della legge, cominciarono a Napoli le grida dei banchieri esclusi dalla concessione e che dovevano ritirarsi dagli affari. Avevano tutto il dritto di strepitare, per lo sfregio che si faceva alla fede pubblica, violando le capitolazioni, annullando i permessi accordati dalla legittima autorità e banditi nel modo più solenne. Filippo, che mal volentieri aveva consentito, alla notizia di siffatti clamori, annullò gli ordini del Viceré, dichiarando, ai 16 luglio 1583, che si era sperimentata disutile la concessione del privilegio. Seppe anche trovare l'espediente pei non restituire i Duc. 600,000 e per avere altre somme. Egli disse che volendo ristabilire un antico banco o metterne altro nuovo, dovevansi prestare allo Stato, alla ragione del 6 1|2 per cento, ducati 300,000.

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Il patto fu accettato ed eseguito da parecchi banchieri. I monopolisti perciò, vedendosi togliere al 1583 un privilegio che doveva durare fino al 1(500, e che avevano a caro prezzo pagato, domandarono il ristoro dei danni. La contesa volle il Re che fosse risoluta dal Supremo Consiglio d'Italia, residente a Madrid. La sentenza non fu stampata, probabilmente non fu nemmeno redatta.

6. Quando si discuteva sulla concessione del monopolio, protestò con molta forza il Monte della Pietà, che teneva la più accreditata cassa bancaria di Napoli è già si era procacciato, col savio uso dei depositi, nonché mediante circolazione della carta, i fondi che gli occorrevano pel prestito gratuito. Ebbe molta ragione il devoto compilatore dell'inventario delle carte (vol. 50,S pag. 16 t. e 17) di scrivere nel suo registro ".. della quale (capitolazione coi banchieri Olgiatti ed altri) avendosi notizia per li signori Protettori del detto Sacro Monte, essi, oltre dell'altre diligenze, fecero fare consulto nel Sacro Collegio della Società del Gesù di questa città, e dopo ricorsero all'Eccellenza Sua, presentandogli un memoriale, il quale, perché importa molto al luogo, acciò che non s'occulti in fu turimi, ma di quello habbino sempre notizia i successori, si registra qui ad verbum, com'infra siegue cioè".

La petizione infatti è notevolissima, non meno per l'informazioni che fornisce sulle pratiche bancali del secolo XVI, che per gli argomenti coi quali sostiene la libertà del commercio. Da trecento anni dura a Napoli la guerra fra chi intende di spendere per scopo filantropico il lucro della speculazione bancaria e chi organizza monopoli per intascarlo. Le ragioni che si dicevano a D. Iuan De Zunica, nel 1580, valgono pure adesso, con la differenza che allora si trattava di poche migliaia, ora di centinaia di milioni: allora d'interesse prettamente napoletano, adesso di tutta l'Italia; allora chi parlava d'eguaglianza si stimava meritare la forca, adesso ci sono codici e costituzioni.

"Illustrissimo ccl Eccellentissimo Signore. Li Protettori del Sacro Monte della Pietà di questa fedelissima città di Napoli riducono a memoria di V. E. come il detto Sacro luogo, per potere esercitare il grazioso prestito, che alla giornata fa ai poveri pupilli, vedove, monasteri ed altri luoghi pii, ed a tutt'i poveri gentiluomini, cittadini, forestieri e bisognosi di qualsivoglia nazione,

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e particolarmente della nazione spagnola, tiene bisogno di gran somma di denari; poiché si prestano ogni anno più di ducati ottantamila, e per le provvisioni degli ufficiali e ministri e per altre spese alla giornata occorrenti si pagano da ducati duemila l'anno. Talché non può col suo denaro proprio supplire a quello che bisogna per lo detto prestito, per l'infinito concorso dei poveri che vi è: ma con la comodità del denaro che tiene e che vi si deposita, si supplisce appena a detto prestito grazioso, e senza li denari dei depositi non potrebbe oprare si gran quantitade. E per tal causa dai Sommi Pontefici sono state concedute molte grazie al detto Sacro Monte acciò, con la comodità del detto denaro, si potesse esercitare il mutuo grazioso. E perché, Ecc. Signore, s'intende che alcuni, mossi dai loro particolari interessi e disegni, volendo restringere tutto il denaro del presente regno in loro potere, per farne mercanzia e cavar ne beneficii e guadagni loro privati, trattano di ottenere da Vostra Eccellenza ordine per lo quale si restringesse e limitasse la somma dei depositi che si ricevono nel Sacro Monte, il che non solo è contro ogni ragione umana e divina, essendo sempre stato permesso dalle leggi canoniche e civili di farsi depositi poenes aedes scicras, nelle quali case pie è stata ed è sempre libera la facoltà ad ognuno di potervi depositare loro denari, siccome per disposizione di ragione ciascuno tiene libera facoltà di disponere il suo denaro, e dipositarlo dove li piace, ai luoghi pii ed a persone pubbliche e private; ma anco questo è contro il bene pubblico e la Cristiana Pietà, poiché restringendosi al Sacro Monte questa facoltà di ricevere denari in deposito,il luogo non potrebbe esercitare il prestito grazioso; vedendosi per esperienza che al presente che riceve li depositi senza limitazione alcuna può supplire a detta opera pia; e facendosi la detta limitazione non avrebbe il concorso dei depositi che al presente tiene; perché ognuno, per non tener conto in diversi luoghi continuerebbe dove non fosse cotal limitazione, ed il Sacro Monte l'osterebbe senza depositi. E così li poveri. non avendo comodità di denari, incorrerebbero in diversi scandali, e particolarmente, oltre li peccati e scandali, si commetterebbero l'usure, le quali sono state tolte con la comodità del prestito grazioso, e si ponerebbe di pericolo l'onoro d'infinite povere verginelle per li stupri che succederebbero, che già sono stati evitati col mezzo di detta sant'opera.

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Però, vedendosi alla giornata d'infiniti benefici pubblici e frutti di vera pietà cristiana della santissima opera, è stato tanto favorito ed accresciuto di privilegie grazie il Sacro Monte da tutti li retropassati Illustrissimi Signori Viceré. Per lo che supplicano V. E.. come principe giustissimo e fautore di tutte l'opere di pietà e caritative, si degni ordinare che nel suo ottimo e prudentissimo governo, come conviene per ritrovarsi il Luogo sotto la protezione regia e di V. E. non si facci novità alcuna in pregiudizio del Sacro Luogo; tanto nel restringere la facoltà che tiene di ricevere depositi liberamente, come in ogni altra cosa; ma che possa continuare, sic come ha fatto e la, il ricevere dei depositi, senz'altra limitazione, e coll'istesso ordine e procedure che fin qua è stato ed è solito osservare: affinché possa seguire il santissimo e piissimo esercizio del prestito grazioso. che fu introdotto per esecuzione dell'ordine l'atto dalla gloriosa memoria della Maestà di Carlo Quinto dell'espulsione dei giudei dal presente regno, per togliere l'usure per lo bene pubblico; il quale si deve preponere di ragione ad ogni altro umano rispetto, conforme all'ottima mente di V. E. e di Sua Maestà Cattolica; il quale, come Re giustissimo e religiosissimo, in ogni occasione ha mostrato sempre questa essere sua intenzione, con tante sante provvisioni per Lei ordinate per lo bene pubblico di questa fedelissima città e regno, il quale sempre è stato, è. e sarà prontissimo ad ogni servizio della Maestà Sua. E questa fedelissima città ha fatto e può fare assai più utile e maggiori servizi alla Maestà Sua che non è quello che si procura da chi propone la diminuzione ed estinzione (il che Dio non voglia) del detto Sacro Luogo, e successivamente il danno pubblico e dei poveri. Ed acciò V. E. sia certificata della verità di quanto se gli è esposto, si degni ordinare che del tutto l'informi il circonspetto signor Reggente Salernitano, (il quale di ciò è informatissimo) che avanti si proceda ad alcuna provvisione, in qualche modo toccante il Sacro Monte, siano intesi a pieno essi supplicanti. Ed oltre che quanto si domanda è giustissimo, V. E. sarà anco partecipe di si granbeni che nel detto luogo di continuo si tanno, ed essi supplicanti, come suoi servi affezionatissimi, ne li resteranno obbligatissimi ut Deus."

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Avendo l'Eccellenza Sua riguardo alle dette efficaci e vive ragioni. eccettuò il Sacro Monto dalla proibizione fatta per detta capitolazione, di non potere ricever deposito, restando con la sua libera facoltà che tiene di ricever li denari che se li portano a depositare. conforme al solito."

Indipendentemente dal Monte della Pietà, la Casa Santa dell'Annunziata chiese che fosse riconosciuto e mantenuto il suo dritto d'accettare depositi pecuniari e di testificarli con sue obbligazioni. Essa ottenne questo diploma. (1)

Philippus Dei Glratia. Illustrissimi et magnifici viri Consiliarii et regii fideles dilecti. Li di prossimi passati ci fu presentato memoriale da parte di questa Santa Casa del tenor seguente: Ill.mo et Ecc.mo Signore. Li Mastri et Governatori del Sacro Hospidale dell' Aununtiata di Napoli esponeno a V. E. come, nella capitulatione seguita tra r E. V. et li quattro Banchi, si leggono l' infrascripti Capitoli: Ha ordinato S. E. che siano in Napoli quattro soli Banchi et non più; che hoggi contano Bernardo Olgiati, Agostino et Geronimo Grimaldi, Nardo Luca Citarella et Liberato de Eiiialdo, Leonardo Calamacza et Fabritio et Scipione Pontecorvi, et per essi loro herèdi et successori; et che per anni 20, che fìneranno in fine dell'anno 1600, non si possano imponere in Napoli altri Banchi, né tavole, ne dipositarii, né altre sorte di mezi di giramenti di negotii pecuniarii, eccetto il Monte della Pietà.

Sua Eccellenza vole et ordina che tutti li depositi, de' quali si hanno da presentare fede nelli Eegi Tribunali di Napoli, si faccino in questi quattro Banchi; et per tal effetto ordina a' detti Tribunali che non ammettano altre fede che di detti quattro Banchi, recusando quelle di ogni altra persona, tavole, depositarli, cascie o monti, eccettuando però il Monte della Pietà, et se ne spediranno lettere dalla Regia Cancelleria. Et perché sono securissimi che per detti Capitoli, et altri simili, non ha avuto mente di fare pregiuditio né innovatione alcuna a rispetto della Casa Santa dell'Annuntiata, la quale sta et è stata sempre in possessione di recevere depositi, di farne fede et quelle presentare nelli regi Tribunali et hanno avuto sempre fede come di pubblici Banchi. Per questo supplicano a V. E. che, per togliere ogni dubio che sopra ciò potesse in futurum nascere, si degni dechiarare che non è né è stato di suo intento di pregiudicare o innovare alla Casa predetta, et che perciò non se r intenda fatto pregiuditio alcuno, nella detta sua possessione, che il tutto si reputerà a grafia dell'Eccellenza Vostra."

Et volendo noi havere informati one di quello che circa questo negotio è passato, da parte vostra fu offerto che non si sariano fatte fede di depositi, si non per quella summa che eftectivamente le persone ad instantia di chi si havessero da fare li detti depositi ponessero et fossero creditori de la Cascia di questa Casa.

(1) D'Addosio - Origini ecc. pag- 513 a 515.

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Et benché l'intentione nostra sia sempre stata et sia di agiutare et favorire ogni comodità di questo santo luogo, per le opere pie che abbondantemente si fanno in esso, in gloria et servitio di nostro Signore Iddio; non dimeno, per lo zelo che tenemo dell' osservantia di quello che per noi sta capitulato con li magnifici Olgiati, Urimaldi, Citarella et Einaldo, Calamazza et Ponticorvi, liavemo ordinato che si trattasse con essi, perchè si contentassero; et essendo ciò esseguito, essi, havendo consideratione alla pietà di questa Casa Santa, et alle dette opere Pie, si sono contentati.

Per tanto, stante lo detto consenso, vi dicemo et declaramo che possiate ricevere danari dalle persone che vorranno quelli depositare et spendere per mezo di questa vostra cascia, et far fede di depositi ad instantia di altri; con conditione però che non debbiati fare, ordinare, firmare o in qualsivoglia modo consentire che si facciano fede di depositi per questa Casa seu in suo nome, né si pachino quantità alcune ad instantia di qualsiasi persona, ultra de la quantità che realmente et effettivamente teneno, et fossero creditori in la cascia predicta; sotto pena (in caso di contraventione, tanto a voi Mastri presenti et futuri et a tutti altri Ministri che tengono carico de la scrittura, li quali passassero alcuna scrittura contro la forma del presente nostro ordine), a nostro arbitrio riservata - Datum Neapoli 27 lunii 1580 - Don luan de Zuniga.

(In dorso). Ill.mis et magnificis viris Marchioni Bucchianici et aliis Economis et Procuratoribus Ven.lis Ecclesiae et Hospitalis B. Mariae Annttntiate huius fidelissimae civitatis Neapoli, presentibus et successive in solidum. - Vi è il bollo.

È un documento che conferma la tradizione della grande antichità d'una cassa di depositi dell'Annunziata. Dice il Marchese Ciccarelli, in un rapporto inedito dei 1845 (1) che l'Ospedale d'Ave Gratia Piena avesse aperta nel 1486, una. cassa di sicurtà nella quale ciascun depositar poterà i suoi denari per cinque anni forzosi, ritirandone il 8 per cento l'anno; nel 1488 vi si aggiunse una pegnorazioue coll'interesse del 3 1|2 per cento il Banco e la pegnorazione rimasero sospesi dal 1 5!0 al 1538 per le guerre di quell'epoca e la peste che afflisse il regno. Ma non cita la fonte d'informazioni, ciò che e' impedisce di confermare le sue asserzioni, che toglierebbero ogni dubbio sull'assoluta priorità dei banchi di Napoli, come pubbliche casse di circolazione.

Il Comni. Petroni (2), ed il Ca,v. d'Adelosio (3), senza per mente al domicilio del Monte della Pietà nel locale d'Ave Gratia Piena, stimano che il Banco dell'Annunziata si fosse fondato prima del 1580.

(1) Archivio del Segretariato Generale del Banco-Vol. 15.

(2) Dei banchi di Napoli, pag. .55 e 36.

(3) Origini ecc. pag. 240

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Ma, come abbiamo già osservato a pag. 05, non pare spiegabile la coesistenza nel medesimo posto di due istituti simili. Oltre delle riferito, si possono dare altre prove, dell'apertura del Banco d'Ave Gratia Piena nel 1587. Questa è la data delle più antiche fedi o registri di tal Umico. La memoria a stampa, mandata al Pontefice Benedetto XIII nel 1725, che scrisse il Governatore Filippo Solombrini. Dice "quest'apertura sorti verso la fine del XVI secolo cioè nel 1587" (D. Documento che leva ogni dubbio è la deliberazione 4 Giugno 1 008, riferita dallo stesso d'Addosio a pag. 250, la quale non può sbagliare data di fondazione perché si appoggia al conto dell'operazioni latte nei VENTUNO anni d'esercizio, evidentemente dal 1587 a 1608. Volendo riconoscere lo stato in che si ritrova il nostro Banco e per accertarci dello aumento ch'egli ha fatto per spatio d'anni 21 che fu principiato, troviamo che per gratia del Signore e buon reggimento de' signori Governatori, si siano posti in compra fin bora ducati 337 mila,, cioè ducati 200 mila di denari propri e liberi del Banco, e li restanti delli effetti di esso: dal frutto de' quali uniti insieme si vengono a percepire ducati 22574 annui; per il che parendoci che da un cumulo così notabile possa e debbia la Casa Santa cominciare a sentire qualche rilevamento, conforme all'intentione di quei signori che diedero principio a così utile nego ti o, li quali stabilirono che le entrate che pervenissero da detto cumulo dovessero andare in beneficio della Casa benedetta, non in altro uso che per estinguerne suoi debiti capitali.... ecc. Vol. XV delle deliberazioni, fol. XVIII, 4 Giugno 1608.

Nella petizione dunque del 1580, l'Annunziata reclamava il puro e semplice riconoscimento d'un dritto ammesso dalle vigenti leggi canoniche e civili, del quale aveva già fatto uso in remoto tempo, fors'anche considerava come cosa propria il Monte della Pietà, allogato nelle sue stanze. quantunque fosse tal monte autonomo e retto da altri governatori.

Esiste, nel teatro anatomico della Santa Casa, una lapide che ringiovanirebbe di dieci anni il Banco d'Ave Gratia Piena, testifìcando che li praefecti.... a perivi iusseret li 22 Marzo 1597. D'Addosio (1) che l'ha primo pubblicata, non aggiunge ceminienti.

(1) D'Addosio. Origini ecc.pag. 248.


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SCIPIO DE SUMMA MARCHIO CIRCELLI

IOANNES PETRUS LATIXUS U. I. D.

HORATIUS PALOMBA FABRITIUS DE ARMINIO

ET PASCHALIS CAPUTUS ANNO MDLXXXXVII

HUIUS SACRAE DOMUS PRAEFECTI LOCUM

HUNC MENSE PUBLICE SIC ORNATUM

SUB DIE XXII MARTII APERIRI IUSSERUNT QUI

PRO TANTO MUNERE PERPETUO VIVANT.

Sull'autenticità del marmo non cadono dubbi poiché i nomi son proprio quelli dei maestri del 1596-1597 e perché non si capisce qual vantaggio potesse venire da una mistificazione. Unico modo di spiegarla, senza stimare bugiardi li cinque maestri, o senza negar fede ai manoscritti ed agli strumenti notarili, meritevoli d'eguale, se non maggiore credito è fermarsi allo parole SIC ORNATUM interpetrando che, rifatte Le stanze e l'officine del Banco, Scipione di Somma e gli altri, avessero fatto ripigliare il servizio del pubblico nel giorno 22 Marzo 1597.

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7. Prima ancora che venisse da Madrid la revocazione del privilegio a' quattro banchieri, si era trovato un modo d'eluderlo. Nel 1582 Gian Bernardino Corcione od Ascanio Composta accesi di zelo (com'essi dicevano), per l'ospedale degl'incurabili, fecero domandare al Viceré, dai Maestri Governatori di quell'opera pia, un permesso di tener banco. I patti erano: Si chiamerebbe degl'incurabili; non farebbe incetta di moneta, né di merci, ma solo compre e vendite di fondi pubblici (partite di arrendamenti), accettazioni di depositi e movimento di danaro a cambio reale; libera sarebbe la direzione del banco da ogni sindacato dei governatori dello spedale. Questo però, senza contribuire in modo alcuno alla spesa, senza correre rischio di sorta per le possibili perdite, avrebbe riscosso la terza parte degli utili netti, cioè una rendita annuale che si sperava non inferiore a Duc. 1500. Più si prometteva all'ospedale la facoltà di toglievo a mutuo, senza pagavo interessi, Duc. 6000 nel primo semestre, altri Duc. 4000 pel tempo successivo.

Non fu lo zelo che ispirò Corcione e Composta, sibbene quel privilegio per vent'anni che gli altri avevano pochi mesi prima ottenuto.

(1) Origini ecc. pag. 195.

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Privilegio implicante chiusura d'un banco libero ch'essi tenevano da parecchio tempo, del. quale esistono nell'archivio di stato i conti degli anni 1573 a 1 5i)(. A 27 settembre 1582, il Viceré Zunica concedette il permesso, dichiarando che non intendeva derogare alle capitolazioni stipulato con altri individui; col fatto poro derogava. La malleveria di ducati 150 mila fu data a 16 novembre 1582, per atto di Notar Giambattista Crispo, e due giorni dopo si pubblicò il bando d'apertura del Banco Incurabili, per ordino del nuovo Viceré, D. Pietro Giron, Duca di Ossuna.

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S. Sul Unire del secolo XVI, lo perdite derivanti dalle alterazioni di monete, gli assurdi provvedimenti governativi in materia d'annona o di cambio, qualche atto di mala fede, resero molto comuni i fallimenti dei banchieri, e troppo deplorevoli pei creditori le conseguenze dei loro vuoti di cassa. I rappresentanti del Comune di Napoli, nel parlamento tenuto l'anno 1587, chiesero al Viceré Ossuna che mettesse in esecuzione la prammatica di Carlo del 1536, quella che dichiarava fu or giudicati i banchieri latitanti; che anzi la facesse più rigorosa, estendendo la forgiudica anche ai loro cassieri ed. impiegati; obbligando le ditte a presentare ogni anno l'inventario dei debiti e crediti, con pena di morte per la falsità; raddoppiando la malleveria; dando qualche esempio di tratti di corda e galera ai mallevadori che, per evitare il pagamento, si facessero scrivere negli inventarli e libri come creditori. A tutte queste domande il Viceré consentiva, richiamando in osservanza le prammatiche dei suoi predecessori; ordinando perciò che ogni due anni si facesse la presentazione del bilancio o inventario; gravando della pena di falso così i banchieri che in esso mentissero, come i mallevadori che facessero registrare crediti simulati; obbligando i mallevadori stessi a provare in modo non dubbio che veramente possedessero le somme assegnate per garenzia della clientela del rispettivo banco.

Pure tali provvedimenti non furono bastevoli; e per frodi di banchieri, per dilazioni concedute ai mallevadori, per indugi dì tribunali a giudicare, molte altro famiglie perdettero i crediti.

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Onde la Città, nei parlamenti del 1501 e 1000, ripetè le istanze perché non si concedesse ai mallevadori tempo, ma nel termine di due anni del fallimento fossero tenuti di depositare in altro banco il denaro promesso, e perché, almeno una volta la settimana, le linaio, dei tribunali si riunissero, nelle ore pomeridiane, per risolvere gl'inestricabili litigi dei fallimenti.

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9. Nel 1598. uno speculatore Genovese, certo Saluzzo. domandò, di proprio vantaggio, la riproduzione del privilegio promesso da Zunica diciotto anni prima. Supponendo che tutti i guai derivassero dai soli banchieri, e che si potessero impedire i fallimenti con la costituzione dell'agenzia unica, propose d'istituire una Depositaria Generale: e seppe convincere il Viceré, Errico de Gusman Conte d'Olivares. che non ci sarebbero più inconvenienti, se a lui, Saluzzo, fosse data facoltà di mettere una cassa pubblica, la quale, per l'intiero regno, fosse la sola legale custoditrioe di tutto il denaro soggetto a vincoli ed a condizioni.

I cittadini si opposero. Sarebbe utilissima cosa conoscere i ragionamenti espressi pro e contro del proposto monopolio, perché non si trattava, come l'altra volta, dun solo luogo pio propugnatore del mantenimento delle proprie regole, sibbene d'unità e pluralità degl'istituti di credito. Cent'anni prima che fosse aperto il banco di Londra ed inventati i biglietti al latore, centotrent'anni prima che la coesistenza di due banchi di emissione ad Edimburgo (1) avesse fatti sperimentare dagli Scozzesi, ed ammirare dai pensatori, gli effetti della concorrenza, a Napoli si disputava sui vantaggi ed inconvenienti della libertà e del privilegio di materia di credito; sul problema cioè che adesso tanto importa ai popoli ed ai governi veder risoluto, che ha ispirato maggior numero di scrittori e dato luogo a più acerbe dispute. Disgraziatamente, scarseggiano i documenti, ed i nostri storici si sbrigano con poche parole del tentativo di costituire un monopolio bancario nel 1598, dicendo che il popolo resistette perché stimava cosa pericolosa affidare tanta moneta a straniere persone, e specialmente perché temeva che i privilegi del nuovo banco fossero rovinosi per i monti di pietà, potessero condurre alla distruzione degl'Incurabili, della Annunziata, e d'altri ospedali, conservatorii, ed opere pie.

(1) Banco di Scozia fondato nel 1695 e Banco Reale di Scozia fondato nel 1727.

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Giusto timore. Prima del 1672 (1) il Monte della Pietà aveva cominciato ad accettare depositi, ed imitava i banchieri, tanto per la qualità e forma delle fedi di credito, cioè delle carte che metteva in circolazione, quanto pel modo di tenere i conti. Da parte loro i banchieri, che nella seconda metà del secolo XVI furono in maggioranza Genovesi, avevano adattato alle convenienze del loro traffico molte regole e sistemi del Banco San Giorgio, istituto celeberrimo per antichità, ricchezza, potere, che per vari secoli fu il fondamento della libertà Ligure.

San Giorgio di Genova, era nel medesimo tempo un banco di negozio, un monte di rendite, un appalto di contribuzioni ed una signoria politica. Strano, ma ingegnoso edilizio che colla buona fede solamente si conservava, colla cattiva sarebbe caduto, ed avrebbe senza dubbio con sé fatto rovinare Io Stato.

Come banco di negozio, per via di prestiti, di pegni di merci, c particolarmente di mutui cambiari, entrava in quasi tutte le speculazioni mercantili dei genovesi. Queste non erano piccole né poche. poiché nel medio evo Genova divise con Venezia l'impero del Mediterraneo ed il commercio marittimo era quasi monopolio delle due repubbliche.

Come monte di rendita, sali a tanta reputazione che poteva tirare a se tutta la moneta del paese, quando l'avesse voluto. Gli amministratori del Banco, ch'erano sempre dei più reputati e probi cittadini, trovavano ad accattare al due per cento, di raro al tre. Tali debiti. chiamati luoghi di monte, si cedevano e trasferivano con la stessa facilità degli odierni fondi pubblici, trovandosi sempre capitalisti che preferivano la sicurezza di quel modesto frutto, che per l'epoca si può chiamare derisorio, alla rendita più cospicua ma meno certa di qualsiasi diverso collocamento.

Come appalto di contribuzioni. Le rendite pubbliche della città di Genova erano tutte consegnate al banco, che le riscuoteva e poi dal loro provento pagava le spese dello Stato.

(1) I volumi più antichi di bancali pagate (filze)di giornali e registri d'introito, inventariati in archivio, tengono l'epigrafe 1573, ma il sig. Pietro Aiello vi trovò la condizionatadel 1 ottobre 1572 che trascriveremo a pag., ed è probabile che, frugando bene, se ne troveranno altre di epoca precedente. Dalla lettura delle girate e dei contratti, che si fecero mediante quelle polizze è fedi di credito del 1572 e 1573, viene il convincimento che si tratta di cosa vecchia e di consuetudine radicata, non di recente invenzione.

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Più fruttava il Banco, secondo la bontà dei negozi, meno si pagava di contribuzioni, cioè in ugual proporzione diminuivano i dazi, i dritti e lo gabelle. Questa cosa era governata con molta prudenza ed ammirevole sincerità. Quanto alle province, ciascuna bastava a sé per entrata e per ispesa: nulla mandavano e nulla ricevevano dalla capitale.

Infine, come signoria politica, l'ufficio di San Giorgio era padrone e signore dell'isola di Corsica, e le mandava ogni anno un governatore. un podestà ed altri ufficiali per reggere il paese ed amministrarvi la giustizia. Possedeva anche, e governava nel medesimo modo, in riviera di Levante, la città di Sarzana. Castelnuovo ed altre terre; in quella di Ponente. Ventimiglia con altre terre, ville e castelli vicini. Tutti questi luoghi erano bene amministrati, ed abbondanti di ogni cosa necessaria al vivere umano (1).

La raccolta delle conclusioni, cioè deliberazioni dei Protettori del Monte e Banco della Pietà comincia dall'anno 1574, per essersi perduti gli anteriori volumi. Questa sciagurata mancanza c'impedisce di riferire chi pensò di supplire col credito alla insufficienza dei doni volontarii ed alla piccolezza del patrimonio; quali concetti spinsero a fondare una cassa di deposito e di circolazione, come base del monte pegni e provveditriee dell'occorrente moneta. Idea feconda, la quale permise a quell'Istituto di dar grande sviluppo all'opera dei pegni gratuiti e piacque moltissimo alle persone che dovevano tenere in serbo, per determinato uso, qualche somma. Tali persone, fra le quali si contavano pure le vittime dei fallimenti, avevano grande ragione di preferire ai trafficanti di Genova e di Catalogna, un'associazione patria, fondata per scopo di beneficenza, condotta da molti individui reputatissimi e provveduta di sufficiente capitale. I principali istituti filantropici di Napoli avevano imitato il Monte di Pietà, fondandosi dall'Annunziata il banco di Ave Gratia Piena nel 1587, dagl'Incurabili il banco di Santa Maria del Popolo nel 1589, dallo Spirito Santo, da Sant'Eligio, da. San Giacomo i rispettivi banchi nel 1591, 1596, 1597. Lo zelo e la rettitudine degli amministratori ispirava tanta fiducia che tutti credevano più sicura la moneta in quelle pubbliche casse che nelle proprie mani.

(1) Botta. Storia d'Italia - Lib. 1 anno 1504.

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Oltre del comodo di tenere fedeli e gratuiti custodi dei capitali, la pubblica fede e la sicurezza dei pagamenti erano garantite dalla carta di banco pel modo come circolava e pel carattere liberatorio che gli usi o le leggi davano alle girate. Ciascuno poteva scrivere sulla polizza la natura del pagamento, le clausole, il contratto, il nome del notaio stipulatore, e tutto quello che voleva fosse ricordato o patteggiato per la consegna del denaro. Queste girate si copiavano parola per parola, con particolare avvertenza alle clausole e riserve, sui libri degl'istituti chiamati invitali. Gli estratti di tali libri, cioè le copie delle girate. che si chiamano partite di banco, bastavano per far decidere con tutta sicurezza dai magistrati nelle controversie per pagamenti e sulla validità dei contratti. Un tal metodo non solamente impediva le false dichiarazioni, ma sopprimeva pure gl'inconvenienti che sogliono derivare dalla perdita delle ricevute o dalle contestazioni sulla verità delle firme.

Avevano adunque scelto male il momento Olivares e Saluzzo; perché i luoghi pii si giovavano dei banchi e ne speravano grande aiuto, l'opinione pubblica li favoriva. Importava moltissimo di conservarne il credito, svilupparne gli affari, avendo i ricchi affidato a quelle casse buona parte del proprio contante, ed i poveri avendo bisogno di ricorrere assai spesso al Monte, per mutui sopra pegno. Non deve quindi recar meraviglia se l'opposizione ai progetti del Viceré si manifestò anche con tumulti. Olivares, che reputava i clamori dei Deputati della Città ispirati da invidia, ne fece imprigionare tre. il Principe di Caserta, Alfonso di Gennaro ed Ottavio Sant'elice. I Seggi di Capuana, Porto e Montagna, dei quali con siffatto arresto si sconoscevano i privilegi, spedirono a Madrid il Conte di Sarno, Orazio Tuttavilla. perché facesse nota al Re la prepotenza che subivano. Si seppe che l'ambasceria era stata proposta da Placido di Sangro, duca di Vietri. scrivano di ratione, ed Olivares fece mettere in carcere anche costui; ma Tuttavilla seppe tanto bene esporre le ragioni della nobiltà, e giovarsi di potenti nemici a corte del Viceré di Napoli, che questi fu richiamato e sostituito dal Conte di Lemos.

Usciti da tale pericolo, i banchi pubblici vinsero completamente la concorrenza dei banchieri privati, che verso il 1601 finirono d'avvalorare Fedi. Spinola, Ravaschiero e Grimaldi, case reputatissime di Genova, che tennero banco a Napoli quasi per un secolo, cioè dal 1516 al 1604, cedettero i loro affari al Monte della Pietà, con formale istrumento di Notar Francesco di Paola (1).

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10. La fondazione di questi banchi pubblici, il modo come furono condotti per moltissimi anni, sono belle pagine della storia Napoletana, ed i nepoti a buon dritto ne traggono ragione d'essere orgogliosi degli avi. Non erano banchi di deposito, come quelli che in epoca poco posteriore sursero nell'Olanda, perché non assumevano obbligo di restituire le medesime monete che loro si consegnavano. Non erano nemmeno banchi di circolazione, nel senso che si dà ora a questa qualifica, perché non emettevano carte al latore, e specialmente perché il capitale non era diviso in azioni, né gli utili si distribuivano fra' socii in proporzione delle somme versate. Infatti, dei banchi di Napoli, due nacquero per iniziativa di benefattori, che generosamente donarono un capitale, e costituirono nuovi enti morali, il Monte di pietà ed il Monte dei poveri. Scopo il mutuo contro pegno, senza interessi. Altri cinque banchi, cioè l'Ave Gratia Piena. Santa Maria del Popolo, lo Spirito Santo, Sant'Eligio e San Giacomo, furon messi da istituti di beneficenza che già esistevano, i quali garentirono i creditori con proprii redditi e beni patrimoniali. Scopi, la conservazione del denaro, le guarentigie di validità di pagamenti per la loro clientela, ed il lucro possibile col maneggio dei fondi pubblici (compre e rendite d'arrendamenti). Quale lucro volevano spendere per gl'infermi accolti nei propri spedali, per gli orfani. per gli esposti; come pure per costituire, mediante accumulazioni di rendita, un capitale patrimoniale sempre più cospicuo. Uno solamente, che fu il Banco del Salvatore, surse, parecchi anni dopo, senza concetto filantropico.

Parecchi scrittori moderni pretendono a torto che gli antichi monti di pietà di Napoli fossero banchi di deposito, ma l'oggetto medesimo pel quale furono creati, combattere cioè gli usurai, con prestiti a buona ragione, gratuiti per le piccole somme, già dimostra che della sola qualità di depositarli i nostri monti e banchi non si potessero contentare. Il denaro consegnato loro serviva per mutui fruttiferi o gratuiti, con o senza pegno, come appare dai libri dei conti, che di parte esistono, e dalle regole. Per esempio quella del Monte della Pietà, dell'anno 1685, dice nel paragrafo ventesimo degli obblighi del cassiero dei pegni.

(1) Conclusione 22 Gennaio 1604-Banco Pietà- Li albarani fatti da Notar Francesco di Paula con la consulta del Signor Scipione Brandolino , sopra la convenzione fatta da Spinola, Ravaschiero e Lomellino, per la dismissione del loro banco, si firmino e conservino dal Segretario.

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"Occorrendo al detto cassiere per ordine del Signor Mensario, pigliare denari dal cassiero dei denari dei depositi, quando gli mancheranno denari per prestare sopra pegni; allora, fatto che sarà primo il bollettino dall'ufficiale che tiene il libro maggiore del Monte, nel quale bollettino si darà debito della somma che riceverà al conto suo dei pegni; dopo sottoscritto il eletto bollettino dal sig. Protettore mensa rio e da esso cassiere, riceverà il denaro, e di esso si servirà solo a prestare sopra pegno per servizio del detto Sacro Monte, conto mie alle presenti istruzioni e non altrimenti".

Fin dal secolo XVI il giureconsulto de Ponte scriveva (1).

"Sed ii banci habent pecuniam non ut eandem in specie reddant, sed eandem in quantitate, et propterea obsignata non consignantur, confunditur cimi alia, transferitur dominium et habet bancherius seu nummularius illius usum." Un altro giureconsulto del secolo XVII (2), aggiunge che i banchi servivano per dare le pruove giuridiche dei pagamenti fatti; imperocché il debitore ordinava all'istituto di pagare, facendo uso di un mandato, apoca bancale, che si reputava vera accettazione del creditore e sua quietanza definitiva (3).

La pratica dei tribunali, che poi divenne legge, dichiarava che, per le contrattazioni risultanti da carte bancali "è proibito al debitore opponere eccezione veruna, non potendo essere inteso se non che o costituito in carcere o fatto il deposito della quantità nelle polizze contenuta".

Più tardi scriveva il Galanti "si mette in dubbio da alcuno dei nostri banchi possano valersi del denaro che vi portano i particolari. Come casse pubbliche, essi hanno l'obbligo di un'esatta e vigilante custodia, ma il denaro che vi si porta non forma un vero deposito, da togliere il diritto di esserne, senza pregiudizio del depositante. arbitro e moderatore. Uno dei caratteri essenziali del deposito si è che il dominio della cosa depositata resti sempre presso il padrone della cosa medesima. Quindi se essa perisce per un mero caso fortuito, e senza colpa del depositario, perisce a danno del Padrone.

(1) Consult. 56 vol. I.

(2) Francesco Rapolla, de iure regni, lib. 5, cap. 6.

(3) . . . debitoies . . . , antea pecuniae debitae faciebaut depositum in imo ex publicis bancis, et postea per chirografam, mandabant nummulariis, ut eam pecuniam solverent suo nomine creditoribus; et quia mandatum in scriptura redactum dici coepit apoca bancalis, quod ex eo satisfactum esset creditor, per solutionem factam in publico banco; et illum mandatum habebatur tamquam confessio, sive receptio pecuniae jam solutae.

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"Il padrone ha dritto di ripetere la cosa di natura, né il depositario può farlo contentare dell'equivalente; e se il depositario si serve della cosa per uso proprio commette una specie di furto, giusta la legislazione Romana ed i principii di dritto.

"

Ma il danaro che si deposita presso i nostri banchi perisce sempre, anche per un puro caso fortuito, a danno del Banco ed il depositante conserva sempre il suo credito. Il Banco, quando non si tratti di un deposito regolare o come dicono in saecolo obsignato (1) il che non cade sotto il presente argomento, non può essere costretto a restituire la stessa specie di moneta che abbia ricevuto, ma basta che restituisca l'equivalente. Finalmente, il più delle volte, il Banco, sotto gli occhi medesimi del depositante, converte il danaro che gli è stato portato in altri pagamenti. Come non vedere in tutti questi fatti una vera ed effettiva traslazione di dominio, la quale è affatto incompatibile con la natura del deposito? Non bisogna confondere il dominio della cosa ed il diritto che rimane al padrone di poterne in qualunque tempo domandare l'equivalente. Quindi, nel caso nostro, il Banco non è un depositario che impropriamente, ed il suo vero carattere è quello di debitore. Le frasi stesse con cui sono concepite le Fedi di Credito ci danno questa idea. Esse dicono si è dato credito e non già si è depositato. Se, abusivamente, si è dato il nome di deposito al contratto che passa tra i nostri banchi e coloro che vi portano danaro, ciò non può mutare la natura del le coso, e molto meno portarci a conseguenze repugnanti a tutt'i principii.

"A questo si aggiunga che l'opera grandissima dei banchi è tutta gratuita, in servizio dei negozianti e delle case dei particolari in ogni loro bisogno, e che per tale opera ogni banco soffre la spesa di 35,000 ducati all'anno. Ora è indubitato, che sebbene il deposito sia un contratto gratuito, tuttavia il depositario ha dritto di ripetere le spese occorse per la custodia della cosa. Quindi basterebbe, il dispendio che soffrono i Banchi, in servizio del pubblico, per giustificare quel profitto che ricevono dal prestito del danaro, a rischio proprio e col tacito concorso dei padroni."

Scopi precipui dei banchi furono dunque, fin dai primi anni. 1.° Cambiare la moneta metallica con cedole, dette fedi di credito, che manifestavano di quale somma l'istituto si riconosceva debitore. 2. Facilitare la circolazione, mediante questo cedole o scritte, che servivano ai pagamenti e tenevano luogo di contante.

(1) Vale a dire quando si metteva in deposito qualche oggetto, ovvero plico suggellato, ovvero sacchi di monete, compilandosi processo verbale e quietanza del banco.

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3.° Conservare prove giuridiche della data, delle circostanze e dei patti di qualsiasi pagamento fatto per loro mezzo. 4.° Adoperare poi il capitale che si otteneva contro emissione di fedi di credito, sul quale il banco o monte aveva acquistato dritto di uso, con dichiararsene debitore a cassa aperta, nei mutui sopra pegni o nelle operazioni bancarie possibili a quel tempo.

Anche dai primi tempi fecero prestiti (accomodazioni), con interessi o senza, com'è provato dai libri di conti e da questa conclusione del Banco Pietà.

1585; a di 9 di febbraio, sabato.

«Perché l'opra di questo Sacro Monte, sin dal principio della sua istituzione, non consiste in altro che solo in prestar graziosamente sopra pegno, per la somma che al presente si ritrova ampliata sino a ducati dieci sopra un pegno. E por aver denaro pronto al detto prestito grazioso (1), vi si introdusse la cassa di depositi, dove sono state depositate e si depositano alla giornata quantità notabilissime (2) con le quali si è fatta e si fa, si è mantenuta e mantiene la detta Santa Opera. Affinché continuasse e non cessasse il concorso dei depositi quando occorrerà che li depositanti ordinarli e continui avranno bisogno di essere accomodati d'alcuna somma, è stato anco introdotto, per li signori Protettori che per lo passato l'anno governato (il Banco) e anco si osserva, d'accomodarli per corto breve spazio di tempo.

E si trova stabilito, per l'istruzioni fatti da detti signori Protettori predecessori nell'anno 1577, che le accomodazioni si facciano per lo signor Protettore mensario, a suo rischio e pericolo, e che le partite (1) si notino nel libro delle accomodazioni, firmando di sua mano il signor Protettore Mensario le detta partite nel detto libro. E comechè, nelle dette istruzioni, non si stabilisce né tassa la quantità che ha da accomodare il Protettore Mensario, né si chiariscono alcuni particolari, che sopra ciò bisogna dichiarare, per questo l'infrascritti signori Protettori, confirmando e ampliando le dette istruzioni, hanno concluso pel buon governo del sacro Monte che si osservino l'infrascritti altri capitoli; videlicet.

1.° Che non si possono fare accomodazioni, dalli signori Protettori, a quelli che non sieno veri depositanti del Monte; ma solamente si debbano accomodare, per alcun breve tempo, quelli veri depositanti che ialino continuato il depositare dei loro denari, e di somme convenienti a loro condizione, per le quali inno stati creditori effettivamente lei detto sacro Monte. Le quali accomodazioni si debbono fare, alli imbietti depositanti, da ducati cento cinquanta in giù dal signor Protettore Mensario del negozio di banco solamente e non da alcuno degli altri signori Protettori.

E da ducati cinquanta sino a ducati cento si possa anco accomodare dal signor Protettore Mensario, coll'intervento di un altro signor Protettore. E da ducati cento in su si possa fare tal'accomodazione, nella congregazione, da quattro almeno delli signori Protettori.

(1) Senza interessi.

(2) Di denari.

(3) Ordini di pagamento alla cassa.

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135 -

Però che dette accomodazioni si facciano a ciascuno delli suddetti depositanti per una volta sola in un mese, quelli non si accomoderanno di nuovo finché non avranno soddisfatta la prima accomodazione, vel saltim s'accomodino col pegno ut infra.

E occorrendo accomodarsi con pegno, si possano quelli fare da ciascuno delli Protettori, cioè da ducati cinquanta solamente, qual pegno essendo divisibile, si debba quello anco fare in più partite, prestando ducati dieci sopra ogni parte di esso pegno.

2.° Quando il signor Protettore Mensario non volesse accomodare alcun vero e facoltoso depositante, per non conoscerlo, allora debba accomodarlo da ducati cinquanta in basso, con l'approvazione d'alcuno degli altri Protettori che lo conoscerà; firmandosi la partita di tale accomodazione tanto dal signor Protettore Mensario quanto dall'altro signor Protettore che l'approverà; restando obbligato al Sacro Monte, del rischio e pericolo, il detto signor Protettore che l'accomoderà o approverà.

3.° Che non si possano anco accomodare cherici, né persone o luoghi regolari, né religiosi o religiose, i quali non si possano obbligare né astringere nel li tribunali secolari e re«n.

4.° E similmente non possano di nuovo accomodarsi, di somma alcuna, quelli che sono limasti debitori per resto dell'anno passato, senza l'ordine espresso della congregazione.

5.° E che non s'accomodi dal mensario, né da altro delli signori Protettori, quelli che altra volta sono stati accomodati, e poi non se n'è potuto avere il retratto delle quantità accomodateli, se non con citazione e spese fatiche o difficoltà senza dotto ordine di congregazione ut sopra.

6.° Che li uffiziali di banco e pegni, procuratori ed esattori di questo Sacro Monte, non si possano accomodare di quantità alcuna dal Mensario, se non in congregazione, con ordine in iscritto tornato da quattro delli signori Protettori. Ma che se li possano pagare solamente le quantità debite per loro provvisioni; con ordine in iscritto, armato dal signor Protettore Mensario e non da altri, ritenendosi però tutto quello che essi devono a questo Sacro Monte, conforme alle conclusioni sopra ciò fatte.

7.° Che li ufficiali della pandetta, libro maggiore, e cassiere di onesto Sacro Monte, debbano ricevere le polizze fatte alli debitori del Monte da qualsivoglia persone, notandole in credito di detti debitori, e non facendole pagare per cassa, affinché il Sacro Monte si soddisfaccia di quello che deve conseguire. E similmente, quando vi è pegno in guardaroba consegnato dal debitore per la somma accordatoli, siano tenuti detti uffiziali della pandetta e libri maggiori dame subito notizia al signor Protettore Mensario, il quale debba riconoscere se è passato il tempo dato al debitore accomodato. E ritrovando lui che non è ancora passato il tempo, non farà ritenere li danari che sono girati; ma troverà ch'è passato detto tempo, farà allora ritenere al debitore accomodato tutta quella somma che esso dovrà a questo Sacro Monte, dalli denari che fossero girati al suddetto debitore in qualsivoglia modo.

8.° Che non si possa dare dilazione, né superseder l'esazione dalli debitori di questo Sacro Monte, di qualsivoglia somma, per ordine di alcuno delli signori Protettori, senz'ordine espresso della congregazione dei detti signori Protettori.

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9.° Che sulle polizze, le quali avrà da far buone lo signor Protettore Mensario, debba l'uffiziale Libro Maggiore scriver prima di sua mano come resta il conto del depositante, per quello che sarà debitore o creditore.

10.° E parimente che il pandettario e l'ufficiale che tiene peso del libro maggiore, debbano notare per extensum, e non per abbreviature quelle parole solite fannosi per essi nelle polizze, bollettini e depositi, conforme alle istruzioni attinenti al loro ufficio. Ma debbono dire e notare per extenso notata o è buona o notisi in libro condizionata con la giornata corrente, siccome il negozio richiede, conforme a dette istruzioni.

Affinché si possa conoscere se detto notamento è di mano loro o d'altre persone. E facendosi altrimenti, li cassieri non debbono pagare e li giornalisti di banco e di cassa non debbono registrare nei giornali le dette polizze, bollettini e fedi di deposito, ma darne; subito notizia al signor Protettore Mensario, e poi, nella prima congregazione, a tutti li signori Protettori in congregazione.

11.° E finalmente, li detti giornalisti, debbano registrare le polizze e bollettini di pagamento, che si fanno per questo Sacro Monte, con tutte le condizioni che sono in quelli, e principalmente le condizioni delli depositi, le quali si debbano registrare ad verbum, eziandio quando si restituiscano li depositi de voluntate partium.

12.° E che li detti pannettario, ufficiale del libro maggiore, cassieri e giornalisti, non osservando li presenti capitoli e istruzioni, e quanto in quelli si contiene, oltre che siano obbligati a tutti i danni, spese e interessi che per ciò patisse in futuro questo Sacro Monte, incorrano anco, ipso tunc, nella privazione de' loro uffici.

Giov. Vinc. Pignone - Pietro Gambacorta - Agostino Caputi - Giov. Domenico Caprile.

In seguito divennero maggiori le somme da prestare, e si tolse il patto di consegnare pegno. Conserva l'archivio molti libri di accomodazioni, fra' quali uno del Monte della Pietà, data 27 aprile 1612 a 29 dicembre 1617, con questo titolo: Libro degli accomodi, che si faranno per li signori Protettori del Sacro Monte della Pietà di Napoli, unitamente in congregazione, ai negozianti e persone benemerite del Monte; acciò si conservi la confluenza dei negozii utili al banco di esso Sacro Monte; li quali accomodi si noteranno per mano propria di me Giulio Vallesio, Segretario, de ordine di essi Signori Protettori; e nel principio di questo libro se vederà cucita la lettera regia originale, per la quale se proibisce ogni accomodo che non sia conchiuso da tutti essi signori Protettori o dalla maggior parte; e poi si continueranno gli accomodi alle giornate che per detti signori Protettori si conchiuderanno.

La lettera del Viceré Conte di Lemos dice:

Philippus Pei gratia Rex.

Magnifici viri Regis fideles dilecti. Per vostra parte ci è stato presentato il seguente memoriale.

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Illust. et Eccellent. Sig. Li Protettori del Monte della Pietà dicono a V. E. come nel mese di febbraro passato, et a novembre 1611, fu per tutti essi Protettori, de pari voti et nemine dissentiente, in congregazione concluso, che li negozii della casa e del banco, e particolarmente gli accomodi che fossero occorsi di farsi per comodità di negozianti e mantenimento di detto banco, si fossero fatti in congregazione, per voto di tutti, o della maggior parte di essi Protettori, e non da un solo, come alcune volte è stato abbusato, con molto pregiudizio di quella Casa. Che, oltre l'essere cosi di ragione, è tuttavia conforme alli stabilimenti et ordini regi, altre volte sopra ciò fatti. Supplicano perciò sia servita comandare che cosi si debba osservare, che oltre sia giusto, lo riceveranno a grazia da V. E. ut Deus.

Et inteso per noi il tenore del presente memoriale, ci 6 parso fai ci la presente, per la quale ve dicemo et ordiniamo, che de, qua avanti, in conto nessuno debbiate fare, né far fare impronto nessuno di danari, né altro, a nessuna persona, de qualsivoglia stato, grado e condizione se sia, se prima non sarà trattato in congregazione; e conchiudendosi per voi, o per la maggior parte, di fare l'impronto predetto, lo possiate fare conforme sarà conchiuso e non altramente. Ordinando, per la presente, agli ufficiali e ministri del Banco predetto, che cosi lo debbiano eseguire e osservare; altrimenti, contravvenendosi per essi oalcuno di ossi, col pagare o accomodare alcuna quantità di danari o altro, contro la forma del presente nostro ordine, volemo e ordiniamo che essi sieno tenuti de proprio pagare al banco tutta quella quantità di denari o altro che per essi sarà pagata, contro la forma dell'ordine prescritto, oltre la pena riservata al nostro arbitrio. E non si facci il contrario per quanto si ha cara la grazia di Sua Maestà. - La presente resti in vostro potere. Datura Neap. che 27 mensis aprilis 1612.

El Conde de Lemos. Vidit Con stantiu.s Regens - Vidit Tapia Iie gens - Vidit de Castellet Regens - Vidit Montalvo Regens - In par. 23 fol. 144. - De Ligorio.

Alli Protettori del Monte della Pietà, presenti e successori futuri, che de quà avanti non improntino né accomodino danaro o altro a nessuna persona, se prima non sarà trattato e conchiuso per essi, o per la maggior parte in congregazione. E conchiuso farsi detto impronto lo possono fare. Con ordine a gli ufficiali e ministri di detto monte che così l'osservino, altramente siano tenuti de proprio, oltre la pena riserbata ad arbitrio di Sua Eccellenza ut supra.

La grande differenza fra il sistema degli antichi Monti di Napoli e gli altri che prima e dopo furono usati dalle banche di emissione, sta in ciò, che la scritta di credito non si dava fuori se non dopo fatta la consegna del danaro all'istituto; mentre i biglietti di banca al latore si emettono prima che sia giunta alla cassa la valuta metallica da loro rappresentata.

Le fedi di credito si consegnavano contro deposito di somme non inferiori a ducati dieci; per i piccoli pagamenti si adoperava un altro titolo, eletto polizzino.


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Meraviglioso progresso, che al solito non sappiamo a chi si debba, fu l'uso delle madrefedi e delle polizze notate. Il sistema dei Conti Correnti e degli chéques, che tanti scrittori credono introdotto dalle Banche di Scozia, era comune a Napoli più di cento anni prima che queste fossero nate. Infatti la Madrefede, usatissima fra noi fin dal secolo XVI. è un perfetto Conto Corrente, che comincia da una fede di credito. Specificata con questa fede il nome del creditore. che può essere tanto un individuo come unsi ditta, od associazione, o corpo morale, od azienda qualsiasi; determinata la natura e lo scopo del conto: espressi li patti e tutte le condizioni o circostanze che al creditore piaccia di mentovare; trascritti, quando occorre. i documenti: il Banco di Napoli apre un conto corrente, senza interessi, dove il credito del cliente consiste in siffatta fede e nell'altre somme, di contanti o di carte bancali che dopo si aggiungono: il debito poi risulta dalle polizze notate, le quali sono veri cheques, ovvero mandati: cioè ordini di pagare, trasferendo porzione o tutto il credito a determinate persone.

Le contabilità dell'istituto consentono d'aprire allo stesso ente o individuo quanto madrefedi voglia, senza paura di confusioni scritturali, perché il metodo apodissario distingue benissime le partite.

I banchieri di Napoli adoperarono la madrefede, da essi chiamata libretto, nei secoli XV o XVI. Surto il Monte della Pietà, e divenuto cassa di circolazione, l'ingegnoso modo di tenere i conti si svolse meglio: usandosi per liquidare i debiti ed i crediti dei banchieri col monte mercé semplici scritte e senza moneta. Ecco due articoli delle istruzioni 19 agosto 1578.

«Le polizze che alla giornata si girano, per mezzo del Sacro Monte, da qualsivoglia persona a qualsivoglia pubblico banco, si debbono presentare all'officiale della pandetta; ed in quelle, notatovi che son buone di mano dell'ufficiale libro maggiore, il detto ufficiale della pandetta noterà le partite di sua mano, nelli libretti delli detti banchi in lor credito, e nelle polizze scriverà anco l'ordine che si notino e la sua firma. Quando le partite che si girano sono condizionate, e non sono adempite le condizioni in quelle apposte e notate nel mandato di esso Sacro Monte, non debba accettarle, né notarle in detti libretti; non ostante che si girassero con le medesime condizioni, che avessero da adempirsi nel detto Banco al quale si girano; ma le dette condizioni le facci adempire in esso Sacro Monte, altrimenti non accetti né noti le polizze.

«Ogni volta che saranno presentate polizze di partite, che si girano a questo Sacro Monte per mezzo di altri banchi, fatti prima saranno li bollettini, per mano dell'officiale che tiene il manuale di banco, le manderà con li libretti a farle notare in credito di esso Monte; li quali libretti debba subito recuperare e poi conservarli sotto chiave, e vedere se sono notate le partite delle polizze che son mandate ad accettarsi. E non facci nelli detti libretti notarvi alcuna partita per mano di qualunque altro officiale.

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«Sia tenuto e debba andare a puntare ogni mese, e tante volte quanto li sarà ordinato dal signor Protettore che farà il mese, con gli altri banchi con li quali si terrà conto; acciò sempre si possa sapere la resta vera del credito o debito delli detti banchi.

Negli elenchi d'impiegati della Pietà. del secolo XVI, si trova il porta-libretti cioè la persona specialmente addetta ai conti correnti per cheques dei banchieri, che faceva sbrigare le registrazioni e le liquidazioni dipendenti dal loro negoziato coll'istituto.

Tanto sulle fedi di credito del Banco, quanto sulle polizze notate e polizzini. era espressa la somma da pagare e la data. Potevansi anche scrivere le cause del pagamento ed i patti e condizioni con cui si faceva; queste annotazioni si chiamavano girate. Eccone alcune molto antiche.

Magnifici Sig. Protettori et Governatori del Sacro Monte della Pietà di Napoli.

Piaccia alla SS. VV. pagare per me al magnifico Scipione Scoppa, di Napoli ducati ventisei. tari uno et grana sette et mezo correnti, et dite che pago come tutore delli figli et eredi del quondam Cola Giov. Scordamaglia, a compimento di D. 36: per tanti che per decreto del Sacro Regio Consiglio, spedito nella banca del magnifico Longo, sono stato condannato a pagarli, per qualsivoglia cosa ch'egli pretendesse contro detti germani, come pure per detto decreto, al quale si abbia relazione; che li restanti D. 9. 3. 12 1|2 s'hanno da pagare al magg. Franc. Ant. Longo. per lo prezzo di tanti panni e spese fatte per servizio di detti figliuoli, per lo spazio che sono stati sotto la cura di detto magnifico Scipione, et ponete a mio conto-da casa a dì 21 marzo 1573.

Al comando delle SS. VV.

D. 25. 1. 7 1|2

Alessandro Molitorio.

pag. D. 25 - 1 - 7 1|2 g.

a 17 luglio 1573

C. B.

E per me soprascritto Scipione Scoppa ci piacerà pagarli ad Antonio Marzano mio creato, per altri tanti.

Da casa a dì 14 luglio 1513. Scipione Scoppa.

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Sig. Protettori dei Monte delta Piota di Napoli.

17 piaccia pagare, per me, ai sig. Giovanni Ant. e Dom. Fiorillo ducati venti corr., dite sono a compimento di D. cinquanta, quali mi improntò per lo banco Ravaschieri noi mesi, prossimi passati. E ponete al mio conto - da casa il 2 settembre 1573.

Servo vostro

20 - 0 - 0 Scipione Fiorillo

paq. D. venti a 2 di settembre 1573

C. B.

E per me Domenico Fiorillo li pagherete al m.° Paulillo li infrascritti ducati vinti.

Al com.° vostro

Domenico Fiorillo.

Il Banco era tenuto l'assicurarsi della esatta osservanza delle condizioni, e lo faceva con la massima celerità e solerzia, commettendo ad un pubblico notaio al suo servizio, detto Pandettario, di leggere queste girate, e di permettere ai cassieri che il titolo fosse pagato solamente dopo d'essersi accertato, mediante firme per quietanze, ovvero attestati di persone di sua fiducia, ovvero documenti, che non ci fosse difficoltà. In caso di contestazione, rispondeva il Pandettario per i titoli malamenti pagati.

L'obbligo principale di questi notai Pandettari era, ed è sempre, quello di assicurarsi che il creditore abbia accettate tutte le condizioni, patti ed espressioni scritte nella girata dal debitore. Tale accettazione si prova con la firma del creditore stesso. Abbiamo una prammatica del 31 marzo 1603 che dice:

«Ordiniamo e comandiamo a tutti li banchieri e banchi pubblici, sistenti tanto in questa fedelissima città come in qualsivoglia altra del presente regno, che da qua in avanti, in modo alcuno, non debbano, né ciascuno di essi debba ricevere, né pagare, né far pagare nel suo banco polizza alcuna a compimento di maggior somma, se non fosse stata soscritta dal creditore a beneficio di chi va la polizza; e non sapendo quello scrivere, che si abbia da fare di mano di notaio pubblico, con la sua soscrizione; sotto pena ai contravvegnenti di ducati mille per ciascheduna volta, da applicarsi per le due terze parti al Regio Fisco, e per l'altra all'accusatore. E di più, quando si trovasse polizza accettata, senza detta firma, vogliamo e comandiamo che non tenga alcun vigore, ma solo serva per lo pagamento reale ed effettivo, che per detta polizza si facesse. Ordinando, per la presente, a tutti i singoli officiali e tribunali, che cosi lo debbono fare osservare ed eseguire, e procedere all'esecuzione delle pene predette, che tal'è nostra volontà ed intenzione.»

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Questa, prammatica è forse l'unica, fra le tante relative ai banchi, che abbia avuta piena esecuzione, e che ancora si osservi.

Anteriormente qualche banco permetteva, anzi comandava, che i suoi uffiziali sottoscrivessero per le persone illetterate. Leggesi infatti nella regola del Monte della Pietà, 19 agosto 1577, quest'obbligo di chi teneva il repertorio del libro maggiore.

"Li bollettini delle quantità de' danari che si hanno a pagare per cassa ai depositanti, che son creditori nel libro maggiore, non si consegneranno alli detti depositanti se prima non saranno da essi firmati; e non sapendo scrivere li detti depositanti basterà che siano firmati dall'ufficiale che tiene la pandetta come di sopra è detto; non ostante che per lo passato fosse stato altrimenti osservato e ordinato dalli signori Protettori, il che così di nuovo è stato ordinato e confermato per più celere spedizione dei negozi."

È cosa probabile che la trascritta prammatica del 1603 abbia suggerito ai banchi di scegliere i notai per l'ufficio di leggere le girate e di ordinare che si pagassero le polizze. Ci conferma in tale idea il titolo di Pandettario dato a questi notai, titolo che non risponde alle loro funzioni, sibbene a quelle dell'impiegato che al secolo XVI teneva il repertorio (pandetta) dei libri mastri.

Evidente utilità pei creditori e pei debitori, agevolezza somma veniva dalle girate, le quali davano autenticità ai pagamenti meglio che se per atto di pubblico notaio fossero fatti, avevano forza ed autorità di formali scritture, valide in giudizio. La partita di banco cioè la copia che rilascia l'istituto dei patti messi da chi paga, quali si tengono come accettati da chi riscuote pel solo fatto che sottoscrive e che si serve del titolo, fu sempre sufficiente per sciogliere qualsiasi contesa. Non s'è dato mai l'esempio di tribunali che avessero sollevato il menomo dubbio sul valore legale di questa forma di pagamento, riconosciuta come quietanza autentica, e specialmente come stipulazione di tutt'i patti che possa contenere.

Il conto corrente poi (madrefede) non era, come nell'odierne banche, un arido notamento di depositi e mandati, ma era pure la storia e la giustificazione legittima di qualsiasi gestione pecuniaria. Nei mandati sulla cassa (polizze notate fedi) si potevano, come sulle fedi di credito, scrivere avvertenze e stipulazioni di qualsiasi natura, delle quali restava la prova per ogni futuro caso, ed era sempre segnato il giorno ed il nome della persona in favore della quale si spiccavano.

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Anche l'introito cioè l'avere del cliente poteva risultare da carte bancali, che contenessero tutti li chiarimenti e notizie di cui gli piacesse di tener memoria, poiché l'istituto computava, come computa, in suo favore. tanto i versamenti di moneta contante quanto quelli di valuta apodissaria. Conservando la madre fede, ciascuno sapeva (qual somma dapprima consegni) al banco, di quali altre poi e quanto l'accrebbe, a chi, quando, e perché pagò. Scevro della cura di custodire la moneta, vivea tranquillo. Se egli era un semplice cittadino, il Banco gli faceva ufficio di ragioniere e di notaio e rendevasi archivio di sua domestica amministrazione, come delle sue commerciali operazioni, se fosse mercatante, e della sua azienda, se amministratore di pubblici istituti; e tutti questi servizii si rendeano gratuitamente. Esistono molti libri maggiori, cioè registri di conti correnti del secolo XVI, dai quali è provato che fin d'allora pubbliche amministrazioni, banchieri, monasteri, chiese, confraternite, grandi case della nobiltà e del commercio, mastrodatti, avvocati ed anche modestissimi cittadini tenevano madrefedi al Banco. Più, che le polizze e gli ordini di pagamento si riferiscono spesso ai bisogni domestici della clientela, trovandosi quietanza per la somministrazione della carne, delle derrate, del vino, ovvero mercedi del servo e dell'operaio.

Solamente le somme che dovevansi immediatamente spendere, erano ridomandate al Monte, il quale a vista pagava. Ma la massima parte dei depositi passava dall'uno all'altro creditore, per via di scritturazioni sui registri e volture di crediti, senza che la moneta uscisse dalla cassa.

Ecco un articolo della regola del 1577.

«Quando le polizze e fedi di deposito non hanno a pagarsi per cassa, ma debbono restare in credito di quelli che (ai quali)son girate e liberate, allora similmente, presentate al detto ufficiale che tien la pandetta; notatosi il numero delle carte (la pagina)per l'ufficiale che tien peso del libro maggiore, notatosi che son buone per lo detto ufficiale della pandetta, vi si scriverà l'ordine che si notino, con ponersi la giornata ed anno e sua firma (dell'ufficiale pandetta).Ed altrimenti le dette polizze e fedi non si possano né si debbano notare nel libro maggiore in modo alcuno; eccetto quando vi sarà ordine, nelle dette polizze e partite notate, di mano del signor Protettore che farà il mese che si facciano buone. E quando, nelle dette polizze e partite di liberazioni di depositi, vi son condizioni; allora il detto ufficiale della pandetta, quando farà il soprascritto ordine, debba anche esprimervi che si notino condizionate.»

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Non è da meravigliare che tanto amore o fiducia nei monti e nei banchi avesse il popolo ed onor patrio li stimasse. Ad essi affidava tutt'i suoi denari. Per molti e molti anni la maggior parte dei clienti non usò di chiedere documento alcuno, contentandosi che fossero semplicemente registrati sul libro i suoi crediti; tanto era grande 1 onestà dei governatori e degl'impiegati, come puro la chiarezza e precisione delle scritture. Il Governo stesso, dalla pubblica opinione trascinato, dovette depositare nelle casse dei banchi il danaro dello Stato, che una volta si custodiva nel Castello dell'Ovo, poi in Castelnuovo e quindi al Palazzo Vecchio. E consegnò qualche volta grossi capitali senza che niuna sicurtà dai banchi pretendesse, tutta la sicurtà veniva dalle regole buone e dagli amministratori rispettabili.

Ben contente si dovettero chiamare la Finanza Viceregnale, e poi la Finanza Borbonica, dell'opera dei Banchi, che col sistema delle madre fedi e polizze notate aveva reso impossibili i vuoti di cassa e le frodi a danno del fisco. Però la gestione della cassa governativa fu tutt'altro che giovevole agli otto monti di Pietà, e specialmente a quelli di San Giacomo e dello Spirito Santo, che assorbivano la maggior parte degli affari.

L'ordinamento degli ufficii e le scritture contabili erano modelli di semplicità ed esattezza. Ogni Banco teneva. 1.° La Cassa, dove si facevano le riscossioni e. pagamenti di numerario. 2.° La Ruota dove si registrava l'entrata ed uscita del contante e dei titoli, e si portavano i conti di tutti i creditori per carte in circolazione. 3.° La Revisione che dopo sei mesi faceva un accurato riscontro di tutte le scritture contabili. 4.° L'Archivio che conservava i registri, la corrispondenza e con particolare diligenza le bancali pagate. 5.° La Segreteria, ufficio direttivo dell'amministrazione, dove stavano i Governatori e Delegati. 6.° La Razionalia finalmente, che aveva cura dei beni patrimoniali.

Le forme dei titoli apodissarii eran diverse, secondo che si trattava di mandati, di fedi, di polizze o di polizzini. ed anche per mutamenti che si stimarono indispensabili da qualche banco. Ecco i documenti che l'avv. Aiello prese dall'archivio e pubblicò sulla rivista. Il Filangieri, di novembre 1882.

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MANDATO DI PAGAMENTO

375 17 luglio 73

445 Al mag. Giov. Bern.no Caso D. sei per resta

D. G.

C. B.

D. 6 p."

Occorre qualche spiegazione.

Giovan Berardino Caso aveva precedentemente consegnato delle somme al Banco Pietà, senza prenderne documento e contentandosi della scritturazione sul libro; aveva pure ripigliato porzione del suo denaro ed al giorno 17 luglio 1573 restava creditore di sei ducati. Occorrendogli tale residuo, lo domanda al Libro Maggiore. Questi scrive di suo pugno una specie di bono o d'ordine al cassiere, dove sono mentovati due fogli del proprio registro, la data 17 luglio 1573, la persona del magnifico Giovanni Berardino Caso, la somma di ducati sei in lettere ed in cifra, e finalmente che si tratta di resta, vale a dire che pagando i ducati sei il conto resta chiuso ed esaurito. Firma con le sole iniziali del nome e cognome, Cesare Bonfigli. Il cassiere, da parte sua, paga lo stesso giorno e si contenta d'aggiungere la sigla D. 6. p. (ducati sei pagati) senza domandare quietanza, bastando che gli fosse consegnato il bono, e che lo potesse mettere nel volume dei documenti di esito, per suo discarico.

ALTRO MANDATO DI PAGAMENTO

28 aprile 73 a mastro Lazio Calane D. QUARANTA

379

445 C. B.

17 luglio 73 D. 40 p."

Differisce dal precedente solo perché manca la somma, in cifra del libro maggiore, e perché ci sono due giornate; 28 aprile 1573, data dell'emissione, di pugno del libro maggiore, e 18 luglio 1573. data del pagamento, di pugno del cassiere.

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Queste due diverse date, aggiunte alla mancanza di firma del creditore, fanno argomentare con fondamento che tali boni circolassero in commercio e si trasferissero senza girate. Potevano, a parer nostro, compiere l'ufficio di titoli al portatore, anzi erano veri biglietti di banca, poiché si pagavano di contanti, a vista, al presentatore. Nessuna grave differenza, economica o giuridica, sappiamo scorgere di questa forma rudimentale ed imperfetta dell'assegno al latore col moderno biglietto di banca.

Però il Monte di Pietà dovette in seguito rinunziare a tale carta; troppo pericolosa, perché poggiata unicamente sulla reciproca buona fede dell'istituto e del cliente, senza malleveria di sorta alcuna.

FEDE DI CREDITO CONDIZIONATA

Noi Protettori del Sacro Monte della Pietà di Napoli, facciamo fede tenere in deposito, su questo Sacro Monte della Pietà, dal magnifico Giovanni Antonio Daniele, Ducati trentatré correnti, i quali dice essere per quelli pagarsi ad Andrea e Pietro Giovene in questo modo: cioè Ducati sedici, tari 2, grana 10 nella festività di tutti i Santi dell'anno 1672; i restanti Ducati sedici tari 2 grana 10 nella metà del mese di agosto prossimo a venire dell'anno 1513, sempre che averranno fatte le debite cautele, e quietanza dell'entrata ed uscita d'una casa sita alla Pedamentina di Sant'Erasmo che tiene locata da essi, alla ragione di ducati trentatré l'anno; ne stassimo all'ordine della Gran Corte della Vicaria, e così osservassimo. E, restando detta somma quale deposito, vuole non si liberi se prima non saranno intesi gli Eccellentissimi Magnifici Signori Maestri dell'Annunziata di Napoli, pell'interesse che pretendono sopra detta casa. Citra praejudicium delle liti mosse in detta Gran Corte contro detti fratelli: del che e del tutto ne stessimo all'ordine di detta Gran Corte e così osservassimo.

Di mano di Cesare Bonfigli nostro Razionale e suggellata del solito suggello di detto Sacro Monte.

A dì 1° ottobre 1512.

Cesare Bonfigli Razionale

(bollo ad ostia del Banco).

In dorso sono menzionati li pagamenti fatti a Pietro ed Andrea Giovene, ed all'Ospedale dell'Annunziata. in virtù di mandati e decreti della Gran Corte della Vicaria del 1573.

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Questo è il modo come a Napoli, per centinaia d'anni, si sono fatti i pagamenti condizionati o vincolati. Fin dal secolo XVI, i banchi presero le funzioni di cassa depositi e prestiti e fecero da notai per la costatazione dell'adempimento degli obblighi e per le verifiche dei documenti, restando sempre mallevadori della verità e bontà dei documenti stessi.

FEDE DI CREDITO LIBERA

Noi, Protettori del Sacro Monte della Pietà di Napoli, facciamo fede tener in deposito, su questo Sacro Monte, da Lucrezia de Benone ducati tredici, i quali vole se liberalo a chi essa, su piede della presente, ordenerà, a fede di noi; et così osservassimo a restituzione della presente, sottoscritta di sita mano, e sigillata del solito sigillo del detto Sacro Monte.

In Napoli a dì 22 di settembre 1574

pag. ducati tredici a 8 ott. 14

C. B Cesare Bonfigli.

ALTRA FEDE DI CREDITO LIBERA

Noi Protettori del Banco di Sant Eligio Maggiore di Napoli, facciamo fede tener creditore, in detto banco, il mag. Anello Balsano de Luca; D. quaranta correnti, de' quali potrà disponere a suo piacere a restitutione della presente firmata di sua propria mano e sigillata col solito sigillo di detto banco.

In Napoli il dì 4 di agosto 1502.

Oratio Patovo.

pag. a 4 di agosto 1592 D. quaranta

POLIZZA LIBERA

Signori Governatori del banco di S. Eligio di Napoli, piaccia alle SS. VV. pagare per me al magnifico Giov. Carlo Lupinaccio Duc. quattordici, et sono per altri tanti et mettete in conto. Da casa il dì 8 agosto 1592.

Pagati 10 agosto 1592 D. quattordici

ad ogni honor delle SS. VV.

(firma illegibile)

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Giustamente il prof. Aiello chiama l'attenzione su quest'ultimo titolo, che paragona col moderno assegno bancario per mostrare quanto si rassomiglino nella forma e nella sostanza. Polizza e chéque sono datati: sottoscritti dall'emittente: pagabili a vista ed a cassa aperta; trasferibili mediante girata ed anche con girata in bianco; tratti su chi tiene fondi a disposizione del firmatario. Non vi sono che due caratteri differenziali. Primo, lo chéque può essere al portatore, la polizza 110. Ma questa si riduce ad una diversità di forma, non di sostanza, per la ragione che le gire in bianco, adoperate fin dai primi anni, producevano l'effetto di farne un titolo quasi al portatore. Secondo, per lo chéque è generalmente assegnato un tempo brevissimo alla presentazione e pagamento, 24 o 48 ore; le polizze invece potevano circolare indefinitamente e non mancano esempi di titoli pagati più di cent'anni dopo che s'erano emessi.

Sulla trascritta polizza libera del Banco Sant'Eligio, nessun contrassegno dell'istituto prova che fosse debitore dei ducati quattordici, e li potesse pagare, liberamente, a vista, a Carlo Lupinaccio ovvero ad altra persona da costui designata. Regnava tanta buona fede che non solo si consegnavano denari ai banchi senza prendere documento legale, ma si accettavano come vera moneta effettiva li mandati sulla cassa, senz'indagare se rappresentassero un vero credito del traente.

Derivarono inconvenienti da questa eccessiva facoltà, lasciata a tutti, di spiccare ordinativi di pagamento. Perciò, nel secolo XVII, tutt'i banchi aggiunsero l'introito sui polizzini e la notata fede sulle polizze, cioè un attestazione, autenticata da firme d'impiegati e da bolli, per la quale si riconosce il debito dell'istituto ed il credito del traente o possessore. Ciò fece radicalmente cambiare l'indole giuridica ed economica del polizzino e della polizza, che divennero strumenti di circolazione, simili alle fedi di credito.

Ma la clientela non accettò senza contrasto l'obbligo di presentare gli chéques all'istituto per un avvaloramento che li facesse legalmente circolare. I creditori di conti correnti (madrefedi) tentarono molte volte di far rivivere, per forza di consuetudine, l'antico sistema, comodissimo a loro. Occorsero proteste dei cassieri e quest'ordine formale del Viceré, che fu strettamente osservato per la concordanza sua colla sicurezza dei banchi.

"Carolus Dei Gratia ecc. A noi è stato presentato memoriale del tenor seguente:

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Eccellentissimo Signore. Li sottoscritti cassieri dei banchi di questa fedelissima città supplicando esponeno a V. E. come è stato sempre solito il notare in fede le polizze dei banchi dalli ufficiali di essi. Al presente, contro la forma del solito e senza nessuna sussistenza, se nota in fede da mercanti e particolari; dal che ne può nascere grandissimo danno ad essi supplicanti ed al pubblico, oltre il discredito delli stessi banchi; mentre alle volte se pigliano le polize per riscontro, notate dai mercanti e particolari, e poi non se trova il denaro ai libri maggiori. Che però recorrono a V. E. e la supplicano a proibire' detto notare in fede dai mercanti e particolari, con ordinare alli ufficiali libri maggiori di essi banchi che non ammettano le polizze notate da detti mercanti e particolari, ma solum dall'ufficiali dei banchi, acciò s'eviteno detti danni e discrediti per bene pubblico. Oltre è di giusto lo riceveranno a gratia ut Deus. Aniello d'Apuzzo cassiere del Banco di S. Iacovo supplica ut supra. Francesco Antonio Grasso cassiere del Banco del Monte della Pietà. Costantino Amato cassiere del Banco del Popolo. Giuseppe Francese cassiere del Banco dello Spirito Santo. Orazio Perrone cassiere del Banco di Sant'Eligio. Francesco Castaldo cassiere del Banco del Santissimo Salvatore."

"Ed inteso per noi l'esposto ci è parso di far la presente con la quale ordiniamo a tutti l'officiali dei banchi di questa fedelissima città che da oggi avanti non ammettano né paghino le polizze che li porteranno con la notata in fede fatta dalle medesime persone che firmeranno dette polizze, sotto pena di ducati mille per ciascuna volta che si contravenerà dall'ufficiali predetti: da applicarsi a beneficio del Real Fisco. Ma la nota in fede in dette polizze si debba fare dalli medesimi officiali delli banchi a chi spetta atteso tal'è nostra volontà. Datimi Neap. che 15 sept. 16(58. D. Pietro Antonio d'Aragona. Videt Galeota Regens, e te."

POLIZZINO DEL SECOLO XVIII.

Banco dei Poveri pagate ad Angiolo Sangiacomo D. tre

Fatto introito Napoli 5 dicembre 1760

Docati tre (firma illeggibile)

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ALTRO POLIZZINO

Banco del S: Alante dei Poveri li D. otto esistenti in B. vostro in credito mio li pagherete a D. Gennaro Pizzi.

- 8 - Napoli 26 novembre 1760

26 novembre D. otto Cristofaro de Costanzo

(iniziali) a 19 dicembre pagati D. otto.

Un religioso rispetto avevano li Banchi pel' la propria firma, cosicché, per secoli, non sé dato l'esempio che avessero volontariamente rifiutato di pagare qualche titolo apodissario. Anche quando sapevano che l'avvaloramento s'era fatto con frode o per isbaglio, comandavano gli amministratori di rispettare le ragioni del giratario. c'è in archivio (vol. 227 pag. 193 e seg.) un processetto del 1681 pel notatore in fede Domenico de Martino che, d accordo coi commercianti Giov. Bernardo e Bernardino Vigannaghi, aveva messo in circolazione dieci polizze, per la somma di D. 9,205,4,09 e poi s'era rifugiato in chiesa, dove allora non si poteva arrestare.

Tuttoché patente il dolo, indiscutibile la nullità degli clièques, trattandosi di conto corrente già esaurito, volle il delegato regio che fosse riconosciuto per buono e valido il bollo del banco.

Nell'allegazioni di Rovito, Altimari ed altri giureconsulti napoletani del secolo XVII, leggonsi varie sentenze di Delegati, che sempre concludono "venendo al Banco una polizza notatafede o pur fede di credito, sempre di quella non vi sia vizio alcuno, e roborata del suggello del Banco, questo è in obbligo assoluto di sodisfarne il denaro all'esibitore, o che la firma sia vera o non vera, o che il denaro vi sia nel banco o non vi sia, forse con fraude indi tolto, restando poi l'azione di ripeterlo dal disrubante". Così giudicò il Reggente Gaeta nella causa di Michele Monte (1688) per la quale si trattava di furto del titolo e falsità di firma. I denari eransi dall'istituto dati a Monte, che asseriva di aver perduto la fede di credito; ma quando si presentò Fioravante de Benedictis e disse d'aver avuto il titolo nella fiera di Salerno, e che la fede pubblica non compativa che s'impedisse il pubblico commercio, il Banco li tornò a pagare, facendo valere i dritti derivanti dal contratto di pleggeria contro Monte. Vanamente provò quest'ultimo che avevano fatto una firma falsa, essendo egli illetterato.

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Similmente, nella causa col duca della Castellina (1686) per lai quale si trattava di polizze notate, messe in circolazione contro la volontà del correntista e con sua firma falsa, fu dichiarato valido il dritto del terzo possessore.

Ma poche e di scarsa importanza furono le frodi consumate mediante falsificazioni delle fedi di credito o polizze, sebbene tali titoli si potessero facilmente imitare, perché i bolli erano malamente incisi, la scritturazione e qualche ornato calligrafico si faceva con la penna, da impiegati subalterni, la carta e l'inchiostro non aveano niente di particolare. Di tutte queste moderne precauzioni teneva luogo, con miglior successo, la legge consuetudinaria di mettere la firma alle girate; firma che faceva conoscere per quali mani fosse passata la bancale, ed esponeva per conseguenza a grande pericolo cl' essere scoperti i falsarti. Non prima del 1748 il Banco Spirito Santo (1), del 1752 il Banco S. Giacomo, pensarono di fare un'incisione in rame per le loro fedi di credito, ottenendo maggiore sicurezza ed anche risparmio. Passarono varii anni prima che fossero imitati dagli altri; secondo il Pocco (2) solo nel 1785 avevano tutti adottata questa novità. Le lamine ed i torchi si conservavano dalle rispettive casse e segreterie che tacevano tirare il necessario numero di stampe e tenevano accuratissimo conto del consumo. I fogli coll'incisione, non avvalorati, si chiamavano sondi.

Del denaro affidato loro facevano i banchi discretissimo uso, allogandone una parte sopra pegno di gioie, oro, argento, panni e seterie; dandone altra in prestito, con ipoteca sopra beni stabili o partite d'arrendamento, eh erano i titoli di debito pubblico allora in uso. Raramente ottenevano somme a mutuo l'amministrazione municipale di Napoli, il fisco, gli ospedali, conservatorii ed altri pubblici istituti. Lo sconto delle cambiali ed il pegno di carte valori (anticipazione) eran cose proibite dalla legge ecclesiastica ed anche dalle prammatiche vicereali. Nondimeno le confraternite si destreggiavano per collocare qualche somma con utile del commercio. Oltre della trascritta conclusione del Monte della Pietà (pag. 137)

(1) Ecco una delle più antiche fedi di credito stampate:

Noi Governatori del Banco dello Spirito Santo facciamo fede tener creditore in detto nostro Banco il signor Saverio Guida in D. cento, dei quali potrà disporre ad ogni suo piacere con la restituzione della presente firmata e suggellata. Napoli 2 gennaio 1749-D. 100-Bollo ad ostia- firme - al rovescio - per altri tanti - Saverio Guida.

(2) Ragione dei banchi voi. I. pag. 58.

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troviamo questi articoli nella regola del Monte dei Poveri, della lino 1612.

Art. 1. pag. 93. - Quantunque, per lo salutevole impedimento della scomunica, non possa il Banco prestare cosa alcuna del suo denaro, può nondimeno far ispendere docati duecento, eccettuati espressamente in detta scomunica, li quali perciò abbiano a servire per accomodarne, quando occorresse, alcuno negoziante frequente e fruttuoso del Banco ed anche per servigio dell'oratorio.

"Art. 3 pag. 94. - Ma per potere in qualche altro modo sovvenire a' bisogni di cotesti utili e frequenti negozianti del Banco,averanno facoltà i Governatori, con il consenso della maggior parte di essi, come sta determinato, accomodarli sopra pegno insino alla somma di Duc. 200 e non più oltre".

Il registro degli accomodi, cioè dei prestiti che fece il Monte della Pietà dal 1612 al 1617, più di esso i libri dì casa e libri di terze, cioè i Giornali ed i Mastri della scrittura patrimoniale, che quasi tutti si sono salvati e formano una preziosa collezione, di varie centinaia di volumi, testé messa in ordine, danno curiose notizie sulle pratiche amministrative o bancarie di quel tempo. Ci sono strappi alla legge ecclesiastica di non riscuotere interesse, come per esempio questo:

"Avendo da far deposito il signor Ludovico Bucea di D. 3277 1|2 e mancandoli Duc. 777 1|2, se li prestino per tutto il settembre prossimo che segue, e corrisponda a quella ragione che esso ne paga pei1 lo debito che vuole estinguere".

Anteriormente avevano consultato i migliori teologi, registrando, nel volume delle conclusioni, questa del 26 marzo 1604. "Avendo il Segretario proposto difficoltà di poter pigliare interesse delle accomodazioni e mutui che si fanno a tempi determinati, s'è consultato con li padri di San Paolo e del Gesù, e risoluto che con formare nel libro di casa un conto di quelle partite di denari che si pigliano ad interesse dai particolari, con intenzione di potere accomodare quelli negoziati di banco, o altri ad arbitrio dei signori Protettori, che per quella istessa summa d'interesse che si paga delle dette partite, si può liberamente pigliare dalle persone accomodate. Et però si ordina al razionale che nel libro di casa fornii detto conto per la somma di venticinque o trentamila ducati che si piglino a questo effetto." I Gesuiti dunque ed i Teatini (padri di San Paolo) approvarono il sistema di prendere a mutuo con interesse per lo scopo di prestar poi ad altre persone od all'istesso saggio.

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Ma provano i libri contabili che siffatt'eguaglianza fra l'interesse attivo e l'interesse passivo non fosse mai serbata e che il Monte procurasse di lasciare il margine a suo beneficio di due a tre per cento. Le spese d'amministrazione e qualche perdita per inadempienza di debitore eran fatti bastevoli per quietare qualsiasi scrupolosa coscienza, anche quella dei segretari che spesso erano ecclesiastici.

Alla regola di non avvalorare né mettere in circolazione fedi e polizze, prima d'aver ricevuta la corrispondente somma in moneta d'oro o d'argento, fecero molte eccezioni nel secolo XVI e XVII, quando cioè i monti applicavano gli usi dei banchieri di Genova, pei quali era lecito di servirsi della circolazione fiduciaria. Infatti la maggior parte degli antichi accomodi rassomiglia per la forma a questi Duc.

"4 Maggio 1612. - Le polizze del sig. Cardinale Acqua vivasi facciano buone fino alla somma di ducati trecento."

"4 Giugno 1612. - Si scriva in libro di banco la fede di credito, fatta a 25 di maggio 1610 al signor Giovan Tommaso Mastrillo, per lui girata ad Ottavio di Pagone, non obstante che non vi sia il denaro; tanto più che il suddetto Ottavio ha fattapolizza al suddetto signor Mastrillo di Duc. 100; il quale restadebitore di Duc. 100 solamente."

Anche li conti correnti per madrefedi si accreditavano qualche volta con ordine del Protettore, senza deposito del contante. Esempio questa deliberazione dei 4 maggio 1612.

"Il signor Pier Francesco Ravaschiero, nel suo conto corrente, possa spendere tino alla somma di ducati seimila".

Ma in seguito proibirono severamente gl'introiti vacui, che parevano falsità. Dal 1620 al 1794 non si trova nessun ordine d'avvalora mento fittizio. Si prestava nei mentovati modi, il patrimonio dell'istituto, i depositi giudiziarii ed i danari rappresentati da fedi o da madrefedi vincolate per patti che facevano prevedere una lunga giacenza della moneta nelle casse dell'Istituto; come pure le somme relative a bancali che da dieci anni o più non si fossero alla cassa riportate.

Scorso un decennio, la bancale si reputava dimenticata, e chiamandola partita oblita, ovvero denaro demortuo, il contabile la cancellava dalla categoria dei debiti a vista.


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Però anche dopo dieci, o venti o cento anni. la pagavano prontamente al presentatore.

Cosi solamente mettevano in circolazione i banchi molto danaro, che senza l'opera loro sarebbe rimasto inutile. Ma si servivano della moneta che materialmente tenevano in cassa e che la clientela loro aveva consegnata, o che rappresentava patrimonio e lucri accumulati degli anni precedenti; senza procurare d'accrescerla per via di credito, e senza perseverare nel sistema del primo secolo, d'usare qualche volta carta a vuoto per mutui fruttiferi od infruttiferi, per pegni, od anche per spese amministrative dell'istituto.

Troppo spesso i Viceré domandarono prestiti ed anticipazioni; ma le confraterie resistevano, scrivendo suppliche umilissime per la forma, energiche per la sostanza. Eccone una dei 1678.

«Eccellentissimo Signore. Avendo V. E. comandato, con biglietto per segreteria di guerra, che questo Banco dei Poveri soccorresse li bisogni della Regia Corte in ducati 6000; pelli quali V. E. offerisce una partita dell'arrendamento del tabacco, a f. SO per 100 (1), quale si tenesse a potere di questo banco, con passarsi il ius luendi a suo benefìcio. Per obbedire V. E. come dovemo, ci è parso rappresentarle lo stato dei Banco e li pesi che tiene, tutto per informazione di V. E. per mover la sua pietà verso questo Banco, del quale è protettore del mantenimento d'esso.»

«Si degnerà V. E. sentire come il Banco tenga peso di sovvenire li poveri di questa città, con impegni senza interesse alcuno, e sovvenire li poveri carcerati per impegno nel l'istesso Banco. Le maggiori entrate che tiene sono sopra fiscali (2) in varie province, e se li devono molte migliaia di queste attrassate, senza speranza di poterne esigere cosa alcuna. Anzi nemmeno può avere il corrente per causa che V. E. si è degnata ordinare, per suoi giusti fini (!) che non si mandino Commissari contro le Università (2); e li procuratori che questo Banco tiene nelle province avvisano di non poter esiger cosa alcuna. Non lasciando di rappresentare che nel 1674, d'ordine di V. E., si diedero alla Regia Corte ducati 30,000, dei quali n'ebbe l'assegnamento dalla R. Corte sopra li sali d'Abruzzo; e nel 1(176 diede, d'ordine di V. E., altri chic. 5000, e n'ebbe rassegnamento sopra il tabacco. Più, nel medesimo anno 1676, per ordine di V. E. soccorse la Regia Corte di altri Duc. 7000; e nell'occasione dello mancamento dei grani nella città, prestò ducati 22000 a detta città, per ordine dell'Ill. Viceré predecessore. Di maniera che oggi mancano 29000 ducati, che sin adesso non ha potuto conseguirli. Questo Banco, per elette quantità, sta pagando interessi con suo notabil danno, per la ragione che non tiene danari da convertirli in compre, ma resta debitore di dette quantità per averle pigliate ad interesse. Il denaro, che alla giornata viene nel Banco, è dei particolari che l'introitano, del quale non può farne compra alcuna.

(1) Cioè con un quinto di beneficio pel creditore.

(2) Proventi d' imposte.

(1) Comuni debitori d' imposte delle quali il Viceré aveva venduto il provento.

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Rappresentando anco a V. E. che per la partita dei duc. 7000, prestati alla Real Corte, si obbligò a beneficio di questo Banco Carlo Arie, ma, avendo quello richiesto per la soddisfazione, non è stato possibile d'averla dopo tante domande, con tutto che avesse offerto di soddisfare tale partita sopra il tabacco, però poi non ha complito; anzi volendo questo Banco liquidare l'istrumento pei duc. 7000, V. E. con suo viglietto, ha ordinato alla Vicaria che sopraseda dalla liquidazione.

«Con tutto ciò rappresentano _ a V. E. che volendo la partita debita a questo Banco dalla Città, per detta somma di duc. 22,000, potrà V. E. esigersela con la sua potentissima mano, e noi ci contenteremo impiegarla sopra il tabacco a cento per cento; o pure , per non avere questo Banco denari da convertire in compra, stante anco la suddetta mancanza dei duc. 29,000, quando V. E. facesse grazia di far soddisfare i ducati 7000, con assegnamento nel tabacco, come fu servita dar l'intenzione, ed anche vi fu consulta nella Regia Camera per detto assegnamento, in tal caso si renderebbe abile questo Banco a pigliar ad interesse i ducati seimila che adesso si domandano,per impiegarli con detto tabacco;conforme V. E. ha comandato si facesse; per conservar l'opinione del Banco, ed anco per continuar le suddette opere pie per l'instituto di esso. Rimettendoci sempre alli comandamenti di V. E. alla quale facciamo umilissima reverenza.«Dal Monte dei Poveri li 6 maggio 1678.

«Li Governatori del Banco e Monte dei Poveri - Scipione de Marco Priore - Griov. Battista de Bonis -Antonio Barra - Giuseppe Salerno-Gennaro de Batteriis - Gennaro Anastasio- Frane, de Fusco Segretario».

Nel seguente secolo diventarono molto più importanti le richieste di mutui che facevansi dal Fisco, ed i Banchi, non potendo ubbidire sempre, perché mancava il capitale disponibile, studiavano di procacciarlo dal pubblico. Essi facevano in certo modo l'ufficio degli attuali agenti di cambio e sensali, pel commercio dei fondi pubblici: comperando e vendendo l'annue entrate. Un Governatore anonimo del Banco Spirito Santo, con opuscolo stampato al 1 febbraio 1748, perché si diminuissero gl' interessi sui pegni, ci fa conoscere che:

"Egli è inoltre a sapere che essendo uopo al Principe, per sue giuste occorrenze, di danaio, fa capo talvolta non meno agii altri che a questo banco, acciocché di quelle somme lo provveggano che gli fan di mestieri; per le quali lor fa vendita d'annue entrate, con la debita cautela, e con certi e sicuri assegnamenti per più facile esazione. Non avendo i banchi denari, per accomodarne nei suoi bisogni la Corte, non prendono già (se non ne' casi estremi ed a breve tempo) quei che serbano in deposito, e li quali sono inviolabili. d'onde han solo licenza d'impiegar certa somma sopra i pegni e non già di farne altro uso.

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Ma gli procurano altronde e ne fan vendite di annue entrate. Cosicché per la stessa somma di danaio (quando di proprio non ne abbiano affatto) tanti capitali vendono ad altrui, quanti dalla Corte essi ne comprano.,.

Mal volentieri trattavano simili faccende i banchi, per la ragione che non potevano fidar troppo sulla parola di S. M. ovvero di S. E. La memoria delle perdite non si cancellava col tempo, usandosi un metodo di scrittura che faceva restare sempre accesi sul libro mastro i conti dei crediti non esigibili; però tali conti non gonfiavano il patrimonio, perché c'era annotazione che non si dovessero computare come attività. Tutt'i libri maggiori di terzo dei secoli XVII e XVIII cominciano dal conto debitori antichi e di difficile esazione; che giunge a parecchie centinaia di migliaia e contiene un elenco particolareggiato, che si può dire la storia dei disappunti dell'Istituto. Il Banco della Pietà, nel registro del 1741, figura per D. 458899,98 1|3, quasi tutti debiti della Regia Corte (finanza) della Fedelissima Città (municipio di Napoli) e delle Università (comuni del Regno); poiché sono di pochi ducati o centinaia di ducati ognuna, le perdite per deficienze di cassa, per falsità, per dispersioni od irregolari valutazioni di pegni ecc. Oltre di tal conto ce ne sono moltissimi altri, pure riguardanti debiti fiscali, pei quali si prova che giungono a parecchi milioni le somme tolte al Banco della Pietà, con ordini mascherati più o meno infelicemente dalla forma di mutui e di pegni governativi.

Gli altri sette Istituti, particolarmente San Giacomo e Spirito Santo ch'erano casse regie ed avevano costituzioni meno libere, furono relativamente peggio trattati; ma l'appropriazioni fiscali non divennero tanto notevoli, per l'unica ragione che le circolazioni e patrimoni erano minori.

Le vessazioni fiscali non permisero ai nostri monti di sviluppare meglio le operazioni bancarie, di prendere un indirizzo più vantaggioso pel commercio, d'imitare insomma gl'Istituti di Venezia o di Genova. Molto meno tolleravano che i monti di pietà valutassero a Napoli le monete del regno o forestiere pel valore intrinseco; come si faceva a quell'epoca dai banchi d'Olanda, i quali contribuivano efficacemente alla ricchezza commerciale del proprio paese, mediante la stabilità di prezzo che davano all'oro ed argento coniato, merce intermediaria per gli scambii.

Dimostra Melchiorre Gioia, che i banchi di deposito furon rimedio, per la Svezia, all'incomodo peso della moneta di rame, e nel l'Olanda per alcune conseguenze del commercio con paesi forastieri.

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Tale commercio, facendo affluire monete estere d'ogni specie, avrebbe senza dubbio fatto sopportare sei principali danni:

1.° La loro varietà nel peso e nel titolo.

2.° Il valere variabile attribuito ad esse dall'uso.

3.° La deficienza in molte monete vecchie perché scadenti, tosate, corrose.

4.° La difficoltà d'esprimere il loro valore in moneta nazionale.

5.° La conseguente renitenza di molti a riceverle e le contese per abbassarne od innalzarne il valore.

6.° Il corso del cambio, che necessariamente restava alterato, ed innalzatasi a, danno dei piccoli stati ogni volta che dovevano pagare 'cambiali: giacché l'incertezza del traente, sulla qualità della moneta con cui sarebbe soddisfatta, accresceva prezzo alla scritta di cambio del paese forastiero.

Semplice ed ingegnoso fu l'espediente. Consistette nell'inventare una valuta immaginaria, la moneta di banco, che unicamente serviva pei conti, per le scritte bancali, e per ridurre ad unico tipo tutte le monete, buone o scadenti, nazionali o forastiere. A Venezia, Genova, Amsterdam, Amburgo, Norimberga ecc. ogni individuo poteva depositare denaro al banco, sia che consistesse in moneta nazionale, del titolo e peso prescritto dalla legge; sia che fossero verghe d'oro o d'argento ovvero monete forastiere di buona qualità: sia pure che si trattasse di roba scadente, cioè di moneta nazionale o forestiera, tosata, corrosa, alterata e falsificata per aggiunzioni di lega. Il Banco lo riconosceva creditore dell'effettivo valore della cosa depositata, consegnandogli scritta pel deposito di tanti fiorini o zecchini, di banco, cioè di tante libbre ed once d'oro ed argento puro, quante le monete o le verghe ne contenevano.

Essendo queste scritte calcolate sulla quantità di metallo prezioso, non sul prezzo nominale, dovevano necessariamente godere d'un aggio quando si barattavano con moneta corrente, soggetta a tutte le conseguenze della mala fede governativa. L'aggio della moneta di Amburgo, per esempio, che dicesi essere stato in media 14 per cento, e quello delle monete di Amsterdam, che si calcolava in media di nove per cento, rappresentava la differenza che si supponeva esserci tra il metallo genuino e le monete che uscivano dalla zecca del paese.

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Maggiori differenze di aggio perdeva la moneta vecchia, tosata, scadente per aggiunzione di lega, che in quelle piazze mercantili giungeva dall'estero. Però siffatte differenze non davano più luogo ad inconvenienti quando fu messo l'Istituto. Anzi da magistrati di Amsterdam essendosi ordinato che tutte le carte commerciali, di valore superiore a 100 fiorini, fossero pagate non scritte di banco, si ebbero:

1.° La facilità di eseguire i pagamenti nel minimo tempo.

2.° La sicurezza dai ladri e da qualsivoglia accidente, giacché la città di Amsterdam se ne rendea mallevadrice.

3.° L'esenzione da qualunque diretta o indiretta confisca, assicurata con la legge ai valori depositati.

Lungi dal permettere questo, i Viceré fecero quando poterono per distruggere il traffico ed impedire le relazioni con l'estero; ma loro malgrado, gli otto banchi prendevano la moneta forestiera, e la controcambiavano con carta apodissaria o con valuta del Regno, procacciando così al commercio napoletano qualche porzione dei mentovati vantaggi. Per antica consuetudine, i cassieri tenevano un tacito permesso di ricevere dai negozianti monete forastiere o fuori corso e di pagarle con poco meno dell'intrinseca valuta. L'atto si chiamava e si considerava come un deposito, cosicché con la restituzione, che i negozianti a loro bell'agio facevano del contante o delle bancali ricevute, dovevano i cassieri restituire l'identiche monete fuori corso. Trattandosi di cosa non autorizzata dalle regole degl'istituti, nessuna cautela si stipulala, e bastava scrivere il nome del proprietario sulle buste o sacchi. Nelle contate di cassa, tollerando questa facilitazione, consideravano tali depositi come moneta effettiva, computando a scarico del cassiere la somma prestata.

Fra gli ostacoli al commercio, ricorderemo la legge 24 settembre 1622 del Cardinale Zapatta, che metteva l'imposta di grana venti sui cambii mercantili con l'estero, di grana dieci su quelli con l'interno del regno, più mezzo per cento sui contratti di assicurazione terrestre e marittima; e lo ricorderemo non tanto per l'esorbitanza della tassa, quanto perché la difficoltà di esigerla fece adottare spedienti rovinosi. Fu venduto il provento ad un appaltatore, ed i notai, sensali e commercianti dovevano rivelare a costui tutti gli affari di cambio o di assicurazione. sotto pena di multa ed anche di galera.

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Ciò rendeva onerosissimo il patto ed i commercianti napoletani o si dovevano astenere da questi leciti atti o li dovevano fare in altri paesi; e quindi grandissimo profitto, per camini o per sicurtà, guadagnavano i forastieri a nostro danno. Mentre le più piccole città dell'Italia superiore avevano la loro borsa dei cambii, il commercio di Napoli doveva ricorrere ai mediatori Genovesi, Veneziani, Livornesi, e le senserie che pagava si stimavano non meno di annui ducati 80,000.

Continuavano anche all'epoca di Carlo III e Ferdinando IV, Borboni, le assurde prammatiche dei Viceré in materia di cambio ed assicurazione, dalle quali risultava che a Napoli non se ne facessero. Solo nel 1778 fu istituita la Borsa dei cambii o di commercio, (!) e non prima del 1785 si formarono dirette relazioni commerciali con Amsterdam, Parigi, Amburgo e poche altre piazze. Ma non si provvide per l'interno del regno e fino a pochi anni fa, prima cioè che si aprissero le succursali della Banca Nazionale e del Banco, era più facile trovare lettere di cambio sull'America o sul Giappone, che sulle vicinissime città di Avellino, Caserta etc:

Gli antichi banchi di Napoli tenevano l'amministrazione di parecchi capitali, dati loro a titolo di fìdecommesso, per distribuirne la rendita in maritaggi, scarcerazioni ed altre opere di filantropia, ovvero per metterli a moltiplico con determinato scopo. Chiamavano tali gestioni le confidenze e ne portavano scrittura separata, con libri diversi da quelli dell'Istituto. Una delle più cospicue era detta di Carrillo, dal nome d'un Protettore del Monte della Pietà, il Reggente Stefano Carrillo y Salcedo, che sul finire del secolo XVII gli lasciò per testamento la massima parte dei suoi beni, cioè più di centomila ducati, perché ne spendesse la rendita netta in liberazioni di schiavi, pensioni ad orfane, messe ed altro. Le pensioni, d'un carlino al giorno o più, dovevano essere trentadue e concedersi solo ad orfane spagnuole. Nel bilancio 1801, il valore capitale di questa eredità si computa di D. 89346,12; per la ragione che consisteva quasi tutta in arrendamenti e nel secolo XVIII la finanza napoletana aveva fatte parecchie conversioni delle diverse qualità di fondi pubblici, scemando sempre non solo la ragione dell'interesse ma eziandio il prezzo nominale.

(1) Sede della Borsa fu il chiostro del Convento di San Tommaso d'Aquino. Nel 1799, essendosi impadronite le truppe francesi e poi la guardia nazionale repubblicana di quel posto, passò nella sala dell'abolito sedile di Porto, che tenne per una trentina d'anni.

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Lo stesso bilancio 1801 riferisce che D. 29737,08, con la rendita di D. 1187.02. servivano all'opera lei cartelloni, cioè alle trentadue pensioni per l'orfane spagnuole; D. 49881,05, con la rendita di D. 1 721,88, alle liberazioni di schiavi; il rimanente alle spese amministrative ed altri oneri. Dopo i disordini della rivoluzione e quando si soppressero i fidecommessi, tutt'i residuali beni della confidenza Carrillo passarono, per decreto del 1 ottobre 1808. dal Monte della Pietà alla Casa ed Ospedale di S. Giacomo degli spagnuoli.

Giuseppe d'Alesio lasciò D. 7553,33 al Monte della Pietà perché ne spendesse la rendita in tanti maritaggi da D. 50 l'uno; ciò che facevano i Governatori, lasciandone memoria nel libro, con deliberazioni di questo tenore.

"Conclusione 20 agosto 1739. I Governatori... han fatto la bussola di due maritaggi di D. 50 l'uno, della confidenza del quondam Giuseppe d'Alesio. e sono usciti a sorte ad Anna Flauto e Margarita di Martino, alle quali, dopo essere state visitate dal sig. Don Giovanili Pignone del Carretto. e retrovate capaci dell'Alharano; per avere i requisiti richiesti dal testatore, il Magnifico Razionale glieli spedisca nella forma solita; e non avendo le predette o ciascheduna di esse i requisiti predetti, han sostituito ad una di esse o ad amendue Caterina de Grado e Barbara Conte, parimenti liscile a sorte di detta bussola...

Isabella Colonna, Principessa di Sulmona, lasciò D. 26(5(5,66, ordinando di largire gl'interessi metà alle carcerate e metà alle inferme degl'incurabili. Beatrice Carafa D. 3000 pei scarcerazioni o per maritaggi, a scelta dei Governatori. Prudenzia Greco D. 900 per maritaggi. Michele Blanch D. 1000, da dividere la rendita in quattordici parti, due al monte, tre per gli schiavi, tre ai carcerati e sei per un maritaggio. Giovan Battista Villano lasciò un legato al Monte della Pietà, con tante incombenze d'elemosine ed altro che i Governatori s'accorsero d'aver pagato D. 3261,87 più del ricevuto ed intavolarono un processo ai coeredi. Questa non fu la sola volta che la gestione delle confidenze risultò passiva, trovandosi nei libri molte prelevazioni dal conto patrimoniale. Ma ciò poco importava ai Protettori, che intendevano di fare le promesse carità, e si servivano liberamente del denaro disponibile, pareggiando il conto come e quando avrebbero poi potuto.

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Tutte le chiese e cappelle dei sette banchi possedevano una moltitudine di lasciti per messe e sacre funzioni; tanto che qualche volta mancavano i preti e nella corrispondenza del secolo XVIII ci sono parecchie domande all'Arcivescovo, perché ci rimediasse, quietando la coscienza dei Governatori.

I banchi non solo consentivano a spendere la rendita nel modo prescritto dai testatori, ma pigliavano talvolta l'obbligo di aggiungerla al capitale, e di costituire fondi più o meno cospicui. Giuseppe de Luca lasciò D. 4000 per tenerli a moltiplico e pagare doti di mille ducati alle donzelle di sua famiglia. Le pergamene del 1577 e 1580 danno molti ragguagli sul legato di Padovana di Somma, che aveva dato un capitale al monte per accrescerlo con le rendite e pagar dote alle figlie di Scipione di Somma. Il Monte Invitti, gestione del Banco Spirito Santo, apparteneva alla casa dei Principi di Conca e serviva per mantenere il lustro di quella famiglia; grossa somma fu tenuta a moltiplico per trent'anni, giusta la volontà del testatore, ottenendosi così una rendita dalla quale si prelevavano doti di dodicimila ducati per tutte le fanciulle, ed eziandio buone pensioni mensili pei gentiluomini di cognome Invitti.

Stimolati dalla filantropia, i governatori di banchi usavano tutte le forme di speculazione note al loro tempo, e ne inventavano altre ingegnosissime, per accrescere il patrimonio dei poveri. Il contratto di vitalizio e quello d'assicurazione e costituzione di rendite, che a torto si credono cose moderne, furono da essi largamente praticati nel secolo XVI, trovandosi nei libri di conti molte annotazioni sul genere di questa:

"Havere ducati mille dugento cinquanta donati per lui (Filippo Ortiz d'Avalos) a questo Sacro Monte dopo sua morte, la quale poi seguita restano in beneficio d'esso Sacro Monte, il quale perciò ha promesso di pagare a detto signor Felippo annui ducati centocinquanta, durante sua vita tantum, a ragione di dodici per cento, mediante instrumento rogato per lo magnifico notar Gio. Ambrosio de Lega a 4 d'agosto 1582". (1)

Una forma rudimentale di cassa di risparmio fu pure inventata da loro, trovandosi molti testamenti ed infinite scritturazioni dalle quali è provato come non solo raggranellavano depositi piccoli e grossi, che tenevano sempre a disposizione dei creditori, ma sottoscrivevano il patto di raccogliere in tempo prefisso determinato capitale.

(1) Libro di casa del Banco della Pietà dell'anno 1581 pag. 92.

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Registra per esempio l'inventario: "Fede inter caetera del testamento rogato a 2 dicembre 1573 per notar Donato Antonio Guariglia di Napoli, e per la di lui morte (cioè di Giovanni Antonio Bonaventura) aperto ai 19 di detto mese, col quale ordina depositarsi dalla sua eredità in ogni anno ducati cinquanta nel Monte della Pietà, per improntarsi ai poveri, com'è consueto farsi da detto monte; da osservarsi così fino a tanto che sarà fatto il pieno di ducati mille, quali li lascia a due figlie femine, a ducati cinquecento l'una."

Le compre vendite di fondi pubblici provano che, nel secolo XVI, il Banco della Pietà godesse maggior credito della Finanza, trovando denari a ragione più discreta, e che di ciò abilmente si servisse per accrescere la propria rendita. Mancano nell'archivio i suoi primi libri di casa, ma quello del 1584, che s'è salvato, registra un infinità di compre d'arrendamenti, all'interesse di otto, otto e mezzo, nove per cento, e di cessioni o vendite poi fatte all'interesse sei per cento. La differenza costituiva lucro dell'istituto e prezzo della sua malleveria, poiché nel contratto si trova quasi sempre pattuita l'evizione, ed era inteso che la rendita si dovesse pagare dal Monte quando la Finanza avesse trascurato di farlo. Notisi che quasi tutte le compre furono più o meno forzose, ma le vendite sempre volontarie.

Più diretto vantaggio al credito pubblico facevano i contratti d'anticipazione e quelli di conversione. L'archivio contiene moltissime pergamene ed infinite registrazioni contabili dei secoli XVI e XVII dalle quali si rileva che all'anticipazione davano quasi sempre forma di vendita temporanea, dicendo per esempio. "Vendita fatta da.... di annui D per capitale di D ed assegnati detti annui D sopra l'arrendamento del... colla facoltà al detto signor... di restituire il capitale in più tanne, non meno però di D... per volta,,.

La restituzione comunemente si stipulava doversi fare in dieci rate. Tal'è l'origine del sistema di decimazione, che per consuetudine s'è allargato alle cambiali, e reca tanto fastidio ai moderni Preposti; che per evidenti ragioni lo vogliono sopprimere, mentre dal pubblico, e particolarmente dalle case di dubbia solidità, si definisce dritto acquisito.

Le conversioni antiche, fondate sul dritto di ricompra alla pari, sono registrate con annotazioni di questo tenore. Istrumento del 9 dicembre 1580. per notar Consalvo Calciato, per la cessione fatta dalla Regia Corte,

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a beneficio del Sacro Monte della Pietà, del ius di ricomprare annui D. 732, sopra l'arrendamento dei censali, da.... (solfe (licersi individui) per lo prezzo di Duc. 9150 (coè all'otto per cento): con patto di ridursi o bassarsi i suddetti annui Duc. 732 al 7 1|2 per cento, importantino annui Duc. (580,25,con rilasciarsi li restanti annui Duc. 45,75 a beneficio della Re già Corte".

Moltiplicato questo operazioni nel secolo XVII, giunsero i sette banchi al miracoloso effetto di bassare l'interesse a quattro per cento in media, e per vari prestiti a due per cento. Proconsoli spagnuoli, cioè amministratoli tristamente famosi per dappocaggine e ladreria, trovarono capitali a miglior patto di Colbert, di Walpole, di De Witt e d'altri ministri che, per ingegno o per integrità, erano a quell'epoca la gloria delle loro nazioni.

Non si creda dunque che il capitale dei monti fosse costituito per via di doni e di testamenti. Questi ne rappresentavano una parte molto minuscola. Esistono i conti per provare che la ricchezza venne dal savio uso del denaro raccolto con forza di credito. Che anzi è degno di nota il fatto che quasi tutte le donazioni concernono capitali impiegati col detto monte, vale a dire che i benefattori rinunziarono, per sé ovvero pei gli eredi, al rimborso delle somme ch'essi avevano già messe nel banco, e che gli avevano qualche volta dato in deposito, ma più spesso prestato per cavarne l'interesse.

*

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11. Fra le calamità dell'epoca viceregnale quella che recava più diretto pregiudizio ai banchi era l'alterazione delle monete, cioè i mutamenti di peso, di tipo e di qualità, con cui la finanza spagnuola pretendeva di procacciarsi grosse somme. Si è creduto, per molti secoli, ed in tutta l'Europa, che le zecche fossero inesauribili fonti di lucro, che il monopolio del conio rappresentasse un imposta più comoda e più elastica dell'altre; tanto elastica da poter dare proventi analoghi a quelli che adesso si cavano dal credito, per emissioni di rendita consolidata, cedole, buoni, valute di carta e simili straordinarii spedienti. Napoli aveva un fisco troppo rapace, un governo troppo scioperato per sfuggire agli effetti delle falsificazioni regie.

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Dimostra assai bene il professore Ferrara (D. "Se mai non fossero esistite al mondo che quelle buone monete di metallo nobile, che abbiamo menzionato qui sopra (2), e mai non se ne fossero fatte che di un solo metallo, il problema (o) sarebbe stato assai malagevole a sciorsi: perché non si sarebbe avuto che il solo mezzo di attenuarne il peso, difetto esposto ad essere subitamente scoperto, e causa, appena scoperto, di vedersi rifiutare nel mercato del mondo la moneta alterata, e non vederla accettata che pel suo peso effettivo. Tutto dunque lo studio dei Principi si rivolse al fine di mascherare questa operazione medesima; inventarono nomi, formole tecniche, tariffe, equivalenze di monete diverse etc. Scoperti e vituperati in un senso, si appigliarono all'altro; chiamarono in loro aiuto i cavilli forensi e le dottrine dei giureconsulti; diedero alla semplice operazione del conio tutto il mistero d'un'occulta scienza."

Quando s altera qualche moneta per vantaggio del Principe, deve necessariamente trovarsi un numero più o meno grande d'individui dal quale sia pagato questo vantaggio. Sarà una classe di sudditi, ove si agisca in un modo, saranno altre nel caso si operi diversamente; possono in rarissimi casi rimanere defraudati li forastieri; ma sempre il lucro di chi comanda corrisponde alla perdita di chi obbedisce. L'operazione non è profittevole se non a patto che venga, di buona o mala voglia, presa la moneta contraffatta per lo stesso valore reale di cambio che teneva quella buona.

Il primo e più semplice modo sarebbe quello di scemare il peso, pur conservando nome, conio ed epigrafi. L'usarono i Viceré coi carlini d'argento, che, ai tempi di Ferdinando il Cattolico, pesavano acini 81 1{2 (4) ed essi, in meno d'un secolo, con varie successive diminuzioni, ridussero ad acini 50 (5). Ma senza cavarne quel profitto che speravano, perché la dabbenaggine dei napoletani non giungeva al punto di contentarsi del solo nome ed aspetto del carlino; essi scandagliavano con la bilancia il peso d'ogni prodotto della zecca, e computavano un aggio tra la vecchia e la nuova moneta, più o meno proporzionato alle quantità cl' argento che rispettivamente contenevano..

1.

Introduzione ai volumi della Biblioteca dell'Economista sulla moneta e suoi surrogati.

2.

I bisanti di Costantinopoli, i fiorini di Firenze, i ducati di Venezia.

3.

Di fare grossi guadagni con la coniazione.

4.

Grammi 3,3335.

5.

Grammi 2,4336.

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Invano le prammatiche e. bandi dicevano, o lasciavano intendere, o costringevano i sudditi ad ammettere che fossero simili; l'alzamento dei prezzi era una visibile ed immediata conseguenza dello scemato peso, dovendo succedere, come succedette, che le merci le quali permutavansi prima con tre carlini (acini 244 1[2 d'argento) si vendevano dopo 4 12 circa, affinché il venditore, con carlini di acini 5(, ottenesse la medesima quantità d'argento.

L'alterazione di titolo, per sostituzione di rame o di zinco all'oro ed argento, ch'è lecito di chiamare falsità, non si scopriva tanto presto, occorrendo l'analisi chimica, cosa che pochi erano in grado d'eseguire. Questo perciò fu l'espediente usato da quasi tutte le zecche, compreso le nostre, che conservava il peso e l'aspetto della moneta, sebbene mancasse qualche parte del metallo nobile, e la faceva correre pel suo prezzo nominale. Gli operai dovevano star zitti. Certi documenti, messi a stampa da le Blanc (1), da Leber (2) ed altri fanno conoscere a qual rigoroso segreto i monetieri erano tenuti, che giuramenti dovevano prestare, e come si punivano gl'indiscreti. Ma il mistero si svelava, dopo qualche tempo, dagli scienziati, e particolarmente dagli orefici, che per necessità della loro arte sanno saggiare le leghe, onde il pubblico pure trovava la maniera di correggere l'atto governativo, con lo stesso rimedio del far crescere i prezzi delle merci per quantità più o meno proporzionale al valore della falsificazione.

Il nome, peso e dimensioni eguali, la qualifica, poniamo, di carlino, data alla vecchia come alla nuova moneta, costringendo i sudditi ad ammettere che fossero identiche, procacciava un lucro, pel quale gli ultimi viceré pagarono soli due terzi delle somme che i loro predecessori avevano promesso. Fuori d'Italia le diminuzioni sono state assai maggiori, ed il diverso significato delle parole francesi Livre moneta e Lìvre peso, non solamente fa conoscere quanta malafede mostrarono i sovrani che si sono succeduti a Parigi, ma permette di valutare in certo modo le loro indebite appropriazioni. Ai tempi di Carlomagno la Livre moneta

1.

Traité historique des monnayes de France.

2.

Essai sur l'appréciation de la fortune privée au moyen àge.

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significava il peso d'una libbra d'argento (1), adesso ne contiene grammi cinque, cioè la centesima parte. I Borboni di Francia hanno quindi preso con successive riduzioni novantanove centesimi.

Un'amministrazione pubblica è sempre debitrice di considerevoli somme, per capitali avuti in prestito, per stipendi, e per cose comperate; debitrice con patti che indicano nomi di monete. Tanto bastava perché i principi credessero, ed i loro dottori provassero, con infinite citazioni del Digesto e delle Pandette, che il nome fosse sufficiente, alla quantità del metallo non si dovesse badare!

Ma la sola economia nel pagare debiti non parve sufficiente profitto; si voleva un analogo guadagno per le compre, ed in particolar modo si voleva mantenere un divario fra il valore effettivo del metallo ed il valore nominale della moneta. Ad un chilogramma d'argento, che pagavano, per esempio, L. 200, i sovrani pretendevano dare con l'atto del conio diverso prezzo, mettiamo L. 400, e quindi volevano barattare una quantità di metallo in verghe con altra quantità più scarsa di metallo coniato; i ritratti e gli stemmi, stampati sopra d'un pezzo d'oro o d'argento, ne avrebbero dovuto raddoppiare il valore; la zecca doveva produrre i denari necessari per le guerre, per lusso e pei capricci delle Corti! Pretensioni assurde, che i sudditi combattevano con accrescimento dei prezzi, chiusura di negozii, con la emigrazione e qualche volta colle sommosse.

La maniera facile di vincere questa resistenza, ed esercitare con grande lucro la zecca, stava nel determinare i prezzi, metter le assise, ordinare cioè che i metalli preziosi, le derrate e qualsivoglia prodotto o servizio si fosse venduto al medesimo prezzo di prima; comandare insomma che niuno avesse pensato ai cambiamenti fatti sul peso o sulla qualità dell'indispensabile strumento d'ogni permuta, la moneta. Ciò fu tentato molte volte ed in tutti i paesi; furono anche puniti con tratti di corda, con le galere, qualche volta con la forca i venditori recalcitranti. Ma siffatte leggi davano risultati contrari allo scopo, perciocché succedeva che il governo stesso, e qualsivoglia compratore, in certi casi pagava le merci a prezzo maggiore del giusto, ed in altri casi ne restava senza. E cosa troppo certa, troppo dimostrata dalla esperienza, che le assise, quando sono profittevoli a ehi vende, tolgono a chi compra il benefìcio

(1) Mezzo chilogramma circa. I pesi hanno variato, meno però della moneta.

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che potrebbe avere dalla concorrenza, gli fanno spendere dippiù; quando invece sono tanto basse da produrre perdita del venditore stesso, lo costringono a chiudere bottega e ne uccidono il commercio.

Sperimentata la vanità delle tariffe, si fece ricorso alle equivalenze, al partito cioè che si può trarre dall'esistenza contemporanea di varie monete, fatte di differenti metalli.

L'autorità che i Sovrani assunsero nella coniazione comprese sempre, e comprende pure adesso, un supposto dritto di determinare i baratti. Appartenne per esempio al Sovrano di stabilire che un marengo (grammi 6,45161 d'oro) si debba permutare con venti lire fatte (l'argento, ciascuna delle quali pesa cinque grammi, e che una lira d'argento si debba similmente permutare con venti soldi di bronzo, del peso ognuno di grammi cinque (1), dimodoché un gramma d'oro corrisponde a quindici grammi e mezzo d'argento e grammi trecentodieci di bronzo. Da principio questo rapporto esisteva realmente, almeno per la parte relativa al ragguaglio fra l'oro o l'argento; pareva che il principe si contentasse solamente di osservarlo e dichiararlo. Ma egli vi aggiungeva il carattere di legalità obbligatoria. Non solamente annunziarono che un marengo valesse venti lire, cioè che grammi 6,45161 d'oro si cambiassero nel giorno che fu imposto il sistema metrico decimale con cento grammi d'argento e con duemila grammi di bronzo, ma fu ordinato che queste tre quantità di tre diversi metalli si dovessero reputare ed accettare come equivalenti l'una dell'altre; che un debito da soddisfarsi, un prodotto da pagarsi, fossero bene soddisfatti e pagati, tanto colla tradizione di 6,45161 grammi d'oro, quanto con quello di cento grammi d'argento.

Imposto tale criterio, fu agevole scoprire che la supposta equivalenza legale permetteva d'involare una parte del metallo prezioso, senza che il pubblico se ne accorgesse, o che accorgendosene potesse resistere. Egli è infatti cosa certa, che si può diminuire o aumentare il marengo senza punto scemare o accrescere l'oro in esso contenuto, sibbene col solo accrescere o scemare l'argento della lira, il bronzo del soldo.

(1) È vero ohe le leggi attuali e le convenzioni monetarie tolgano il carattere legale al bronzo e l'obbligo di accettarne somme maggiori di una lira; ma nei secoli scorsi le speculazioni si facevano principalmente sulla moneta di rame, la quale si doveva accettare come e forse più delle altre di oro ed argento.


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Aumentando per esempio al doppio il peso del marengo, si verrebbe a stabilire che 12,90322 grammi d'oro (invece di 0,45161) debbano ritenersi come equivalenti a 100 grammi d'argento (venti lire). Che cosa ciò vorrà dire? che grammi due di oro si debbono considerare equivalenti a 15 1|2 grammi d'argento invece di 7 3j4. Una lira dunque di argento sarà eguale a, grammi d'oro 0,04510, invece di 0,32258 che prima era. In altri termini accrescere al doppio il peso del marengo vale lo stesso che raddoppiare il prezzo della lira. Se, senza toccare il marengo, si aumenta invece al doppio il peso della lira, portandolo da cinque a dieci grammi, ed intanto si continua a tenere per termo che venti lire valgano un marengo, la conseguenza sarà che 100 grammi di argento, i quali prima equivalevano a 6,4516 grammi d'oro, ne rappresentano dopo soli 3,32258; è precisamente come se il peso del marengo si fosse diminuito della metà. Quando si procede per via di diminuzioni le conseguenze sono analoghe; diminuire di metà il peso del marengo e quello della lira vale lo stesso che raddoppiare il peso della lira o quello del marengo. Basta dunque togliere o accrescere metallo da una sola specie di moneta per impadronirsi di qualche porzione del metallo che contengono le altre specie.

Ma questo atto medesimo, di scemare una delle monete legali, restando come prima le altre, non è indispensabile. Eguali profitti vengono da leggi che mutino le proporzioni già stabilite. A modo d'esempio e nel caso della moneta decimale, il Sovrano il quale dica che il marengo vale dieci lire, prende la metà dell'argento; se invece vuole che ne valga quaranta, prende la metà dell'oro.

Le monete di rame o di bronzo hanno sempre tenuto un valore intrinseco assai più scarso del prezzo nominale, sia perché non escono dal paese, disadatte come sono per gli scambi internazionali, sia perché si credeva, come ancora si crede dai governi, che a tali monete, adoperate pel solo traffico interno d'un paese, basti il nome e quel valore fittizio che al Sovrano piaccia determinare. I nostri storici si sono astenuti dal definire le diminuzioni di peso ed accrescimenti continui di prezzo; tale silenzio non ci permette di calcolare i provventi che con queste coniazioni ottennero i Viceré. Confessiamo che l'esperienza degli attuali soldi e centesimi, i quali valgono, come metallo, assai meno del prezzo nominale, prova che i danni non sarebbero stati grandissimi se i Viceré avessero agito con discrezione. Queste monete servono ai piccoli pagamenti ed alla gente minuta, sono piuttosto segno che valore.

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Ma lo straordinario lucro della zecca governativa incoraggiava i falsificatori. Continui lamenti noi leggiamo nelle vecchie cronache per le molte imitazioni e per la difficoltà di scernere le monete fatte nelle zecche dalle altre che coniavano ignoti speculatori, qualche volta conosciutissimi feudatari (1) i quali usavano del loro privilegio di batter moneta per inondare i paesi finitimi con pezzi contraffatti, che pretendevano di cambiare a prezzo di argento. Queste monete, per verità, non si potevano dir false per la ragione che contenevano la medesima quantità di metallo che le buone. Anche noi Italiani ne abbiamo adesso un esempio coi soldi della Repubblica di San Marino, che invano si sforza il nostro governo di levare dalla circolazione, come invano la Francia lavora per sbarazzarsi della quantità di monete d'argento e di bronzo col conio italiano che ivi circola.

Tutte le mentovate speculazioni sulle monete furono tentate dai nostri Viceré, e produssero lucri al governo che si pagarono a caro prezzo dai cittadini e dai banchi. Ci contenteremo di riferire le principali.

Al tempo di Ferdinando il Cattolico il carlino pesava, come abbiamo detto, acini 81 1;2 e la libbra d'argento (acini 7500) si pagava dalla zecca ducati 8,65 12. Nel 1510 la stessa libbra era valutata ducati 8,73 12. Orli scudi cl' oro, peso acini 76, bontà carati 22, si chiamavano una volta ducati e valevano dieci carlini; nel 1533 furono cresciuti a carlini 11; nel 1573, governo del Cardinale Gran vela, a carlini 12 Ij2; nel 1582, dal Principe di Pietra persia a carlini 13; e con successivi aumenti giunsero al prezzo legale di carlini 24.

Il prezzo della libbra d'argento fu accresciuto, dal Duca di Toledo, prima a ducati 9,32 12 (anno 1533) poi a ducati 10 (anno 1542) quindi a ducati 10,50 (anno 1552) ed il carlino ebbe diminuzioni di acini 4 12 nel 1533, 6 12 nel 1542 e 2 12 nel 1552, dimodoché si ridusse al peso di acini 68. Questo Viceré fece coniare nel 1550 i nuovi ducati, monete da dieci carlini d'argento, che pesavano acini 671 3|7.

(1) Veggansi nel Duboin e nel Promis i ragguagli sulle imitazioni delle monete piemontesi che si facevano nella zecca dei Principi di Masseraao.

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Nel 1554, il poso del carlino fu scornato ad acini 67 1|2 e due anni, dopo il Duca d'Alba, in occasiono della guerra con Papa Paolo IV l'annientò del 20 per conto tutta la, moneta, ordinando che il ducato si valutasse grana 120. il carlino grana 12 etc.

Nel 1583 il Duca d'Ossuna fece coniare mezzi carlini d'argento, dei peso di acini 3 1; e nel 1018 un altro Duca d'Ossuna, con le sue monete da grana 15, ridusse il poso del carlino ad acini 50. stantechè tali monete non pesavano che acini S4. Anche la qualità fu peggiorata da questo Viceré, che si mostrò fedele imitatore dei suoi predecessori, per gli accrescimenti di lega e le diminuzioni d'argento. Parecchi altri mutamenti, sempre in meno, accompagnati spesso da irragionevoli tariffe delle monete forastiere, toglievano qualsiasi stabilità delle valute legali del Pegno.

Gli otto Banchi facevano grandi sforzi, e molta spesa, per tenere sempre provvedute le loro casse di moneta contante, e pagare a vista la carta. Ciò non era facile, per la ragione che tutt'i nuovi provvedimenti governativi, in materia di zecca e di cambio, non solo facevano scomparire dalla piazza le valute d'oro e d'argento, ma producevano la correria; cioè la ressa di creditori agli sportelli di pagamento e di cambio. Chi teneva carta apodissaria non perdeva tempo per esigerne il baratto in metallo, procurando d'arrivare prima del Viceré, e di farsi pagare con vecchia, non nuova moneta. Quantunque molto metallo procacciassero i banchi dall'estero e dalle province del regno, come risulta dalle conclusioni, qualche volta giungevano a tali strettezze da dover sospendere l'opra dei pegni, vendere in ragioni creditorie, ed anche domandare prestiti con ipoteca sui beni degl'Istituti, e con interessi più pesanti di quelli che essi medesimi avevano domandato nei precedenti collocamenti dei loro capitali disponibili.

Delle conclusioni ne riferiamo due, che sembrano notevoli per notizie sugli arbitraggi del 1(13 e 1017, ma bisogna confessare che i banchi liberi di Ravaschiero, Spinola, Lomellino ed altri avevano anteriormente sbrigato molto meglio questi negozi. L'intromissione del Viceré, e per esso del Preposto della zecca (Marchese di Corleto); la perdita di tempo per deliberazioni collegiali, nelle quali dovevano concorrere tanti governatori di otto differenti corpi morali; fors'anco la pubblicità e la poca pratica di speculazioni cambiarie; rendevano troppo costose e pressoché inutili l'importazioni d'argento.

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«21 Marzo H)l: - pag. 2- èssendosi considerato lo stato del nostro banco del Monte della Pietà; e la necessità che tiene, per ritrovarsi la cassa di quello esausta di contanti; e molto maggiormente per li continui e grossi sborsi che si fanno per causa del carico che tiene dell'opera dell'impegnare; e li pochi contanti che sono in questa città, 1 il tempo prossimo dell'estate, per li molti pagamenti che si fanno a rispetto delle compre delle vettovaglie, sete, grani ed altre industrie; è parso necessario ad essi signori protettori di fare la debita, e conveniente provvisione, conforme il suddetto bisogno ricerca, ed i n particolare di far compre l'argenti e reali per via di Genova, e farli introdurrò in questa città per ingrassar di contanti il Banco suddetto, con saputa anche ed autorità del signor marchese di Corleto. E però essi signori Protettori hanno conchiuso ed ordinato che il signor Gabriel de Martino, loro collega, possa e voglia, in nome di tutta la congregazione, fare la suddetta provvisione. Ed in virtù della presente conclusione se li dà ampia facoltà, per l'effetto e causa suddetta, di obbligare li beni di esso banco e casa, e di far tutti li pagamenti necessari per causa della compra suddetta, e questo per lo buon governo del suddetto nostro banco.»

«Il quale negozio si è trattato con Giulio Paolo, Battista Graffoglietto e Vincenzo Lasagno, che faccino venir da Genova P. 250000 di reali di argento, fra li quali il nostro Monte ne partecipa perla somma e quantità di D. 100000; con li patti e condizioni contenute negli albarani sopra ciò fatti, li quali si hanno da eseguire per l'effetto della suddetta compra, nel modo che in essi albarani si contiene. Che li restanti, per lo compimento di D. 250000, sono compartiti fra lo Banco del Popolo e quello di Sant'Eligio, oltre gli altri D. 50000 che fa venire il magnifico Bonifacio Naselli per servizio del Banco di S. Giacomo. La qual compra, per la licenza che S. E. è restata servita dare al suddetto signor Marchese di Corleto, dello zeccare nella regia zecca li detti argenti a beneficio dei banchi, compensato il danno che occorrerà nella detta compra, con l'utile e beneficio cilene seguirà per lo zeccare suddetto, l'interesse non sarà eccessivo, a rispetto degli altri danni che si sono patiti per lo tempo passato.»

«8 Febbraio 1017. - Avendo considerato che per fortificare le casse di nostro Banco è necessario di provvedersi di contanti, per li grossi sborsi che giornalmente si fanno, e si avranno a fare nelli prossimi mesi dell'estate, si per la necessità dell'impegni, come per compre di vittuaglie e seta. Però essi signori Protettori hanno concluso che il signor Giovan Donato Correggio, loro collega, ovvero li suoi giovani Battista Noris e Giuseppe Fratoni, rimettano per conto del nostro Banco, sotto conto loro a parte M. P. (Monte Pietà?) a Bari, a Lecce, in fiera di Lanciano, fiera di Salerno ed in Abruzzo, alli loro corrispondenti, fino alla somma di ducati cinquantamila in una o più settimane, per farcili poi mandare di contanti col procaccio o con altre comodità, col maggior vantaggio e minore spesa che sarà possibile; ovvero che diano ordine alli suddetti loro corrispondenti che li faccino tratte qua e li mandino contanti nel modo suddetto. Però tutto quello che seguirà, tanto in fidar quello che daranno a cambio qui, come in farli condurre in questa città ed a chi li rimetteranno, s'intenda a risico, pericolo e spesa del suddetto nostro Banco, poiché il detto Correggio, e per esso li suddetti Noria e Frassoni, non ci hanno da avere altro che il nudo nome e le fatiche, le quali faranno per utile e comodo del suddetto nostro banco.»

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Dopo d'aver fatto venir alcuni milioni di ducati, si dovettero i Governatori convincere che occorrevano differenti rimedi. La moneta, che essi con tanta fatica procacciavano pei via di cambio e d'importazione, non restava in loro potere e non procacciava il giusto equilibrio fra la riserva e la circolazione, perché presa immediatamente dal fisco, dalla zecca e dalla clientela. Scrissero perciò questa petizione al Viceré duca d'Ossuna, con la quale 1invitavano a facilitare l'importazione del numerario, ed a mostrarsi meno esigente con le sue richieste di cambio della carta in contanti.

"11 Luglio 1(518. - Si è ordinato che lo vigli etto fatto e sottoscritto da tutti essi signori Protettori per S. E. ed ai 9 del presente per me Giulio Vallesio Segretario del Monte, de ordine loro, consegnato al signor Marchese di Corleto, si registri qui sotto (nel libro delle conclusioni) acciocché se ne abbia memoria.,,

"Altre volte abbiamo rappresentato a r. E. la molta strettezza in che si ritrova questo Banco, causata dallo sborso che si fa di denari continuamente, così per servizio di particolari, come della regia cassa militare, oltre la grossa somma 'che gli bisogna tener pronta per l'opra dell'impegno, che si fa giornalmente, conforme tiene obbligazione. E perché va crescendo di giorno in giorno e per molti mesi continuerà; di modo che può apportar mina non solo al pubblico ma anco al Peal Patrimonio. Però, per compire all'obbligo del nostro governo, lo ricordiamo a V. E. coi mezzo di questo viglietto, per supplicarla di due grazie; l'ima, che si degni d'interponere l'autorità sua con negozianti che vogliamo provvedere di qualche somma notabile di denaro, da fuori regno, per sovvenire a questi bisogni. L'altra è. che essendo la Corte creditrice delle somme ché li vanno entrando per banchi, e si tirano contanti per bisogno che tiene. così per pagamento delle genti di guerra come per l'altre occorrenze, sia servita ordinare al governatore della cassa militare che scusi quanto sia possibile di tirar contanti, ma debba tare tutti li pagamenti che può per polizze di banco. Ed oltre che farà favor segnalato a questa Casa, la quale vive sotto la sua protezione, farà anco opra di molta carità, ed avrà merito particolare da Nostro Signore. Con che line, facendoli la nostra debita reverenza, con ogni umiltà le baciamo la mano. Il dì 9 luglio 1618. Di Vostra Eccellenza umilissimi servi. Li Protettori del Sacro Monte della Pietà - Marcello Muscettola - Giovan Vincenzo Piscicello - Mario di Bologna Ottavio Strina Giovali Aniello Rosso - Romano Lubrano".

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Ossuna era troppo preoccupato dai pericolosi suoi intrighi politici per studiare simili lettere. La celebro congiura per la distruzione di Venezia, tramata con Bedmar ambasciatore e Toledo Viceré di Milano. per la quale Napoli fece quasi tutta la spesa, che s'era scoperta poche settimane prima, cioè a maggio 161.8, ed era finita coll'impiccagione od annegamento di più di cinquecento complici; le altre posteriori trame, ordite dall'Ossuna stesso per diventare Ile di Napoli, che lo fecero processare e morir carcerato nel castello d Almeda: tant'altri gravi accidenti del suo breve ma tempestoso governo, gli tolsero il tempo, l'agio e la volontà, di curare le piaghe economiche del paese. Egli si ricordava dei banchi solo quando gli mancavano denari, e, lungi dell'ascoltarne le petizioni, aguzzava l'ingegno per escogitare novelli scorretti modi d'esaurirne le casse, senz'offenderne troppo palesemente le regole. Uno dei più adoperati fu quello di cedere beni di pretesi banditi e pretesi debitori del fisco, stipulando legali atti di presa di possesso. Quando i banchi tentarono di riscuotere le rendite trovarono che tali beni stavano nella sola fantasia del Viceré e del suo notaio. né furono discrete le somme che prese Ossuna, avene!' egli sciolto il problema di mandare alla Spaglia tributi più grossi di quelli che davano i suoi predecessori, di pagare milioni ai ministri ed ai preti che lo spalleggiavano in Corte, di tener sempre sul piede di guerra l'esercito e l'armata, servendosene per le guerre d'Italia e pei suoi complotti: tutto questo senz'aumentare le imposte, anzi scemandone qualcuna per conciliarsi la benevolenza della plebe. Piccolo di statura, alto d'animo, qualunque più ardua impresa gli pareva piana, e nessuno meglio di lui seppe mandarla ad esecuzione.

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12. Il Cardinale Zapata cominciò dal coniare, nel 1620 e 1621, altri pezzi da grana 15 che serbavano il peso di acini 84. ma erano maggiormente peggiorati di titolo. Poi comandò che si guardasse con maggior diligenza alla qualità dei mezzi carlini o zannette, tagliando i falsi per levarli di corso, e scrisse questo ordine ai cassieri dei Banchi.

Don Antonino S. R. E. tituli S. Balbinae Presbiter Cardinalis Zapata, Protector Hispaniarum, unus ex consiliariis status S. M. Cattolicae, et inpraesenti Regni prefatae Maiestatis Locuntenens et Capitaneus Generalis.

Convenendo usare ogni diligenza per estinguere la moltitudine che corre, per questa fedelissima città e regno, di moneta di mezzi carlini d'argento falsi, ne ha parso perora ordinare, come per la presente ordiniamo e comandiamo, alli cassieri de' banchi di questa fedelissima città, che de qua avanti, nell'introiti che li porteranno in banco di dette monete

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di mezzi carlini, debbiano con diligenza mirare se ve ne fossero d'alchimia o d'argento falso, e quelli che se ne ritrovassero tagliare per mezzo, e cosi tagliati restituirli a quelli che l'avranno portati ad introitare; ad introitare; non facendo lo contrario, sotto pena a chi di loro contravenerà d'onze cento, d'applicarli al Regio Fisco, e d'altra {pena) etiam corporale a nostro arbitrio reservata in ogni caso di contravvenzione. Et acciò non possano della presente allegare ignoranza, ordiniamo che a detti cassieri se notifichi per uno delli portieri della R. Cancelleria, e che se ne lasci copia autentica alli Governatori di detti banchi ; quali volemo che, per lo che a loro spetta del governo di detti banchi , attendano che così si osservi inviolabilmente,per quanto hanno cara la grazia e servizio di Sua Maestà. - Datum Neapolis die 25 mensis februari 1621. El Card Zapata. - Vidit Constantius Regens. - Vidit Valenzuela Regens. - Vidit Ursinus Regens. -Salazar Segretarius.

In seguito si persuase il Cardinale del danno grandissimo che veniva dalle alterazioni della moneta, e tentò di metterci rimedio con una rifusione e riconiazione di tutt'i pezzi scadenti. Egli ordinò che le monete da coniare fossero, per bontà e peso, proporzionate ai carlini dell'Imperatore Carlo V, più che tutto l'introito del fisco per la zecca si dovesse ridurre al solo rimborso delle spese di coniazione, che si valutavano di grana 75 o|4 per ogni cento ducati. più che si dovesse rispettare una tariffa eia lui determinata, pel ritiro dell'argento che voleva levare dalla circolazione.

Ecco la Prammatica;

Cavandosi dalla mala moneta che corre in questo regno, quasi tutta ritagliata e falsa, danni notabilissimi a detto regno e particolarmente a questa fedelissima città; dove non solo, per lo difetto così grande di detta moneta, si è causata alterazione eccessiva nelle robe di mercanzie forastiere; quali non solo sono alterate di prezzo, come si è detto, ma di quelle neanche ne vengono come prima immesse in questa città e regno;con notabil danno anche nella entrata del Real patrimonio; ma si è alterato il cambio, eccedendo in gran modo la ragione del suo giusto valore, che non potendosi ormai supplire va quasi impedendo il commercio. E quel che più importa, nei tempi che corrono, penuriosi di quasi tutte le robe commestibili, ha talmente la detta mala moneta alterato i prezzi di esse, da molto tempo in qua, che già sono insofferibili. Ed avendo noi, fin dal principio del nostro governo in questo regno,andato col zelo a che siamo obbligati, mirando di rimediare a detti gravi inconvenienti; e perciò fattone trattare più volte nel Regio Collateral Consiglio, con intervento della Regia Camera della Summaria; e conforme l'occasioni, andato facendo diverse provvisioni, perché trattando che si rimediasse con buona e nuova moneta, non s'impedisse il commercio. E per diverse sessioni nel detto Regio Collateral Consiglio, con intervento di detta Regia Camera, dati in ciò diversi buoni ordini, in esecuzione delle Reali lettere di Sua Maestà, per le quali (intesi d;il la Maestà Sua gl'inconvenienti e danni che dalla detta mala moneta risultavano a questo suo fedelissimo regno) è stato ordinato che si fabbricasse la nuova, di peso e bontà de i ducati, mezzi ducati e tareni antichi.

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E per ciò, essendo necessaria a tal effetto grossa provvisione d'argenti, fatto partito con alcuni negozianti, di tre milioni di ducati, da immettersi in questo regno fra certo tempo determinato. Ed essendosi già da quelli, in esecuzione di detto partito, immessa buona quantità; e quella giudicata bastante, con l'altra molta moneta che si ritrova cosi nei banchi di questa detta città, come in potere de' particolari, a potersi fare l'estinzione di detta mala moneta. Considerato il tutto nel detto Regio Collateral Consiglio, abbiamo determinato di fare la presente pragmatica, per la quale, con voto e parere del Real Collateral Consiglio, ordiniamo il seguente.

1. Primieramente ordiniamo e comandiamo che dal dì della pubblicazione di detta presente prammatica (2 marzo 1022) avanti, in questa fedelissima città e suoi borghi, i mezzi carlini, tre cinquine, e tutte l'altre monete tristi e ritagliate d'esso regno, non vagliano più per ispendersi come moneta; avendo ordinato quello che d'esse dovera farsi (1).

Il secondo articolo concerne le province. Tutte l'università (comuni) dovevano contare, pesare e scrivere in apposito registro la moneta cattiva posseduta da qualsivoylia individuo. I proprietari la potevano vendere, al prezzo di ducati dieci la libbra, sia nel comune stesso, sia alla zecca di Napoli; ed il registro avrebbe dovuto servire per salvezza delle loro ragioni, sulla differenza fra questi ducati dieci ed il valor nominale.

3. E perché il nostro principale intento è di proibire affatto tutte le monete ritagliate e scarse, ed introdurre che tutte le monete sieno giuste di peso, ordiniamo e comandiamo che, da oggi in avanti, ninna persona di qualsivoglia stato, grado e condizione sia, presuma di spendere moneta alcuna di qualsivoglia sorta, cosi di regno come di fuori regno, che sia ritagliata, scarsa o di manco peso che per la presente prammatica si stabilisce. Ma debbano tantum spendersi le monete di questo regno, e dell'infrascritte zecche forastiere, secondo la valutazione infrascritta, con che siano del peso e bontà in piedi di questa notate; restando tutte l'altre specie di monete, così di questo regno come di fuori, espressamente proibite, come non buone, finché da noi sia altrimenti ordinato, previa la legittima valutazione.

4. E perché la maggior causa che ha ridotto la moneta di questo regno a tanto mala qualità è l'esser sempre corsa a numero, senza malessere stata pagata a peso nei banchi, contro la forma e disposizione di diversi ordini e prammatiche (D.

Considerando che, coll'osservarsi di riceversi e pagarsi in detti banchi le monete a peso, potremo assiemarci che per l'avvenire debbano in questo regno mantenersi di giusto peso.

Ordiniamo e comandiamo espressamente che, da oggi in avanti, non si possa spendere quantità alcuna di moneta, per minima che sia, che non si riceva e dia a peso, cosi ne' banchi, come fra particolari, sempre che cosi vorrà quegli che avrà da ricevere il danaro.

(1) Che avesse ordinato non sappiamo. La presente prammatica e quelle promulgate prima e do o, il Bando 31 luglio 1021, che ora ristamperemo, fanno qualche vaga promessa di compenso ai possessori di zannette e tre cinquine , ma senza determinare chi dovesse sopportare la perdita. Tali promesse non mantennero i successori di Zapata, e si fini col vendere queste monete scarse agli argentieri ed alla zecca, per la valuta effettiva del metallo fino , perdendo il proprietario la differenza.

(1) A 21 agosto 1620 il Cardinale Borgia aveva mandato altro ordine ai banchi di pesare i nuovi carlini, tari e quattro carlini, che allora si coniavano

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Ed a rispetto dei pagamenti, cosi d'introiti come d'esiti, che si faranno nei banchi, ordiniamo espressamente che i cassieri di quei non debbano in conto alcuno ricevere né pagare di dette monete alcuna se non~i peso. E per tale effetto debbano assistere giornalmente, nell'ore deputate di banco, e mentre v'assisteranno i cassieri, i pesatori di essi banchi, quali debbano pesare tutte le monete che si riceveranno o pagheranno nel banco, tagliando tutte le monete scarse o false, sotto pena di privazione dall'ufficio ed altra etiam corporale etc.

5. Vogliamo ancora ed ordiniamo, per più stabilire che così debba osservarsi, di pagare e ricevere le monete nei banchi a peso, che il magnifico Presidente della Regia Camera, che pro tempore sarà Commissario della Regia Zecca, vada di quando in quando visitando detti banchi; e ritrovandovi monete tagliate o scarse di peso, il cassiere di quel banco incorra nelle dette pene etc.

L'art. 6 concerne le lettere di cambio, che si doverono pagare con moneta buona, gli art. 7 ed 6 proibiscono agli orefici la fusione di tale moneta buona.

6. E per fare il maggior cumolo che si possa di monete, per pubblico beneficio di questo regno, ci contentiamo, vogliamo, ed ordiniamo che ciascheduna persona che volesse far zeccare nella Regia zecca qualsivoglia quantità di argento suo, possa farlo, e sia franca dei dritti spettanti a S. M. E so lo farà ancora ogni comodità nelle spese della fabbricazione di detta moneta.

E perché dalla mutazione di detta moneta si causerà necessariamente alcuna strettezza di contanti, per le quali non potranno facilmente

10. Le monete che, come di sopra s'è detto, dovranno spendersi in que | sta città e regno si valutano nel modo seguente etc.

Segue un elenco di monete d'argento di Napoli, Spagna, Milano, Sicilia, Bona, Genova, Firenze e Venezia. Per le monete di Napoli:

La piastra da grana 120 si ridusse a grana 105.

Il sei carlini da grana 00 si ridusse a grana 52 1|2.

Il quattro carlini da grana 40 si ridusse a grana 30.

Il quindici grana da grana la si ridusse a grana 12 1|2.

Il carlino da grana 10 si ridusse a grana 7 1|2.

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L'applicazione di queste riforme produsse incredibile disordine. Il primo danno lo fecero le tariffe, che scemarono il valore delle monete allora circolanti, col dire che il pozzo da carlini 12 si dovesse valutare grana 105, il sei carlini grana 52 1|2 il quattro carlini grana 35. il quindici grana, grana 12 1|2, ed il. carlino grana, 7 1|2; onde i cittadini stimarono che loro si fosse tolta la quarta o quinta parte, del contante.

In questo avevano torto, oliò la prammatica prometteva di fabbricare moneta nuova di peso e bontà de i ducati, mezzi ducati, e tareni antichi. Quel carlino, che riducevano a grana 7 1|2, conteneva, escluso la lega, acini. 56 che divisi, per 7 1|2 davano a ciascun grano il valore di acini 7, 47; invece il nuovo carlino, da grana dieci, avrebbe contenuto acini 81 1|2 e quindi ogni grano avrebbe avuto il valore di acini 8, 15. Differenza in più 72|100 di acino in beneficio dei pubblico ed a danno del fisco.

Se il Cardinale avesse voluto agire con lealtà, il prezzo delle derrate e d ogni altra cosa sarebbe scemato; i possessori di monete, conoscendo che grana 7 1 [2 nuove rappresentavano con vantaggio grana 10 vecchie, avrebbero volentieri fatta la permuta.

Ma la rovina del paese venne dagli articoli primo e terzo della prammatica, che assolutamente vietarono l'uso e la circolazione delle tre, cinquine, de mezzi carlini (zannette) e di tutti gli altri pezzi di argento esclusi dalla tariffa, ovvero scarsi di peso; venne principalmente dal fatto che il Cardinale niente sostituì alla moneta che aboliva. Egli fece promulgare la legge prima d'aver cominciato a coniare i pezzi nuovi di peso e bontà dei ducati, mezzi ducati e tareni antichi, prima d'aver ottenuto i tre milioni, da lui stesso giudicati necessari, e mentovati nel proemio della prammatica.

I cittadini rimasero improvvisamente privi dello strumento per le compre vendite. Chi teneva moneta cattiva ne perdette il valore nominale, dovendosi contentare di quanto avrebbe potuto ottenere dalla zecca, ovvero dal venderla a qualche argentiere per fusione. Gli stessi possessori di piastre, o di altri pezzi privilegiati e compresi nella tariffa, subirono senza compenso la riduzione, poiché dovettero contentarsi di grana 105, per una moneta da grana 120, quando non esisteva la promessa nuova piastra, che poteva compensare vantaggiosamente, con maggior peso e quantità d'argento, la minorazione di prezzo.

Necessario effetto di questo disordine furono l'incarimento d'ogni cosa, e specialmente delle derrate commestibili.

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Il venditore, che prima si contentava d'una piastra, voleva dopo altre quindici grana. Se poi si trattava di zannette, lo stesso venditore le rifiutava; ed a titolo di favore le pigliava pel valore effettivo dell'argento, facendo pagare quindici o venti ciò che prima dava per cinque!

Per dare un idea del danno, compendiamo il conto della perdita sulla moneta che subì allora il Banco Spirito Santo (arch. patrim. vol. 226 pag. 436.

Sopra D. 402,000,0,00 mezzi carlini (zannette) ed altre monete scarse e tagliate che si trovarono nel Banco a 2 marzo 1621 e dopo portati alla zecca, in varie volte, per fabbricarne la nuova moneta; si persero D. 306531,2,16 (più di settantasei per cento) atteso che la zecca ha dato credito al banco di ducati 95467,2,04, pel valore delle libbre 9641,11,25 che pesavano dette monete, senza dedurne le spese per non essere ancora liquidate................................ D. 306,531,2,16

7.352,4.00 valore di N. 5252 Reali da otto, perla riduzione dal prezzo nominale di carlini 14 all'altro di cari. 9. D. 2626.0,00 E per deficienza di peso su 1961 reali che a carlini 9 avrebbero prodotto D. 1755,4,10, ma la zecca pagò soli D. 1,693.3,14 - 62,0.16

2.688,0,16

30,200,0,00 Carlini - perdita d'un quarto per la prammatica che li riduce a tre cinquine cioè grana 7 1|2 7,550,0.00

44.104.2,10

per numero 9801 doppie d'oro scemate da carlini 45 a carlini 26...................18,621,4,10

D. 483,657,1,10 A riportare D. 335,391,3,02

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Sopra D. 483,057,1.10 Riporto. D. 335,391,3,02

21.39.02,00 per i. 2727 zecchini d'oro scemati da carlini 22 a carlini 15, 1.908,4,10

Sopra D. 489.050.3.10 perdita di D. 337,300,2,12

cioè di sessantanove per cento circa.

Altri non piccoli discapiti si provarono sulle paste metalliche e verghe, sui denari dati ai capitani di strada per ordine del Viceré, e specialmente sui prestiti, forzosi pei banchi, che derivavano dai contratti d'appalto della zecca. Appare dallo stesso conto che per ciò il Banco Spirito Santo pagò Duc. 520,000 circa.

Giusta l'idea di sopprimere le zannette e l'altre cattive monete; ma bisognava rimborsarne la valuta nominale. Rispetto alle piastre ed ai pezzi conservati, non ci pare egualmente meritevole d'approvazione il concetto di conservare il nome, mentre si cambiava peso e qualità, coniandone altri migliori. Ad ogni modo, era questo un beneficio del pubblico, che supponeva qualche perdita del fisco, derivante dall'obbligo di levarli dalla circolazione e di barattarli con pezzi nuovo tipo. Doveva il governo valutare le piastre grana 105, i sei carlini grana 52 1|2 etc. e doveva anche farli pigliare dalla zecca, permutandoli, a rigore di tariffa, con equivalente valore di monete nuove Tal perdita, o per dir meglio parziale restituzione di quanto aveva la finanza precedentemente preso, il Viceré non volle o non potette sopportare.

Una crisi monetaria non si poteva sfuggire senza tener pronti li nuovi ducati e carlini, quando comandavasi di portare alla zecca le vecchie monete. Se Zapata non poteva prima procacciarsi tanto capitale metallico da pareggiare tutta la circolazione del Regio, doveva per lo meno fondere e riconiare le vecchie monete a misura che sarebbero entrate nelle casse pubbliche, sia per pagamento di imposte, sia per domande di baratto. Il Cardinale insomma teneva l'obbligo d'accettare le monete vecchie pel prezzo da lui stesso stabilito con la legge; il suo bando, 30 luglio 1621, prometteva solennemente che nessun particolare danno avrebbero;subito i possessori di moneta;

Philippus Dei Gratia Rex etc. Antoninus S. R. E. tituli Sanctae Balbinae Presbiter Cardinalis Zapata Protector Hispaninrnm, muis ex Consiliariis status S. M. Catholicae, et inpraesenti Regno, praefatae Regiae Maiestatis, Locumtenens et Capitaneus Generalis.

Havemo inteso che per questo Regno corre molta difficoltà nel nego-ziare, per la l'ama eh' è insorta diche nell'accomodazione e riforma (a che per pubblico benefizio si atten-de) delle monete, habbiano da sen-tire danno solo quelli che tengono monete contanti o nelli banchi.

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E che, particolarmente per tal causa,quelli che tengono robe di mercanzie e comestibili da vendere, sono reni-tenti al vendere e quelli che vanno comprando ritrovano difficoltà, e perla volontà che tengono di spendere le monete di mezzi carlini e tre cinqui-ne, di mala condizione, alterano li prezzi. E perché non è stata né è no-stra intenzione, che il danno che ri-sultasse dalla detta accomodazione e riforma di monete, debba sentirsi. solo da quelli che tengono il denaro contante o nelli banchi; ma che così come il beneficio sarà generale deb-ba sentirsi ancora generalmente il danno; ne ha parso, con voto e pa-rere del Regio Collaterale Consiglio appresso di noi assistente, fare il pre-sente bando, per il quale, dichiaran-do detta nostra intenzione, la facc-ino nota a tutti, acciò ogni persona possa negoziare con la sicurezza da tal dubbio, che è di ragione, com-prando e vendendo con le monete correnti, senza timore di perdenze in particulare, assicurandoli sub ver-bo et fide regis atque nostris che non sentiranno maggior danno tenendo dette monete che non tenendone. E volemo che il presente si pubblichi per questa fedelissima città e per tutto il presente Regno. Datum Napoli-Die 30 mensis iulii 1621. El. Card. Zapa-ta-Vdit Constantins Regens.-Vidit Ursinus Regens-Vidit Valenzuela Re-gens - Salazar Segretarius - Stampato a Napoli appresso Costantino Vitale 1621.

Un regio Ministro, il Reggente Fulvio di Costanzo, aveva tornato a dichiarare, anzi ad impegnare la. Reale parola, che tutte le monete si sarebbero ritirate dal fisco e cambiate pel valore che nominalmente rappresentavano. Invece si coniarono soli Duc. 1,500,000 che il Viceré disse avrebbe distribuito fra tutti i cittadini, consegnandone ad ogni famiglia carlini quindici, contro ritiro di altrettanto valore nominale di vecchio argento: (1) ma che si spesero quasi tutti per pagare l'esercito e gl'impiegati. Quando il Cardinale li ebbe messi in circolazione, tolse il valore legale alla vecchia moneta, ordinò che non fosse altrimenti accettata che a peso e pel valore effettivo. Ne venne un enorme aumento dei prezzi e tumulti

(1) Nel conto del Banco Spirito Santo c'è questo articolo. «Danno sulle monete nuove pagate ai capitani di strada in D. 21430 cioè D. 20000 dall'Istituto e D 1430 dalla regia zecca per conto dell'istituto stesso. Denaro dato fra maggior somma ai capitani di strada con ordine di S. S D. per cambiare monete per la città ai poveri, a carlini 15 per ciascheduno, nel tempo che si pubblicò della regia prammatica Si perderono D 1367d,04, attesoché dalle libbre 774,r 1,27 poi avute dai mentovati capitani in tante monete vecchie, la zecca ha dato credito al banco per D. 6,391,3,16».

La maggior somma cioè il totale di quanto ebbero li capitani per distribuirlo, non risulta dai documenti. Sapendosi che allora sole due casse San Giacomo e Spirito Santo, tenevano servigio fiscale, possiamo supporre che non avesse superato D 50,000 Supposizione confermata da un conto del Banco dei Poveri, che perdette soli D. 115,80 sulla somma data ai capitani, vale a dire che prese piccolissima parte in tal'operazione. Ma volendo anche credere che tutt'i banchi avessero con eguale proporzioue contribuito, si giunge a D 150,000, cioè al decimo della moneta coniata.

La rettitudine dei capitani è tutt'altro che decantata dai cronisti contemporanei, onde non pare impossibile che su tali monete avessero fatto traffico, e che la feroce prammatica contro dei cambia valute o bancherotti (pag. 184) avesse origine da qualche mercimonio scoperto.

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popolari, che riferiamo con le parole del Panino (1) e del Giannone (2) sebbene questi due storici patrii, scrivendo sotto la censura degli spagnuoli, dovessero attribuire al popolo i torti del Viceré.

A queste calamità (3) s'aggiunse un altro male gravissimo e difficile a ripararsi, per cagion delle monete dette comunemente Zannette, ridotte per l'ingordigia dei tosatori a stato si miserabile, che non ritenevano più la quarte parte dell'antico valore (4). Onde erano da tutti rifiutate; tanto che i prezzi delle cose alterati, la moneta non sicura e rifiutata ridusse molti alla disperazione. Si pensò alla fabbrica di una nuova moneta per abolirle, e fu pubblicato che nell'abolizione di quelle niuno vi avrebbe perduto Ma essendo impossibile a porre ciò in effetto, per la quantità di zannette ch'erano nel regno; e il poco argento che v' era da coniare, per surrogarsi in luogo di quelle, (5) nacquero perciò disordini gravissimi e sediziose turbolenze.

La vil plebe (!) che vuole satollarsi, né sapere l'inclemenza dei cieli o la sterilità della terra (6) vedendosi mancare il pane, cominciò a tumultuare, ed a perdere il rispetto ai ministri che presedevano all'annona. Il reggente Fulvio di Costanzo, un giorno del mese di ottobre di questo anno 1621, poco mancò che,non fosse da lei oppresso; e già ogni,cosa era disposta per prorompere in,un universale tumulto.

Il Consigliere Cesare Alderisio, Prefetto dell'annona, per sedare le,turbolenze, persuase al Cardinale che,uscisse per la città, ed in una calamità,così grande consolasse il popolo, (7); ed in fatti, in gennaio del,nuovo anno 1622, postisi ambedue in un cocchio uscirono. Ma questa uscita,peggiorò il male, poiché la plebe, insolentita, veduto il Viceré, con poco,rispetto cominciò a rinfacciargli, la pessima condizione del pane che, mangiava; ed avendo la guardia alemanna,voluto frenar gl'insulti, si videro,sopra il cocchio del Cardinale, piover sassi lanciati da quei ribaldi;,tanto che bisognò ricoverarsi nel vicino,palagio dell'Arcivescovo e far,chiudere le porte di quello e della,chiesa, infino a che accorsi molti signori,ad assisterlo, non lo riconducessero,sano e salvo in palagio.

(3) Pessimo raccolto, piogge e venti che impedivano il commercio tanto marittimo quanto terrestre, scorrerie dei Turchi ecc.

(4) Niun dubbio che i tosatori avessero scemato il peso di moltissime zannette. Lo stesso medagliere del Museo Nazionale ha completato la collezione con monete scarse, per essere stato impossibile trovare, di alcuni tipi, il pezzo giusto e col regolare contorno. Però Giannone dissimula la grave circostanza che dalla zecca regia s'era messa tanta lega che pure la buona cannetta valeva un quarto del prezzo nominale.

(5) L'argento si sarebbe trovato se il Viceré avesse voluto pagarlo a prezzi competenti, e se non avesse preteso di abolire le zannette, le tre cinquine e l'altre cattive monete, nazionali ed estere, senza dar nulla ai possessori. La prammatiche ed i bandi contengono semplici promesse; i documenti provano che la zecca ed argentieri le fusero e che fu pagato il solo peso dell'argento.

(6) Giannone non dice che il Cardinale aveva ordinato di valutare le monete a peso, e con quest'ordine aveva fatto quadruplicare i prezzi delle derrate.

(7) Facendosi vedere?...

(1) Teatro eroico dei governi di Viceré del Regno di Napoli; nel Card, Zapatta voi. 1, p. 387.

(2) Storia civile, Libro 35, Cap. V.


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I disordini per le zannette abolite,e per non essersi potuto supplire con,la nuova moneta, fecero crescere la,confusione nel popolo, il quale perduto ogni ritegno, essendo a'24 aprile uscito il Cardinale in cocchio fuori le porte della città, quando fu fuori Porta Capuana si vide dietro uno stuolo di plebei, uno dei quali avvicinatosi al cocchio, con un pane nelle mani, con molta arroganza gli disse: Veda V. S. I. che pane ne fa mangiare; e soggiungendo altre parole piene di minacce, lanciogli quel pane addosso sopra il cocchio II Cardinale, sospettando di peggio, fece sollecitare i cavalli, e presa la strada di S. Carlo, fuori la porta San Gennaro, entrando per la Reale, che ora diciamo dello Spirito Santo, si condusse di buon passo in palazzo, dove, consultato l'affare, fu risoluto dissimularlo.

Ma questa tolleranza, invece di acchetare, fomentava i tumulti e gli ridusse nell'ultima estremità, come si vide poco da poi, poiché essendo a questi tempi venuto in Napoli il Conte di Monterey, destinato dal re ambasciatore straordinario al Pontefice Gregorio XV, postosi in cocchio il Cardinale col Conte, mentre camminavano per la città; nella strada dell'Olmo, furono circondati da molti plebei che gridavano: Signore Illustrissimo grascia grascia (1), alle quali voci essendosi voltato il Car1 (liliale, con volto allegro e ridente,' un di coloro temerariamente gli disse in faccia: Non bisogna che V. S. J. se ne rida, essendo negozio da piangere, e seguitando a dire altre parole piene di contumelie, si mossero gli altri a far lo stesso ed a lanciare pietre al cocchio, talché a gran passi fu d'uopo tornare indietro e ritirarsi in palagio. Allora stimossi dannosa ogni sofferenza e fu reputato poi mano a severi gastiglii; onde formatasi giunta di quattro più reputati ministri, che furono il Reggente D. Giovan Battista Valenzuela, ed i Consiglieri Scipione Rovito, Pomponio Salvo e Cesare Àlderisio, fabbricatosi il processo, furono imprigionate più di 500 persone. Convinti i rei, contro essi a 28 maggio fu proferita sentenza con la quale dieci ne furon condannati a morire sulla ruota, all'uso germanico, dopo essersi sopra carri per li pubblici luoghi della città fatti tenagliare; furono le loro case diroccate ed adeguate al suolo, pubblicati i loro beni ed applicati al fisco; i loro cadaveri divisi in pezzi e posti pendenti fuori le mura della città, per cibo degli uccelli, e le loro teste fur poste sopra le più frequentate porte della medesima, in grate di ferro: sedici altri, meno colpevoli, furono condannati a remare, e fu diroccato ancora il fondaco di S. Giacomo; ed in cotal maniera finirono i tumulti che, sotto il governo del Cardinal Zapatta, cagionarono la fame e le zannette.

i tempi non erano maturi per una rivoluzione pari a quella che. 27 anni dopo, fu incominciata da Masaniello, e mise in pericolo la signoria della Spagna sul regno di Napoli; onde il popolo sopportò che si eseguissero sentenze tanto inique. L'unico atto di protesta consistette nel mandare alla Corte di Madrid il P. Tarugio Tarugi, prete della congregazione dell'Oratorio, per chiedere qualche rimedio allo stato miserevole del regno. Costui ottenne la rimozione del Viceré, che fu sostituito da Antonio Alvarez de Toledo duca d'Alba; però l'ottenne meno per gli spropositi fatti che per la morte di Filippo III. avvenuta nel mese di marzo dello stesso anno.

(1) Volevano a buon mercato la roba commestibile.

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13. Innocenti vittime delle zannette furono i banchi ed i loro creditori. Gli uni perdettero il patrimonio raccolto con tant'anni di questa amministrazione, e dovettero sospendere i loro atti di filantropia, fra cui il pegno senza interessi. Gli altri subirono enorme falcidia sui loro crediti.

Stavano nello casse apodissarie per io meno due terze parti dello valute metalliche del regno, zannette cioè, carlini, ducati ed altre moneto d'oro, di argento e di rame. Un equivalente valore cartaceo, rappresentato da fedi di credito, polizze, polizzini, mandati, ed in particolar modo da residui attivi di madre fedi, titoli pagabili tutti a vista, era in mano dei cittadini. Circolavano pure molte obbligazioni allo scoperto, dipendenti dal cospicuo negoziato patrimoniale e mercantile. Quando il Viceré tolse il corso legale alla vecchia moneta, si trovarono i banchi nella materiale impossibilità di far onore alla propria carta. Infatti chi veniva a domandare il pagamento pretendeva, giusta la prammatica, moneta nuova e buona. Questa moneta i banchi non la tenevano e non la potevano procacciare, sia perché la loro riserva, perdendo la qualità di strumento dei cambii, e tornando semplice metallo, scapitava di tre quarti, sia perché non era giusto pagare un capitale quadruplo di quello che s'era ricevuto, col dare ducati e carlini di nuovo tipo a chi poche settimane prima aveva consegnato zannette. Dippiù quel milione e mezzo, ch'era di fresco uscito dalla zecca, non sarebbe certamente bastato per controcambiare tutto l'apodissario.

Appena dunque fu pubblicata la prammatica (2 marzo 1622) i banchi sospesero i pagamenti e stettero chiusi quarantott'ore; ma furono costretti a riaprire le casse da quest'ordine del Viceré:

«Antonino 8. K. E. Cardinalis etc. Per giuste cause da noi considerate,secondo le necessità che se vanno proponendo a Noi nelle presenti oc-casioni , ci è parso ordinare , come ordiniamo , alli governatori et offi-ciali ci e 11 i banchi pubblici di questa città, che da qua avanti debbano ri-cevere e introitare in essi banchi tutta quella quantità che li sarà por-tata ad introitare di moneta buona,approvata per la prammatica nova-mente edita , ed a chi farà tali in-troiti facciano disponere a loro pia-cere della quantità ch'averanno in-troitata di tal moneta. E a rispetto di quelle persone che sono creditori in essi banchi per lo passato, li fac-ciano disponere fino alla somma diducati cinque il di, sino alle due terze patti del loro credito, restando l'altra terza parte sopraseduta di poterne quelli disponere per ciò che potesse da Noi essere ordinato circa detti loro crediti. E questo osservino; etiam per li otto dì da oggi cominciati a decorrere, fra li quali, por altro nostro ordine, è stato a detti banchi ordinato che non fa essere introiti né esiti (D. E così volemo che eseguano, por quanto hanno cara la grazia di S. M.

«La presente resti al presentante.

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Provvisoriamente dunque, ai possessori di carte bancali si tolse un terzo del credito e gli altri due terzi diventarono titoli pagabili a rate di Duc. 5 ogni giorno. Dice Domenicantonio Parrino: "Fosse piaciuto al Cielo, che siccome con questo mezzo i creditori dei banchi sentirono solamente la perdita della terza parte dei loro crediti, avesse potuto nella medesima maniera ripararsi al danno di tanti particolari cittadini, che in poter loro trovavansi le zannette, e che furono costretti a venderlo a peso d'argento; avvegnaché non si sarebbero impoverite tante famiglie quante ne rimasero per tal ragione mendiche".

Il pagamento giornaliero, del primo e del secondo terzo, le casse non potevano sbrigare per mancanza di moneta nuova o approvata dalla prammatica; ma non mancò il Cardinale di comandare che le riserve metalliche dei banchi si riducessero al nuovo tipo. Esistono in archivio molti ordini per l'invio alla zecca di tutte le zannette, reali di Spagna, piastre di Firenze e di Genova; ordini che le confraterie amministratrici dei Monti tentavano di eludere; prevedendo quello che poi avvenne, che cioè per l'atto della riconiazione sarebbe scomparso il loro patrimonio. Dovettero nondimeno obbedire a questo minaccioso monitorio del delegato vicereale:

«Comandiamo a tutti li governa-tori e ministri di tutti li banchi di questa fedelissima città di Napoli ,clic fra due giorni immediati seguenti all'intimazione della presente debbano con effetto mandare nella Regia zecca delle monete tutte le cannette, ideali di Spagna, piastre de Florenzia et de Genova, ed ogni sorta di moneta scalva, riserbata dalla R. Prammatica pubblicata a 2 di mar 0prossimo passato; conforme alli altri ordini fatti da S. S. III sotto pena di ducati diecimila, esigendi dalli detti governatori e ministri inobedienti; applicandi al beneficio del regio fisco. Con altra pena corporale,ed arbitrio ili 8. 8. III, alla quale si procederà irremisibilmente nel pre-detto termine. Non facendosi il con-trario per quanto si ha cara la gra-zi i Regia. In Napoli li 7 luglio 1022--Scipione Rovito. «

Spiace di trovare la firma di Scipione Rovito, uomo benemerito dei banchi, che probabilmente fu l'inventore dell'ammirevole l'orma amministrativa del Monte dei Poveri. Ma si noti che egli doveva trovar rimedi per un danno già fatto da altri, ed i suoi comandi sono poco giusti, non irragionevoli come quelli del Cardinale. Occorrendo pasta metallica, Rovito la toglie ai banchi e raggiunge il suo scopo; come raggiunge l'altro scopo di sopprimere le zannette con una specie di prestito forzoso e col sacrifìcio dei capitali e beni patrimoniali degli stessi banchi. Zapata invece distrugge, senza il menomo suo profitto, l'opera economica degl'istituti colla proibizione di girare,

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cioè cedere le loro carte (1); fa pubblicare altra prammatica con la quale tenta d'ammazzare l'industria della trafileria ed il commercio dei cambiavalute bancherotti (2).

Le mode del tempo richiedevano molto consumo d'oro ed argento filato per ricami o tessuti, ed a Napoli l'arte della trafileria dei metalli preziosi era allora fiorente. Zapata le dette un colpo mortale con questa prammatica che condannava ogni esercente a dieci anni di galera, oltre delle pene pecuniarie; egli non pensò che avrebbe aumentato

1.

«Convenendo, ad ogni buon fine, elle nelli banchi di questa fedelissima città non se girino ne passino partite, che sono in testa dei creditori di essi banchi, in faccia o in putere d'altri, per alcun tempo. Con la presente, ordiniamo alli governatori di detti banchi ed officiali di essi che sino ad altro nostro ordine non passino né facciano passare di dette partite in credito d'altri, per qualunque ordine che tenessero, ma quelle facciano continuare in credito delli creditori che ora sono di esse; dando solo a detti creditori disposizione dei loro crediti per la somma di ducati cinque il dì, per lo tempo per altro nostro ordine stabilito circa questo; e sino alle due terze parti di detti crediti, conforme è detto con altro nostro ordine, che fu spedito sotto la data delli 3 presente ai detti banchi. E non se faccia il contrario per quanto si ha cara la grazia di S. M. con pena di D. 1000 da applicarsi al Regio Fisco. Lì 12 Marzo 10(32. El Card. Zapata. - (Archivio patrimoniale vol. 220 pag. 390).

2.

Essendosi con esperienza pratticato. in occasione della mala moneta che finora è stata, quanto siano stati dannosi li bancherotti che sono in questa città, per lo comprare e vendere che han fatto delle monete buone, da che hanno avuta molta comodità li falsificatori e ritagliatori di monete. E volendo mo remediare, che per l'avenire se evitino quanto sia possibile tali inconvenienti, ne ha parso, con voto e parere de Regio Collateral Consiglio appresso noi assistente, fare la presente prammatica sopra ciò, omni tempore valitura, per la quale ordinamo e comaudamo espressamente che, dal dì della pubblicazione di essa avanti, nessuna persona ardisca né presuma di tare più tale esercizio di bancherotto, ma si levi affatto tale professione et essercizio; sotto pena a chi contravenerà, in esercitare per l'avvenire tale essercizio, di anni dieci di galera, da eseguire inremisibilmente contro li trangressori, e di perdere tutti l'ori, l'argenti, e le monete che tenessero nel cascettino seu mostra, ancorché non tenessero detto cascettino seu mostra in pubblico o fuori la poteca, come hanno sin'ora osservato. Quali argenti, ori e monete volemo se applichino la metà d'essi al Regio fisco e l'altra meta al denunziante.

Et perché molti inconvenienti sono stati considerati ancora nell'esercizio delli tiratori d'oro e d'argento, con la presente pramatica ordinamo e comamdamo ancora: che dal dì della pubblicazione di essa avanti, nessuna persona ardisca ne presuma esercitare in modo alcuno detta arte di tiratore d'oro né d'argento in questa città, né in altro luogo del presente regno; ma si desista, fino ad altro nostro ordine, di esercitare tale arte ed esercizio; sotto pena a chi contravenerà, esercitandolo in qualsivoglia modo in tutto o in parte, di dieci anni di galera; quale volemo similmente se esegua inremisibilmente contro li trangressori, e di perdere tutto l'argento e l'oro che si troverà abbia tirato, e quello che tenesse ancora in parte, da applicarsi le due terze parti al Regio fisco, e l'altra terza parte al denunziante. E acciò della presente prammatica non se possa allegare ignoranza, ordinamo se pubblichi non solo in questa città, ma anco per il presente Regno. Datum Neapoli, che 9 mensis martii 1022. - El cardinal Zapata etc. (Archivio patrimoniale - Vol. 220 pag. 398).

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lo scredito della moneta non circolabile, levando una maniera di servirsene.

Rispetto ai cambiavalute, il semplice buon senso poteva far intendere al Cardinale che siffatta classe di speculatori era quella che meglio lo poteva aiutare, nella sna impresa di riconiaro le, zannette.

Col fallimento parziale, o come si chiamerebbe adesso concordato al 66 2|3 per cento, i banchi uscirono d'impiccio. Non tutti però, eh è quello degl'Incurabili, o Santa Maria del Popolo, tenne per qualche tempo chiusi gli uffizi, e, pagò li due terzi mediante sacrifizio di molti beni e rendite dell'ospedale. Non interamente gli altri sei, perché dovevano fare il pagamento del secondo terzo subito, e per l'ultimo terzo dopo che la zecca avesse terminato la riconiazione della loro moneta metallica, e quando sarebbero riscossi i proventi d'una nuova gabella.

Dall'ordinanze del Viceré derivarono molte dispute giuridiche sui pagamenti fatti o da fare con carte di banco; battagliando creditore e debitore per definire su chi dovesse cadere la perdita.

I creditori volevano la stretta esecuzione dei patti stipulati, frai quali nessun notaio dimenticava di precisare che i pagamenti si dovessero fare ad epoca determinata e con monete di buona qualità; pretendevano dunque quel numero di ducati e di grana che stava scritto negli strumenti notarili. Rispondevano i debitori ch'essi dovevano restituire quanto avevano ricevuto; essendosi loro dato, prima del 2 marzo 1622, zannette, cinquine, carlini scarsi ed altre pessime monete; avendo dovuto prenderle perché non ce n'erano altre, e specialmente perché i regi bandi dell'aprile e giugno 1621 minacciavano le solite legnate, tratti di corda, galera etc. a chi le rifiutasse; non potevano trovarsi inopinatamente con 1 obbligo di dare ducati e carlini nuovi di zecca; ciò sarebbe stato lo stesso che restituire il triplo e il quadruplo della somma ricevuta. Dicevano pure che quando i banchi pagavano un sol terzo prontamente, un altro terzo a rate, e pel resto annullavano il credito, s'intendeva bene che ogni onesto cittadino dovesse aver facoltà di estinguere nel medesimo modo qualsivoglia obbligazione.

Discussa la controversia dal Consiglio Collaterale, questo, seguendo il parere di Ferdinando Brancia, dichiarò, a 17 novembre 1622, che i depositi o mutui eseguiti prima del 15 febbraio nella città e territorio di Napoli, e prima del 20 nel resto del reame, fossero legittimamente fatti con la moneta allora corrente; non cosi quelli compiuti dopo le mentovate epoche. Pei primi dunque la perdita era a carico del creditore, per gli altri a carico del debitore. Ecco la prammatica:

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Super differentias inter partes su borta, tam in in di ciò quam extra iu diciuni, circa deposita facta sive in bancis pubblicis, sivc penes particu lares, ante diem secundum martii praesentis anni, quo fuit publicataRe gia Pragmatica pro reformatione mo netaruni liuius regni; contententibus creditoribus non teneri ad recipien dum deposita praedicta de pecunia tunc correnti, tamquam reproba, diminuta et erosa; praesertim quo ad deposita facta a debitoribus an nuorum introituum cimi pacto de retrovendendo, pro optinenda retroven ditione, stante clausola communiter in similibus contractibus apposita, de restituendo capitalia in moneta eiusdem bonitatis, qualitatis, ponde ris et ligae, non obstante qualibet ordinatione superi omni in contra rium; et contra vero debitoribus qui fecerunt deposita, replicantibus illa vero legitime facta fuisse de pecunia tunc currenti, et expresse appro hata per Regia Banna, emanata sub diebus 17 apìilis et 30 iulii 1621, et eorum vigore creditores omnes prae cise teneri ad ille recipiendnm, et proinde ipsa deposita stetisee et stare risico et periculo creditorum re niteiitium recipere. ltem et circa alla deposita facta post diem secui dum martii in bancis pubblicis, de pecunia duorum tertioruni, de quibus creditores bancorum possunt in dictis bancis disponere, servata tamen forma ordinimi generalium Illustrissimi et Reverendissimi Domini Locumte nenti Generali; contendentibus creditoribus non esse cogendos ad illa re cipienda, ex quo non tenentur recipere particularem solutionem in di versis temporibus et annis, prout est ille quam in effectu continent dicti ordines generales; et ex adverso replicantibus eisdem deponentibus, se ipsos non posse cogi ad solvendum de alla pecunia, nec in alla forma; quam prout licitimi est ipsis exigere ab iisdem Bancis, vigore ordinimi! praedictorum.

Pie 17 novembris 1622 Neap. Facta de praedictis omnibus relatione per magnificimi V. I. D. D. Ferdiiiandum Branciam, Regium Consiliarium 111. et Rever. D. Locumtenenti Gen. in Reg. Collat. Cons. cum interventi! II lust. Regentis Marci Antonii de Ponte March. S. Angeli, Reg. Collat. Cons. Praesid. Sa ci Cons. Vicequ. Protonot. ac lllust. Iacobi de Francliis, Mar chionis Farini Reg. Consil. nec non magli. V. I. D. D. Caesaris Aid erisii loannes Baptistae Melioris et Scipio nis Roviti, Reg. Cons. adiunctorum.

Idem Illustriss. ac Reverendiss. D. LociimtenensGeneralisprovidet,man dat, decernit atque declarat, omnia deposita ut supra facta ante diem decimum quintum februarii praesentis anni, in ac civitate Xeap. et per milliaria triginta circumeirca ean dem civitatem, in ceteris vero par tibus regni ante diem vigesimum eiusdem mensis, fuisse et esse rite et recte ac legitime facta de pecunia tunc currenti et approbata, ut supra; exceptu tamen depositi facti de pecunia aliena ad deponentes,quo modolibet perventa ad liunc effec tum. Reliqua vero deposita post dies praedictos respective ut supra facta, de pecunia praedicta, fuisse illegittime facta, et proinde stetisse et stare risico, pericule et fortuna ipsorum cleponentium; exceptis tamen de positis receptis, acceptatis, aut libe ratis creditoribus non contradicen tibus.

ltem, idem lllust. et Rev. D. Lo cumteiiens declarat atque decernit conventi, ex quavis caussa pro resti tutione capitalia praedictorum; quo causa, sequita vel non sequita con (donec aliter fuerit ordinatum) reenierfìvolentes aniiuos introitos venditos cum pacto de retrovendendo, vel extinguere censos redimibiles, non aliter posse retrovenditionem

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vel extinctionem obtinere, nisi solutocapitali pretio in moneta numerata,nec sufficere depositum vel solutionemde duobus tertiis in bancisin eorum creditum existentibus, nisifnerint ab emptoribus introituumconventi, ex quavis caussa prò restitntionecapitalia praedictorum; quocausa, sequita vel non sequita concondemnatione, licuisse et licere deponerecax)italia praedicta, illaque solverede duobus tertiis ut supra.Insuper declarat et decernit censosempliiteuticos esse solvendos inpecunia numerata, pensioncs domorumet aliorum contractorum pròmedietate de duobns tertiis. Solutionesvero aliorum onerum et debituum,etiam ex causa tertiarum, possefieri de duobus tertiis, exceptistamen quantitatibus debitis vigoreliterarum cambii,quae solvendeeruntservata forma Reg. Pragmat.

Li 25 settembre del seguente anno 1623, uscì l'ordine che su tutte le somme dovute per prezzo di robe consegnate prima del 2 marzo 1622, il cui pagamento fosse maturato al 2 agosto dell'anno seguente,, ovvero più tardi, si facesse diffalco del 20 per cento a pro dei debitori, ed i residuali quattro quinti si pagassero con moneta nuova. Che sui pagamenti maturati prima del 2 agosto la stessa diminuzione d'un quinto fosse fatta, pagandosi però l'interesse otto per cento al creditore, dal giorno della costituzione in mora. Che similmente si avessero a diminuire di un quinto i pagamenti per lettere di cambio, quando in queste fosse scritto di doversi soddisfare per banco o con valuta in corso. Ove però la lettera di cambio dicesse che in denaro sonante si era ricevuto l'ammontare, non si facesse riduzione.

*

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14. Ai 10 d'aprile dello stesso anno 1628, il Consiglio Collaterale ed il Viceré avevano dettato altra prammatica della quale trascriviamo la parte dispositiva.

«1.° In primo luogo ordina S. E. che si portino ai detti banchi (1) e che si faccino consegnare i loro li-bri e scritture, e con la prudenza e rettitudine che egli spera dalle loro persone aggiustino con somma puntualità e brevità i detti libri; inda-gandone gli effetti, i dritti e le azioni dei detti banchi, e quello che debbono ai loro creditori, e tutt'altro conveniente e necessario, acciò con tutta chiarezza costi dello stato ili cui si trovano, senza che s'impe-disca il corrente dispaccio. «E parimenti S. E. accorda piena commissione e facoltà, come meglio convenga, per costringere a forza a riscuotere dai debitori del detto ban-co, con brevità e sommariamente, senza strepito e forma giudiziaria, e senza ammettere reclami pria di aver riscosso, sia in contante, o per via di compenso di eredito proprio di colui che dimostri liquido e certo e che debba lo stesso banco (1).

«2.° Glie in quelle partite che si troveranno fallite e che non si potranno riscuotere, si notino i nomi dei Governatori ed Amministratori nel cui tempo si diede ad imprestito il danaro; e si dia relazione a 8. E. acciocché ordini ciò che convenga, in esecuzione di ciò che ordina S. M.

(1) Le persone dal Viceré delegate.

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«3.° Che parimenti si avvisi a S. E. se tra i debitori dei detti banchi vi siano alcuni ministri (2) perpetui, dichiarando chi sono e che quantità di danaro hanno ricevuto da essi, e da quando tempo, acciò S. E. ordini ciò che si ha chi fare, non lasciando di riscuotere da essi ciò che debbono con prontezza.

«4.° Ohe si prosegua nell'esecuzione del disposto da Sua Maestà, che ai creditori che si troveranno d'aver introitato nei Banchi nel termine degli otto mesi (o) se gli restituisca solamente il 40 per 100; dichiarando che gli affittatoli della Corte e della Città ed altri che non avranno introitato con frode, non debbano esservi compresi (4).

«5.° Che coloro che fecero introiti nei due mesi di gennaio o febbraio (1622) per cassa, o per via di deposito o imprestito, e durante il tempo dei eletti due mesi, o in qualunque altro seguente, fecero compre o retrovendite col detto banco e gli altri, si revochino e sodisfacciano. E restino soltanto creditori delle due quinte parti, o tanto di meno quanto avran riscosso per interesse dalle dette compre; perché questi tali non solo defraudarono i banchi, cercando buona moneta per la cattiva, ma anche tirando interessi e frutti da quella; e che avendola dopo della compra fatta col Banco retrovenduta, e ritenuto il danaro in moneta nuova, essendo dentro di due mesi restituiscano tre quinti, e se prima un terzo (5).

«6.° Che a coloro che non tengono presentemente moneta nei detti banchi, avendola introitata nei due mesi di gennaio e febbraio dell'anno passato e spendendola dopo della prammatica, cacciandola in buona moneta dai banchi, si osservi lo stesso che nel capitolo precedente, segnandoli per debitori di tre quinti (6).

«7.° Che a coloro che cacciarono il denaro per cassa a favore di loro stessi o liberandolo di altri nei detti due mesi, non gli si deve attribuire debito alcuno; imperocché non hanno cagionato danno al banco, perché cacciarono la stessa moneta che introitarono.

(1) Questa riscossione dei crediti dei banchi serviva a pagare i debiti per carte in circolazione che erano o si sarebbero presentate. Trat tavasi d'una quasi liquidazione cosi dell'attivo come del passivo.

(2) Pubblici ufficiali.

(3) Dal 30 luglio 1621 al 2 marzo 1622 cioè dalla legge che ordinava di prendere pel valore nominale le zannette ed altre monete d'argento fino alla legge che toglieva loro il corso legale disponendo che si pigliassero a peso d'argento. L'ordinanza poi alla quale si accenna, che dispone pagarsi due quinti invece di due terzi non è stampata nella raccolta di prammatiche, né si trova fra i documenti dell'archivio patrimoniale.

(4) E fenomenale la disinvoltura con cui si dispone che il Fisco (Corte) ed il Municipio (Città) non debbano sopportare la perdita di tre quinti pei depositi fatti sui banchi negli otto mesi. L'eccezione di quelli che non avranno introitato con frode fu scritta per coonestare la cosa, essendo cosa impossibile definire e provare la frode.

(5) Legge iniqua. Non era colpa dei contraenti se in gennaio o febbraio 1622 si pagasse con zannette, nei mesi seguenti con ducati e carlini di giusto peso. Queste novità le aveva fatte il Governo, che non poteva distruggere i contratti stipulati legittimamente dai cittadini e corpi morali. Contratti che nell'anno precedente si erano già eseguiti, col pagare o riscuotere le somme convenute.

(6) Cosa ingiustissima trattandosi di operazione compiuta molti mesi prima, in buona fede,e con sanzione delle leggi.

(7) Non ci sarebbe mancato altro che dichiararlo nullo ed invitare al pagamento di altri 3 quinti!

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«8.° Che a coloro i quali pria di detti mesi eran debitori nel eletto banco e pagarono per cassa durante li detti due mesi, se gli ammetta e passi buono il detto pagamento (7).

«9.° Che si procuri di osservare ciò che S. M. comanda; intorno cioè al ritornare i crediti a' pristini originarli, che introitarono in frode della prammatica ed in danno dei terzi, ai quali furono girati. (1) Però, se questo non può verificarsi, si verifichi almeno quali furono i primi che girarono dette partite, in tutto o in parte; e non avendole cacciate (2) nei detti due mesi di gennaio e febbraio, ma in appresso, Ti segnino per debitori delle tre quinte parti.

«10.° Che, perché abbiamo inteso che dopo essersi fatta la pubblicazione della moneta nuova, vi si è versata molta della moneta scarsa, si verifichino coloro che lo avran fatto; e se ne faccia rapporto a S, E. per dare i convenienti provvedimenti.

«11.° Che, nello stesso tempo, si verifichino gl'introiti che si son fatti di cattiva moneta, e se è stato con colpa e frode dei ministri del Banco, acciò i colpevoli sieno puniti.

«12.° Che, nello stesso tempo, si riducano a minor numero gli ufficiali, ministri, e tutt'altro che dovrà riformarsi nei detti banchi; lasciando precisamente solo quelli che son necessari, con giusti e moderati salari; poiché gli altri non servono se non che a far confusione e spese; e che parimenti si mutino gli ufficiali che sembrassero non convenienti e si pongano altri in loro luogo, dando prima conto dell'amministrazione a Sua Eccellenza (3).

«13° Che, frattanto si andranno aggiustando i conti e libri del detto Banco, si esegua ciò che S. M. ha ordinato, con le sue lettere del 4 settembre e 9 gennaio; cioè si assegni

no e vendano le rendite ed effetti ai suoi creditori; e quelle che saranno acquistate da persone facoltose non si diano né assegnino a quelli che non lo sono, acciò non gli riesca difficoltoso il pagamento ed esazione; e si dividano, prò rata, con ogni eguaglianza , non solo riguardo alla quantità, ma anche alla qualità degli effetti

che a ciascun creditore se gli assegnerà e venderà; senza dar luogo al negozio, acciocché tutto si esegua con la giustizia conveniente; lasciando solo una competente rendita pei ministri, ufficiali, libri ed altre spese forzose del detto Banco.

«15.° Che dal denaro che presentemente si trova di contante nel detto banco, e da quella porzione che gli spetterà dell'assegnamento di duecentoventimila ducati (4) vada pagando

«14.° Che l'istesso ordine si osservi nella ripartizione di ciò che spetterà al detto Banco delle gabelle che si sono imposte, e si imporranno, per covrire il danno che ha sofferto per la riduzione delle monete.

(1) Intende parlare il Viceré delle fedi e polizze o crediti su madrefedi, ottenuti prima del 2 marzo 1622, ch'egli voleva scemare di tre quinti e che, per la trasmissione e circolazione delle bancali, fossero passati per varie mani.

(2) Riscosso il denaro.

(3) Al solito, gli errori del Sovrano e del Ministro furono pagati da chi non ci aveva colpa, cioè dagl'impiegati che senza ragione si licenziarono, e dai banchi che perdettero patrimonio e libertà. La ragione per la quale ordinava il governo tanta asseguatezza stava, come si vede dagli articoli seguenti, nel progetto di cedere li beni patrimoniali ai creditori, ed ottenere che dai banchi si saldasse la perdita o spesa della riforma monetaria. Non era bastata, per pareggiare i conti, quella terza parte che avevano levata ai creditori apodissari.

(4) Invece di 220,000 furono annui Duc. 46,430 per un capitale nominale di Duc. 773,871.

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per settimane quella quantità che gli spetta, a ragione del 2 per cento, a ciascuno de' creditori; e se il denaro che si riceverà dai detti effetti ed imposizione sarà in tanta quantità che si possa aumentare la paga di ciascuna settimana, si dia relazione di questo a S. E. acciò ordini che si faccia proporzionatamente e conforme al denaro che si andrà introitando; avendo in mira che con tutta prontezza ed uguaglianza di giustizia siano pagati i detti creditori.

«16.° Che i detti duecentoventimila ducati dell'assegnamento, e tutt'altro che si andrà riscuotendo dalle imposizioni, si è dato ordine acciò sia distribuito tra tutti i banchi; avendo considerazione ai debiti e perdite di ciascuno, dimodoché a quello che avrà più debiti si sovvenga e vada provvedendo con maggior quantità, ed a quello che meno,rispettivamente. E che per questo e per esigere quella porzione che gli appartiene, come si è detto, si versi nel banco dell'Annunziata (1) quello che dalle dette imposizioni si ricaverà; avvertendo che sempre deve tenersi manifesto questo danaro, poiché non deve servire se non che per l'effetto sopraddetto; e così se gli fa noto ciò, onde, per parte del detto banco, si procuri a tempo esigere ciò che gli appartiene.

«17.° Che ciascuno dei detti creditori possa, mentre son pagati, vendere, cedere, passare in testa d'altri ed alienare in qualunque modo, a proprio piacere, a coloro che vorranno, i crediti che avranno in eletti banchi, in tutto o in parte. E così il compratore o il cessionario di tale effetto e credito di banco, non potrà obbligare i suoi creditori a riceverlo in soddisfazione di ciò che il tal compratore gli dovrà, se non che con volontà dei detti creditori.

«18.° Che si prosegua a ritenere il terzo, come ha comandato S. M. finché vi sia somma per poter soddisfare. Che, pel buon governo e conservazione del banco in appresso, si osservino da ora gli ordini dati da Sua Maestà, le prammatiche di questo regno, ed il contenuto nei capitoli.

«19.° Che il detto Banco faccia subito un libro a parte, che si chiami libro nuovo, dove si notino per creditori coloro che da oggi innanzi verseranno moneta buona di giusto peso; tenendolo a vista, acciò senza dilazione e con ogni puntualità si paghi, come e quando il creditore vorrà, in contanti o in cambiali, come gli riuscirà più comodo.

«20.° Che parimenti, nel detto banco, si tenga un altro libro in cui si notino i crediti antichi; mettendo con gran distinzione e chiarezza, con varie annotazioni, ciò che nasce dai debiti antichi e condizionati, che si debbono pagare sempre e quando per via giudiziaria saranno liquidati; ed in altra annotazione ciò che risulterà dai detti due terzi; ed in altra dal detto terzo sospeso; ed in altra i dimenticati.

«21.° Che nessun ministro di banco, maggiore né minore, da sé solo, senza il consenso degli altri possa fare imprestiti coi denari del detto banco, ancorché sia con pegno; né j fare compre proprie, né aliene, né scrivere crediti, se non solo a coloro che li avranno in effetti veri e reali nel detto libro nuovo. E non si prendano per loro stessi cosa alcuna i ministri del detto Banco, sotto pena al governatore o governatori di eso di pagare il quadruplo e cinque anni di galera e della pena pecuniaria; in ambedue i casi si darà la quarta parte ai denunciatori.

(1) Questa promessa non fu mantenuta; il Banco dell'Annunziata, che era il più bisognoso, non

ebbe nulla.

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«22.° Che parimenti stieno con gran vigilanza tutti i cassieri e pesatori del detto banco a non ricevere moneta che sia scarsa di peso; sotto pena al cassiere che la riceverà e pagherà o si troverà in suo potere, di dieci anni di galera irremissibilmente e perdita di diecimila ducati; senza potersi scusare di non averlo fatto con frode, perché per ' proprio ufficio tiene quest'obbligo; e nella stessa pena della galera incorra il pesatore che darà o riceverà danaro senza pesarlo, non potendosi scusare col dire che quello che lo ricevé non volle pesarlo.

«23.° Che ogni giorno debbano da' re, il libro maggiore ed il cassiere, I conto ai governatori che vi è in cassa; e che questi lo dieno al Commissario delegato, acciò sappia puntualmente lo stato del eletto banco.

«24.° Che si visitino i libri e la cassa di detto banco almeno due vol- te l'anno, dal ministro delegato clic vi sarà , e di ciò deve tenerne cura il governatore di avvisarcelo a tempo.

«25.° Ohe non si riceva nel detto banco moneta di minor valore che di tre cinquine; ed a quelli che por-teranno questa moneta minuta, si paghi con questa stessa ; notandosi nei libri di detto banco le persone che la porteranno, ed in quale specie, se di questa o di altre; avverten-do che a quelli che porteranno miglior moneta non se gli paghi con la più cattiva.

«26.° Che si prenda la cauzione dal cassiere ed ufficiali del dotto banco, nella quantità che sembrerà con- veniente, con l'approvazione ed in-tervento del governatore del detto banco.

«27.° Che si affiggano tutti questi capitoli, in una tavola fissa, in parte pubblica di detto banco, acciò sieno a tutti noti».

15. Nello stesso mese di aprile 1623, si pubblicò il bando della nuova gabella, a favore dei banchi, che fu presa in appalto da Pietro Grazioli. Diceva il Viceré: I provvedimenti ordinati per compensare i banchi dei danni sofferti, con la mutazione della moneta e con la consegna degli oggetti d'argento alla zecca, non essere bastati a pagare i debiti. Da ciò venire impedimento alle contrattazioni ed al commercio. Fra gli espedienti escogitati e proposti, uno solo parergli acconcio, ed a questo, col voto del Regio Collaterale Collegio, essersi attenuto; consistere nella gabella di un ducato a botte su tutt'i vini che s'introducessero, vendessero e consumassero nelle città, borghi, e territorio di Napoli; sia che nello stesso territorio fossero prodotti, sia che venissero dal resto del regno o dall'estero. Una commissione d'individui, scelti dal Viceré, doveva liquidare la perdita di patrimonio che avesse subita ciascun banco e proporne il compenso.

Questa commissione suggerì di prelevare dal reddito della gabella l'interesse annuale sei per cento della somma tolta agl'istituti di credito napolitani per la sedicente riforma monetaria. Niente fu promesso per quella terza parte, ovvero per quei tre quinti, che l'abolizione delle zannette aveva levato ai possessori di titoli apodissarii.

A 28 luglio si fece la distribuzione, ed ottennero di annua rendita

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S. Maria del Popolo ducati 18,434

Sant'Eligio '' 15,457

Lo Spirito Santo '' 6,694

La Pietà '' 4,013

I Poveri '' 1,686

San Giacomo '' 146

Totale, annua rendita, ducati 46,430

Che, alla ragione dei sei per cento, formava un credito o capitale, ipotecato sulla gabella del vino

Pel Banco S. AL del Popolo di ducati 307,241

Sant'Eligio '' 257,624

Spirito Santo '' 111,576

Pietà '' 66,885

Poveri '' 28,107

San Giacomo '' 2,438

Totale capitale ducati 773.871

Le quali somme promettevano ai banchi, con patto che riconoscendosi, per più accurato esame, minore la resta da pagare, dovessero restituire parte dell'assegnamento (1); trovandosi maggiore si sarebbe aumentato il compenso.

(D. posteriori libri maggiori di terse del Banco della Pietà, nel conto dei debitori antichi di difficile esazione mettono l'articolo. Gabella del vino del ducato. botte che fu imposta nell'anno 1623 D. 16146.26 di capitale per annui D. 96S.41 resto di maggior somma, che gli altri furono assegnati ai creditori di nostro banco di due terzi,. detto resto spropriato dal nostro Banco dalla città ed assegnato alla regia Corte.. Pare che la finanza, servendosi dell'articolo ella prammatica, avesse ripigliato 24|100 dell'indennizzo, ma che il Banco avesse consentito per forza, senza riconoscere tal diritto,. scritturando come suo credito una somma che non gli sembrava dover restituire. Le sue ragioni risultano da altro articolo dello stesso libro mastro del 1769 che dice. Nostro Monte contro dei creditori incerti di nostro Banco dell'anno 1622: Per tanti che importano. creditori incerti di Banco nel libro maggiore del 1622 al folio 85 D. .31835.91. Se non s'erano presentati tutt'i portatori di carta bancale. riscuotere. due terzi, e se restava. carico dell'istituto la passività di lire 31835,91, era cosa legittima lasciargli la proprietà dei D. 16156,26 che non sarebbero nemmeno bastati pel pagamento, quando tutti avessero usufruito del loro diritto.

Conviene su questo proposito notare che due terzi .spettarono ai portatori della carta. Ma gli otto banchi per le monete. pei capitali di loro pertinenza, ebbero la sola magra soddisfazione di aprire conti di crediti inesigibili che rimasero accesi fino alla liquidazione del 1807. La Pietà, per esempio, teneva registrata sui libri maggiori di terze una partita di D. 117864.24 conto vecchio; altra di D. 161345.57 conto dei due terzi dell'anno 1622: altri di D. 19456.47 coli' epigrafe "Regia Corte conto di refezione dei danni patiti dal nostro Banco dopo la nuova prammatica della mutazione della moneta eseguita ai. marzo 1622. Per tanti venuti meno dalla regia zecca dove si portarono le monete vecchie»


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Col valore capitale di questa rendita sei per cento, e con tutte le attività, che per avventura possedesse, doveva ciascun banco completare il pagamento dei due terzi, ovvero dei tre quinti ai creditori apodissarii, e doveva eziandio liquidare, nel termine di quindici giorni, tutta la gestione per titoli bancarii di data precedente al 2 marzo 1622.

Ordinanza dei Viceré 28 luglio 1623 Ed ordina S. E. che con la parte che spetta a codesto banco, e cogli altri effetti che possiede, paghi subito e dia soddisfazione ai suoi creditori; assegnando con ogni eguaglianza e giustizia, senza eccezione di persona, a ciascuno quello che deve avere dei due terzi correnti; e che questo si esegua nello spazio di quindici giorni al più tardi, da V. S. e dal vostro cassiere; e non facendosi in tal tempo, S. E. nominerà altre persone che lo facciano, perché, allo stesso tempo che conviene, vuole che si adempia con la maggior brevità.

E per maggior consolazione e comodità dei creditori di piccole somme, vuole S. E. che quegli che lo sono da due. 200 in sotto, e non si contentassero dell'assegnazione che loro farà, e volessero far compra in questo banco alla ragione del 6 percento, possano farlo nello spazio dei detti 15 giorni, dando loro il banco i mezzi necessarii per l'esigenza.

Ed acciocché maggiormente si possa ottenere ed eseguire quanto si è detto, ordina e comanda S. E. che da oggi in avanti, cessi il giro delle polizze, e che nè V. S. né il vostro cassiere le ammettesse da chicchessia,né da altro banco; ma che nello stato in cui si trova attualmente il conto dei creditori si conchiuda e si finisca; e che dall'istante che si fa la detta assegnazione corra la paga del 2 per cento (a) giusta gli ordini generali dati da S. E. agli 11 aprile di questo anno; avvertendo che si debbono sospendere e non dar soddisfazione alle partite che A. S. tiene notate in questo banco, ed altre che gli sembreranno dubbie, finché la Giunta non giudichi e dichiari se debbano pagare le due quinte parti,secondo gli ordini di S. M. e di S. E.

Ancora ordina S. E. che le differenze che occorressero di polizze di banco, ancorché dipendano da cedole e da lettere di cambio, debbansi riconoscere e decidere dalla Giunta dei detti banchi, solo per aversi messi più intiere notizie dei casi che possono occorrere su questo particolare, ed altre giuste considerazioni e convenienze della causa comune. Di tutto questo mi ha ordinato S. E. passare avviso a V. S. perché lo adempia ed esegua puntualmente.

Ai creditori che, invece del pagamento in numerario di quanto si concedeva loro, avessero preferito di partecipare al provento della gabella sul vino, davano permesso di far compra, cioè prendere l'annua rendita sei per cento; purché però ai trattasse di somme minori di duc. 200.

(a) Una terza parte del valore delle bancali crediti su madrefedi fu annullata, un'altra terza parte si pagò prontamente con moneta nuova, e per l'ultimo terzo i pagamenti si facevano a misura che la zecca coniava moneta coi pegni scaduti, e coi pezzi tolti dalla circolazione. Occorrendo tempo, per tale lavoro tecnico,si stabili elle fosse ai possessori di carte bancali dato il due per cento ogni settimana.

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Il Banco Spirito Santo, coi duc. 6694 annui, computati pel valore capitale di due. 111576 e mediante cessione di quasi tutte le sue terze, cioè crediti patrimoniali, liquidò l'intero debito apodissario nel modo prescritto ; anzi con qualche vantaggio pei possessori di carta, dappoiché i debiti minori di due. 20 si pagarono integralmente con moneta nuova, e gli altri debiti di ducati 20 a 50 per metà con moneta, e per metà con crediti di pronto incasso. Colse anche questa occasione per fare i conti con le opere pie o conservatorio dello Spirito Santo, e poiché queste erano debitrici di ducati 35,825,76, che producevano annui Duc. 2220.10. si affrancò dal pagamento di ducati 600 stipulati per fitto del locale che occupava. C'è in archivio (vol. 226) l'originale del manifesto allora pubblicato, che dice:

"Se notifica a tutti li creditori de' due terzi espliciti del Banco dello Spirito Santo, da ducati 50 in su inclusive, che a ciascuno di essi li sta fatto assegnamento del loro credito sopra effetti esigibili del detto Banco, per ordine del signor Consigliere Scipione Rovito, Commissario delegato di S. E. in detto Banco, precedente ordine di S. E. Qual assegnamento sta pronto ad ogni richiesta di detti creditori. E non comparendo li detti creditori a ricevere e stipulare li detti assegnamenti, per tutto il presente mese d'ottobre 1625, s'intendono per stipulati, ed estinti li loro crediti nelli libri del detto banco con li assegnamenti fattili. Quali assegnamenti, elasso detto tempo. s'intende restare a peso et danno di detti creditori."

"Alli creditori da ducati 50 in basso, esclusivi, per tutto li 10 de ottobre 1625 se li darà soddisfazione in questo modo. Da ducati 20 sino a ducati 50 se li pagherà prontamente la metà di contanti, e l'altra metà se li assegnerà sopra effetti esigibili. Da etnea ti 20 in basso esclusive se pagaranno tutti contanti in una volta,,.

Questo medesimo volume 226 contiene l'intiera liquidazione del debito apodissario del banco Spirito Santo, coi nomi di migliaia di creditori e ciò che ciascuno ricevette sia in moneta, sia in terze, ed altre valute redditizie.

Rispetto al Banco S. M. del Popolo, che parve trattato meglio degli altri, sembraci opportuno di copiare da un'allegazione a stampa di cento anni fa, (avv. Gerardo Gorgoglione) qualche notizia sulle somme distribuite, e le pruove d'avere i creditori riscosso dalla gabella del vino Duc. 186,254,17 non 307.241.

Relativamente poi alla cassa degl'Incurabili, alla medesima furono assegnati Duc. 307241, di capitali sul dazio istesso, e per essi annui Duc. 18434, alla ragione del 6 per 100, precedente ordine del Consigliere Rovito, delegato per questa emergenza; nel oggetto di assegnarsi a' suoi creditori, in soddisfazione della terza parte de' loro rispettivi crediti.

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Ma de' ridetti Duc. 307241 di capitali, dalla fine dell'anno 1623 fino all'anno 1627 furono assegnati a molti creditori del Banco Duc. 136254,17, e per essi annui Duc. 8174,79, essendo rimasti in testa del Banco ducati 170986,83, e per essi annui ducati 10259,21; secondo che si rileva dalla fede fattane da Aniello Maria Turco, Razionale del patrimonio di Città, nell'anno 1713.

Fu destinato il Consigliere D. Giov.

Battista Migliore per Commessario Delegato della cassa S. Maria del Popolo, coll'incarico di eseguire gli assegnamenti da farsi a' creditori della medesima. Costui, dopo di avere ripartiti a molti creditori i suddetti Duc. 136254,17, sulla rieletta partita,, non potendo fare altri assegnamenti sulla rimanente quantità, perché forse dalla Città convertiti in altri usi, e non mai più pagati al Banco e suoi creditori, avendo avuto sotto gli occhi le vendite di annue rendite fatte dalla Santa Casa degl'Incurabili alla sua cassa medesima, e vuol dire a sé stessa, per la somma di ducati 55000 di capitali, e per essi di annui Duc. 3040, e che le doveva con alquante terze decorse; ed avendo veduto altresì l'altro debito della Santa Casa di Duc. 8479,08, per prestanze fattale dalla cassa medesima, secondo le urgenze e bisogni; stimò opportuno di ordinare alla Santa Casa, come debitrice della sua cassa nelle ridette quantità, di obbligarsi, siccome, precedenti decreti del Commessario Delegato, si obbligò, di pagare a' creditori della cassa stessa le quantità a' medesimi dovute, e ne fece in benefìcio degli stessi anche vendite di annue entrate, alla ragione del 5 e 6 per 100, mediante pubblici istromenti; ascendenti li detti capitali di vendite in unum a ducati 83310,71, dall'anno 1624, per l'anno 1629, siccome si trovali descritti in una distinta nota, ricavata da' Libri Maggiori della Santa Casa dell'anno 1624.

Qual fosse stato il fato di que' residuali Duc. 170986,83, resto della somma capitale sul dazio del vino, assegnata al Banco di S. Maria del Popolo, e per essi degli annui ducati 10259,21, non si è affatto potuto liquidare. Ma, da talune notizie del Banco istesso, si vede che la Città non ne avesse fatto seguire assegnamento in beneficio del medesimo, e che questo, per l'adempimento, fosse stato oggetto di litigio nel Collaterale, dal quale venne ordinato, che de' Duc. 170986,83 di capitali, si fossero dalla Città assegnati al Banco per allora Duc. 50000; ma niente di sicuro abbiamo e dell'uno, e dell'altro assegnamento, e se la Città gli abbia mai più soddisfatti, più non esistendo quegli atti del Collaterale, e li libri delli conti della Città.

Dopo tanto tafferuglio, i banchi restarono senza beni patrimoniali, senza capitale proprio e con grandi debiti. Essi, volendo fortificare la cassa, come s'esprimono le conclusioni, non guardarono a perdita per aggio ed a gravezza cl' interessi; consentirono ipoteche sui loro palazzi e taluno giunse a vendere gli arredi della chiesa. Ma così non ricuperavano quel credito ch'era indispensabile per la vita clegl'istituti, meno ancora procacciavano rendita che sopperisse alle spese amministrative. Dopo d'avere sacrificato, in cinque anni, tre quarti del capitale precedentemente cumulato pei pegni graziosi,

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i Protettori della Pietà ebbero la felice idea del Monte fruttifero che fu la salvezza di tutti. Giusta il documento già riferito a pag. 41, essi ottennero, nel 1628, la facoltà di collocare D. 30000 sopra pegno e coll'interesse 7 per cento. Lo Spirito Santo ebbe il medesimo permesso nel 1629 per D. 40,000 e l'Annunziata per ducati 20000 ai 14 marzo 1632. Il Monte dei Poveri venne dopo, col capitale di Duc. 40,000: e quindi ottennero i rispettivi dispacci Sant'Eligio, San Giacomo, il Popolo ed il Salvatore.

Per conseguenza della sedicente riforma monetaria dunque, i banchi di Napoli diventarono Monti di pegni ad interesse.

*

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16. Al danno che i banchi provavano per le alterazioni di monete, fatte con ordini governativi, s'aggiungeva l'altro ingenerato dall'opera dei ritagliatori. Adesso sono tanto perfezionati, per la parte meccanica, i metodi di coniazione, che stentiamo a credere gli storici, quando parlano del numero d'individui che pel passato si permetteva di tosare i pezzi di oro e d'argento, dell'impunità di costoro e degl'inconvenienti che ne venivano. Ma allora le monete non avevano contorno rilevato o con iscrizioni, era difficile distinguere le irregolarità di forme prodotte per consumo, dalle altre fatte con lavori di lima, scernere le mancanze di peso dipendenti dall'attrito, da quelle fatte con frode. Il torchio a vite, che fu inventato da Antonio Brucker, verso il 1550, per Napoli era ancora un desiderio due secoli dopo, quando l'abate Galiani scriveva il classico libro sulla moneta.

Molte furono le leggi e le prammatiche promulgate dai Viceré per impedire il danno, ed anche per definire chi dovesse sopportare la perdita. Per quanto si riferisce ai Banchi, una prima volta, sotto il Governo del Cardinale Pacecco, nel 1554, questa perdita la subì tutto il paese. Fu imposto tributo straordinario di Duc. 29318,93, che pagarono per tre quarti i Comuni e per un quarto i feudatarii, con lo scopo di saldare la deficienza trovata nel numerario che il Banco della Pietà aveva mandato alla zecca. In seguito si volle far subire dai Banchi il danno. Una legge, (5 giugno 1609, comandò che fossero mandate alla zecca, per la riconiazione, tutte le monete calanti, salvo le zannette e le tre cinquine (1).

La zecca doveva pagare il solo valore dell'argento, e tutta la perdita, per mancanza di peso o per aggiunzioni di lega, andava a carico dei possessori. Qualità di possessore riconobbero nei banchi, volendo il Viceré

(1) Una zannetta e mezza o grana sette e mezzo.

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che il danno si subisse dall'istituto, non dal creditore o dal depositante, per la ragione che, dovevasi avere considerazione al guadagno che i Banchi avevano fatto col danaro dei particolari, per averselo goduto e per goderselo.

Al Bianchini (1) pare strano argomento; noi invece lo crediamo dimostrazione d'un fatto che c'importa definire, e sul quale abbiamo varie volte insistito, che cioè, eziandio nei primi tempi, i banchi non erano semplici depositari, sibbene debitori delle somme loro affidate. Nel 1609, il governo riconosceva in essi il dritto di far mutui sopra pegno ed atti di commercio con queste somme, ammetteva che le avessero godute e le godessero.

La legge si dovette abolire dopo soli sei giorni, per la ragione che alla zecca mancavano le buone monete d'oro o d'argento da barattare con quelle scadenti sul peso, che ad essa si portavano in gran copia. Si tentò di pagare con zannette e con tre cinquine; vale a dire con le monete che, per alterazioni fatte dallo stesso fisco, valevano meno d'un quarto del prezzo nominale quand'erano di giusto peso. Eccettuate dalla rifusione, mantenute nel corso legale, si dovevano prendere anche se rovinate dal consumo e dai tosatori. Grandissimo era quindi il pregiudizio pei banchi e pel pubblico, costretti a permutare pezzi d'oro o d'argento, che si valutavano al peso effettivo del metallo, con zannette e tre cinquine, calcolate al valore nominale; ch'erano anche scarse di peso e delle quali deve vano pagare la coniazione, come se allora uscissero dal torchio. Furon tali i clamori che, annullando l'ordinanza, dovette il Viceré comandare che le vecchie monete continuassero ad avere corso; quelle circola bili, pel consueto valore; quelle scarse e ritagliate in proporzione del peso.

A 22 giugno 1633 il Conte di Monterev ordinò (2):

«1.° Che i Banchi di questa fedelissima città debbano ricevere tutte le monete scarse, che da qualsivoglia persona saranno portate in essi banchi, per introitarle, dandonele credito del giusto peso, conforme alla qualità delle monete e tariffe della Regia Zecca.

«2.° Che i cassieri e pesatori deputati e deputandi dalla Regia Corte, in ciascuno dei detti Banchi, subito ricevuta la moneta scarsa la debbano tagliare, e portarla in detta Regia Zecca settimana per settimana, acciò di quella si possa far altra moneta nuova al giusto peso.

«2.° Che i banchi e i cassieri di quelli, pei pagamenti che faranno, debbano dar moneta di giusto peso.

«4.° Perché nella moneta zeccata finora manca per lo più aldina poca quantità, di poca considerazione, vogliamo e comandiamo

(1) Storia della finanza pag. 522, voi. 2.

(2) Prammatica X, de Bancis.

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che nel pesare che si farà della moneta, tanto in detti Banchi quanto in altri luoghi di questa fedelissima città e Regno, da qualsivoglia persona, si debba detta moneta ricevere quando il mancamento non sia più di un acino per ciascun pezzo di tari, cinque cinquine, carlino e tre cinquine; dimodoché la moneta d'argento vecchia corra liberamente col mancamento predetto. Dichiarando etc.»

Pena per le contravvenzioni once cento, delle quali la metà conceduta all'accusatore. più ai pesatori tre anni di galera e perdita dell'uffizio, più quello che a Sua, Eccellenza piacesse stabilire.

Due anni dopo. (22 giugno 1635) venne fuori altra ordinanza, del medesimo Viceré Monterey:

«Ordiniamo e comandiamo che nessuno officiale di detti banchi, libro maggiore, pannettario e cassiere, ardisca né presuma di scrivere, né fare scrivere nel suo libro d'introito, qualsivoglia somma, per minima che sia, come introitata nella Cassa del Banco, né darne credito a qualsivoglia persona, di qualsivoglia grado o condizione si sia, se non allora quando con effetto sarà entrato il danaro in una cassa del Banco, in contanti, non ostante che per riscontro loro si consegnasse fede di credito o polizza per altro Banco».

Comincia da questo documento la lunga serie delle proibizioni di riscontrata, vale a dire accettazione e pagamento di carte nominative poste in circolazione da altre casse, ch'è forse il maggior servizio reso dal Banco al pubblico, per la facilità di trasmissione dei fondi. Monterey lo definì delitto, punibile con tre anni di galera, più quanto gli piacesse di aggiungere.

E vero che coi valori di riscontro si potevano nascondere vuoti di cassa. Dai documenti dell'epoca conosciamo che qualche volta due cassieri, per criminoso accordo e con la complicità dei fedisti, si somministravano reciprocamente fedi di credito false del rispettivo Monte. Diventavano allora inutili le verifiche e contate di cassa. Tali fedi figuravano come credito o discarico di chi le presentava, e non e era modo di scoprirne la falsità coi registri d'emissione perché appartenevano ad altro Banco, e specialmente perché erano buoni gli scudi e le sottoscrizioni. Nondimeno tale inconveniente potevasi togliere, come poi si è tolto, con migliore ordinamento del servizio, e custodia più rigorosa degli scudi, senza privare i cittadini d'un comodo inestimabile.

*

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17. Poco dopo, (anno 1636) fallì il Banco di San Giacomo e leggiamo in un istrumento stipulato con la Regia Corte li 16 maggio 169(, nonché nella conclusione do] Consiglio di Governo 2 ottobre 1772, che ai creditori si dette il 32 per cento.

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Probabilmente venne questo disastro come controcolpo della guerra di trent'anni, la quale d'uomini e di denaro esauriva il regno di Napoli, che pur si trovava tanto lontano dai campi, di battaglia. La cassa dell'Annunziata, quantunque vacillante per gl'intrinseci suoi difetti, fu dal Monterey costretta a consegnare in pochi mesi D. 135,000, e dicono i Maestri, nella posteriore supplica a Carlo VI:

Ritrovandosi il Re Filippo IV., di gloriosa memoria, angustiato da una guerra, e particolarmente di soccorrere Ferdinando Cesare, vostro avolo, nelle guerre che sosteneva nel l'Alemagna per l'Imperio, e Stati ereditari contro gli eretici, ordinò egli al Conte di Monterey, Viceré di Napoli, con sua Real Cedola, sotto il di 11 Febbrajo del 1032, che avendo per l'accennate cause bisogno d'immense somme di danaro, vendesse tutti quegli effetti della Regia Corte, che potea vendere, anche feudali, e demaniali, non ostante qualsivoglia proibizione in contrario; nella quale congiuntura, il Banco della Casa Santa fu il primo a soccorrere la Maestà Sua, con lo sborso di docati sessanta mila effettivi, per i quali il Viceré Conte di Monterey, a nome di Sua Maestà, gliene fece vendita d'annui ducati 5100, assignati sopra fiscali di alcune terre, come dall'istrumento rogato sotto il di primo di Maggio del 1632; e poi, sotto il dì 27 d'Agosto, furono sborzati altri ducati venticinque mila per la compra d'altri annui ducati 2125; e sotto il dì 29 Dicembre del susseguente anno 1633, altri ducati 50 mila effettivi, per i quali il medesimo Viceré glie ne fe vendita d'annui 3500 di fiscali, alla ragione del sette per cento, sopra l'Università di Modugno. Con patto speciale, che tanto indetti ducati 3500, quanto tutte l'altre annue rendite, e fiscali; che 'l Banco e Casa, ed Ospedale della Santissima Annunziata teneano, e possedeano, e che in appresso avessero acquistato, sotto qualsiasi titolo di donazione, eredità, e legato, non si potessero diminuire, né bassare a meno del sette per cento, ancorché sopravvenisse qualsivoglia altra causa urgente, necessaria, e privilegiata, eziandìo per lo bene della pace, stato della Repubblica, e pubblica utilità, né di motoproprio, né per qualsivoglia ordine in contrario, che in futurum venisse da S. M. C.; convenendosi, per patto specialissimo, che in ogni tempo le suddette annue entrate, possedute dalla Casa e Banco dovessero possedersi, siccome allora si ritrovano sempre al 7 per 100, con promessa di fargli veri, ed esiggibili in ogni futuro tempo, e mancando per qualsivoglia accidente, o non potendosi esiggere sopra le Università assegnate, fusse tenuta la Regia Corte a supplire d'altri effetti, senza alcuna diminuzione, permutazione, o bassa mento, liberi, esenti, ed Immuni da qualsivoglia ritenzione, suspenzione, decime, o pesi, con dover esser tenuta sempre la Regia Corte in caso contrario alla refezione di tutt'i danni, spese, ed interessi, con promessa dell'evizione in ampia forma, e con promessa della ratifica di S. M. quaterna fusse stato di bisogno.

Fu questo contratto corroborato con decreto del Regio Collaterale Consiglio, tanto per la facoltà a' Governadori di poter pigliare la suddetta somma dalla cassa del Banco, quanto per la fermezza de' patti in quello contenuti, e poi, con biglietto della Segreteria di Guerra de' 26 Giugno del 1634, fu ordinato al Tribunale della Regia Camera che se ne fosse fatto notamento dove spettava.

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Onde con decreto di quel tribunale,a' 23 di Febbrajo del 1635, in esecuzione del suddetto ordine, fu determinato notarsi, ne' libri del Regal Patrimonio, che tutte l'entrate della Casa Santa e banco erano immuni di ritenzione, tassa, ed abbassamenti; il qual ordine fu poi rinnovato a' 17 Luglio del 1641, come largamente si nota ne' libri del Regal Patrimonio.

E pure S. M. nell'anno 1647, essendosi formata la nuova situazione del Regno, senza avvertirsi a' privilegj della Casa Santa e banco, e alle cose di sopra convenute, e senza essere stata intesa, o difesa la detta Casa Santa, non ostante ancora, che si frisse pagato il prezzo effettivo de' sud detti Fiscali comprati, furono quelli diminuiti, Lassati, e permutati, e dedotti gli alaggi, contro ogni dovere e giustizia, siccome scorgerà V. M. dall'ingionta fede: sicché, per dette tre sole partite, la Casa Santa e Banco, nell'anno 1648, venne a perdere annui ducati 3873.1.7., e nell'anno 1669 altri annui ducati 1917.4.7., donde da' detti tempi fin'oggi la Regia Corte dovrebbe rifare la somma di ducati 487041.2.19., ciò in vigore de' patti speciali inseriti ne' suddetti i strumenti, di non mutare, né bassare le suddette annue entrate, anzi di più supplire le annualità mancanti, per le medesime esigibili in ogni futuro tempo.

Alla rivoluzione di Masaniello, 1647 a 1649, i banchi subirono gravi peripezie. Quello dei Poveri fu assalito dalla plebe armata; ma si salvò per la valentia del Libro Maggiore, Cesare d'Amato. Costui, con l'aiuto degli impiegati e dei confratelli, respinse bravamente la canaglia che voleva minomettere le casse e la guardaroba; ma non potette impedire i pegni d'argenti che provenivano da saccheggio, né la perdita della somma prestata su tali argenti dal banco. Il conto dei due terzi, cioè delle liquidazioni 1622 e 1647, ne riferisce molti casi. Eccone due, notevoli per nomi d'individui che presero parte principale nei moti politici.

"Pegno de gli argenti del Sacro Regio Consiglio che si fè ad ottobre 1647, in testa di Francesco Gavotta, quale poi, per ordine del quondam Reggente Merlino, Presidente del Sacro Regio Consiglio, si ripigliò d'autorità propria, come roba furtiva, ducati trecento".

"

Pegno del signor Don Ferrante Caracciolo, di ducati mille, fatto nel nostro Monte dalle persone popolari in detto anno 1647,e poi fu forzato detto monte a restituirlo senza rimborsarsi la detta somma sborsata.,,

Si sospesero i pagamenti del Monte dei poveri, (1) e fallirono

(1) Banco dei poveri. Conclusione 17 gennaio 1643. Avendo discorso come si potevano soddisfare li creditori del Banco, o con dare l'argenti impegnati a detti creditori, o pure venderli; come che e' erano alcune difficoltà, s'appuntò per questo andare in casa del sig. Presidente Cacace, per concludere quello che s'aveva da fare intorno a detto negozio, con intervento dei signori D. Diego Moles e D. Bartolomeo Franco, insieme con il Governo; per dare soddisfazione alli creditori del Banco; senza degradare lo detto Banco con dare mala faccia alli negozianti.

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altri banchi pel mancato pagamento delle rendite sullo gabelle (arrendamenti) che costituivano gran parte dell'attivo; pei arbitrarli ordini del Duca di Guisa, Capitano del popolo, nonché dei Proconsoli spagnuoli, che si servirono come vollero dei denari e dei pegni; e forse anco per infedeltà di chi trasse profitto dei tumulti popolari. Il cassiere dell'Annunziata, Fulvio De Falco, fu convinto di aver fatto sparire Duc. 39,000 (1) e quello del Salvatore, Bartolomeo di Stefano, si disse che n'avesse prese centomila.

Il citato istrumento del 1696, relativo al Banco di San Giacomo e la mentovata deliberazione di quel Consiglio di Governo (3 ottobre 1772) dicono che:

«Nel 1647, coll'occasione delle ri-voluzioni popolari, furono, con bi-glietti del Viceré di quel tempo,trasportati nel castello nuovo causa custodiae! tutti li danari e pegni del Banco e poi applicati per urgenze della Regia Corte (1) per la qual cau-sa, sedate dette rivoluzioni, si pagò a creditori il 26 0|0, quanto per ap-punto capivano sugli pochi effetti che rimasero al detto banco; allaqual rata del 26 0|0 restò anche sot-toposta la ridetta somma del 32 0|0 che si pagava ai creditori dal ridetto conto del 1636, pagandoseli la sud-detta somma del 32 alla ragione del 26 per conto».

Insomma, ad un individuo che, nel 1772, chiese il pagamento di una fede di credito del Banco San Giacomo, data 3 dicembre 1622, valore Duc. 526, tari 4, e grana 5, si dettero Duc. 45,54.

Il Monte Spirito Santo, che possedeva maggior patrimonio, potette liquidare la propria circolazione apodissaria, mediante cessione di fiscali e di arrendamenti, senza che i creditori sopportassero diminuzione di capitale. Esistono (archivio patrimoniale volume 227) i contratti stipulati nel 1650, ed anche gli ordini del Viceré di consegnare al pagatore delle truppe spagnuole tutto il denaro contante e tutt'i pegni.

Dall'altro Banco e Monte, del Salvatore, si fece transazione al sessanta per cento.

(1) Bella custodia!

(1) Vol. 3.0 Deliberazioni an. 1649-68, fol. 34. «A 28 giugno 1652. Con l'occasione della cassa piccola del Banco, numerata a 12 febbraio prossimo passato, e della carcerazione di Fulvio de Falco, olim Cassiere di quella, cominciò a concorrere, dalli 15 del detto, grandissima moltitudine di persone a prendere li loro danari, che tenevano in detto Banco; et continuarono per molti giorni, con tanta calca e con tanto esito di detta Cassa, che non solo si sborsorno ducati 73393: che s'erano ritrovati in detta Cassa in potere di detto Fulvio, ma furono necessitati li signori Governatori di far calare da Cassa Maggiore molte maggiori quantità di danari, di moneta di oro e d'argento - a 26 febbraio ducati 1938 in oro più ducati 9534 - a 27 ducati 2985 - a 28 ducati 6414 - a 2 marzo ducati 10360 - a 23 marzo ducati 6000. Liquidato il debito di Fulvio in ducati 39 milia circa, giusta il bilancio formato dal Rationale e presentato nel processo criminale».

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La Pietà potette pagare sempre a vista e mantenne il credito della propria carta, che non soffrì falcidia, né divenne materia di transazione, pei l'affetto del popolo al suo monto senz'interessi. Ingenti capitoli lo furon tolti dalla cassa militare, cioè per pagare i soldati e gli scherani del baronaggio; perdette molte rendite perché, come s'esprime il libro mastro. "Li fiscali debiti dalle università sono sospesi in virtù di ordini generali". Ma ciò non pertanto il senno e l'industria degli amministratori valse per tenerla in vita, con decoro, in quei procellosi anni.

La gabella delle frutta, causa della rivoluzione, fece subire grossa perdita ai banchi, che n'avevano pagato il valor capitale prima che si tentasse di riscuoterla. Dai libri di terze e dai giornali e mastri patrimoniali si possono ricavare molte inedite notizie sulle vicende di tale gabella, permutata molti anni dopo con un particolare dazio sul vino, chiamato refezione dei frutti, senza che la Pietà ricuperasse il capitale versato a titolo d'anticipazione, di D. 237500.

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18. Rimessi alla meglio i banchi, col ristabilirsi della potestà Regia, continuò ad offenderli la calamità delle monete rose, che durò fino al governo del Marchese del Carpio, Gaspare de Haro. Il fisco, col pretesto di garentire le rispettive ragioni dell'Istituto e del pubblico, ma coll'effettivo scopo di far danari, creò per ciascun Banco un ufficio di pesatore regio delle monete, che vendette al migliore offerente. Protestarono i banchi, sia perché gli atti di questo funzionario Governativo, e la sua stessa presenza, ne offendevano i privilegi, privandoli della libertà che legittimamente godevano, sì perché gli affari non si sarebbero più sbrigati con la consueta prontezza e soddisfazione della clientela. Giovarono poco le proteste, avendo i pesatori ricevuto il diploma dal Re, dietro pagamento del prezzo della carica, onde dovettero i banchi venire a transazione, ricomperando questo ufficio. Ecco una conclusione del Banco San Giacomo.

«Domenica 6 marzo 1051-Avendo di nuovo fatto istanza Francesco Gregorio Lanzetta, per l'uffizio di pesatore delle monete del Banco, e per le mesate decorse, che non se gli sono liberate; questi signori cominciarono a discorrere, e considerando che tenea pretensione di 530 Duc. tra il prezzo dell'ufficio, interessi e salario, e parendo che quando più si dilatasse maggiore saria il danno del Banco, e che se questo Lanzetta avesse voluto domandare per via di giustizia, avrebbe potuto ottenere la sentenza, con spesa maggiore; così tutti d'accordo risolsero che se li diano ducati trecento, per il prezzo di detto ufficio, e tutte le sue

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pretensioni e salarii, con che venda, ceda e renunzi al Banco il detto uffizio Mag. Not. Jacob. Ant, de Auriem ma piglierà a beneficio del nostro Banco, de Santi Iaconi o e Vittoria, la cessione seu vendita, che Francesco Gregorio Lanzetta fa del suo ufficio, dì pesatore del detto nostro Banco, comprato per lui dalla Regia Corte sua vita durante, il quale oggi cede, vende e retrocede al detto nostro Banco, una con tutte le sue spese fatte in esso etc.».

Ma per ogni vacanza nascevano difficoltà, e le dispute col tìsco durarono fino al 1796, epoca nella quale fu riconosciuto finalmente il dritto di prelazione dei banchi. Si convenne che dovessero pagare D. 435 per ogni nomina di nuovo pesatore, restando però liberi di farne esercitare le funzioni da chi loro piacesse (dispaccio 14 maggio 1796). Non valsero le dimostrazioni d'inutilità dell'ufficio, perché dimenticate le prammatiche del secolo precedente, e perché soppresso da molto tempo l'uso di pesare le monete, che invece si dovevano nelle casse numerare.

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19. Molti mesi del 1656 e 1657 restarono chiusi i banchi per la peste. Un maligno detrattore, Aut. Rossi (1), attribuisce a quel flagello la ricchezza alla quale giunsero nel secolo XVIII. Secondo lui, la necessità dì bruciare le suppellettili, e specialmente le carte degli appestati, fece distruggere enorme quantità di fedi di credito, ed i banchi diventarono così proprietarii delle somme consegnate loro a titolo di semplice deposito.

Esistono in archivio libri contabili, corrispondenze e deliberazioni di Protettori colle quali si prova luminosamente come i banchi, lungi dal trarne beneficio, consumarono porzioni ben notevoli dei loro patrimoni nella spesa per mantenere i lazzaretti, ed in prestiti al Comune di Napoli, che poi non furono restituiti.

In seguito fecero dai banchi sopportare la spesa delle quarantene; ed a questa, probabilmente, si dovette l'incolumità del Regno di Napoli, dove, dopo del 1657, non s'è più diffusa la peste bubonica (2).

(1) Il diritto del Re delle due Sicilie sopra i banchi di Napoli, 1779.

(2) Libro maggiore del Banco Pietà-«Deputati della salute di questa città di Napoli; dare, ducati 1100 improntatili, cioè D. 50 per conclusione dei 27 settembre 1720 e D. 1050 per conclusione dei 19 giugno 1721, in occasione delle guardie che si facevano nelle marine di Marsiglia, per conservare questo pubblico dal male contagioso ch'era in Marsiglia; con dichiarazione e condizione che si debbano restituire sempre che per detta causa pongasi imposizione sopra l'arrenda menti, fiscali od adoe del regno.

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È possibile che nelle casse fosse rimasta la moneta equivalente a qualche fede bruciata, perché spente dalla peste tutte le persone che ci potevano vantare dritto. Ma tale straordinario e legittimo provento fu di poca importanza, per la ragione che si pagava allora, come si paga adesso, il valore dei titoli apodissari perduti o distrutti. Incolumi restarono, anzi esistono ancora, i registri d'emissione delle fedi, chiamati Libri Maggiori. Potevano per conseguenza gli credi delle vittime del contagio chiedere la restituzione dei depositi, e la scrittura prova che molta gente si valse di tale dritto.

Più del pubblico se ne valsero i Viceré, che formarono un apposita commissione, per impossessarsi dei beni vacanti, la quale dette grandi fastidì ai governatori di banchi. Non si trattava di solo contagio. Pretendeva il fisco che a lui spettassero tutt'i crediti abbandonati e tutto il denaro demortuo. Un premio della decima parte, qualche volta del sesto, era pagato alle spie. Non mancarono perciò tradimenti d'impiegati subalterni e pratiche d'intriganti, che tentavano d'arricchire colle casse dei banchi. Nel 1679, l'istituto Spirito Santo dovette transigere, pagando D. 6000 per alcuni pretesi debiti apodissari dimenticati, di data anteriore al 1622 o 1647; e non gli valsero le prove contabili che di quell'epoche non ci fusse in tesoro nemmeno un centesimo; perciocché al 1622, epoca della sospensione di pagamenti per le zannette, aveva fatto la completa liquidazione, cedendo ai creditori quanto possedeva; e nel 1647 lo stesso fisco, cioè la cassa militare spagnuola, col pretesto di non farne impossessare i rivoluzionari, aveva preso denaro e pegni, lasciando al Banco il dovere di pagarli. La transazione non impedì di spendere altri D. 400 nel 1683, ed altri D. 1500 nel 1697; sempre per ragione di denaro demortuo e di pretesi crediti dimenticati.

Nel secolo XVIII furono più importanti e più numerosi li piati giuridici, che i Governatori cercavano di prolungare, e quand'erano messi alle strette, di transigere per la minore somma possibile.

Le lotte sostenute dai Governatori del Banco Pietà, gli anni 1677 a 1682, meritano d'essere ricordate, perché quei coraggiosi uomini rischiarono la libertà, e forsanche la vita, coll'opporsi tanto risolutamente agli ordini del Viceré.

Gennaro Alova, Segretario di detta deputazione, ai 27 ottobre 1723, ha presentato copia della conchiusione di detti deputati, che si conserva in questa razionala, nella quale sta dichiarato che il nostro monte deve essere soddisfatto di detto impronto, per aversi detti deputati esatta detta imposizione sopra detti arrendameli fiscali ed adoe».

Questa ed altre partite, della medesima natura non furono mai pagate e compariscono sui successivi registri, fino alla liquidazione del 1808.

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E notisi che non avevano l'appoggio della pubblica opinione o favore di popolo, trattandosi segretissimamente la cosa; tanto che stimiamo vera fortuna d'avere scoperta la conclusione del 3 settembre 1682, (1) dov'è minutamente raccontato tutto e sono copiati vari documenti. Le ragioni espresse più di dugento anni fa valgono anche adesso, per esonerare i banchi dall'inquisizioni fiscali; e le promesse solennemente fatte con pubblici decreti, per titolo di transazione e di prezzo, dal Re di Spagna e dal Viceré di Napoli, si dovrebbero rispettare da chi è succeduto negli obblighi non meno che nei dritti.

La sollevazione di Messina, celebre per le gesta navali di Ruvter e di Duquesne e per la partecipazione degli Olandesi e Francesi, aveva esaurito di navi, d'uomini e di denaro il regno di Napoli, sul quale, come prossimo possedimento spagnuolo, cadde tutto il peso della guerra. Il Viceré, Marchese de Los Velez, si valse del Monte della Pietà, pei suoi prestiti più o meno forzosi, ed ebbe novecentomila ducati. Ma, piacendogli più di prendere che di sottoscrivere obbligazioni, pensò di far perquisire dal suo giudice di Vicaria, Giovan Battista Rocco, i libri d'un istituto che dava prove di straordinario potere e ricchezze pei medesimi servigi che allora gli rendeva. Somma di tale importanza, che rappresentava più della metà di tutta la moneta metallica circolante allora nel regno di Napoli, non ci era esempio che si fosse in poche settimane raccolta e consegnata da un solo Banco. Los Velez dunque supponeva che nei libri, dal sig. Rocco, si sarebbe scoperto molto denaro demortuo, ed avrebbe la cassa militare fatto un bell'introito.

Al suo biglietto fecero i governatori rispondere che danni gravissimi avrebbe potuto cagionare tale visione delli libri, in disservizio del Re (N. S.) e del pubblico, per lo dubbio che certamente ognuno avrebbe avuto di non stare sicuro del suo denaro nel nostro banco".

Replicato dal Viceré che, senza lo strepito d'un accesso del Giudice Rocco nel Banco, potevansi i libri portare nel palazzo reale, ed ivi, con la debita cautela e segreto, compiere l'inquisizione, i governatori dissero che la sola mancanza dei registri dai loro soliti posti era più che sufficiente per la divulgazione del fatto. Come nascondere agl' impiegati che li scrivevano, ed agli archivisti che li tenevano sotto chiave, e che rispondevano della buona custodia, la temporanea sottrazione di tanti volumi?

(1) Archivio patrimoniale voi. 178 pag. 53 e seguenti.


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Aggiunsero che: praticando la consegna e pubblicando l'ordine;

"1.° Si sarebbe insospettita tutta la città, vedendo novità non mai praticata. Senza passare ad investigare il fine, ciascuno, per assicurare il suo, s'avria tirato il denaro dal banco; con grandissimo pregiudizio ed interesse non meno del nostro Banco e Monteche degli altri banchi di questa città, per la negoziazione e credito che fra essi passa. Questo saria poco in riguardo del disservizio che ne saria seguito alla Regia Corte, per la contrattazione pubblica,e pagamenti che di somme grandiose si fanno dal Banco per servizio dell'armate, vendite dei fiscali e degli altri effetti del real patrimonio, la massima parte dei quali si è pagata e si paga con denaro che sta in credito in detto banco.

"2.° Per la fede che si mancava ai banchi, ed alla negoziazione pubblica, con riconoscere le sostanze e credito di ciascuno; desiderando ognuno di coprire al possibile il suo avere, ed in tanto si confidano nei banchi in quanto che stanno accertati che non si da notizia a chi si sia dei loro crediti, dimodoché nemmeno ad istanza del fisco si fanno simili diligenze e ricognizioni. Solamente quando il fisco tiene notizia o desidera notizia particolare di qualche partita spettante a suo benefìzio, o per successione, o per delitto di quello che tiene il denaro in credito nel banco, si fa la diligenza; e trovandosi tale credito si sequestra. Ma non si procede per via d'inquisizione o ricognizione generale nei libri. In questa conformità si è praticato sempre.

"3.° Con praticarsi l'ordinato in detto viglietto si veniva a contravvenire alle regole ed istituti dei banchi, per li quali sopra ogni cosa s'incarica e prescrive la confidenza e segretezza. L'osservanza di queste in particolare si giura dai governatori nell'atto del possesso; e si gastiga severissimamente, negli officiali e ministri inferiori di banco, ogni menoma trasgressione o difetto che in ordine a questa materia commettessero".

Sebbene i sei Protettori avessero detto, in questa rappresentanza, che si offrivano di fare essi medesimi le diligenze desiderate dal Viceré, ovvero che le poteva compiere il Delegato Duca di Sant'Angelo, il quale era ministro Regio, zelantissimo del real servizio, che per le sue funzioni di capo del Banco teneva comodità di procedere a qualsiasi studio, senza strepito,

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senza screditar l'istituto: con accerto del Real servizio e gusto di Sua Eccellenza, poche imperiose parole di risposta fecero loro sentire che la diligenza era importantissima al Regio Fisco e di tale qualità che se ne rendeva inescusabile l'esecuzione".

Ma i Protettori non mancavano di fegato. Dettero al Delegato Sant'Angelo, perché la presentasse a Los Velez, questa nobile protesta:

"Sig. e Padrone Oss. Avendoci V. S. partecipato gli ordini di S. E. (con viglietto della segreteria di guerra del primo di questo mese) nel particolare di alcune diligenze, imposte al signor Giudice Giovan Battista Rocco, sopra li libri di banco di questo Sacro Monte della Pietà, e che si consegnassero li libri al medesimo ministro, fummo a supplicare V. S. acciò rappresentasse a S. E. li molti inconvenienti che sopra la pratica di tali diligenze occorrevano; quali tutti stimiamo che da V. S. con la sua gran prudenza,e lo zelo con lo quale governa questo luogo, e mira in sommo grado l'interessi del Re (N. S. che D. G.) siano stati tutti ragguagliati a S. E. con quella premura che ricerca il negozio.

"Ma perché di nuovo V. S. ci ha significato che l'E. S. con altro viglietto degli 8 stante, ha insinuato doversi fare le diligenze ordinate, coll'altro spediente che li detti libri con ogni segretezza si portassero a palazzo, noi abbiamo stimato non meno obbligo nostro che servizio del pubblico, e più precisamente del Re (N. S) che è tanto a cuore all'Eccellenza del signor Viceré,a piedi del quale sariamo stati a rappresentargli il tutto; ma per evitare che tal materia si divulgasse non l'abbiamo fatto; avendo risoluto, per mezzo di questo foglio, di nuovo ricordare a V. S. non solo lo stesso che a voce se li rappresentò, ma che questa è una materia così dellcata, che non solo è abile a partorire gli inconvenienti tutti discorsi da noi, ma molto maggiori; perché il volgo che non discorre con ragione, e chi la discorre, per assicurare il suo, non vuole dipendere da contingenze; e vedendo che si fanno tali diligenze, non praticate in tempi migliori di questi che corrono, stimano essere per altro fine di quello che in realtà è. In conseguenza ognuno tirerà il denaro dal Banco, per non stare soggetto ad accidenti.

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"Quale sospetto tanto più s'accrescerla quando si vedessero portare li libri in Palazzo, ed il publicarsi sarebbe cosa inevitabile;mentre quella secretezza che desidera S. E. doversi praticare, quando si adoperasse al massimo segno, è impossibile che non sia nota almeno all'ufficiali del banco, che è tanto quanto farsi nota a a tutta Napoli; e l'istessa diligenza, per fare che il negozio non si palesi, causa più sospetti e maggiori conseguenze perniciose. Ben sa V. S. che mercé la sua buona direzione, e protezione oculatissima che tiene, questo luogo si è reso cosi ragguardevole che dal suo credito dipendo quello degli altri banchi della città,per la negoziazione così grandiosa che in esso è. né per diligenze, anco che fossero d'interesse del fisco, si deve porre in azzardo tutto l'essere di questo luogo, anzi tutta la negoziazione del Regno, con le conseguenze che potriano accadere, in disservizio maggiore del Re (N. S.) in questi tempi così calamitosi.

"Ed a fine che l'interessi del fisco non patissero detrimento bensì potrebbero praticare l'espedienti altre volte usati, ed insinuati a voce a V. S.; né questa materia tiene bisogno di espressione di altre ragioni; mentre la novità può partorire contingenze non previste, e fuori di ogni ordine e discorso.

"Ed il nostro sentimento si rende maggiore, che avendo servito e servendo questo luogo assolutamente per obbedire ai comandi di S. E. ed invigilando a tutto potere, per quanto si stendono len ostre deboli forze, al servizio di esso, avesse a tempo nostro, che a Dio non piaccia, da seguire inconveniente di tanta conseguenza. Che perciò, non avendo in questo particolare altro fine che il servizio del Re (N. S.) e di complire all'obbligo di suoi fedelissimi vassalli, e di buoni servitori di S. E. supplichiamo V. S. disporre con 8. E. che provveda, se così resterà servita, dì altri governatovi di maggior talento, acciò, con quella prudenza ed. abilità che a noi manca, diano esecuzione alle diligenze ordinate in detti viglietti. E da V. S. baciamo le mani. Dal Monte della Pietà, li 10 ottobre 1677. Di Vostra Signoria. Aff. ed obb. serv. Li Protettori del Monte della Pietà - Luigi Carmigiiano - Adriano Carafa-Annibale Brancaccio - Federico Cavalieri-Francesco de Grazia -Giuseppe Lavagna.

Los Velez tento d'impaurire i governatori, con altro viglietto del 17 ottobre, nel quale comandava al Delegato che li disponesse a are la consegna dei libri, senz'altra replica;

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ma Carmignano o gli altri notarono ch'essi non erano facchini, e non avevano l'obbligo di pigliarli con le proprie loro mani. Quando a S. E. fosse piaciuto di portarseli a Palazzo, dasse addirittura gli ordini al suo ministro e spedisse i suoi dipendenti.

Messina non era sottomessa, la pace di imega si doveva concludere, ed il regno di Napoli era tutt'altro che quieto a queir epoca. Dovette il Viceré dubitare che questo capriccio di perquisire li libri della Pietà potesse menare a brutte conseguenze, poiché non ardì di punire il recalcitrante governo, né di licenziarlo, e nemmeno di sequestrare senza sua partecipazione e consenso le contese scritture. Dopo d'avervi pensato un intero mese, scrisse, ai 17 novembre 1677, che, fatta matura riflessione al negozio, egli dichiarava contumaci li Protettori, repugnanti di dare esecuzione ai suoi comandi; sospendeva non pertanto l'effetto delle sue risoluzioni, volendo che le conoscesse prima il Re.

Ma i Protettori non lo fecero parlare solo. Scelto, per patrocinare la causa del Monte nella Corte di Madrid, il Reverendo D. Luca Cofino, gli mandarono le copie di tutte le lettere scambiate, il minuto racconto dei fatti, ed alcune istruzioni, per ottenere da S. M. un giudizio illuminato. Siccome Los Velez non aveva consultato il Consiglio Collaterale, che, per la costituzione del regno, e pei privilegi della città di Napoli, doveva interloquire in simili vertenze, fecero rilevare quest'infrazione, e con grande destrezza restrinsero le lor richieste a questa sola.

"Si supplica Sua Maestà a restar servita di ordinare che non si innovi cosa alcuna sopra tal materia, o vero che, avendo da risolvere altrimenti, comandi che il Collaterale di Napoli o Tribunale della Regia Camera ne l'informi, acciò si veda se quanto se li rappresenta dalli Protettori sia vero, e la Maestà Sua, meglio informata, possa risolvere quello che sarà di maggior suo servizio, I e dei suoi fedelissimi vassalli".

L'istruzioni al Reverendo Cofino suggeriscono di far notare:Li Signori Viceré in ogni occasione hanno ritrovato questo luogo prontissimo al Real servizio, con imprestiti di considerazione |nelli maggiori bisogni, e più frescamente in questi affari di Messina, in più volte e di somme notabili, fino al segno di pigliare il denaro ad interesse dai particolari senza interessare la Corte,,

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Cosa verissima e provata dai libri contabili d'allora, che forniscono informazioni sul commercio dei fondi pubblici, nel quale la Pietà era il sensale e mallevadore. Essa si costituiva debitrice dei cittadini, che le prestavano il denaro, e creditrice della finanza, alla quale lo passava per via di compre, darrenda monti. Quando pagava il fisco, c'era una differenza d'interessi, derivante dal maggior credito del Monte, che procacciava qualche guadagno; ma in tempi di guerre, di rivoluzioni, o di crisi economiche, non si rispettava l'ipoteca, non tenevano conto dell'assegnazione fatta dal provento dell'imposte, ed il Monte restava col peso degl'interessi da lui promessi, senza nulla riscuotere dal suo debitore. Avevano ben ragione di dire i Protettori

"Questo hanno potuto farlo pel credito e buon nome che ha tenuto il Banco.... se, per qualche sinistro accidente,perdesse il credito, si lascia considerare ad ogni saggio intendimento il disservizio che ne risulterà alla Real Corte, in questi tempi così calamitosi.... devesi il mantenimento di questo luogo preferire a qualsivoglia altro utile presentaneo potesse cavare la Corte, con tali diligenze e perquisizioni nei libri, dato che ci fosse,il che non si crede.... il ritratto per la vendita del Real patrimonio, alienato per l'emergenze di Messina, tutto è stato di denaro che stava in credito nel banco, eccettuatone solo alcune poche partite e di non molta considerazione passate per altri banchi; così anche li pagamenti dell'armate, ed in particolare di quelle di mare, cavalleria del regno, milizie nella piazza d'armi di Peggio, impronti ad assentisti, ed ogni altra cosa, per servizio della Corte, è stata prontamente e con ogni puntualità eseguita dalli Protettori".

Ricordato che poco tempo prima avevan donato alla cassa militare ducati quarantamila, avanzo per l'alterazione del valore degli zecchini, fatta dal Marchese d'Astorga quale avanzo per ogni dritto doveva restare a beneficio del Banco" aggiunsero queste altre riflessioni sulla pretesa di perquisire li libri.

"Discorrendo del maggiore interesse o utile presentaneo che potrebbe avere il fisco, in questa perquisizione dei libri, questo sarebbe per ragione dei beni vacanti, in caso che qualche creditore del Banco non avesse legittimo successore; ed a questo si devono considerare più cose":

"1.° Che l'utile preteso per questo caso sarebbe molto poco; mentre quelle devoluzioni che vi sono state per causa del contagio già ebbero in pochi anni il loro debito effetto; per la giunta che fin dall'anno 1656 si formò dei beni vacanti, quali furono incorporati a beneficio del Real Fisco.

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E quando succede il caso che si ha notizia di qualche partita che non ha successore, subito la Regia Camera dà gli ordini necessari per l'incorporazione a beneficio della Real Corte; conforme in questo mese di ottobre prossimo passato si praticò per le seguenti partite, con mandati del signor Presidente D. Nicola Gascon

"Giovan Nicola Spinola D. 76.04.12

"Suor Luisa Montaguida " 15.-.-

"Isabella de Patti " 140.-.-

"Capitan Luise Bravo de Braamonte " 47.1.11

"Prospero Turboli " 15.-.-

Quali subito dal detto Banco, con ogni prontezza, furono pagate a beneficio della Regia Corte. Eppure non mancano dottori gravi li quali attestano che questa sorta di denaro debba restare in beneficio del possessore, quante volte sia luogo pio, come appunto sarebbe il Sacro Monte della Pietà, che fa tante opere pie, e di gran sollievo dei vassalli del Re (N. S.).

"2.° Quando pure fosse utile di considerazione, non per questo si ha da presentire lo stile ed osservanze prescritte dalle leggi, che sarebbero le citazioni con bandi pubblici, denunciandosi l'eredità vacanti che s'intende d'applicare a beneficio della Regia Corte; acciò, essendovi legittimo successore, possa comparire, e quello non comparendo fra li tempi stabiliti, accusate le contumacie, si facci l'applicazione a beneficio della Regia Corte; ma non per via d'inquisizione generale, con investigarsi nei libri dei banchi le facoltà d'ognuno.

"3.° Sopra tutto si pone in considerazione che qualsivoglia utile, ossia avanzo facesse questo luogo, ridonda in servizio del Re (che D. G.) mentre quanto di avanzo si è fatto pel passato, tutto si è impiegato in servizio della Real Corte; alla quale, da pochi anni a questa parte, si soli fatti accomodi da questo Sacro Monte per la somma di D. 852280. 1.02. Quale buona parte si pigliò ad interesse dai particolari, come dalli bilanci cavati e consegnati altre volte ai Signori Viceré ed al tribunale della Camera; per li quali, benché dalla Regia Corte sia stato fatto assegnamento di fiscali ed arrenda menti, tuttavolta quelli non valgono il terzo, ed il Sacro Monte corrisponde ai suoi creditori per l'intero ed effettivo.

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Questo oltre di quattro altre partite, per la somma di D. 31725.1.07, delle quali resta liquido creditore,non avendone sinora ricevuto assegnamento alcuno".

Dal Reverendo fu patrocinato l'affare con tale destrezza che in tempo relativamente breve ottenne formale cedola Regia, per la quale al Monte si fece piena giustizia. Comandò S. M. li 13 febbraio 1678:

"

Visto quello che i supplicanti rappresentano e domandano col loro memoriale, abbiamo stimato bene d'ordinare e comandare,come facciamo, onde provvegga (il Viceré) e dia gli ordini che convengono, affinché non si faccia novità su questa materia nell'osservato fino ad ora per essa; per essere punto molto degno di riflessione, e perché può menare a cattive conseguenze l'alterare menomamente quello che riguarda li banchi. Quando occorra cosa particolare, mi s'informi (dal Viceré) e mandi il parere del Consiglio Collaterale, però senza innovare nel frattempo su quello che finora s'è osservato in tale materia, perché così conviene e procede dalla mia volontà".

Munita questa carta delle formalità di registro, vidimazioni ecc. fatta trascrivere sui libri dei decreti (in part. Neap. XIII vol. LXXXV) fidavano i Protettori che non li seccassero più per tale faccenda. Nondimeno, dopo pochi anni, morto D. Luca Cofino, morto il Reggente Galeota, ed allontanate le flotte francesi dalle spiagge del regno, ricominciarono l'insistenze del Viceré pel denaro demortuo e per l'inquisizione nei libri. Uomini meno energici tenevano il governo del Banco, che sebbene si potessero difendere meglio dei predecessori, per l'appoggio della cedola reale, stimarono buona politica spendere poche migliaia di ducati, a titolo di prezzo della formale rinunzia che si sarebbe fatta di qualsiasi pretensione di questa specie.

Dice il verbale "Sebbene da essi signori Protettori fossero stati rappresentati di nuovo, a voce ed in iscritto, gl'inconvenienti predetti, e le ragioni che li movevano a replicare ed a contradire ad una tal risoluzione, ciò non ostante dal signor Viceré fu di nuovo, con ordini apprettati (inquietanti) incaricata al sig.Reggente Delegato (D. Antonio Di Gaeta) la ricognizione predetta,col dippiù che pel passato stava ordinato sopra tal materia neiviglietti di sopra accennati; anzi, per quanto si era avuta notizia, stava ancora incaricata la predetta risoluzione ed esecuzione di essa (diligenza) ad altro ministro. Che perciò, essendo tal particolare ridotto in contingenze così precise, giuntatisi (riuniti in commissione) più volte li signori Protettori, e fatta matura riflessione a negozio di tanta importanza, fu considerato:

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"1.° Che con le rappresentazioni fatte tanto da essi Protettori, quanto dal signor. Delegato passato e dal signor Delegato presente, così a voce come con fogli reiterati, e con la detta cedola di Sua Maestà, non solo non si era posto silenzio, come si poteva sperare, nella materia; ma, non ostante tutto ciò, si era passato alla rinnovazione delli detti biglietti ed ordini precisi. Perciò, probabilmente, si dovrà temere di molti disturbi, con gran discapito del Sacro Monte.

"2.° Che, in certo modo, venivano molto pregiudicate buona parte delle ragioni allegate, per l'esempio che avevano dato l'altri banchi di questa città, che per detta causa s'erano transatti con la Real Corte, come erano stati li Banchi dello Spirito Santo, Santissima Annunziata, del Salvatore e del Popolo.

"3.° Si fè riflessione all'ordini che continuamente mandava il Presidente della Regia Camera, D. Nicolas Gascon, per pagamento di diverse partite in testa di molte persone, li beni delle quali si supponevano essere vacanti, come morte senza legittimo successore; per li quali ordini veniva necessitato il nostro Sacro Monte non solo a pagare le partite che si trovavano in essere, ma per l'altre dare li dovuti discarichi, con le giustificazioni anco, all'Attuari della Camera che venivano per tale effetto".

"Per ultimo si dubitava grandemente che con effetto non si fosse venuto alla risoluzione dell'accesso di qualche Ministro nel Banco, per fare la ricognizione generale delli libri in conformità dei primi ordini. Quando ciò fosse seguito, potevano succedere; gl'inconvenienti temuti dalli signori Protettori, e si veniva a rompere quella fede che sempre si è osservata nei banchi, in non far palese, per via di diligenze o altra inquisizione, l'avere di a ciascheduno che tiene credito nelli libri predetti.

"Che perciò, per non porre in azzardo negozio di tanta conseguenza, e per evitare tant'inconvenienti che la risoluzione comminata in detti viglietti avesse potuto partorire, fu da essi signori Protettori discorsa e molto ben esaminata la materia, con più sessioni tenute nelle congregazioni particolari, per negozio di tanta importanza. E in congiuntura che S. E. aveva fatto aperura di venire costretto a tal risoluzioni dall'appretti grandi e necessità nelle quali si ritrovava la Real Corte, considerando ancora che il nostro Monte, in simili urgenze della Real Corte, si era segnalato nel servirla con accomodi di somme rilevanti;

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si pensò di servire la Real Corte, a titolo d'accomodo, con ducati quattromila di contanti e con ducati duemila di fiscali attrassati sopra diverse terre, nei quali il Monte di presente non tiene interessi, cedendoli a beneficio della Regia Corte per tali quali,senza che il nostro Monte fosse tenuto a cosa alcuna, in caso che non si fossero esatti. Quale offerta, dopo molte risposte e proposte, a rispetto delli denari contanti, fu aumentata di partita in partita fino alla somma di ducati cinquemila; con che però all'incontro, per esecuzione di detta Real Cedola, si fusse da Sua Eccellenza e suo Collateral Consiglio quietato e liberato il Monte dalla pretensione della ricognizione dei libri, con ammettersi tutte l'altre ragioni per tal causa insinuate da essi Signori Protettori ecc.".

Il Viceré fece infatti scrivere l'ampia e formale rinunzia di qualsiasi pretensione, col dispaccio spagnuolo, per segreteria di guerra, del quale ecco la traduzione:

"Al Reggente D. Antonio di Gaeta Delegato del Consiglio Col c; laterale e Luogotenente della Camera - Facendo attenzione il Marchese, mio Signore, a ciò che hanno rappresentato li Governatoli del Banco della Pietà, circa li gravi inconvenienti che possono succedere, nel caso si praticasse quella perquisizione dei libri che S. E. aveva disposto, per riconoscere ciò che s'appartiene alla Real Corte, per ragione di crediti suoi propri e per ragione di beni vacanti; supponendo che così si mancherebbe alla fede che devesi osservare a quelli che tengono li lor crediti messo Monte, dei quali crediti non si conosce la quantità che tiene ciascuno, ed è questo segreto la cosa che mantiene li banchi ed induce le persone a conservare in essi le loro cautele, con la sicurezza che saranno tenute nascoste come se le ritenessero nelle loro case. Fatto pure attenzione a ciò, che la fondazione dei banchi trae per necessaria conseguenza che qualsiasi utilità prodotta dalla negoziazione, la quale fosse per' denaro dimenticato, ovvero perché li padroni non tenessero legittimo successore, si debba reputare di spettanza del Banco, in ricompensa di tanti danni che per diverse cause ed accidenti subisce, non ostante qualsiasi pretensione del Real Fisco. E quanto pure spettasse azione al Fisco sopra tal denaro, rispetto che li Banchi stanno sotto la fede e protezione del Re,

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ed il loro mantenimento non solo ridonda in beneficio del pubblico, ma anco della Regia Corte, si dovrebbe abbandonare qualsiasi ragione o pretensione tenesse il fisco, perché così non si verrebbe a far danno alla Real Corte. Tenuto conto ed in conseguenza di ciò che Sua Maestà dispose per dispaccio dei 13 di febbraio del passato anno 1678, in vista dei riferiti inconvenienti. Specialmente considerato quanto sia giusto di far riflessione al beneficio che di tempo in tempo ha percepito e percepisce la Corte istessa dal mantenimento dei banchi, ed in particolare di cotesto (della Pietà) per li molti prestiti che n'ottenne in varie occasioni; oltre di che la maggior parte del suo capitale l'ha impiegato in compre con la Corte, sopra arrendamenti e fiscali, le di cui obbligazioni, per accidenti dei tempi, hanno subito quel discapito ch'è noto; ed è certo che il Monte, per tali compre, sopporta il peso effettivo del denaro pigliato ad interesse per tal'investimento; oltre dell'altre quantità, similmente di molta considerazione, che ha pure prestato alla Corte, e delle quali resta debitore di molte persone, come consta dalli fogli presentati da V. S."

"Credendo S. E. che le cose rappresentate dai Governatori fossero motivi e ragioni sufficienti per giustificarne le sollecitazioni, come V. S. ha manifestato, ha condisceso alle loro istanze, ed ha disposto che non si proceda giammai per questo fatto; che il Banco non si molesti per questa causa da nessun tribunale o ministro delegato, nemmeno per istanza del Real Fisco. Ciò in considerazione delle ragioni espresse. E per quanto si riferisce a beni vacanti, S. E. lo concede in vista d'avere li governatori offerto di servire S. M. con cinquemila ducati di contanti, che presteranno immediatamente alla cassa militare, per accudire di parte alle presenti urgenze, più con duemila ducati d'esazioni di fiscali che appartengono allo stesso Banco, giusta la nota presentata, perché la R. Corte se l'esigga ai termini della cessione necessaria che ne faranno. Però con dichiarazione che l'una e l'altra somma si dà per titolo d'imprestito.

"Tutto quanto precede comunicherà V. S. ai mentovati Governatori, affinché, sapendo la risoluzione favorevole di S. E. adempiano, per parte loro, a quello che hanno offerto".

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"Guardi Dio la S. V. - Palazzo 1 settembre 1682. - D'ordine di S. E. - Don Manoel Bustamante.

Curarono i Governatori di far approvare questo viglietto o dispaccio dal Consiglio Collaterale, per dargli il valore d'un contratto e l'autorità d'un pubblico decreto; come pure fecero il pagamento della somma mediante pubblico strumento, di settembre 1682, per notar Giuseppe Raguccio.

20. Il Marchese del Carpio vide la necessità di abolire definitivamente la vecchia moneta e provvide alla spesa mettendo una sopraimposta sul sale di grana 15 a tomolo, accresciuta poi a grana 30, ed in seguito a grana 37 12; il cui reddito avrebbe dovuto servire all'esercizio della zecca ed in particolar modo a pagare le perdite che avrebbe fatto subire la fusione, affinamento e riconiazione di monete scarse.

Al carlino fu dato il peso di acini 63 1"[2, peso proporzionale agli altri pezzi più grossi e più piccoli; titolo dell'argento 1112; cioè 1[12 di lega.

Il lavorio della zecca durò cinque anni e De Haro non ebbe la soddisfazione di vederlo terminato, né di cominciare i pagamenti con la nuova moneta, essendo morto prima che se ne fosse apparecchiata bastevole quantità (D. I banchi presero grandissima parte a questi preparativi con tre successivi prestiti, pei quali dettero ducati quattrocentomila, e col servizio di cassa, pel quale essi curarono di togliere dalla circolazione, e di barattare con altro nuovo tipo, tutta la valuta metallica del regno.

«Conclusione 2 di settembre 1682. Banco San Giacomo. Avendosi da cominciare, con la grazia di Dio benedetto, a battere la nuova moneta, nella conformità risoluta dalla Regia Giunta, giusta li banni pubblicati; ed a tale effetto dovendosi non solo far compre d'argenti, ma anco ritirarsi tutta la moneta vecchia, per doversi fondere e ridurre nella moneta nuova, senza nessuna perdita dei banchi ne dei particolari;

(1) Dal 1683 al 1687 la zecca coniò per due. 3,0-12,916. Prima di metterli in circolazione l'altro Viceré, Conte di Santo Stefano, aggiunse un decimo al valore nominale, sicché divennero ducati 3,347,207. Dal 1688 al 1690 si coniarono altri D. 2,10,225. Totale D. 5,455,432, che pel nuovo accrescimento di 20 per cento, comandato nel 1691, diventarono D. 6,546,518.

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mentre, per la refazione del danno ed interesse che si dovrà patire, nel cambiarsi la moneta nova con la vecchia, dalla medesima Regia Giuntasi sono pigliati gli espedienti già posti in esecuzione; e fra gli altri dell'aumento del prezzo di tutti li saliche si smaltiscono in questa città e regno, di grana 15 per tomolo. Il capitale dei quali (espedienti) si è fatto conto che possa importare un mezzo milione e più. Perciò, fra questo mentre, acciò, senza perdersi momento di tempo, si possa aprir la zecca, e cominciarsi la stampa della nova moneta, si propose dalli signori Governatori dei Banchi, che intervengono per ordine di S. E. (il Viceré) nella medesima giunta, d'improntarsi ducati centocinquantamila alla Regia zecca, per doversi applicare prontamente la compre d' argenti.«E come che sinora non vi è comparsa offerta ragionevole per vendita di detti argenti; essendo stata l'ultima a ragione di due 12 Ij-l la libbra, quando si è stabilito il prezzo di ducati dodici in detta regia giunta, alla quale ragione si è ragguagliato il peso e la bontà della moneta nova; perciò, li medesimi signori governatori proposero, nella istessa regia giunta, di voler applicare li detti ducati centocinquantamila incompra sopra l'istesso nuovo prezzo di grana quindici per tomolo di sale(1); promettendo pagarli a detta regia zecca, della miglior moneta che si trova in ciaschedun banco,acciò con quelle si possa cominciare la stampa della nuova moneta. Quale proposizione essendo stata bene intesa ed accettata in detta regia giunta, si sono formate le minute,con consulta di molti avvocati, anche dello stabilimento, per la forma e governo di detto novo arrendamento di grana 15 per tomolo di sale, quali sono state viste, postillate e convenute col Regio Fisco, e accettate nella medesima regia giunta. «Or dovendosi procedere alla stipulazione di quelle con S. E. perciò abbiamo conchiuso che con effetto si stipulino dette minute, per la somma di docati ventimila, che entrano per la porzione spettante al nostro Banco di S. Giacomo, fra detta somma di ducati centocinquantamila, ripartita fra tutti li Banchi ; con doversi pigliare della miglior moneta che si ritrova, tanto nella cassa piccola che nella cassa maggiore. Ed a tale effetto abbiamo dato le facoltà al D. sig. Giuseppe Pandolfi, nostro collega, che intervenne anche lui perdetto nostro banco in detta regia giunta, acciò, in nome di tutto il governo,possa stipulare dette minute con S. E. promettendo aver per rato, ed a maggior cautela anche di ratificare la stipulazione che si farà,in nome di tutti noi, dal detto signor D. Giuseppe Pandolfi nostro collega- Camillo Pandolfi - De Luca.

Crediamo che sia questo uno dei più antichi esempii di esercizio delle zecche assunto da banchi. Gli è vero che la moneta fu battuta per ordine del Viceré, nella officina governativa, ma la parte veramente difficile dell'operazione, cioè la consegna della massa metallica, fu opera degl'Istituti di credito Napoletani.

Tra le pergamene del Banco Pietà (volume 36 numero 8) non manca

(1) Cioè mutuo allo Stato del quale gl'interessi sarebbero pagati col reddito della sopraimposta di grana 15 a tomolo sul sale.

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la lettera esecutoriale dei regio assenso ai patti del mutuo per la nuova monetazione.

L'eccessiva lunghezza del documento, con la quantità di ripetizioni e di adempimenti notarili, non permette di stamparla tutta, ma ne trascriviamo la narrativa del contratto 3 settembre 1683.

".... Avendo risoluto S. E. per servizio del Re (N. S.) che Dio guardi, a beneficio di questa fedelissima città e regno, e del pubblico commercio, di fabbricare la nuova moneta e abolire la vecchia, per la sua mala qualità; la quale, per opera dei figli d'iniquità, si è ridotta a segno ch'è abbonita universalmente da tutti; con aver cagionato alterazione dei cambi, carestia di merci e molti altri inconvenienti, e che giornalmente ne minaccia maggiori. A tal fine formò una Giunta, alla quale destinò per capo D. Felice de Sansina y Olloa, Presidente del Sacro Regio Consiglio, con intervento di tutto il Regio Collateral Consiglio, del Signor Luogotenente della Regia Camera della Summaiia (1); dei Ministri del detto Real Sacro Consiglio di detta Regia Camera; Segretario del Regno; Avvocato fiscale del Real patrimonio; Otto governatori dei suddetti banchi cioè uno per ciascun banco (2); ed uomini di negozio; ed ultimamente vi aggregò anche gli stessi deputati di questa fedelissima città sopra la detta fabbrica di nuova moneta. Con ordine espresso che dovessero primieramente applicarsi a ritrovare espedienti per la refezione del danno ed interesse che s'incontra nella detta mutazione dalla vecchia alla nuova moneta, quali dovessero essere i più soavi, miti e meno sensibili al pubblico, e più universali. Laonde, essendosi esaminati più e diversi espedienti proposti in detta Regia Giunta, e quelli molto bene ruminati e discussi; finalmente s'applicò fra gli altri a questo, cioè, che sopra il prezzo dei sali che si smaltiscono così per tutta questa città,

(1) D. Antonio de Gaeta.

(2) D. Luigi Carmignano uno dei sei protettori del sacro Monte e Banco della Pietà.

(3). Federico Tommacello governatore, per la piazza del Sedile Capuana, della Santa Casa e Banco della Santissima Annunziata.

Dottor Onofrio de Rosa, uno dei cinque governatori del banco del sacro Monte dei poveri del nome di Dio.

D. Domenico Maria Caracciolo, Marchese di Villamaina, uno dei governatori della Santa Casa e Banco dello Spirito Santo.

D. Giuseppe Pandolfi uno dei governatori del Banco dei santi Giacomo e Vittoria.

D. Costantino de Aulisio , uno dei governatori della Santa Casa e Banco di Sant' Eligio.

Dottor Leonardo Paterno, uno dei quattro governatori del Banco di Santa Maria del Popolo.

Dottor Rodolfo Marano, uno dei governatori del Banco del Santissimo Salvatore,

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come per tutto il presente regno generalmente, si dovessero accrescere altre grana quindici per tomolo; quali si dovessero pagare da tutti universalmente, senza nessuna eccezione di persona, franchigia, né immunità che si potesse pretendere; fuorché i locati della regia dogana di Foggia, i Padri Cappuccini, e Padri riformati dell'ordine di San Francesco d'Assisi. Qual'espediente non solo fu così concluso da tutta la Regia Giunta, ma anche vi concorse poi tutta la Deputazione di questa fedelissima città, e similmente tutte le sei Piazze uniformemente; e così fu approvato e determinato da Sua Eccellenza e dal suo Collateral Consiglio e già si trova posto in esecuzione; acciocché la rendita delle grana quindici a tomolo si avesse potuto vendere e ridurla in capitale, con i quali si spera averne una buona somma, per applicarla alla refezione del danno ed interesse che s'incontra in detta refezione".

".... E desiderando li governatori dei suddetti otto banchi di questa fedelissima città, per maggior servizio del negozio, e per un pronto soccorso alla regia zecca, d'applicarsi ducati centocinquantamila, respettivamente ciascun d'essi per la somma che si dirà, hanno rappresentato alla Regia Giunta che si fosse dato uno stabilimento alla detta nuova esazione, il registro e norma con la quale s'avesse da governare, con dargli anche molte esenzioni e prerogative; acciò si fosse migliorata quanto fosse stato possibile la sua condizione, e si fosse potuto con maggior faciltà vendere il complemento d'essa; ed a tal fine i medesimi governatori hanno proposto i seguenti capi ecc.".

Le principali condizioni, stipulate nel contratto, furono:

Interesse sei per cento.

Obbligo di retrovendere quandocumque, sia al fisco,sia ai cessionari del ius ìuendi, quando fosse piaciuto alla R. Corte di restituire questo prestito.

Rendita annuale;

Banco Pietà D. 1800 Per un capitale di D. 30.000

Annunziata " 1200 " 20.000

" Poveri

" 1500 " 25.000

" Spirito Santo

" 1080 " 18.000

" San Giacomo

" 1200 " 20.000

" Sant. Eligio

" 1020 " 17.000

" Popolo

" 600 " 10.000

" Salvatore

" 600 " 10.000

" Totale D.

" 9000

Totale D. 150.000

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Il prestito da eseguirsi con la migliore quantità di moneta d'argento che si trovasse nei banchi, a scelta della zecca; patto espresso che non si potesse spendere pei uso diverso della riforma monetaria.

Nel caso che dalla sopraimposta sul sale non si ricavassero gli annui ducati novemila, ed anche niente s'ottenesse, i banchi niente avessero da pretendere.

L'arrendamento delle grana quindici a tomolo conceduto in piena proprietà alla zecca ed assegnato interamente per la rifusione delle monete. Calcolando che potesse rendere più di trentamila ducati all'anno, si disse che i primi novemila dovessero distribuirsi agli otto banchi, altri ducati ventunomila fosse lecito di vendere alla medesima ragione del sei per cento, od altra diversa, per aumentare il fondo disponibile. Il supero, netto di spese d'esazione ed amministrative, serviva in primo luogo per refezione dei danni e perdite della zecca; in secondo luogo per pagare ai creditori le porzioni d'interessi che per avventura non avessero riscosso negli anni di scarso provento; ed in terzo luogo si potesse consacrare alle retrovendite quandocumque per sopprimere la sopraimposta.

Pareggiata la condizione di tutt'i creditori, con la nomina d'una giunta amministratrice che incassava le rendite di tutte le province del regno di Napoli e ne faceva la distribuzione del sei per cento; senza potersi tollerare privilegi o prelazioni in pro di chicchessia. La giunta era composta da un delegato del Viceré e due governatori di banchi; da essa dipendeva la scelta degli esattori e contabili.

Si legge pure nel contratto la esenzione dalle ritenute per tassa, la promessa che non si sarebbe tolto l'arrendamento senza pagar prima questo debito, e tutt'i patti che si stipulavano a quell'epoca per le vendite d'imposte.

Nel 1(586 fu stipulato il secondo contratto, per altri D. 150000 di prestito, e nel 1689 il terzo pei residuali D. 100000. Esistono le copie autentiche che forniscono preziose informazioni sui concetti economici di quel tempo, poiché contengono i processi verbali delle discussioni nelle Piazze ed in varie commissioni governative. Vi si descrive una conversione di fondi pubblici, fatta con gli stessi criteri e con gli stessi metodi di quelle operate in vari paesi nel presente secolo XIX, che si credono escogitazioni moderne e gloria di viventi ministri.

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"... essendosi presentata congiuntura... che molte persone avrebbero voluto impiegare il loro denaro in compra dell'annue entrate delle due imposizioni di grana 15 per tomolo di sale,alla ragione di cinque per cento, quando quelle stavano vendute alla ragione di sei per cento; li signori Ministri e deputati, conoscendo il vantaggio a favore della regia zecca, che risultava dall'essere venduta detta rendita alla ragione di cinque per cento,dal che si sarebbero conseguiti ducati duecentomila di più di quello che vi era pervenuto, perciò, tenendo detta regia zecca il denaro, principiò a fare le polizze di restituzione dei capitalia favore dei consegnatari che avevano comprato alla suddetta ragione di sei per cento; moltissimi dei quali consegnatari, per non fare le retrovendite, si contentarono di bassare l'annue entrate ad essi vendute, dalla ragione di sei alla detta ragione di cinque per cento, ed alcun'altri si contentarono di ricevere il loro denaro e fecero le retrovendite. L'entrate delle predette retrovendite ed anche l'altre, rimaste a beneficio della zecca per detto bassamento, furono parimenti vendute alla ragione di 5.Laonde avanzò a beneficio della regia zecca la detta somma «di D. 200000".

Adunque la rendita di sessantamila ducati, che si presumeva potessero dare le due imposte, fu prima venduta a ragione di sei per cento, ed ottenne la zecca il capitale d'un milione, sottoscritto per D. 300000 dai banchi e pel resto da altri firmatari. Poi scemarono l'interesse a 5 °o, ma offrirono la restituzione del denaro (retrovendita) a chi non fosse contento. Giunse il capitale a D. 1200000, perché i banchi e molti azionisti si contentarono, e perché trovarono altri offerenti, al cinque per cento, delle quote disponibili. L'operazione tendeva all'aumento del debito. Anche la maggior parte delle moderne conversioni è servita ugualmente per dare introiti straordinari alle varie 'finanze, senza che crescessero l'imposte d'annuali passività dei bilanci.

Il Marchese di Santo Stefano, nuovo Viceré, fu meno onesto del predecessore, perché prima di mettere in circolazione i nuovi pezzi, li rincarò di un decimo; dando al carlino il prezzo di grana 11, e coniandone altri che pesavano acini 58 12. Il ducato per conseguenza ebbe il valore di carlini 11. Dicono i contratti che il prezzo dell'oro e dell'argento fosse allora cresciuto in tutto le piazze del mondo e particolarmente in quelle d'Italia; ma questa non era buona ragione per rinunziare alle comodità del sistema decimale. Niente impediva al Marchese di fissare per grana nove il prezzo di quel carlino vecchio ch'egli voleva rifondere e smonetare.


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Fu anche meno abile, perché non volle aspettare che la zecca fosse pronta. Sul finire dal 1688 ei pubblicò una legge per l'emissione delle nuove monete e pel ritiro delle vecchie, che ordinava il baratto nei primi dieci giorni del gennaio 1689. Dal giorno 11 gennaio in avanti le monete vecchie perdevano la valuta legale e sarebbonsi comperate dalla zecca a peso d'argento. Ad ogni cittadino poi, era data facoltà di far coniare le paste o verghe; pagando sole grana 32 a libbra.

Ma, per inesatta calcolazione di quanto potesse occorrere, non aveva il Governo provvedute sufficienti monete nuove pel baratto e ritiro, in soli dieci giorni, di tutta la valuta metallica che circolava nel regno. Riferisce l'ultimo contratto del 1689.

"Quando si sperava che il ritratto avuto dalle due imposizioni di grana quindici l'una per tomolo di sale (1); dal bassamento di dette rendite con vendita degli annui ducati diecimila bassati e rilasciati dai consegnatari (2); dall'annata delle rendite dei forastieri ed abitanti esteri (3); dall'avanzo del prezzo delle dette monete d'argento (4), e delle doble e zecchini, fossero stati bastantissimi per la refezione del danno dalla moneta vecchia alla moneta nuova, si è visto non essere bastante col ritratto e ritiro della moneta vecchia. Essendo quella, per l'industria e mal talento dei figli d'iniquità, ridotta a segno che pochissimo ritratto si è ricavato. E similmente, quando si credeva che nella città e regno; non vi fusse stato più di un milione e mezzo di moneta vecchia, sopra la quale somma si era fatto il conto di quello che poteva mancare per la mala qualità di essa, e si erano pigliati li suddetti espedienti, al ritiro della detta moneta vecchia si è ritrovata quella ascendere alla somma di D. 2600000 circa. Perloché tutto il ritratto, pervenuto da tutti li suddetti espedienti come sopra pigliati, non è stato bastante per la refezione suddetta;

(1) Un milione di ducati.

(2) Ducati duecentomila.

(3) Ducati duecentomila. Due volte per ragion di riforma monetaria; molto spesso con pretesto di donativo od urgenze dello stato si confiscò l'intera rendita di un anno agl'individui che non erano protetti dai privilegi municipali e dalle costituzioni dei vari regni spagnuoli. Dice questo contratto - ed anco che tutti li forastieri che tengono azienda in questo Regno, e medesimamente li napoletani e regnicoli che tengono fuori di questo regno casa di abitazione fissa, contribuiscano ducati duecentomila, quali debbono esigersi dalle loro rendite, cosi feudali come burgensatiche, conforme contribuirono nella prima imposizione»

(4) D. 304291.60 li Viceré Santo Stefano rincarò di un decimo anche la moneta già battuta dal marchese del Carpio.

- 223 -

a cagione della maggiore quantità di moneta vecchia ritrovata in ragno di quello che si stimava, e sopra la quale si era fatto il conto di quello che poteva mancare".

L'impossibilità di barattare con monete di fresco conio tutte quelle vecchie che si presentarono nei dieci giorni poteva far ripetere i disastri del 1622. Eppure l'operazione del cambio fu compiuta questa volta con sufficiente speditezza, perché il Viceré si seppe servire della carta, del credito e delle riserve metalliche dei banchi.

Il Monte della Pietà e gli altri sette, tenevano nelle loro casse una parte cospicua della moneta che si doveva levare dalla circolazione. Fu ordinato loro di mandarla alla zecca e di farla riconiare; occorrevano per questo tre o quattro mesi, durante i quali sarebbe stato impossibile restituire i depositi, pagare le fedi di credito ed i titoli esigibili a vista; ma si dette rimedio con una proroga delle scadenze.

«Abbiamo, col voto e parere del Regio Collaterale Consiglio, appresso di noi assistente, determinato di concedere ai banchi dilazione, come in virtù del presente bando la concediamo, di pagare ai loro creditori, niuno eccettuato per privilegiato che sia, non escludendone neppure la Regia Corte, per li termini di mesi tre, numerandi da questo giorno (1° gennaio 1689); ed acciocché si esegua con minor incomodo degl'interessati, si sono disposti i banchi suddetti di pagare, nello istesso tempo dei suddetti mesi tre, ai loro creditori, alla ragione del 5 per 100 la settimana, in estinzione del debito di ciascheduno; ed a chi sarà creditore di minor somma di ducati 100 se gli abbia da pagare la rata che corrisponde alla ragione del 5 per 100; la quale, quando non tirassero in ciascheduna settimana, vogliamo che possano farlo nell'altra seguente o quando loro piaccia.

«Con dichiarazione che in detta sospensione non vengano compresi gl'introiti che si faranno dal primo del corrente mese ed anno 1689 in avanti; i quali dovranno pagarsi interamente, senza nessuna dilazione; come anche si dovran pagare prontamente le fedi di credito date in cambio della moneta vecchia, cosi in questa fedelissima città, come in tutto il presente regno, essendo state quelle surrogate in luogo della moneta nuova, che effettivamente doveva darsi in permutazione della vecchia. Ed affinché venga a notizia di tutti, vogliamo che il presente bando si pubblichi etc.

Siffatto ordine del Viceré avendo screditato le carte bancali, facendole rifiutare nelle contrattazioni fra privati, si dovette ordinare che fossero ricevute pel valore nominale. Nel 1689 dunque, fu dato corso forzoso alla carta dei nostri banchi e crediamo che questo fosse uno dei più antichi esempi di circolazione obbligatoria.

- 224 -

Per facilitare la ricezione delle bancali, s'annullarono implicitamente le prammatiche proibitrici dei riscontri (1).

Il Marchese di Santo Stefano mantenne la promessa di fare e stinguerc, nel prescritto termine di venti settimane, le obbligazioni dei banchi; compreso quelle nascenti dal ritiro e baratto delle monete, che in gran parte si fecero coll'aiuto della fede di credito. L'istituto controcambiava più con carta che con argento la valuta da smonetare; però questa carta era pagabile a vista.

Le grana 7 1{2 per tomolo, aggiunte ai tre carlini di sopraim poste sul sale, e l'altra annata di rendita dei forastieri, servirono per compensare le perdite derivanti dalla riforma monetaria.

(1) 11 Gennaio 1689 - Conclusione - Avendo considerato che la mente di S. E. e dei Signori Ministri del R. Collaterale, come della Regia Giuuta delle monete, è stata espressa col banno emanato sotto li 7 del corrente, nel quale, all'ultimo capo, si contiene che le fedi di credito e polizze si riceveranno dai banchi per riscontri dell'introiti correnti, come per prima, senza far novità di sorta alcuna e di fare correre la negoziazione senza pregiudizio delli Banchi ed interessi dei cassieri ed altri ministri di essi. Pertanto avendo prima avuta conferenza con tutti l'altri signori Governatori dell'altri Banchi, ed avendo unitamente ricevuto l'aura dalli suddetti Signori Ministri, per evitare ogni confusione che può nascere nella pratica dei detti riscontri, ed acciò la scrittura cammini con maggior facilità, hanno concluso, come per la presente concludono.

Che li cassieri stieno molto bene avvertiti nel ricevere detti riscontri, e che questi si piglino da persone di loro soddisfazione acciò sieno ben cautelati, conforme si è pratticato per lo passato; avvertendo che tali riscontri corrono per conto e con il solito rischio e pericolo di detti cassieri, li quali possono e debbono quelli ricusare ogniqualvolta avranno dubbio nel riceverli, e debbono praticarsi nell'istesso modo come li hanno praticati per lo passato, avvertendo a ciascheduno ufficiale a chi spetta, che delle fedi e polizze che vengono per riscontro non diano nota alcuna in quella settimana che si ricevono, ma debbono darle nelle settimane susseguenti.

Dippiù hanno concluso che tutti li cassieri debbono riscontrare cosi le polizze di moneta vecchia come quelle di moneta nuova infallibilmente dentro ciascuna settimana con tutti li banchi; e per quello spetta alle polizze di moneta nuova si passino per cassa come prima, e restando taluno creditore debba tirarsi il danaro coutante immediatamente che avrà riscontrato. Per le polizze di moneta vecchia, queste debba il cassiere ponersele in credito per Banco e fattosi da ciascheduno la fede di credito della somma che avrà pigliato, poi debba tirare il conto coll'altro cassiere con chi riscontra, e chi resta creditore se ne debba far fede di credito dell'avanzo, per poi tirarne la rata conforme matura; e quante volte segue il riscontro, tante volte debba praticarsi come di sopra.

Le polizze che si porteranno per riscontro del proprio Banco non debba il cassiere riceverle se quelle non saranno passate per rota e poste in credito della persona che le porta; acciocché si eviti ogni confusione, e che ciò si debba inviolabilmente osservare, essendo cosa ragionevole, per evitare qualche sbaglio che colla confusioue della scrittura facilmente può accadere e per essere ciò concordemente approvato da tutti li signori Governatori delli Banchi doversi praticare per tutti li Banchi.

Perloché,in virtù della presente, si ordina al nostro Cassiere Silvio Maggiore ed altri ufficiali, a chi spetta, che debba ognuno per l'ufficio suo il tutto puntualmente eseguire senza replica, e mancando in qualche minima parte sia imputato a loro negligenza e colpa, e siano tenuti a qualsivoglia danno che il Banco potesse patirne. Ed affinché non possano allegare causa d'ignoranza e stia ognuno vigilante alla totale osservanza delle presenti conclusioni, s'ordina che se ne debba tener copia autenticata dal nostro Segretario affissa nel Banco.

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Come esempio della procedura seguita allora per l'imposizioni di nuove tasse, ch'era più liberale e più ossequente ai dritti del popolo di quanto generalmente si creda, riferiamo, la conclusione della Piazza di Nido.

"A di 15 marzo 1(389. Congregata l'illustrissima Piazza del Seggio di Nido dentro la solita camera delle bollette - more solito con chiamata della cartella - Conclusione - Intesa la proposta fatta dalli signori cinque, e la relazione fatta dalli signori D. Criovan Battista Galluccio, D. Tommaso di Guevara e D. Adriano Carrata, deputati per la fabbrica della nuova moneta, ed essendosi letto il voto del signor Annibale Brancaccio, del tenore seguente, cioè:

"Io sottoscritto, avendo inteso la relazione a voce dei signori deputati per la fabbrica della nuova moneta, ed inteso che a supplire la mancanza, per finire questa importantissima opera, che per la misericordia di Nostro Signore e Nostri Santi Protettori già si vede quasi a sicuro porto, il tutto per la vigilanza dell'Eccellentissimo sig. Conte di Santo Stefano nostro Viceré, che con tanta applicazione ha dato fine a negozio sì importante. E perché dalla relazione si conosce la mancanza, per somma di ducati 500000 incirca, sono di voto e parere che per detti ducati cinquecentomila se esiggano dall'entrate dei forastieri ducati duecentomila; nel medesimo modo che pagarono gli anni passati l'annata intera, con dividersi fra essi pro rata detti D. 200000, e questo in esecuzione anco del concluso dalla Illustrissima Piazza,nel mese di settembre del passato anno 1688. Ma benché si fosse detto che tutto quel poco che mancava si fosse supplito coll'entrate dei forastieri, presupponendo la mancanza molto tenue,pure, mancando questa somma di ducati 500000, si stima di non caricare per tutto li detti forastieri, ma solamente pei detti ducati 200000. E per i residuali D. 300000 incirca, sono di voto e parere che si aumenti il prezzo del tomolo del sale per altre grana sette e mezzo. Questo habito rispetto dell'esser peso meno sensibile degli altri che forse si avessero avuto a porre, per cavarne, con ogni brevità, li detti ducati trecentomila; essendo così precisa la necessità che non ammette dilazione alcuna. E che detta imposizione delle grana 7 1|2 sia in aumento del prezzo del sale, si paghi da ogni sorta di persone, non facendosi nessuna esente, benché privilegiata e privilegiatissima, nella medesima forma e modo che s'imposero le seconde grana 15 di aumento gli anni passati.

- 226 -

E questo per essere causa pubblica ed urgentissima, alla quale le cause private devono cedere. E di dette grana 7 1|2 di aumento se ne debbano vendere annui ducati quindicimila, alla ragione cinque per cento, ed il di più dell'affìtto che si caverà debba restare per l'evizione dei detti ducati quindicimila, acciò questi siano sempre precipui e si possano vendere con ogni facilità. L'altro di più, che forse avanzerà sugli annui Duc. 15000, debba unirsi con gli avanzi degli annui D. 60000 degli altri carlini tre per tumolo di sale, e si debba governare col medesimo modo e torma che si governa oggi, per potersi ogni anno, con tal frutto di avanzi, estinguere capitali dell'imposizione. Questo similmente in esecuzione delle conclusioni dell'illustrissime piazze, acciò un giorno, se non si veggano estinte le dette imposizioni, se ne levi la maggior parte. Li 19 marzo 1689. Annibale Brancaccio.

"Perciò si ordina dai signori cinque che chi vuole concorrere al suddetto voto fatto dal signor Annibale Brancaccio ponghi al si,e chi non vuole al non. Per il che la Piazza, votato e ballottato, more solito, ha concluso conformemente al suddetto preinscrto voto fatto dal detto sig. Annibale Brancaccio,.. Nel contratto poi sta chiaramente stipulata la formale conferma d'un privilegio della città di Napoli, rappresentata da cinque Piazze o Seggi della nobiltà ed uno del popolo, pel quale qualsiasi gabella, tassa, imposizione si doveva da essa consentire.

"Art. 12. Sebbene S. M. diede il suo Beale Beneplacito a tutti li capi che furono conclusi dalle piazze di questa fedelissima città,nel primo espediente che si prese l'anno 1683 e diede medesimamente il suo Real Beneplacito alla seconda imposizione.... e prestò il suo Reale assenso ad ambedue li contratti, 3 settembre 1683 e 9 dicembre 1686. Ed essendo oggi questo nuovo espediente di grana 7 1]2 atto esecutivo dei due primi, per non essere stato sufficiente il ritratto dello arrendamento del prezzo del sale, in due volte di grana 15 l'una, e l'annate dei forastieri, e l'aumento del prezzo dell'argento ed oro; di sorta che detti reali assensi approvano tutte le conclusioni fatte dalle piazze, per la suddetta altra imposizione di grana 7 1|2, essendo questa uniforme alle prime. Ad ogni modo S. E., in detto nome,promette che la Maestà del Re Nostro Signore. (Dio Guardi) abbia a degnarsi di assentire e prestare il suo reale assenso a tutt'isuddetti e infrascritti capi, contenuti nel presente istrunento e nelle conclusioni delle piazze; e precise,

- 227 -

che detta fedelissima città, pel consenso da essa dato, non resti ne s'intenda obbligata per ninna causa e ragione a cosa alcuna; né possa intendersi mai acquistata contro di essa alcuna azione né ragione. Ed anco, che tanto le due imposizioni delle prime e seconde grana "15 per tomolo di sale, quanto l'altra imposizione di grana 7 1|2,non inducano, né possano indurre esempio in niuno futuro tempo,rispetto a nessuna sorta d'imposizione, dazio o gabella, per qualsiasi altro bisogno, necessità pubblica, ragione o causa, anco uguale, maggiore o più potente e privilegiata di questa; ma debbano sempre stare in piedi, nella loro fermezza e robore, tutti gli stabilimenti, privilegi, grazie, ordini e carte della Maestà Sua,e suoi gloriosi antecessori, che a suo favore tiene questa fedelissima città; ordinanti che non si possa mettere niuna sorta d'imposizione, dazio, tributo o gabella. A quelli (privilegi) non s'intenda in modo alcuno, né directe, né indirecte, per ragione del detto consenso dato dall'illustrissime piazze, derogato ne pregiudicato ecc."

Un altro aumento del 20 per 100 sulle monete, che fu l'ultimo, venne fatto con prammatica 8 gennaio 1691, per la quale il ducato, senza cambiare di peso o di titolo, salì da grana 110 a grana 132, ed in proporzione crebbe il valore nominale di tutto l'altro argento, riconiato pochi anni prima. Si provvide anche per l'oro di Spagna o di Venezia, che circolava nel Regno, comandando che le doble fossero cresciute di altri cinque carlini ed i zecchini di un altro carlino. Il profitto, per maggiore valuta dell'oro e dell'argento che stava nei banchi, toccò alla finanza, che lo spese per saldare e chiudere i conti della riforma monetaria.

Per le monete poi che già stavano in commercio, tale profitto fu lasciato ai possessori.

*

**

21. I pagamenti degli otto istituti si presero senza osservazioni dal Viceré, Conte di Santo Stefano: però, dopo circa sessantanni, un tale Francesco Scandinari accusò i banchi d'avere falsificato il bilancio 9 gennaio 1691, per non pagare quasi tre quarti della somma che sarebbe spettata alla Finanza. Da siffatta accusa vennero gravi e lunghe controversie nel tribunale della Regia Camera.

- 228 -

Scandinari, dopo promossa del fisco di donare a lui ed ai segreti suoi compagni, ch'erano probabilmente perfidi ufficiali dei Monti, a titolo di compenso, il decimo della somma ottenuta per le sue denunzio, suggerì le perquisizioni da fare. Seguendone i consigli, un contabile governativo, il Razionale Valente, chiese le reste dei Libri Maggiori, e liquidò che al 9 gennaio 1691 il debito apodissari o giungeva a D. 4574370,79. Domandò pure le verifiche di cassa della stessa giornata. ma non avendo potuto averle, perché non c'erano, concluse ignorantemente che i banchi le volessero nascondere. Calcolando sull'unica cifra a lui nota, di D. 4574376,79, risultava come dalla quinta parte, cioè da Duc. 914.875 circa, sottratta la somma pagata dai banchi, che Scandinari pretendeva essere stata di soli D. 251157.24, restava un credito della Finanza di Duc. 663718, pel quale toccavano ai delatori quasi settantamila ducati di premio.

I banchi, che allora tenevano in regola l'archivio, risposero con un conto minutissimo della riserva metallica, quale risultava dai libri e dagli autentici atti amministrativi. Presentarono pure le quietanze del fisco, da cui risultava aver essi pagato Duc. 384758,31 1|2 non D. 251157,24. Coll'aiuto di alcune difese si è potuto compilare questo prospetto statistico, utile per valutare la relativa forza degli otto istituti, ed anche la diversità d'indirizzo.

RISERVE METALLICHE DEGLI OTTO

MONETE D'ORO

PIETÀ ANNUNZIATA

SPIRITO SANTO SANT'ELIGIO

zecchini N. 130430,- N. 6745 - N. 28713,- N. 22201,-

mezzi zecchini » 15774,- » 219- » 626- » 307,-

quarti di zecchini » = » = » = » =

doble » 20671,= » 8510,- » 5946- » 181,-

mezze doble e scudi ricci. » 53909,- » 5417- » 3975,- » 376,-

valore in ducati delle monete d'oro D. 522462,80 D. 61324,8 D. 101396,4 D. 55126,SO

MONETE D'ARGENTO

ducati da grana......... 110 D. 1540,= D. 15730,= D. 7700 D. 11840,40

mezzi ducati da grana...........55 » = » 22314,05 » 6804,05 » 40273,20

ducati da grana........ 100 » 6095 = » 26994,= » 10540 » 6176,=

mezzi ducati da grana...........50 » = » = » » » 1014,=

ari da grana 22 » 74135,16 » 213245,78 » 168469,18 » 185609,38

carlini da grana............ 11 » 2233,= » 21957,98 » 20900 » 42416,88

ari da grana 20 » 45227,20 » 84018,4 » = » =

carlini da grana...........10 » 1193,70 » 40152,8 » 35854,8 » 2314,40

carlini da grana.............8 » 3002, SS » 2684,08 » 11010,56 » =

totale riserva metallica D. 655889,74 D. 488421,89 D. 362674,99 D. 344771,06

somme pagate al fisco per l'aumento di valore » 62766,81 1/2 » 87438,79 56173,32 1/2 » 56196,94

BANCHI DI NAPOLI A GENNAIO 1691

SAN GIACOMO POVERI

SALVATORE

POPOLO TOTALE

OSSERVAZIONE

N. N. 17777 = N. Gli zecchini calcolavano a 2,40 l'uno e doble a Duc. quattro.

N. 37523,= N. 21841 » 407,= » 8520,= N. 279859. 1/2

» 571 =

» = » 276,= » 56,= » =

» 1892,= » 3248,= » 4574,= » = » 73281, /2

D. 97623,2 D. 60018,40 D. 52867 D. 13968,= D. 964788,2

D. 13200 D. 6556,- D. = D. = D. 56566,4

» 50603,85 » 13200, » 6463,05 » = » 139658,2

» 20000 » 8654,- » 44.50 » 10772- » 9689,5

» -» = » 2400 » » 6000- » =

» 142519,7 » 148222,14 » 82058,8 » 17308,28 » 1031568,31

» » » 14850,- » 29573,5 » 2241,36 » 134172,72

» 7000 » 7552 » 306,60 » = » 144104,2

» = » 1058,= » 128,5 » = » 80702,2

»

1000,96

»

44,=

»

490,8

»

=

»

18233,28

D. 331947,75 D. 262554,54 D. 171933,43 D. 50289,64 D. 2668483,04

La piccola differenza in meno nasce da computo di deficienze di peso.

»

49002,99

»

40659,54

»

24759,03

1|2

»

7760,88

»

81758,31 1|2

- 232 -

Ammettendo la verità delle cifre raccolto dal nazionale Francesco Valente, l'intera circolazione era

Per San Giacomo D. 1.037.009.81

» Spirito Santo » 1.047.646.00

» Salvatore » 408.838.35

» Pietà » 912.251.09

» Popolo » 268.180.08

» Poveri » 329.034.85

» Sant' Eligio » 571.416.52

D. 4.574.376.79

Onde la proporzione fra la riserva metallica e i debiti a vista risulta

Popolo 80 centesimi ovvero 1 a 1.25 circa

Pietà 72 "

"

1 a

1.40 "

Sant' Eligio 60 " "

1 a

1.66 "

Salvatore

42 "

"

1 a

2.40 "

Spirito Santo 34 "

"

1 a

2.90 "

San Giacomo

32 "

"

1 a

3.12 "

Poveri

19 "

"

1 a

5,35 "

Media comune 57 "

"

1 a

1.76 "

Denuncianti ed inquisitori dimenticarono che nel 1691 esisteva l'altro banco dell'Annunziata.

Si pose termine all'affare con questa relazione e decreto del 1786, che riferiamo qual titolo di gloria per le famiglie dei sottoscrittori. Non sempre la materia bancale fu dai tribunali trattata con tanta indipendenza, né le decisioni furono parimenti giuste.

"S. R. M. Signore. Con Peal Dispaccio, spedito dalla Segreteria di Stato d'azienda, in data dei 20 maggio 1783, si degnò V. M. parteciparci che, con rappresentanza, l'avvocato D. Antonio Possi aveva esposto il ricupero da lui fatto, dagli eredi del fu Fiscale De Leon, di tre processi, dai quali si rilevava che, colla prammatica degli 8 gennaio 1691, essendosi stabilito l'aumento sulla moneta d'argento, rifatta del 20 per 100, di carlini cinque per ogni dobla di Spagna e di un carlino per ogni zecchino, colla prammatica stessa si ordinò che del denaro esistente nei banchi

- 233 -

l'utile del detto aumento fosse andato a beneficio della Regia Corte e zecca delle monete. Che dai banchi la rivela non fu fatta che per metà del denaro che si trovava esistente, come si rilevava da detti processi, e da una relazione del Razionale Valente, colla quale si dimostrava che spetterebbero alla Regia Corte D. (563718; volendo che un tal credito fosse pienamente liquidato a beneficio del Real Erario, e perciò si dovessero astringere i banchi, in vista di detti processi, a pagare tal somma. Onde, voleva ed ordinava V. M. che questo Tribunale, inteso il suddetto Avvocato Rossi, ed esaminati i processi che si enunciavano, e lo stato in cui ritrovavasi la causa, riferisse ciò che conveniva".

"E con altro Real Dispaccio, dei 16 maggio dello scorso anno 1785, furono dalla M. V. dati per aggiunti in questa causa il Consigliere Ardizzone, il Marchese Panza, il Consigliere Starace ed il Consigliere Patrizi".

"Il merito di questa denuncia e causa fiscale, promossa fin dall'anno 1749 da Francesco Scandinari, e rinnovata dall'avvocato D. Antonio Rossi nell'anno 1783, consiste nel rapporto che i banchi di questa capitale si avessero appropriato parte di quell'aumento che spettava alla Regia Corte, per l'alterazione del prezzo di alcune monete, in forza della prammatica 47 de monetis, pubblicata a 8 gennaio 1691 dal Viceré Conte di S. Stefano; e che, con dolo, dai Governatori d'allora non si fosse rivelata, la vera quantità della moneta compresa nella detta prammatica; per cui il calcolo dell'avanzo riuscì minore, e dai banchi si appropriò il dippiù che alla Regia Corte si apparteneva; e che perciò dovevano li banchi suddetti, non solamente restituire il mal acquistato, ascendente secondo l'idea del denunciali te alla somma di D. 663718, oltre l'interesse dal detto anno 1691 fin oot, ma eziandio sodisfarne l'interesse alla ragione del sei per cento, per quanto da essi banchi si riscuoteva dall'opera dei pegni".

"Questa causa, in unione degli aggiunti, si propose in questo Tribunale dal Presidente Maleiia, Commissario. E per più mattine furono intesi in Ruota non meno l'avvocato D. Antonio Rossi, in sostegno della denuncia, che gli avvocati dei banchi; e finalmente, nel giorno 20 dello scorso mese di aprile, dopo essersi prima inteso l'avvocato fiscale D. Nicola Vivenzio, il quale, dopo di aver rapportato il merito della detta denuncia, quanto per la medesima era occorso, e ciò che concorreva per la ragion fiscale, conchiuse rimettendosi a quel che in giustizia si sarebbe dal tribunale determinato e risoluto.

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Passò indi a decidere e votare la causa suddetta e si abbandonò da tutti li ministri votanti, al numero di undici, nel concorde ed unanime sentimento che la denunzia suddetta, proposta prima da Scandinari, e proseguita dal Dottor Possi contro dei banchi, non aveva vermi fondamento, ma era una denunzia la più insossistente e scandalosa che mai si fosse intesi; fondandosi sopra mere e semplici chimeriche idee del denunciante. Imperciocché si considerò che al fisco ed al denunziante mancava il fondamento dell'azione, ostava la prescrizione e la cosa giudicata".

"Che essendosi, li 8 gennaio 1691, pubblicata la prammatica 47 de monetis, alterato il valore di alcune monete del regno dalla medesima descritte, e di due monete d'oro forastiere, cioè della doppia di Spagna e del zecchino Veneziano, dichiarandosi che l'avanzo di tali monete ch'erano presso dei privati andasse in di loro beneficio; per quelle poi ch'erano nei pubblici banchi l'avanzo spettasse alla Regia Zecca. Fu l'esecuzione di detta Prammatica commessa ed incaricata al Luogotenente di questo tribunale, al Presidente Gascon, al Reggente di Vicaria Marchese di Barisciano, al mastro di zecca ed altri ministri, dai quali, coll'intelligenza del Viceré, si prescelsero quattro officiali fiscali, che si stimarono li più abili e zelanti per li reali interessi, per liquidare la quantità del denaro, esistente nei Banchi, soggetto all'aumento. E da questi con esattezza fu eseguito l'incarico, dopo le sopraffine diligenze usate per lo spazio di sei mesi, formando il calcolo dell'importo dell'aumento spettante alla Regia Corte, e per essa alla Regia Zecca. Approvato dal Viceré, dalla Giunta delle monete si ordinò di accreditarsi in beneficio della Regia Corte le quantità che ciascuno di essi dovea, in forza della medesima, contro di cui i banchi non avevano opposta alcuna legittima eccezione; ed indi, a seconda di detta liquidazione, la Regia Corte ne pretese il pagamento: come in effetti fu la medesima, secondo la sua dimanda, sodisfatta dai Banchi debitori; e la Regia Corte istessa, nell'ultima liberazione, spiegò chiaramente nei mandato di essere il compimento dell'intero suo credito, per l'aumento spettante alla Regia Zecca, in forza della prammatica emanata a 8 gennaio 1691".

"Si considerò inoltre che se mai per ipotesi finger si volesse di esservi stato errore di calcolo, per colpa o per imperizia degli ufficiali regi incomhenzati, oppure frode e mala fede, in essere rivelato minor quantità di moneta, per appropriarsi ciò che al fisco si appartiene in forza dell'indicata prammatica, occultandosi la vera quantità della moneta soggetta all'aumento,

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l'azione del fisco non sarebbe certamente contro i banchi, ma contro coloro che sentirono l'utile di tal supposto errore e supposta frode e mala fede, mentre li Banchi nessun utile e vantaggio per tale supposto abbaglio e frode ne avrebbero risentito. Poiché essendo i Banchi tanti corpi politici che non hanno parti, la custodia del denaro è affidata ai cassieri, coi quali dai ministri incaricati si fece l'appuramento della moneta suscettibile dell'aumento,t senza che in tale appuramento li banchi, o per esso li governatori, avessero avuto parte alcuna, ed a debito di detti cassieri si caricò un tal avanzo, che fu notato a beneficio della Begia Corte in un conto separato e distinto dell'avanzo della moneta, di cui ne seguì la sodisfazione con li saldi. Onde, conservando li cassieri e non li banchi tutto il denaro, se mai abbaglio o frode vi fusse stato, l'utile che si ritraeva dall'alterazione del prezzo delle monete descritte nella prammatica e riposte nelle casse, sarebbe ridondato interamente non già in beneficio dei Banchi, ma in beneficio dei cassieri, che sono li conservatori ed amministratori delle monete, i quali certamente verrebbero ad essere li debitori del fisco e contro dei quali dovrebbe il fisco diriggere la sua azione,,.

"Si considerò similmente che la frode che dal denunciante si suppone di esser intervenuta, nella liquidazione del quantitativo della moneta suscettibile di aumento, non si poteva in modo alcuno giustificare e provare, siccome per necessità si dovrebbe fare, né per mezzo de' testimoni, né per mezzo dei libri degli stessi banchi. Non a detto dei testimoni, poiché, prescindendo di non dovere l'affare del quale si tratta dipendere da pruova testimoniale, trattandosi di cose accadute da circa un secolo, qual'è quello decorso dall'anno 1691 fin oggi, non vi possono certamente essere testimoni da poter deponere il fatto che si cerca provare. Non dai libri degli stessi banchi, poiché, non componendosi tutto il debito dei cassieri in danaro effettivo contante, ma parte in moneta, parte in riscontri di altri banchi, parte in cedole delli stessi banchi, parte in monete d'oro ed argento di estranei principi, che in parte spettano ai banchi, od in parte si tengono in confidenza col titolo di pegni di monete, ed altra parte finalmente in denaro impiegato nell'opera dei pegni; e non distinguendosi in detti libri la qualità ed il quantitativo di ciascuna moneta, non si poteva certamente per alcun verso venire alla cognizione e liquidazione delle quantità di monete che avevan ricevuto alterazioni di prezzo in forza dell'indicata prammatica".

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"Né prova della supposta frode era o poteva essere la mancanza delle contate di cassa, non fatte dai banchi immediatamente dopo la pubblicazione della prammatica, siccome si pretende dal denunciante; poiché si considerò che per farsi le contate occorreva un ordine preventivo, che non vi fu, né vi poteva essere. Non vi fu, mentre dalla lettura della prammatica stessa non si rileva di essersi dato un tal carico ai banchi; onde non potevano tutt'i banchi, nel giorno dopo la pubblicazione della detta prammatica, unirsi a fare per obbligazione un atto straordinario, dal Sovrano non ordinato. né vi poteva essere, pel danno notabilissimo che ne sarebbe indubitatamente avvenuto al Regio Fisco ed ai Banchi, mentre, penetrandosi ciò, ognuno sarebbe corso in fretta a riscuotere il contante dai Banchi e tare esso il profitto dell'avanzamento della moneta, ed i Banchi sarebbero rimasti senza contante, e per conseguenza la Regia Corte non avrebbe introitato le somme che introitò; ed all'incontro, dalla confusione che nasceva per la calca dei creditori apodissarì, che con premura avrebbero voluto riscuotere il lor denaro, ne sarebbe derivato danno ai Banchi. Oltre di che, quando finger si volesse di esservi state le contate di cassa nello stesso giorno in tutt'i banchi, si considerò che altro non si sarebbe potuto appurare e sapere se non se quel contante che trovavasi nelle casse piccole, ma non quello riposto nelle casse maggiori: restringendosi sempre le contate di cassa soltanto nel rivedere le casse piccole e non mai le casse maggiori".

"E né anche il denunciante poteva trarre argomento della supposta occultazione del vero quantitativo della moneta suscettibile d'aumento dalla referenda del Razionale Valente, nella quale si porta il divario della moneta sistente nei banchi, maggiore di quello che si porta nella liquidazione fatta nell'anno 1691; poiché di quella referenda non poteva né doveva tenersene conto alcuno, per essere una referenda erronea, fondata su di principi non veri e rimissiva all'assertiva del denunciante; e perché il divario che si suppone, non si dimostra separando moneta da moneta, non essendo tutta la moneta sistente nei banchi suscettibile di aumento, ma soltanto quella che fu descritta nella prammatica; onde dovea starsi alla liquidazione fatta nel 1691,,.

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"Si considerò benanche, che all'azione dedotta dal denunciante contro i banchi ostava la prescrizione, poiché essendosi fatta la denuncia dopo il corso di cinquantasette anni, che sono quelli decorsi dall'anno 1691, epoca della pubblicazione della prammatica, fino all'anno 1749, tempo della denuncia, per chiare disposizioni di legge, qualunque azione che mai al fisco poteva spettare e competere, per il lasso del tempo così lunghissimo, eccedente quello di 40 anni, si era prescritta".

"E finalmente si considerò che oltre della insussistenza dell'azione ed all'ostacolo della prescrizione, ostava eziandio la cosa giudicata dalla Giunta della zecca delle monete, destinata per tal dipendenza, la quale ordinò l'esecuzione della liquidazione fatta dai Ministri incaricati; fisco instante et petente".

"Per tali considerazioni e motivi, nascenti dalle stesse armi del fisco, per cui risulta chiara e manifesta la ragione dei banchi, in contrario alla proposta denuncia, determinarono tutti li Ministri a concorrere nel sentimento di non doversi molestare li banchi di questa città per le cose dedotte nell'espressata denuncia, con farsene di ciò relazione a S. M. senza pubblicarsi il decreto prima dell'esito di detta relazione".

"Onde ci diamo l'onore di fare tutto ciò presente alla M. V. della quale attendiamo la sua Sovrana risoluzione su tale punto. Il Signore Iddio sempre feliciti e conservi la Real Persona di V. M. siccome noi fedelissimi vassalli desideriamo, di V. M. dalla Regia Camera della Summaria, li 19 Giugno 1786. Creati e Vassalli fedelissimi - Il Luogotenente e Presidente della Regia Camera - Angelo Cavalcanti, Luogotenente-Michele Maria Perremoto-Lorenzo Paternò - Angelo Granito - Ippolito Porcinari - Girolamo Suarez Coronel - Cons. Januarius Maddaloni a secretis. - Vidit Viventio Fiscus".

"Essendosi fatto presente al Re quanto ha rappresentato la Camera intorno alla denunzia contro dei Banchi, promossa nel 1 749 da Francesco Scandinari, e proseguita dall'avvocato D. Antonio Rossi nell'anno 1785, col decreto interposto dalla Cambra stessa di non molestarsi li Lancili, per l'eccezioni che patisce l'azione che si pretende promuovere, il Re n è rimasto inteso e vuole che la Camera pubblichi il suo decreto.

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Di Real ordine il supremo Consiglio delle Finanze ne previene V. S. I. per intelligenza della Camera ed uso di risulta. Palazzo 4 luglio 178(5. Ferdinando Corradini - Al signor Marchese Cavalcanti".

Pare che il denunziante si fosse servito dei libri maggiori dei banchi, e che veramente il Debito apodissario, cioè la somma di tutto il passivo, fosse al 9 gennaio 1691 di Duc. 4,574,376.3.19; ma pare eziandio che non li avesse saputo leggere, imperocché il quinto si doveva pagare per la moneta riposta nelle casse, non pel debito apodissario. Da tale debito, levato il capitale o patrimonio, rappresentato da edilizi, da partite d'arrendamento, ed altri beni mobili o immobili; levati i monti di pietà, cioè le somme collocate sopra pegno; levati i mutui; e specialmente levati i riscontri e le bancali pagate senza che si fosse ancora passato scrittura del discarico, restava la rimanenza di D. 2668483.04, rappresentata da effettivo valore metallico, per la quale i banchi avevano, con la massima lealtà, pagato un quinto al governo.

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24. Nuovi e più severi provvedimenti contro i falsari e tosatori di monete si vagheggiavano dal Viceré nel 1695. Per giungere alla scoperta dei rei, voleva manomettere gl'interessi del commercio, la sicurezza dei cittadini, il credito dei banchi.

Ma ci furono a quell'epoca governatori che, senza sfoggio di scienza economica, seppero far valere un principio troppo giusto, e troppo sconosciuto ai tempi nostri dagli agenti di questura, ed eziandio da certi magistrati, che cioè non si debba aggravare con vessazioni poliziesche il danno pecuniario di chi, in buona fede, abbia preso una moneta o un titolo falso. Ecco i documenti.

«Lettera al Viceré di tutti i governatori dei banchi, riferita nella deliberazioni del Consiglio amministrativo di S. Giacomo.

«Mercoledì 11 del corrente mese di maggio 1095, si tenne sessione dai signori governatori dei banchi, nel luogo della udienza del banco del Sacro Monte della Pietà, sopra le difficoltà che s'incontravano ne lai esecuzione degli ordini di S. E. con li quali si comanda che non solamente si debba tagliare la moneta falsa o scarsa, che s'introita nei banchi di Napoli, ma anche ritenersi a disposizione di S. E. e notarsi il nome e cognome delle persone che la portano, con darne ogni settimana nota distinta alli delegati di detti banchi.

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Fu considerato; che in quanto a ritenere l'intiera moneta che si taglia, si dava occasione alle lamentazioni dei negozianti, li quali potrebbero sospettare che si tagliasse la moneta buona per fare questo guadagno; quando tagliandosi e restituendosi alli padroni, non solamente potrebbero sodisfarsi, portandola alla real zecca, e facendola riconoscere a fine di sapere se sia scarsa o falsa, ma anche non resterebbero defraudati del poco valore che intrinsecamente tiene. Ed in quanto al 2° capo, di notare il nome e cognome delle persone che introitano m banco, fu considerato che questo apporterebbe un pregiudizio notabile al commercio ed al mantenimento dei medesimi banchi; atteso li negozianti si rimaneranno di fare l'introiti, per non esser notati in un pubblico libro come spenditori di moneta corrosa o falsa; il che potendo accadere ad una medesima persona centinaia e centinaia di volte in un anno, potrebbe apportare, col progresso del tempo, qualche cattivo effetto a danno degli innocenti, come per ordinario sono quelli che portano il danaro in banco; perché i fabbricanti della moneta falsa e tosatori della buona, sogliono verisimilmente spenderla fuori banco. E per conseguenza i negozianti pubblici, e altre persone le quali riscuotono il denaro dai loro debitori, e poi lo portano in banco, resterebbero notati d'un delitto che non si hanno mai sognato di commettere, con pregiudizio della loro estimazione. Per lo che fu risoluto di andare a piedi di 8. E. a rappresentarle detti inconvenienti, affinché l'E. S. si fosse servita di darvi le provvidenze che giudicasse necessarie, per servizio del pubblico e mantenimento del commercio di detti banchi. Come in effetti, sabato la sera del 14 del detto mese di maggio 1G9"), li detti signori governatori dei banchi andarono a supplicare 8. E. la quale si compiacque di risponderti ch'avrebbe rimessa la materia alla Giunta delle monete, affinché, quella esaminata, si fosse presa la risoluzione che sarebbe stata accertata; e che in tutto si fosse alzata la mano (sospeso) all'esecuzione dei detti nuovi ordini.

«Giovedì 19 del mese di maggio 1695, dopo pranzo, si tenne nel R..Palazzo la Giunta delle monete, nella quale intervennero li seguenti signori ministri e governatori dei banchi.

«Il D. Regg. D. Felice di Landina l'Ulloa, Presidente del 8. C. Capo della Giunta.

«Il Regg. D. Diego Soria l'Mora les Marchese di Crispano.

«Il D. Regg. D. Nicolas Gascon Y Aldana.

«Il D. Regg. D. Lucas de Sana Y Vino Luogotenente della R. Camera.

«Il signor D. Domenico Fiorillo Secr. del Regno.

«Il signor Presidente della R. Camera Don Francesco Antonio Andreassi.

«Il signor Consigliere D. Biase Altimare, avvocato fiscale del R. Patrimonio.

«Il signor D. Nicola Arcamone ed il signor D. Giuseppe Costantino, entrambi governatori del monte e banco dello Spirito Santo.

«Il signor D. Michele Augusto Baccalaro, governatore dei banchi di S. Giacomo e S. M. del Popolo.

«Il sig. D. Francesco de Fusco, governatore del banco di S. Eligio.

«Il signor D. Gennaro Cangiano, dep. del banco dei poveri e nome di Dio.

«Ed il signor D. Cesare Ferraro, governatore del banco SS. Salvatore.


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«E propostasi detta materia, dal detto signor Presidente del Sacro Consiglio, capo della Giunta dopo lunga discussione fu determinato: che, in quanto al primo punto, si osservasse inviolabilmente l'ordine dato di tagliare le monete false o scarse che s'introitano in banco, e che di esse se ne conservasse la metà noi li banchi, e l'altra metà si restituisse alli patroni; e che il medesimo ordine si fosse dato alli regi percettori delle provincie del regno, cassieri d'università, arrendamenti, ed altre persone pubbliche. Ed in quanto al 2° punto, di notare il nome e cognome delle persone che portano la moneta falsa o scarsa seu corrosa, detti signori si riserbarono di farvi migliore riflessione, per poterlo risolvere più maturamente; ed intanto comandarono che si tralasciasse di prendere detta nota del nome e cognome della persona, ma solamente si notasse la quantità della moneta scarsa o falsa che s'introita in ciaschedun giorno nelli suddetti banchi, e che in fine d'ogni settimana si mandasse detta nota in potere dei signori delegati dei ridetti banchi. Restando però sempre in piedi la h. Prammatica emanata da 8. E. e suo Regio Coll. Consiglio in tempo della pubblicazione della moneta, la quale si debba eseguire ed osservare in tutti e ciascheduno delli capi in essa espressi.»

23. La morte di re Carlo II (1701) fu seguita, per Napoli, da una crisi economica che nuovamente pose in pericolo i banchi, e fece definitivamente chiudere quello dell'Annunziata. Si sapeva che questo Monarca, privo di figli, lasciava per testamento i suoi vasti domini ad un Borbone di Francia, Filippo nipote di Luigi XIV; si sapeva pure che la casa d'Austria, alla quale per la legge salica sarebbe spettata la successione, non voleva permettere che fossero sconosciuti i suoi diritti ereditarli. Era dunque certa una guerra tra la Francia e l'Austria, cui naturalmente non poteva rimanere estraneo il regno di Napoli (possedimento spagnuolo e quindi oggetto di disputa) nonché l'Inghilterra, l'Olanda, i Principi Germanici e gli altri Sovrani, che erano a quel tempo alleati dell'uno o dell'altro contendente.

Appena giunse notizia di una grave malattia di Carlo II, corsero ai banchi i possessori di fedi e di polizze, per averne il cambio con oro ed argento metallico. I governatori, sapendo che non avrebbero potuto le casse pagare tutti, perché la riserva era molto minore della circolazione, si raccomandarono all'Eletto del Popolo Pietro Paolo Mastellone, onde li aiutasse. Costui ottenne dal Viceré gli ordini per la zecca che lavorasse giorno e notte a stampare moneta nuova. Più, fece mandare ai banchi due ordinanze che l'invitavano ad accettare riscontri ed a servirsi, come pasta metallica, dei pegni scaduti; consegnandoli alla zecca stessa, invece di venderli all'asta pubblica, giusta la regola e l'uso.

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Tali espedienti, suggeriti forse da qualche banco pericolante, non piacquero agli altri che contavano sulla propria forza e sull'affetto del pubblico. Ci par pregio dell'opera trascrivere l'osservazione del Monte dei Poveri, che provano con quanta filantropia e riguardo all'interesse del debitore fosse in quell'epoca regolato il servizio di vendita.

«Essendosi ricevuti due biglietti di S. E. sotto la data delli 8 del corrente mese di marzo di questo anno 1701, di segreteria di guerra, in uno dei quali comanda S. E. che il cassiero del Banco dei Poveri riceva le fedi di credito, oppure le polize notate in fede di tutti gli altri banchi. «Al che, per parte del Banco del Monte dei Poveri, si rappresenta a S. E. ricevendo il suddetto ordine sup. caput, che sempre si sono ricevute le fedi di credito e polize notate in fede di tutti gli altri banchi, siccome si è praticato e si pratica ed dì d'oggi, per la toleranza, non ostante la regia prammatica che proibisce al cassiero di detto Banco; dal quale, se qualche volta ha ricusato ricevere fedi di credito o polizze notate in fede d'altri banchi, la causa è stata che l'obratore di queste non è stata persona cognita ad esso cassiero, a carico del quale va il suddetto riscontro; o pure il detto obratore, in caso che le fedi o polizze di riscontro, non sia persona che ritrovandosi qualche impedimento del banco di dove è la fede o polizza notata, che possa subito pagare ad esso cassiero, altrimenti lui deve pagare al Banco per averla ricevuta; come anche l'obratore fosse forestiero, non abitante in questa città di Napoli o non solito a pratticare nel eletto Banco; nel quale caso ha ricusato e può ricusare il cassiero ricevere riscontri, mentre si tratta del denaro suo proprio.»

«E di più alle volte succede che li cassieri delli banchi, ricevendo polizze e fedi per pagare la cassa militare e Regia Corte o altri, quali sono obbligati fare detti pagamenti, procurino di dar polizze di riscontro, acciò si paghino dagli altri cassieri, a chi se li mandino le fedi di credito girate in bianco per tirarsi il denaro, nel quale caso il cassiere che riceve polizze o fedi di credito di quel Banco, stante che tiene altre fedi di credito o polizze notate in fede, non può essere soddisfatto per intiero, e resta sempre creditore, il che risulta il gran danno del banco».

«Finalmente, si rappresenta che molte volte il banco si trova creditore (l'altro banco, dal quale vengono le fedi o polizze per riscontro, de migliara de docati, sino alla somma di centocinquantamila; essendosi mandato a riscontrare, hanno ricusato fare detti riscontri; il che risulta in grandissimo danno del banco che tiene riscontri d'altre somme, e per non aumentare quelle, per non voler riscontrare, si ricusa di ricevere fedi di credito o polizze di quelli banchi».

«Onde si supplica 8. E. di ordinare con ordine preciso, anco con prefiggere il tempo, che si debba riscontrare infallentemente almeno ogni quindici giorni, e coartarsi il tempo; oppure levarsi affatto detti riscontri, il che saria ottimo per li banchi; atteso li governatori possino con maggior chiarezza il denaro effettivo vedere che sta in cassa, e conoscere il dare ed avere di quella; né li cassieri si possano coprire con fedi di altri banchi, dicendo d'essere creditori di quelli per riscontro, e con ciò fanno apparire la cassa esser giusta.

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Per la qual causa ì: può il Governo accorgersi se in essi è mancamento e resta defraudato; con che, cessando il riscontro, cessa che il cassiero si possa coprire, e si vede subito il denaro effettivo ch'è in cassa».

«In quanto all'altro viglietto, col quale comanda 8. E. che si debba portare in zecca l'argenti, quali stanno pegni nel banco che hanno finito il tempo; per parte del banco del monte dei roveri si rappresenta, ricevendo detto ordine sup. caput, che il tempo di poter vendere li pegni cl' argento e d'oro sta stabilito che siano elassi anni due e mesi due; e passato detto tempo, facendosi la cassa, siccome dicono, s'apprezza detto pegno dall'apprezzatoli del nostro Trinco, e si vede che valuta tiene intrinseca per il peso d'argento, e anco si considera la, manifattura di quello, il che coacervato, se si vede che vi resta prezzo grande a beneficio del padrone si lascia in tesoro, né si procede alla vendita, non obstante che siano passati gli anni due e mesi due; ma solamente si portano a vendere, nella solita strada degli orefici, quelli argenti li quali non tengono valuta intrinseca per poter pagare tanto la sorta principale al banco quanto l'interesse da trattenersi; avendosi sempre rimira all'interesse dei padroni dei pegni; per la qual causa il Banco del Monte dei Poveri tiene in affitto, nella detta strada delli Orefici, una bottega a suo costo».

«Con che, portandosi a vendere in detta strada li pegni si d'argento come d'oro, sempre nelle vendite che si fanno, v'è avanzo del padrone del pegno, quale in ogni tempo che viene e porta la cartella originale del pegno, oppure quella dispersa con dar la plegiaria, si prende l'avanzo di detto pegno; mentre nelle vendite sempre s'ha mira alla manifattura del pegno che si vende, con che il padrone mai viene a perdere, non ostante che non vi sia presente, atteso che vi assiste in suo luogo, oltre l'officiali che vi sono, un governatore o mensario del Banco per detto effetto».

«Che però, portandosi l'argento dei peoni a vendere nella Regia Zecca addirittura, oltre l'interesse del pubblico, viene il padrone del pegno ad esser molto interessato, per la perdita tanto del prezzo, per non vendersi in pubblica strada, com'è quella degli orefici, nella quale non solo vi sono li suddetti orefici nelle proprie botteghe, ma anco persone particolari, quali vengono a comprare detti argenti che si vendono, avendosi mira alla manifattura d'essi, il che se si vendesse a dirittura nella Real Zecca, il padrone veneria a perdere tutto quello che si potria vendere più per la manifattura che v'è».

«Considerandosi di più che tutti li pegni d'oro e d'argento, quali si portano alli banchi per impegnarsi, sono argenti di stima e d'affetto, come anco servibili,(atteso quello ch'è rotto si vende alli orefici dai padroni) per la qual causa il padrone si contenta di pagare l'interesse del sei per cento, sapendo per certo che il suo pegno non si vende per lo spazio di due anni e due mesi, e frattanto suppone poterselo ripigliare, anco elasso detto tempo fra il quale paga 0 tutto o parte dell'interesse decorso, con che sempre impedisce la vendita; il tutto causato dal prezzo si intrinseco come da quello dell'affezione per la manifattura che tiene, oppure essere antico di casa sua, e sempre spera ripigliarselo, o almeno portandosi (non essendosi pagati l'interessi e decorso affatto il pegno) a vendere all'incanto nella strada dell'Orefici, ove si ritrovano particolari che comprano detti argenti, opure li stessi orefici,

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sempre paghino la manifattura che v' è, se non in tutto (il che alle volte succede per qualche incidente fra l'oblatori) almeno in parte sino alla metà, e più, secondo la qualità dell'argento, siccome l'esperienza ha dimostrato e dimostra alla giornata".

"E praticandosi la vendita dell'argenti nella Regia Zecca, questo risulta in grandissimo danno non solo dei padroni, per la manifattura che si perde, siccome di sopra s'è detto, ma anco dei banchi, secondo li tempi correnti sia buono,,.

"Che sia buono per li banchi, appare che sapendosi dal pubblico quest'ordine e che s'osserva, il padrone del pegno verrà quello a pigliarsi, e pagherà il denaro tanto "della sorte principale quanto dell'interesse, ed il banco si ripiglia il denaro che stava in quelli pegni impiegato, e s'impingua con più facilità, e paga oggi il suo creditore. Però questo risulta in danno dei poveri particolari, quali forse con qualche speranza di ripigliarselo, pagherà ad un altro particolare più interessi di quello che pagava al banco del sei per cento, e forse s'avanzeranno l'usure, il che Dio non voglia".

"È anco danno del banco, perché manca il trattenimento e la sustanze di potersi mantenere, atteso dall'interesse dei pegni nasce il mantenimento del Banco, il che cessando cessa il banco, perché tutte le spese si cavano da detto interesse, quale perciò si permette tanto dall'Ecclesiastico quanto dal Regio, e cessando il banco perde il pubblico, in particolare per la scrittura e per l'usure che s'avanzano; il che nascerà col portarsi nella Regia Zecca l'argenti, quali si ritrovano nelli banchi impigliati, elasso il tempo d'anni due e mesi Duc. Ad ogni modo, l'esperienza ha dimostrato e dimostra che pochissimi sono gli argenti; facendosi il conto da dieci anni a questa parte, con portarsi a vendere nella strada dell'Orefici, con farsi tutte diligenze, con avanzarsi il prezzo delle manifatture d'essi, pochi sono quelli che si sono venduti, siccome si può vedere dalli libri del Banco. E s'è conosciuto che essendo passati anni ed anni non ostante 1 interesse che corre, si sono ripigliati dalli padroni di detti pegni, con pagare tanto interesse, il tutto cagionato dal prezzo dell'affezione, per ìli verse cause quale a quelli si porta».

«Tutto ciò si pone a piedi di 8. E. quale come si grande e pio, considerandosi questo, s'attende l'oracolo d'esso, per l'osservanza di tutto quello che ha comandato e comanderà, essendo essi governatori del Banco e Monte dei Poveri prontissimi ad ubbidire».

Zoppica la sintassi, ed i criteri dei Governatori, degni d'ammirazione per quanto riguarda vendite dei pegni, son troppo radicali, in materia di riscontrata. Varie volte e' è toccato e ci toccherà di ricordare che la circolazione fondavasi sull'accettazione facile della carta, cioè sulla possibilità di cambio in quella cassa di banco che al portatore tornava comoda. La soppressione dunque avrebbe tutti danneggiato, venendoli e per necessario effetto notevole diminuzione della quantità di carta fiduciaria. Bisogna nondimeno considerare che le circostanze del 1701 eran tali da dare ragione al Monte Poveri, poiché l'Annunziata ed altri Banchi non conteggiavano riscontri; facendo diventare questo servizio una particolare forma

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di corso forzoso della loro valuta, che s'imponeva ai soli banchi più ricchi e meglio costituiti. Le riserve metalliche della Pietà e dei Poveri si consumavano a pagare riscontri che poi non rimborsava il vero debitore. Insomma la disputa era proprio quella che arde adesso per le varie banche d'emissione, e gli argomenti non sono diversi.

Medina Celi, Viceré, tenne poco conto delle soprascritte osservazioni sulle consegne d'argenti alla zecca. Niente gl'importava del danno dei padroni di pegni, mentre che dall'affrettata coniazione s'aspettava chi sa quali vantaggi. Dovette però ritirare l'altro suo ordine per l'illimitato pagamento ed accettazione dei riscontri; sostituendolo con perentori comandi a tutti gli otto banchi, che liquidassero al più presto le rispettive ragioni di debito e di credito. Numerose prove danno i registri e corrispondenze di quell'anno della non osservanza di tale comando, che i creditori volevano rispettato, ed i debitori non potevano eseguire. Eccone una:

«Atti del Consiglio amministrativo del banco S. Giacomo, pagina 14.

«Il banco di S. Giacomo, per conto appurato li 11 ottobre 1701, restava creditore del banco della Santissima Annunziata in ducati 87,442,1,13. Essendosi poi, questa mattina di venerdì 11 novembre 1701, mandato la riscontrata nel medesimo banco della SS. Annunziata, è rimasto il detto banco di S. Giacomo creditore in ducati 111,864.1,5, come si vede dalla fede di credito, fatta sotto la giornata di domani 11 del detto mese, a beneficio di Francesco Avallone cassiere del detto banco, la quale si è fatta vedere ocularmente al medesimo signor delegato. Sicché, invece di scemarsi, il debito è cresciuto di Duc. 24,421,3,12.

"Li governatori del detto banco di S. Giacomo hanno stimato loro obbligazione di rappresentarlo al detto signor delegato reggente, affinché si serva di portare questa notizia a piedi di S. E. e procurare che si dii 110 gli ordini opportuni per soddisfazione della detta somma di ducati 111,864,1,5, la quale necessita, acciocché il detto banco di S. Giacomo possa soddisfare li suoi creditori".

Insistendo sempre più i banchi creditori, Medina Celi, a 2 dicembre 1701, proibì l'accettazione reciproca della carta, permettendo d'estinguere metà del debito mediante cessioni di pegni o crediti cartolari:

"Avendo dimostrato l'esperienza che coll'introduzione dei riscontri, praticati tra i banchi di questa fedelissima 'città, si erano totalmente confusi i conti dell'uno coll'altro, e minorata la loro amministrazione, di maniera che s'era perduta tutta la regola del loro buon governo. Ed essendosi intesi più volte i governatori dei detti banchi, nella giunta formata d'ordine di S. E. per questo effetto, quali unitamente hanno conosciuto e dichiarato il detto danno, per il che hanno fatto vive istanze che si vietassero li detti riscontri.

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Ha ordinato S. E. che da oggi avanti restino con effetto rigorosamente proibiti, sotto gravissime pene che dichiarerà, così contro i cassieri come contro ciascuno che per l'avvenire concorresse o con

sentisse in qualche modo all'inosservanza di detto ordine. E come che nei riscontri fatti tra i panelli, a dippiù della provvidenza particolare che si è data per la Santa Casa di A. G. Piena, sono rimasti anche tra essi porzioni di crediti e debiti, S. E. per dar comodità ai detti banchi debitori di poter pagare per intiero ai banchi creditori, senza spropriarsi di tutta la quantità di moneta in contanti, ha ordinato che la metà dei debiti lo paghino immediatamente; d'altra metà o in effetti col frutto del 4 1|2 per cento, secondo le cautele praticate dal Banco della SS. Annunziata, o rimettendoli tanti pegni per l'istesse quantità che stanno impegnati, caricandosi a beneficio dei medesimi banchi debitori la rata degli interessi scorsi, e questa elezione a suo arbitrio, con che debba adempiersi con ogni prestezza, di modo che non passi il termine di quindici giorni dal dì della data di questo. Il che tutto, d'ordine di S. E. le partecipo alle Signorie Vostre acciocché cosi inviolabilmente l'eseguano. Iddio guardi alle S. V. Palazzo a 2 dicembre 1701-D. Domenico Fiorillo...

Peggiorando vie maggiormente lo stato economico, per contrazione di credito, Medina Celi dispose; che durante due mesi fosse pagata in contanti la sola quinta parte delle fedi di credito maggiori di ducati 100; che gli sportelli di pagamento dei valori apodissari fossero ridotte ad uno per ciascun istituto; e finalmente che i Delegati Regi (quasi tutti Reggenti del Consiglio Collaterale) ed i Governatori si recassero ogni giorno ai rispettivi banchi e tentassero di persuadere gli accorrenti a non affrettarsi, essendoci denaro per tutti.

Poco si sentivano l'esortazioni, specialmente pei banchi dell'Annunziata e del Salvatore, ch'erano meno reputati. Il pagamento poi della sola quinta parte delle bancali maggiori di ducati cento, mentre screditò tutte le casse, non fece raggiungere lo scopo di difendere la riserva metallica, perché i possessori scoprirono subito un modo di riscuotere l'intera valuta delle lor carte, che consisteva nel farle prima permutare, come ne avevano il dritto, con altre più piccole.

Quando poi fu nota la morte di Carlo II, ed i nobili napoletani presero le armi, per scacciare il Viceré Spagnuolo, e dare il trono all'Arciduca Carlo d'Austria, crebbe la ressa pel cambio delle polizze. I banchi, col pretesto dei funerali, chiusero per nove giorni; ma non valse questo respiro, né la valuta metallica che con incredibile fatica, raccolsero.

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Dicesi che in una sola giornata le otto casse pagato avessero in pezzi d'argento ducati un milione. Ma, dopo tale sforzo, i banchi dell'Annunziata, del Salvatore e di San Giacono sospesero i pagamenti; gli altri adempivano con difficoltà e con ritardo all'obbligo loro, e per necessaria conseguenza le fedi o polizze furono rifiutate in commercio.

Allora si seppe che certi agenti dell'Annunziata avevano emesse fedi di credito, per ducati 86,000, senza incassare la moneta; che il cassiere del Salvatore, Francesco Castaldo, s'aveva presi ducati 72847.44; che nel banco S. Giacomo il defunto Pietro di Calduccio aveva lasciato maggiore deficienza (D. Altre frodi si scovrirono in quello dei Poveri. Insomma non c'era più quello spirito di filantropia e di religiosità che per tanti anni avea regolata l'amministrazione dei Monti. Colpa del Governo, il quale lavorava da molti anni per escludere le confraternite, ed aveva sostituito con le cavillazoni curialesche dei suoi Delegati Protettori e con la scioperataggine aristocratica dei Governatori approvati da lui, la vigilanza, il buon senso, la carità per le quali tanto s'accreditarono gli antichi Priori o Mensarii.

Il banco del Salvatore, ottenuta la moratoria dal Consiglio Collaterale, (2) si potette poi rimettere mediante la temporanea soppressione del monte pegni, e col sacrifizio dei crediti cartolari; l'altro, dei Santi Giacomo e Vittoria, mise in vendita i pegni scaduti, cedette ai creditori le partite d'arrendamento, chiuse per due anni il monte di Pietà, licenziò molti ufficiali, dimezzò gli stipendi di quelli mantenuti, e dopo ventidue anni di fatiche, con una liquidazione difficilissima,

(1) Ducati 139047,10, che in parte potevansi riscuotere perché rappresentati da titoli creditori. Ma era molto dubbia la bontà di tali titoli , particolarmente d' una polizza di D. 45635,56, del banco Spirito Santo, che aveva servito alle frodi di Monteforte pag. 88).(2) '' Philippus Dei Gratia Eex etc. Essendosi trattata, nel Regio Collateral Consiglio, la causa del mancamento del banco del SS. Salvatore, per difetto delli cassieri; essendosi conosciuto, per il bilancio che han presentato li governatori di detto banco, e per le notizie che han dato a voce il poco denaro remaste de contanti. Però con quello che si tiene impiegato nelli pegni, con il valore delli altri pegni che in fraude teneva (atti il cassiere, e coll'altri effetti che tiene detto banco, se potria soddisfare per intero ai suoi creditori. Che però, affinché sia uguale la sorte di tutti,sospendiamo qualsivoglia pagamento di detto banco, fino a tanto che, appurandosi distintamente li suoi conti, si debba poi pagare prò rata a tutti, secondo la quantità dei loro crediti, il detto denaro contante, il valore dei detti pegni e tutti l'altri effetti, in modo che si vadino soddisfacendo intieramente li detti crediti. E diciamo ed ordiniamo, cosi al delegato di detto Banco, come alli governatori di quello, che con la maggior brevità procurino in questo modo la soddisfazione di tutti gli interessati, che tal è nostra volontà: Datum. Neap. die 28 mensis decembris 1701. D. Luisde la Zerda y Aragon. Yidit Gascon Regens. Vidit Mercado Regens. Vidit Andreassi Eegens. Vidit Guerrero Eegens. Mastellonus. Florilius seg. "

Fra pochi ristretti, cioè antichi bilanci, che conserva l'archivio patrimoniale, esistono quelli del 31 luglio 1701 e 24 dicembre 1702, che fanno intravvedere qual regresso avesse fatto il Banco Salvatore, per quella crisi economica.

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giunse ad estinguere tutti i debiti apodissari (D.

ATTIVO

1701 1702

In cassa maggiore (Denaro contante) 132334,42 70000,-

In cassa piccola (Denaro contante) . 224279,56- 37051,88

Pegni 111050 - -

Nostro' Banco per la spesa della casa Immobili)

13000,25 -

La Fedelissima città per V impronto (crediti)2177,30 -

Il Duca d'Eboli (crediti) .

1123,38 -

Li Governatori del patrimonio delle prime grana 7 1|2 per tomolo di grano e farina (crediti)

1145,78

-

Antonio Armenio olim aiutante del magnifico cassiere (deficienze).

3329,00 -

Altri debitori (deficienze).

940,01 546,00

Li Governatori delle tre imposizioni dei sali ('crediti). - 3900,81

II patrimonio dei carlini 0 per botte di vino (crediti). - 1308,52

490955,63 113597,11

PASSIVO

Partite sequestrate 20315,08 4230,05

Partite di depositi 10403,59 159,13

Partite condizionate o vincolate 24897,59 3409,88

Crediti diversi di nostro banco (utili e rendite) 11330,87 3347,94

Riscontri S. Giacomo D. 1759,20

Pietà « ,58

Sant'Eligio « 7205,25

Annunziata « 1150.8!

Popolo « 5220,08

Poveri « 0020, -

Spirito Santo « 12505,22

48784,10 -

Fedi di credito di arrendamenti liberi (circolazione)371103,44 102440,21

490955,03 113507,11

(1) Riferiamo pochi documenti relativi a questa sospensione di pagamenti e liquidazione, 9 gennaio 1702 deliberazione della Giunta di Governo del banco S. Giacomo. Essendosi osservato giorni sono in tutti i banchi un gran concorso, correndo ognuno con le sue fedi di credito a tirarsi il denaro; e discorsosi dai signori governatori di quelli, che se in ciò non si pigliava qualche rimedio, in pochi giorni sarebbero estinti (a); furono di parere darne parte a S. E. acciò restasse servita remediare sa questo particolare. Come in fatti se ne li diede la notizia. E per il suddetto R. Collateral Consiglio fu ordinato, con viglietto particolare per secreteria del Regno, del primo del corrente mese di gennaio, che si pagasse il quinto di moneta corrente per tre mesi generalmente a tutti i creditori che vorranno esigerlo; e che se per caso qualcheduno di detti creditori non volesse aspettare il suddetto tempo del quinto, e volesse esser soddisfatto per l'intiero, in tal caso restasse ad arbitrio di quel creditore di pagarsi prontamente dell'effetti (b) che tengono detti banchi, secondo il suo giusto valore. E perché nel nostro Banco è succeduto il caso d'essere comparsi simili creditori, che vogliono soddisfarsi prontamente dell'effetti del medesimo, nella forma che di sopra viene ordinato, e che perciò se ne doveranno stipulare le debite cautele; pertanto, con la presente, concediamo facoltà al D. G.

(a) Falliti i banchi.

(b) Crediti dei banchi per mutui ipotecarii e chirografarii, partite d'arrendamenti, pegni scaduti ecc.

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Il Monte o Banco dei Poveri si rimise in poco tempo: col vendere o cedere

Decio Tagliavia, nostro collega, di poter quelli stipulare, con tutti quelli patti, clausole c condizioni solite apponersi in simili contratti. Firmati D. A. V. L. de Machuclia Vargas - Cesare Ferraro - Giuseppe Antonio Morbillo».

7 maggio 1702. Giunta di Governo.

"Essendosi, fin dal primo di gennaio prossimo passato, alzato mano (c) a far pegni nel nostro Banco, a fine di soddisfare li creditori del medesimo, manca per conseguenza la forma di pagare gli ufficiali dall'utile che perveniva dalli medesimi pegni; e consideratosi all'incontro che si deve qualche mercede alli detti ufficiali, li quali travagliano per servizio del Banco, e particolarmente per servizio dei creditori del conto vecchio (d), habbiamo risoluto di consolare in qualche maniera detti officiali, senza toccare il denaro di detti creditori. Che però retrovandosi alcune quantità di denari, pervenute dal conto d'utile dello avanzo dei zecchini, abbiamo conchiuso che dal detto avanzo si paghi a detti ufficiali la metà delle provvisioni che godevano, per loro fatighe fatte nelli due prossimi passati mesi di marzo e aprile; esclusi tutti gli officiali giubilati, pensioni, e la piazza di sollecitatore delle liti, che resta estinta; e cosi il magnifico Razionale ne spediscili il mandato».

"E poiché per l'avvenire non sono necessarii tutti gli ufficii che hanno servito per lo passato il detto Banco, perciò abbiamo conchiuso di riformare e ridurre il numero di essi a quelli che sono puramente necessarii, lasciando li più abili al servizio del Banco, e non li più antichi; e perciò si é determinato che restino li seguenti ecc."

Lettera al Viceré, approvata dalla giunta di governo del Banco S. Giacomo - Sessione 2 luglio 1702.

«Dopo il primo ripartimento fatto ài. creditori del Banco San Giacomo, di cinquanta per cento, cioè dieci in contanti e quaranta in effetti, si sono uniti da circa Duc. 30,000, pervenuti dalli dispegni e vendite di pegni; e perciò si pensa di cominciare a pagare un'altra decima ai detti creditori; e benché questa somma non basti per detta decima, ad ogni modo, come li creditori non verranno tutti insieme, ci sarà tempo di supplire quello che manca, col denaro che giornalmente va entrando dalla vendita di detti pegni e dispegni.»

«Fra detti creditori, secondo l'osservazione fatta dal Magnifico Razionale, ve ne sono moltissimi di partite minute, carlini trenta a basso, che uniti importeranno da ducati 2500 incirca; si stima che questi si potrebbero pagare per intero. E benché in ciò pare che non si osserverebbe l'eguaglianza, ad ogni modo si considera che per governo debba farsi, non solo perché si tratta di poca somma, ma anche perché si consolerebbe un numero di 1800 persone, che rappresentano detti crediti minuti, con insensibile incomodo degli altri, tanto maggiormente che buona parte di essi ne hanno esatto la metà»

Ber il credito di Gaetano Patino, che si desidera far pagare in contanti quella porzione che secondo il detto primo ripartimento doveva darsi in effetti, a fine che la Regia Corte se ne possa prontamente servire; si devono dare gli ordini necessarii, non solo per cautela dei ministri ed officiali del Banco, ma anche perché, dovendosi fare, non passi in esempio a rispetto degli altri."

«1722 a 3 febbraio - Avendo il nostro Banco pagato il 95 per cento alli creditori del conto vecchio, che principia dall'anno 1648 per tutto li 2 marzo 1702; che fece punto per le notorie disgrazie, originate da mancamenti commessi così da ufficiali antichi, come da altri più moderni; con tutto ciò dal presente Governo, con particolare attenzione, sempre si sono usate tutte le diligenze possibili per ricuperare dalli debitori di detto banco, cosi per esito superante introito, come in virtù di polizze e bollettini ritrovati nella cassa del quondam Pietro di Carluccio, tutte quelle somme che si è potuto; anche per via di transazioni con quelli che si sono stimati litigiosi, e secondo le ragioni di ambedue le parti, discusso e ben considerate con più sessioni, per terminare l'aggiustamento; come in effetti è seguito con molti, mediante il gran zelo del presente governo; il tutto a fine di facilitare alli suddetti creditori il pagamento della restante mezza decima.»

«Perloché, mesi sono, s'incaricò il nostro M. Razionale, che avesse di nuovo riconosciuto lo stato di detto conto vecchio, e formato un ristretto, per deliberare in vista di quello quanto si

(c) Cessato - Tre anni dopo, 7 giugno 1704, il Viceré dette permesso di rimettere il Monte di Pietà, ma solo per gli oggetti di oro o argento, escluse le gioie, e con un capitale che non superava Duc. 20,000.

(d) Il conto vecchio era quello concernente li debiti e crediti anteriori al 2 marzo 1702, giorno che si puntarono i pagamenti, e si venne alla liquidazione. deliberazioni 7 marzo 1702:Es «sendo succeduta la disgrazia al nostro Banco di San Giacomo di avere fatto punto, ai 2 del «corrente mese di marzo 1702, per causa di non avere gli effetti bastanti a poter pagare «tutt'i creditori per intero, e discorsosi assieme etc.Si convenne di fare quanto fosse possibile per ricuperare le somme che tenevano collocate in mutui o in pegni.

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piccola quantità di pegni ad interesse e col sospendere per qualche mese l'opera dei pegni gratuiti (D. L'altro, della Pietà, subì solo un controcolpo per lo scredito del La carta: poiché teneva tanto da pagare a vista le sue bancali. ed anche da soccorrere, come fece, gli altri Monti.

fusse stimato possibile l'conveniente, per esonerare onorevolmente il Banco da tal debito, ed insieme giustamente consolare li creditori col soddisfarli. Come in effetti, nella sessione di questa mattina, ha riferito pienamente tutto il contenuto in più volumi di spogli e ristretti, formati per detto affare, con varie distinzioni e chiarezza, cosi di quelli creditori nel libro della decima, come degli altri che non hanno ricevuto rata, per non essere tuttavia comparsi. E quantunque, dalle suddette scritture, evidentemente apparisca di non esservi il pieno per soddisfare prontamente a tutti li creditori del suddetto conto vecchio, ad ogni modo, fattesi dal Governo più riflessioni e discorsi su questo particolare, gli è parso di risolvere e ordinare il pagamento della suddetta restante mezza decina; sul riflesso che l'aspettativa delli creditori non comparsi sin oggi non i ossa, con giustizia, impedire la soddisfazione a tutti quelli che presentemente compariscono. E se compariranno, giammai lo potrà essere tutti in un tempo; e quando anche pur sortisse qualche piena, alla quale il Banco non potesse supplire prontamente in contanti, allora si prenderanno gli espedienti più propri per soddisfarli, col frutto annuale che pervenerà al Banco dalle compre del riferito conto vecchio, o pure con l'assegnamento dei medesimi effetti, come meglio si stimerà necessario. Firmati - Ulloa, regg - Cafaro governatore.»

(1) Rappresentanza al Viceré dai Governatori del Banco dei Poveri. 5 giugno 1707

"

In risposta del viglietto dei 3 giugno corrente; si dice, per informare S.E. ed il Regio Collaterale."

Che se bene, con altro viglietto, si è permesso di pagare li creditori apodissarii il quarto in monete corrente e li tre quarti in tanti pegni d'argento e d'oro, nondimeno, nell'eseguire detto ordine, si è avuto il riguardo di non alienare li pegni modernamente fatti, né di travagliare li poveri.Ed in effetto li pegni che sino adesso si son posti in cassa, la maggior parte di essi sono di somme che passano li ducati, trenta per ciascheduno e tutti li suddetti pegni ascendono alla somma di ducati tremila incirca molto piccola rispetto alla quantità dei pegni che sono in guardaroba, che ascendono alla somma di ducati cento e nove mila incirca.,,

"Di più, tutti li suddetti pegni posti in cassa sono dell'anni 1701, 1702 e parte del 1703, con che resta grandissima quantità di pegni che si devono vendere; e si dovrebbero vendere anche se non vi fusse l'urgenza di pagare li creditori."

"Inoltre li pegni in poca quantità venduti sin adesso, non si son venduti a basso prezzo col perderci la manifattura, nella forma rappresentata a S. E. Ma si son venduti all'incanto, a prezzo assai buono, vale a dire l'argento da tre marchi a ducali tredici e tari tre la libbra, e l'argento più basso a ducati tredici od almeno ducati dodici e tari quattro; e prima di vendersi, essendosi fatto lo scandaglio alla Regia Zecca, si è veduto chesi son venduti con molto vantaggio, rispetto all'intrinseco valore; con che li padroni non solo non han perduto l'intrinseco valore, ma anco hanno guadagnato parte della manifattura."

» Per quanto tocca al tempo seu dilazione che pretendono li padroni dei pegni, devesi sapere che dall'anno 1701 in qua non si son fatte le cartelle con la dilazione di anni due, come si praticava per il passato, ma è restata libera la facoltà alli governatori da poter vendere il pegno anco un giorno dopo che si è fatto; con che la dilazione non è obbligo altrimente, ma una pura compiacenza dei Governatori, quando non tengono necessità di praticare il contrario."

» Per il monte dove si fanno pegni piccoli di carlini trenta a basso, senza veruno interesse, sino a questo punto non si è venduto pegno veruno; con tutto che di raggione si hanno da vendere molti pegni non solo di argento ed oro che vi sono sin dall'anno 1699, ma anco di lino e lana che, per essere passato il tempo stabilito, devonsi vendere in ogni modo, sì per l'utile dei padroni come per l'utile del Monte, atteso che detta roba si consuma dal tempo e dalle tarle, tanto che si rende inutile e di nessun valore.»

» Li pegni in detto monte, sin dal primo di giugno corrente, non si son fatti, a causa che ritrovandosi impiegati in detti pegni piccoli da ducati trentamila incirca, è necessario di ritirare parte di detta somma, come si é praticato in altri tempi calamitosi; e per detta ragione non si può esercitare adesso l'opera di carità, dovendosi preferire quella di giustizia, ch'è di pagare li creditori.,, 1 registri delle conclusioniprovano che il Monte Poveri, per mantenere il pagamento a vista della sua carta, prese molte somme a mutuo con ipoteca delli suoi arrendamenti, ridusse a metà il fondo pei pegni senz'interesse, e levò molte spese di personale, di beneficenza e di culto.

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Il bilancio patrimoniale del 1703 dice, che dalla liquidazione per la crisi gli erano restati ducati 1851554.35: dai quali sottratti D. (520704,54, mutui ed altre passività, si potevano conteggiare, come pura e semplice proprietà gli altri D. 1230849,81. Ciò, indi pendentemente dalla cassa di circolazione e dal Monte di pegni che bilanciavano perfettamente.

Tutt'altre erano In condizioni del Banco dell'Annunziata, che insistette e fece intervenire l'autorità del Monarca, per avere denaro dagli altri.

Libro di conclusioni del Banco e Monto dei Poveri, 19 novembre 1701

".... Considerandosi, dai signori Governatori d'Ave Grafia Piena, il stato della Casa e Banco, nel quale si ritrova nelle correnti turbolenze, con le quali si vede che alla giornata si esitano grosse somme de denari a creditori del Banco, ritrovandosi il medesimo Banco difficilmente pronto a poter soddisfare tutti li creditori, tanto maggiormente per esservi un fosso di gran considerazione, e che grandemente dubitano che non habbia da cascare. Per lo quale effetto sono ricorsi li medesimi signori Governatori alla protezione di Sua Eccellenza, acciò l'avesse possuto dare la dovuta previdenza per simile disgrazia; con supplicare Sua Eccellenza, che mancandoli da ducati 285,000, per poter prontuariamente pagare ai loro creditori (1) quelli si potrebbero ripartire a' tre banchi più opulenti di questa città, ai quali offerirlio di dare previa cessioni iuris luendi per la somma si ripartirà, tanti loro arreiidameuti effettivi che la medesima Santa Casa e Banco possiede."

"Per il che, essendosi degnata Sua Eccellenza di chiamare il nostro Governo del Banco del Santissimo Monte dei Poveri, liaven doli esposto tutto ciò che di sopra sta enunciato, e di vantaggio, essere detto nostro Banco il più forte per supplire alla rata per la mancanza di detto Banco e Casa Santa, non permettendosi che cada detto Banco con queste correnti calamità, ha comandato che si diano al detto Banco della Santissima Annunciata ducati cinquantamila contanti. In sodisfazione dei quali li avessimo ricevuti tanti capitali d'arrendamenti effettivi, offerendo detti signori d'Ave Gratia Piena, come anco Sua Eccellenza, dare tutte le cautele di nostra sodisfazione; con darci anco li medesimi Governatori nota distinta di tutti l'arrendamenti che da loro si possedono, affinché si possa da noi eliggere quello meglio parerà, a nostra disposizione."

"Questi nostri signori Governatori, cerzionando Sua Eccellenza delle mancanze del nostro Banco, e dei furti fatti dall'ufficiali pro tempore,

(1) Mancava infatti circa venti volte tanto.


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e non esatti ancora; come per li ducati 40000 incirca dovuti da Filippo Maria Trapani, presisi furtivamente da Cassa Maggiore del nostro Banco, in tempo ch'esercitava l'ufficio di cassiere maggiore; Duc. 20000 dovuti dal fu Giuseppe e Gennaro De Felice, olim guardaroba dei pegni piccoli del Monte; altri ducati 750 dovuti da Gio. Orlandino, olim credenziero delle vendite: con altra somma dovuta dal quondam Giacom'Antonio Pandolfo e Onofrio Fieramonte: essendo la maggior parte di detti debiti inesigibile, per esserne tutti decotti, eccetto però il debito di Filippo Maria Trapani. che prontuariamente potrebbe pagare, quando però l'Eccellenza Sua, colla solita sua grandezza e magnanimità, ci proteggerà: per lo che il dare la somma suddetta sarebbe stato di grande incomodo al nostro Bilico. Si degnò replicare Sua Eccellenza che applaudiva molto l'ottima disposizione, administrazione e direttione si governa il nostro Banco. (Eh!) Ma che però era necessario il pagamento suddetto dei ducati cinquantamila, per mantenimento del Banco suddetto della Santissima Annunziata, essendo spediente, anzi beneficio pubblico, che detto Banco se mantenghi. E per detta ragione ed effetto il Banco della Pietà dava ducati centomila, cioè ducati quarantaquattromila di riscontri che teneva con la Casa Santa e Banco di Ave Gratia Piena e ducati cinquantaseimila di contanti, per compimento dei detti D. 100000. TI Banco di S. Giacomo, essendo creditore di detta Santa Casa in ducati 112,000 dei quali dava D. (50000 di effetti d'altro de contanti. Non stimando che il Banco dei Poveri, essendo il più opulento e ricco, possi far di meno di questo, stante la necessità che tiene detto Banco d'Ave Gratia Piena. Come anco si batteranno prima tutti li riscontri di tutti li banchi, affinché per l'avvenire non si ricevano più riscontri: quali sono causa del danno che patiscono tutti li banchi, per non potersi mai sapere tutto il denaro esistente in ciascun Banco, e con questo ognuno spenderà sopra la sua zienna. A tutto ciò replicarono li Signori Governatori del nostro Banco, ringraziando S. E. dell'ottimo zelo che tiene del pubblico, e che li averebbero tutto ciò comunicato agli altri signori Fratelli Deputati, per quanto da S. E. li veniva ordinato. A tal effetto, dalli suddetti nostri signori Governatori con li sopra accennati signori Fratelli, fattosi lungo discorso su l'imposto da S. E. han concluso ché se diano al suddetto Banco della Santissima Annunziata ducati cinquantamila,

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per exequtione del preciso ordine ricevutone a bocca da S. E. In sodisfazione dei quali si ricevano tanti capitali d arrendamenti, da eligersi dai signori Governatori, previa cessione del juris luendi."

"E dubitandose in che forma posseva il Governo disporre di detta somma, a favore di detto Banco e Casa Santa, quando che non avevano per loro cautela né biglietto di S. E. né del Collaterale. Consiglio, a ciò rispose il signor Don Domenico Fiorillo, nostro Fratello, al presente degnissimo Segretario del Pegno, che bastantemente tutto questo trattato con S. E. e signori Governatori lui medesimo l'aveva notato e scritto nel libro della segreteria del "Regno; asserendoci che questo era bastante cautela per la sodisfazione del denaro, trattandosi tanto più di un luogo pio ed un altro luogo pio, non si ritardasse dai signori Governatori di darsi fin alla somma di ducati cinquantamila a detta Casa Santa e Banco, così remasto con S. E. E per detto effetto anco si è concluso, che il nostro banco pigli ad interesse non solo detta summa, ma quello parerà ai signori Governatoli; intendendosi però che quelli che vorranno po nere denari in compra col nostro Banco e Monte non siano polizze di detto Banco Ave Gratia Piena, per non incorrere di pagare maggiormente più di ducati cinquantamilia, a che son incorsi l'altri due banchi. Il tutto però si facci con meno discredito che si può di detto Banco A. G. P."

Ai venticinque novembre, i Fratelli approvarono le modalità del prestito, ma gli altri creditori cl' Ave Gratia Piena non dettero tempo per stipulare l'atto notarile - Dice la conclusione 30 Novembre 1701.

"Essendosi ordinato, con conclusione delli 19 del corrente, fare impronto dal nostro Banco e Monte de ducati 50000 alla Casa e Banco della SS. Annunziata per le cause espresse ed enunciate di detta conclusione: con che non si fusse proceduto a stipulare contratto se prima non si fossero riconosciute le cautele circa li capitali che detta Casa e Banco doveva assegnare al nostro Monte; ed anco si fossero nominati deputati per poter stipulare. Ed essendosi sopra di ciò tenuta sessione, ed essendosi considerato che detto banco si diede per decotto, per essere comparso li creditori strumentari, e fatti Deputati, con protestarnosi così con atti pubblici come privati, e con istanze formiter presentate nel Tribunale della Gran Corte della Vicaria, che non possi detta Casa Santa e Banco alienare le compre ipotecate ai creditori istrumentari. con che, con intestarsi dette compre al nostro Banco, s'intenderanno per nulle ed invalide.

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Di modo che, essendosi tutto ciò considerato da questi Signori, hanno concluso di non procedere al detto impronto; e che di tutto ciò si debbia formare memoriale pieno a S. E. con cerzioiiarlo che il nostro Monte e Banco, per non aver possuto bavere cautela bastante ad intestarsi li capitali di detta Santa Casa e Banco, non se sia proceduto al detto impronto, giusta l'impostoci a voce da S. E.

C'è altra lunga deliberazione, del 6 dicembre 1701, dalla quale appare che il Viceré volesse sempre far concludere il prestito, dichiarando valida la cessione di rendita, e che il Monte Poveri avesse consentito, ad onta di vivaci proteste di Fratelli, ve fra gli altri dello stesso Priore Marchese Villarosa, e degli stessi Governatori scelti per sottoscrivere l'istrumento notarile, Scacciavento, Cangiano e Grimaldi. Erano costoro creditori dell'Annunziata che non si volevano danneggiare coi loro atti d'amministrazione nel Monte Poveri; cioè col riconoscere come legale 1 ordine del Viceré, che permetteva a! fallito di contrarre altri debiti e di cedere cespiti pertinenti ai creditori, dopo la sospensione dei pagamenti, e dopo ch'erano cominciate le intimazioni giudiziarie ed i sequestri.

Arrivate le cose a questo punto, divennero vani i tentativi di salvare l'istituto, che sul principio dell'anno 1702 presentò il bilancio. Giungevano i debiti, per la Casa, cioè ospizio dei trovatelli ed opere annesse, a ducati 1,802.450, pel Banco a ducati 2,737,350, totale ducati 4,539,800 d'obbligazioni strumentarie; più ducati cinquecentomila circa di debito apodissario, dipendente dalla circolazione della carta nominativa (1).

Già da gran tempo Casa e Banco avevano grossi disavanzi e l'amministrazione stava disordinata. Quando, nel 1(533, fu messa la gabella d'un ducato a botte sui vini, per risarcire gl'Istituti di credito di porzione della perdita derivante dalle zannette, il banco dell'Annunziata non ebbe nulla, perché non seppe dare il conto delle perdite. Gli è vero che grandi erano l'opere di carità, ed esiste una petizione del 1625, fatta la

(1) D' Addosio. Origini ecc. pag. 250.

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Il libro patrimoniale del 11500 contiene questo notamento delle beneficenze della Santa Casa:

".....in questa, predetta S. Casa si esercitano tutte le opere della misericordia, et acciò venghi a notizia precisa di tutti.

In primis se tiene un Hospedale nel quale sono sempre in ordine 388 letti per ammalati febbricitanti, di qualsivoglia natione che siano, etiam infedeli, che in quello confluiscono da tutte le parti del mondo; et quando tutti detti letti sono pieni, com'è accaduto et suole accadere spessissime volte, che sono annate d'infermità, ve si pongono delli altri, in numero conforme al bisogno di quelli che concorrono in esso Hospedale; in modo che nessuno se ne rimanda indietro, ma quanti più ne vengono se ricevono, et governano equalmente; né perché ne sopravengano in gran numero se manca mai a nessuno del suo bisogno, non solo ad sufficienza, ma ad superabundanza, con darsi a tutti et polli, et vitella, et castrato, et altro, conforme richiede il bisogno et necessario dell'infermo, senza risparmio de cosa alcuna. Per la speziaria, non solo si tiene in Casa, dove se lavora et in ogni cosa et di tutta perfettione, ma se tiene una dispensa particolare di tutte drogherie, aromati, zuccaia, et ogni altro bisogno a tal niestiero, acciò per nessuno tempo né per qualsivoglia occasione manchi cosa alcuna.

Se tiene anco un'altro Hospedale d'huomini feriti, alli quali se li ministrano, come alli suddetti felicitanti, tutt'i medicamenti necessari come di sopra; et per questi sempre vi stanno in ordine letti 43 et tanti di più quanti ve ne venissero, non denegandosi a nessuno mai la carità.

Per la cura così dell'uni come dell'altri, vi sono deputati medici, che attendono al servitio, di N.4, quali matina et sera attendono a visitare l'infermi. Et oltre detti medici vi sono deputati tre prattici, quali assistono di giorno et di notte alli predetti ospedali, non solo per rimediare et provedere alli repentini accidenti, che possono et sogliono sopravenire all'infermi dopo visitati da' medici ordinarli, ma anco per referire a eglino il succeduto fra' il spatio della loro assentia; et questo acciò non se manchi de cosa alcuna per la bona cura di detti infermi, li quali, ancorché passino meglio di loro infermità, non per questo incontinente si licentiano, ma, come convalescenti, si manchino in un altro loco che detta S. Casa tiene con casa et giardino, nella falda di S. Martino, loco di bon'aria, dove se ricreano per alquanti giorni, acciò ricuperino in tutto et per tutto la sanità, et non faccino recadìa.

Per la salute dell'anime poi delli predetti, ve si tengono deputati X.° 12 padri, ordinariamente di quelli che professano ministrare all'infermi, quali assistono il di et di notte alli predetti infermi, per soggiovare all'anime loro, con la confessione e sortatione et ricordi al ben morire per insin'all'ultimo fiato; acciò, passando da questa caduca vita all'altra, muojano da veri et cattolici cristiani.

Inoltre, questa Santa Casa riceve et tiene tutte quelle creature che li sono buttate alla Chiesa o alla Rote, o da madri et padri poveri, che non li possono notrire; o da quelle madri che occultamente li concipeno et partoriscono, et nati poi, per evitare la manifestatione

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del loro fallo, li buttano in detto loco; quali tutti questa Casa Santa li riceve, et li fa allevare et lattare, che pei essi se tengono salariate tatto l'anno nutrici tremila in circa.Et dipoi fatti grandi, se sono fe mine, se pongono nel Conservatorio particolare che se ne tiene, con farle ammaestrare et dottrinare conforme se conviene a loro stato donnesco; con somministrarle et vitto et vestito cotidianamente; delle quali altre se ne vanno maritando ria tempo in tempo, con dote di ducati novanta per ciascheduna; et altre ne restano de loro volontà in Casa a vivere vita verginale et religiosa, delle quali lioggi ne sono in detto Conservatorioal di 700 in circa; et li ma scoli chi si da all'arte et chi si fa prete, et la Casa Santa ne tiene pensiero.

Né la predetta carità se usa solo in Casa, ma se diffonde di fuora, maritando ogn'anno almeno quaranta figliuole povere di poveri o cittadini o habitatori di questa città, et da oltre venti se maritano dalla detta Casa Santa per legati diversi.

In oltre, se sovvengono poveri vergognosi giornalmente, chi de vestiti et chi de dinari, et altro conforme se vede il bisogno loro.

Se soccorrono anco luoghi di padri religiosi, et di donne monache ancora di diverse religioni et monasteri nelli loro bisogni, come sono cose de vitto et vestiti, cere et altro per servitio del culto divino.

Se sovveniscono ancora li poveri carcerati della Vicaria, almeno due volte la settimana, de robbe de mangiare et de vino, et finalmente se fanno molte altre carità, secondo la Casa predetta viene richiesta.

La domenica di Pasqua di Resurretione, si distribuiscono docati trenta attorno la Santa Casa a' poveri, cominciando da porta Nolana, fino alla strada di Forcella.

Da tutte queste sn dette opere di pietà dunque mossi, et dalla divotio ne dissero portare alla Santissima Madre d'Iddio, l'infrascritti Serenissimi Re et Regine et altri signori Cavalieri et gentil'homini, nell'infrascritti tempi, donorilo a detta Casa Santa et Hospitale della SS. Annonziata, l'infrascritte città, terre, castelli et altri beni stabili per manotentione delle predette Opere Pie ecc.

Tutto questo, lungi dal giustificare un disordine di scritture che impediva di riscuotere i crediti, lo rende forse più biasimevole.

L'interrogazione: Che.... Sei inasto d'a Nunziata?! pel tuono canzonatorio come la fanno i nostri popolani, non significa, come pretende d'Addosio: sei un amministratore insigne! Sibbene vuol dire: Dove fondi la tua tracotanza? Famosi divennero, per superbia o per asinaggine, parecchi Preposti della Santa Casa, che in varie occasioni giunsero a turbare la pace del Pegno.

Prima del 1617, s'era più o meno rispettata la consuetudine della Pietà e d'altri banchi, per la quale chi finiva il tempo, designava i candidati a succedergli nell'ufficio. Piacque al Duca d'Ossuna di cambiare metodo, facendo partecipare tutt'i membri del Sedile Capuano all'elezione del maestro nobile.

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Il primo Maestro così nominato, che fu Cola Maria di Somma,

Principe del Colle, inaugurò le sue pubbliche udienze fracassando la testa d'un innocente vecchio, che non fu svelto, come l'avvocato al quale era diretto, nello scansare il campanello d'argento, scaraventato dall'atrabilare feudatario.

Mazzero - annali pag. 525 - N". 24). A 25 gennaio 1618. TI Principe del Colle, Cola Maria di Somma, in audienzia pubblica nella SS. Annunziata, poiché un dottore l'andò a ragionare e non li diodo l'Eccellentissimo, li tirò il campanello, e, quello salvandosi, colse ad un povero, vecchio e li ruppe la testa."

Pei quattro borghesi, poi, dei quali toccava la scelta al Seggio del Popolo, si subirono tutti gì inconvenienti delle votazioni, aggravati dalla pretensione del cardinal Zapata, che voleva gente denarosa essendo la povertà e necessità gran cagione di deviar dalla via retta, e per essere amici di novità sogliono essere pericolosi nelli governi (1)... I villani rifatti, che per forza d'intrigo e di denaro giungevano al Maestrato, lo tenevano con superbia non minore di quella del nobile e ne derivarono tragedie.

Nel 29 agosto 1633, essendo infermo il Mastro nobile, Francesco Caracciolo,non intervenne alla riunione solita; epperò i Governatori del Popolo, Francescantonio Scacciavento,Camillo Soprano, Francesco Fiorillo,e l'altro, che non volle pigliarvi parte, Tommaso Aquino, indignati di essersi recati inutilmente nella Casa Santa, scassinarono la porta dell'Udienza e vi entrarono a viva forza. A vendicare siffatto insulto si mosse Fabrizio Carafa, cognato del Caracciolo, cui si unì Fra Vincenzo della Marra, Cav. di Malta, con altri spadaccini, per insidiare la vita dello Scacciavento, reputato autore ditale insolenza. Dapprima corsero in sua casa, e sa^Duto eh' era uscito in carrozza con 1' altro Maestro legale Soprano, recaronsi verso la Chiesa dello Spirito Santo, ove, trovata la carrozza con entro il solo Soprano,che ritornava, l'obbligarono a discenderne e baciar loro i piedi. A quest'atto sì umiliante si rifiutava il Soprano, ma ai colpi di bastone dovè cedere e praticarlo; senza alcun prò, poiché dopo fu si aspramente battuto da cadere immerso nel proprio sangue; esalando lo spirito in mezzo alla strada, e propriamente sotto il palazzo del Principe della Rocca a Santa Chiara. Il popolo si rese furente per attentato si barbaro,e più crebbe l'ira quando si seppe che la moglie del Soprano erasi^poco dopo la trista nuova, recipitata da una finestra, lasciando sette figli. Intanto, passando dopo breve ora il Viceré Duca di Monterey per la strada S. Chiara, fu spinto dal popolo ad essere spettatore dell'ucciso,e, promettendo sollecita vendetta ordinò a Tonno d' Angiolo, allora Eletto,di tener Sedile in S. Agostino per pacificare il popolo, disponendo l'arresto degli uccisori. Anzi lo stesso Mastro Nobile Caracciolo fu messo a custodia nel proprio letto, con delle guardie a sue spese per 25 giorni. E ciò fu piuttosto utile per lui, poiché, nel portarsi a seppellire l'ucciso Soprano,

(1) Dispaccio 27 giugno 1622.

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con i figli che seguivano il feretro coi capelli rasi ,facilmente l'ira del popolo avrebbe potuto scoppiare, assassinando il Caracciolo;come infatti , nella rivoluzione del 1647, il popolo si avventò contro quelli che presero parte a tale assassinio, covando l'ira per 14 anni, ed uccidendo Giuseppe Caraffa,fratello del Duca, di Maddaloni, e Gio. Serio Sanfelice, signore di Acquavella (1)».

Pigliando il disopra, nel 1647, la plebe non si contentò di fare giustizia dei carnefici di Soprano. Essa costrinse il Viceré a sottoscrivere patti coi quali si toglievano tutt'i simboli di precedenza e di supremazia al nobile.

«Capecelatro. Diario, pag. 214. Articolo 35. Item. Che nella Mastria et Governo della SS. Annunziata di Napoli, esercitata così dal Maestro seu Governatore di Seggio Capuano, come da quelli della Piazza del fedelissimo Popolo, possano entrare, ad ministrare e concludere li Governatori del Fidelissimo Popolo di detta Casa Santa, essendo però di numero opportuno, et nelle giornate et hore stabilite, ancorché non intervenghi il Mastro del Seggio Capuano, o che sia presente e non concorra. Et detto Governatore di Capuano abbia una voce conforme a ciascheduno del Popolo, e che si esegui inviolabilmente quel che la maggior parte conclude, anche contradichi il Governatore di Seggio Capuano. Et dippiù, la ad ministratione delle confidenze, purché non contradichi la volontà del testatore, o del Banco di detta Casa Santa, si debbia fare tanto per lo mensario, che pro tempore sarà delli quattro Governatori del Popolo, quanto ancora per li Governatori di Capuano, con firmarsi per tutti e due le cartelle de pegni, polizze, mandati, bollettini di pagamenti, et qualsivoglia altra Scrittura. Et debbiano godere egualmente lo prerogative, preeminenze, elemosine scerete, torcie, maritaggi, offici, anco di Mercugliano; intanto che non possa godere il Governatore di Capuano maggioranza nessuna di detti bollori et prerogative, si non quanto godi ciascheduno di detti Governatori del Popolo. Et che la Ilota dell'Audienzia debbia essere tonda, con ponersi il campanello in mezzo, aceiò si possa sonare da tutti nelle occorrenze, et con li calamari d'argento a ciascheduno delli Governatori, non obsfante che per il passato si sia altrimente osservato: et che la chiave delli Censali si occupi per il Governatore del Popolo della prima seggia, senza che debbia intromettersi nella distributione della eletta chiave il Governatore di Capuano. Et di pi i che tutte lo Mastrie e Governi di altri Luoghi Pii debbiano durare per li tempi stabiliti.

«Ci è parso concedere, siccome con questa concedeno, conforme si domanda. El Duque de Arcos.»

Questo, e gli altri articoli del trattato di pace, non furono riconosciuti né osservati dai successori dell'Arcos, ma valgono a provar qual conto facevano i ribelli del Afa est rato della Santa Casa.

Anche con Monsignore Arcivescovo ci furono gravi controversie, per le quali si giunse alla interdizione della chiesa.

(1) Parrino, pag. 247. Capecelatro. Diario, vol. I pag. 183. d'Addosio. Origini ecc. pag. 33 e 34.

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Quoniam, ex inveterata consuetudine, est solitum celebrare festam Santissima Annuntiatae, in Ecclesia propria huius civitatis, a nostris praedecessoribus, cum Cappella et assistentia Canonicorum nostrae Cathedralis Ecclesiae, prout nobis notorie constat; ideo, cum ad præfatam Ecclesiam pro feste celebrando, nec invitati nec vocati fuerimus, ad nostram nostrorumque praedecessorum possessionem præfatam tollendam, pro tuitione iurium nostrae Cathedralis Ecclesiae, præfatam Ecclesiam ecclesiastico interdicto supponi mus, ita ut praefatum interdictum ab omnibus Praesbiteris, tam secularibus quam regularibus, servare mandavimus; sub poena etc. Ascanius Cardinalis Philamarinus Archiepiscopus Neapolitanus.

Quarantott'ore dopo si levò l'interdizione, essendosi sottomessi alcuni Signori di Piazza Capuana: ma il Procuratore di A. Cr. P. fece. mediante notaio, stipulare questa protesta.

Die Sexto mensis Aprilis 1044, Neapoli. Constitutus in nostri praesentia U. J. D. Joseph. Surrentinus de Neapoli, Generalis Procurator Sacri Hospitalis et Ecclesiae Sanctae Mariae Annuntiatae huius civitatis Neapolis, sponte, corani nobis, declaravit et declarat, in vulgari sermone loquendo, pro maiori facti intelligentia, videllcet. Come questa mattina, Mercordi sei di Aprile presente anno, per uno delli Signori sei dell'Illustrissima Piazza di Capuana, è stato portato al Reverendo Sacristano di detta Chiesa, l'infrascritto ordine dell'Eminentissimo Signor Cardinale Filomarino Arcivescovo di Napoli, il tenore della copia del quale appresso si descriverà, ed ha fatto aprire eletta Chiesa e cominciare a celebrare le messe. Qual ordine, essendo stato considerato che può apportare in futurum qualche pregiudizio a detta Chiesa e suoi Signori Governatori, per conservare tutte le ragioni che loro spettano e competano, e per futura cautela, in detto nome, dichiara e si protesta una e più volte e quante sarà necessario, che si riceve eletto ordine dell'Eminentissimo Signor Cardinale Arcivescovo di Napoli si et in quantum pro dieta Ecclesia facit et non aliter etc. per non impedire lo concorso e devozione dei fedeli, che vi è in detta Chiesa e la celebrazione delle messe, alle quali è tenuta adempiere detta Chiesa per le anime dei benefattori; citra preiuditio del ricorso avuto in Roma a Sua Santità, e di tutti gli altri rimedii che loro competono e possono competere. E singolarmente si protesta, che il convitare alle festività di detta Chiesa li Signori Arcivescovi di Napoli non si è fatto continuamente, ma quando è piaciuto alli signori Governatori, che pro tempore sono stati, per loro urbanità e cortesia, e non per obbligo, né per indurre ius in atti di mera facilità ed arbitrarli. E di più i Signori Sei dell'Illustrissima Piazza di Capuana non avevano potestà di comparire nei negozii di detta Chiesa, essendo l'amministrazione di quella data ai Signori Governatori eletti con le procure solite, ai quali Signori Governatori spetta rappresentare detta Chiesa, né vi è concorsa la Piazza del Fedelissimo Popolo di Napoli, quale unitamente governa detta Casa Santa, e per dette due piazze si rappresenta il governo di eletta Chiesa e Casa. E perciò si protesta, che per detto ordine fatto dal detto Eminentissimo Cardinale Arcivescovo di Napoli, non s'intenda nullo futuro tempore abbiano i Signori Arcivescovi di Napoli a pretendere ius, né ragioni di essere convitati alle festività che si celebrano

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in eletta Chiesa, ma quello resti arbitrario, e secondo la volontà dei Signori Governatori che pro tempore saranno, come sempre per lo passato etiam è stato.

Tenor vero supradicti ordinis Eminentissimi Cardinalis est, videlicet.

Nos Ascanius, miseratione divina, tit. Sanctae Mariae in Ara Coeli Praesbiter Cardinalis Philomarinus, Archiepiscopi Neapolitanus. quoniam ex inveterata consuetudine accedendi, una cum nostris Canonicis, ad Ecclesiam Sanctissimae Annuntiatae, pro celebratone Cappellae in festo dictae Ecclesiae, ex quo non invitati nec vocati fuerimus in praesenti anno, a Gubernatoribus dictae Ecclesiae, pro tuitione iurium nostrae Catheclralis Ecclesiae, coacti fujmus illam supponere ecclesiastico interdicto. Ad petitionem vero sex nobilium rapresentantium totum Sedile Capua num, ad quos spectat eligere gubernatorem nobilem dictae Ecclesiae, benigne annuimus relaxari praefatum interdictum Ecclesiasticum a nobis emanatum, sine tamen praeiuditio iurium dictae nostrae Cathedralis Ecclesiae. Mandantes amoveri cedolones appositos praefati interdicti. Patum in Palatio Archiep. Nostrae Residentiae, che 0 Aprilis 1644. Ascanius Cardinalis Philomarinus Archiepiscopi Neapolitanus.

Extracta est praesens copia a suo proprio originali mihi exibito, exibendi restituito, cui me refero, collatione meliori semper salva etc. Et in fide Ego Notarius Paolus Milanus de Neapoli hic me subscripsi et signavi. Locus signi.

De quibus omnibus ut supra assertis, dictus Doctor Joseph requisivit nos etc. quod conficere deberemus publicum Instrumentum etc. Nos autem etc. Unde etc. Presentibus opportunis etc. (1)

Le circostanze di questo avvenimento sono raccontate da un cronista contemporaneo (1).

«Intanto, a Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino e il Viceré Medina, rimasti l'uno a fronte dell'altro, entrambo ombrosi, risentiti per precedenti alterchi, di ripicco in ripicco, avevano finito di bisticciarsi in tutto. Alla festa della commemorazione del Vesuvio, ancorché non convitato, avendo Sua Eccellenza voluto accudire alla processione, mandò un portiero a darne avviso, ma gli dissero che il Cardinale non poteva aspettare, perché voleva dir messa.

D'allora, furibondo di stizza, il Duca non ebbe più rapporti col Filomarino, e, smanioso di vendicarsi, pensò a fargli scorno.

Sapeva di certe differenze surte fra lui e quelli che reggevano la Casa Santa dell'Annunziata; e il concerto fu, che celebrandosi ai 4 d'aprile del 1044 la festività della Vergine che dava titolo al pio ospizio, non s'invitasse, secondo l'uso, il Cardinale a tenervi cappella, come dicevasi, e che in cambio anelasse a tenerla il Viceré. Tanto, per spuntare l'impegno, il Duca sarebbe stato capace di mostrarsi in mitra e piviale.

(1) Peccato che il copista non trascrisse la formola dell'intimazione. Probabilmente fu diversa da quelle che comunemente usavano i notai ed uscieri (mastrodatti) perché sappiamo che il procuratore del cardinale non si volle ricevere la soprascritta protesta, e che gli uscieri pensarono di farla valida col metterla nel suo cappello.

(1) Archivio Storico Napoletano. Anno 1880. vol. 5, pag. 387.

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Ed infatti Francesco Capecelatro, che in nome della Piazza di Capuana reggeva la Casa, complice nell'intrigo, non mandò lo invito.

Ma Ascanio, che aveva occhi ed orecchie dappertutto, scoperta la macchina del Viceré per dargli disgusto, decise di tener cappella ai SS. Apostoli, dove a sue sposo faceva costruire un altare all'Annunziata; ed intanto, il giorno innanzi alla festa, per mezzo di un cavaliere, mandò a dire al Capecelatro che avvertisse di non innovare l'uso antico. Avuta risposta, che ornai quanto s'ora stabilito non si poteva mutare, rimandò a soggiungere; che non si curava di essere invitato egli, purché non si facesse venire il A icore, che era quello che gli dispiaceva molto. Ma noi vollero udire. Quindi aspettò sino allo sodici ore e mezzo del dì appresso, nel qual punto, avvisato che il signor Viceré veniva alla Chiesa a far Cappella, fece affiggere i ceeloloni dell'interdetto. Allora successe una scena da ridere. Era giunto il Viceré in prossimità dell'Annunziata, dove l'aspettavano i reggenti del Collaterale, il baronaggio e nobiltà, quando, informato per via del tiro, tra la rabbia e la vergogna, non seppe a che risolversi. E, contro il parere di chi lo spronava a ridersi dell'interdetto, pauroso di qualche scompiglio, si diede per non inteso; girò per Porta Capuana, come se andasse passeggiando, e la festa andò a monte.

Vennero poi le braverie. In nome del Governo dell'Annunziata, subito s'era scritto e fatta intimare una solenne protesta al Mastro d'atti del Cardinale, e perché non la volle ricevere, per forza gliela misero nel cappello. né Mesto fu tutto. Da ima parte il Viceré, convocati i due Consigli del Collaterale, quello togato, e l'altro di cappa e spada, tempestò contro un negotio de tanto scandalo e tanto pregiuditio alla giurisditione reale et discredito alla sua persona; ricordando tutti gli scandali mossi dal fiero prelato, e dichiarando: Che il caso gli pareva grave, per la reiterazione dell'eccessi, et per l'intentione che tiene di sollevare questo popolo. Conchiuse che delle due l'una. 0 il Cardinale era pazzo, o savio: Se è pazzo, conviene ligarlo et darlo alli parenti perché lo curino; et si è savio, è necessario deponere rimedio contro chi ha fatto tante cose in pregiuditio di Sua Maestà, potendosi, in questo tempo, sospettare molte cose di esso.

Ma che di sotto vi fosse imbroglio, molti dubitarono. Proprio allora la Francia s'era messo in mezzo a porre termine alla guerra del Ducato di Castro (1) che si temeva dovesse sommuovere l1 Italia; e i Barberini, rimasti colla peggio, avevano ben altro pel capo, pensando che il Papa, loro zio era vecchio decrepito, né d'altra parte appariva ombra di minaccia. Perciò nel Consiglio, se vi fu chi propose che il Cardinale si sfrattasse da Napoli, i più opinarono che si prendesse tempo a considerare, e Sua Eccellenza aggiornò la decisione al di seguente. Rinviati poi i signori di cappa e spada, restò coi reggenti togati, chiamò la Giunta di giurisdizione, fece leggere l'interdetto e la protesta e da capo si discusse. E la conchiusione fu che al Cardinale s'intimasse una sola hortatoria pro tribus (2),

(1) Il trattato di pace era stato segnato al 31 marzo di quell'anno.

(2) Chiamavasi Ortatoria l' intimazione che in nome del Re si taceva alla potestà Ecclesiastica di desistere dai suoi procedimenti.

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e che, negando riceverla, si affiggesse, e intanto s'informasse di tutto il Re ed il Papa. In niente al Duca pareva già sicura e strepitosa la vendetta. Ribadito il chiodo dei sospetti, soggiunto che da quell'ultima occasione s'era conosciuta l'intenzione sempre tenuta dal Cardinale, rese grazie a Dio di aver scoperta la strada da poternosi liberare dal pericolo grande in che stavano, con questo Prelato, che ben ha mostrato effetti degni della schola dove si è allevato, credeva che Ascanio dovesse ostinarsi, e trascendere a tali violenze che indurrebbero la Corte a dargli lo sfratto.

Ma, anche adesso, la burbanza spagnuola fu vinta dall'astuzia del pretc. L'Arcivescovo accolse il Segretario del Collaterale, che veniva ad intimargli l'Ortatoria, rispose: «Aver sempre accudito il servizio di Sua Maestà e che continueria. Spiacergli di aver avuto poca fortuna con Sua Eccellenza, ed essersi incontrato in alcune cose da principio che Sua Santità gli diede il Cappello. Ma non aver fatto che star sulle difese e fatte azioni proporzionate alla sua qualità, e in ogni occasione aver mostrato quanto era servitore di Sua Eccellenza:.Quanto poi ai dritti suoi, non che cedere, avrebbe sagrificata la vita per difendere la giurisditione. Però non essere quello il caso di muovere tanto rumore, perché, ad istanza dei sei del Seggio di ('apuana, e del Principe della Rocca suo parente, aveva già tolto l'interdetto». Così,fingendo di cedere a loro riguardo, dopo' aver punto al vivo il Viceré, scansava ogni altra briga. E colse giusto. Il Due al, struggendosi dalla bile, fece scacciare il Sagrestano Maggiore dell'Annunziata, che senza permesso aveva aperto la Chiesa e sonate a gloria le campane, quando il Principe della Rocca a lui solo recò l'avviso ch'era tolto l'interdetto; e rilegò fuori Napoli il Principe stesso (1) e il fratello; ma furono sfoghi vani di sdegno.

(1) Il Principe della Rocca cercò d'impedire che il Sagrestano fosse mandato via, e venne perciò a parole e a baruffa col Capecelatro. Notam. del Collat. 1. C. E forse da ciò tolse pi testo il Viceré per confinarlo a Gaeta.

Francesco Capecelatro, senz'accennare alla personale sua partecipazione in questi fatti, dice nel suo Diario (vol. 2 pag. 68).

Poco dunque dopo, venuto in Napoli Arcivescovo della Città (il Cardinale Filomarino) avendosi al primo tratto, per la sua discortesia, alienata e fatta nemica la maggior parte della più stimata nobiltà, cominciò, come uomo vano e che di poca levatura aveva mestiere, a venire in discordia coi Ministri reali, volendo con troppo zelo, come lui diceva, ed indiscretamente, come dicevano gli spagnuoli, difendere ove non bisognava le ragioni ecclesiastiche. Indi, perché non era stato convitato alla festa della Casa Santa della Nunziata, in dispetto del Duca di Medina, il quale lui falsamente giudicava aver ciò procurato, interdisse la Chiesa, mentre vi veniva il Viceré, acciò la festa non si celebrasse. Della qual cosa offeso il Duca ed il Collaterale, gli spedirono ordine che prestamente la ribenedicesse. E scrittone a Roma, ne fu ripreso il Cardinale, ed ordinatoli che tosto, togliesse via l'interdetto. Della qual cosa avuta notizia il Cardinale, trattò coi Sei di Capuana, fra quali era Francesco Filomarino Principe della Rocca suo parente, che venissero a pregarlo che togliesse l'interdetto, come ferono,

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(senza saputa alcuna né dei regii ministri né del Governatore di detto luogo) il che fece prestamente il Cardinale. Della qual cosa offesi, non men del posto interdetto, il Duca ed i Reggenti, rilegato a Gaeta il Principe della Rocca, principale autore di tal fatto, e dato esiglio a Giambattista suo fratello dalla città, ordinò così a D. Francesco Capecelatro, allora Governatore, come agli altri futuri, che mai più in occasione della festa vi avesse convitato il Cardinale e gli altri Arcivescovi suoi successori.

Venuto poi per Viceré l'Almirante di Bastiglia, partito il Duca di Medina, venne nel giorno della festa a far cappella nell'Annunziata, pubblicate gravi minacce al Cardinale se avesse tentato d'impedirla, onde egli non tentò altro.

L'anonimo cronista merita d'essere creduto più del Maestro Capecelatro, che ebbe parte principale nel fatto. Cosa certa è la durata di sole quarantotto ore dell'interdizione della chiesa. Or siccome nel 1644 non si conosceva telegrafo, è materialmente impossibile, per la mancanza di tempo, che si t'osse informato il Papa, a Roma, e se ne fosse ottenuta la riprensione del Cardinale, coll'ordine di riaprire la chiesa. I notamenti del Collaterale, punto accennano a pratiche colla Santa Sede per le differenze fra Medina e Filomarino. La protesta stessa, rogata dopo che fu tolto l'interdetto, dice cifra praeiudicium del ricorso avuto (cioè fatto) a Sua Santità.

Rispetto all'amministrazione del banco, tanti furono li disordini, che dovettero domandare al Viceré, i Maestri, un formale decreto di proibizione di qualsiasi prestito. Non arrossirono di scolpirlo su marmo, ed ancora si legge nella sala del teatro anatomico la lapide:

Per conclusione delli 15 maggio 1668, fatta dalli Ecc.mi signori Ascanio Fllomarino, Duca della Torre, e signori Giuseppe Pandolfì, U. I. D. Francesco Ametrano, Iacinto Portio e Geronimo Pisano, Governatori della Casa Santa della SS. Annunziata di Napoli, resta stabilito: che li signori Governatori di quella non possano dar più denaro di detta Casa Santa, suo Banco e confidenza, a particolari, xer causa di mutuo, censo o altro qualsivoglia titolo o contratto; attenti li danni perciò patiti. E contravenendosi restino loro obbligati, de proprio, per tutte quelle quantità che contrattassero con particolari. Quale conclusione è stata convalidata con interpositione dell'autorità e Decreto del Regio Collateral Consiglio, con l'aggiunta della pena di ducati 1000, da essequirsi contro li signori Governatori trasgressori, e d'applicarsi la metà a beneficio di detta Casa Santa, l'altra metà a beneficio del R. Fisco; come per le provvisioni espedite per detto R. Collaterale, sotto li 30 di detto mese di maggio, appresso gli atti del M.° Anastasio Regio Scrivano de' Mandamenti. Registrato in Decretorum 45 fol. 67.

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Ma la proibizione, e la minacciata multa di mille ducati, non fecero ricuperare i denari perduti, né valsero ad impedire gl'impieghi col fisco ed i prestiti alla Casa Santa. Questa, che s'era addossato oneri maggiori delle forze, cavava il denaro dai depositi bancari e dalla circolazione della carta.

L'eccessivo debito a vista fu per molti anni assorbito dagli altri sette Monti di Pietà, che si tenevano in cassa i riscontri senza riscuoterli. Ma ciò si poteva fare quando la moneta soverchiava, non all'epoche di crisi. Quando, per la correria o contrazione di credito del 1701, dovette ciascun istituto badare alla propria salvezza, ed uscì l'ordine del duca di Medina Celi, Viceré, che si liquidassero immantinenti le polizze di riscontro, l'Annunziata chiuse la cassa apodissaria ed il monte di pegni.

Infinite furono le controversie per questo fallimento, essendosi negata la validità dell'obbligazioni e la solidarietà dell'opera pia col banco. Pretendevano i Maestri che tutt'i belli, mobili o immobili, fossero non ipotecabili e non alienabili, per dritto canonico e concessioni regie. Respinta tal'opposizione dagli arbitri che scelse il Viceré, sostennero la libertà ed inalienabilità degli antichi beni, quelli cioè che la Casa teneva prima d'intraprendere speculazioni apodissarie e d'aprire monte di pegno. Ma i creditori, giustamente, replicarono che Banco e Monte si fossero costituiti per opera e vantaggio di Ave Gratia Piena, cosicché la Santa Casa dovesse rispondere d'ogni deficienza; tanto maggiormente che proprio l'esistenza degli antichi beni patrimoniali aveva spinto il pubblico a consegnare le proprie sostanze all'Annunziata, ed aveva garentito le ragioni creditorie.

Più giusta eccezione fecero i Maestri per le confidenze ch'erano i legati testamentari ed i doni concessi per determinato scopo, allattamento di bambini cioè, doti, ospedali, istruzione ecc. Insomma si potrebbe mettere insieme una discreta biblioteca con le sole memorie dei giureconsulti. Ci contentiamo dire che la riserva metallica del banco fu distribuita ai creditori apodissari, cioè portatori della carta, che ricuperarono 40,14 per cento. Coi creditori strumentari si sottoscrisse ristrumento 17 gennaio 1714, chiamato Magna Concordia. che qui riferiamo, ad onta della sua lunghezza, per l'intrinseco valore, e specialmente perché molte famiglie ci troveranno la spiegazione della misteriosa sigla A. G. P. interpetrata dalle male lingue arricchiteci Governatori poveri, che da due secoli rappresenta la Provvidenza dei causidici napoletani.

Die vigesimo octavo mensis. Jannarii 1717. Neapoli, et proprie in domo Spectabili Domini Reg. D. Vincenti de Miro, et corani eodem Domino Reggente, hora quarta noctis jam pulsata, tribus luminibus accensis pro observandis sollemnitatibus in nocturnis actibus a jure requisitis ad dignoscendas personas contrahentes;

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in nostra praesentia constitutis Domino D. Francisco Capvcio Pisci cello, pro Illustrissima Platea Capuana, necnon Dominis TJ. J. D. Domini co de Tufo, U. J. D. Francisco Santoro, et Petro Ametrano pro Fidelissima Platea Populi, Gubernatoribus Sanctae Domus et Banci Sanctissi mae Annuntiatae hujus Civitatis, a gentibus et intervenientibus ad infrascripta omnia Gubernatorio nomine quo supra, pro seipsis et quolibet ipsorum dicto nomine, ac nomine et pro parte dictae S. Domus et Banci, et pro eadem S. Domo et Banco successoribus que in eis quibuscumque in perpetuum; et, ad majorem cautellam, cum decreto interposito, sub che 22 elapsi mensis Decembris 1716, per Suam Excellentia mejus que Colaterale Consilium, cujus vigore, facta relatione per dietimi Spectabilem Dominum Juegentem do Miro, Com mi ssariunì Delegatimi, visisque ininutis, informatione capta ordine dicti Domini Regoliti, fuit provisum, et mandatimi quod expedit, et proinde liceat stipulare minutas praedictas, in actis præsentatas, ejusdem continentiae et tenoris præsentis Instrunenti; pro ut in comparatione minutis, et decreto praedictis poenes Magnific. Antonio Lombardo Ptegium a mandatis scribam, quorum copia authentica in praesenti Instrumento conservatili; ex una parte - Et Dominis D. Andrea Venati, U. J. D. D. Micliaele Coltimna, et TJ. J. D. D. Antonio Persico, Deputatis Creclilorum Instrumentanorum dictae Sanctae Domus, et intervenientibus ad infrascripta omnia, ut supra, ac nomine et pro parte dictorum creditorum, et cujus libet ipsorum, eorum que et cujus libet ipsorum heredibus et successoribus, et ad majorem cautelam similiter cum decreto quod expedit interposito per etiam Excellentiam ejusque Collaterale Consilium ut supra, ex parte altera, Praefatae quidem partes, nominibus respective ut supra, sponte assernerunt corani nobis, et in hac vulgari eloquio, pro majori facti intelligentia, videlicet:

Come essendo, ne' principi dell'anno 102, accaduto il fallimento della detta Casa Santa e Banco della Santissima Annunciata, con debito di quattro milioni e mezzo in circa, a beneficio di detti creditori istrumentarii, per li capitali dal medesimi convertiti in compra d'annue entracte, alla ragione del quattro per 100, coll'ipoteca contratta sopra gli effetti e rendite di detta Casa Santa e Banco; fra li quali creditori vi era ancora, per alcune partite, la stessa Casa Santa, sotto nenie di diverso eredità, donazioni, legati ad essa appartenenti; ed altri docati cinquecento mila in circa, a beneficio de' creditori apodissari; parvo espediente a detti creditori istromentari, di formare più deputazioni del loro ceto, e specialmente una, chiamata dell'Azzienda, per assistere e sopraintendere, unitamente colli Signori Governatori e Delegato di detta Casa Santa e Banco, agl' interessi così loro, come di detto Pio luogo; per vedere, quanto fosse stato possibile, di rifare il danno che venivano a patire li loro capitali e rendite, e pigliare gli espedienti più opportuni e convenienti, acciocché in un istesso tempo non fossero mancate l'Opere pie, che da detta Casa Santa si esercitano, col pagamento di qualche annualità ad essi creditori.

Intanto, sorse lite tra li creditori istrumentari e gli apodissari, pretendendo questi la poziorità sopra il denaro del Banco, ed opponendo quelli che, in vigore dell'ipoteca a loro favore contratta, doveano esser preferiti. Ed essendosi, dopo qualche tempo, stabilito, anche con decreto dell'Ill. Duca di Lauria Spettabile Reg. Ulloa che si pagasse a detti creditori apodissari la somma di docati 46,14: per 100 deducta rata expensarum, restarono estinti e soddisfatti tutti l'apodissari che allora concorsero, con danaro libero dello stesso Banco; ed a riguardo degli altri, che da tempo in tempo sono anelati sopravenendo, e di quelli che per anche non sono comparsi; stante che, colla ricognizione de' libri di detto Banco, si trovano diversi crediti contro di alcune persone, per causa di introiti fatti senza denaro esistente,


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s'apri un conto separato, sotto titolo d'effetti del Banco dismesso, e colla ricuperazione de' crediti suddetti, e con qualche rendita del detto conto particolare, si sono poi andate soddisfacendo le partite sopravvenute; e per potere soddisfare l'altre, delle quali non se n'è ancora degl'interessati domandata la, soddisfazione con presentare le fedi di credito, vi è parimente robba nel conto suddetto, la quale per maggior chiarezza si esprimerà in appresso.

Tolta di mezzo questa lite fra li creditori suddetti, si attese da' Signori Deputati dell'Azienda e da' Signori Governadori al risparmio delle spese; e si dismesse un Conservatorio di figliuole esposite, chiamato il Ritiro, essendosi passate le monache che vi erano nel Conservatorio grande di detto Pio Luogo. Indi si ottenne da Sua Santità la sospensione di alcune opere, ad decennium, e parimente la riduzione di certe messe, siccome dagli atti fatti nella Reverenda Nunziatura Apostolica, appresso lo scrivano Riccio. Ma perché, con tutti questi risparmii e restringimento di spese, si conobbe apertamente ch'era impossibile a' detti creditori istrumentarii conseguire la compita soddisfazione de' loro crediti; così per causa delle spese forzose per lo mantenimento delle opere più essenziali di detto Pio Luogo, cioè della Rota, dell'Ospedale, del Conservatorio, e della Chiesa, come per li pesi che teneva di maritaggi, censi, ed altri, e per la mancanza delle rendite generali dei Pegno, si cominciò a situare alli creditori suddetti il terzo delle loro annualità del 4 per 100. (1) Diviso in due mandati di ducati 30008,28 l'uno, importanti la somma di ducati ('0016,50; de' quali annui Duc. 80510.1.10 si sono pagati colle rendite degli effetti posseduti dal Banco, e li restanti annui ducati 23500,1,00 colle rendite degli effetti posseduti dalla Casa.

Praticatasi in tal forma l'amministrazione de' beni di detto Pio Luogo, da' Signori Governadori pro tempore, coll'assistenza della Deputazione per l'interesse de' creditori, si conobbe appresso che l'unione dei Signori Governadori e Signori Deputati non era punto profittevole per l'interesse del medesimo Pio Luogo. Poiché la Casa Santa, e suoi Signori, Governadori, non potevano con la libertà dovuta adempire tutte le opere che lo stesso luogo doveva adempire; né vi era speranza d'acquistar i cosa alcuna dalla pietà de' fedeli, giacchè l'esperienza facea conoscere che si asteneva ognuno dal testare, legare, e donare a beneficio di detta Casa Santa; su la consideratione che, per l'assistenza di detti creditori, non. si sarebbe la robba impiegata in usi pii. Così, all'incontro, li Signori Deputati stimavano che a danno de' loro principali s'adempivano l'opere, senza restrizione, a solo oggetto che le rendite stavano a libera disposizione dei Signori Governadori; e perciò 1 v'erano continui litigi e controversie fra gli uni e gli altri. Per modo che, alle volte, si trascurava per sì fatte controversie il servizio ed utile non meno di detta Casa Santa che degli stessi creditori.

Per togliere adunque le liti suddette, ed evitare il dubbio evento delle medesime, precedente consenso dell'Illustrissima ed Eccellentissima Piazza Capuana, e di quella del Fidelissimo Popolo, alle quali due Piazze s'appartiene l'elezione de' Signori Governadori di detta Casa Santa; e precedente ancora il consenso del ceto de' creditori, in unum congregati con due decreti d'expedit, interposti uno dal Regio Collateral Consiglio, presso gli atti del Magnifico Antonio Lombardo, Regio scrivano di Mandamento, l'altro dal quondam Regio consigliere D. Carlo Brancaccio, delegato di detta Casa Santa e Banco, presso lo scrivano della delegazione Alesio Russo, fu, nel dì 2 maggio 1711,

(1) Ridussero l'interesse ad 1 1|3 per cento.

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stipulato istrumento per mano del quondam Notaro Gio. Andrea Ranuccio, in curia nostra, nel quale, prima d'ogni altra cosa, asserirono le pretensioni dell'una e l'altra parte, nella seguente maniera videlicet.

Si disse che pretendevano li creditori che, senza pregiudizio delle ragioni che li competevano canini qiios, e per la rifozione del mancamento seguito degli effetti di delta Casa Santa e Banco, si dassero alla alla loro libera disposizione ed animi lustrazione tutti i beni che si possedono dal Banco; giacche sempre s'era detto Banco avuto come patrimonio separato da quella della Casa; includendosi tanto gli effetti che stavano in corrente, quanto gli attrassi, e questo in conto de' loro crediti, così de' capitali come dell'attrasso delle terze, dall'anno 1702 avanti. Niente ostando che fra detti beni ve ne fussero alcuni ceduti da detta Casa Santa, a ragione che dette cessioni apparivano per causa onerosa, di essersi li Signori Governadori serviti del denaro di detto Banco, per supplire alli pesi ed opere fatte, di maggior esito di quello che comportava la rendita; ed inoltre s'erano le stesse cessioni fatte, come molte altre, a beneficio d'ogn'altro estraneo, onde non potevano mai impugnarsi; maggiormente che il Banco ne stava in pacifica possessione, e dovea conseguire la rifezione delle partite decotte ed inesigibili.

Si disse di più: che detta Casa Santa dovea soddisfare al patrimonio del Banco (e per esso alli creditori istrumentari) molte somme considerabili; di più centinaia di migliaia di ducati, delle quali era detto patrimonio creditore per esito superante introito, a cagione di essersi servita la Casa del denaro del Banco, senza farne il dovuto introito.

Si rubricò poi lo stato della robba di detta Casa Santa, diviso in dieci rubriche nella seguente maniera,cioè:

Primo. Effetti addetti all'Ospedale. Ducati 4080.

Secondo. Effetti addetti all'opere. Ducati 17584.

Terzo. Effetti addetti alla Chiesa ed Ospedale. Ducati 8786.

_ Quarto. Effetti addetti a celebrazione di messe. Ducati 268,1.

Quinto. Effetti pervenuti senza cognizione se siano addetti a spese. Ducati 816,8,10.

Sesto. Effetti addetti alla Casa Santa ducati 5939,8,10.

Settimo. Effetti comprati parte dalla Casa Santa e parte senza sapersi l'origine. Ducati 12412.

Ottavo. Effetti addetti a' maritaggi di esposite. Ducati 5549,2,17.

Nono. Effetti addetti a' maritaggi di donzelle povere. Ducati 578;1,8.

Decimo. Effetti addetti ai maritaggi d'estranee, che per anni dieci devono convertirsi in maritaggi d'espo site. Ducati 660,4,6.

E si soggiunse, per parte di detti creditori, che doveano assegnarsi alla loro libera disposizione ed amministrazione tutti gli effetti descritti nella quinta sesta e settima rubrica; come quelli che non erano addetti ad opera, né in generale né in speciale, e perciò erano sottoposti all'ipoteca de' creditori.

Inoltre si allegò; che a riguardo degli effetti descritti nella seconda rubrica, non appariva da scritture pubbliche che pervenuti fossero alla Casa Santa con peso intrinseco di opere pie, ma solo per semplice causa motrice a fare le disposizioni, la quale non era bastevole ad escludere gli effetti suddetti dall'ipoteca.

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Si allegò parimente: che nemmeno gli effetti descritti nella prima e terza rubrica erano stati lasciati con vincolo particolare alla Casa Santa; e che rispetto degli effetti descritti nella quarta rubrica, addetti a celebrazione di messe, e di quelli descritti nell'ottava nona e decima, addetti a' maritaggi, si riserbavano le loro ragioni, in vista delle scritture da presentarsi.

Asserirono ancora: che doveano assegnarsi a benefìcio dei creditori cosi gli effetti litigiosi, come tutto l'attrasso che si dovea conseguire dai nomi de' debitori; ancorché fosse addetto ad opere certe, per la ragione che essendosi l'opere compiute per lo passato con danaro del Banco e de' creditori, era di giustizia che l'attrasso non esatto rimanesse a benefìcio dei creditori suddetti.

E perché vi erano molte eredità i di cui effetti, in tutto o in parte, doveano ricadere a beneficio della Casa Santa, per le sustituzioni, legati, donazioni, e fedecommessi da verificarsi, asserirono ancora che tutte detto eredità devolvendo, che avessero causa de preterito, dal tempo passato sin'allo ra, dovessero acquistarsi a beneficio delli stessi creditori; col peso solo di supplire a quelle opere pie che forse da' testatori si fussero disposte. 0 pure dovessero cedersi a detta Casa Santa tanti effetti che fussero sufficienti per l'opere suddette, con restare tutta l'altra roba libera a' creditori suddetti.

All'incontro, per parte de' Signori Governadori, si replicò che alli creditori istrumentari non competeva alcuna azione sopra tutti e qualsi vogliano effetti della Casa Santa, per ragione che li loro crediti non erano convalidati con assenso Apostolico. E se bene si asseriva esservi una Bolla del Sommo Pontefice Niccolò V. colla quale stava data facoltà alli Signori Governadori di alienare ed obligare gli effetti, tutta volta detta Bolla non s'era esibita, e dovea esibirsi non ostante che se ne facesse menzione in un altra Bolla della Santità di Paolo III. Soggiungendosi, che o detta Bolla non vi era, o che qualora vi fosse stata, dovea detta Bolla contenere clausole tali per le quali avea da essere escluso il ceto de' creditori da qualunque azione.

Si replicò successivamente, che quando questo articolo, ch'era principale ed assorbente, e dovea principalmente decidersi, non avesse avuto luogo, allora che nemmeno po teano li creditori esercitare azione alcuna sopra gli effetti in qualsivoglia modo pervenuti alla Casa Santa; perché doveano quelli impiegarsi in tutte l'opere di pietà alle quali la stessa Casa Santa era obligata, e per lo passato avea fatto, secondo il carico datoli, tanto prima quanto dopo la sua fondazione, e secondo l'introduzione delle medesime: per non aver avuto li pii disponenti altro preciso fine che di mantenere, conservare, ed accrescere l'opere suddette; altrimente lo disposizioni non sarebbero state pie ma profane.

Si replicò in terzo luogo, che se i creditori pretendevano che il di loro denaro era servito per supplemento dell'opere, doveano specificare in qual uso di pietà s'era speso detto denaro; maggiormente che con evidenza si osservava che le rendite annuali di detta Casa Santa aveano peni pro oltrepassata la somma di quello che per solito s'era speso nell'opere. E, per questa ragione, non solamente venivano esclusi i creditori da qualunque azione sopri gli effetti della Casa Santa, ma non potevano impedire alla medesima ripigliarsi dal patrimonio del Banco gli effetti malamente distratti, senza assenzo Apostolico e senza necessità d'alienarli; e benché gli effetti, che detta Casa Santa possedeva, pareva che bastassero per l'adempimento dell'opere suddette, ad ogni modo doveano mettersi nel pristino stato molte altre opere ch'erano sospese; oltre il pericolo che vi era di potersi diminuire le rendite, ed accrescersi le miserie,

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che giornlmente possono avanzare; e perciò non poteano restar dismembrate le liti, attrassi, ed esigenze; dovendo detta Casa Santa adempire tutti gli obblighi a' quali è tenuta.

E finalmente si replicò, che dalle rendite degli effetti suddetti, che detta Casa Santa possedeva, e s'erano descritti nello stato suddetto, doveano dedursi tutti li pesi che vi erano sopra di esse, il dritto dell'esazione, l'annui legati, i pagamenti non contenuti in detto stato, e le spese straordinarie per le refazioni delle case, mantenimento de' corpi_ feudali, ed altre ch'erano necessarie.

Fatta questa assertiva, compromisero tutte l'enunciate differenze in persona del Dottor Giuseppe Valle, per parte di detta Casa Santa, e del quondam D. Francesco Albano, che fu poi Regio Consigli evo, per parte di detti creditori; ed in caso di discordia, fu eletto lo Spettabile Reggente, allora Regio Consigliero, signor D. Giuseppe Positano, il quale dovesse a principio usque od finem intervenire in tutte le sessioni; siccome apparisce dall'istrumento di dotto compromesso, rogato perniano di detto Notar Giovanandrea, al quale etc. Ed ottenuta poi, nel di nove di giugno 1711, la licenza da S. E. che detto Spettabile Reggente Positano avesse potuto intervenire come arbitro, si consumò moltissimo tempo in varie e diverse sessioni, nelle quali, fatti alcuni appuramenti, cosi intorno a detta Bolla del Pontefice Niccolò v. come circa li pesi, annui legati, e spese straordinarie, che doveano dedursi dallo stato, si commisero, per chiarire maggiormente li fatti, varie diligenze, e si reassunsero molti dubbi, ed articoli, li quali restavano da terminarsi da' detti signori arbitri. Ma perché, per varie ragioni, non potè venirsi alla final determinazione della materia, rimase estinto il compromesso suddetto, e si ripigliò l'unione tra li Signori Governadori e signori Deputati, giusta quello, che si era pratticato dall'anno 1702.

Ed essendosi gli uni, e gli altri fermati nelle loro pretensioni: opponendosi eletti signori Deputati alla continuazione dell'opere pie nella maniera che precedentemente s'erano fatte; e difendendo li Signori Governadori voler adempire tutti li pesi, a' quali detta Casa Santa era tenuta, con ripugnare ancora di pagare ogni anno li due mandati in conto di terze, si sciolse nel 1714, per tali dissensioni e discordie, l'unione suddetta.

Ricorsero perciò li Signori Deputati nel Regio Collateral Consiglio, ed essendosi commessa la causa allo spettabile signor Reggente D. Vincenzo de Miro, dedussero molti capi, tanto contro la detta Casa Santa, per l'opere che illimitatamente faceva, quanto contro a' Signori Governadori, per la libera amministrazione ch'essi tenevano; e perché in tal tempo stava per trascorrere il decennio, per cui da Sua Santità si erano sospese alcune opere pie, e dubitavano detti Signori Deputati che, senza il loro consenso, si fussero quelle de' Signori Governadori rimesse, ottennero il decreto da detto Regio Collateral Consiglio, che s'intimassero le parti, e fra tanto non s'innovasse cos'alcuna. Come dagli atti, appo detto Scrivano de' Mandamenti Lombardo.

Intanto, dovendosi dare la provvidenza opportuna dal eletto sig. Reggente de Miro, Commissario, fu di nuovo posto a mezzo l'espediente di esaminarsi amichevolmente le differenze suddette, affine di evitare ogni danno, che avrebbe potuto avvenire a detta Casa Santa ed al ceto di detti creditori, dal proseguimento della lite. Onde, essendosi l'ima e l'altra parte rimesse all'arbitrio e prudenza dello stesso signor Reggente Positano, come quello che stava bene inteso dell'aliare, per essere state innanzi a lui fatte molte sessioni, come si è detto di sopra, a tempo che stavano formalmente le suddette differenze compromesse.

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Cominciossi a discutere buonamente, avanti detti signori Reggente e signori avvocati di detta Casa Santa e de' creditori, lo stato di detta Casa Santa, che si ritrova diviso nelle suddette dieci rubriche; ed essendosi discusso partita per partita, restorno appurate tutte le rendite che possedeva il patrimonio di detta Casa Santa. E restò appurato ancora, quali erano pervenute col peso intrinseco dell'opere pie; quali con peso di censo, e di qualche annuo legato o pagamento; quali con la causa finale o impulsiva delle stesse opere; quali con espressa proibizione d'alienarsi; quali generalmente e senza niuna espressione di peso; quali senza sapersi l'origine dell'acquisto; quali con danaro della stessa Casa Santa; ed in somma quali erano gli effetti addetti all'opere della Rota, dello Spedale, del Conservatorio, della Chiesa, e de' maritaggi così di estranee come d'esposite, e quali liberamente lasciati e clonati alla Casa Santa. Permodo che si faceva un conto, per parte de' Signori Governadori, che d'annui ducati 58 mila in circa, che possedeva detto pio luogo, oltre di alcune altre entrade pervenute da eredità, donazioni, e legati (chiamati confidenze) le quali erano tutte soggette ad opere pie, ducati 36852 in circa erano pervenuti col peso intrinseco dell'opere; ducati 1637 colla proibizione d'alienare; ducati 172 colle restituzioni seu escadenze de' maritaggi; ed i restanti ducati 17526 in circa alcuni rendite generalmente, e senza nessuna espressione di peso, ed altri senza aversi cognizione dell'acquisti, e seguentemente se fussero o no soggetti a peso alcuno; come dissero apparire dalla detta discussione, fatta in consenso delle parti, che si conserva da detto Scrivano di Mandamento Lombardo.

Fatto e finito l'appuramento suddetto, li signori Governadori fecero istanza procedersi alla discussione degli effetti che si trovavano intestati al patrimonio del Banco, in summa di annui ducati 42 mila; dei quali Duc. 17000 se n'erano solamente acquistati con denaro libero di detto Banco; e l'altri Duc.25 mila erano tutti effetti pervenuti a eletta Casa Santa col peso intrinsico dell'opere pie, e poi dalla medesima passati a conto dei detto Banco, dall'anno 1590 per Panno 1656, coll'assertiva d'essersi la stessa Casa Santa valuta in varie occorrenze del denaro del Banco. Ma essendosi opposto, per parte de' creditori, che gli effetti suddetti trovavansi già alienati da un secolo e più da detta Casa Santa, e si possedevano dal Banco come da un terzo possessore, e che perciò non era di ragione procedersi a detta discussione; ìMgioirniente che si pretendeva da essi principalmente che sopra la robba posseduta da detto Banco, come robba già distratta ed a loro ipotecata, niuna azione poteva appartenersi alla detta Casa Santa; anche perché li suddetti ann ni ducati 42 mila erano per fondo e pleggia ria del Banco, e come tali in tutto e per tutto s'appartenevano a i signori creditori. Fu risoluto, da eletti signori Reggenti de Miro e Positano, che restassero presentate le suddette cinque rubriche, poiché nell'esito dell'arbitramento si avrebbe avuto riguardo alla detta istanza de' signori governatori. Poi, da' medesimi signori Reggenti furono reassunti tutti li dubii, sopra de' quali avessero potuto gli avvocati dell'una o l'altra parte formare l'allegazioni in Jure; ed essendosi elette allegazioni già formate, si sostenevano a nome de' creditori più proposizioni, per la maggior parte asserite in detto istromento di compromesso.

Primieramente; che li signori Governadori di detta Casa Santa, in vigore della Bolla del Sommo Pontefice Niccolò V, della quale appariva, notamente assai distinto sopra alcuni libri di Casa Santa antichissimi; ed anco era espresso in un altra Bolla di Paolo III, aveano libera facoltà di alienare ed ipotecare la robba di detta Casa Santa, senza li requisiti della necessità o l'utilità, e senza l'assenzo Apostolico.

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E che per conseguenza licito jure s'era a beneficio de' creditori contratta ipoteca, in vigore di cui doveano intieramente soddisfarsi de' loro crediti; escluse l'opere pie.

I Secondo; s'adduceva per conferma l'uso, d'antichissimo tempo praticato, di aver ciascuno contratto colli signori Governadori di detta Casa Santa, senza assenzo Apostolico, per ordine de' tribunali superiori di questa città e Regno, e che non meno di tal uso, che della detta facoltà conceduta, in vigore della menzio 1 nata Bulla, se ne faceva menzione da molti autori, che riputano detto luogo puro laicale.

Terzo; s'allegavo la buona fede con cui li creditori aveano contratto con li signori Governadori pro tempore.

Quarto; s'aggiungeva che il danaio de' creditori s'era da' detti signori Governadori applicato al mantenimento dell'opere pie; per le quali da tempo in tempo s'era spesa maggior summa di quella che la Casa Santa possedeva per il mantenimento suddetto; onde ex causa necessitatis siasi validamente obligata robba di detto pio luogo.

Quinto; che a riguardo della robba passata a beneficio del patrimonio del Banco, in soddisfazione del denaro del suddetto Banco, di cui in varie contingenze s'era servita la detta Casa Santa, nessuna azione si apparteneva a' signori Governadori; sul motivo che la detta robba si trovava già trasferita e posseduta da un terzo, a rispetto del quale non poteva controvertirsi la validità dell'ipoteca. E che qual'ora, per ipotesi, fusse stato bisognevole l'assenso Apostolico o altra solennità, nell'alienazione de' beni della Casa Santa, per il passaggio di sì lungo tempo, dovea presumersi intervenuto.

Finalmente. Che dalla roba ch'era esistente nel patrimonio della Casa Santa, posto a parte l'articolo della validità o invalidità dell'ipoteca, doveano infallibilmente dedursi gli effetti lasciati senza espressione di vincolo o peso alcuno; gli altri ch'erano pervenuti per causa impulsiva e non finale dell'opere pie; quelli a riguardo de' quali stava proibita l'alienazione e non l'ipoteca; e per ultimo alcuni, a rispetto de' quali poteva mettersi in dubio l'adempimento delle opere pie. Onde che pochissima summa poteva restare a beneficio di detta Casa Santa,

Per lo contrario,per parte di detta Casa Santa, si rispondeva.

Primieramente. Che tutta la roba della medesima, che in sostanza era la roba della Casa, del Banco, del Conservatorio, dell'Ospedale, della Rota, e della Chiesa, come robba di luogo pio, non potea validamente alienarsi o ipotecarsi, senza detti legittimi requisiti.

Secondo. Che non vi era la detta Bolla del Pontefice Niccolò V, e che qualora vi fosse stata, quella non poteva ostare; ed in ogni caso non veniva in detta Bolla dispensato a' requisiti suddetti.

Terzo. Che non ostava né meno l'uso per lungo tempo tenuto, né la buona fede, che si allegava per parte de' creditori.

Quarto. Che non era vero che il denaro di detti creditori si fusse impiegato per mantenimento dell'opere pie; perché, tanto dopo quanto prima il fallimento, erano state bastevoli le rendite della Casa Santa per detto mantenimento.

Quinto. Che il Banco non potea dirsi terzo possessore, come quello che era l'istesso che la Casa Santa; e che la robba trasferita a beneficio di detto Banco era la medesima passata cum onere suo; onde sempre gli effetti rimanevano sottoposti all'adempimento di quell'opera col peso della quale erano pervenuti a detto pio luogo.

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E finalmente. Che tutti gli effetti, pervenuti a detto Casa Santa, s'erano da pii disponenti lasciati e donati all'intutto, e con la causa finale dell'opere pie, e per la maggior parte col peso intrinseco delle medesime, e con la proibizione d'alienare, la quale comprendeva anche l'ipoteca. E per conseguenza che, posto a parte il dubio della validità o l'invalidità dell'ipoteca contratta a beneficio de' creditori; deducendo prima d'ogn'altra cosa quegli effetti lasciati e donati col detto peso intrinseco dell'opere; quelli soggetti alla proibizione suddetta; e gli altri lasciati colla causa finale dell'istesse opere, e pervenuti da restituzioni o scadenze di maritaggi; poco robba rimaneva sopra la quale avessero possuto discettarsi i dubi suddetti.

Alle quali cose molte altre so n'allegavano in contrario per parte dei creditori, e molte se n'adducevano per conferma da detta Casa Santa. Ma essendosi considerato, da detti signori Reggenti di Miro e Positano, che, per termini di buon governo e d'una esatta giustizia, non era conveniente decidere punto per punto le riferite controversie; e che qualora fosse convenuto ciò fare, richiedeva la materia lunghissimo spazio di tempo, senza che fra tanto si avesse possuto dar sistema ad un interesse cosi notabile, e per detta Casa Santa e per detti creditori; anco a rispetto, che se da una parte si consideravano l'opere pie, che da eletta Casa Santa si esercitavano, dall'altra vi era la stessa considerazione, non meno per lo danno avvenuto a molte famiglie di questa città e Regno, che ad infiniti luoghi pii, destinati parimente a mantenere opere di pietà: si consigliò da' medesimi signori Reggenti, che per buon regolamento dell'affare, e per servizio di Dio, del pubblico, dell'opere di detta Casa Santa, e de' creditori, era più opportuno ed espediente concordarsi fra le stesse parti le differenze suddette; stabilendosi in confuso a beneficio di detta Casa Santa una convenevole rendita con i suoi fondi, per lo giusto e moderato mantenimento di elette opere pie; e tutto lo di più assegnandosi a' creditori, in soddisfazione di tutti li loro crediti di capitali, terze, ed interessi pretesi, ed ogn'altra cosa che avessero potuto pretendere, in vigore di qualsivoglia scrittura pubblica o privata. Tanto maggiormente che, colla sopraintendenza de' detti Deputati de' creditori, non poteva accertarsi il servizio né della Santa Casa, né de' creditori medesimi. E siccome anno per anno le mancava il totale adempimento di dette opere, così di continuo andavano avanzando due terze parte dell'annualità doluta ai creditori, per modo che, col passaggio del tempo Harebbo cresciuto il debito a somma pur troppo eccessiva ed immoelerata.

Avendo adunque, cosi li signori Governadori, come li signori Deputati de' creditori, accettato il consiglio suddetto, dopo molte sessioni fatte fra di loro, coll'intervento dei suddetti avvocati, e coll'intelligenza, approvazione, consentimento, e presenza delli stessi signori Reggenti de Miro e Positano; e dopo aver esaminati li bilanci annuali della sposa fatta da' signori Governadori pro tempore di detta Casa Santa, dal tempo del fallimento per tutto l'anno 1715, così per la dispensa de' maritaggi ad esposite ed estranee, come per lo mantenimento dell'Ospedale, della Rota, del Conservatorio, e della Chiesa, e per l'esito de' ministri, e di spese estraordinarie; col riflesso a i bilanci suddetti, in vari tempi prodotti per i signori Governadori, ed ogn'altra opera e spesa, solita o insolita, ordinaria o estraordinaria, e col riflesso ancora alli capitali delle rendite del patrimonio della Casa e del Banco. Finalmente, nel dì 24 giugno del passato anno 1710, fu, eia essi signori Governadori e signori Deputati, firmata la concordia, la quale è inserita nel presente istrumento.

E perché restavan da determinarsi tre punti, rimasti all'arbitrio di detti signori Reggenti di Miro e Positano; il primo rispetto alle liti passive, se dovea esser tenuta la Casa Santa

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alli creditori; il secondo circa la stanza, pretesa da' eletti creditori nel luogo ove prima si teneva il Banco; ed il terzo, se gli effetti di detto Banco dismesso, una insieme colle liti per causa dell'introiti vacui, doveano né restare a beneficio di detta Casa Santa. Per ciò, i detti signori Reggenti di Miro e Positano, nello stesso giorno 14 giugno, precedente licenza di S. E. spedita per segreteria di guerra, promulgarono il loro parere inserito nel presente istrumento.

In esecuzione della qual convenzione, transazione, e concordia, indrizzata così alla quiete di detta Casa Santa, per liberarla ed esimerla dal peso ed obbligo di soddisfar tanti creditori, con Sfarle restare il bisognevole per l'opere che può esercitare a riguardo degli effetti esistenti; come per dare qualche luogo possibile, secondo il tempo presente, alla soddisfazione del pieno di detti creditori, senza che alli medesimi rimanga altra azione, ragione, o ipoteca contro detta Casa Santa, e sopra gli effetti che a quella restano, li quali appena possono esser sufficienti per l'adempimento delle opere suddette; affinché si avesse in futurum la piena notizia di tutti gli effetti che presentemente possiede, tanto il patrimonio di detta Casa Santa, epianto il patrimonio del Banco; hanno perciò stimato spediente detti signori Governadori, in detto nome, e detti signori Deputati, far formare due inventari seu bilanci, uno dal magnifico razionale dei patrimonio di eletto Banco, un'altro da quello della Casa, di tutti gli effetti stabili, così burgensatici come feudali, censi, capitali, annue entracte, nome di debitori, liquidi ed illiquidi o litigiosi, ed altri corpi e rendite, che eletta Casa Santa e Banco posseclono; colla distinzione dei pesi che sopra detti effetti vi sono. Quali inventari seu bilanci si sono elati a me notaro affine di conservarli nel presente istromento. Con espressa protesta però, che tutte le dette partite e pesi, descritti in detti due inventari seu bilanci, quelli s'intendano descritti tali quali; senza che per la suddetta descrizione sia una parte obbligata all'altra, l'altra all'una di qualche cosa, nec de iure, nec de facto, né si acquisti ragione alcuna a beneficio di persona alcuna che venisse per creditore.

Dovendosi per tanto, in conformità e per chiarezza della suddetta convenzione, transazione, e concordia, stabilire primieramente quali pesi restassero a detta Casa Santa, e quali issassero a carico de' credi tori; su'1 motivo della dichiarazione fatta, che gli annui ducati 4312,3,12, più o meno, che importano li pagamenti de' censi, legati, ed altri pesi dovuti sovra gli effetti della stessa Casa Santa, che restavano a' creditori, si dovessero a' medesimi soddisfare, acciò che pagati si fussero da chi possedeva la robba: con patto che altrettanta quantità, quanto importava la summa di detti pesi, si dovesse rifare a' creditori suddetti, con dedursi dalla summa delli ducati 384 55,2,9 assegnati a detta Casa Santa; facendosi prima della stipula del presente istrumento la divisione dei pesi suddetti; e per ciò si è approvato da esse parti in detti nomi,che calcolata la summa di eletti duc.4312,3,12 con altri ducati 309,1,02 di pensioni, quindemi, unioni ed altro contenuto nel primo foglio del bilancio di detti pesi, che in unum sono annui ducati 4682,1,02, restano a carico di essa Casa Santa li seguenti pesi, che sono sopra la robba, che viene ad essa assignata, in somma cl' annui ducati 2286 cioè.

(Inseratur nota onerum, quae remanent dictae S. Domui)

Ed all'incontro passino a carico de' creditori altri annui Duc. 2390,4,14, oltre gli altri pesi che non sono sommati; a ragione che coloro ai quali si devono non tengono intenzione particolare, e questo a riflesso degli effetti che vanno a beneficio di eletti creditori, sopra li quali sono situati li pesi suddetti; giusta la nota inserita nel presente istrumento.

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Di maniera che, deducendosi li suddetti ducati 2390,4,14 di pesi, che passano alli creditori, dalli suddetti ducati 38455,2,9 assegnati a beneficio della detta Casa Santa, restano a beneficio della medesima Duc. 36058,2,15, franchi, e liberi da eletti pesi, che passano a' creditori a lor carico. A qual effetto li medesimi, e per essi li signori deputati, in detto nome, promettono l'indennità in amplissima forma, restando solamente obnoxii alli suddetti Duc. 2286, che restano a carico di detta Casa Santa,

Per rifare però a' detti creditori la suddetta summa di Duc. 2396,4,14, è insorto dubbio, fra di essi signori Governadori e Deputati, da' quali effetti seu rendite s'avesse dovuto ad essi la refezzione suddetta; già che essi signori Deputati pretendevano averla con l'insolutum datione degli effetti migliori, sul motivo che gli effetti suddetti doveansi ex natura rei, e buona parte erano situati sopra li feudi che passavano a bene licio de' creditori; ed all'incontro replicavano essi signori Governadori, che non potevano né doveano dare la refezzione suddetta, se non che coll'insolutum datione delle case site all'isola di S. Andrea, o con partite di nomi di debitori con prezzo; per la ragione che l'altre rendite avevano da servire per lo mantenimento dell'opere pie, che quotidianamente portano spesa.

Oltre a questo dubio, della refezzione di detti Duc. 2396,4,14, n'è insorto un'altro fra esse parti. Imperciocché avendo essi signori Governadori fatta riflessione, che fra gli effetti, che passano a' creditori, vi è un molino chiamato l'Infornata, sito nella Baronia di Mercogliano, lian rappresentato che per ogni ragione dovea il molino suddetto assignarsi a beneficio di detta Casa Santa, con rifarsi a' detti creditori la rendita del medesimo, in summa d'annui Duc. 525; sì perché non è convenevole che resti detto molino dismembrato da detta Baronia; sì anche perché, passando in mano cl' altri, averebbe ciò potuto cagionare, col tempo, disturbo ed inquietudine a detta Casa Santa ed a' suoi vassalli.

E parimente, per la stessa ragione, si è posto a mezzo, da essi signori Governadori, che dovea restare a beneficio di detta Casa Santa la Baronia della Pietra de' Fusi, con rifarsi al ceto de' creditori della medesima la somma di annui ducati 550; sì perché la Baronia è unita con quella di Mercogliano, sì ancora per evitare ogni lite che avesse per avventura potuto inferirsi, non meno dalli padri del monistero di Montevergine, che da' cittadini della Baronia suddetta,

Proposti per ciò tutti li dubi suddetti al detto spettabile Reggente de Miro, acciò ch'egli, in esecuzione del 15° capitolo di detta transazione e concordia, l'avesse determinati e composti; il medesimo, con suo parere, il quale esse parti in detti nomi hanno accettato confermato ed omologato; ha stabilito: Che resti a beneficio di eletta Casa Santa così detto molino, chiamato l'Infornata, come detta baronia di Pietra de' Fu si; ed all'incontro si dia la refezione al ceto de' creditori della rendita di detti effetti, cioè di ducati 525 per detto molino, e di ducati 550 per detta baronia di Pietra de' Fusi. Le quali rendite, unite colli suddetti ducati 2396,4,14 di pesi che passano a carico de' creditori, sono annui ducati 3471,4,14; per la rifezzione della qual summa passino, insolutum et pro soluto, per tali quali, e senza promessa alcuna d'evizzione, a' creditori, la Baronia di Castellammare della Bruca seu della Scea; per la stessa summa d'annui ducati 2550 per quanto era rimasta alla Casa Santa: gli annui ducati 37,1,1, d'adoe insieme con il lor capitale, dovute dalle persone descritte nella nota inserita nel presente istrumento; e li restanti ducati 584,3,13 di partite d'annue entracte con prezzo, che sono situate a minor ragione cl' annualità fra li ducati 1053,18 assignati a detta Casa Santa; di modo che resti a beneficio di detta Casa Santa la somma di annui ducati 158,1,15 di dette partite

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di annue entrate con prezzo alla maggior ragione cl' annualità; siccome apparisce dal parere suddetto, il quale similmente è inserito nel presente istrumento.

In secondo luogo. Dovendosi da essi signori Governadori, in detto nome, far l'elezzione delli suddetti annui ducati 0000, o in tanti fiscali, o in tanti arrenda menti, avendo maturamente considerata l'clczzionc suddetta, finalmente han deliberato e liggere le sottoscritte partite di fiscali, che al presente si possedono per la maggior parte dal patrimonio del Banco; valutate ed estimate, di commi consenso di esse parti, dal magnifico Domenico Antonio Vitolo per detta summa di annui Duc. 6000 effettivi, una con li loro capitali; quali partite sono inserite nel presente istromento.

Ma perché, sopra gli annui ducati 385,1,1 di fiscali sopra Maranola nella provincia di Terra di Lavoro, vi è un peso d'annui Duc. 100 che si paga dal patrimonio del Banco, per li maritaggi istituiti dalla quondam signora Giovanna Arcella, per ciò, in contracambio di detta summa d'annui Duc. 100, che da oggi avanti resterà da pagarsi dalla Casa Santa, si è convenuto che rimangano assegnati e dati in solution et pro soluto, a beneficio della detta Santa Casa, altri annui ducati 100 effettivi col suo capitale sopra l'arrendamento de' sali de' quattro fundaci; in modo che, per detto assegnamento, non restino in nessun futuro tempo obbligati li creditori a cosa alcuna per detto peso d'annui Duc. 100, ora effettivi col suo capitale sopra l'arrendamento suddetto, in parte o in tutto che mancasse.

Terzo. Essendosi, con eletta transazione convenzione e concordia, appurato e stabilito doversi assegnare a detta Casa Santa annui ducati 1117,3,2, in tanti stabili di case in questa città, e fra di esse quelle site nel luogo detto alli Banchi vecchi, S. Andrea de' Scopari, e l'altre nel quartiere dell'Orefici; ed in caso che la rendita delle case suddette non facesse il pieno di detti Duc. 1117,3,2 di frutto, lo di più s'avesse a supplire coll'assignamento di altre case site nelli quartieri chiamati di Soprammuro e vico derristi. Perciò, essendosi liquidate fra esse parti, in detti nomi, coll'esame de' bilanci suddetti, che le suddette case, site I nel quartiere di S. Andrea e degli Orefici danno di rendita annui ducati 1150,1,10, cioè ducati 713,4,10 quelle site in detto quartiero di S. Andrea, e ducati 347 quelle site Dell'Orefici, onde avanzano di più ducati 33,1,5; s'è convenuto che detta summa di ducati 33,1,8 debba dedussi e defalcarsi dagli annui ducati 158,1,15 di nomi di debitori con prezzo; restando l'assegnamento de' nomi de' debitori, faciendo a beneficio di detta Casa Santa, in annui Duc. 125,7; e restando in oltre a beneficio dei creditori tutte l'altre case, e specialmente quelle site nelli luoghi di Soprammuro, e vico de' Cristi.

Quarto. Essendosi parimente, con eletta transazione, convenzione e concordia, convenuto appuntato e stabilito, doversi assegnare li suddetti annui ducati 1043 dalla rubrica di eletti nomi di debitori, o di consenso di esse parti, o, nel caso di discordia, da eletto signor Reggente de Miro; perciò, rimanendo la detta somma di annui ducati 125,7 così per l'aumento di rendita sopra le sud elette case degli annui ducati 33,1,8, come per l'assegnamento et insolutum elulione di altri annui ducati 554,3,13 fatta a' creditori, giusta il parere del signor Reggente de Miro; perciò, di comune consenso di eletti signori Governadori e signori Deputati, si sono destinati li seguenti nomi di debitori, con la situazione dell'annualità alla maggior ragione, li quali restano assignati alla Casa Santa in soddisfazione di detti annui ducati 125,7. Inseratur.

Quinto. Essendosi convenuto ancora che restino a peso di detti creditori li vitalizi che si devono, giusta la nota formata dal magnifico razionale di detta Casa Santa


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per chiarezza del fatto, si è parimente appurato, che detti vitalizi, che restano a peso di detti creditori, sono li seguenti,inseriti nel presente istrumento. Inseratur

E finalmente, essendosi nel capo nono convenuto riconoscere, prima della stipola del presente istromento, se fra gli effetti che s'hanno d'assegnare a' creditori vi fosse corpo o effetto addetto a certa opera, per restituirsi a detta Casa Santa, e ricevere l'equivalente d'altri effetti liberi e non addetti ad opere. Perciò si dichiara espressamente, ch'essendosi fatte molte diligenze, si è osservato, riconosciuto ed esaminato, che fra gli effetti che restano a beneficio della Casa Santa, non si può dire che vi siano effetti liberi quali possono permutarsi; poiché, sebbene ve ne siano alcuni pochi, ad ogni modo restano in luogo di quelli pervenuti con pesi intrinseci, li quali vanno a beneficio de' creditori. Per modoché non può dubitarsi che tutti gli effetti che rimangono assegnati a detta Casa Santa siano addetti all'opere che la medesima esercita; anzi le restano in fundum dell'opere suddette, e soggetti solamente alle medesime opere, e pesi di sopra descritti. Onde resta conchiuso e determinato che, non potendosi far luogo al detto cambio d'effetti, non debbia da oggi avanti tenersi ragione alcuna del detto capo convenuto, circa la permuta suddetta.

Per venire adunque esse parti, in detti nomi, alla stipulazione del presente contratto di transazione convenzione e concordia; ed affinché il medesimo resti in ogni futuro tempo con tutta la dovuta fermezza e cautela necessaria, cosi per detta Casa Santa, come per detti creditori; 11 è vi _ possa in futurum esser ombra di litigio e disturbo veruno; hanno dato supplica a S. E. e suo Regio Collaterale Consiglio, dal quale, capta in formatione et servatis serrandis, è stato ordinato esser espediente a detta Casa Santa e creditori venire alla suddetta trasazione e concordia, e stipulare le cautele; come apparisce dalla copia degli atti fatti appresso detto magnifico scrivano di mandamento Lombardo, come si è detto di sopra. Riserbandosi l'istesse parti ad majorem cautelam et non aliter nec alio modo (e ferma sempre restando la presente transazione convenzione e concordia, gli assensi, quatenus bisognassero nec aliter nec alio modo, di Sua Santità; giusta le suppliche rimesse in Roma; e quello dell'invittissimo Imperadore Carlo VI, nostro Re e Signore, che Dio perpetuamente guardi e conservi, secondo l'altre suppliche da mandarsi nella Real Corte di Vienna; quali assensi, ottenuti che saranno, debbano notarsi in questo istrumento, ed in esso inserirsi le copie de' medesimi.

Quali cose così asserite, volendo esse parti, nelli nomi respettivamen te come sopra, eseguire la suddetta transazione convenzione e concordia, e mandarla a debito effetto, come stimata di molto utile ed espediente per l'una e l'altra parte; e delle cose suddette cautelarsene ad invicem con pubblico istrumento, come si convenne; quindi è, che anco in esecuzione tanto del detto appuramento concluso e determinato in detti capitoli; formati da esse parti, in ordine alla detta transazione convenzione e concordia; precedenti dette sessioni e pareri dati da comuni sig. avvocati, approvati similmente da detti signori Reggenti de Miro e Positano; quanto del detto decreto d'Expedit del detto regio col lateral consiglio; e perché così ad esse parti, in detti nomi, per loro maggior quiete, ha piaciuto e piace; detti signori deputati, in detto nome, e di tutto il ceto de' creditori istrumentarj con patto de retrovendendo di detta Casa Santa e Banco, per causa di detta transazione convenzione e concordia, spontaneamente, in presenza nostra, non per forza o dolo alcuno, ma per ogni miglior 1 via ecc. si sono espressamente contentati e si contentano, ed hanno voluto e vogliono, che in soddisfazione di tutte l'opere che detta Casa Santa esercita, e dovrà esercitare da oggi avanti, ed in qualsivoglia infinito progresso di tempo,

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cosi dell'ospedale, rota, conservatorio, maritaggi, chiesa; e messe, anco di quelle che hanno effetti certi, opera di Pozzuoli, ospedale de' convalescenti, come di ogn'altra opera e spesa, che sotto qualsivoglia nome o esito si facesse da detta Casa Santa, ninna esclusa, debbiano restare e rimane 're in beneficio della medesima Casa Santa, e sotto l'amministrazione dei signori Governadori pro tempore della stessa Casa Santa, siccome da ora, per l'effetto suddetto, s'intendano da essi signori deputati in nome di tutto il ceto de' coeditori istrumentarj con patto de retrovendendo, rilasciati a eletta Casa Santa, e suoi signori Governadori, li sottoscritti corpi, beni, effetti, rendite burgensatiche' e feudali, capitali, annue entrate, nomi de' debitori, ed altro, ut infra dichiarando, contenuti e descritti in detti bilanci seu inventar], formati da' magnifici razionali di eletta Casa Santa e banco, liberi ed esenti eia qualsivoglia ragione ed ipoteca di eletti creditori; come quelli che sono propri di eletta Casa Santa, e nei quali s'includono cosi tutti quelli corpi ed effetti addetti a cert'opera, sopra de' quali non vi concorre ragione o ipoteca veruna di detti creditori, tacita nec expressa, in virtù di cautele e scritture appartili enti a favore di eletta Casa Santa, ben considerate osservate e riconosciute dai detti creditori, e loro savj a tal fine destinati; come altri non addetti ad opere, né soggetti a peso alcuno, li quali restano surrogati in luogo di quelli pervenuti con pesi intrinseci delle elette opere, che passano a beneficio delli creditori. Per modo che tutti li suddetti effetti restano per fondo particolare dell'opere suddette, ed alle medesime sono sottoposti, col sottoscritto loro frutto annuo, regolato dagli effetti enunciati; importantino annui ducati 36058,2,15 per effetti come sopra; dedotti ducati 2396,4,14 di pesi che sono ssati a carico dei creditori. Quali effetti e loro frutto sono li seguenti, cioè:

(Siegue la nota che si legge nel l'albarano; colla mutazione di notarsi per la Santa Casa la baronia di Pietra de' Fusi e'1 molino dell'Infornata, stante il passaggio della baronia dell'Àscea a' creditori; e così anche di restare per la Santa Casa ducati 125,7, della partita di ducati 1043,8 di nomi di debitori con prezzo, passando il rimanente a' creditori, per la rifazione de' pesi.)

Quali suddette rendite attuali di eletti effetti e corpi, rimasti ed assegnati alla detta Casa Santa, importano in tutto annui ducati 36058,1,15. Però s'è convenuto, per patto espresso, che se mai da oggi avanti, ed in qualunque progresso di tempo,li sud eletti corpi ed effetti dassero maggior frutto, o pure deteriorassero, tutto l'aumento e detrimento vada ad utile e danno di detta Casa Santa; senza che li creditori possano respetti vani ente pretendere o succum bere a cosa alcuna, e non altrimenti.

Item. L'officio di portiero dei S. C. posseduto da detta Casa Santa. Quale officio debbasi da' signori governadori pro tempore affittare, con condizione espressa di dover l'affittatore pro tempo re servire gratis al ceto de' creditori, per tutto il tempo che durerà in tutto o in parte, il patrimonio de' creditori, e fin tanto che durerà la totale divisione, vendita, o altra distribuzione, facienda da detti creditori, degli effetti che s'assegnano a loro beneficio, in soddisfazione di detti loro crediti.

Ed oltre li suddetti effetti e corpi di sopra descritti; si dichiara e conviene che parimente debbiano restare assignati a beneficio di detta Casa Santa, nel modo detto di sopra, li sottoscritti altri corpi ed effetti delle seguenti eredità e confidenze, che s'amministrano da detta Casa Santa. Sui quali corpi ed effetti detti creditori non tengono ragione azione o ipoteca.

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Quatenus l'avessero quella espressamente renunzia 110; dichiarando, e contentandosi che restino a beneficio di detta Casa Santa, liberi ed esenti da ogni loro protenzione.

(Siegue la nota contenuta nell'Alberano).

Con dichiarazione però espressa, che s'intendano restare a beneficio di detta Casa Santa quegli effetti delle suddette eredità e confidenze che, sino al presente giorno, si sono esatti da detta Casa Santa a nome delle medesime eredità e confidenze, o ciascuna di esse; e che in qualsivoglia modo spettano o s'appartengono alle medesime eredità e confidenze, e non si trovano alienati, permutati, e passati al patrimonio e conto del detto banco.

Imperciocché si è convenuto espressamente che qualsivoglia capitale, stabile, nome di debitori, o altra rendita, che fusse pervenuta a detta Casa Santa da ciascuna di dette eredità e confidenze di sopra descritte, e fosse dalla medesima alienata, permutata, o in altra parte distratta, o fusse passata a beneficio del patrimonio di detto banco, debbiano tali alienazioni, permute, o distrazioni restar ferme e valide. E così debbiano passare in beneficio de' creditori, con gli altri effetti assignandi a loro beneficio, senza che detta Casa Santa vi possa, in qualsivoglia futuro tempo, pretendere cosa alcuna, ancorché fosse addetta a certa opera.

Di più s'è convenuto che per causa della presente transazione, ed in esecuzione del convenuto e stabilito tra dette parti, in detti nomi, debbiano restare a beneficio di detta Casa Santa tutte l'entrate e rendite degli effetti di Palermo; dipendenti dall'eredità delli quondam Francesco e Niccolò Romano, e Bartolomeo Ajutame Cristo; come ancora debbiano restare alla detta Casa Santa l'annue franchigie che le spettano.

E parimente si è convenuto, che per causa della presente transazione, ed in esecuzione ancora del convenuto e stabilito fra di esse parti, in detti nomi, debbiano restare a beneficio di detta Casa Santa le sottoscritte partite di capitali ed annue entrade annesse a certo e determinato peso, dovute a detta Casa Santa; come quelle del banco, che presentemente si trovano intavolate nelli mandati generali de' creditori istrumentarj con patto de retrovendendo, cioè:

(Segue la nota contenuta nell'Albarano.)

E volendo esse parti, in detti nomi, spiegare migliormente la detta transazione convenzione e concordia, acciò che in fnturum non possa insorgere dubio o lite alcuna, dichiarano: Che restano a beneficio di detta Casa Santa, e confidenze, li seguenti altri crediti, che sono situati nel mandato, li quali stanno intestati a diverse eredità, legati, maritaggi, ed altro, cioè: (s'inseriscano).

Per li quali suddetti capitali ed annue entrate, debbia detta Casa Santa correre la stessa fortuna che averanno gli altri creditori istrumentari di detta Casa Santa e Banco; restando in ogni futuro tempo a suo beneficio, senza che possa opponersi cosa alcuna da' signori creditori; maggiormente che, per le diligenze fattesi, si è appurato fra esse parti, che frale suddetta partite non ve n'è alcuna che abbia dipendenza da eredità libera, e come tale ciascuna è sottoposta ad opera certa.

E perché s'è conosciuto ed appurato che detta Casa Santa, com'erede del qu. Giulio Bianco, possiede e deve conseguire, con patto de retrovendendo, dal patrimonio di detto Banco, un capitale di Duc. 3626,1, e per esso annui Duc. 145, totalmente libero da qualsivoglia peso; s'è convenuto e dichiarato espressamente, che detto capitale ed annue entrade, dovute dal patrimonio di detto Banco a detta Casa Santa, erede di detto qu. Giulio, debba restare affatto estinto a beneficio dei creditori.

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E di vantaggio si è convenuto, che per causa della presente transazione, ed in esecuzione del convenuto e stabilito fra esse parti, in detti nomi; debbano restare medesimamente a beneficio di detta Casa Santa le sottoscritte annualità, con li loro capitali, dovute per le rate sottoscritte da diversi nomi di debitori delle sottoscritte eredità, in virtù di publiche cautele. Già che detta Casa Santa, o com'erede de' disponenti, o come obligata dall'accettazione delle donazioni, fatte a suo beneficio dalle sottoscritte persone a certo e determinato peso; s'è veduto che, nel presente tempo, non tiene effetti delle dette eredità o donazioni che siano sufficienti alla soddisfazione ed adempimento di detti pesi. E perciò (essendo il frutto presente obligato ed ipotecato alli pesi e legati contenuti in dette donazioni, testamenti e disposizioni, senza esservi altro che rimanesse libero) s'è lasciato a beneficio di detta Casa Santa; quali partite sono le seguenti, cioè]: inseratur.

Parimente s'è convenuto, che per causa della medesima transazione, ed in esecuzione del convenuto tra di esse parti, in detti nomi, debbiano restare similmente a beneficio di detta Casa Santa tutte le sustituzioni purificate a favore suo dal di 24 giugno prossimo passato 1716, et in futurum purificande; senza che a détti creditori, sopra dette sustituzioni purificate e purificande, resti né vi possino avere, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia titolo ragione e causa, azzione o pretenzio ne alcuna.

Ed a rispetto de' pagamenti dei censi, legati, ed altri pesi, dovuti sopra gli effetti e corpi di detta Casa Santa; tanto per quelli convenuti restare a beneficio della medesima Casa Santa, quanto per quelli convenuti assegnarsi a eletti creditori; quali pesi tutti, con detta concordia passata e firmata da detti signori Governadori e Deputati, fu stabilito che dovessero andare a carico di detta Casa Santa; essendosi da esse parti calcolata la somma di detti pesi cogl'annui due, 369,3,11 di pensioni, quindemi, unioni ed altro, contenuto in detto bilancio de' pesi, si è ritrovato ascendere alla somma di annui Duc. 4683 come di sopra. Che perciò si è convenuto e dichiarato espressamente, che di essi ne restino a carico della stessa Casa Santa, sopra li suddetti corpi ed effetti rimasti ed assegnati a beneficio di detta Casa Santa, li suddetti annui Duc. 2286, per le rate espresse e dichiarate nel suddetto bilancio, e nota di sopra inserita. ed all'incontro passino a carico di detti creditori, e sopra le robbe, che cede a lor beneficio, li restanti annui duc. 2896,4,14, anche per le rate distintamente rapportate in detto altro bilancio e nota, parimente di sopra inserita; oltre degli altri corpi che non sono sommati; a cagione che coloro a' quali si devono ne tengono intestazione particolare, e questo a riflesso degli effetti e corpi da assegnarsi ut infra a beneficio de' medesimi creditori, sopra de' quali sono situati detti pesi.

Decorse tutte le rendite ed entra de di eletti corpi, beni, ed effetti, tanto burgensatici quanto feudali, a beneficio di detta Casa Santa, dal primo luglio del passato anno 1716 avanti.

In modo tale che in virtù della presente transazione, convenzione e concordia; ed in esecuzione di detto convenuto e stabilito tra esse parti in detti nomi; coll'approvazione ed intelligenza di detti signori Reggenti de Miro e Positano; ed in esecuzione ancora di eletto decreto d'expedit di detto Regio Collateral Consiglio; tutti li suddetti corpi, beni, ed effetti burgensatici e feudali, censi, stabili, capitali, annue entracte, e nomi de' debitori di sopra descritti sub verbo sifjnanter, debbiano, dal detto primo di luglio 1716 avanti, et in fu turum restare, come prima stavano, nel pieno dominio e possessione di detta Casa Santa, e sotto l'amministrazione de' signori Governatori pro tempore di essa,

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in soddisfazione e per fondo particolare di tutte l'opere che fa detta Casa Santa, nell'Ospedale, Rota, Conservatorio, Maritaggi, Chiesa, Messe; ed anco di quelli, che hanno effetti certi, opera di Pozzuoli, Ospedali dei convalescenti ed ogni altra opera o spesa, che sotto qualsivoglia nome o esito farà detta Casa Santa da oggi avanti et in futurum; obnoxii però al peso della soddisfazione di detti annui ducati 1286, che sono restati a carico di detta Casa Santa, nel modo come di sopra; e franchi, liberi, ed esenti da qualsivoglia ragione, azzione, ipoteca, servitù, obliga zione, o pretenzione di tutto il ceto de' creditori istrumentari col patto de retrovendendo, della medesima Casa Santa e Banco, fìn'oggi esistente, e da ciascun di essi contratta, ed acquistata sopra detti beni, corpi, ed effetti burgensatici, e feudali rimasti a detta Casa Santa come di sopra. Restando belisi salve ed intatte, a beneficio di essi creditori, tutte le loro ragioni, azzioni, ed ipoteche, tali quali li competono, sopra li restanti beni, corpi, ed effetti burgensatici e feudali, che si dovranno assegnare, e dare insolntum al ceto de' medesimi creditori, in soddisfazione di tutti l'intieri loro crediti, nel modo che appresso si dirà.

Ed all'incontro detti signori Governadori, in detto nome, anco per causa della presente transazzione, convenzione, e concordia; ed in esecuzione del convenuto e stabilito tra esse parti, in detti nomi; coll'ap provazione ed intelligenza di detti signori Reggenti de Miro e Positano; ed in esecuzione ancora del detto decreto d'expedit del Regio Collate ral Consiglio; e per liberarsi affatto dalla gravezza di tutti i creditori i strumentari col patto de retrovendendo; e da qualsivoglia ragione, azione, o ipoteca a quelli, ed a ciascuno di loro, in qualsivoglia modo competente contro detta Casa Santa e suoi beni; e soddisfarsi appieno, secondo gli si permette nel tempo presente (atteso l'intiero patrimonio, così di detta Casa Santa, come di detto Banco, fa già conosciuto, liquidato, e discusso da detti signori Reggenti, a tal effetto destinati) di tutti li suddetti loro intieri crediti di capitale, e terze, ed interesse, ed ogn altro preteso credito, così in vigore d'istromento, come di partite di libri, conti particolari fra detta Casa Santa e Banco, ed ogn'altra scrittura privata, fin oggi dovutoli; di forma che a eletti creditori, e ciascuno di essi, non resti altro, eia oggi avanti, che pretendere e dimandare da detta Casa Santa, per causa de' medesimi loro crediti; e perché così li pare, e piace; spontaneamente, in presenza nostra, non per forza o dolo alcuno, ma per ogni miglior via, e da ora liberamente, in soddisfazione di tutti l'intieri loro crediti, che detti creditori rappresentano, e ciascuno di loro rappresenta, con patto de retrovendendo contro detti patrimoni di detta Casa Santa e Banco, così di capitale, come di terze, ed interessi sin oggi decorsi, e di qualsivoglia altro credito, ed a qualsivoglia somma ascendano, tanto detti intieri capitali, quanto dette intiere terze, ed interessi, ed ogn'altro, che contro detta Casa Santa e Banco detti creditori, e ciascuno di essi avessero, potessero avere sin oggi per qualsivoglia titolo, ragione e causa, così dedotta, come non dedotta, tanto in virtù di qualsivogliano scritture pubbliche o private a loro beneficio appartenenti, quanto in altro qualsivoglia modo: liberamente hanno assegnato, ed assegnano, cedono, erinunziano, e danno insolntum, et pro solutoal ceto di detti creditori istrumentari, con patto de retrovendendo, oggi esistenti di detta Casa Santa e Banco assenti, ed a detti signori deputati, in detto nome, ed a me notaro presente etc. Tutto lo di più di qualsivogliano restanti beni, corpi, ed effetti, o rendite burgensatiche, feudali, capitali, annue entrade, censi, nomi di debitori, ed altro;

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così contenuto in detti bilanci, seu inventari formati, e fatti da eletti magnifici razionali di detta Casa Santa, e Banco, dedotti da essi primieramente tutti li suddetti corpi, beni, effetti, rendite burgensatiche e feudali, capitali, annue entracte, censi, nomi di debitori, ed altro convenuto come di sopra, e infra si spie gara, dovrà restare a beneficio di detta Casa Santa, per adempimento, e mantenimento dell'opere suddette: come altri beni e corpi, non contenuti nelli bilanci suddetti, che presentemente possedesse detta Casa Santa; senza che la medesima in ogni futuro tempo vi possa pretendere cos'alcuna, così per causa di dette opere, come per causa d'avanzo che forse facessero le rendite, dovendo l'accrescimento o 'l detrimento anelare ad utile e danno de' creditori.

E come che fra gli effetti e beni, che ha posseduto e possiede detta Casa Santa, vi sono la città di Lesina (1) ora distrutta e senza abitatori, la baronia dell'Ascea, i feudi chiamati di Policastro, e feudi chiamati Sala, Salella, e Corinoti; li quali feudi si tengono uniti colla suddetta dell'Ascea, ancorché non siano membri della medesima, e la detta città, baronia, feudi, siccome altri effetti feudali si sono posseduti, e possedono immuni ed esenti da ogni peso, ordinario, ed estraordinario, invigore degli amplissimi suoi privilegi,concessioni, ed osservanza immemorabile:anzi la detta Casa Santa parimente ha, per privilegio antichissimo, confirmato da tutti li serenissimime predecessori, di potere acquistare per atto fra vivi, ed ultime volontà, ed alienare senza assenze,qualsivogliano sorta di feudi e beni feudali, come ne sta in pacifico ed inveterato possesso, e s' attesta ancora da scrittori istorici e legali del Regno ; perciò, la stessa Casa Santa,s'obbliga e promette, in vigore della presente transazzione, convenzione,e concordia, cedere e vendere quandocumque et nulla data temporis praescriptione liberamente, e senza patto di ricomprare, salvo il Regio assenze, quatenus sia di bisogno a maggior cautela, e non altrimente, né di altro modo, al ceto de' creditori, o a quella o quelle persone che si destinerannoda'medesimi creditori, sempreche ad essi piacerà, ed a semplice loro richiesta; anzi, ex nunc pròtnc, si conviene che s'intendano ceduti e venduti colle medesime esenzioni,

(1) I dritti feudali su Lesina, posti iuvendita per pubblico incanto l'anno 1750, comprendevano la signoria della città con l'intìero stato, et signauter col banco di giustizia, giurisdizione di prime e seconde cause, civili, criminali e miste, mero e misto impero, facoltà di aggraziare e commutare le pene corporali in pecuniarie;e quelle di rimettere, o in tutto, o in parte, od anco di aggraziare, soddisfatta prima la parte offesa; cogli emolamenti e proventi di detta giurisdizione; coli' amplissimo privilegio, etiam contra viduas et pupillos; colla derogazione alla legge unica Cod. quando imperator; e, per I'esercizio di detta giurisdizione, creare il governatore annuale, mastro d'atti, attitante, e subalterno; con famiglia armata, giusta le leggi del Regno; tener carceri; col peso all'Università di pagare annui ducati sette al Governatore perla revocazione dei Banni preterii, e di pagare al giurato annui ducati diciotto per servirlo; e colla giurisdizione della Bagliva; con percezione della fida e diffida, cosi per li cittadini come per li forastieri; e col jus della Portolania dentro, fuori et prope la detta città; col jus della zecca di peso e misura; quale giurisdizione siestende anco nel mare ed in tutto l'intero territorio di Lesina; e colla giurisdizione in tuttoil territorio posseduto dalla Badia di Ripalda, econ il jus di esercitare ivi la giurisdizione ed andar a tener Corte nel giorno dell'Assunzione della SSma Vergine ".Spettava pure al Barone di Lesina "la Mastrodattia con tutti i jus. Jus di presentare l'arciprete di Lesina; la panetteria; il molino; forno; jus di vender pane; piazza; fida di mare; passo e gabella del tumulaggio del Fortore; jus della spiga; decima del grano, orzo, fave, caccia, pesca etc. (a).

(a) Paraglia. Il comune nell'Italia Meridionale pag. 254,

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privilegi, prerogative, preeminenze, jus, e ragioni, come meglio l'ha sin ora posseduti; comunicando a' medesimi, ed a chi da essi averà causa, ristessi suoi privilegi; con valersi espressamente della sua facoltà, per una causa tanto necessaria e privilegiata, e di servizio del he nostro Signore, del pubblico, e di questa Casa Santa; senza però che sia tenuta a cosa alcuna, né possa mai esser chiamata in giudizio per l'emenda, se mai li suddetti privilegi, immunità, ed esenzioni non fussero menati buoni, accordati, e confirmati (il che non si crede). E sin tanto che li creditori suddetti non vorranno che detta Casa Santa venda e ceda in solutiona loro beneficio, o alla persona o persone che ad essi piaceranno, li feudi suddetti. Trasferita al detto ceto la tenuta de' medesimi coll'esercizio della giurisdizione; col l'obbligo di cedere e trasferire ogni jus che restasse appresso detta Casa Santa ad omnem siinplicem requisitio nemde' stessi creditori; e colla facoltà di poter vendere ed alienare detta tenuta ed esercizio di giurisdizione per soddisfarsi, col prezzo, di eletti loro crediti; con dichiarazione che, eligendo d'aver detta tenuta, non s'intenda preclusa la strada di fare in ogni tempo, a loro libito e piacere, intestar li detti feudi e beni feudali alla persona da essi de stinanda. Senza che mai possa detta Casa Santa contraddire a detta intestazione, o rivocare la cessione suddetta; rinunciando a tale effetto essi signori Governadori a qualunque beneficio di legge comune o municipale: anzi, acciocché da questa convenzione resti maggiormente cautelato il detto ceto di creditori, si conviene espressamente: che in ogni caso di contraddizione a detta intestazione, non possa mai detta Casa Santa essere intesa, se prima non paghi al ceto suddetto la summa di ducati 350000, per quanti, di comune consenso, si è dato prezzo a detti feudi e beni feudali. ed al pagamento di detta summa resti sempre tenuta nel caso di rivocazione o contraddizione suddetta, senza che possa oppone eccezione alcuna, sic ex pacto speciali et non in poencim; a riguardo che la detta summa si è convenuta ex debito pruccedenti, ed il prezzo di detti feudi e beni feudali deve cedere a beneficio de' creditori, in soddisfazione de' loro crediti.

Cominciati parimenti a decorrere li fratti, rendite, ed entracte di detti restanti beni, corpi, ed effetti feudali e burgensatici, come di sopra assignati e dati in solutuma' detti creditori, dal primo di detto mese di luglio 1716 avanti, e decorrenti in Juturum; restando il maturato e frutto pendente respettivamente, di detti beni ed effetti, una colli pesi e spese dovute per causa degli effetti suddetti, sino a detto di primo luglio, a beneficio e carico di eletta Casa Santa, quia sic etc. et ex pacto, etc.

Del qual'assignamento et insolntum datione, come di sopra fatto, di detti restanti corpi ed effetti burgensatici e feudali, in soddisfazione di tutti detti intieri crediti, e ciascuno di essi, cosi di capitale, come di terze interesse ed altro ut supra, tti signori Deputati, in nome di tutto il ceto di detti creditori, spontaneamente, in presenza nostra, ne hanno chiamato e chiamano tutto detto ceto de' creditori, e ciascuno di essi, ben contento e soddisfatto. E quantunque il pieno di detti intieri crediti, di tutti eletti creditori, e ciascuno di essi, cosi di capitale, come di terze ed interessi ut supra, assai maggior summa del valore delli restanti corpi beni ed effetti, come di sopra assegnati e dati in solutum; tutta volta tutto lo di più che a detti creditori, o ciascuno di essi, si dovesse per lo compimento di eletti intieri loro crediti, li medesimi signori deputati, in nome di tutto detto ceto di creditori, e di ciascuno di essi, avendo mira alla chiarezza colla quale detti signori Governadori di detta Casa Santa e Banco si sono compiaciuti dimostrare,

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ad essi signori deputati, indetto nome, il pieno del patrimonio,cosi di detta Casa Santa come di detto Banco, ed alla gravezza de' pesi ed obblighi che tiene la medesima Casa Santa; colla quale chiarezza avuta, essi signori deputati, indetto nome, apertamente han conosciuto non potere pretendere altro in soddisfazione de' loro intieri crediti, di capitale terze ed interessede corso sin oggi: e per divozione che dissero portare verso detta Casa Santa, e Madre Santissima dell'Annunziata, dalla quale si esercitano tante opere -pie, e per sollevare in parte detto pio luogo, ed abilitarlo a maggiori opere; con eccitare ancorala divozione de' fedeli, quali è dipiù facile che accorreranno, colle loro carità, al sollievo di detto pio luogo,sciolto già dal peso di tanti creditori, a' quali ha cercato soddisfare quel tanto 1'è stato permesso di levarsi dal suo dominio, per non restare detti creditori totalmente in capaci di poter ricuperare qualche parte de' loro crediti, per la disgrazia sopraggiunta a detta Casa Santa; e perché così a tutto detto ceto de' creditori pare e piace, di certa loro scienza,spontaneamente, in presenza nostra,non per forza o dolo alcuno, ma per ogni miglior via, l'hanno rilasciato e donato, per titolo di donazione irrevocabile tra' vivi, a detta Casa Santa,e suoi signori Governadori successori assenti, ed alli detti signori odierni,in detto nome, ed a me notaro presente, etc. Promettendo detti signori Deputati, in detto nome, detta donazione non giammai rivocare nò ritrattare, in qualsivoglia futuro tempo, per qualsivoglia titolo ragione e causa, anco per vizio d' ingratitudine; o che in avvenire detta Casa Santa venisse a maggior auge, siccome è stata ne' tempi addietro, con peculio esorbitante, senza peso di tanti creditori, e benché il detto peculio acquistando non stasse soggetto ad opera alcuna. Quale donazione hanno voluto e vogliono detti signori Deputati, in nome di tutto il ceto di detti creditori, che s'intenda fatta in beneficio di detto pio luogo,anco per atto principale, separato,ed indipendente dalla detta transazione, convenzione, e concordia; e che non s'intenda una, ma più e diverse volte fra la summa permessa dalle leggi, e che in quella o quelle non vi sia necessaria insinuazione alcuna, ma vaglia, tenga, e resti sempre ferma e valida, come se fusse stata fatta in qualsivoglia Corte, Tribunale, e Foro, ed in presenza di qualsivoglia giudice, ufiziale, e magistrato ecclesiastico o secolare, e con decreto, autorità, ed insinuazione di essi, ed ogn'altra miglior via e modo; e che in ogni successo di tempo abbia la sua fermezza ed efficacia,né debbia patire diminuzione,o dubbiezza alcuna, rebus etiam in eodem statu non permanentibus: rinunciando con giuramento; in presenza nostra, detti signori Deputati, indetto nome di tutto il ceto de' creditori,alla l. fin. tot. titulo alla cum qunando Cod. de revocandis donat, alla de don. insin., ed alla stessa insinuazione. Ed in caso che in avvenire forse occorresse, per qualsivoglia causa, anco giusta e permessa dalle leggi, rivocarsi o ritrattarsi : detti signori Deputati, in nome di detto ceto dei creditori, e ciascuno di essi, da ora hanno voluto e vogliono che tal rivocazione s'abbia per non fatta. E tante volte donano, come di sopra a detta Casa Santa, il di più di detti intieri crediti di capitale, terze, ed interesse fin' oggi decorso, quante volte occorresse detta donazione rivocarsi, o in qualsivoglia modo a quella controvenirsi. Però, per osservanza dell'espresso patto, legge e decreto d'Expedit,colli quali esse parti, nelli nomi respettivamente come di sopra, sono venute alla presente transazione,convenzione e concordia, altrimente quella non avrebbero conclusa, né

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né sarebbero venute alla stipulazione del presente stromento; detti signori deputati,in nome di tutto il ceto di detti creditori istrumentari con patto de retrovendendo di detta Casa Santa e Banco, stante il suddetto assigna mento et in solution datione, come di sopra fatta a' medesimi creditori, nel modo di sopra espresso: da ora liberamente hanno ceduto e renunziato, e cedono e rinunziano a qualunque ragione, azione ed ipoteca, che in qualsivoglia modo spetta e compete, e può spettare e competere alli medesimi creditori, e ciascuno di essi, e che gli stessi tengono contratta ed acquistata sopra detti corpi, beni, ed effetti burgensatici e feudali, rimasti a detta Casa Santa per fondo ed adempimento di dette opere, e descritti nel presente contratto; volendo che li medesimi beni corpi ed effetti, descritti in eletto contratto, e che s'è convenuto restare a eletta Casa Santa, debbano rimanere a benefìcio della medesima Casa Santa liberi, sciolti, ed esenti da qualunque soggezione, ipoteca, servitù; e da tutte, e qualsivogliano ragioni ed azioni, che in qualunque modo, e per qualsivoglia titolo, ragione e causa, competono, e possono competere a' detti creditori, e ciascuno di essi, nulla esclusa; ed anco da qualsivoglia emenda, che in qualsivoglia tempo, e per qualsivoglia ragione, e causa competesse, e potesse competere a detti creditori, e ciascheduno di essi, sopra detti beni, convenuti col presente istromento restare a detta Casa Santa.

E così all'incontro detti signori Governadori, in eletto nome, stante il suddetto contentamento di detti signori Deputati, in nome di tutto il ceto di detti creditori, e ciascuno di essi, sopra li medesimi corpi, beni, ed effetti, nel modo detto di sopra, spontaneamente, in presenza nostra, non per forza o dolo alcuno, ma per ogni miglior via etc. parimente da ora liberamente hanno ceduto e rinunziato, e cedono e rinunziano a qualunque ragione, ed azzione, che in qualunque modo spetta e compete, e può spettare, e competere alla detta Casa Santa e suo Banco, sopra detti restanti beni, corpi, ed effetti burgensatici, e feudali assignati come di sopra, e dati in solutum a detti creditori, in soddisfazione di detti intieri loro crediti di capitali, terze, ed interessi sin oggi decorsi; e restino totalmente liberi, esenti., e sciolti da qualunque soggezione, ipoteca, servitù, obbligo, e da tutte qualsivogliano altre ragioni, in qualunque modo comprese, ninna esclusa; ed anco da qualsivoglia emenda, che in qualsivoglia tempo, e per qualsivoglia ragione, potesse mai avere detta Casa Santa; ancorché qualche credito, contro detta Casa Santa rappresentato, non fusse vero, o per altro motivo e ragione indebito. E per tal effetto esse parti, nelli nomi respettivamente come di sopra, a maggior cautela si sono ad invicem quietate, e quietano, liberano, ed assolvono di tutte le suddette, ed ogni altra ragione, e pretenzione, che una parte avesse, o potesse avere contro dell'altra, e l'altra contro dell'una, per le suddette cause dedotte, o che potessero dedursi. Facendosene ad invicem di tutte dette ragioni, e pretensioni, ac de tota causa, et actio ne ipsarum una cum dependentibus et emergentibus, amiexis, et connexis exeis, ampia, finale, generale, e generalissima quietanza in ampia forma etiam per aquilianam stipulationem etc. et per pactum de ali quid aliud in perpetuum non petendo, nec peti faciendo, e di commnue consenso hanno cassato, irritato, ed annullato, e cassano,irritano, ed annullano tutti, e qualsivogliano atti da esse parti, e ciascuno di essi, ne' nomi respettivamente come di sopra, fatti, così in detto Regio Collateral Consiglio, ed avanti detto spettabile signor Reggente de Miro, come in altro qualsivoglia tribunale superiore; volendo che "di detti atti da oggi avanti non se ne debba avere ragione alcuna, né facciano fede in judicio, nec extra, restando però quelli ferini solamente per l'osservanza del presente istrumento, e non altrimente, né di altro modo.

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E colli seguenti altri patti, obblighi, dichiarazioni, e convenzioni, contenuti ed espressi in detti capitoli, appurati e firmati da dette parti, cioè:

Primo. Che restino a peso e debito di detti creditori, non solo tutti li pesi dovuti per natura e per debito degli effetti, che di presente sono del patrimonio di detto Banco; eccetto però il peso d'annui Duc. 24, dovuti sopra detto molino posseduto da detto Banco, e rimasto a beneficio di detta Casa Santa, col comprensorio delle case dell'Isola della medesima Casa Santa, qual peso di annui ducati 24 resta a carico di detta Casa Santa; come anco l'altro degli annui Duc. 100, dovuto per li maritaggi di Giovanna Arcella, per li quali si è fatto, a detta Casa Santa, l'assegnamento et in solutum datione sopra li quattro fondachi di sale, come di sopra; ma anche le due partite, una d'annui ducati 30 di censo dovuto sopra la casa sita a Santa Maria dell'Agnone, e l'altro del quin demio dovuto al beneficiato di S. Guglielmo, per gli effetti del medesimo; stante che detti effetti e case, per possedersi dal patrimonio del Banco, viene incluso in detto assignamento et in solutum datione fatta a detti creditori; come anco restano a peso di detti creditori li suddetti annui ducati 2306,4,14 di pesi passati a carico loro, e li suddetti vitalizi, che si devono alli suddetti creditori, asseriti nella nota formata dal suddetto magnifico Razionale, come di sopra si è detto, colla promessa della indennità in ampia forma a beneficio della Casa Santa.

Secondo. Che tutti gli attrassi dei crediti litigiosi e di difficile esazione; o pure di sostituzioni già purificate, addette all'opere certe e a confidenze sino al giorno 24 giugno 1716, in cui furono da esse parti formati li capitoli della presente transazione, celiano e siano, siccome detti signori Governadori, in detto nome, quelli cedono, assegnano, e danno parimente in solutum a benefìcio di detti creditori, in soddisfazione ancora di detti loro crediti, nel modo come di sopra, anco per tali quali, nel modo detto di sopra.

In oltre li medesimi signori Governadori, in detto nome, cedono parimente, e danno in solutum et pro soluto, alli medesimi creditori,in soddisfazione medesimamente di detti loro intieri crediti, li capitali di detti loro crediti dependenti da eredità libere, insieme colle loro terze.

Ed all'incontro quelli capitali dei crediti e sostituzioni già purificate, che sono addette ad opere certe o a confidenze, insieme colle terze dovute da detto 24 giugno fin oggi, e da oggi avanti decorrende, restino a beneficio di detta Casa Santa, per mantenimento di dette opere. Dovendosi lo stesso praticare a rispetto dei crediti che fussero denunciati, o si denunciassero dopo la presente transazione

Veruni dagli attrassi recider aneli di eredità addette a peso, li quali per detto di 24 giugno si sono ceduti ed assignati al ceto de' creditori, debbano, ante partem, percepirsi da detta Casa Santa tutte quelle quantità delle quali va debitrice al conto dell'eredità seu confidenze. Et signanter li ducati 15 mila all'eredità del quond. Ascanio d'Elia, ed altri Duc. 5000 in circa alla confidenza di Minutolo, dalle quali si è pigliato il denaro, ed è rimasto il debito a detta Casa Santa, per servizio de' creditori, ossia per pagarsi da tempo in tempo li mandati.

Veruni, nel caso che non si ricuperassero, né si esiggessero detti attrassi da confidenze, o altri effetti addetti ad opere certe, li detti creditori non siano tenuti a cosa alcuna.

Terzo. Che, per lo credito contro del signor Duca della Torre ed altri interessati, il capitale e terze decorse dal dì 24 giugno sin oggi avanti, et in futurum decorrende, restano a beneficio della Casa Santa nel modo detto di sopra.


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E tutte le terze decorse di detto credito, sino al dì 24 giugno, e loro interesse forse dovuto, debbiano cedere, cioè per due terzi a beneficio di detti creditori, in soddisfazione ancora di detti loro crediti, ed un altro terzo sia e debbia restare in beneficio di detta Casa Santa; quale terzo s'abbia da valutare fatta la deduzione delle spese occorse per la lite.

Quarto. Che a rispetto de' crediti litigiosi addette all'opere, a riguardo de' quali si è data la providenza di sopra descritta, non possano li signori Governadori di detta Casa Santa transigere, cedere, o in altro qualsivoglia modo alienare la porzione del suo credito, così di capitale, come di terze, senza l'intervento, presenza, e consenso dei creditori. E così all'incontro non possano ciò fare detti creditori senza l'intervento, presenza, e consenso de' signori Governadori pro tempore di detta Casa Santa. E lo stesso resti stabilito e convenuto a riguardo di detto credito contro detto signor Duca della Torre, ed altri interessati; e facendosi da ciascheduna di esse parti senza l'intervento dell'altra, sia ogn'atto ipso jure nullo ed invalido, e come non si fusse fatto.

Quinto. Che tutti gli attrassi degli effetti correnti, tantum per tutto il mese di giugno del passato anno 1716, e la rata di ogni qualsivoglia eredità, anche di frutti pendenti, e non maturati sino e per tutto detto mese di giugno, debbia restare a beneficio di detta Casa Santa. E dal primo di luglio, del medesimo passato anno in avanti, il frutto civile e naturale de' beni, e corpi, ed effetti assegnati, e dati in solutum a detti creditori, si debbia esiggere da detti signori Governadori dì detta Casa Santa sino all'ultimo di decembre, poi pagarsi a detti creditori.

Sesto. Che l'attrasse debito, sino al detto dì 24 giugno, al beneficiato di San Vincenzo, debba soddisfarsi per tre porzioni eia detta Casa Santa, per un altra porzione delle quattro dal ceto di detti creditori.

Settimo. Che il taglio del bosco chiamato lo Litto, e la proprietà del medesimo bosco, ed il taglio e la proprietà delle selve nella Terra della Valle, siccome ogn'altro taglio e frutta di legname sistente ne' feudi che sono restati a beneficio di detta Casa Santa, debbiano restare tutti detti tagli e proprietà in beneficio di detta Casa Santa; senza che sopra di essi resti altra ragione, o azione a detti creditori, o ciascuno di essi. Però il taglio e proprietà delle selve di Somma, ed altre che vi fussero negli altri feudi di sopra, assegnati e dati in solutum a detti creditori, debbiano tutti restare in beneficio e dominio de' medesimi creditori.

Ottavo. Che tutte le ricognizioni e palmari delli signori avvocati e procuratori d'ambe le parti, e d'ogni altra persona che ha travagliato, e merita ricognizione per le fatiche fatte in ridurre a fine la presente transazione; scrivano di mandamento; diritti e spese da farsi nel Regio Collateral Consiglio per lo decreto d'Expedit ed assenzo; e parimente per gli assenzi _ del Sommo Pontefice, e dell'Augustissimo Imperadore quatenus ete; e per quelli che saranno necessari, et non aliter; ed ogni altra spesa necessaria per la totale esecuzione e fermezza della medesima presente transazzione, debbiano, ex pacto speciali, pagarsi, cioè per tre parti di esse spese, come di sopra enarrate, da detti creditori; e per l'altra quarta parte da detta Casa Santa; quale quarta parte di spesa debbia soddisfarsi nell'ultima tanna. Rimettendo alla determinazione del detto spettabile signor Reggente di Miro, così la quantità a loro dovuta, come il tempo ed il modo con cui debbiano soddisfarsi.

Nono. Essendosi già verificata la I sostituzione fatta dal quondam Gio. Battista Pepe in beneficio di detta Casa Santa, quantunque fusse insorta lite col magnifico D. Niccolò di Jorio,

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il quale rappresentava sopra, li beni di detto qu. Gio. Battista diverse pretensioni; ad ogni modo, essendosi compromesse dette differenze al Dottor signor D. Francesco Crivelli, per parte di detta Casa Santa, ed al Dottor signor D. Francesco Guerrasio per parte di detto dottor Niccolò; ed essendosi da questi promulgato laudo; e dall'una e dall'altra parte proposti li gravami, pendenti nel S. R. C. è finalmente terminata la lite con detto Dottor Niccolò, in virtù di pubblico istromento già stipulato. Ma perché detta Casa Santa, come erede di detto qu. Gio. Battista, è tenuta fare un monacaggio,che unito col vestiario, la spesa ascende alla summa di ducati 350, per una donzella nubile e povera della città di Sanse vero, con la prelazione a quella che fusse della famiglia del testatore. Che però, anco in esecuzione del convenuto da esse parti, come di sopra, si è convenuto espressamente, che da tutti gli effetti di detta eredità di detto qu. Gio. Battista, tanto di quelli che possedeva detta Casa Santa, quanto di quelli che sono pervenuti alla medesima Casa Santa in virtù del detto istrumento, stipulato col detto Dottor Niccolò, si debbiano rilasciare, assegnare, e dare in solutum, siccome detti signori Deputati, in nome di tutto il ceto de' creditori, e di ciascuno di essi, per causa della presente transazione, da ora liberamente rilasciano, assegnano, e danno in solutum et pro soluto, a eletta Casa Santa, e suoi signori Governadori successori, assenti, ed alli detti signori odierni in eletto nome, ed a me notaro presente, etc. li sottoscritti effetti e capitali di detta eredità, quanti giungono al frutto e rendita d'annui ducati 200, secondo l'esazione presente; quali effetti si sono insoluti nel presente istromento, tutte e qualsivogliano ragioni di detti effetti e corpi, coll'intiero loro stato, in modo che così l'aumento, come la diminuzione de' medesimi effetti e capitali, da oggi avanti, resti e sia in beneficio e danno di eletta Casa Santa; senza che possa mail pretendere emenda, ristoro, o altra cosa sopra il rimanente di detta eredità.

Tutto lo di più della medesima eredità, detti signori Governadori, in detto nome, da ora liberamente l'hanno assegnato ed assegnano, e danno in solutum et pro soluto a beneficio di detti creditori; anco in soddisfazione di tutti detti loro intieri crediti di capitali, terze, ed interessi sin oggi decorsi. Con dover restare detto di più in pieno e libero dominio di detti creditori; con che resti a peso di eletta Casa Santa, ed a suo obbligo, di soddisfare tutti li monacaggi che in futurum si dovranno fare; senza che detti creditori siano tenuti a cosa alcuna per quelli effetti di detta eredità rimasti a lor beneficio, come di sopra. E nel caso che non vi fusse a chi farsi detto monacaggio, restino li detti ducati 200 annui a beneficio di detta Casa Santa, senza che eletti creditori vi possano in qualsivoglia futuro tempo pretendere cosa veruna.

E per ultimo, accettando esse parti, nelli nomi respettivamente come di sopra, il parere dato da detti signori arbitri intorno alli tre punti delle liti passive, della stanza pretesa dai creditori, e degli effetti del Banco dismesso; in esecuzione del medesimo parere, si è convenuto e stabilito fra di esse parti: che a rispetto delle liti passive, ciascuna delle parti resta soggetta e sottoposta a quelle liti passive che sono e saranno sopra gli effetti, e corpi, che in virtù della presente transazione, convenzione, e concordia le restano; senza che l'una possa pretendere e dimandare dall'altra, per causa di dette liti, rifezione o evizione alcuna; per moclo che la detta Casa Santa resti soggetta alle liti che sorgeranno sopra gli effetti e corpi, che ad essa rimangono; e li detti creditori succumbano all'altre che si dedurranno sopra li beni ed effetti ad essi assignati, e dati in solutum.

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Parimente si è convenuto. Che per commodità di detti creditori, ed acciò che si possino essi unire, e tenere le scritture per l'ultimazione dei loro interessi, resti alli medesimi as signata, dalli 4 maggio del corrente anno 1717 avanti, la casa sita all'isola di detta Casa Santa, e proprio quella ove al presente abita il fioraro nominato jr. N. destinata de communi consensu di esse parti, la quale serva per uso di detti creditori, sin tanto che saranno terminati l'interessi suddetti, senza pagamento di piggione. Col patto espresso, che debbiano essi procurare la determinazione suddetta fra il termine di anni 4 dal detto dì 4 maggio 1717; di sorte che passato detto tempo, e non terminati li detti interessi, o per divisione, o per assegnamento, o per altro mezzo, debbiano li creditori suddetti, siccome li detti signori Deputati, nel detto nome, promettono e s'obbligano pagare a detta Casa Santa, e suoi signori Governadori, il piggione di essa casa; che ex mine resta liquidato ed appurato nella somma per quanto è l'affitto presente della medesima casa; dichiarando che vadano e siano a carico dell'istessi creditori tutte le accomodazioni necessarie nella casa suddetta, o spese bisognevoli per loro servizio, dal dì 4 maggio 1717 sino e per tutto il tempo che durerà l'uso della casa suddetta per loro servizio.

In oltre si è convenuto e conviene, che tutti gli effetti e denaro contante al presente esistente nel Banco dismesso, e tutte le liti che si tengono contro li debitori di detto Banco, e per gl'introiti vacui, tali quali sono, passino in beneficio di detti creditori; ritenendosi la Casa Santa però la somma di ducati due mila del detto denaro contante, pro una vice tantum; con patto, e legge espressa che detti creditori restino tenuti ed obbligati, com'essi Signori Deputati, nel nome suddetto, promettono e s'obbligano: di levare ed estrarre indenne ed illesa, etiam via erequtim et ante daninum passun detta Casa Santa da qualunque credito di detto Banco dismesso, et tivnanfa' da quelli di fedi di credito e di depositi; colla rifazzione di tutti i danni, spese, ed interessi. E con altro patto, che detti creditori non possano procedere all'assignazione, divisione, o alienazione degli effetti del detto Banco dismesso, se prima non sarà da essi data, per l'interessi di detti creditori di detto Banco, et signanter di fedi di credito e di depositi, la cautela da dichiararsi dal detto Signor Reggente di Miro. Ed acciò che non possa, in ogni futuro tempo, insorgere dubio alcuno alle specie di detti effetti, se n'è fatta far nota o bilancio del Magnifico Razionale di detto Banco, che si è inserita nel presente istromento.

Di pili è convenuto, che detti Signori Governatori sieno tenuti di far dare a detti creditori tutte quelle scritture che sono in archivio, et penes detta Casa Santa, attinenti agii effetti assignati a' creditori, gratis, quando ne faranno richiesta, con che la spesa delle copie vanno a danno de' creditori.

Ed in fine si è convenuto e stabilito, che occorrendo forse qualche dubio, o lite, o controversia intorno alla presente transazione, e concordia, e circa li patti espressi; o intorno all'interpetrazione delle cautele, promesse, oblighi, ed ogni altra cosa nella medesima contenuta, debbia il tutto determinarsi dall'amichevole arbitrio e prudenza del detto Signor Reggente di Miro; del cui parere non possa alcuna di esse parti, in qualsivoglia modo, o per qualsivoglia ragione, motivo, o causa, gravarsi e richiamarsi; ma a quello promettono staro, obedire, c dare subito l'esecuzione dovuta.

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Promettendo dette Parti, e ciascuna di esse, nelli nomi respettivamen te come di sopra, per solenne stipulazione, una parte all'altra, e l'altra all'una, in detti nomi, presenti, etc. la suddetta transazione, convenzione, concordia, contentamento; assegnamento, in solutum dazione, cessione, rinunzia, donazione, e tutte le altre promesse ad inricem respettiva mente come di sopra fatte, sempre, ed in ogni futuro tempo, aver rate, grate, ferme, ed a quelle non pontravenire per qualsivoglia ragione e causa, anco di errore e lesione enorme, o d'altra causa assai maggiore dell'espresse, né domandare assoluzione, o abilitazione di giuramento, etiam ad effectum agendi et experiendi de earum juribus, ed ottenendola ed impetrandola di quella non servirsi.

Ed in caso che, non ostante la suddetta transazione, convenzione, e concordia, da ciascuna di esse Parti, in detti nomi, si controvenisse o tentasse di controvenire alla medesima transazione, convenzione, e concordia, sotto qualsivoglia pretesto, directe vel indirecte; in tal caso, restando sempre fermo ed in suo vigore il presente istrumento, e quanto in esso si contiene, a favore della parte osservante, alla quale restino sempre salve, intatte, ed illese tutte le suddette sue prime ragioni, azzioni pretensioni, e crediti, così com'erano avanti il presente contratto. E si possa la parte osservante di quelle servire ed avvalere, non solo per osservanza a suo favore dello stesso presente contratto, e per la manutenzione di quello che possiede, ma ben anco per la consecuzione di qualsisia altro credito, azione, e pretensione, non ostante le cessioni e rinuncie di quelle, ut supra fattele, a' quali, per la presente, nel caso predetto, non s'intenda fatto pregiudizio, novazione, o derogazione alcuna; ma quelli restino nel loro vigore contro la parte che controvenirà, o sarà inosservante, non ostantino qualsivogliano leggi, privilegi e beneficj dettanti a loro favore, a' quali tutti hanno con giuramento espressamente rinunziato e rinunziano; poiché la suddetta rinunzia di ragioni e pretensioni dovrà avere il suo effetto in quanto che dalla parte non si controvenga in cos'alcuna in futnrum, ma si stia totalmente all'osservanza del presente contratto. Anzi si è convenuto per patto speciale, che resti impedito alla parte inosservante l'ingresso della lite, e non possa essere intesa in qualunque Tribunale, o avanti qualsivoglia Giudice, se prima non avrà fatta l'intiera restituzione di tutto quello che in virtù della presente transazione, convenzione o concordia le sarà pervenuto, una con tutti li frutti percepiti. Sic ex speciali con ventione, senza che possa opporsi cos'alcuna in contrario o per legge comune, o per opinione de' Dottori, o per stile de' Tribunali, de' quali dichiarano esse parti esserne a pieno informate; e, fatta la restituzione suddetta, resti nulladimeno lo presente istrumento fermo, e nel suo robore a favore della parte osservante, ed a quella restino sempre salve, intatte ed illese le sue prime ragioni, azioni e pretensioni, come di sopra né si possa pretendere dalla parte inosservante ritenzione di cos'alcuna in parte della maggior somma, che forse pretendesse, né dar pleggiaria, né altra qualsivoglia cautela, ma ante in pressimi juclicii, debbia fare la totale e real restituzione suddetta in mano della parte osservante. Non ostante l'allegazione 34 del Regio Consigliero Signor Giov: Andrea di Giorgio, e qualsivogliano altre leggi, opinioni di Dottori, ed uso di giudicare in qualsivoglia Tribunale, a' qua li tutte esse parti in detti nomi, come ben intese, e cerziorate da' loro savj, come di sopra, di quelle, e loro importanza ed efficacia, con giuramento hanno espressamente rinunziato, atteso con detto patto speciale si è venuto alla presente transazione;

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volendo esse parti, in eletti nomi, stare a tutte le leggi che dispongono la restituzione dell'accetto e ricevuto; ed in specie alla 1. qui qui dem 16. ff de transact., alla 1. cmn proponas 17, alla 1. ubi pactum 40, ed alla leg. si quis major C. de transaction. Volendo di vantaggio e contentandosi, le medesime parti, che si debbia praticare la decisione del S. C. fatta a'3 Decembre 1694, nella Rota del Regio Consigliero Ciavari, con intervento del Signor Presidente del S. C. ed aggiunti, nella causa de 'Signori Piscicelli, colla quale fu ordinata la restituzione dell'accetto, una cuin fructibus, quia sic, etc.

Pro quibus omnibus etc. quaelibet ipsarum, nominibus respective ut supra,prout, etc. ad imam quamque ipsarum, attentis promissionibus praedictis, ut supra factis, spectat et perti net, sponte obligaverunt se ipsas et quamlibet ipsarum, nominibus respective ut supra, praedictamque S. Do mum et Bancum, ac Creditores predictos, eorumque et cujus libet ipsorum liaeredes, praeclictae Domus et Banci successores, et bona omnia, mobilia et stabilia, burgensatica et feudalia, praesentia et futura, etc. reservato assensu pro feudalibus desuper obti nendo, semper salvo, etc. una pars videlicet alteri, et altera alteri, dictis nominibus, praesentibus respective, ut supra, sub poena, etc. dupli, etc. medietate, etc. cum potestate capiendi, etc. constitutione precarii etc. et renunciaverunt, etc. et jura verunt, etc. unde, etc. praesentibus opportunis.

Extracta est praesens copia ab actis meis, factaque collatione concordat, meliori semper salva, etc. in fidem, etc. U. J. D. Vincentius Collocola de Neapoli, Regius Notarius, in Curia No tari Nicolai Antoni Collocola mei patris signavi = Loco £ Signi = Fateor Ego subscriptus Notarius qualiter su pradictus U. J. D. Vincentius Collo cola de Neapoli, qui supradictam extraxit copiam, fuit et est publicus, lealis, fidelis, ac Regia auctoritate Notarius, sibique scripturisque suis omnibus, publicis et privatis, di judicio et extra, semper adhibita fuit, et ad praesens adhibetur piena et indubitata fides; et in fidem Ego Nico laus Antonius Collocola de Neapoli, Apostolica et Regia authoritatibus Notarius, et in Archivio Romanae Curiae descriptus, signavi. Neapoli che 6 mensis Augusti 1725. Loco Signi.

La soprascritta convenzione fu approvata dall'Imperatore, dal Viceré, dall'Arcivescovo ed anche dal Pontefice Benedetto XIII, con bolla del 1.° gennaio 1725. Ma sono in seguito surte tante difficoltà, tanti processi, che la rappresentanza del ceto dei creditori non s'è sciolta prima del 1880. Quella vendita di beni immobili, riscossione di crediti e ripartizione pro rata agli aventi dritto, che avrebbe dovuto sbrigarsi in pochi anni, è durata due secoli; senza che sia completamente finita.

I rappresentanti, costituiti in corpo morale, che prese il nome di Ceto dei creditori di A. G. P., conservarono per le loro riscossioni e pagamenti molte consuetudini dell'abolito banco. Senza l'inopportuno zelo del Comm. Carta, che fece intervenire l'autorità del Ministro per costringerli a tenere diversamente le scritture e la cassa, avrebbe questo Ceto dei creditori,

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se non fatto risorgere il Banco di A G. P., per lo meno ricordato la mirabile costituzione delle vecchie officine apodissarie. Mantenendo nella loro purezza gli usi primitivi, le regole, i metodi contabili del secolo XVI, poteva A. G. P. permettere i confronti col banco governativo del 1818. Probabilmente avrebbe ciò dimostrato che meritassero qualifica ben differente da quella di progresso le novità ch'erano effetto di violenza, monopolio, ladreria!

Napoli 5 febbraio 1818.

Eccellenza

Dietro il rapporto da me rimessole, in data de' 10 giugno dello scorso anno, relativo alle polizze che si emettono da deputati del ceto de' cre ditori di A. G. P., e dietro informo da V. E. chiesto sull'oggetto a S. E. il Segretario di Stato Ministro di Grazia e Giustizia, si è V. E. medesima compiaciuto di passarmi, con Ministeriale de' 17 andante, una rappresentanza de' deputati anzidetti, incaricandomi di dirle quant'altro mi possa occorrere su tale assunto.

I deputati del ceto de' creditori di A. G. P. credendo di confutare il suddetto mio rapporto; assumono che quanto in esso si dice e lontano dal vero, ed insussistente; giacché è totalmente differente, essi dicono, il modo con cui si amministra ed è organizzata la cassa di quella deputazione da quello del Banco; dicono ch'essi fanno i pagamenti per la loro medesima cassa a particolari creditori di quel ceto, per maggior comodo de' medesimi; giacché, dovendosi pagare il mandato delle picciole rate d'interessi, vien esso soddisfatto giornalmente, in conformità che perviene l'introito della loro rendita: quandocché al Banco dovrebbe rimettersi l'importo del mandato in una somma, ed allora verrebbero attrassati li più bisognosi, che ora esiggo no puntualmente al maturo, ed allora esiggerebbero più mesi dopo del maturo, per potersi unire l'intera somma E finalmente dicono che quel ceto dei creditori non forma fedi di credito nella sua cassa, e per conseguenza non può notar polizze, come si asserisce nel mio rapporto, che dicono fatto senza piena cognizione dello affare.

Io, dopo nuovi e più minuti informi, posso dire a V. E. che non è né lontano dal vero, né insussistente ciò che le rassegnai, col cennato mio rapporto de' 10 giugno dell'anno scorso; e mi credo in dovere di farle osservare più dettagliatamente ciò che si pratica nella cassa del ceto dei creditori di A. G. P. onde possa V. E. medesima giudicare della verità del fatto.

Le operazioni che sta attualmente praticando il ceto de' creditori del fu Banco di A. G. P. si riducono a Duc. Una è quella che riguarda il pagamento de' soli creditori istrumentari, l'altra riguarda tutti gli altri esiti appartenenti alla sua particolare amministrazione.

La spedizione de' pagamenti a creditori istrunientarì è stata sempre, pel passato, eseguita da deputati del ceto, con mandati diretti al Banco, come si praticava dagli aboliti arrendamenti, e come si pratica tuttavia da tutte le altre amministrazioni e corpi morali. Il sistema che ora si sta praticando è tutto diverso dal primo. La deputazione spedisce li stessi soliti mandati, ed invece di di riggerli al Banco, per riscuotersi le somme da' rispettivi creditori, li di rigge alli stessi suoi impiegati. Costoro praticano tutte le medesime operazioni che si fanno dal Banco, giacché intestano sù di un libro maggiore i nomi de' rispettivi creditori formando una partita di credito, egualmente che pratica il Banco i creditori anzidetti, volendo riscuotere le rispettive quote, devono formare un mandato munito di loro firma autentica:

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questa viene riconosciuta dal pandettario che tiene la suddetta deputazione per mezzo di registro a tal uopo formato: in seguito, col visto dei cennato pandettario, passa a discaricarsi la partita sul mentovato libro maggiore a fronte del credito che in detto libro si è aperto, e colla bona dell'officiale libro maggiore, viene dal medesimo pandettario avvalorato il mandato della sua pagata; e così adempito, passa al chiamatore, il quale va insieme colla parte ad esibirlo al cassiere, da che si adempie al pagamento.

Or senza entrare a riflettere che i notai non potrebbero autenticare tali mandati, senza esser prima registrati, né il pandettario di A G. P. potrebbe ammetterli e passarli, essendo questo privilegio accorciato particolarmente al solo Banco delle due Sicilie, autorizzato da S. M. chi non vede che questo giro è tutto bancale? È quello stesso che solo dal Banco è stato, ed è praticato? Chi non vi riconosce la stessa ruota, la stessa cassa, e li stessi offici del Banco? Chi non comprende che la deputazione del ceto de' creditori di A. G. P. avendo adottato un tal sistema, ha voluto indirettamente formare un Banco privato, senza valersi del Banco autorizzato dal Sovrano? E che abbia voluto assumere quelle facoltà ed attribuzioni che son date dalla Sovrana autorità al solo Banco delle due Sicilie, caricandosi di un esito che potrebbe risparmiare, diriggenelo, al pari d'ogni altra amministrazione, li suoi mandati al Banco, dalli di cui pubblici registri si avrebbe in ogni tempo la cautela della deputazione non meno, che di tutti gli interessati? né dalle suddette operazioni, che fa la deputazione, si sperimenta il vantaggio che si vuole esagerare a favore della classe bisognosa, giacché i mandati vengono formati tutt'insieme in un tempo determinato, senza veruna parzialità di stato o condizione, essendo eguale la ragione di tutti gl'interessati.

Per tutti gli altri esiti di sua particolare amministrazione, la deputazione del ceto de' creditori di A. 0. P. pratica egualmente le stesse operazioni di sopra indicate. Essa tiene tre libri maggiori; uno detto di azienda: il secondo detto di notate; ed il terzo di cassa. Quello di azienda contiene i debitori del ceto dei creditori per le possidenze che tiene; quello di notate contiene tutt'i pagamenti che il ceto spedisce a favore dei suoi creditori, ed in questo tiene aperto un conto intitolato Nostri di Cassa il di cui introito, o sia partita di credito, nasce da un introito che si passa al cassiere, il quale lo descrive in dorso di una fede di credito scritta a mano, come ne'pri mi tempi si praticava dagli antichi Banchi, prima di formarsi m istampa le fedi di credito, e che porta la stessa intestazione. Nostri di Cassa.

Tutti gli esiti si notano in dorso di detta fede con tante polizze, le quali, venendo a passarsi, si discaricano dal conto anzidetto. In queste polizze, oltre le firme del Governo, e del Razionale, viene apposto un bollo indicante A G. P. sotto del quale vi si fa la notata nello stesso modo che si pratica dal Banco, con firma di Schioppa, il quale tiene il carico di aiutante del Razionale e di notatore in fede, tenendo un registro particolare a tal uopo.

Le suddette polizze si spendono sul libro colla Bona del libro maggiore Pica, ed indi con pagata dei pandettario Piscopo, e firma del chiamatore Carratura si pagano dal cassiere, e si scrivono in seguito sul libro d'esito, ed in giornale, tutto in forma come si pratica dal Banco, vedendosi anche in commercio giurare questi tali mandati a forma di polizze, che i cambiamonete neppure incontrano ostacolo di pagare in confidenza.

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Non è questo adunque lo stesso giro di scrittura, e le stesse formalità che si praticano dal pubblico Banco delle due Sicilie, che oggi è il solo autorizzato da S. M.? E come può negarsi che si facciano dalla deputazione del ceto de' credi tori di A. G. P. delle polizze notate, perché essa non fa uso della fede di credito?

Che la deputazione, invece di pagare li suoi creditori per mezzo di Banco, li voglia soddisfare con privati mandati, diretti al suo particolare cassiere, resterebbe in suo arbitrio di eseguirlo; quando creda che questo modo di privato pagamento le dia quella stessa cautela che ne riporterebbe facendo i pagamenti per mezzo di pubblico Banco. Ma che, dopo la formazione di tali mandati, voglia eseguire tutte le formole bancali, senza sovrana autorizzazione, è questo un assurdo che non è da permettersi, giacché, come le feci osservare col suddetto mio rapporto de' 10 giugno ultimo, potrebbe produrre de' seri inconvenienti, confondendosi le carte private che si emettono dalla cassa di A. G. P. con le carte che si emettono dal Banco.

Tutte le amministrazioni, e stabilimenti che spediscono pagamenti, o con particolari mandati, o con polizze di Banco, per niente poi s'incaricano delle successive operazioni che occorrono per la riscossione del danaro che vanno a fare i loro creditori. All'opposto la sola deputazione del ceto de' creditori di A. G. P. come ho fatto osservare a l'E. spedisce il mandato a forma di polizza di Banco, l'avvalora di bollo, e di notata, ed indi lo consegna a coloro in favor de' quali i pagamenti sono stati spediti. Costoro, dopo di averli adempiti di loro firme autentiche, riconosciute dal pandettario che tiene la detta deputazione, riscuotono da quella cassa il pagamento, prendendo tutte le formalità medesime che usa il Banco, ciol visto del pandettario, discarico e bona del libro maggiore, firma del dilaniatore prima di presentarsi alta cassa per la soddisfazione, ed indi trascrizioni di tali polizze in esito, e nel giornale.

Da quanto dunque ho avuto l'onore di rassegnare a V. E. è chiaro che si è voluto dalla suddetta deputazione formare un Banco privato, che abbia tutte le stesse attribuzioni, e formalità di un pubblico Banco.

Or avendo S. M. in conseguenza del piano formato dalla deputazione degli apodissari, e da essa approvato fin dall'anno 1805, stabilito col decreto de' 12 dicembre 1816, che un solo debba essere il Banco, sotto nome di Banco delle due Sicilie, distinto in due casse, una per lo Banco di Regia Corte, e l'altra de' privati che deve far il servizio di tutt'i particolari della capitale, e del Regno, e delle particolari amministrazioni, non sembra certamente regolare ciò che si sta praticando dalla deputazione del ceto de' creditori di A. G. P. la quale o dovrebbe fare i suoi pagamenti per mezzo di questo Banco, come tutte le altre amministrazioni e corpi morali, o, quando volesse eriggersi in pubblico Banco, dovrebbe ottenere la Sovrana autorizzazione, ed essere un altra cassa, dipendente dal Banco delle due Sicilie.

Ma siccome ciò non è eseguibile, finché sussista il R. Decreto organico del Banco delle due Sicilie, cosi io rimango sempre nel fermo proposito che debba vietarsi alla deputazione del ceto dei creditori di A. G. P. di far uso di quel giro di pagamenti che ha adottato; e che si serva, come tutte le altre amministrazioni, del pubblico Banco. Qualora voglia le stesse cautele, faccia i suoi pagamenti, in contante, per mezzo del suo cassiere assoggettandosi a' dritti di bollo e registro, qualora voglia le ricevute autentiche.

Sottopongo tal mio sentimento ai

A S. E. il Segretario di Stato Ministro delle Finanze

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24. All'epoca del Banco di Law, il Viceré Austriaco, Principe di Solmona, per comando dell'Imperatore, pubblicò l'ordine di non accettare né spendere biglietti dei banchi forestieri (28 nov. 1721); sotto pena di Duc. 400 per ammenda, oltre dei castighi corporali, ad arbitrio di S. E.

Poco dopo fu rinnovata la proibizione dei riscontri, e degl'introiti vacui, con una prammatica che ripete tutte le prescrizioni dell'altre pubblicate dal Viceré Spagnuolo Duca di Medina Celi, Don Luigi de la Zerda l'Aragon, fin dal 12 dicembre 1701.

"La perniciosa introduzione dei riscontri, nei Banchi di questa città illustre e fedelissima, fin dai primi tempi della loro erezione praticata, siccome ha partorito in essi, e quindi nel pubblico, tutti quei danni e sconcerti che in varie volte si sono veduti, cosi ha chiamato ad una giustissima attenzione i nostri predecessori, per abolirne il pessimo costume introdotto, e ad un meritato rigore contro dei trasgressori delle leggi sopra di ciò da tempo in tempo promulgate. Imperocché, mantenendosi inviluppati ed in somma oscurità i conti di ciaschedun Banco, per le polizze e fedi che l'un Banco tenea dell'altro, l'esperienza ha dimostrato che ogni danno e mancamento dei cassieri, d'onde poi sono nate le rovine dei medesimi Banchi, è stato cagionato, come da sua origine, da' suddetti riscontri. Qual verità essendosi conosciuta fin dai tempi passati, ed ancor quando i banchi si reggevano in casa di particolari (1), nonché in appresso, quando sortirono la loro situazione nei luoghi pubblici, si sono sempre mai da eletti nostri illustri predecessori, colla pubblicazione di varie Regie Prammatiche, imposte pene gravissime ai cassieri, e ad ogni altro ufficiale di banco di e in simili riscontri tenesse mano. Ma poiché la lunghezza del tempo, con le varie sue contingenze, unita alle umani frodi, han tolto l'osservanza delle varie Regie Prammatiche, proibenti severamente i detti riscontri, quindi è che col voto e parere del Regio Collaterale Consiglio, appresso di Noi assistente, facciamo la presente orniti tempore ralitura, con la quale, rinnovando in prima e confermando l'antiche prammatiche, sopra di ciò emanate dai detti nostri illustri predecessori, ed in particolare la terza e la settima, sotto il titolo de nummulariis, ordiniamo e comandiamo: che i cassieri e sotto cassieri dei banchi e loro aiutanti, e qualunque altra persona de destinata in detti banchi per fare introiti di monete, così presenti come futuri, non ardiscano in modo alcuno,né per essi né per mezzo d'altri,di fare riscontri dall'uno all'altro banco, né di fare introiti in essi, o dar credito in virtù di fedi, o di polizze d'altri banchi, se non che col vero danaro contante, che in quel banco dove si vuole acquistare il credito s' introduca.

(1) Questo è falso. Il Monte della Pietà, e gli altri banchi pubblici, facevano la riscontrata, al secolo XVI e XVII, non solamente fra di loro, ma eziandio coi banchieri privati, vale a dire non le ditte commerciali che avvaloravano fedi e polizze di deposito. Ecco un ordine del 28 febbraio 1584.

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E ciò sotto la pena, per ogni volta che si contravvenga,di ducati duemila per ciascheduno, e di tre anni di galera, da eseguirsi immediatamente. E colla prova legittima della flagranza, quandosi trovassero in loro potere o nelle casse dei banchi dette fedi e polizze dei banchi, o girate o non girate che sieno dei padroni del denaro; o in qualunque modo si provasse d'essersi al presente ordine contravvenuto;ammettendosi, per facilitarsene la notizia, qualunque denunciante di detta contravvenzione, al quale si promette la terza parte di quello che si esigerà di detta pena pecuniaria, restando l'altre due terze parti in beneficio del Regio Fisco. E nelle medesime pene s'intendano anche caduti tutti quegli officiali dei banchi,che sotto il loro nome cooperassero,in qualunque modo, alla detta contravvenzione,o tenendone certa notizia non la rivelassero a governatori di essi, i quali in averla siano obbligati di darla subito a Delegati, affinché comunicandola a Noi possano darsi gli ordini per l'esecuzione di dette pene. Imperciocché è tale il danno di questo inconveniente contro la pubblica utilità, nella buona amministrazione dei banchi, che si stima giusto ogni maggior rigore,per tenersi sempre in osservanza la detta proibizione. Ed al detto effetto,non meno ordiniamo e comandiamo che nelle medesime pene s'intendano anche caduti i cassieri e sotto cassieri ed altri assistenti ed officiali di detti banchi, a' quali portandosi le dette fedi o polizze come di soprapagate, o ricevute in contravvenzione per riscontro dell'altro, le pagassero. Siccome egualmente per tutti gli altri ufficiali dei medesimi banchi, a quali s'appartiene di riconoscere le dette fedi e polizze prima del loro pagamento, dovendo questi,avvedendosi delle contravvenzioni commesse dall'altro banco, non solamente non effettuarne il pagamento, ma darne subito notizia ai Governatori come di sopra. E si promette a denuncianti la medesima partecipazione di detta pena, affinché resti totalmente proibita ai banchi qualunque comunicazione, o contrattazione tra di loro, salvoché d'esigere per mezzo dei loro ordinarli esattori le polizze dei mandati d' arrendamenti, per quelle somme solamente che a ciascheduno spettano; nel qual caso debbano i detti esattori prendere il danaro d?. quel banco ove detti mandati si pagano e subito introitarlo nei proprii banchi. E quel creditore che tenendo denaro in un banco, o in suo nome o giratogli da altri, vorrà introdurlo in altro banco,debba prenderselo di contanti e poi farne introito ove gli piace. Altrimenti tali creditori, contravvenendo in trasportare il loro danaro per mezzo di polizze o fedi di credito dall'uno all'altro banco, o in prender

«Avendosi riguardo, per l'infrascritti signori Protettori, che si solea nel passato mandare a tirar contanti da banchi tutte le partite delle quali il sacro monte era creditore, e che gli erano girate da diverse persone; e di poi, per evitare ogni impedimento e pericolo vi fosse, si voltavano le dette partite ad altri banchi, i quali erano creditori d'esso sacro monte, e quelle si mandavano a spendere per polizze e cosi si saldavanoi conti del sacro monte coi banchi. Per osservanza del predetto, e per ogni altro buon rispetto e governo del sacro monte, hanno conchiuso ed ordinato: che da mo avanti, ogni mese,si tiri la resta d'accordo co' banchi, e di quello che restano debitori al sacro monte , si debba subito voltare per polizze del monte ad altri banchi suoi creditori; ovvero, non essendo debitore il sacro monte ai banchi , si debba il suo credito spender per polizze, e mandarsi a tirar il resto contanti -Il conte di Mileto-Giov. Vincenzo Pignone - Giov. Francesco Gargano -Giov. Battista Vicedomini - Giov. Alfonso Invidiato- Agostino Caputo.

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danaro da un banco, dandosi la polizza o fede per l'altro, cadano nella pena della perdita dei danari, con applicarsi parimenti la terza parte al denunciante, ed in altre pene a nostro arbitrio, secondo le persone ed i casi che accaderanno».

«Di vantaggio, per evitare il gravissimo disordine ch'è succeduto alle volte, di farsi introiti vacui nei banchi, con darsi eredito del denaro a chi non lo tiene, o prima che l'introiti in esso (delitto che tiene natura di furto con falsità) si proibisce, siccome colla presente proibiamo, sotto pena della morte naturale, così a detti cassieri, _ come a qualunque altro officiale di scrittura che con scienza commettessero, in qualunque modo, il detto delitto; o lasciassero fraudolentemente di notare, secondo le loro istruzioni, tutti gl'introiti nel tempo che si fanno. Proibendosi, sotto la medesima pena, a cassieri e sotto cassieri suddetti di valersi per proprio uso del danaro delle casse, né pure con licenza dei governatori, né di fare altri pegni che quelli che si fanno legittimamente, secondo l'istituto di ciascun banco. I quali pegni, legittimamente fatti, si debbano introdurre nel giorno stesso dentro il luogo della loro conservazione. E per maggior cautela, affinché si eviti ogni dubbio, e constino con la scrittura immediatamente tutti gl'introiti che si fanno nei banchi: ordiniamo e comandiamo che quegli officiali che sono destinati per formare le fedi di eredito o di deposito, non possano consegnare in mano dei cassieri tali fedi in bianco in confidenza, ma debbano sempre tenerle in loro potere, consegnandole al cassiere volta per volta, in ciascheduno introito che si farà, con iscriverei di loro mano il nome di quelli che li fanno, e le somme introitate. E così i loro libri come quelli dei cassieri, si debbano consegnare per passarsi a libro maggiore, secondo l'istituto di ciascheduno banco, e quelli che contravverranno, se la contravvenzione sia con scienza, cadano nella pena medesima di ducati duemila e di tre anni di galea, e se per casuale dimenticanza, cadano nella pena della perdita dell'ufficio; ed in altre a nostro arbitrio, secondo la qualità del loro errore. Siccome vogliamo che tutti gli officiali dei banchi e dei loro monti, che tenendo notizia della frode che commettessero gli altri, non la riveleranno a detti governatori rispettivamente dei loro banchi, cadano nella medesima pena che merita quegli che commette la detta frode; non essendo convenevole che coloro che si alimentano con le sostanze dei banchi, tengano poi occulti i gravi loro danni e pregiudizii».

«Ma se mai si rappresentasse caso, per ragione di credito particolare che l'uno banco acquistasse o dovesse acquistare con l'altro, e volesse per detta causa trarne il danaro, debbano i governatori ricorrere da Noi, affinché possa darsi la provvidenza conveniente».

«E l'osservanza di tutto ciò che si è ordinato nella presente prammatica, la riponiamo alla cura e peso dei governatori di detti banchi, rispettivamente di quelli ch'essi governano; con obbligarli costantemente a far contare le casse allo spesso da detti cassieri e sotto cassieri, con la loro assistenza, almeno ogni quindici giorni. E sia irremisibilmente, nelle mattine di lunedì, in ogni banco, incominciando dal primo dopo la pubblicazione della presente, in modo che vengano a contarsi unitamente nei medesimi giorni suddetti le casse di tutti i banchi e similmente ad usare tutte le maggiori diligenze per lo buon governo di questa loro amministrazione; dovendo subito dar notizia in iscritto a Delegati, rispettivamente dei banchi che essi governano, di qualunque trasgressione che troveranno circa quanto di sopra si è ordinato. E detti Delegati debbano immediatamente darla a Noi, non dubitando che dallo zelo sperimentato dei presenti governatori resterà a tutto ciò perfettamente adempito.


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E vogliamo che si pubblichi nei luoghi soliti di questa illustre e fedelissima città. Datum Neapoli in Regio Palati o che 29 mensis martii 1728. El Cardinal de Athann. Vidit. Ulloa Reg. D. Nicolaus Fragianni a Secretisi In bannorum 2 fol. 129 Mastellonus. De Sanctis. Prammatica ut sopra pubblicata a 29 maggio 1728».

25. L'ultima offesa, di e i Viceré spagnuoli o austriaci minacciarono ai Monti, fu il novello tentativo di mettere a Napoli un monopolio bancario, mediante certi esorbitanti privilegi da concedersi ad un nuovo Istituto, che dal nome dell'imperatore sarebbesi chiamato Banco S. Carlo.

A 12 gennaio 1726, scriveva S. M. "ha procurato ed attualmente procura per tutte le vie possibili all'accrescimento di un florido ed utile commercio tanto interno quanto esterno." Notisi che proprio allora, col decreto proibitivo d'estrarre moneta dal regno, aveva posto insormontabile impedimento agli scambi internazionali.

Li 2 d'ottobre del medesimo anno 1726, decretò di affidarsi la direzione ed il governo del nuovo istituto ad una giunta, con assoluta autorità e giurisdizione, indipendente da qualsiasi tribunale, la quale con giudizio quasi sommario risolver dovesse le controversie tra il banco ed i suoi clienti. Quindi il viceré de Haltham, a 18 marzo 1728, pubblicò il progetto di statuto; cominciando col manifestare che il nuovo banco S. Carlo teneva la dote di ducati centomila.

I privilegi non differivano da quelli goduti allora dal banco San Giorgio di Genova, cioè che i depositi, i mutui, le rendite, non si potessero sequestrare né confiscare e che nessuna imposta potesse colpire i depositi, per qualsivoglia causa o diritto fiscale. Era stabilito ad un tempo come banco di circolazione e di deposito, dando ed anche prendendo a mutuo, per gli affari che avrebbe stimato convenienti.

La dote consisteva in fiscali, cioè assegnazioni sul provento di varie imposte (dogana, seta, olio, sapone, ecc.) Per convertirla in capitale si vendettero li dritti d'esazione, come usavano a quell'epoca, ma fu difficile trovare compratori. Dopo molte pratiche vane, si volse il Viceré a quelli stessi banchi che intendeva distruggere col suo nuovo istituto, e gl'invito a comperare i fiscali di San Carlo. Ubbidirono i governatori della Pietà, e forse anche gli altri, ma di mala voglia e con tanta poca fiducia che non ardirono di toccare i depositi apodissari, cioè la moneta esistente in cassa. Essi diffalcarono dal patrimonio quant'occorreva per contentare S. E.

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Per la caduta del Governo Viceregnale, al quale successe, nel 1735, la Casa di Borbone, e per la riacquistata autonomia del reame di Napoli, si soppresse questo Banco di San Carlo, restituendo alla Pietà il capitale versato per fondarlo. (1)

Fra tanti biasimi, è dovuta al governo Viceregnale la lode d'aver quasi sempre rispettato l'indipendenza dei banchi, e di non avere tentato di pagare con carta moneta.

L'ingerenza presa dal Viceré fu semplicemente di mandare un Commissario Regio, Delegato Protettore, e di scegliere i Governatori, ovvero d'approvarne le nomine; cose dalle quali avrebbe fatto meglio ad astenersi. In quanto alla carta moneta, fra tanti rovinosi spedienti ai quali ricorse quel governo, non pensò mai di tenere in circolazione, per forza o per inganno, valuta bancaria vacua, che cioè non fosse corrispettivo di moneta in cassa o di credito certamente riscuotibile.

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26. Del Re Carlo III le sole leggi pubblicate, che riguardino i banchi, sono la prammatica del 30 ottobre 1752 contro l'usura e quella 10 agosto 1757 per le monete false.

Con la prima, rinnovandosi i decreti del precedente governo, che minacciavano severissime pene, si disse bastevoli per provare il delitto lo querelo di due persone che avessero patito usure;

(1) Conclusione 11 giugno 1739. Banco Pietà.... Essendosi proposta l'imbasciata della Regia Giunta, pervenuta ad essi signori Protettori per mezzo del magnifico notar Giuseppe Benucci, notaro della Regia Corte, con cui ha loro notificata la Real Volontà di comprare i fiscali del Banco di San Carlo, presentemente posseduti dal Sacro Monte; benignamente esibendo la Real Clemenza di S. M. (D. G.) o l'assegnamento a beneficio del detto Sacro Monte sopra i precipui di cassa militare, a ragione del quattro per cento, o la restituzione del capitale prezzo dei fiscali suddetti; hanno essi signori Protettori mostrato cieca ubbedienza agli ordini Sovrani, contentandosi di prendersi il capital prezzo che da loro fu sborsato per la compra dell'anzidetti fiscali, affin di estinguere alcuni di quei debiti che lo stesso Sacro Monte tiene con particolari, ai quali corrisponde il quattro per cento.

Conchinsione 31 agosto 1739. Raunati i signori Protettori, han conchiuso ed ordinato: che essendo stata fatta dalla Regia Corte la restituzione a questo Sacro Monte dei D. 60055,86, per la ricompra dei fiscali olim vendutigli dal Real Banco di San Carlo; e, non avendo occasione pronta di impiegare detta somma, si facciano le seguenti restituzioni agl'infrascritti Creditori di detto Sacro Monte.

(Segue l'elenco di 31 nomi, fra quali diciassette di enti morali, compreso il Monte de oficiali dei banchi per D. 300).

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ed ove mancassero i querelanti, ma la pubblica fama designasse qualche reo, si potesse la condanna fondare sulle dichiarazioni di due o tre testimoni. Conseguenza di questa legge era il fatto che si stipulavano pochissimi contratti di prestito a tempo determinato.

Per le monete false poi, d'oro e d'argento, ordinò Carlo III che si dovessero tagliare per metà, e serbarsi una parte dalla cassa, l'altra consegnarsi all'esibitore.

Ala, se scarseggiano i documenti stampati, abbondano quelli inediti e l'archivio del banco conserva molti volumi di reali dispacci di quell'epoca. Ce no sono parecchi curiosissimi. Per i banchetti a Corte fornivano f argenteria i monti dei pegni, con evidente infrazione alla regola di rispettare il deposito (D. Invano gli antichi Protettori del banco Pietà avevano comandato, fin dal 12 marzo 1583. Perché delli pegni che s'impegnano e conservano nella guardaroba di questo Sacro Monte non si deve né può servire persona alcuna, senz'offensione di coscienza; conforme alla matura deliberazione su ciò fatta per Noi, con consulta dei Reverendi Padri Teologi; essendo proibito di ragione l'uso dei pegni, tantopiù per essere istituita l'opera del sacro monte per evitar l'usure. Affinché nel detto prestare e servire de' pegni non si commetta usura, contro l'istituzione dell'opra, e anche per evitare ogni inconveniente che potrebbe nascere, portandosi i pegni chesi prestano fuori del luogo; si è conchiuso e ordinato che per l'avvenire, in modo nessuno, li pegni impegnati in questo sacromonte, tanto d'oro, d'argento, rame e panni di seta, lino elana, che di qualunque altra sorte, non si debbano prestare a persona alcuna, etsi fosse Protettore di questo sacro monte, e nemmeno cavarli fuor del luogo, per qualsivoglia causa. Al che obblighiamo l'illustrissimo Sebastiano Soprano, guardaroba del sacromonte, sotto pena di perdere la sua provvisione d'un mese per ogni volta che si contravenerà al predetto. - Il conte di Mileto - Giov. Francesco Severino - Giov. Francesco Gargano -Eliseo Ram.,,

(1) Avendo risoluto il Re di tenere in questo real palazzo qualche festino, ne prevengo di Real Ordine V. S. I. perché disponga che dai banchi del Popolo e della Pietà si consegnino, colle corrispondenti cautele, a D. Sebastiano Padronaggio, gli argenti ohe saranno a tal effetto ricercati. Palazzo 5 febbraio 1777. Il Marchese della Sambuca. Al signor D. Gennaro Pallante.

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Nella regola del Monte dei Poveri, 19 ottobre 1660, sta pure detto coll'articolo XIII. Li pegni, così del tesoro del Banco come del guardaroba del Monte, non si prestino per qualsivoglia causa a veruna persona, ancorché fosse ordinato l'imprestato da tutto il Governo e se ne contentasse il padrone dei pegni, e vi assistesse l'apprezzatoli. Sotto pena alli conservatori, così del Banco come del Monte, della perdita dei loro uffici; e d'ogni altro danno che risultasse per la contravvenzione".

Le provviste di grano per conto del Municipio di Napoli, che, secondo le storte opinioni economiche di quel tempo, eran credute valevoli ad impedire la carestia del pane, si ottenevano mediante anticipazioni dai banchi, sulle quali non correvano interessi, e che giunsero nel 1764 alla somma di Duc. 480,000. Anche quando si temeva mancanza di olio, i banchi erano invitati ad anticipare, senza interessi, il capitale occorrente perché fossero riforniti i magazzini del Comune.

Il capo del banco, Delegato Protettore, lo sceglieva il Re, ed era un magistrato che nominalmente teneva grande potere e facoltà, ma col fatto badava solo alle faccende contenziose. Fra' privilegi degl'istituti c'era quello di sfuggire alla giurisdizione dei tribunali, salvo il Sacro Regio Consiglio, ch'era una specie di cassazione, per modo da risolversi le vertenze civili, qualche volta pure le criminali, colle sentenze del Delegato Protettore, le quali erano quasi sempre non appellabili. Vari processi, esistenti nell'archivio patrimoniale, mostrano che stavano sotto la giurisdizione del Protettore così gl'impiegati come la clientela, senza esclusione di feudatari, d'enti morali, d'ecclesiastici e nemmeno di regi ministri. Mostrano pure ch'erano le sentenze valevoli non solo pei denari ed oggetti in potestà del Banco, ma eziandio per le persone e per la roba di quelli che avevano col banco contrattato. Si trovano ordinanze di sequestri e di liberazioni, mandati di comparizione e d'arresto, ed anche condanne alle galere. Avvenne qualche volta che per fatti dov'entravano due o più banchi si promulgarono decisioni contradittorie. Per esempio, nel vuoto di Monteforte e Calduccio, il Delegato della cassa Spirito Santo condannò il Banco S. Giacomo a pagargli D. 45000, circa, valore d'un riscontro presentatogli da Monteforte, considerando che quella polizza teneva le firme d'un cassiere e d'un fedista, e ch'era munita del bollo d'un banco.

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Il Delegato di S. Giacomo, invece, decise, da parte sua, che il debito fosse nullo. Mancando la registrazione sui libri d'introito, e non essendo entrati i denari nella cassa dell'istituto, egli dichiarò falsa la polizza.

La gestione economica del Banco e del Monte, nonché degli ospedali, delle confidenze e dell'opere pie annesse, spettava, quasi senza controllo, ai Governatori, che si nominavano, nel Monte dei poveri, con libera elezione e voto segreto, dai membri della fratellanza. L'altre confraternite perdettero questo dritto d'elezione, usurpato a poco a poco dal Viceré, poi dal Re, cosicché nel secolo XVIII i governatori di S. Giacomo, Pietà, Popolo, Salvatore, Spirito Santo e Sant'Eligio eran tutti nominati con dispaccio ministeriale. Però doveva scegliere S. M. sulla lista presentata da chi usciva di carica, per avere finito il biennio. Della deferenza, che naturalmente mostravano tutti questi signori per chi li aveva nominati, si traeva profitto facendoli concorrere con larghe sottoscrizioni dei banchi ai doni spontanei (ch'erano contribuzioni forzose) alle compre di arrendamenti (prestiti con emissione di rendita) ed eziandio alle elemosine, che S. M. credeva opportuno si facessero, ma non voleva far tornare a discapito della propria borsa.

Salvo la deficienza di coraggio civile, come pure salvo la pedanteria, l'odio alle novità e l'indole curialesca, difetti pei quali i governatori del secolo XVIII risultano molto inferiori a quelli dell'epoca Viceregnale, niente si trova da criticare nelle persone scelte. Ripetiamo d'esser convinti che all'onesta direzione dei Banchi di Napoli abbia precipuamente contribuito il singolare metodo di scelta del Governatore, col quale si designava da ciascuno il proprio successore. Per ragione d'amor proprio, ed anche perché la regola comandava, con vincolo di giuramento, di non includere fra candidati né parenti propri o d'altri governatori, né debitori dell'istituto, né persone colle quali s'avessero relazioni d'affari ed interessi comuni, ciascuno formava la sua lista colle persone più rispettabili, che gl'ispiravano maggiore fiducia. Così si spiega come fra le centinaia di governatori succedutisi nei tre secoli, nessuno fu convinto, nemmeno accusato, di malversazioni o di complicità con cassieri, fedisti, e razionali ladri. Eppure l'operazioni di collocamento facevansi tutte per loro comando.

La regola, scritta per qualche istituto. consuetudinaria per gli altri, che i Protettori e Governatori non si potessero mai servire per propria comodità dei denari della cassa, e che per nessun pretesto potessero divenire debitori del Banco, fu sempre osservata.

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A torto biasimava tal metodo la curia Romana, dalla quale, come riferisce il Card. De Luca (disc. 39 N. 1) Decreto etiam Sac. Con greg. est vetitum, in urbe Roma, successores gubernatores confraternitatum eligi ab antecessoribus, uti quid irrationale, ob speciem monopoli et communitatis supplantationem. Lungi dallo sperimentarlo irrationale, i nostri otto banchi antichi andavano meglio o peggio secondo che l'osservavano con maggioro o minore severità.

Irragionevole veramente era la proibizione dei riscontri, che l'ordinanze mantenevano, ed ove si fosse rispettata avrebbe fatto gran danno al commercio ed a chiunque, possedendo carte bancali, doveva necessariamente recarsi a quella cassa che le aveva poste in circolazione. Però colla Regia Corte si faceva eccezione; il Sovrano sperimentava comodo per sé quello che ai sudditi proibiva.

Fortunatamente, questa proibizione poco si rispettava, ed il Rocco, scrittore contemporaneo, ci dice che (1)....bilanciandosi il comodo grande e l'utile che il riscontro reca al commercio, coi danni che ha recato e può recare ai banchi, sempre si è preferito il comodo del commercio ai danni dei banchi". Savia massima, che posta quasi sempre in pratica, contribuì ad ispirare l'affetto pei Monti ed a farli ricchi. Oltre della testimonianza di Rocco, abbiamo quella più valevole dell'archivio, colla traccia di pagamento per riscontro su molte migliaia di bancali, colle fedi dì resta, e specialmente coi libri della riscontrata. Un Dispaccio Reale, del 4 novembre 1794, riconosce come non reputavano opportuna cosa di abolire un costume che, anche a fronte di più leggi che l'han vietato, si è stabilito e radicato, perché di sommo comodo alla facilità del commercio dei cittadini".

Qualche volta la contravvenzione alle prammatiche, più che tollerata, fu imposta da comandi del Re. Quando un banco vacillava per correria, gli altri ricevevano l'invito di tenersi nella cassa la sua valuta apodissaria, senza presentarla pel pagamento. Ne abbiamo riferito esempi di San Giacomo, Salvatore, Spirito Santo; ed è facile provare che nei secoli XVII e XVIII questo fu l'unico spediente al quale si ricorse per trarre d'angustia un banco; dandogli tempo, mantenendo il credito della carta dell'istituto, tale espediente era il mezzo più efficace di fargli ricuperare la riserva metallica.

(1) Vol. 1, pag. 77.

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Non si potrebbe, con argomenti migliori di quelli offerti dalla nostra storia economica, provare quanto sia giovevole la pluralità delle banche.

Pure quando mancava il comando regio, procurava qualche istituto, condotto con minor prudenza degli altri, di far assorbire dai rivali le sue polizze, destreggiandosi per ritardarne il pagamento. Li 4 giugno 1790, il Delegato di S. Giacomo, Palmieri, all'accusa fattagli d'incettare riscontri per sopraffare il Banco dello Spirito Santo, rispose ch'egli, al contrario aveva da molto tempoco i suoi cassieri inveito per l'eccessiva somma della quale il Banco di San Giacomo era creditore del Banco Spirito Santo; e per timore di qualche disgrazia non solo fu da me proibito,per alcuni giorni, di pigliarsi riscontri del Banco Spirito Santo, ma pressai quel Banco al pagamento; e quantunque, a gravi stenti abbia ricevuto non piccola somma di contanti, per cui feci di nuovo pigliare li suoi riscontri, pure in oggi il Banco di San Giacomo è di lui creditore di D. 105706,63".

Continua Palmieri con una lunga diatriba sui metodi amministrativi dell'altro banco, che accusa di speculazioni cambiarie per incettare l'argento Spagnuolo (pezzi duri) e di pagare un aggio di due per mille sulla moneta regnicola, pure d'argento. Cosa dannosissima agli altri banchi, particolarmente al suo di San Giacomo, dove quotidianamente scemava la riserva, per la ragione che il guadagno, da un concorrente pagato, faceva diminuire l'immissione di contanti e crescere l'estrazione. Infine si duole con grande energia del sistema di dare capitali a mutuo, pel quale il Banco Spirito Santo impiega, contro le proprie forze, quel denaro che non ha, e lo supplisce con carta che nega di pagare agli altri istituti".

Eccezionali però sono i documenti che provano mal'umore fra Banchi, mentre che l'intera loro storia mostra un ammirevole spirito di concordia, anzi di solidarietà. Non si reputavano rivali o concorrenti, ma fratelli, tenuti al soccorso scambievole, perché l'intento loro, ch'era la beneficenza ed il pubblico vantaggio, dava sufficiente campo all'attività ed al lavoro cl' ognuno.

Spesso uscivano nuove tariffe delle monete forestiere, che qualche volta si permetteva e qualche volta si proibiva ai banchi di accettare per le riscossioni, e di rimettere in circolazione coi pagamenti; quest'incertezza tornava d'immenso vantaggio a certi cassieri ed impiegati, che s'arricchivano speculando sull'aggio.

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Un dispaccio, 20 novembre 1746, si duole acerbamente del fatto che i zecchini romani entravano al prezzo di carlini 25 e ne uscivano al prezzo di carlini 26, pagandosi la differenza dall'amministrazione pubblica, alla quale occorrevano questi zecchini romani per i possedimenti in Toscana (Stato dei presidii, cioè Piombino, Orbetello ec.). Un altro dispaccio, 16 ottobre 1766, proibisce di pigliare in pegno i talleri imperiali.

Arrivò troppo tardi questa proibizione, che non valse per impedire le deficienze a tutt'i banchi, specialmente a quelli del Salvatore, Sant'Eligio e Popolo. Carlo III, fin dal 1752, aveva concesso l'appalto della zecca a Leonardo Perillo, e per facilitarne l'operazioni, aveva comandato ai Monti di trattare come pegno grazioso le monete forestiere e paste metalliche dell'appaltatore. Con piccolissimo capitale, Perillo fece coniare più di nove milioni di ducati in poco tempo, mediante dispacci ministeriali, pei quali passavano dai monti alla zecca i pegni di verghe e monete, senza ch'egli avesse restituite le somme anticipategli.

Tali dispacci non dicevano, con la debita chiarezza, che si dovesse impegnare gratis unicamente per fornire di materia coniabile la zecca, e Perillo ne trasse profitto per dare immenso sviluppo al proprio commercio di cambiavalute. Al 1764, epoca di carestia, nella quale si lavorava all'importazione di grano dal Levante, fece incetta di talleri austriaci, moneta corrente nei paesi barbareschi, che impegnò a D. 1,40 l'uno, mentre l'intrinseco valore non superava D. 1,31. Riuscì a cederne quarantamila al Municipio di Napoli, per D. 1,42; ma centomila che n'aveva fatti prendere dal Banco del Popolo e quelli accettati dagli altri sei Monti, che non erano pochi, minacciavano di restare eternamente come pegno senza interessi, per l'impossibilità di trovar compratori a D. 1,40 o più, e perché non conveniva di fonderli e convertirli alla zecca in moneta regnicola. Perillo ci avrebbe perduto quasi nove per cento.

Ministro di finanza e governatori di banchi s'accorsero finalmente dello sbaglio commesso, di computare i talleri più dell'intrinseco, ed intavolarono un clamoroso processo col partitario della zecca, nonché coi propri cassieri e razionali, che fece ricuperare piccola parte delle differenze passive (1).

(1) Trent'anni dopo, come appare da relazione del Banco del Popolo, quell'istituto teneva ancora talleri N. 15575 che ad onta delle condanne i proprietari non avevano ritirato, restituendo l'anticipazione, e che i vari Delegati non erano riusciti a vendere. Per bilanciare i conti s'era deliberato di compensare la perdita sui talleri col guadagno sulle monete d'oro di antichi depositi o pegni , che pure venderono, perché morti li proprietari, ovvero perché sordi all'invito di ripigliarli; ma l'operazione non era ancora finita nell'anno 1794.

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Ad onta di questa brutta esperienza, fino a quando s'usarono gli appalti della zecca, somministrarono i banchi la massima parte del capitale. Intatti comperavano i partitarì la moneta non circo labile perché di conio straniero, ovvero perché scadente; la mettevano in pegno, ricevendone quasi l'intera valuta, e poi ottenevano un ordine al banco che questo pegno fosse mandato alla zecca, come pasta metallica. In tal modo era l'istituto di credito quello che restava scoperto, fino a che la coniazione fosse finita. Quando poi la finanza si decise a tener per proprio conto la zecca, lini la simulazione del pegno. Ai banchi si mandava l'ordine di consegnare le monete calanti, forastiere, illegali, le verghe e le paste metalliche. Talvolta s'aggiungeva l'altro comando d'aprire casse nelle quali gratuitamente facevano i banchi il baratto dei tipi, cioè il ritiro delle monete destinate ad uscire dalla circolazione. Sempre dichiarano i dispacci ministeriali che si tratta di prestito temporaneo, ma però i conti correnti senza interesse, pel ramo zecca, non saldavano mai; ed una conclusione del 20 agosto 1796 riferisce che la rimanenza a debito del fisco era quel giorno di D. 649297,00.

Ferdinando IV, quand'ebbe il rapporto di Giovanni Fallante, sull'irregolare condotta del Banco Spirito Santo, preparò la riforma di tutti.

"Col motivo di avere esposto al Re, il Delegato della Casa e Banco dello Spirito Santo, gli abusi e disordini che si trovano nel banco introdotti su le gratificazioni, sussidi, aumenti di soldi e giubilazioni che si dispongono, e spese che s'impiegano in fabbriche ed altre opere. E credendo S. M. che ciò che accade in questo banco succeda pure in tutti gli altri, è venuta a delegare la Real Camera di Santa Chiara, affinché in unione di V. S. I. e degli altri delegati di banchi, si faccia un sinodal esame della primitiva istituzione! di ogni banco, dolio obbligazioni che abbia e dolio opere alle quali sia addetto: riflettendo a tutti gli abusi che da tonino in tempo si sono andati introducendo c si vanno continuando: con tener presente la franchezza con cui si dispongono gratificazioni ad ufficiali e subalterni: contribuzioni sotto titolo di fatiche straordinarie ed altri pretesti: sussidi nelle occasioni delle tre principali festività dell'anno; le giubilazioni che si danno senza esaminarsi le precise circostanze, per vedere se si abbiano da graduare: con tenere altresì in mira quel che arbitrariamente si dispone per fabbriche, o per altri usi. ed opere, che talvolta sono voluttuose e non profittevoli.

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Come ancora vedersi e stabilirsi quei soldi ed assegnamenti che siano regolari e compatibili con li rispettivi impieghi, acciò s'eviti ogni dubbio che si potessero commettere frodi; e con andar ciascheduno dei Delegati indicando quegl'inconvenienti che crede d'aver bisogno d'emenda e riparo: ad oggetto di frenare la pregiudizievole libertà, che sinora si è usata nelle accennate disposizioni. Ed indi essa Beai Camera formi un piano distinto del sistema che per l'avvenire abbia da tenersi in ogni banco, per lo di loro buon regolamento, con farne circostanziata relazione, p.u l'intelligenza di S. M. e sue ulteriori Reali risoluzioni. 28 ottobre 1771. Gio: Govzueta

La pretesa riforma, che probabilmente avrebbe accelerato di trentanni la rovina dei banchi, non si fece per inerzia della Camera di Santa Chiara. Salvo qualche rapporto? che esiste nei volumi manoscritti di conclusioni e dispacci, e salvo poche informazioni sul patrimonio e gli affari di qualche Monte, nulla e' è in archivio che riguardi la compilazione del piano. Da vero leguleo, Pallante, aveva scritta una lunga diatriba contro degl'impiegati subalterni, e fatta una requisitoria per le spese di poco conto, senza accennare all'essenziale difetto, che non poteva sfuggire ad uomo tanto sagace. Il servizio del fisco, pei banchi Spirito Santo e San Giacomo. la cassa del Comune, pel Banco del Popolo, e l'arrendamento della farina, pel Banco Salvatore, facevano di tanto in tanto vacillare quei quattro istituti, e li rendevano molto inferiori ai rimanenti tre. Una ricchezza apparente, dovuta al giro più rapido della carta, era pagata con molte infrazioni alle regole e con ingerenza meno discreta del Ministro.

27. Quel medesimo avvocato Antonio Rossi che risuscitò la denunzia di Scandinari, ed ebbe la meritata lezione dalla Regia Camera, col parerò già riferito del 178((pag. 233) aveva precedentemente tentata una maniera più efficace di distruggere i banchi napoletani. Sperando (dio il Re n'avrebbe a lui data qualche porzione, suggerì a Ferdinando IV di pigliarsi tutta la roba dei sette istituti. Egli stampò tre diversi opuscoli. Espellente interessante le sapreme regalie del Re delle Due Sicilie.-Il diritto del Ile delle Due Sicilie sopra i banchi di Napoli, 10 marzo 17 70. - Confutazione delle, varie allegazioni pubblicate in difesa dei banchi, 1781.

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Fra un individuo che si voleva far credere mandato da Dio, pel vantaggio del Re e del popolo. Non si peritò di scrivere nella seconda memoria, pag. G e 7. Aveva la Divina Provvidenza, dopo un lungo intervallo, designato di manifestare al Re Ferdinando,a lei tanto caro, il mezzo conforme alla ragione e allo leggi da provvedere al vantaggio dello Stato, al bisogno dei sudditi e alla gloria del suo nome. La stessa Provvidenza a me sciolse la lingua ed animò la penna, nel dichiarare il denaro vacante e demortuo, ritenuto dai banchi, come senza padrone, e i fondi stessi come oltre alle doti accresciuti nei banchi, avere il Re padrone e riconoscere il Re Signore e legittimo amministratore, qual sovrano e creditore insieme,,.

Tutt'i ragionamenti consistevano nell'asserire che l'avanzo della rendita sulla spesa, pel quale s'erano formati i patrimoni, fosse spettanza fiscale: e che S. M. avesse dritto di prendere il denaro demortuo, cioè le somme che si reputavano abbandonate per la morte del proprietario, ovvero per la perdita del titolo creditorio.

11 giureconsulto Antonio Maria Crisafulli, ch'era in quel tempo Protettore del banco dei poveri, con lunga memoria stampata, mise bene in chiaro quanto fossero assurde le denunzie del fiscale. Egli dimostrò che i banchi non li aveva fondati il governo; che il loro patrimonio consisteva nella roba donata, quando si fondarono, da filantropi cittadini, accresciuta poi con gli utili delle speculazioni latte; speculazioni assolutamente legittime, perché i banchi non avevano la qualità di depositarli sibbene di debitori del denaro; essi acquistavano il dominio e potevano far uso della moneta, che si consegnava loro per controcambiarla con crediti apodissarii, avendo solamente obbligo di restituirne il valore ad ogni semplice richiesta.

Ma un'altra difesa, molto più notevole, fu collegialmente concordata fra Delegati di tutt'i Monti, meno San Giacomo, ed esiste manoscritta nei volumi di dispacci del Banco del Popolo (24 dicembre 1780). Per l'eccessiva lunghezza, non si può trascrivere questo documento, che contiene molte notizie storiche, giuridiche, amministrative. di cui già ci siamo serviti, ed è la monografia più autorevole, meglio scritta, sull'indole e l'operazioni dei banchi di Napoli. nel secolo XVIII.

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Notarono i compilatori il dritto sovrano non essere sostenuto né da fatto né da legge, e perciò, come un prodotto di malignità e l'ignoranza, diretto alla distruzione e dismessione dei banchi, non meritare né approvazione, né ascolto. Ricordarono pure che quando a Carlo III, nel 1735. s'era fatta eguale proposta, costui avesse ordinato di rispondere stimare pernicioso sostenere diritti così vagamente e generalmente espressi contro di essi; pel dubbio che la gente, la quale vi tiene i suoi denari, in vedere simigliante pretensione eccitarsi dal regio fisco, vada subito a ritirarseli; e possa quindi avvenire la mancanza di alcuni di essi banchi, la quale tragga poi seco la mancanza degli altri, e cento e mille conseguenze, pregiudizievoli al pubblico commercio ed al sera vizio del re...

Portata la contesa al supremo tribunale finanziario, Camera di Santa Chiara, se ne ottenne un giudizio, di cui trascriviamo la parte dispositiva, il quale prova che con frutto insegnavano economia a quell'epoca Genovesi. Filangieri, e Galiani.

"Per tutte le recate considerazioni, che sono conformi al buon sistema, al buon ordine ed alla pubblica economia, e vengono sostenute dalle leggi con le quali si son governati e si governa no i banchi, i quali in tal guisa hanno conservato e conservano la pubblica fede; per la sicurezza dei pegni e dei depositi, già convertiti nella natura di un contratto di debito e credito: per il pubblico bene della Nazione, passa la B. Camera a rassegnare alla M. V. il suo ossequioso sentimento, qual'è quello di non doversi dar ascolto alla denunzia fatta dall'avvocato Bossi, per essere contraria al legittimo sistema dei banchi, per essere opposta allo leggi con le quali questi si governano: e per poter esser produttiva di disordini, in una materia, la più gelosa e delicata, qual'è quella dei banchi; il cui fallimento può cagionare la rovina della Nazione. e questo può sorgere come talvolta accaduto. Da un'ombra di sospetto e di mal concepito timore, che sovverta il fondamento della pubblica fede".

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28. Dopo tale sentenza, non si parlò altrimenti di ragioni del fisco, ed i banchi ebbero pochi altri anni di prospera, vita. L'indirizzo amministrativo fu. nel secolo XVIII, meno coraggioso, mono sagace ed anche meno giovevole che nel XVI; essendosi rinunziato ai contratti di vitalizio, dei quali l'ultimo pare che abbia la data del 1651; ai mutui passivi, che cessarono verso il 1620, salvo poche costituzioni di rendita in favore di monasteri ed enti morali, che si fecero per ragioni di deferenza; agli arbitraggi sui fondi pubblici (compro e ricompre): alle gestioni di nuove confidenze; ed a varie altre utilissime speculazioni, ch'aveva fatto inventare la voglia di procacciare un guadagno da spenderò per la sussistenza dei poveri. Gli stessi due servizi conservati, apodissario cioè e pognorazione, erano deteriorati, divenendo pedanteschi ed insufficienti per molti usi ai quali avevano prima bastato.

Ci restava nondimeno Lauto di buono da rendere quei sistemi meritevoli della più grande ammirazione.

Per l'epoca 31 dicembre 1788. c'è in archivio (1) un conto generale dell'attivo e passivo dei setto istituti, che compendiamo con questo prospetto (2).

(1) Scritture patrimoniali del Banco Salvatore.

(2) Varie cifre differiscono da quelle stampate a pag. CCXLVI dell'altro lavoro sulla storia e regole del Banco. Il prospetto fu allora compilato sulla fede del Galanti e del Petroni, non avendo ancora scoperta la copia del conto fatto pel ministro, che ha servito questa volta. Pare che a Galanti si fossero date informazioni non complete, per le quali niente potette dire sulle riserve metalliche, collocamenti fruttiferi e confidenze.

Con gelosia grandissima tenevano allora segreti li bilanci dei banchi; ed è possibile che negli stessi governatori fosse nato qualche dubbio sulla perfetta correttezza dei loro metodi amministrativi. Considerando come deposito, non come mutuo, i denari del pubblico, si peritavano di manifestare d'averli collocati e di ricavarne rendita.

BILANCI

DEL

1768

PIETÀ POVERI POPOLO

Creditori apodissari, cioè circolazione e conti correnti debitori …...............................D.

2,28 1,148,77

1,857,080,01

2,949,090,1

Riserva di numerario metallico 1,408,070,28 855,232,98 1,495,507,1

Somma collocata nei mutui

con pegni ad interesse..............»

451,170,00 412,841,00 400,018,1

Somma collocata nei prestiti ipotecari e chirografari, con o

senza ordine regio....................»

140,415,08

82,108,37

217,125,3

Beni patrimoniali mobili ed immobili...................................»

212,308,80

957,071,30

514,000,2

Diversi......................................» 23,519,05 49,778,01 322,438,1

2,281,148,77 1,857,080,01 2,949,090,1

Pegni senza interessi................» 570,250,05 108,500,00 -

Conti aperti di debito fra diversi banchi per riscontri.................»

-

57,077,05

Proventi e rendite annuali dei banchi, compreso l'inter. dei pegni ........................................»

124,141,08

93,558,07

03,053,0

Rendite d'alcune confidenze annesse ai banchi......................»

4,274,05

5,337,01

Totale D. 128,415,73 98,895,08 63,053,0

Stipendi, onorari e pensioni D. 50,880,44 80,494,27 20,041,1

Spese amministrative..............» 17,218.00 14,158,11 13,014,9

Opere di carità.........................» 51,331,09 24,874,10 10,035,8

Supero che andava in aumento del patrimonio.........................»

8,980,20

23,374,14

12,701,00

Totale D. 128,415,78 98,895,08 03,053,01

SPIRITO SANTO SANT'ELIGIO SAN

GIACOMOSALVATORE TOTALE

1,832,773,04 8,048,134,55 5,358,087,08 8,149,880, 21,121,195,78,

1,820,550,04 1,989,019,12 1,718,507,41 2,142,921,29 12,425,820,20

1 599,784. 444,981 578,543,89 410,475, 3,298,857,89

221,177,08 840,940,84 203,8,41,81 170,579,00 1,887,748,88 1

000,319,57 84,980,85 224,781,89 42,411,70 222,944,42 940,000,- 410,814,16 9,089,89 8,141,500,90 1,172,778,40

2,832,778,04 8,048,184,55 5,353,087,03 8,149,880, 21,421,195,78

-

- - -

978,750,05

114,572,10 40,228,49 - 199,503,58

411,430,22

04,909,20 59,921,21 07,581,98 51,328,73 524,444,53

24,372,49 19,117,34 -

-

58,101,49

89,281,09 79,088,55 07,531,98 51,828,78 577,540,02

40,300,21

123,42 80,421,00

27,950,28 12,904,83

8,888,89

28,402,80

9,934,12

4,140

20,147,70 5,377,00

9,295,92

280,889,28 89,925,49

108,982,51,

1,830,40 4,293,15 24,995,00 10,508,05 92,748,74

89,281,09 79,088,55 07,531,98 51,828,73 577,540,02


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Le condizioni economiche dei nostri sette banchi e monti di pietà erano dunque: ima circolazione di ducati 2 1,42 1, 195,78 ed una riserva metallica di D. 12,425.820,20, cioè 08 per cento circa (D. Gli altri D. 8,908,375.58 si tenevano in collocamenti fruttiferi e davano l'interesse di D. 524444,38, vale a dire 5,30 per cento circa, che non solo era soverchio per gli stipendi e spese, ma permetteva di consacrare non mono di annui D. 168982,51 (L. 696925,67) alla beneficenza, ed altri D. 92748,74 all'aumento del capitale patrimoniale. I pegni senza interesse, pei quali stavano pronti ducati 678750.05, non li computavano nell'attivo, considerandoli come confidenza separata.

La maggior parte dei mutui rappresentava contributo per opere di beneficenze, ovvero di pubblico vantaggio, ed era fatta con discretissima ragione d interesse; qualche volta gratuitamente. Gli ospedali, conservatorii e luoghi pii di Napoli aveano quasi tutti il conto corrente a debito.

Si spendevano; per salari agl'impiegati attivi e ritirati, e ad altre persone che nei banchi prestavano la loro opera, nonché per pensioni alle famiglie di quelli ch'erano morti Duc. 230,889,28. Le gratificazioni, compreso quella straordinaria d un mese di stipendio in occasione del parto della regina (2),

(1) La proporzione fra la riserva metallica e la circolazione risulta:

pel Banco Pietà di 63 per 100 circa

« « Poveri « 19 « « «

« « Popolo « 54 « « «

« « Spirito Santo « 47 « « «

« « Sant'Eligio « 65 « « «

« « San Giacomo « 70 « « «

« « Salvatore « 69 « « «

Media generale « 58 « « «

Le regole amministrative degli antichi banchi e particolarmente del Monte dei Poveri , che caricavano in madrefedi, vale a dire si rendevano debitori di loro medesimi , esagerano la circolazione e fanno comparire meno favorevoli di quanto effettivamente fossero le proporzioni fra la riserva metallica e la carta emessa. Cullo stesso metodo come portavano i conti correnti della clientela, accreditando per le somme versate in moneta o valuta apodissaria ed addebitando per gli cheques, chiamati polizze ovvero mandati , tenevano i banchi scrittura di tutte le loro faccende pecuniarie. Essi a ciascun diverso ramo d'affari consacravano una particolare madrefede, con la quale pareggiavano la propria condizione a quella d'ogni altro creditore, figurando perciò come debito li capitali di loro pertinenza.

(2) Banco Pietà -Conclusione 6 Maggio 1792 - A moti'-o che sua Divina Maestà si è compiaciuta d'aver fatto felicemente dare alla luce dalla Maestà della nostra Sovrana un altro Re al Principe (Oh !), che ha apportato somma consolazione a questa intiera popolazione, per essersi cosi maggiormente assodate le speranze di tutta questa città e regno; li signori Delegato e Protettori, volendo dimostrare il loro particolare giubilo che ne hanno provato, hanno stabilito di darsi agli ufficiali ed a tutti gli altri individui di questo Sacro Monte e Banco della Pietà , inclusi anche il Rettore, confessori e chierici di nostra Chiesa, una provvisione straordinaria, anche a tenore del solito praticatosi in simili fauste occasioni, e parimenti a tenore del praticatosi dagli altri banchi di questa capitale.

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i compensi agl'impiegati adoperati alle verifiche di cassa, di scrittura, e guardaroba; le spese di scrittoio, giudiziarie, pei le manutenzioni degl'immobili ed altre, costavano in tutto Duc. 89,925,49. Finalmente le opere di carità: che consistevano in sussidii all'Albergo dei poveri. (1) all'ospizio di S. Gennaro, ai conservatori dello Spirito Santo e Sant'Eligio scarcerazioni di debitori (2) e mantenimento di ospedali delle prigioni; elemosine ed assegnamenti mensili alla gente bisognosa; largizioni in occasione di feste etc., producevano la spesa di altri ducati 163,982,51. Restava un utile netto di Duc. 92,748,74, ch'era tenuto in serbo o per futuri bisogni, o per darsi a prestito, o per investirsi in compre di benifondi e fabbriche, facendo sempre in modo che il capitale patrimoniale aumentasse. Grandi chiese e palazzi furono costruiti o rifatti nel secolo X VIII, con denaro dei sette banchi, e quello della Pietà spese non meno di 13. 87819,49 per sola illazione delle sale danneggiate dall'incendio 1786 (3). Con maggiore larghezza spendevano pel pubblico. Il cimitero di S. M. del pianto, la passeggiata della villa, l'albergo dei poveri, molte strade, i tentativi di prosciugamento della piana di Fondi e del lago Fucino, la cassa sacra per le bonificazioni dei pantani di Calabria; insomma quasi tutte l'opere di pubblico beneficio, promosse dai ministri Tanucci e Palmieri, similmente si fecero, per la massima parte, con denaro dei sette Monti. Infinite persone ne traevano decorosa sussistenza, onde nel cuore dei napoletani ingenerossi quel rispetto di che tuttora restano tracce. pel quale gli amministratori scrivevano al Re, nel 1780 anche il popolo insano, quando per capriccio e sconsigliato furore ha traviato dal sentiero dei suoi doveri, non ha giammai avuto l'ardimento di attentare su dei banchi, questi rispettando più delle leggi stesse e della suprema autorità." Infatti, nei tanti tumulti e rivoluzioni, che ricorda la storia nostra, negli ultimi quattro secoli, non ci furono mai violenze popolari ai banchi, salvo un solo tentativo al 1647, contro al Monte de' Poveri, che fu tanto poco importante da bastare l'energia e coraggio degl'impiegati per vincerlo. Gli studiosi di patrie memorie li vanno ancora memorando, come modelli di savia e filantropica amministrazione, che l'età nostra non sa nemmeno imitare, nulla avendo tatto che possa pareggiare i vecchi monti di pietà.

(1) D. 2400 all'anno pel dispaccio 27 Maggio 1774 ed altri D. 11100,47 all'anno pel dispaccio 10 febbraio 1781. L'albergo manteneva allora ottocento accattoni. Oltre di queste contribuzioni ordinarie, molte cospicue somme furono date, nel secolo XVIII, all'albergo, per le spese di fabbrica, ed in occasione di contagio, di carestia, di guerra.

(2) Provano i conti ch'erano numerose; ed i delegati dei Banchi ottenevauo quasi sempre, dai creditori, riduzioni molto notevoli sull'ammontare del debito.

(3) Conclusione 21 Settembre 1795 pag. 100.

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Un sol difetto avevano queste istituzioni, ed era quello di concentrare l'opera loro nella sola città di Napoli; ma furono i provinciali che non seppero o non potettero far allignare le operazioni apodissarie nei monti di pietà e nei monti frumentarii che avevano. Gli statuti poi dei banchi di Napoli non permettevano la fondazione di casse succursali; solo nel 1780 si pensò di fare qualche cosa. Ci erano nel regno non meno di cinquecento monti frumentarii, intesi cioè a fornire i coloni poveri di grano per la semina; ma giacevano in così tristi condizioni che a nulla servivano, conservando soltanto il nome di benefici istituti, tanto erano scaduti di eredito e male amministrati. Con le leggi relative agli spogli delle 12 e 28 luglio 1778, volle il ministero provvedere di quelli di Capitanata, costituendo un generale monte frumentario d'una dote di ducati 120,000, metà della quale si doveva somministrare dai banchi di Napoli, con prelevazioni sul capitale collocato nei pegni: e l'altra metà dalle rendite delle chiese e benefizi vacanti, o di libera collazione, o di regio patronato. I mutui far si doveano di grano per le semine e qualche volta in denaro, sopra pegno d'oggetti d'oro e d'argento, alla ragione del 3 0|0. Agli agricoltori non si potevano anticipare più di ducati 18 a versura.

Le successive turbolenze politiche non permisero che l'eccellente progetto fosse eseguito.

Paragonando, sul prospetto, le condizioni dei sette banchi, si ricava un insegnamento bellissimo. I due, retti con modi più filantropici e che facevano prestito senza interesse sui piccoli pegni (Pietà e Poveri), vincevano di gran lunga gli altri cinque, col patrimonio più cospicuo, col debito apodissario più discreto e coll'elemosine più larghe. Abbiamo infatti:

Pietà e poveri Altri cinque

banchiProporzioni

Rendita 227311,41 350234,61 2 a 3 non 2 a 5

Circolazione 4088230,38 17332965,4 1 a 4 " "

Beneficenza (non com-presi li pegni gratuiti)

76205,25

87777,26

7 a 8 " "

Pegni gratuiti. 678756,65

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Se poi si bada alla differenza di regole, di scopo, di lavoro economico; nonché alla storia, che dice come non puntarono mai li pagamenti per propria colpa questi due banchi filantropici, e non subirono mai correrie o crisi per scredito della lor carta, sorgono nuovi argomenti per difendere la libertà degl'istituti, l'astensione, dagli affari col fisco o coi municipi, e soprattutto la beneficenza. Molto decine di migliaia costavano annualmente ai Poveri ed alla Pietà li pegni gratuiti, pel lucro cessante dell'interesso perduto, e pel danno emergente delle speso di locali, di persone ecc. Afa questa opera procacciò loro la benevolenza di tutti; essa produsse sul principio donazioni e testamenti; in seguito dette tanti affina, tanto credito. tanta ricchezza, che si potette distribuire d elemosine almeno il centuplo di quanto i benefattori avevano dato. Le scritture contabili dei nostri rugginosi Monti, provano, a chi le sappia interpetrare, che non giova regolarsi coi gretti criterii del tornaconto, e che la religione, la filantropia, 1 onestà, finiscono coll'arricchire un istituto meglio delle più sagaci combinazioni finanziarie.














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