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EUGENIO TORTORA

NUOVI DOCUMENTI PER LA STORIA

DEL

BANCO DI NAPOLI

NAPOLI

A. BELLISARIO E C. - R. TIPOGRAFIA DE ANGELIS

Portamedina alla Pignasecca, 44

1890

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CAPITOLO III.

APPROPRIAZIONI FISCALI E LIQUIDAZIONI FORZOSE. TENTATIVI FATTI PER RICOSTITUIRE I BANCHI AI TEMPI

DI FERDINANDO I E DI GIOACCHINO MURAT

1794 al 1815

1. Ultimi atti amministrativi del marchese Palmieri-2. Apparecchi di guerra e spese relative.- 3. Prime Frodi nei banchi. Vuoti Todisco e Guarino -4. Giunta dei banchi e decreto di fusione 29 settembre 1794 - 5. Scredito delle carte bancali e sospensioni di pagamenti-. impedienti per Paggio; confisca degli oggetti d'oro e di argento - 7. Altre appropriazioni indebite - 8. Atti della Repubblica Partenopea - 0. Ritorno dei Borboni. Crediti sequestrati nei banchi - 10. Proposta Zurlo; sua lettera ad Acton - 11. Discussione alla Giunta di Governo. Parere del Marchese Simonetti- 12. Editto 8 maggio 1800 - 13. Esecuzione di tale editto - 11. Giunta dell'aggio. Annullamento dei crediti contro del Governo o dei banchi - 15. Tristi condizioni degli istituti di credito- 10. Nuovo ordinamento dei banchi e nuove frodi. Destituzione di Zurlo - 17. Editto 18 agosto 1803 - 18. La Deputazione degli apodissarii - 19. Le polizze di rame - 20. Povertà dei Banchi all'epoca della Deputazione. I provvedimenti di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat - 21. Legge 11 giugno 1803- 22. Decreto 20 maggio 1808-23. Legge 0 dicembre 1808 - 24. Il Banco Nazionale delle due Sicilie-25. Proposta d'introdurre i biglietti al latore - 20. La Reggenza del Banco delle due Sicilie-27. Soppressione del Banco Nazionale. Decreti 22 marzo e 21 agosto 1800 - 28. Decreto 20 novembre 1800 - 29. Esecuzione di esso - 30. Pretensioni del Fisco ed imbarazzi del Banco per la tentata spedizione di Sicilia -31. Decreto 18 novembre 1810 - 30. Decreti 11 febbraio 113 e 14 febbraio 1814 - 33. Crisi economica del 113 - 34. Ultimi Decreti di Gioacchino.

1. Ferdinando Corradini succedette nel posto di ministro della finanza al marchese Palmieri. benemerito uomo, che si era mostrato grande amico dei banchi, od aveva dato prova di quanto valesse, con ottimi libri e con eccellenti riforme dell'amministrazione civile o economica. Fra queste, riforme l'ultima e forse più importante fu l'abolizione dei (fritti di patto, cioè delle dogane che molti fondata vii tenevano, per proprio conto, alle porte delle città ed al passaggio dei fiumi, dl' inconvenienti, dell'attuale dazio di consumo erano ben conosciuti dai nostri maggiori, che ne soffrivano forse più di noi, pel modo bestiale come si riscuoteva questo preteso dritto. È rimasta nel nostro dialetto la frase, stare al passo, per definire l'attitudine di un malfattore in agguato.

L'amministrazione pubblica avrebbe avuta tutta la ragione di sopprimere un avanzo di barbarie, senza dar nulla a chi ne traeva profitto; ma Palmieri si contentò di comperarlo, e pagò un giusto compenso, per la rendita che perdevano, ai baroni possessori di autentica e formale concessione sovrana.

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In memoria del tatto si coniò la medaglia, che al diritto mostra le immagini di Ferdinando TV e di Maria Carolina: al rovescio la catena rotta fra due colonne, una delle quali è spezzata, con l'epigrafe Fortoris redemptis e con la data 1792.

*

**

2. Cambiati i ministri, mutò politica la corte napoletana. Le notizie della, rivoluzione di Francia facevano rabbia o paura per la parentela che ligava le due famiglie Borboniche, specialmente le due regine ch'erano sorelle, e per le minacce delle assemblee e della stampa di Parigi a tutt'i sovrani. Ferdinando TV firmò patti, d'alleanza con l'Austria, con l'Inghilterra, con chiunque prometteva di soccorrere o vendicare Luigi XVI, e comandò grandissime spese per apparecchi guerreschi. Mancava il danaro e non bastando le nuove imposte, i mutui, l'altre alterazioni di monete, la confisca degli oggetti d'oro e d'argento che possedevano il clero ed i cittadini, prese enormi somme dai banchi, si giovò del credito che questi godevano per pagare con carta, e rubare ai napoletani molti milioni.

Cominciò il re, e per esso i ministri. Acton, Corradini, Simo netti. col gravare i bilanci passivi dei banchi di stipendii e pensioni ad individui che avevan reso servigi allo stato, massime polizieschi: poi comandò ai delegati e governatori che approvassero concessioni di mutui agli appaltatori delle imposte, per metterli in grado di pagare, con anticipazione alla finanza la rendita degli anni successivi; quindi confiscò il denaro condizionato e vincolato, vale a dire li depositi più comodi per gl'istituti, quelli che avevano meglio servito pei loro collocamenti di capitali, od avevano con maggior efficacia contribuito alla costituzione del patrimonio, per cumulo di profitti (1).

(1) «Convenendo al bene dello Stato, ed agl'interessi dei particolari, ohe non rimanga inutile, senza circolazione, la considerevole quantità di denaro, che inceppato da vincoli e condizioni che si debbono verificare e adempire, o di cui se ne contende la pertinenza, ritrovasi sequestrato e in deposito presso i magistrati, per cautela delle parti, e anche del Regio Fisco; e volendo la Maestà del Re nostro Signore, in seguito della consulta fattagli dalla conferenza di Stato tenuta nel dì 17 del corrente, concorrere a che gl'interessati ne riportino qualche vantaggio: ha risoluto che tutte le diverse somme, presso qualunque magistrato, si restringono in potere dei caporuota Marchese Porcinari e D. Gregorio Bisogni e dell'Avvocato Fiscale Cianciulli, perché ne siano, fino a nuova sua Real disposizione, esclusivamente depositari; dando loro perciò la facoltà di richiamarlo

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Ma non bastando ad Le spese militari li mentovati cespiti, la. Corte, non ebbe scrupolo di comandare che buona porzione del denaro, messo dal pubblico nelle casse, fosse prestato al tesoro ed al municipio. Le carestie degli anni 1792 e 179)5, che afflissero tutta l'Europa, contribuirono, com'è noto, ai disastri della rivoluzione francese. Furono anche pretesto d'addentare i depositi bancari nei nostri monti, perché volle Ferdinando che le somme necessarie all'incetta del grano e dell'olio uscissero dalle loro casse. E vero che prometteva pronto, prontissimo rimborso, ed i dispacci del ministro dicono:

.... Il Re ora m'impone di dire a V. S. I. che non mancherà di restituire ai banchi medesimi le somme che rispetti va mente hanno dato, per lo indicato bisogno, subito che le attuali circostanze lo permetteranno (dispaccio 4 febbraio 1793). Ma poco ricevettero gl'istituti, quantunque gagliardamente insistessero e vari pubblici istrumenti fossero stipulati. Il contratto 10 dicembre 1796, per Notar Vincenzo Portauova, manifesta chela Maestà Sua, per accorrere ai bisogni di questo Regno, per la scarsezza dei grani degli anni 1792 e 1793 e per altre operazioni di pubi dico vantaggio, fece nel suo Real nome somministrare dai banchi di questa capitale, senza veruno interesse, alle infradescribende persone le infrascritte somme, cioè, ecc.".

Il Ministro Corradini, come minutamente riferisce il notaio, che cita o trascrive tutt'i dispacci, s'aveva fatto consegnare di effettiva moneta:

dalle mani di chiunque, per impiegarle il beneficio dello Stato, restando per cautela delle medesime gli effetti tutti del Real Patrimonio e specialmente il fondo delle partite ricomprate. Promette la Maestà Sua, dal momento che tutte le somme saranno riunite presso i suddetti Caporuota e Avvocato fiscale, debba correre a beneficio degl'interessati ed a disposizione dei magistrati a quali compete, l'interesse del due per cento; colla legge espressa che subito che tali depositi saranno sciolti dai vincoli e liberati, per sentenza di giudice, alle parti, saranno a queste restituiti una cogl'interessi decorsi, meno che non vogliano spontaneamente continuare a tenere le rispettive somme impiegate colla Real Corte. E occorrendo, nella esecuzione, qualche dubbio per la sicurezza maggiore delle parti, ch'esigga Sovrana provvidenza, specialmente per evitare le lungherie della stipula formale di tanti contratti, o per qualunque altro punto, lo debbano essi unitamente riferire per risaperne il Sovrano Oracolo.»

«Lo partecipa di Suo Real Ordine a V. S. I. il supremo Consiglio delle Finanze, acciò, come Delegato del Banco del SS. Salvatore, ne disponga per la sua parte l'adempimento. Palazzo 2-5 Novembre 1702. Gius. Palmieri. - Al Sig. D. Michele de Iorio.»

Ipocritamente, il dispaccio non parla di banchi; ma in quell'epoca i depositi condizionati e vincolati stavano quasi tutti nelle loro casse ed erano rappresentati da fedi o madrefedi, sulle quali era bene indicata la natura ed i patti dell'impedimento. Spettava ai Pandettari di badare all'osservanza di questi patti, ed autorizzare la liberazione del denaro nel solo caso che si fossero eseguite tutte le formalità necessarie.

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Dal

Banco Poveri 15 luglio 1793 D. 40,000

,, ,, Popolo 13 Aprile ,, ,, 30,000

,, ,, Spirito Santo 23 ,, ,, ,, 30.000

,, 1 3 Luglio ,, ,, 30,000

,, 6 Settembre ,, ,, 20,000

,, 18 ,, ,, ,, 4000

,, ,, Sant'Eligio 13 Aprile ,, ,, 30.000

,, ,, Salvatore 24 ,, ,, ,, 30.000

,, 6 Settembre ,, ,, 20,000

,, ,, Pietà 17 Luglio ,, ,, 40,000

,, 6 Settembre ,, ,, 20,000

,, ,, S. Giacomo 4 Maggio ,, ,, 30.000

,, 23 Giugno ,, ,, 30,000

D. 354,000,00

Aveva tatto dare al Barone Barnaba Abenante. negli stessi anni 1792 e 1793

Dal Banco

Poveri in sei rate D. 222,000

,, ,, Popolo ,, ,, 182,000

,, ,, Spirito Santo in sette rate ,, 220,000

,, ,, Sant'Eligio in sei rate ,, 182,000

,, ,, Salvatore in sette rate ,, 220,580

,, ,, Pietà in sei rate ,, 205,000

,, ,, San Giacomo ,, ,, 220,000

D.

1451,580

Ma, nel corso degli anni 1793 a 1796, il Barone Abenante aveva restituiti D. 1,175,000. onde, pei sette banchi, restava il credito contro la Finanza di

"

276,580,00

D. Gaetano de Sinno e D. Saverio di Costanzo avevano ricevuto altri

" 174,443,55

Cosicché (dice il contratto) delle indicate somme dai detti banchi somministrate allo descritte persone, in nome della Maestà Sua e per esecuzione dei Reali dispacci , rimangono i suddetti banchi, lino al presente giorno (lo dicembre 1796) a conseguire la residual somma di............

D. 805,023.55

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Non comprese le somme riscosse dal Principe di Tarsia, per l'esercizio delle filande regie di San Leucio, che erano garentite dai proventi del lotto; ed esclusi pure li D. 393.372.84, dati a mutuo coll'interesse a varie persone, per esecuzione di Reali dispacci, colla promessa della garenzia della Regia Corte.

La Finanza cedette ai Banchi un credito di D. 80030, contro del Barone Gennaro Rossi, per residuai prezzo del feudo di Oria; altro credito di D. 325842,45 contro del Principe di Crasso, per residuai prezzo dei feudi di Carovigno e Serranova; altro credito di D. 32620 contro del Principe del Colle, per residuai prezzo del feudo di Decorata; e finalmente un credito di D. 3(36531,10, contro del Barone Giulio Cesare Donnaperna, pel residuai prezzo del feudo di Scanzano. Tali cespiti erano fruttiferi d'interesse; ma, nei pochi anni che furono posseduti dai banchi, non produssero altro che liti, fastidi e spese di giudizi.

Altri contratti d'allora, e specialmente quello pei trecentomila ducati che dette il Monte della Pietà, nel 1793, alla deputazione o colonna olearia, provano come i governatori consentissero non solo per conseguenza di ordini o promesse del Re, ma anche perché lusingati dalla speranza di procacciare, col mutuo stesso, un movimento di moneta metallica valevole per nascondere la deficienza di cassa. Era stipulato che gl'introiti ed esiti, in argento e rame, derivanti dal commercio delle più necessarie derrate sarebbero monopolizzati dall'officine dei Monti.

Il Comune pel grano, la Deputazione per l'olio, cedevano i rispettivi privilegi sulle compre e le vendite all'ingrosso; ciò importava che vari milioni d'effettiva moneta dovessero ogni mese passare per le casse degl'istituti, e che, servendosene con la debita destrezza, si potesse mantenere molta carta in circolazione, e pagare sempre a vista.

Ma il patto rimase scritto, quell'argento fu consumato dal Ministro, e l'anticipazioni dei banchi uscirono veramente dalle loro casse.

*

**

3.° Esaurite le riserve metalliche dalla finanza, che s'impossessò delle soprascritte e d'altre somme, come pure dal pubblico, che per le contingenze politiche ed economiche, aveva più del solito bisogno di moneta contante, e corse a domandare il baratto della carta in denaro, S. E. Corradini cominciò ad usare la forza.

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Egli costrinse tutt'i banchi a violare non solamente lo spirito, ma eziandio la lettera dei propri statuti, emettendo fedi di credito per conto dello Stato, senza il rispettivo introito di moneta, avvalorando pure e facendo circolare polizze notate per le quali la finanza non aveva versato la equivalente somma in madrefede.

Per la pratica esecuzione, Corradini, che ben sapeva come eran tenuti i conti, avendo esercitato per varii anni lo ufficio di delegato regio nel banco S. Giacomo, si valse di un tale Giuseppe Marciano. Era questi segretario della Giunta amministratrice del medesimo banco di S. Giacomo, e fu chiamato a servire nella segreteria del supremo consiglio delle finanze (dispaccio 8 agosto 1793) perché la cognizione perfetta, ch'egli avea dei nostri istituti di credito, lo metteva in grado di eseguire provvedimenti valevoli a cavarne danaro.

Tanta era la segretezza con la quale si scavava il vuoto che gli stessi verbali dei consigli di amministrazione, (Appuntamenti delle Giunte di Governo) poco o niente ne parlano. La corrispondenza, conservata, di quell'epoca, contiene solo le minute delle lettere con le quali si chiedono diminuzioni dell'elemosine, diventate superiori alle forze dei banchi, e provvedimenti, per le madrefedi governative, che quasi tutte sbilanciavano, con saldi a debito proibiti rigorosamente dalla regola, che li chiama, come sono, falsità.

Il solo Delegato del Banco della Pietà, Marchese Potenza, curò di mettere nel registro dei dispacci questa dichiarazione "9 settembre 1794. Essendo io stato chiamato, con tutti gli altri delegati dei Banchi, nella Segreteria delle Finanze, dal Direttore signor Marchese Corradini, ci sono state comunicato, a voce e senza bisogno di dispaccio, le seguenti risoluzioni, fatte dal Supremo Consiglio, ed approvate dal Ile, per dar riparo alle presenti angustie dei Banchi, per la scarsezza del denaro contante.

"1.° Che siasi ordinato dal Re che tutti gli argenti dei luoghi pii,così della città di Napoli come del Regno, fra due mesi, si debbano portare nella suddetta Real Segreteria, per coniarsi (dedotti quelli solamente che si son già presi dalla Città) con doversi alli stessi luoghi pii corrispondere il 4 per 100, per lo rispettivo valore delli detti argenti; e che gli stessi luoghi pii destinino persona per assistere al peso che se ne farà nella zecca, nel loro interesse.

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E, coniati che saranno li detti argenti, la moneta che ne risulterà, dalla stessa segreteria si ripartirà fra' banchi; li quali avranno il peso di soddisfare 1 annualità suddetta alli rispettivi luoghi pii, per la concorrente quantità del denaro che riceveranno; e 1 annualità suddetta debba decorrere dal giorno in cui la moneta sarà spendibile; e che, qualora qualche partita d'argento non si facesse pervenire tra il designato termine di due mesi, non si darà altro interesse se non il due per cento.,,

"Che, per quella quantità di moneta che i banchi riceveranno indisconto del debito della città, si debba l'annualità promettere e pagare pure dalli stessi banchi, per non impegnare li luoghi pii proprietari a contrattare colla città, e li banchi ne avranno dalla città stessa la refezione.

"2.° Che li Delegati dei Banchi abbiano la facoltà di pigliare all'interesse, dai particolari, la somma di un milione; purché sia di denaro contante, e pagar loro l'interesse del 4 sino al 5 per cento, come meglio potrà convenire; con far loro l'assegnamento,per la concorrente quantità, sulli fondi proprii del Banco. E riuscendo a qualche Banco di trovare chi dia qualche altra quantità d'argento per coniarsi, oltre di quella che dovrà come si è detto pervenire dalla Real Segreteria, lo possa fare, con convenire l'interesse, come meglio si potrà".

"3.° Che, per sostenere la reputazione dei Banchi, la quale si è molto vulnerata colle difficoltà che incontrano gli apodissari per esser pagati, li quali talvolta, nell'insistere per lo pagamento dagli uffiziali vengono maltrattati, debba ogni giorno di banco assistere un Governatore, il quale regoli le cose con prudenza e c; procuri di tener contenti l'avventori.

"

Si è detto dippiù, che essendosi trovata già venuta una parte delli detti argenti dei luoghi pii, e già mandata alla zecca per coniarsi, in guisa che fra pochi giorni si avrà la liberata di 140000 ducati incirca, tutto questo denaro si comincerà da ora a ripartire alli medesimi banchi."

Si doveva scoprire la deficienza subito che qualche banco avesse finito di consumare la riserva metallica; negato, per materiale impossibilità, il pagamento delle fedi o polizze da lui messe in circolazione: e manifestato che il fallimento fosse conseguenza degli ordini del ministro. Per allontanare questo giorno, i banchi comperarono, con aggio, moneta contante: affrettarono, come potevano, l'incasso dei crediti scaduti;

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scemarono e poi soppressero i mutui con senza pegno; (1) diminuirono le spese amministrative; vendettero i pegni non riscattati; cambiarono certi cassieri, cercando di migliorare il servizio (2); presero danaro a mutuo (3).

(1) Il Banco della Pietà, col pretesto di non far confusione nelle guardarobe, allora ricostruite, prescrisse, ai 12 gennaio 1793, che quell'inverno non si dovesse impegnare con interesse, ma solo attendere allo spegno. Pei pegni graziosi poi, disse con la medesima conclusione. «Stante le circostanze di nostro monte, così per l'incendio patito, come per la spesa sofferta della nuova fabbrica, per la quale il capitale di 700000 ducati, che stava impiegato nell'opera dei pegni piccoli, trovasi diminuito a circa D. 400000, si è stabilito, nell'apertura dell'opera, non doversi impegnare e dispegnare ogni giorno, ma impegnarvi in uno o più giorni ed in altri poi farsi il dispegno, come ora si pratica; per lo che non occorre, per ora, di aumentare il numero delle casse ecc.»

La ricostruzione, allora compiuta, dei saloni di guardaroba, doveva consigliare l'allargamento non la restrizione del servizio pegni; ma i Protettori, necessitati a nascondere la vera ragione, si valsero di questo pretesto per coonestare un fatto che produsse molto malumore nel popolo.

(2) 14 Settembre 1793. - Banco Pietà - Conclusione. - «Avendo li signori Delegato e Protettori veduto che il nostro Banco andava in deteriorazione per la scarsezza del contante, e similmente minorati li riscontri, per cui le riscontrate con gli altri banchi facevano sempre riuscire in debito il detto nostro Banco, sono andati investigando qual mai potesse essere l'origine di un tanto male, che poteva un giorno produrre un danno maggiore. Hanno perciò opinato varie cause, quali non avrebbero potuto mai accertarle se non quando si allontanasse il cassiere maggiore per qualche tempo e fintanto che avessero scoverto la sorgiva di tali inconvenienti, e nel tempo stesso paragonare lo stato vero del Banco, dal tempo della morte del passato Cassiere Maggiore Sangiovanni, con lo stato presente, per cosi venirsi in chiaro dell'abilità e dei servizi di detto attuale cassiere maggiore, ed indi risolversi il conveniente. A tale effetto li Signori delegato e protettori han pensato di situare un interino, ecc.»

Sapevano benissimo i Governatori che la riserva non si esauriva per colpa del cassiere. L'affettata ignoranza delle cause del male dovette peggiorare l'andamento degli affari, percioché, dopo poche settimane, videro l'utilità di restituire allo stesso Laino l'esercizio della carica.

«3 Gennaio 1794.-Avendo il cassiere di nostro banco fatto istanza di ripigliare l'esercizio del suo ufficio nella cassa, dopo di essersi esaminato l'affare, si è concluso che lo debba ripigliare; e che perciò si faccia la nuova numerazione della cassa, e se ne faccia la consegna dal cassiere interino D. Giuseppe Palmieri al detto D. Carlo Laino; e ciò con condizione che il medesimo debba rendersi gradevole al pubblico, colle buone maniere, é specialmente con dare prontamente e senza ritardo ad ogni apodissario la dovuta soddisfazione, senza dare occasione di doglianze, e con legge che non adempiendosi tutto ciò sia nella libertà del governo il rimuoverlo dal detto ufficio, e surrogare altri che si stimerà più opportuno per lo miglior servizio del pubblico. E la stessa legge si debba osservare dagli altri cassieri minori, li quali egualmente debbano esser tenuti ad ammettere, con buon garbo, tutti gli apodissari che a loro si presentano, e dare alli medesimi, fuori di qualunque pretesto, la dovuta sodisfazione; senza che un cassiere si faccia lecito di rimettergli all'altro per esiggere il denaro; e nel caso di affollamento straordinario, in alcuna delle dette casse, debbano avere tra di loro ima lodevole armonia, affinché tutti siano debitamente sodisfatti.»

(3) Dispaccio 11 Ottobre 1791. 1.° Lo stabilito conto a parte (di depositi fruttiferi dell'interesse tre per cento) rispetto al tempo dovrà durare per anni sei, e rispetto alla somma non dovrà eccedere per ora D. 2.100,000, che ratizzatamele ricade a D. 300000 per ogni banco.

2.° Tal ratizzo non dovrà pregiudicare la insolidità fra i banchi, prescritta con reale editto, emanato ai 29 settembre di questo corrente anno.

3.° La somma che si deposita dovrà essere irrepetibile dal Banco, per quel tempo che piacerà di stabilire a chi fa il deposito; purché non sia meno di mesi sei e non sia più di anni sei, che si é stabilito dover durare il conto a parte, cosa che dovrà notarsi nella stessa fede.

4.° Elasso il tempo stabilito, e notato nella fede, per non potersi ritirare dal Banco il denaro, resterà in arbitrio del creditore di ripigliarselo quando voglia; purché, come si é detto, non ecceda gli anni sei, e ripeterà allora dal Banco non meno la sorte che la rata dell'interesse decorso, all'anzidetta ragione, dal giorno del deposito fino a quello del pagamento.

5.° Resterà anche in balia del creditore di ritirarsi dal Banco il denaro prima che scorrino mesi sei;

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Ma tutto questo faceva entrare nelle casse poche centinaia, o poche migliaia., quando l'ingordigia del fisco ne faceva, uscire milioni. Fu eziandio occasione o pretesto di guai, essendosi per le vendite dei pegni scoperto che gli apprezzatoli, con esorbitanti valutazioni, avevano fatto restare scoperti i monti di pietà, per grosse somme; più che il cassiere di S. Giacomo, Giuseppe Todisco, aveva preso dalla cassa Duc. 343,295; quello del Salvatore, Raimondo Guarino, Duc. 313,036,7(5 e che altre deficienze si deploravano nelle casse Poveri e Spirito Santo.

Pare che la Corte avesse saputa, o almeno sospettata, la deficienza di cassa, prima dei governatori dei banchi; essendo dal palazzo reale usciti questi ordini.

"1.° Avendo risoluto il Re che siano sospesi da impiego tutti li cassieri dei rispettivi banchi (1) e che siano incaricati li governatori

purché rinunzii alla rata d'interesse, che in tal caso rimaner deve a beneficio del Banco.

6.° Le quantità che si riceveranno per lo deposito di conto a parte dovranno essere di libera pertinenza di chi l'esibisce, non soggette a litigio, vincolo o condizione alcuna.

7.° Sulle fedi di credito, che si faranno per li depositi fruttiferi, non si potranno notare polizze di pagamenti parziarì; per evitare di tenere un conto ed una scrittura impicciosissima, che sarebbe inevitabile se si adottasse il sistema della notata in fede.

8.° Finalmente, per facilitare tra cittadini il commercio dell'anzidette fedi di credito, non dovranno esser soggette né a vincoli, né ad ipoteche né a condizioni, meno che a quelle che si noteranno in piedi della fede dallo stesso creditore o dal suo giratario. Quindi non saran suscettibili di alcun sequestro, né sottoposte a qualunque pretensione altrui, se non nasca da dominio, sperimentandosi l'azione fnrtiva.

Sarà cura del governo dei banchi di manifestare al pubblico questa Sovrana risoluzione; con affiggere alle porte dei medesimi l'invito per chi voglia concorrere a far quivi deposito nella espressata maniera.»

Gl'Istituti non raggranellarono i D. 300000 per ciascuno, e sulle poche fedi fruttifere, fatte dal 1794 al 1796, si provvide con quest'altro dispaccio, del 4 luglio 1800.

«Avendo il Re avuto presente il real dispaccio del di 11 ottobre 1794, col quale s'introdussero nei banchi i cosi detti depositi fruttiferi, coll'interesse del tre per cento, i quali si distinguono dal marchio delle fedi di credito, che è rosso invece del solito nero; uniformandosi al parere della Giunta dei banchi, ha dichiarato che essendo i medesimi tanti veri mutui fatti ai banchi, debbono correre sotto questa rubrica, e dipendere non meno dalle leggi generali regolatrici di tal contratto, che dalle particolari apposte nel citato real dispaccio, le quali tutte da S. M. si confermano».

«In conseguenza, ha ordinato la M. S., che le fedi di credito rosse, che si trovino fatte fino al 1796 (poiché indi in poi non se sono più fatte e non se ne faranno più) non siano soggette all'abolizione delle carte bancali, a cui si sta ora procedendo, ma siano riguardate come titoli di tanti mutui, da mantenersi secondo le loro scadenze, senza poter circolare a guisa delle fedi di credito comuni.»

La proibizione d'avvalorare altre fedi fruttifere s'era partecipata con dispaccio del 9 Maggio 1796 (Conclusioni del Banco Pietà pag. 30 D. Fin d'allora i banchi avevano restituito quasi tutto il denaro raccolto con tal mezzo, che fu di pochissima efficacia. 11 registro del Banco dei poveri dimostra che le ricezioni si fecero dal 19 gennaio al 13 luglio 1795, percependo D. 9950, sottoscrizioni di soli governatori dell'istituto, che vollero dare il buon esempio. Al giorno 16 Settembre 1796 il conto era saldato, avendo tutti ripigliato i rispettivi depositi fruttiferi.

(1) Si dolsero, naturalmente, d'aver perduto carica e stipendio molti cassieri che fecero consegna regolare, e provarono d'avere onestamente tenuto l'ufficio. Tornando vane le petizioni, intavolarono un giudizio; ma il Re, che non voleva esser seccato, fece scrivere da Corradini. «Comanda S. M. che si faccia intendere agli anzidetti ricorrenti che ringrazino Iddio di ciò che per pura carità loro si dà; ed all'avvocato che fa le loro parti di non molestare ulteriormente su di tal punto la M. S.» (dispaccio 11 marzo 1795).

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delli medesimi di mettere, interinamente, nel disimpegno di tal'impieghi gli ufficiali più probi, che vi sieno nelle rispettive classi; con dover incominciare il loro interino esercizio da sabato la mattina 20 del corrente (settembre 1794 j se sarà possibile, e con baciare seriamente a non fare accadere vuoto nel servizio del pubblico; mi ha comandato la M. S. di partecipare tal Sovrana risoluzione a cotesto governo del banco S. Giacomo, per la pronta esecuzione -Palazzo 18 settembre 1794-Saverio Simonetti".

"2.° Tu conseguenza di quanto ha S. M. risoluto, di sospenderegli attuali cassieri di tutti li banchi, con destinarsi, da interinicassieri, altri uffiziali più probi, tra le prime classi; comanda orache per la giornata di domenica si effettui se a tal sospensione, con doversi contare le casse correnti di ciascun banco, coll'assistenzadel governo; abilitando la M. S. l'interini cassieri destinati adar plegeria tra il più breve spazio di tempo che sarà possibile;volendo che la mattina di sabato, 20 del corrente, si tengano aperti li banchi, per comodo del pubblico, ma coll'intervento, e sottola più esatta diligenza, di tutti o parte dei governatori dei banchi medesimi. Nel real nome ecc. Palazzo 19 settembre 1794.Saverio Simonetti."

Giuseppe Todisco amministrava la cassa maggiore di San Giaco me, in luogo del padre Antonio Todisco, vecchio gottoso, che si trovava nella materiale impossibilità d'esercitare l'ufficio.

Nella dichiarazione che fece quando, tre anni dopo della contata di cassa, si costituì prigioniero, disse: In ottobre 1792 si fece una contata di cassa, che risultò esattissima (D. Dopo di questa contata, principiò nei banchi di Napoli la scarsezza di danaro coutante, onde il governo del banco di S. Giacomo, nel mese di febbraio, se non erro, dell'anno 1793, fece una conclusione colla quale dava la facoltà al cassiere maggiore di comprare la moneta, siccome egualmente lo stesso si praticò dagli altri banchi (2).

(1) Lo dice Todisco. Non é impossibile però che il "vuoto già esistesse, e che lo avesse colmato con polizza di riscontro, o con qualche altro artifizio. I Preposti del Banco SS. Salvatore, nel loro primo rapporto sulla deficienza Guarino, raccontano, molto ingenuamente, ch'essi avevano verificalo la cassa ventiquattro giorni prima, e sottoscritto il certificato d'averla trovata in piena regola, perché stimarono buone tutte le polizze di riscontro.

(2) Queste conclusioni non esistono. Dovettero tenerle segrete e poi levarle dall'archivio. Però, in un registro della razionalia, fu ligata, probabilmente per disattenzione, questa confessione delle irregolarità permesse od imposte dai governatori. III. Signori. In obbedienza dell'ordine oratonus ingiuntoci,

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dunque incominciai a comprare il contante e cosi proseguii inappresso, arrivando a pagarlo sino a Duc. 46 ogni mille ducati. E comecliè, per tale compra, mi trovava in disborso di molte migliaia di ducati, ed il banco non curava di bonificarmi l'importo di dette spese, secondo le note che io le dimostravo, non ostante le continue premure ed assistenze che facevo in ogni sessione, pensai negoziarmi il danaro del banco medesimo e della cassa che io amministrava; per così, dal lucro che ne percepivo. potermi rinfrancare della spesa che faceva in comprare il contante. A richiesta dunque ecc.". Segue un elenco lunghissimo dei prestiti ch'egli fece con danaro del banco; poi continua la confessione, raccontando che Guarino, cassiere del Salvatore, gli avesse domandato fedi di credito vuote, ed avess'egli consentito, ma con patto di averne altre in controcambio di quel banco. Mediante tali fedi, ambo i cassieri potevano nascondere la deficienza, ed assumere l'aspetto di creditore l'uno dell'altro.

nella sessione dei 4di questo mese, siamo umilmente a riferire alle LL. SS. 111.me come per il noto caso di timore di essere assaliti dai francesi, ognuno che aveva denaro depositato nel Banco ha procurato di ritirarselo in moneta contante effettiva, per tenerlo presso di se, da avvalersene nel bisogno. Ciò aveva in una certa maniera depauperato il tesoro, ed affinché il medesimo fosse stato in una adeguata esistenza, si è stimato comprare, come tutti gli altri banchi, moneta effettiva, per essere pronto al pagamento di chi richiedeva il suo denaro. Per la qual compra il cassiere D. Antonio Todisco ha speso molte centinaia di ducati, come dalla nota che esiste presso di me sottoscritto razionale, oltre di quelle somme bonateli nelle mensuali note di spese, sotto diverse denominazioni di compra di sacchi ed altre; della quale somma ne dee esser soddisfatto; altrimenti la sua provvisione non è mica sufficiente per tale spesa, e sarebbe lo stesso che rifonderei non solo le fatiche, ma anche il suo in tanti anni acquistatosi. E per rifare il medesimo di tale spesa, come non conviene far comparire spesa per compra di monete, siamo di parere compensarlo con qualche pagamento in aiuto delle spese che soffre per li suoi acciacchi, che continuamente soffre di podagra e di orine (c. r.) con qualche pagamento ancora pella nota di spese della razionalia, sotto colore di compra di olio e di cera per lumi; con altro pella nota delle spese della cassa, sotto pretesto di compra di sacchi o di altre spese, e finalmente con qualche altro pagamento, per stampa di cartelle di pegno e per qualche genere di finti accomodi nelle case del Banco e pel Banco stesso. E di queste tali somme se ne dovrà dal sottoscritto magnifico razionale far discarico di quello che fin oggi ha speso il suddetto magnifico cassiere maggiore, come a me sottoscritto Razionale costa da nota che conservo. Dippiù, essendosi in oggi la moneta renduta capo di commercio, che si vende come qualsivoglia mercanzia, per cui la gente non ne porta ad introitare nel Banco, ma viene bensì a pigliarla per vendersela; siamo di parere, affinché il tesoro sia nella sua sussistenza, fare lo stesso che fanno gli altri banchi, di comprarla. Altrimenti, se si mette mano al tesoro, di mano in mano si smaltirà tutto quel contante che vi esiste, e s'impingueranno quei banchi che lo comprano; ed a nostro debole sentimento stimiamo meglio che il banco succumba alla spesa di qualche migliaio e più l'anno, che sterilire il tesoro. Ed approvandosi da loro signori illustrissimi questo nostro debole sentimento, per la spesa che si farà, se ne debba dal sottoscritto razionale tenere conto di quello che si pagherà, sotto li descritti nomi, in discarico della spesa.

E restiamo con tutto il rispetto raffermandoci, di loro signori illustrissimi, umilissimi ed obbed. servi veri. Davide Marzano Razionale. Giuseppe Marciano Segretario. - Dalla Segreteria e Razionalia del Banco San Giacomo, li 7 luglio 1793.

Nella sessione dei 23 febbraio 1794. Dalla suddetta relazione, rilevandosi la necessità di comprare la moneta, come lo fanno tutti gli altri banchi, si è stimato, affine di non depauperare li tesori, in ogni mese si faccia la nota di ciò che si spende dal magnifico cassiere maggiore, col l'intelligenza del magnifico razionale, e si firmi l'ordine di pagamento da tutto il governo, acciò la spesa sia regolata col maggior risparmio, ed il banco non venga a subire spesa al di più del bisogno. Puoti - Alitto - Migliorini - Suarez Corone 1.

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Ma giunto l'ordine di cambiare i cassieri, e di verificare le casse di tutt'i banchi, la magagna diventava chiara.

"Considerando io dunque, che dovendosi la mattina seguente contare la cassa, tuttoché il governo non si fosse accorto delle dette fedi d'introito vuoto, somministratemi dal Guarino, puresi doveva scoprire colla riscontrata che il nuovo cassiere mandava a fare al banco del Salvatore, risolvei di mettermi in salvo dopo la contata: e far pervenire, al detto banco di S. Giacomo, tutte quelle cautele dei suddetti debitori che conservavo.

Il Razionale poi, Davide Marzano, nella sua deposizione del 20 ottobre 1794, dopo di aver detto che la rimanenza del tesoro e cassa maggiore del banco S. Giacomo, nel giorno 20 settembre 1794, avrebbe dovuto giungere a Duc. 1.755,469.83. continua così:

"Nella contata si trovarono Duc. 704,54 in più; fatta la veri fica mi ritirai a casa. Fin dalla mattina si era sul banco detto che il cassiere maggiore del banco del Salvatore fosse fuggito via. Ritornato la mattina seguente di lunedì, nell'indicato real banco con tristezza seppi che il cennato D. Giuseppe Todisco era ancor fuggito via; per cui si dubitava fortemente che frodi commesso avesse di detta cassa maggiore; e fu tanto vero, giacche la sera dell'istesso giorno di lunedì, sotto le ore 24. per ordini di quel governo, che congregatosi in sessione stava nelle stanze della segreteria, fu carcerato, sullo stesso banco, il fedista D. Francesco il Conte; per causa, siccome pubblicamente si disse, di aver egli,fin da più giorni addietro, fatte 78 fedi di credito, a richiesta di D. Giuseppe Todisco, ascendenti alla somma di ducati 300.000, intestate a diverse persone, senza essersi scritte a libro dell'introito; fedi che date aveva a detto Todisco. E la mattina poi dei sei di questo corrente mese di ottobre, mandatosi a riscontrare col suddetto banco del Salvatore, io appresi che quelle 78 fedi di credito d'introito vuoto, in somma di Duc. 306,000, erano state ritrovate nella cassa maggiore di quel banco, esercitata dal li detto Guarino: e che tra quelle di spettanza della cassa del Salvatore. rinvenute nella cassa di Todisco. novantanove di esse fedi di credito si erano ancora trovate d'introito vuoto, che componevano la somma di Duc. 343,295; ed allora si venne in cognizione, che il furto con frode, commesso dal detto D. Giuseppe Todisco, in danno di questo banco S. Giacomo, ascendeva alla detta ingente somma di Duc. 348,295: per lo quale era fuggito via il Todisco. senza comparire più nel banco,,.


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Oltre di Todisco e Guarino. fuggirono gli aiutanti cassieri del banco Salvatore. Domenico e Francesco Romeo.

Ad onor del vero, dobbiamo aggiungere che Todisco effettivamente non aveva speso, ma solo dato a mutuo il danaro che pigliava dalla cassa. I documenti di credito, che consegnò, rappresentavano un capitale non inferiore. e forse maggiore del vuoto fatto; sicché il banco di S. Giacomo potette poi ricuperare la massima parte della somma toltagli, grazie all'energia e saper fare del Cav. Medici, che fu l'individuo al quale S. M. dette l'incarico di spingere l'esazioni per colmare il vuoto. Similmente le famiglie di Guarino e di Romeo consegnarono i titoli d'un credito di D, 150000, contro del Principe di Butera, più molte cambiali, istrumenti e biglietti, che in totale tacevano somma poco minore di quella presa nel Banco Salvatore. Ma la riscossione fu laboriosa faccenda, per la quale si consumarono più di venti anni.

*

**

4.° Prima ancora che divenissero noti tali fatti, il pubblico era sgomentato, come confessa un dispaccio del 17 Settembre 1794.Agitato il Real animo della Maestà del Re N. S. da sensibile pena e rincrescimento, per lo stato in cui sente ritrovarsi li banchi,a motivo della mal concepitasi idea da molti che mal sicuri fossero li loro capitali nelli stessi banchi depositati, e per la somma inquietudine che ne deriva al popolo. Ed animata nello stesso tempo la M. S. dalla volontà la più determinata di accorrere, con ogni possibile, efficace, e più sollecito riparo, a prevenire i danni ulteriori, che possono risultare da un così erroneo concetto, a Stabilimenti di tanta pubblica utilità, à risoluto di adoperare ogni mezzo, che sia in suo potere, per accelerare le operazioni e le verificazioni effettive. Onde venga restituita ai banchi la solita necessaria fiducia, è venuta la M. S. a destinare all'incarico speciale di assistere nell'attuai momento ad ogni qualunque direzione, incombenza ed operazione relativa ai banchi, proporre li pronti c desiderati ripari alle nocive conseguenze che possono minacciarli, e vegliare al pieno ed efficace adempimento di tutte le provvidenze,

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mentre che continuerà l'urgenza, il principe di Luzzi, il conte di Policastro, il marchese di Fuscaldo ed il marchese di (ragliati, ai quali unisce l'avvocato D. Antonio Crisafulli tutti ed il negoziante D. Antonio Rossi. Tutti costoro ecc....

Per l'ampie facoltà date a tale Commissione, che si chiamò Giunta dei Banchi, perdettero gl'istituti quell'autonomia ed indipendenza che le prammatiche precedenti avevan rimasto. Ai 18 settembre 1794 furono licenziati li Delegati Protettori, cioè i Direttori dei sette banchi, passandosene alla nuova Giunta tutte l'incombenze, ed ai 28 del mese stesso comandò il Re:

"1.° Che si faccia distinto ragguaglio dello stato generale di tutt'i banchi, così patrimoniale come degli apodissari, della verità del quale stato debita essere responsabile l'ufficio della razionalia; e che si facci nota separata del denaro condizionato, sequestrato e vincolato che in ciascun banco esiste. colla distinzione dei nomi, somme e fogli del libro maggiore.

"

2.° Che tutt'i governi dei banchi non possano, da ora innanzi, fare né mutui né altri impieghi senza la Sovrana approvazione.

"

3.° Che non si possano dare, a coloro che fanno pegni, riscontri di altri banchi. ma o denaro contante. o fedi di credito del proprio banco, meno per coloro che chiedessero tali riscontri..

"

4.° Che a coloro che vengono a chiedere il lor denaro, coll'esibizione di fedi di credito o polizze del proprio banco, quando non si dà loro l'intero contante, non si debbono pagare con riscontri, ma con fedi dello stesso Banco. purché non cercassero tali riscontri.

"

5.° Che, fino a nuova Real determinazione, non si possa accrescere il numerario nelle casse dei pegni, oltre di quello che attualmente si trova, impiegato.

"

6.° Che non si possa fare dai banchi compra di moneta, volendo la M. S. osservati per tale assunto tutt'i precedenti reali ordini,..

Fin dall'11 luglio 1704. aveva Ferdinando IV soppresse le proibizioni dei riscontri, anzi comandato l'accettazione e pagamento delle bancali in qualsiasi cassa apodissaria: aveva pure comandato di mandare i pegni scaduti alla zecca ed invitato i luoghi pii ed enti morali a consegnare i loro argenti per farne moneta. Una legge del 9 agosto 1794 rinnovò lo strano regole proibitrici del cambio o dell'aggio, minacciando pene severe ai cambiavalute e chiudendone le botteghe.

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Ma perché siffatti rimedi aggravavano il male, ed era prossimo l'esaurimento delle riserve metalliche, tu pubblicato l'editto o legge 29 settembre 1794, con la quale Sua Maestà diceva d'essere persuasa: che in gran parte i disastri avvenuti ai banchi erano derivati dal considerarli come sette istituzioni fra loro disgiunte e separate, senza che l'una a nulla fosse tenuta per l'altra; che furono essi istituiti pel servizio del pubblico, il quale poneva egual fede nel depositare le proprie sostanze, qualunque fosse la sede ed il nome del banco; che le ricchezze da essi acquistate derivavano dal pubblico, al cui vantaggio unicamente dovevano essere addette e consacrate; e che mentre vero utile del pubblico era la conservazione e salvezza di tutt'i sette banchi, gravissimi danni seguirebbero se alcuni soddisfare non potessero i proprii creditori, tuttoché in piedi rimanessero gli altri, ricchi e soprabbondanti di capitali e possessioni. Epperò, per tal convincimento, decretava che quincl' innanzi per unico dovesse considerarsi il Banco Nazionale di Napoli, diviso in sette casse o rami, sotto diversa denominazione e cura particolare, pel maggior comodo dei cittadini. Quindi, che i beni fondi, i crediti, le partite, e l'intero patrimonio di ciascun banco, rimanesse vincolato per la sicurezza e pagamento di tutt'i creditori apodissarii.

Sempre replicando che i banchi di questa capitale non debbono più riguardarsi come opere pie civiche e municipali semplicemente, giusta la loro prima origine e fondazione, ma come tanti rami di un Regio Banco Nazionale, in cui l'interesse non è solo della capitale, ma benanche del regno e dell'intero Stato, per essere il deposito della ricchezza di tutta la nazione (dispaccio 28 settembre 1795) Sua Maestà si servì comodamente così della roba dei banchi, come di quella del pubblico.

L'opposizione di parecchi governatori fu punita prima col sopprimere tutte le prestazioni, propine e regalie consuetudinarie (lettera 2 maggio 1795), facendo un'eccezione, che pare canzonatura, cioè quella della torcia; ed in seguito col licenziarli. Il ministro dettò nuove regole (dispaccio 26 settembre 1795), partendo dal principio che non si dovesse badare né alle istituzioni, ne ai testatori (dispaccio 17 settembre 1794. Dippiù furono bene chiarite l'ampie facoltà 'della Giunta, con altra lettera del 17 gennaio 1795, per le quali divenne questa Giunta l'assoluta padrona dei banchi;

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essendosi proibito ai governatori qualsivoglia spesa, qualsivoglia nomina d'impiegati, e fino di corrispondere coi ministri o con pubblici uffiziali. Per l'elemosine, si fece sentire ai cittadini, li 25 marzo 1795: "Resta solennemente stabilito che non sono i banchi, per loro istituto, addetti a fare limosine, e che per sola Real Clemenza si permette che continuino a talune persone, le quali ora le godono

Per la contemporaneità di due diverse cose, stampa dell'editto con soppressione della libertà dei banchi, e contata di tutte le casse con dichiarazione delle deficienze, si dette ad intendere che ogni guaio derivasse dalle malversazioni di Todisco e di Guarino. Ma gli abusi di costoro avevano importanza minima, in paragone di quelli della Finanza; trattavasi di vuoto coperto da titoli di credito che poi si riscossero, con perdita definitiva di poche migliaia. Passività ben maggiori avevano anteriormente messo in pericolo uno o più banchi, sia per casi meramente fortuiti, sia per trascuraggine di governatori, sia per pubbliche calamità, senza che si pensasse di scuotere la base del loro ordinamento. Ma, nel 1794, Sovrano e Ministro furon lieti di trovare un pretesto, per rendere da loro dipendenti i sette istituti, ed inondare il regno di carta a corso forzoso.

'Il distinto ragguaglio, ordinato da Corradini, tu certamente compilato dai sette banchi. Ma esiste in archivio la sola minuta di quello che presentò il Razionalo di Santa Maria del Popolo. Mancano gli altri sei per la ragiono che i Deputati tenevano l'ordine di compilarlo colla maggior riserva e sotto un segreto inviolabile che dorranno solo confidare alla M. S." (dispaccio 17 settembre 1794). In generale tutto quello che riguardava gl'interessi reciproci della finanza e dei banchi fu trattato verbalmente, senza che rimanessero prove d'infrazioni delle regole; e per qualche scritto, proprio indispensabile, non solo si provvide a non farlo passare nell'archivio, ma esistono dichiarazioni d'essersi soppresse e lacerate carte già copiate sui registri o legate nei volumi, le quali avevano indiretta relazione con gli affari governativi. Per esempio sul dispaccio della giunta 7 aprile 1795 (San Giacomo Vol. 14, pag. 145), si legge questa nota:

"A 1 Gennaio 1796: Siccome, per Real determinazione dei 3 settembre 1795, si han dovuto lacerare tutte le carte relative all'interessi tra il nostro Banco ed il Barone D. Francesco Taccone,

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si nota perciò come il Real ordine che si trova in questo folio 145, per atto partecipato dalla Suprema Giunta, in data dei 7 aprile 1795, resta nullo per effetto di detta Real determinazione dei 3 settembre,ed anche a tenore dell'appuntamento dei 30 novembre 1795 -filmati a cautela. Alitto-Pignatelli (Governatori del Banco San Giacomo)".

Taccone era il tesoriere generale. La Real determinazione 3 settembre 1795 manca nel volume che la dovrebbe contenere. L'appuntamento poi o conclusione dei governatori, del 30 novembre 1795, contiene l'ordine di lacerare determinati fogli da parecchi registri, ma provvede su di un debito di D. 12000., personale dei fratelli Taccone e connesso al vuoto Todisco. Sarebbe mancata la ragione di far un'irregolarità, nuova negli annali dell'istituto, senza la confusione fra i segreti del Tesoriere e quelli del fisco, e se le carte soppresse non avessero contenuto notizie che importava al Re, non ai Governatori od a Taccone di nascondere.

Le condizioni del Banco S. M. del Popolo, al giorno 21 Settembre 1794, quali risultano dal conto dettagliatissimo, che forma quasi un volume, salvatosi chi sa per quale fausta combinazione, possiamo compendiare coi seguenti numeri:

BILANCIO GENERALE

Circolazione e debito apodissario D.2,462,314.38

Moneta in tesoro.......................... D. 30,099.10

id. in cassa.................................... D. 17,832.21

48,531.31

Monete forastiere in tesoro......... D. 29,130.21

id. id. in cassa.............................. D. 24,547.83

53,678.04

Polizze di riscontro degli altri banchi................. 682,557.70

Somma disponibile pel monte pegni.................. 409 -

A riportarsi 785,176,05

- Luglio 2011

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Riporto 785,176,05 2,462,314,38

Monte di pietà - somma collocata D. 388,168 -

Mutui e crediti fruttiferi. " 552.50.02

Per tanti posti a ristretto in un libro a parte negli anni 1779 e 1788 ed indi passati a credito nella fede conto di compre

" 46.316.41

979.15.33

Prestiti senza interesse fatti con la garenzia della Re già Corte ed in ossequio di reali dispacci

D. 151,714.28

Id. come sopra con interessi 6000

Denaro anticipato alli arrendamenti per lo pronto pagamento dei mandati.

"

89.216.71

Prestiti senza interesse al Municipio di Napoli.

60,858.36

Id. con interesse id. 71.323.40

Perdita sulla riconiazione de' zecchini romani (1752)

D. 3,693.75

Deficienza Nicola de Mari (1702)

7,317.77

Id. Donato Gnomo (1737) 16.044.92

Id. Gaetano Le Planh (1767) 284.146.44

Id. Francesco Martinelli (1772) 3,955

Id. diverse. 2,321.10

Crediti inesigibili 1,521,27

319,000.25

Totale eguale 2.462.314.38

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BILANCIO PATRIMONIALE

Valor capitale Rendita ottenuta

nel precedente

anno 1793

Arrendamenti e fiscali 410,012,64 16,832.12

Censi attivi 29,275,- 1,161.91

Case e terreni 39,478.15 2,209.21

Crediti istrumentari 477,949.85 17,890.81

Crediti con interesse scalare 343,660.07 12,757,20

1,300,375.71

50,851.25

Detraendo le somme prese dal debito apodissario, cioè le cifre dietro scritte

Mutui e crediti fruttiferi

D. 544,530.92

Id. alla Regia Corte

6,000 -

Id. al Municipio di Napoli

71,333.40

Conto a parte.

46,316.41

Perdite, deficienze ed inesigibilità

319,000.25

987,180.98

Restava un capitala patrimoniale netto di

BEN DITA E SPESE

Rendita patrimoniale D. 50,851,20

Interessi del Monte di pietà (media d'un decennio) " 21,377.94

Pigioni attive " 521.50

A riportarsi D. 72,750.69

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Riporto

D. 72,750,69

Lemosine D. 11,891.63

Stipendi " 23,773.37

Pensioni " 4,400.93

Compensi ed onorari. " 3,989.11

Spese di scrittoio. " 1,953.68

Pigioni passive " 1,909.45

Manutenzione, esazione, liti " 2,086.80

Diverse " 1,087.37

" 51,092.34

Rendita netta D. 21,658.35

La riserva metallica disponibile, di D. 48531,31. rappresentava dunque una cinquantesima parte della circolazione. Fa meraviglia che il Banco del Popolo tirasse innanzi fino al 21 settembre 1794; ed avesse potuto, quel giorno, dire che sospendeva il cambio, in contanti, per ossequio agli ordini di S. M. non perché la mancanza di contanti gli proibisse di compiere il debito suo.

Pel Banco Salvatore manca il distinto ragguaglio, ma esistono varie minute di ristretti, cioè bilanci dell'istituto. Quello di luglio 1793 riferisce:

Circolazione, ovvero totale debito apodissario. D. 2,748,942.10

Compre, cioè fondi pubblici e mutui ad interesse al fisco ed altri, garentiti ed assegnati su provento d'imposte.

D. 457,278.62

Monte di pietà, prestiti ad interesse con pegno " 423,916 -

Totale degl'impieghi fruttiferi D. 881,1 94.62

Mutui senza interesse alla Regia Corte. 214.580 -

Id. alla Città " 59.111.12

Id. agli arrendamenti per pronto pagamento dei mandati

52.33.15

Id. alla Giunta della monetazione del rame. 2.000 -

Riporto D. 318,324,27 881,194,62 2,748,942,10

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Riporto

D. 318,324,27 881,194,62 2,748,942,10

Id. al tribunale di fortificazione " 341.69

Id. per anticipazione di stipendio agl'impiegati " 1,146.50

Debitori decotti 14,018.28

Totale degl'impieghi non fruttiferi " 333,830.74

Riscontri d'altri banchi " 664,801.80

Bancali proprie venute per riscontro ma non ancora discaricate dal passivo " 492,933.16

Denaro contante nella cassa maggiore seu tesoro

D. 361,181.78

Id. in mano dei cassieri " 15,000 -

" 376,181.78

Totale eguale D. 2,748,942.10

Nella circolazione si comprendevano D. 549,514.41, valore nominale del patrimonio o capitale dell'istituto.

Il rapporto fra la riserva ed il debito a vista risultava di 14 per 100 circa.

*

**

5, Sperava forse il governo di colmare il vuoto fatto nelle casse coi futuri introiti della finanza, e col patrimonio degli stessi banchi, ch'era a quel tempo di ducati quindici milioni circa; e veramente,se avesse agito con discrezione, l'espediente di costituire un consorzio dei sette banchi ne poteva impedire il fallimento; e forse permettere al governo di sostenere quel debito galleggiante, ch'era la carta avvalorata per suo comando, fino a che non avesse trovato modo di consolidarlo. Dicono che la fusione fa suggerita dallo stesso Cav. Medici, chiamato per l'affare Todisco; uomo che meritamente ha goduto fama di bravo amministratore, e che, quando poi divenne ministro, nel 1803 e 1816, lavorò con coscienza e sagacia per la risurrezione del crediti pubblico napoletano. Però troppe erano le fedi e polizze avvalorate con ordine dei ministri, che si dice giungessero al valore di D. 35,000,000 (L. 148,750,000); somma enorme per una città come Napoli, enormissima a quell'epoca.

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Mancò la fiducia che fino a quel momento aveva fatto preferire le bancali all'oro o argento coniato.

Verso la fine del 1794, le fedi di credito e le polizze notate non servivano più a tutti gli affari civili o commerciali; ed i possessori dovevano recarsi molte volte ai banchi, per averne il cambio in moneta, che spesso non ottenevano; ovvero dovevano sopportare una perdita per aggio, la quale andò progressivamente crescendo nel 1795 e 1796, senza che lo potessero impedire le chiacchiere del ministro, le ordinanze ed i decreti che proibivano qualsivoglia speculazione di cambio. Anche certi cassieri del banco ardirono di vendere la moneta, e di cambiare le carte alle sole persone che si contentavano di somme inferiori al prezzo nominale. Fu pure messa in circolazione gran copia di polizze false, fabbricate nel bagno penale di Santo Stefano, da un certo Domenico Sacco e dagli altri galeotti.

Quando stavano per esaurirsi le riserve metalliche, ed i banchi dovevano finalmente confessare che con ordini dei ministri avevano consegnato al fisco la massima parte del danaro ad essi confidato; peggio ancora, che avevano contravvenuto alle loro leggi, partecipato ad una frode, col mettere in piazza promesse di pagamento a vista cui non potevano in modo alcuno fare onore, vennero gli ordini, che la moneta esistente nei sette istituti di credito non si dovesse più toccare (1). Voleva il Re che siffatta moneta esistente rimanesse come dote dei banchi; e che al negoziato giornaliero,

(1) "22 maggio 1796. Avendo S. M. preso nella più seria e matura considerazione ciò che ha manifestato cotesta Giunta dei banchi, relativamente alla esorbitanza degli esiti in numerario che in questi ultimi giorni si è nei banchi osservata, ed ai sconcerti che potrebbero avvenire per le eccessive richieste di coloro che per effetto di alterazione di fantasia (!) vanno a riscuotere il loro denaro; onde ha essa Giunta implorato le convenevoli Sovrane disposizioni, per darsi riparo a siffatti disordini. Sul rimesso che i banchi sono i mezzi sicuri, necessari ed indispensabili per promuovere il commercio nello Stato, e che un rovescio che si potesse dai medesimi soffrire porterebbe seco danno incalcolabile al pubblico intero, che nello stato attuale non ha che temere, per le provvide g\k date disposizioni. Per modo che siffatto affollamento nei banchi può essere prodotto non tanto da mal fondata alterazione di fantasia, quanto da premure di chi non ama come dovrebbe la pubblica tranquillità. È venuta la M. S. a risolvere e comandare che tutto il numerario che attualmente si trova esistente nei sette banchi di questa capitale non si adoperi più per la giornaliera negoziazione, ma serva di dote permanente dei banchi medesimi, dovendosi eseguire la negoziazione con quel numerario che di giorno in giorno si va introitando, in guisa che l'esito in contanti non possa superare l'introito che si trova esistente; con supplirsi al dippiù o con fedi di credito del proprio banco o con riscontri degli altri banchi. Continuandosi tal sistema sino a nuove sovrane disposizioni che S. M. prenderà in seguito della calma che si vedrà ristabilita. Lo partecipa ecc.,,.«24 Maggio 1790. - Ho fatto presente al Re tutto ciò che ha cotesta Giunta riferito, con sua rappresentanza dei 23 del corrente maggio, in rapporto all'esecuzione da darsi al Real dispaccio dei 22 dell'istesso mese, con cui si stabilisce il sistema da doversi osservare nella negoziazione de' banchi, acciò il numerario che si trova attualmente in essi esistente serva di dote permanente dei medesimi; e la M. S. uniformandosi a quanto da essa Giunta si è proposto,

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cioè alle richieste di pagamento dei creditori apodissarii, si provvedesse con l'introito delle casse; vale dire coll'oro ed argento che qualche cliente del banco avesse per avventura portato nell'istesso giorno, ovvero con fedi di credito, sin del medesimo banco, sia di riscontri.

meno che al capo V e VII nell'additata rappresentanza contenuti, ha risoluto e comanda».«1. Che continuandosi a tenere aperte, nei cinque banchi ove ora esistono, le casse di permuta delle monete viziate, si consegni alli cassieri delle medesime, dalla massa del numerario che si è dichiarata dalla M, S. permanente per dote dei banchi, quella quantità di moneta spendibile che il bisogno della permuta riecheggia, con passarsi alla regia zecca la moneta viziata che si ritrae, acciò dopo riconiata si restituisca alla surriferita massa permanente di numerario».

«2. Che Io stesso si pratichi per la compra dei pezzi duri (colonnati di Spagna) con restituirsi la moneta, per mezzo di questi coniata dalla regia zecca, nella stessa massa permanente del numerario».

«3. Che l'opera dei pegni con interesse resti aperta nei banchi, con farsi però i pegni ed i dispegni collo stesso metodo ordinato per le casse d'introito ed esito».

«4. Che resti permesso di potersi fare dai banchi le fedi di credito anche al disotto della somma di ducati dieci, fino a quella di ducati cinque, con mettersi nelle fedi infra i D. 10 la parola ducati immediatamente dopo la quantità, cosi in abaco che in iscritto, per evitarsi le falsità che si potrebbero commettere. E che, per le somme al disotto di D.5, invece delle fedi di eredito si dovessero fare i bollettini stampati, simili a quelli dei pegni con interesse del Banco della Pietà, nella maniera più comoda e faeile che potrà riuscire per agevolarsi il commercio».

«5. Che i provvisionati dei banchi e di cotesta Giunta non siano abilitati a cambiarsi nei banchi in contanti dalla dote permanente di numerario le rispettive polizze che ricevono in ogni fine di mese".

«0. Che i pagamenti da farsi dai banchi alla regia corte in contanti, dalla dote permanente di numerario, si debbano eseguire precedente Real dispaccio, non già in seguito di semplici viglietti dei Reali Tesorieri; a qual effetto ha dato S. M. gli ordini convenienti per li corrispondenti canali».

«7. Che le limosine mensuali che si fanno dai banchi e monti di questa capitale non si debbono pagare dalla dote permanente di numerario».

"Oltre a ciò, nell'atto che attende la M S. (da venerdì in poi 27 del corrente mese, giorno in cui si riapriranno i banchi) dal noto zelo e sperimentata esattezza dei governatori dei banchi tutta la possibile assistenza in questi luoghi, che interessano tanto il pubblico e lo Stato; è sua Real volontà che gli stessi governatori dei banchi debbano invigilare, dichiarandoli di ciò responsabili che i cassieri ed altri ufficiali non facciano abuso o mercimonio del numerario che nelle casse si anderà giornalmente introitando; con privarne immediatamente d'impiego i contravventori e darne parte alla M. S. per le ulteriori sovrane risoluzioni; nella prevenzione che ha dato la M. S. i convenienti Reali ordini a tutt'i capi di officine numerario, cosi di regia corte come di città e d'arrendamenti, d'introitare ne' banchi tutto il contante che esiggono, rendendone responsabili gli stessi capi di qualunque mancanza in ciò si commettesse dai rispettivi loro subalterni. La partecipa ecc.»

Con la contata di cassa, fatta pel Banco Pietà li 26 maggio 1796, si trovarono;

Presso i cassieri D. 194873,75

In tesoro 413655,00

Ultima liberata della zecca 150000,00

D. 758528,75

Ma poiché doveva immobilizzare, per sua questa della dote permanente, D.710000, non gli restarono disponibili che soli IX 48528,75.

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Tutte l'introduzioni di corso forzoso si son fatte con pretesti di bene pubblico, necessità dello Stato, protezione del commercio, ecc. ma per nessuna s'è spiegata tanta ipocrisia. Ferdinando IV fa scrivere dal ministro due semplici lettere, quasi che l'affare fosse di poco conto, ed in queste sono incidentalmente nominate le carte bancali, che diventavano la moneta del regno. La nebulosa minaccia alla gente che s'affollava per esigere, chiamandola nemica della tranquillità, valeva molto ai tempi di Giunta di Stato, quando per sospetti politici erano già cadute le teste di Vitaliani e di De Deo!

Il beneficio del pegno senza interessi fu contemporaneamente tolto ai napoletani.

"(Dispacci del Banco Pietà pag. 58. 21 maggio 1795)". Dalla Real Segreteria di giustizia è pervenuta a questa Giunta la seguente Sovrana determinazione della stessa data del 21 del corrente. Dovendosi fare gl'inventari dei pegni graziosi nei. monti della Pietà e dei Poveri, in conformità di quanto si è da cotesta Giunta proposto; comanda il Re che restino sospese, sino a nuova Sovrana risoluzione, l'impegnate che si fanno nei mentovati monti di pegni senza interesse; con rivolgersi il denaro di queste opere alle occorrenze delle casse dei dite rispettivi Banchi. Lo partecipo ecc."

Per le lettere ministeriali, i banchi avrebbero barattato con altre carte le fedi, le polizze e le madrefedi che loro si presenterebbero. Quell'introito giornaliero, sul quale il Governo mostrava di fare assegnamento, non poteva esserci; ché niuno sarebbe stato gonzo da consegnar danaro contante ad una cassa che pagava con carta.

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6. Non si può esprimere lo sgomento ed il dolore dei cittadini, quando si videro spogliati di ciò che avevano posto in deposito appunto perché fosse più sicuro; quando seppero distrutta la potente e benefica istituzione dei banchi, tolto il vantaggio del pegno gratuito, soppressa financo la comodità del pegno con interesse (1).

Mancando la possibilità di pagare a vista, e reggendo la finanza un individuo il quale non sapeva impedire che rovinasse addirittura il credito delle carte bancali, succedette che, appena sospeso il pagamento,

(1) Nessun ordine scritto, di quell'epoca, chiude le casse del pegno fruttifero; ma la soppressione avvenne per via di fatto, poiché non c'erano denari e specialmente perché fu rispettata l'antichissima regola di non tollerarsi avvaloramento di carta per l'operazioni del Monte. Scomparsa la moneta del regno, esauste le casse dei banchi, mancava la possibilità di pagare nella maniera prescritta, cioè con monete legali d'argento.

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le fedi di credito scapitarono dal 64 0|0; poi si giunse all'82 ed 87 per cento, gl'istituti lottarono quanto potettero; sagrificarono senz'esitare il poco argento lasciato a loro disposizione; inventarono la tassa cioè un modo di pagamento con cui davano qualche carlino d'argento in ogni baratto: ma ciò non pertanto l'aggio divenne universale speculazione che si taceva pure nelle sale dei banchi (1), e gl'infelici depositanti con molta fatica giungevano a ricuperare dei loro crediti il 80 °|o pei il 18 e quindi 13 cioè una ottava parte. A tanto male sperò il Governo di porre rimedio dando i beni allodiali in ipoteca. Ma il prestito forzoso, comandato lo stesso giorno 22 maggio 1796, di tutte le somme o capitali vincolati, tolse ogni valore a siffatta malleveria.

"Rimetto, di Real ordine, a cotesta Giunta dei banchi, otto esemplari stampati dell'editto dalla Maestà Sua tonnato, e, per mezzo della Real Camera di Santa Chiara, nelle solite e debite forme pubblicato; contenente le Sovrane disposizioni perché tutto il denaro vincolato, di qualunque natura si fosse, ed a qualunque condizione soggetto, il sottoposto a fidecommessi, a sostituzioni, il pupillare, il dotale, il condizionato per impiegarsi in compra o ricompra, o di qualsiasi altra indole, che non si trovasse ancora impiegato, si dovesse intendere da ora già impiegato colla Regia Corte. Con doversene da questo punto liberamente valere, la quale debba corrispondere l'annualità del 4 per 0|0, coll'assegnazione di partite d arrendamenti, finché non se ne faccia la restituzione e ricompra. Da decorrere tale annualità dal giorno che la Regi Corte farà uso di queste somme (2); ancorché non si fossero stipulati i rispettivi contratti. In forza delle quali Sovrane disposizioni, vuole il Re che tutto il denaro vincolato, di qualunque natura si fosse ed a qualunque condizione soggetto, dai banchi di questa capitale si passi immediatamente in testa della Regia Corte, acciò possa disponersene dalla medesima, per li bisogni urgenti dello Stato".

(1) 25 agosto 1796 - Conclusione - Banco Pietà - Essendosi con rincrescimento sommo penetrato dai signori protettori che nel cortile del nostro banco della Pietà e nelle adiacenze di esso vi si portino delle persone commercianti, dalle quali si subornano quei che vengono a far dispegni all'interesse con denaro contante, con prendersi esse il contante e darli polizze e fedi di credito dello stesso nostro Banco per eseguirne li disposti dispegni. E perché preme ad essi signori protettori che si tolga un si pernicioso commercio, maggiormente nelle presenti circostanze,e di venire in chiaro cosi delle persone che lo fanno, che di quelle dalle quali vengono tali persone garentite; si è perciò dai medesimi ordinato che il magnifico D. Salvatore de Simone, come cassiere dell'interesse, colla sua sagacità ed avvedutezza procuri di appurare quali siano tali persone, potendogli ben riuscire di penetrarlo da coloro che gli esibiranno tali polizze per dispegni; e che tutto fedelmente riferisca al Governo, acciò prender possa quegli espedienti che stimerà più proprii per togliere un si pernicioso commercio. E se mai dal detto De Simone si trascurerà di adempire al disimpegno di un si geloso incarico che dal Governo se gli è dato, colla debita premura sincerità ed esattezza, sarà privato d' impiego.(2) L' uso era già fatto. Nel verbale 23 marzo 1796, Banco Pietà, trovasi un ordine di pagare in conto ducati trecentomila, per spese militari, prelevandoli dal fondo del denaro condizionato.

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Servì l'editto per dare una qualche apparenza di legalità alle consegne, che pretendevano dai banchi, di moneta contante e di carte. Il denaro condizionato non si sapeva a quale somma giungesse, e nessuno curò d'indagarlo, perché le richieste del fisco ne superarono a molti doppi l'ammontare.

Per sostenere il prezzo delle carte bancali, il Governo mise officine che le comperavano al corso giornaliero (1); e disse che le voleva tutte ritirare a poco a poco, accettandole in pagamento, come prezzo dei beni allodiali che aveva dato per pegno, ed intendeva vendere. Promise solennemente che tutto il prodetto d'una nuova imposta, chiamata decima, sarebbe servito pel medesimo scopo di ritirare la carta (2). Proibì l'esportazione del numerario, ed armò navi da guerra che incrociavano lungo le coste e perquisivano i bastimenti mercantili, affinché fosse rispettata la proibizione. Le gratificazioni ai capitani ed alle ciurme si dovettero pagare, dai banchi, quasiché si trattasse di un loro interesse.

Confiscò pure, il governo, e fece monete di tutti gli oggetti di oro e d'argento che possedevano le corporazioni religiose, le confraternite. le chiese ed anche le private persone. Ma, con insigne malafede, fece servire per accrescere il debito, per emettere altre carte, questi spedienti che dovevano produrre l'effetto opposto.

(1) Il Botteghino per la compra e vendita del numerario, messo di conto Regio nella piazza di S. Ferdinando,restò aperto fino al 24 febbraio 1805.(2) 25 ottobre 1796 -Conclusione - Dalla Giunta dei banchi si ò partecipato, a questo governo del Sacro Monte della Pietà, la seguente Sovrana determinazione, in data dei 17 del corrente mese, alla medesima pervenuta dalla Real Segreteria di giustizia.«Sulla richiesta fatta dal presidente Aiello, a qual ramo della Regia Corte dovessero girarsi le somme finora riscosse e che giornalmente si vanno riscuotendo dall'imposta decima; ed a vista della rappresentanza di cotesta Giunta di non doversi pagare dai banchi l'importo di tal peso su dei loro beni, ma bensì ritenerlo per compensarsi dei crediti che rappresentano contro la Regia Corte. Memore il re che per sostenere le spese della presente guerra, in difesa dello Stato e della giusta comune causa (cosa che con somma sua gloria ha posto finora al coverto i suoi amatissimi popoli di nulla soffrire di quelle amarezze che ben molte altre nazioni han sofferto e soffrono) senza gravare la gente povera, fu Dell'obbligo di tassare discretamente i soli possidenti, della decima, con tassa temporanea. Nello stesso tempo, prendendo in mira non solo la salvezza dei banchi, che unicamente debbono la loro sussistenza alla vegliante paterna cura della M.S. (!) ma ancora il loro non piccol vantaggio e profitto, fin dai 28 del p. p. luglio prescrisse che di tutto il fruttato dell'imposta decima se ne dovesse stabilire un fondo di ammortizzazione, col quale si avesse per ora ad estinguere tutto il debito della Real Corte coi banchi, contratto e da contrarsi; il che dovesse farsi a ragione scalare, coli' interesse del 4 per cento fino alla totale sua estinzione. Avendosi la M. S. riserbatole disposizioni da prendere acciò coll'istessa decima restassero ammortizzali gli altri debiti, che in occasione della presente guerra avesse la Regia Corte per altri rami contratto o dovesse contrarre; per indi poi abolirsi dalla M. S. l'imposto peso, e così restarne sgravati i suoi amatissimi sudditi. Ora, in seguito di ciò, ha comandato la M. S. che tutto quello che ha il riferito Presidente d'Aiello, Delegato,fin'ora riscosso, ed anderà mano mano riscuotendo (dedotte le spese) Io paghi ai banchi in disconto dei debiti finora, per detta causa, contratti e da contrarsi, nella maniera di sopra indicata. Ed acciò in tale operazione non ci possano accadere intrighi e difficoltà, ma riesca la più facile ecc.» Seguono lunghe istruzioni per la scrittura contabile, piantata in modo da potersi accrescere le deficienze di cassa e debito del fisco. Li 30 dello stesso mese d'ottobre si dovettero pagare dai Banchi i primi ducati 800000 «a conto del fruttato dell'imposta decima».

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Infatti, le bancali comperate dalle officine, al prezzo corrente, si davano agl'impiegati regi ed agli altri creditori dello Stato, costringendoli a prenderle per valore nominale; i beni che si vendettero, appartenevano alla Chiesa, non al Demanio; e le carte ottenute, furono novellamente messe in circolazione; gli stessi oggetti d'oro e d'argento, confiscati per farne moneta, non solo si pagarono con fedi di credito, ma, caricando sui banchi un debito del fisco, furono questi costretti a computare, ed a pagare ai luoghi pii l'interesse quattro per cento (1).

L'argento valeva allora D. 13,60 la libbra, ed il Governo lo comperava a Duc. 15,20. Ma, per la ragione che dava al prezzo nominale un titolo screditato, cioè la carta di Banco, commetteva sul prezzo una frode di tre quarti e più. Niente diciamo della violenza con cui spogliava i possessori di cose che tenevano legittimamente, e della malvagità con la quale non faceva conto di sorta del pregio artistico, sicché molte reputate opere di celebri cesellatori ed orafi furono gettate nei crogiuoli della zecca (2).

(1) 22 febbraio 1795. D:spaccio. «Avend'osservato il Re ciò che da cotesta Giunta si propone, in rapporto alla ripartizione dell'interesse quattro per cento, da corrispondersi dai banchi ai luoghi pii, per gli argenti esibiti a fio di monetarsi; è venuta la Maestà Sua ad uniformarsi alla proposta ripartizione internamente, finché non si faccia l'ordinata discussione degli stati dei banchi, per mezzo della quale si conoscerà a qual banco si possa addossare maggiore o minore peso.»

Una conclusione del 24 marzo 1795 dice che l'importo degli argenti esibiti fino al 31 gennaio 1795 giungeva a D. 367319,56, e che si fece questo addebito del capitale e dell'interesse:

Banco Pietà. Capitale D. 117406,70, Interesse annuo ai luoghi pii D, 4696,27

« Salvatore « 157394,31 « « « «6295,77

« Sant'Eligio « 55046,80 « « « «2201,87

« Poveri « 37471,75 « « « «1498,87

Totale D. 367319,56 D. 14692,78

Posteriormente si fecero consegne di maggiore importanza, essendosi adoperate le minacce e la l'orza contro dei monaci e degli amministratori d'opere laicali, che tentarono ogni mezzo per salvare il patrimonio artistico,

(2) «Banco dei Poveri - Conclusione 12 aprile 1793.

«Per adempiere ai Reali Ordini, pubblicati cod Regio Editto dei 27 dello scorso marzo, di doversi esibire gli argenti di tu't'i partic lari e luoghi pii di questa Capitale e Regno, si è letto in Banca lo stesso editto, per rilevare la qualità degli argenti da esibire, del nostro Oratorio, e quelli che sono eccettuati, perché addetti immediatamente al culto sacro.

«In seguito, essendosi esaminato l'inventario degli utensili del suddetto nostro Oratorio, da esso si è rilevato che gli argenti da esibirsi sono; la croce grande dell'alture maggiore, sei candelleri grandi e sei piccoli dello stesso altare, un campanello, due lampade, ed un giardinetto per i lumi, che si oprava sulla mensa dell'altare medesimo, nella benedizione del Santi simo; ed oltre di questi una sottocoppa, quattro candelleri da tavola, un'ampollina con polvere per misurare le ore. sei calamai e sei arenaroli, per uso della nostra udienza, che si adoperavano in tempo delle sessioni. Si è conchiuso perciò consegnarsi tutti gli enunciati argenti, con liquefarsi prima e ridursi a verghe, da ripeterne quel compenso che stà stabilito nel ridetto Editto di darsi a tutti gli altri luoghi pii di questa capitale».

Il valore di tutta questa roba fu dalla zecca determinato per ducati 4001,12.

Per la chiesa del Banco Pietà, gli argenti s'erano consegnati tre anni prima, ed eransi valutati per la somma di D. 4862,29. Conclusione 2 maggio 1792.


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7.° Quando finalmente, dopo l'infelice spedizione di Roma. Re Ferdinando fu costretto a fuggire in Sicilia, rovistò prima nei Banchi. per togliere quanto ci fosse per avventura rimasto. La dote, dei ducati tre milioni e mezzo, che, per le sue stesse ordinanze del 1796, si doveva considerare come sacra ed intangibile, aveva subito parecchi salassi.

Nei volumi di dispacci, di rappresentanze, e di conclusioni dei vari banchi, si trova una moltitudine d'ordini per sottrazioni di moneta metallica dalla riserva immobilizzata. Eccone uno.

Banco Pietà - Conclusione - "Essendo stata partecipata, dalla Real Griunta dei banchi, a questo governo del Sacro Monte e Banco della Pietà, la seguente Sovrana risoluzione, alla medesima pervenuta dalla Real segreteria di giustizia, in data dei 14 del corrente giugno (1796) ed a quella comunicata dal generale Acton: di essersi da S. M. ordinato che, per supplire alle spese dell'esercito in campagna, ed attualmente in parte accantonato. si passino subito a1 ramo militare cinquecentomila ducati. metà in polizze dal fondo dei denari vincolati. e l'altra metà dal medesimo fondo e per esso dai tesori o dote dei banchi. in oro ed argento, secondo le quantità convenienti ed atte ai trasporti. onde potersi pagare in contanti il prest delle truppe. a tenore del sistema praticato e stabilito con ordine precedente."

"In esecuzione di quale Sovrana risoluzione, si e stimato da essa. Giunta di fare la seguente ripartizione...

"Il Banco Sant'Eligio faccia polizza di D. centomila, in testa del ramo militare, nel modo ordinato, per la sua (piota dei ducati cinqueeentomila, con cambiarla in seguito in contanti, dalla sua dote permanente di numerario, in conto dei ducati duecentocinquantamila, ordinati di pagarsi in contanti...

"I Banchi della Pietà e di San Giacomo Tacciano le polizze di D. 75000 per ciascuno. per la loro quota dei ducati 51)0000 in testa del ramo militare, con cambiarla in seguito in contanti dalla dote permanente di numerario. in conto dei ducati 250000 ordinati pagarsi in contanti".

"

Ed i Banchi del Salvatore, del Popolo, dei Poveri e dello Spirito Santo, facciano le fedi in testa del ramo militare di D. 62500 per ciascun Banco, con pagarli soltanto in polizze, a norma dello stabilito coll'enunciata Sovrana risoluzione".

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"Si è perciò dai signori Governatori stabilito e determinato, in esecuzione di tal Sovrana disposizione, di farsi polizza degli enunciati D. 75000, rata ordinata pagarsi da questo Banco della Pietà per la quota dei D. 500000 in testa del ramo militare: con cambiarla in seguito in contanti, dalla dote permanente di numerario, in conto dei D. 250000, come sopra ordinati di pagarsi in contanti,,.

Facendo i conti, troveremmo ch'erano usciti dalle casse più di tre milioni e mezzo, ma, dal 1796 al 1798, i banchi avevano alimentata la coniazione della zecca, passandole molta moneta forastiera e molto argento ricavato dalle confische. Insomma la rimanenza metallica, del giorno 16 dicembre 1798, giungeva a ducati 2,083,734.19 (1) che per la maggior parte stavano nella zecca.

Questo residuo comandò Ferdinando che di notte, con la massima segretezza, avessero trasportato nel castello nuovo.

Dimentichi i Governatori della sorte toccata ai denari che centocinquanta anni prima, per ubbidienza al Duca d'Arcos, s'erano egualmente portati nel medesimo castello nuovo, credettero che veramente S. M. pensasse alla miglior custodia ed a garentirli dai francesi. Le rappresentanze, scritte per questa consegna, delle quali alcune furono spedite ad ore nove di notte, cioè alle due antimeridiane, provano che sinceramente stavano in angustia per la poca sicurezza della stanza loro assegnata, che moltiplicarono le casse, i suggelli, le chiavi.

Una delle lettere dice:

"S. R. M. Signore - Conferitosi questo Governo nella corrente giornata nel castel nuovo, si è trovato di non essersi ancora compite le fabbriche che si erano disposte per la sicura custodia del luogo; per la perfezione delle quali potrà appena bastare la giornata di domani. Ciò però non ostante, abbiamo stimato opportuna cosa di riporre i sacchi di detto numerario nelle casse, per essersi considerato di esser sempre una cautela migliore di tenerlo così custodito ed anche numerato nei sacchi, che buttato per terra disordinatamente".

(1) Rappresentanza 14 Agosto 1800.

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"D'accordo dunque coi Commissario di guerra, D. Gaetano Ciafrone, abbiamo riposto detto numerario numerato nei sacchi, in casse settantasette, ed in un altra abbiamo fatto riporre tutto l'oro. Credevamo che ci dassero le casse di artiglieria, le quali sarebbero state più caute. ma trovandosi queste occupate per altri indispensabili usi, siamo stati nella necessità di comprare settantasette casse di pioppo, tali quali han potuto rinvenirsi, avvalendoci solo per l'oro di una cassa d'artiglieria.,.

"Si è Suggellata ciascuna delle settantotto casse con quattro sigilli di cera di Spagna soprapposti a due fittuccie inchiodate, con essersi adoperati due diversi sigilli, quello cioè di questo banco e l'altro della reale artiglieria. Si è poscia chiusa la porta della stanza con tre chiavi, due delle quali son restate in potere di questo Governo, la terza si è consegnata al Signor Commissario di guerra, giusta le prescrizioni del Capitan Generale Pignatelli,,.

"Non abbiamo mancato di situare separatamente le somme dei ducati novecentomila, per passarsi agl'individui dell'intendenza, giusta gli ordini Reali, quando verrà fatta la richiesta a questo Governo".

"Non mancheremo infine di assistere, per veder terminate le fabbriche, che rendono il luogo più sicuro, e di far seguire in nostra presenza l'apertura di un nuovo ingresso, e la chiusura interna dell'antico; affinché non si manchi, dal canto nostro, a quanto richiede ogni più sopraffina diligenza, facendoci sempre un dovere di dar conto a V. M. di tutto l'operato. E genuflessi al R. Trono, col più profondo ossequio ci riprotestiamo, di V. R. IL-Dal Banco della Pietà li 18 dicembre 1798 - Umilissimi vassalli - Il Duca di Calvizzano-Il Principe di Canosa-Il Duca di Piedimonte- Crescenzo de Marco-Giovanni Talamo

Non minore fastidio clava ai Governatori il non sapersi come regolare per la tassa, cioè per quei pochi carlini che si davano di contanti nei pagamenti o baratti della carta bancale. Ma mentre che scrivevano, e che andavano e venivano dal castello nuovo, la moneta fu clandestinamente imbarcata sui vascelli di Nelson!

Più larghe, formali e pubbliche promesse di restituzione ai banchi, di pagamento della lor carta e di non domandare altre somme, aveva fatto Ferdinando ponili giorni prima, coll'editto stampato, di ottobre 1798, che giova riferire integralmente, perché si vegga quanto poco rispondevano l'azioni alle parole.

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Ferdinando IV per la grazia di Dio ecc. Gli urgenti bisogni dello stato avendoci obbligato a delle moltiplicate e straordinarie spese, affine di provvedere alla difesa ed alla tranquillità di questi Reali Domini, e per allontanare da essi ogni sinistro avvenimento, c'indussero a prendere ad imprestito da' banchi di questa capitale le quantità necessarie a tale oggetto, per non moltiplicare i dazi sui nostri amatissimi sudditi. Nel dar corso ad una tale misura, dettata dalle più pressanti circostanze, noi ci proponemmo nel tempo stesso di rimpiazzare, non meno le somme tolte dai banchi, che le altre che si sarebbero prese da altri rami, per la medesima cagione. A tal effetto risolvemmo ed ordinammo d'imporsi la decima sulla rendita attuale di tutte le proprietà particolari del regno, e di esporsi in vendita i beni di molti luoghi pii, per formarne un fondo di ammortizzazione e destinarlo all'estinzione degl'imprestiti suddetti".

"Non ostante però queste nostre provvide sovrane disposizioni, abbiamo avuto il rincrescimento massimo di veder sorgere un aggio sulle carte del Banco, prima sconosciuto, ed ormai sensibilmente aumentato; ed abbiamo conosciuto in tutta l'estensione le tristi e fastidiose conseguenze che da un tal disordine derivano alle proprietà dei nostri sudditi, alla facilità della circolazione interna, ed ai rapporti di commercio coll'estere nazioni, oggetti essenzialissimi delle nostre incessanti cure".

"Per apprestare dunque un riparo pronto e proporzionato a tali inconvenienti, ed ai maggiori che potrebbero derivarne, dopo matura deliberazione; abbiamo prese le seguenti risoluzioni, che in solenne e pubblica forma annunciamo ai nostri sudditi, per assicurarli su di un oggetto che interessa egualmente e le loro fortune ed il nostro Beai Erario".

"1. Dichiariamo, in primo luogo, che da ora innanzi, per qualsivoglia bisogno od urgenza, non saranno assolutamente aumentate le carte di banco per nostro conto, ne contratti nuovi imprestiti dal nostro real erario coi banchi".

"2. Abbiamo abolita la deputazione che si trovava eretta per la direzione dei banchi, esonerando gl'individui di essa dalle loro incombenze per questo ramo. Nell'atto stesso abbiamo creata una nuova deputazione, composta dei soggetti seguenti, insino a nostro Sovrano beneplacito.

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Il Marchese Mazzocchi, Presidente del S. E. C.; il Marchese Porcinari, Luogotenente della Summaria; il duca d'Atri, il Principe di San Nicandro, il duca di Monteleone, il duca di Marigliano, il Marchese de Petris, il Presidente D. Saverio Manes, il Barone L. Pasquale La Greca, D. Gaetano de Sinno. Abbiamo pertanto ordinato che i nominati soggetti non solamente succedano alle funzioni dell'antica deputazione, ma sieno particolarmente incaricati di escogitare e proporre tutt'i mezzi che crederanno propri ed opportuni a ristabilire ed a consolidare il credito delle carte di banco, e ad esaminare i vari progetti fatti o che saranno presentati su di tale assunto; come anche ad eseguire le ulteriori nostre risoluzioni e provvidenze, che verranno loro comunicate per tale oggetto, che forma una parte essenziale delle nostre sollecite ed incessanti cure".

"3. Nell'atto che abbiamo disposto e sovranamente risoluto di non accrescere di vantaggio le carte di banco cogl'imprestiti; è nostra precisa e ferma determinazione di adoperare tutt'i mezzi efficaci a diminuirne il numero, estinguendole a poco a poco, sino alla quantità corrispondente ai cennati imprestiti che sono stati fatti. Confermando perciò le nostre precedenti risoluzioni, colle quali fu stabilito di dover la decima esser destinata all'estinzione di tutt'i debiti ch'eravamo nell'obbligo di dover contrarre per li pubblici bisogni, dichiariamo ed ordiniamo che la decima suddetta resti da ora innanzi attribuita ai banchi medesimi, in isconto ed in compenso delle quantità da essi somministrate, a titolo d'imprestito, al nostro Real Erario e sino alla totale estinzione del debito.

"4. A tal effetto abbiamo disposto che l'amministrazione della decima, tanto per la direzione quanto per la riscossione, passi alla deputazione nuovamente eretta per lo governo dei Banchi, e venga dalla medesima regolata, nella forma e sul piede stesso con cui trovasi costituita, e con tutt'i pesi che trovansi sulla medesima sinora imposti. Ben inteso che non si possano alterare i regolamenti adottati per lo quantitativo, per la liquidazione, e per lo modo di esazione della suddetta decima, come anche per lo metodo attuale di scrittura introdottovi. E siccome il marchese de Petris, uno dei deputati eletti, è pienamente istruito degli affari di questo ramo. cosi abbiamo ordinato che in detta deputazione egli abbia il carico della commessa di detto ramo della decima, alle cui officine continuerà ad assistere come Sopraintendente, nel modo prima praticato".

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"5. Volendo inoltre che l'estinzione del debito del nostro real erario coi banchi venga ad effetto colla massima celerità. oltre all'annuale introito della decima già attribuito ai banchi, ed oltre ad altri fondi che ci riserbiamo di applicare all'uso medesimo, comandiamo che la cennata deputazione, non solo abbia la facoltà di obbligare, soggettare ad ipoteca ed assegnare in luogo di faciliore esazione, sino alla ragione del sei per cento, oltre il prodotto della decima, anche i nostri beni allodiali e quelli della reale azienda di educazione, ma esponga immediatamente in vendita i beni medesimi. Intendendosi questa facoltà di obbligare e di vendere sino alla concorrente quantità delle somme dovute ai banchi dal nostro real erario".

"6. Per l'oggetto medesimo di agevolare e sollecitare la totale estinzione dell'accennato debito, contratto coi banchi, vogliamo che la deputazione possa anche obbligare, soggettare ad ipoteca ed assegnare in luogo di faciliore esazione, ed esponga pure in vendita, tutti i beni fondi patrimoniali delle università del regno; ancorché si trovassero alle medesime reintegrati, in forza dei stabilimenti contenuti nelle prammatiche 18 e 22, sotto il titolo de administratione universitàtum. Ed affinché si accresca il numero dei beni vendibili, comandiamo che il dritto di reintegra, accordato alle università medesime in forza delle cerniate prammatiche, possa esercitarsi dal fisco; dando al medesimo la facoltà di agire in giudizio, e di far seguire le dette reintegre a beneficio delle università rispettive, ad oggetto di ottenersi poi per mezzo della deputazione la vendita dei fondi che verranno reintegrati"

"7. La rendita dei beni fondi patrimoniali delle università, che si venderanno in forza del presente editto, comandiamo che venga loro compensata annualmente,col rilascio in favore delle medesime di una corrispondente quantità di funzioni fiscali. Nella intelligenza che tanto di questo rilascio di funzioni fiscali a pro delle università, quanto della rendita annuale che viene per effetto di tale operazione a perdere il Real Erario, per la vendita, ipoteca o assegnazione degli allodiali e dei beni dell'azienda di educazione, ne dovrà essere rimborsato, a misura che succederanno, dal prodotto e dal fondo della decima.,,

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"8. Siccome, per nostra precedente disposizione, il marchese Vivenzio trovasi incaricato di vendere i beni allodiali e quelli dell'azienda di educazione a coloro che offerissero argenti; così, sospendendo tale disposizione, vogliamo che il suddetto Marchese Vivenzio non proceda ad ulteriori vendite di siffatti beni; ad eccezione però di quelli pei quali trovansi lino al giorno della pubblicazione del presente editto fatte le offerte, o che si domanderanno in avvenire dai particolari, purché sino allo stesso tempo abbiano esibito gli argenti e dichiarato di volere acquistar fondi, ancorché il fondo non si fosse specificato; essendo nostra mente che in questi due casi continui il marchese Vivenzio ad eseguire le vendite che se gli trovano ordinate".

"9. Dichiariamo solennemente: Che il prodotto di tali vendite ed il fruttato della decima non saranno, né potranno essere, per qualsivoglia urgenza dello stato, investiti in altro uso; ma verranno costantemente ed unicamente impiegati a questa inviolabile destinazione, di estinguere cioè assolutamente ed interamente il debito che il nostro Real Erario ha contratto coi banchi. A tal effetto vogliamo che la nuova deputazione impieghi il prezzo di tali vendite come il fruttato annuale della decima, alla immediata e sollecita ammortizzazione delle carte di banco, sino alla corrispondente quantità del debito del nostro real patrimonio coi banchi medesimi...

"10. Ordiniamo che le vendite, così dei nostri beni allodiali e della reale azienda di educazione, come dei fondi patrimoniali delle università, si eseguano precedente apprezzo, con tenersi presente la rendita e previe le subastazioni, abbreviandosi solamente i termini per gli additamenti di decima e sesta, riducendosi il primo a giorni otto ed il secondo a dodici. E poiché alla nuova deputazione si è data la facoltà di poter ipotecare, obbligare ed assegnare in luogo di faciliore esazione, come pure di vendere anche i nostri beni allodiali, dell'azienda di educazione, ed i fondi patrimoniali delle università del regno; perciò abbiamo creduto necessario, per la dovuta regolarità e per l'indennità dell'interesse fiscale e delle università, che sia inteso ed intervenga in qualità di fiscale, con aver destinato a tal'effetto l'avvocato fiscale del nostro real patrimonio D. Giuseppe Zurlo, perché assuma tale incarico,,.

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"Ed affinché queste nostre sovrane determinazioni abbiano il pieno effetto, e si rendano note nella maniera più solenne e rituale, vogliamo e comandiamo che questo editto si pubblichi nei luoghi soliti della capitale e delle province del regno; ed in pubblica testimonianza sarà da noi sottoscritto, munito col suggello delle nostre reali armi, riconosciuto dal nostro Consigliere di stato e segretario di stato di azienda, e Presidente del supremo consiglio dello Reali Finanze, visto dal nostro Protonotario ed il suo visto autenticato dal segretario della nostra Real Camera di Santa Chiara. - Napoli-Ottobre 1798.

Ferdinando-Saverio Simonetti-Sigillo-Vidit Mazzocchi Praeses, Vice Protonotarius-Dominus Rex mandavit mihi Petro Rivellini a segretis-A ventidue di ottobre 1798.

Io sottoscritto lettore dei regi bandi dico di aver pubblicato il reale editto, con li trombetti reali, nei luoghi soliti e consueti di questa fedelissima città di Napoli".

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8. Partito Ferdinando, nelle giornate di confusione e di tumulti che precedettero l'arrivo dell'esercito "francese, corsero grave pericolo d'incendio e di saccheggio i banchi, specialmente quello dei Poveri. Una deliberazione 7 febbraio 1799 concede al cittadino Giacinto Virzo, nostro portiere, Duc. 19, tanti da esso spesi così per ricognizione alla gente armata, chiamata a tenere in ordine gli avventori concorsi nel nostro banco, per la tassa del numerario, nei tumultuosi giorni precedenti l'arrivo in ' questa Città dell'armata francese, come per ricognizione anche data alla gente chiamata per smorzare il fuoco, attaccato dopo l'arrivo di dett'armata in una casa dirimpetto la Vicaria (1) e ciò per allontanare ogni pericolo dal nostro Banco.,. A molti altri impiegati si concedette una gratificazione. per avere messo in pericolo la vita, coll'andare quei giorni all'ufficio. I Preposti medesimi fecero sentire:

"5 Febbraio 1799 - Libertà - Uguaglianza - Alla Deputazione de' Banchi. Li cittadini Governatori del Banco della Pietà fanno presente alla Deputazione dei Banchi non essere in grado di potere esercitare l'uffizio di mensari, nei giorni stabiliti per la tassa.

(1) Adiacente al Banco.

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Le minacce che fanno i cittadini. che un giorno potrebbero verificarsi ed i continui pericoli uniti agl'insulti, hanno cagionato tal timore nell'animo dei cittadini governatori che niuno ha il coraggio di presentarsi nei giorni stabiliti nel banco suddetto, se non si trova un rimedio sicuro di mettere in salvo le di loro vite, le quali sarebbero pronti a sacrificare quando si trattasse per il bene della Repubblica, ma non già per il capriccio dei facinorosi. Quindi fanno di tutto partecipe la Deputazione, affinché prenda quegli espedienti che stimerà opportuni per far servire i cittadini e per non mettere a cimento li cittadini governatori. Sulle intelligenze che il rimedio dev'essere sollecito e prima del giorno di domani. Salute e fratellanza...

Gli ospedali delle prigioni, che il Monte dei poveri teneva alla Vicaria ed a San Francesco, furono svaligiati, perché i carcerati scapparono; portando via tutti gli arredi od oggetti mobili (2).

(2) «Banco dei Poveri - Conclusione 28 ottobre 1799 - Per i popolari tumulti, accaduti in questa capitale nei principii di questo corrente anno, furono saccheggiati tutt'i letti, e gli utensili addetti ai medesimi,di pertinenza del nostro banco, che erano esistenti nella G. C. della Vicaria e nell'Ospedale di San Francesco di Paolo fuori Porta Capuana, per l'opera che dallo stesso nostro Banco si eserciti a favore dei carcerati di Vicaria. Essendo quindi entrate in questa dominante le gloriose e vittoriose armi di S. M,( D. G. ) ed abbattuta l'anarchia della sedicente repubblica, la M. S. sempre intenta al sollievo dei suoi amatissimi sudditi, si compiacque con suo R. Dispaccio, spedito per la R. Segreteria di Stato ed Azienda,del di 1° del passato agosto, di ordinare a questo Banco la pronta costruzione di tutt'i letti bisognevoli per siffatta opera: per cui, a vista dei Reali Comandi, furono date le necessarie disposizioni per l'esecuzione;non essendosi tralasciato in tal rincontro di supplicare la prefati M. S. per la facilitazione del contante,necessario per l'acquisto dei generi bisognevoli. Ma avendo Sovranamente il Ile (D. G.) disposto, con altro suo R. Dispaccio dei 6 del medesimo passato arrosto, che avesse il Banco pensato il modo di acquistare il contante bisognevole, si stabilì costruire i letti suddetti coll'aggio sulle polizze. Ora, costrutti i ridetti letti,si sono esibite in banca le corrispondenti note dell'importo di essi; per cui si è conchiuso spedire le sottonotate polizze, a norma delle infrascritte note certificate dal sig. Deputato dell'Opra, e dal nostro Razionale,come sopraintendente dell'opera medesima, cioè ecc. ecc.» Si spesero ducati quindicimila circa per trecento letti. La lettera ministeriale alla quale si accenna diceva:» Sig. Governatori del Monte e Banco dei Poveri - Il Direttore di polizia D. Antonio della Rossa, con sua relazione in data d'oggi, ha fatto presente che i presi di stato, che sono ai granili del ponte della Maddalena, vengono attaccati da una febbre maligna che può produrre sinistre conseguenze in tutta la città; che, mancando in quel luogo un ospedale, sarebbe opportuno per tale oggetto l'ediflzio di San Francesco di Paola fuori Porta Capuana, senonchè manca di letti perché furono involati dal popolo nella passata insurrezione; e finalmente che essendosi fatta premura a cotesto Banco, a cui spetta un tal peso, acciocché si fornissero i detti letti, si sia dalle SS. LL. 111. incontrato dubbio, atteso la perdita che si farebbe sul cambio delle carte».«In vista di una tale rimostranza ha comandato il Re che cotesto Monte e Banco, trattandosi di una spesa che interessa la pubblica salute, adempia subito al fornimento dei letti necessarii al detto ospedale, nonostante le difficoltà proposte, e che, qualora abbiano bisogno di qualche coadiuvazione, riferiscano senza impedire l'esecuzione di questa Sovrana volontà. Nel Real nome la Real Segreteria di Finanze lo partecipa alle SS. LL- Ill. per lo pronto adempimento, nell'intelligenza di essersene passato il corrispondente avviso al Direttore di Polizia La Rossa. - 1 agosto 1799. Giuseppe Zurlo.»

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Onesta si mostrò la repubblica Partenopea, che dichiarandosi:penetrata della gran verità che la rigenerazione di un popolo non può effe Unirsi senza un gran rispetto ai principi della morale e della giustizia pubblica. E considerando, nel tempo stesso, che sebbene le dilapidazioni e depredazioni del passato Governo, tanto sui banchi che sulle casse pubbliche, non siano tornate che a profitto particolare della Corte e ad utile degl'infami agenti" pure, avendo riguardo alla buona fede dei creditori, ed alla violenza subita, metteva sotto la guarentigia nazionale tutto il debito pubblico del paese. Ebbe carico il Comitato di Finanza di studiare e proporre, nel minor tempo possibile, gli espedienti acconci per pagare questo debito, e le proposte furono; di vendere immediatamente i beni della famiglia dei Borboni, e di levare dalla circolazione le carte bancali, che si darebbero per pagarli. Ciò s'incominciò a fare, e nel maggio 1799 avevano già ritirati ducati 1,600,000 circa, che racconta Colletta avere il Ministro di Finanza mostrato al popolo, ed annullate definitivamente in occasione di una festa civile.

Cercò il governo provvisorio di procacciare ai banchi un po' di valuta metallica, pei pagamenti giornalieri, e di levare dal commercio li polizzini di piccolo taglio.

"Repubblica Napoletana-Governo Provvisorio-Comitato di Firenze - La quantità immensa delle carte di banco, che, per un tratto di perfidia del passato regime, inonda la repubblica, è un male assai grave, su cui il nuovo governo ha fissata tutta la sua attenzione, per apprestarvi l'opportuno rimedio. Il primo salutare passo ch'egli diede fu di dichiarare debito della nazione quell'ingente vuoto, che la dilapidazione, la mala fede e la rapina di una corte iniqua aveva cagionato. Se la nazione non si fosse caricata di tal debito, le fortune di tutt'i particolari sarebbero state in un momento sconvolte, e risultata ne sarebbe quindi la pubblica miseria. Dopo questa così interessante operazione, non si è arrestato il governo nella sua lodevole intrapresa, ed in atto sta rintracciando

Il Ministro non solamente costrinse il Banco a spendere più del doppio perché con gli dette la valuta metallica, che aveva lasciato lasciato intendere volesse concedere, ma gli tolse dopo pochi giorni le coverte comperate.

«Avendo Sua Maestà risoluto e comandato che tutte le mante di lana, le quali si trovano acquistate, siano addette per l'urgente bi fogno della truppa, che n'è sprovvista, possono le SS. LL. in altra maniera ed interinamente provvedere per gli ammalati, nell'ospedale di S. Francesco di Paola esistenti. Nel Real nome ecc. - 18 settembre 1799 -Gius. Zurlo.»

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i mezzi efficaci a far scomparire, colla maggior sollecitudine possibile, una tal'enorme massa di carta, ed a sostituirvi l'effettivo numerario. Mentre però egli si applica a togliere la radice del male, si vede nella necessità di stabilire alcuni spedienti, che stima propri, e per far versare nelle casse dei banchi quella maggior quantità di numerario che sarà possibile, e per farla distribuire, colla dovuta eguaglianza, a tutte le persone le quali si presenteranno nei banchi medesimi. Perciò, il comitato di finanza, anche in seguito di appuntamento fatto dall'intiero governo provvisorio, nella seduta del 23 corrente ventoso, dichiara e decreta quanto segue".

"1. Creasi una commissione di sei probi ed intelligenti cittadini, che abbia cura di esaminare e visitare i libri di tutte le casse pubbliche d'introito, come sono quelle degli arrendamenti, della dogana, del lotto ed ogni altra pubblica cassa, acciò si veda qual contante si sia ricevuto e si riceva nelle medesime, per farlo versare nei banchi".

"2. Tutti li polizzini, che si ritroveranno nelle mentovate casse, li debba la detta commissione far bollare nei rispettivi banchi, e farli convertire in una fede di credito; acciò tali polizzini non siano più in commercio".

"3. Resta assolutamente vietata la formazione dei polizzini di cassa".

"4. A niuno è lecito di notare in fede polizze colla direzione del pagamento a me medesimo, in somma minore di ducati dieci, essendo permesso notarle nella somma da ducati dieci in sopra".

"5. Non è proibito di notare in fede polizze di qualunque tenue somma, purché il pagamento sia diretto a persona diversa da chi paga e si esprime la causale.".

"6. Per formare la commissione suddetta si eliggono i cittadini Filippo Russo, Andrea Cinque, Gennaro Cantalupo, Nicola Mastellone ex marchese, Giustino Battiloro e Giuseppe del Re.

"Napoli 25 ventoso-Anno 7° della libertà-Rotondo".

La presidenza della commissione fu, nel giorno seguente, data al Rappresentante De Filippis.

La tassa, o pagamento della frazione in moneta contante, fu fissata a cinque carlini, con questo manifesto.

"Libertà - Eguaglianza - La Municipalità provvisoria di Napoli. - Ad oggetto di ovviarsi, per quanto si può, il disordine che vi è nelli banchi, nelle tasse finora fatte dalli rispettivi governi; la Municipalità ha stabilito,

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che da oggi in avanti, dovendosi a tutti li cittadini, indistintamente, pagare carlini cinque, non vi sia più bisogno di tassa. E che, in luogo delle indicate tasse, si abbiano da ciascun banco a formare gli biglietti stampati, contenenti il si paghi, con sua particolar cifra. Questi distribuirsi alli cittadini, dalle ore cinque prima di mezzogiorno fino alle ore tre, similmente prima di mezzogiorno, quale tempo decorso niun altro cittadino abbia più il dritto di pretendere il biglietto cifrato. E coloro poi ch'esibiranno detti biglietti stampati, colla polizza, riceveranno li stabiliti carlini cinque; dovendo li cassieri rispettivi ritenersi li biglietti stampati; per poterne fare la distribuzione nel l'altra giornata di banco. Salute e fratellanza-Napoli 11 Piovoso (v. s. 30 gennaio) Anno primo della repubblica napoletana - Bruno Presidente-Moltedo Segretario - Nella stamperia di Gennaro Migliaccio".

Ma, quantunque la repubblica si dasse molto da fare perché il provento in moneta del dazio consumo, e di qualche altra imposta, giungesse nei banchi, spesso succedeva che a questi mancava il contante, per la distribuzione dei promessi cinque carlini. Da ciò baruffe, minacce, qualche volta legnate.

Gli ordini dei vari Comitati facevano grande confusione, ed i governatori della Pietà, con lettera 2 marzo 1799, mostrarono di aver perduta la pazienza, dicendo: Fateci sapere quali si debbano eseguire fra' comandi contraddittori, che ci pervengono. Manifestarono pure come il peggior flagello fossero i soldati civici, che invece d'aiutarli e di mantenere l'ordine, commettevano soverchierie ed insolenze; s'intascavano quella moneta che, con tanti sudori, avevano raccolta pel pubblico.

L'idea di assegnare il chiostro di S. Domenico, pel pagamento della tassa, fece scrivere dai monaci questa graziosa petizione.

"Libertà - Eguaglianza-Li cittadini religiosi di San Domenico Maggiore al cittadino Chiamponet (sic) Generale in capo. 19 Piovoso-Anno 7.° della repubblica francese e 1.° della Napoletana. Voi, Cittadino Generale in Capo, ci avete liberato dai ferrei ceppi, e ridotti a quell'essere di libertà in cui ci ha creati l'Ente Supremo. Noi, nel rendervene infinite grazie, vi abbiamo dimostrato la nostra vera gratitudine, ed il legittimo e schietto nostro spirito democratico, appena giunte le vostre gloriose truppe, nell'apparecchiare l'alloggiamento per 150 soldati. Noi abbiamo in convento 19 francesi coi quali trattiamo, e ci pare di essere coi medesimi nelle antiche delizie di Capua.

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Ora il Banco di San Salvatore vuol trasferire domani la tassa nel convento, non nostro, ma tutto vostro. Voi dovete proteggerlo, voi dovete allontanare dal medesimo quell'oscura reliquia di realismo (!), che noi abbiamo sempre abbonito. Se giunge il suddetto Banco a porre domani la succennata tassa, i nostri e vostri bravi francesi non avranno più sito ove riposare dalle lunghe sofferte fatiche. Noi ieri fummo i primi a pagare la nostra tangente di D. 500, di cui fummo tassati, e per voi, Generale in Capo, e per le truppe la sborsammo in poche ore, pronti al di più, se ci volete. Desideriamo solo che ci allontaniate, mercé la vostra giustizia, dal convento la succennata tassa, che porrebbe il convento medesimo nella fisica impotenza di più dimostrarvi il nostro amore, oltre all'infinito incomodo che, postasi la detta tassa, darebbe agli uffici di quella religione di cui voi siete il Padre e il Protettore - Salute e fratellanza".

Si tentò di scemare l'aggio, mediante ordinanza 27 Fiorile, anno 7 (16 maggio 1799), che proibiva di barattare la moneta contro valuta dei banchi, a ragione maggiore di quaranta per cento. Ma quest'arbitraria determinazione non fu rispettata da nessuno. Parecchi documenti provano che la perdita, pei possessori di carte, giungesse allora al 70 per cento circa.

Ci sono, di quell'epoca, molti ordini di permettere gli spegni con carte, cui mal volentieri ubbidivano i governatori. Dalla corrispondenza si scorge l'incertezza di chi comandava, qualche volta di prendere e qualche volta di respingere la carta; ciò che poteva derivare sia dal non avere capita la quistione, sia da pressioni di mestatori, sedicenti patrioti. I banchi fecero quanto potettero per salvare il credito dei loro Monti di pietà, e perché almeno questi usassero la sola moneta contante.

Opportuno provvedimento prese il Ministro di Finanza, Macedonio, nel giorno 28 Fiorile, o 17 maggio 1799, col rinnovare e rendere più efficace la proibizione di avvalorare altre polizze o polizzini, da ducati dieci in sotto, e coll'ordine di ritirare quelli già messi in circolazione. Così tutt'i danni del corso forzoso li facevano subire dagl'individui più o meno agiati: ma le piccole contrattazioni e le giornaliere comprevendite si compievano con valuta d'argento o di rame. Era questo un modo d'affezionare la plebe al governo repubblicano, che concordava colle massime democratiche del tempo.

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La lettera di Macedonio ai banchi dice che non potessero notare in fede polizze minori di Duc. 10, salvo pei pagamenti dovuti alla repubblica. La finanza avrebbe accreditato sulle proprie madrefedi le polizze e polizzini, per le quali si faceva eccezione, senza poterli rimettere in circolazione; e per maggior sicurezza era comandato ai banchi d'annullare con bollo rosso tutte le carte di valuta minore di Duc. 10, a misura che sarebbero presentate nelle casse. Le pubbliche ricevitorie di dogana e d'arrendamento, alle quali prima era proibito di prendere carta, potevano accettare questi piccoli valori, che il governo desiderava scomparissero nel minor tempo possibile. Per gli stipendi, pensioni, assegni ed altri pagamenti mensili dei banchi, se la somma fosse minore di carlini venticinque, doveva l'istituto consegnare moneta; se poi fosse maggiore di carlini venticinque, ma inferiore a Duc. 10, si potevano anticipare due, tre, quattro mesi, operando un sol pagamento con polizza del valore prescritto. Vendendo pegni per mancato riscatto, di ciò che spettava al banco potevano far polizza o polizzino, qualunque fosse il valore; ma il supero, dovuto al proprietario del pegno, bisognava pagare in contante.

Il fisco dette soli ottomila ducati per l'annullamento della piccola carta; al resto dovevano pensare i governatori dei banchi. Ma costoro, dopo qualche tentativo di comperare argento, e dopo d'essersi serviti delle reste dei pegni (1), tornarono ad emettere polizzini ed a pagare con piccole carte, per la positiva impossibilità di fare diversamente.

L'amministrazione repubblicana non potette colmare il vuoto dei banchi, e non potette nemmeno impedirne l'allargamento, perché in quei sei mesi altre fedi furono poste in circolazione, ed i tempi non erano tali da far rivivere la fiducia ed il credito.

(1) 1799 li 8 giugno - Banco Pietà - Dovendosi prontuariamente pagare di contanti, a tenore della legge emanata, alcuni pesi di questo banco, della somma da carlini ventiquattro in sotto, né essendosi fìnanco incettato alcun quantitativo di numerario, pel pagamento suddetto, giusta il disposto con differenti inviti; perciò si è da questo Governo stabilito, per evitarsi un danno al banco, per la compra della somma suddetta, che li cittadini credenziere e cassiere delle vendite improntino la somma di ducati duecento, dal denaro a lor pervenuto dalla vendita dei pegni di questo suddetto Banco, al cittadino cassiere Serafino Vittori, il quale dovrà eseguire il pagamento delle suddette somme di carlini ventiquattro in sotto. Con doverne essere rimborsati, essi credenziere e cassiere delle vendite, dalle somme che per tale oggetto s'incetteranno in appresso.

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Ebbe pure un gran torto, che fu quello d'esprimere l'idea di servirsi dei beni patrimoniali. Ferdinando IV aveva fin allora considerato li banchi come creditori, promettendo molte volte di restituire la moneta della quale s'impossessava, e di estinguere, con proventi fiscali, le polizze create per suo comando; ma la Repubblica Partenopea parlò di vendita.

"Libertà-Eguaglianza - Repubblica Napoletana - Napoli 5 Pratile, anno 7 repubblicano - La Commissione esecutiva".

"Volendo la commissione esecutiva dare alla legge del 17 fiorile la dovuta esecuzione, perché, posti al più presto possibile in vendita tutt'i beni antichi dei banchi, tutti gli altri alla lor dote aggiunti, e quei che in appresso le si andranno aggregando, possansi estinguere le carte bancali e coprire il vuoto dei banchi, ha creato una commissione dei seguenti individui",

"Cittadino Francesco Carpi commissario del Governo - Giuseppe de Rogati - Franco Laghezza - Andrea Cinque-Michele Quaglia relli-Domenico de Sinno-Domenico Mastellone - Assisterà come commissario del Governo il cittadino Francesco Carpi".

"A questa commissione, oltre di esserle pienamente affidate tutte le facoltà, per l'esatta esecuzione della cennata legge dei 17 fiorile, e tutte le altre ch'erano state delegate dal passato governo alla deputazione dei banchi (ch'è rimasta abolita), le si son trasferite ancora tutte le altre necessarie, perché un oggetto, che tanto interessa la repubblica, sortisca tutto il buon effetto".

"A questa commissione dunque, da cui l'amministrazione dei banchi, la vendita dei loro beni antichi e nuovi, l'estinzione delle carte ed il ripianamento del lor vuoto dipende, debbono diligersi tutti quei cittadini che possono avervi parte o interesse".

"Può esser sempre più sicuro il pubblico, per queste disposizioni già date, che il governo non trascura mezzo per sollevarlo sollecitamente dal flagello delle carte, e dall'avidità dei venditori di monete, che tanto sanno profittarne".

"Ercole d'Agnese, Presidente - Carcani Ferdinando, Segretario Generale".

Manifestato nettamente il disegno d'usare un capitale raccolto con trecento anni di fatiche e di parsimonia, Zurlo, Medici ed altri agenti Borbonici l'eseguirono, come ora diremo.

Nel 1799 si soppresse il dazio sulla farina, ed altri arrendamenti che non appartenevano alla finanza; ma questo dono, ispirato dalla voglia d'aver fautori nella plebe, era pagato per forza dai proprietari dell'imposta,


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ai quali la repubblica non ebbe tempo di promettere compensi (1).

Abbiamo anche prove di violenze fatte per aver denaro, come per esempio questa deliberazione del 23 dicembre 1801: "Faccia altresì (il Razionale) bollettino per la somma di Duc. 4000....che, a viva forza e con mano armata, furono esatti dal Banco dalla passata anarchia, a 12 giugno 1799. Lo dia (il bollettino)al magnifico cassiere maggiore di nostro Banco, in rimpiazzo dello sbilancio in cui è la cassa maggiore, per simil somma, di conto vecchio, dalla medesima estratta nel modo di sopra indicato, per ordine di quel sedicente Ministro delle Finanze Macedonio, e dell'altro della guerra Manthonè, senza la esibizione della polizza originale". Tanto chiasso per 4000 ducati, quando l'amministrazione Borbonica aveva già preso molti milioni dai banchi (1), e si preparava a pigliarne altri tre!

(1) delib. dei Gov. del Banco della Pietà - 20 giugno 1800. - Essendosi, dai consegnatari dell'arrendamento delle farine, fatto ricorso a S. M. (D. G.) acciò si compiaccia di far rimettere il dazio che si ricavava prima sulle farine anzidette, e che fu tolto nel tempo della passata anarchia, ed essendosi nel tempo stesso fatta offerta alla prelodata M. S. di voler rilasciare in beneficio dei Regio Erario l'importo di un annato di fruttato dei rispettivi loro capitali, che possedono sull'arrendamento medesimo, in aiuto delle necessarie e straordinarie spese dello Stato; perciò, possedendosi da questo Sacro Monte e Banco della Pietà, sul detto arrendamento, il capitale di D. 74,500 circa; si è dai signori Protettori data facoltà al loro collega Barone D. Gennaro Bammacaro, di poter sottoscrivere il ricorso anzidetto, e fare l'offerta medesima in nome del suddetto Sacro Monte e Banco.

(1) Non s'è potuto mai conoscere il conto dei capitali ottenuti dal fisco, alla fine del secolo XVIII, mediante circolazione forzosa di carta nominativa, vendita dei beni patrimoniali dei banchi e consegna delle loro riserve di moneta metallica. Gli stessi ministri, Medici, d'Andrea, Bianchini, che dalla corrispondenza risulta avessero varie volte domandata questa notizia, tanto importante per la storia economica del Regno di Napoli, non ebbero risposte soddisfacenti. Cifre probabili sembrano le seguenti:

Somme prese a titolo di mutuo per la cassa militare, giusta il dispaccio riferito a pag. 344, ed altri molti dello stesso tenore, dell'epoca 1794 a 1798.

Banco S. Giacomo D. 2,200,397,27

« Popolo « 2,190,246,49

« Salvatore « 2,196,246,41

« Pietà « 2,206,396,67

« Sant'Eligio « 2,470,323,97

« Spirito Santo « 2,318,071,89

« Poveri « 2,196,246,45

D. 15,789,929,15

Non si può distinguere la porzione data in moneta effettiva, che si tolse dalle casse, e quelle rappresentata da carta cioè, fedi di credito che la tesoreria fece avvalorare per suo conto, e mise in circolazione col darle per pagamento ai propri creditori.

Sbilanci di madrefedi della tesoreria stessa, cioè mandati posti in circolazione senza che ci fosse il relativo credito sul conto corrente.

- 360 -

Anarchia vera si provò nei giorni che seguirono l'entrata a Napoli del Cardinale Ruffo, con le bande Sanfediste, quando i patrioti tentavano ancora di difendersi nel Castel Nuovo, e la città stava in potere della canaglia. Illustri scrittori (Cuoco, Colletta, Botta ed altri), raccontano le uccisioni, gl'incendi, le grassazioni. Anche il Banco S. Giacomo si tentò di spogliare, e furon salvati gli archi vii, con quel poco che c'era nelle casse, dall'impiegato Giuseppe Parlato. Costui teneva le chiavi di tutte le officine, e, come dice una deliberazione, 18 marzo 1804 per fuggire dal furore del popolo, che lo ricercava per avere in mano le chiavi del Banco e saccheggiarlo, serbando al Banco quella fedeltà che se gli doveva, si rifugiò colle suddette chiavi addosso sull'organo della chiesa, ed ivi rinserrato si contentò di starsene nascosto, dalla mattina per tempo sino alle ore avanzate della sera, senza neppure prendere il minimo ristoro e con pericolo della sua propria vita". Furono però saccheggiati l'ospedale S. Giacomo e molte case adiacenti, compresa quella del Parlato. Da quell'epoca è rimasto sempre nella famiglia Parlato l'ufficio di custode della cassa S. Giacomo.

San Giacomo D. 8,811,40

Popolo

«

61,916,65

Salvatore « 40,559,44

Pietà

«

75,930,80

Sant'Eligio « 74,750,98

Spirito Santo

«

431,371,33

Poveri « 44,686,74

D.

I beni patrimoniali dei banchi, consistenti nelle partite d'arrendamento, ch'erano i fondi pubblici d'allora, ed in case, terreni, crediti ecc., si possono computare per ducati quindici milioni circa.

Gli argenti confiscati alle chiese, monasteri e cittadini, che si controcambiarono con fedi di crediti, sono stimati dal sig. Matteo de Augustinis (Della condizione economica del regi o di Napoli pag. 231) per ducati 23,982,700; altri scrittori riferiscono cifre diverse, ma questa pare che sia presa dai conti del Razionale Marchese Vivenzio.

I depositi giudiziari], che pel dispaccio 25 novembre 1793 (pag. 318) eran divenuti debito fiscale, le partite non disposte, caducate e devolute, i beni dei rei di stato, le somme intestate alla cassa di campagna, parecchie rimanenze a credito ed altri cespiti di cui si servì la tesoreria per diminuire l'apparente suo debito coi banchi, mediante scritturazioni contabili che li fecero passare all'attivo delle madrefedi fiscali, si calcolò approssimativamente che potessero valere da 20 a 24 milioni di ducati.

Altri capitali, che si possono valutare per un paio di milioni, si dettero al Senato ed alla colonna olercia (Municipio di Napoli). Furono argomento di lunghe trattative, e di molte stipulazioni notarili, nelle quali intervenne lo Stato, ma la malleveria di quest'ultimo non valse pel rimborso.

- 361 -

9. Debellato il partito repubblicano, uno dei primi atti del Cardinale Ruffo, comandante delle truppe Borboniche, fu di costituire

una

Giunta dell'esame delle polizze

, per sequestrare le ragioni creditorie contro degl7 Istituti, consistenti in carte monete nominative, che per qualsivoglia ragione o pretesto si potessero sospettare devolute al rimesso Governo. Crii ordini spiccati da tale Giunta dicono:Magnifici ufficiali del Real Banco di San Giacomo; li ducati 79187,02, sistentino in vostro Banco, in credito dei nomi della qui annessa descritta nota, ne farete due fedi di credito, in testa della Regia Corte, una cioè di D. 42000 e l'altra di D. 37187,02

non ostante che non si esibiscano le polizze e fedi di credito

, e

non ostante qualsivoglia condizione o sequestro;

e ciò in esecuzione dei Reali ordini, in data dei 18 novembre, comunicati per l'adempimento a questa Giunta. Dalla Giunta dell'esame delle polizze, "li 25 novembre 1799, Giovanni Andrea d'Afflitto, Luca Savarese, Giuseppe Marciano".

Vuole il Cav. Petroni che la somma ottenuta dai sette banchi, con molti ordinativi, tutti di questo tenore, fosse di D. 517,400.93. Appare dagli atti che i Governatori non solamente dovettero tollerare l'inquisizioni sui libri d'emissione, cosa proibita dagli statuti, ma consentirono e parteciparono ad abusi nuovi nella storia del credito Napoletano. Possessori delle carte eran quelli che l'avevano prese in buona fede, o per dir meglio erano stati costretti ad accettarle dalle leggi del medesimo Re Ferdinando. Quasi tutti quei possessori non avevano avute relazioni di sorta col governo repubblicano, e le fedi o polizze, che la Giunta faceva riscuotere dal Fisco, erano arrivate nelle loro mani per pagamenti ricevuti o per un fatto qualunque di natura contrattuale.

Altri Duc. 201,286.40, saldi di madrefedi, cioè reste a credito di conti correnti, si passarono egualmente all'attivo del fisco, e non si tenne conto della inesistenza del titolo, per essersi l'originale madrefede dispersa, o portata via, od anche distrutta dagli agenti della Repubblica Partenopea.

Poco diciamo dei soprusi di ogni sorta, pei quali fu disordinata la ragione amministrativa dei banchi, e dei tirannici provvedimenti presi contro degl'individui sospetti d'aver parteggiato per la repubblica, contentandoci di trascrivere qualche documento.

1.a 1° ottobre 1799.-Banco del Popolo - Conclusione -La suprema Real Giunta di Stato, con diversi suoi ordini rimessi al Banco, ha disposto il sequestro di tutte quelle quantità sistenti in testa di moltissimi rei di stato, e di quelle pagabili alli medesimi, a norma di più note, complicate negli stessi ordini, nelli quali sono allistati i nomi suddetti.

- 362 -

Essendosi prontamente dato esecuzione agli accennati ordini, con eseguire l'indicato sequestro, ha siffatta operazione prodotto un significante ritardo al dovuto passaggio delle polizze; giacché conviene, per potersi passare ciascuna polizza, di riscontrarla prima colle lunghissime note dei rei suddetti. Convenendo pertanto, agl'interessi del luogo e del pubblico, di non attrassarsi affatto l'importante passaggio delle polizze, si è procurato dai signori del Governo di prendersi quegli espedienti più proprii, onde evitarsi l'accennato attrasso. Chiamati quindi i pandettarii di nostro Banco, per inculcarli la pronta sollecita visura delle polizze da passare, costoro hanno esposto essere inabilitati nella loro incombenza, perché pretendesi, dal Libro Maggiore di nostro Banco, che i pandettarii medesimi siano responsabili del sequestro del girante e del giratario; cosicché gravandoli del peso di osservare due volte, nell'intero allistamento dei rei suddetti, ogni polizza che passar si deve, fisicamente non potranno adempiere il loro dovere se non per metà, e quindi inevitabilmente ne risulterà un significante attrasso. Prese intanto in giusta considerazione le espresse ragioni dei pandettarii suddetti, e considerandosi che, per antichissima pratica del nostro Banco, sempre e costantemente il libro maggiore è stato responsabile de' sequestri assentati su i libri di suo carico, perla quantità in testa di ogni creditore apodissario del Banco medesimo; si è risoluto: che i pandettarii siano tenuti ad osservare semplicemente nel suddetto allistamento dei rei di Stato il nome del giratario soltanto, restandone responsabili quante volte da essi si passerà qualunque polizza pagabile ai suddetti rei di Stato, annotati negli accennati ordini: restando il libro maggiore solamente tenuto e responsabile de' sequestri apposti ai nomi in testa a' quali le somme esistono su i libri maggiori; giacché in ogni conto di tali nomi già trovasi antecedentemente assentato il sequestro; maggiormente perché si è dato il permesso al suddetto nostro Libro Maggiore di formare libro separato, di tutte quelle quantità sistenti in testa dei suddetti rei, nel quale a prima vista, e dalla sola indicazione del foglio apposto a ciascuna polizza, può immediatamente rilevare se il danaro sia o no sequestrato».

2.° «Conclusione della Giunta di Governo del Banco di Santa Maria del Popolo; - 10 novembre 1799.

"Si paghino alli soprannumeri D. Michele Zamparelli e Giovanni Finto D. sessanta - cioè ducati trenta per ciascheduno, di ricognizione delle straordinarie fatiche fatte, in aver dovuto apporre i sequestri a_ tutti li nomi delli rei di Stato, individuati in due ben lunghe note, rimesse al Governo di nostro Banco dal Cav. D. Gaetano Ferrante - con aver dovuto essi soprannumeri fare tale operazione non solo sopra le pandette e libri di fedi e di arrendamenti; ma anche sopra le pandette e libri maggiori delle notate fedi, oltre delle copie che han dovuto fare di tali note, per passarle agli officiali del Banco.»

3.° «Comanda S. M. che la Giunta novellamente eretta per le carte dei banchi, si applichi all'esame della condotta degl'impiegati nelle officine dei Banchi stessi, ad oggetto di purgarle da tutti quegl'individui che non meritano la pubblica fiducia.»

«S. M. riguarderà come un delitto la più piccola misura che tenda a nascondere il vero, e che in questo importantissimo momento sarebbe infinitamente dannosa al bene del suo E. Servizio e dei suoi fedelissimi sudditi».

«La R. Segreteria di Azienda lo previene, nel R. Nome, a X. 8. Ill.mo per intelligenza della Giunta ed adempimento. Palazzo 8 maggio 1800- Firmato Giuseppe Zurlo.

- 363 -

4.° «Vuole S. M. che la Giunta novellamente eretta per la esecuzione dell'editto pubblicato per le carte di banco, si applichi ad esaminare se convenga far qualche mutazione sulle persone che sono all'attuale governo dei Banchi, e se convenga scegliere altri soggetti nelle piazze vacanti, nella prevenzione che dovrà usarsi in questo punto la maggior vigilanza, per la scelta di persone attive, oneste, intelligenti, e di pubblica fiducia, dando poi conto di tutto a S. M.

«La Real Segreteria lo previene ecc. Palazzo 8 maggio 1800. Giuseppe Zurlo.

5.° 1799 10 settembre - «Essendo pervenuto nel nostro Banco (del Popolo) Real dispaccio dei 3 del passate agosto, con cui la Maestà del Re (D. G.) sovranamente dispose che gli individui impiegati nei varii rami e nelle diverse officine, che continuano e continuar debbano ad essere impiegati, percepiscano i rispettivi soldi; ma esclusi sempre quelli che notoriamente avessero cattive massime, o avessero esercitato un impiego qualunque della sedicente repubblica; si discusse il rollo dei nostri officiali e soprannumerari, e nel medesimo si rinvennero i seguenti soggetti, della condotta dei quali vi era sufficiente motivo a dubitare, cioè:

D. Giuseppe Pacifico

D. Raffaele Salvio

D. Giuseppe Cassini

D. Vincenzo Guercia

D. Nicola Timone

D. Michele Verdone

D. Nicola Montefusco

D. Pasquale Mattioli

D. Mario Mazzari

D Gaetano Severino

D. Aniello Migliore

Pel quale espresso dubbio si risolve: per i primi tre, toglierli assolutamente la provvisione, e per gli altri,sequestrarli i rispettivi soldi, finché avessero chiarita la loro conciotta, con valevoli documenti.»

«In seguito di siffatto stabilimento, propostosi in sessione e discussi i _ documenti da alcuni di essi esibiti, si è risoluto: che i suddetti primi tre, D. Giuseppe Pacifico, D. Raffaele Salvio e D. Giuseppe Cassini, restino privi dei loro soldi ed uffici, per essere stati impiegati, con gradi, nella milizia civica della sedicente repubblica. Per D. Nicola Montefusco, D. Pasquale Mattioli, D. Marco Mazzari, Gaetano Severino e D. Amelio Migliore, avendo fatto constare, con fede di Parroco, Capitano di Ottine e Complateari, non aver essi esercitato impiego veruno, all'infuori di essere stati solamente civici forzati, come dalle fedi medesime, che si conservano nel 23 volume di cautele, fol. 173 a 177, si è stabilito toglierli il sequestro dei loro soldi e permetterli l'esercizio dei rispettivi uffici; e per li restanti, D. Vincenzo Guercia, D. Nicola Timone, e D. Michele Verdone, che non ancora hanno documentata la loro condotta, seguitarsi il sequestro dei loro soldi, fino a che non esibiranno le fedi del loro operato».

6.° Conclusi Banco del Popolo, 16 agosto 1799. «Dal Governo istallato in questo Banco dall'abbattuta sedicente Repubblica, si stabilì censuarsi, per l'annuo canone di Duc. 26,50, a Giovanni Parlato, la casetta sita nella città di Gragnano, che al nostro Banco fu aggiudicata

, in agosto 1798, per ducati 700, dal patrimonio della famiglia Donnarumma. Per effetto del cennato stabilimento se ne eseguì il contratto, mediante strumento stipulato nel dì 9 aprile di questo corrente anno, per notar Antonio Spezzacatena di Napoli, con un'annata di censo anticipata e con patto di potersi affrancare il canone suddetto, per la somma capitale di ducati 700, da effettuirlo fra il decorso di un anno, elasso qual termine e non effettuita l'affrancazione suddetta s'intendeva decaduto dal dritto di affrancare.

- 364 -

In forza dell'espressato patto lo stesso Parlato, con sua fede di credito per nostro Banco, di ducati 690, dei 6 del passato luglio, stimò avvalersi della facoltà concedutagli, ed affrancarsi il censo, con girata in detta fede, chiamando il compimento dei ducati 710, stante li mancanti ducati 20 dipendevano dalla suddetta annata pagata anticipata, di ducati 26,50, e ducati 6,50 restavano in beneficio del Banco per rata di canone corso dal di 9 aprile per li 6 luglio corrente anno. In seguito dell'esibizione di siffatta fede di credito, essendosi incontrato dubbio per la ricezione di essa, per ragione della validità del contratto, tutto si espose con umile rimostranza alla Maestà del Re (D. G.) per li sovrani oracoli, per cui la prefata M. S. si degnò, con suo R. Dispaccio del 12 del corrente agosto, ordinare aversi per nullo il contratto; e, dove si stimasse pel Banco, procedersi ex, integroagli atti legali per la ceduazione, colle debite solennità. Per effetto delle accennate sovrane risoluzioni, si è conchiuso restituirsi non solo la suddetta fede di credito di ducati 690, ma anche spedirsi polizza a detto Parlato di ducati 17,45 in restituzione dei suddetti Duc. 26,50, pagati per l'annata anticipata, stante i mancanti ducati 9,05 si ritengono per rata decorsa dal dì 9 aprile passato, giorno in cui si solennizzò il contratto, per li 12 agosto corrente, giorno del dispaccio con cui resta nullo il contratto medesimo, e si è conchiuso ancora che il nostro procurai. D. Bartolomeo Celeste, agisca nella G. C. della Vicaria per cerzionare a detto Parlato, formalmente, la nullità del ridetto contratto.

Non dimenticarono gli agenti fiscali l'antiche pretensioni sul denaro demortuo, o beni vacanti, rappresentati da erediti apodissari, che le confraterie proprietarie dei monti combattettero al tempo dei Viceré, e che gli stessi Delegati, gente ligia al Ministro, non che la Regia Camera, tribunale amministrativo, avevano dichiarato cavillose e malvage, quando pubblicarono la sentenza di condanna del denunciante Rossi. Ma persone meno coraggiose governavano i Banchi al 1798 e 1799. Costoro, dopo d'aver ripigliato l'ufficio, per dispaccio abbastanza scortese del Ministro (1),

non vergognarono d'inserire nel volume degli atti:

«1799, 29 luglio. Con lettera d'ufficio dell'interino avvocato fiscale, D. Domenico Martucci, delegato delle partite abolite e devolute alla Regia Corte, perché si continui l'operazione intrapresa fin dal caduto anno 1798, per ricuperarsi tanto le partite capitali di arrendamenti e fiscali, che le reste per causa di frutti; come anco le reste di fedi di persone defunte, che non hanno lasciato legittimi eredi, quali, come beni vacanti, appartengono al Regio Fisco.

(1) Siccome V. S. si ritrovava, con Sovrana approvazione, esercitando l'impiego di Governatore del Banco della Pietà, prima della spirata anarchia, così vuole il Re che riprenda E la subito l'esercizio del suddetto impiego. E, dove E,la abbia finito il tempo dello stesso, ha comandato che a norma del solito si facci la nomina del successore, non impedito frattanto l'esercizio, fino a che dalla M. S. non sia destinato il successore. La Real Segreteria di Stato d'Azienda glielo partecipa per sua intelligenza e regolamento. Napoli li 5 luglio 1790. Gius. Zurlo.» La Repubblica Partenopea aveva cambiati tutt'i Governatori dei Banchi, e per quello della Pietà s'erauo scelti i cittadini Vincenzo Avitabile, Ferdinando Montella, Prospero Villarosa e Raffaele Tramaglia.

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Quindi, acciò non resti attrassato il Real servizio, si è chiesto di ordinare alli magnifici Razionale, Revisore, Archivario, ed agli altri uffiziali di questo banco ai quali spetta, che senza il menomo ritardo, e senza scrupolosità di sorte alcuna, diano tutte quelle vendite, bilanci, partite e tutt'altro che occorrerà, e che li verrà chiesto dal magnifico Razionale della Regia Camera, e dalla delegazione suddetta, o da D Tommaso Vandes, a tal uopo incaricato, o dal di lui pro razionale D. Francesco Saverio d'Avila, con farli osservare quant'occorre, e se bisogna anche i libri, così convenendo al Real Servizio. E da signori Protettori si è in seguito stabilito e determinato, che il nostro magnifico razionale disponga di farsi eseguire, colla debita attenzione e prontezza, tutto ciò che si contiene nell'espressata lettera, con passargliene la corrispondente copia, acciò possa a tutto adempirsi dagl'incaricati pel Real Servizio.

10. L'avv. Giuseppe Zurlo, messo a capo dell'amministrazione finanziaria (Segreteria di Azienda) dal Cardinale Ruffo e poi confermato da Ferdinando IV, doveva trovare un rimedio qualunque pel flagello delle bancali a corso forzoso, che aveva fatto sparire l'oro,bl'argento ed eziandio il rame, e che incagliava ogni industria o commercio. Egli stimò necessario che si distruggessero tali carte valori, e scrisse una memoria pel Re, che non fu mai stampata e pare che non esista nell'archivio, ma di cui si possono conoscere i concetti della discussione che poi se ne fece, e dalla seguente sua lettera all'Acton:

«Mi do l'onore di acchiudere a V. S. un duplicato della memoria relativa alle carti bancali, acciò V. E ne faccia l'uso conveniente».

«Io devo aggiungere solo qualche cosa, che la prudenza non mi ha permesso di scrivere. In casi come questo, conviene avere un piano e seguirlo, guardandosi di comunicarlo e metterlo in carta. Al male delle carte non ci è altro rimedio che quello di distruggerle. Senza di ciò non potrà mai ottenersi la felicità e la floridezza del regno. Si possono distruggere in due maniere, o ad un tratto e ad un colpo, o a poco a poco».

«Il distruggerle tutte ad un tratto è una cosa troppo forte. In fondo sarebbe buona, ma, nel momento dell'esecuzione, lo stupore, il timore, assalirebbe tutti; molta gente sarebbe disgustata, molti si crederebbero rovinati, o vedrebbero mancata la loro sussistenza. Il Governo non è abbastanza consolidato per tentare una simile operazione, e la nazione non mi pare atta a ricevere questi rime dii. Conviene dunque pensare ad un altro piano, cioè a distruggerle a poco a poco. Ed è questa la mira che ho avuta nel distendere l'acchiusa memoria».

«Io propongo di riceversi tutto dalla Regia Corte, con l'interesse del 10[0, altrimenti non darsi altro valore alla carta che quello del corso».

«Siccome l'aggio è molto alterato (1), ognuno è verisimile che le dia. L'erario Reale ha i fondi della decima, i quali, necessarii per ora al regio erario, spero che non lo saranno l'anno venturo, quando matura il primo pagamento dell'interesse».

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«Se i particolari non vogliono fare questo contratto, allora imputino a loro stessi questo danno. Le carte si ridurranno al corso e così tutte le ingiustizie ed inconvenienti, che ora sono nel commercio, verranno tolti. Leviamo ogni velo; io credo che allora l'aggio potrà crescere, e credo che sia conveniente di non inquietarsi che cresca, sino a che le carte si riducano a zero, o a tanta piccola ragione da potersi ritirare dalla circolazione. Niuno potrà dire che il Re sia ingiusto, poiché l'unico mezzo che ha di salvare l'interesse dei particolari, lo mette in opera, cioè il cautelarli col tanto per cento. Non ci sarà neanche più danno importante dei particolari, poiché ricevendosi le carte al corso, ed aumentandosi l'aggio a poco a poco, questa perdita si divide e suddivide per tutte le mani per cui passa la polizza, e diventa insensibile».

«Mi permetta l'È. V. di dirle che non conviene dare ascolto a chiunque dica che si debbono sostenere le polizze. Questo è un danno per lo Stato e questo è ancora impossibile. Per sostenerle si dovrebbero dare mille provvidenze, tutte assurde, tutte fatali all'interesse dei particolari e del R. Erario. E pure, a dispetto di tutti gli sforzi, le polizze cadrebbero. La ragione, l'esperienza di tutti i tempi, di tutte le nazioni, deve convincerci di questa verità. Val meglio fare da sé e con prudenti misure una cosa, che esserci sforzato infine dalla necessità».

«Mi permetta inoltre V. E. di aggiungere che sarebbe un errore funestissimo il credere che l'andar radendo un poco di danaro, per metterlo nei banchi, il vendere effetti pubblici, possa dar rimedio a questo male. Io l'ho detto nella memoria, io lo ripeto ancora, questo male è incurabile. Conviene tagliare il nodo, giacché non si può sciogliere».

«Premessi questi principii, dei quali io sono convinto; e dai quali non posso rimuovermi, io ho un vero dolore dal rilevare che l'E. V. sia angustiata dall'aumento dell'aggio».

«Nei principii conveniva fare qualche cosa per diminuirlo, perché dovevano cambiarsi le carte reali (!) Io adoperai quindi alcuna di quelle piccole arti, che possono, per pochi giorni, avere buon successo. Ma rappresentai al Cardinale (Ruffo), ed il Cardinale rappresentò alla M. S. che ciò non poteva esser durevolé».

«Dopo questo tempo, messa l'esazione regia in contanti, dovrà l'aggio ricever qualche aumento. Io ho trattato questa cosa con molta prudenza, perché l'aggio non crescesse a dismisura, attendendo l'approvazione del piano. Ma quando sia approvato, io non ho increscimento che poi l'aggio cresca».

«Anzi io vado preparando tutto, perché la distruzione delle carte non porti danno al commercio. Una sola cosa rimaneva a fare, cioè: che si stabilisse il cambio alla Borsa in effettivo».

«Per ottenerlo, io, senza che persona alcuna se ne accorgesse, suscitai questa controversia, chiamai i Deputati della Borsa. Per buona fortuna, il vero interesse del Re combina questa volta con l'interesse dei negozianti, sicché la maggior parte conchiusero per l'effettivo, altri si opposero».

(1) In agosto 1799 era stato di 18 e 50 per 0|0, come si scorge da qualche conclusione della Giunta di Governo del Banco di S. M. del Popolo. Ci fu leggiero miglioramento in dicembre dello stesso anno, essendo disceso l'aggio a 40 per 0|0, ma dopo tornò a crescere. Prova questa lettera che il temporaneo miglioramento venne dalle pratiche o intrighi di Zurlo, che se ne valse per vendere le carte reali, vale a dire le polizze del fisco.

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"Io dissi di volerlo proporre alla Giunta di Governo. La mia idea era di far risolvere per l'effettivo, allegando però i pretesti di metterci del pari dell'estero ed altri pretesti di giustizia particolare, mai il vero fine. Pervenutami la lettera dell'E. V. ho lasciata la cosa sospesa, contentandomi che i mercanti elicano che io mi sono scordato questo punto, che veramente non ho mai messo in dimenticanza, sebbene per tutt'altro motivo di quello che credono. Ma io ho temuto che questo passo, facendo crescere l'aggio, dispiacesse a S. M.".

"Io prego dunque V. E. a discute; re bene questo affare; per adottarsi un piano dal quale il Governo non debba più rimuoversi. L'affare è troppo grande per non prendere su di ciò un partito, e seguirlo costantemente

"Io non ignoro che la maggior parte della gente troverà, nel] 'esecuzione di questo piano, il mezzo di discreditarmi. Ma io sono persuaso che sia necessario al bene del Real servizio; e tanto basta perché io sia disposto a seguirlo con fermezza, qualora la M. S. si degni di approvarlo. Mi ripeto col maggiore ossequio, di V. E. ecc. ecc.".

"D. S. Io elevo assegnare a V. E. due altri osservazioni. La prima è che queste carte ritirate può avvenire forse che riprendano credito. La seconda, che in questo piano non ci è da temer niente per la pubblica quiete. Le carte sono in mano dei ricchi, non del basso popolo. Anzi, qualora sieno estinte, esce il denaio, e non può allegarsi alcun pretesto per pagare la minuta gente in carta".

Quando si voglia fare astrazione dalla disinvoltura con la quale dimentica il Ministro che il denaro lo aveva fatto prendere S. M.; onde i possessori di carte bancali erano legittimi e veri creditori dell'amministrazione pubblica, bisogna ammettere che il progetto di Zurlo non fosse pessimo. Egli proponeva ciò che si è chiamato dopo consolidare il debito galleggiante, vale a dire la permuta delle fedi o polizze con titoli di credito contro lo Stato, che producessero quattro per cento all'anno. Ma il reddito dell'imposta della decima, che avrebbe dovuto servire al pagamento degl'interessi, si spendeva diversamente a quell'epoca, come lo stesso Zurlo confèssa, e lo scopo, che risulta dalla lettera, non è fare la conversione, sibbene giovarsi dello scredito della carta, dell'aggio che sarebbe aumentato, per pagare il meno possibile.

Acton rispose:

"Ho letto il foglio di V. S. I. del caduto agosto e il duplicato incluso della memoria sulle carte bancali, lo trovo tutto giudiziosamente pensato e disposto. Ne ho dato conto al Ee, che n'è rimasto molto soddisfatto, avendo rilevato da quelle carte le ottime intenzioni, il sapere, la previdenza e lo zelo di V. S. I. per lo vero bene della Eeal Corona, dello Stato, e dei particolari (!)

"Dalle provvidenze che S. M. darà, V. S. I. scorgerà quante si tengano in pregio, dalla Eeal Corona, i savii e buoni consigli di V. S. I. Continui dunque Ella a sempre più distinguersi nel Eeal servizio ed a concorrere, dalla sua gran parte, al risorgimento del Regno, e sia' sicuro della giusta protezione dei RR. Sovrani, i quali non permetteranno giammai che sia fatto alcun torto al nome ed all'onore di V. S. I. la cui buona fama è ormai poggiata su basi solide.

- 368 -

Io, dal canto mio, impiegherò tutta latria opera per renderle tutti quei buoni servigi e uffici che per me si potranno, e lo farò tanto più volentieri, quanto crederò di giovare ad un soggetto del merito di Lei. E qui con sentimenti di distinta stima ecc. ecc."

11. Avuta questa lettera di elogio, Zurlo affrettò la pubblicazione di un ordine del Sacro Regio Consiglio, pel quale tutte le carte bancali, in qualsivoglia riscossione o pagamento, si dovessero valutare al corso della giornata, sottraendo cioè dal valore ch'era espresso nel titolo la perdita per aggio. Poi fece discutere il suo progetto dalla Giunta di Governo, ch'era composta dal Cardinal Ruffo, Filippo Spinelli, Giovanni Antonio di Torrebruna, Emmanuele Parisi, Francesco Migliorini, Marchese Simonetti, Monsignor Torrusio, Domenico Martucci ed altri. Questa Giunta peggiorò la condizione dei creditori, riducendo al 3 °jo l'interesse annuale delle assegnazioni sulla decima, che Zurlo aveva fissato al 4 per cento; più dichiarando, per quanto si riferiva a vendite dei beni demaniali, che il prezzo si sarebbe fissato sulla rendita vera ed effettiva, alla ragione di uno e mezzo o due per cento. Solo il Marchese Simonetti difese la giusta ragione di chi teneva carte bancali.

Trascriviamo i brani del suo rapporto riferiti dal Petroni, sia perché mostrò molta rettitudine, esprimendo verità poco piacevoli, sia perché giova sentire, da bocca non sospetta, quale veramente fosse il parere delle persone imparziali.

"Apprezzare i principii della Giunta, ma i Banchi dover sussistere, TE rario pagare il suo debito di 28 milioni. Se si annientassero i Banchi, la Nazione, avvezza ai vantaggi o comodi che ne trae, ne verrebbe dissestata e sconvolta; se non si paga il debito, si proveranno tutte le conseguenze della mala fede e dell'ingiustizia sull'animo dei sudditi, e quelle di un fallimento generale, che minerà tanto le costoro sostanze, quanto l'Erario medesimo".

"Nella fatta proposta scorger egli due difficoltà, l'una di teoria, l'altra di esecuzione".

"Prima parte del piano della Giunta è: perda subito la carta il suo valor nominale, e vala al corso, essendo assurdo ed ingiusto, ch'essa abbia due valori diversi. Si riduca ciò in termini semplici".

"

Esistono nel Regno 28 milioni di carta, l'aggio oltre il 50; adunque si demoneti la carta per metà ed i 28 milioni si ridurranno a 11. E poiché il valore reale o del corso è variabilissimo alla giornata, quanto più cresce l'aggio, tanto più resta la carta demone tata. L'aggio certamente dovrà crescere, per il maggiore discredito in cui cadranno le carte; ed ecco che la demonetazione crescerà in maniera da assorbir tutto o la maggior parte del valore, ed esse rimarranno estinte".

- 369 -

"È vero essere assurdo ed ingiusto un aggio sì esorbitante; ma a questo grave inconveniente bisogna pria, ed oggi badare. Qual rimedio si propone? Si tagli il nodo, si annulli la carta.»

«Qualunque sia il profitto, che una classe di persone abbia fatto su di un'altra per l'aggio, è stato profitto figlio delle circostanze dei tempi e delle turbolenze delle cose. Si debbono perciò gastigare i possessori delle carte con le perdita di esse, ed al danno sofferto aggiungerne un altro maggiore? I possessori delle carte (e per conseguenza il pubblico intero) sono creditori dei Banchi; questi lo sono dell'Erario. L'un credito e l'altro è giusto, è sacrosanto! L'Erario quindi dee pagare ai Banchi, ed i Banchi al Pubblico. Perché dunque dichiarare in un colpo, che il debito si riduce a metà? Se si vuole esercitata la buona fede e la giustizia, ne dia il Governo l'esempio.»

«Si dicono necessarii due espedienti, diminuire e riaccreditare una parte mentre l'altra si vuole annientare? né vale il dire che ora col fatto trovansi annientate di circa la metà. Tal fatto appunto, cagionato dalle note vicende delle cose, è quello che bisogna correggere, e non già con arguzie verbali formarne un sistema di economia, per cui il pubblico non abbia ad esser pagato del credito che rappresenta.»

«Si vogliono obbligare i fondi dello Stato, pel ritiro con la carta ad interesse, e si cita lo Stato Veneto, ove dicesi che si ritirò la carta per via d'imprestiti. Non si fece dunque in Venezia l'operazione di demonetarla.»

«In fine, per salvar la giustizia, si propone l'impiego con le carte al 3 per 0|0 e la vendita dei fondi, con riceversi la carta fra due mesi al valor nominale, elassi i quali, riceversi al corso.»

«Ciò non solo si riduce ad un prestito forzoso, ma è spediente rovinoso ed ineseguibile, da sconvolgere l'interesse di tutto lo Stato. Che uso faranno delle loro carte i tanti possessori delle piccole somme? Le daranno al corso tra particolari? Ma si può fissare il corso delle carte? Non si deve anzi dire che, dopo la dichiarazione, il lor discredito sarà tale che si ridurrà a zero?»

«Ma i gran capitalisti possono far degl'impieghi ed acquistar fondi. Or quali e quanti sono i gran capitalisti a fronte dei possessori di carte di piccole somme? come potranno quelli, ancorché vi fossero, tra due ed anche tra quattro mesi, equilibrare in modo i loro interessi da spogliarsi di tutte le somme che posseggono in carta? Concorreranno oltre a ciò di buona voglia alle operazioni indicate? Fondi all'uno e mezzo e due per cento; assegnamenti vaghi ed incerti; promesse per lo passato replicate e non adempite.»

«Non si perda di veduta la principale massima, in materia di pubblica economia. Bisogna che l'interesse dei sudditi non vada disgiunto da quello del Governo. Il Re si trova di aver garentito, con più solenni sovrane dichiarazioni, il debito contratto coi Banchi; si trova di aver disposto, anzi cominciato ad eseguire il pagamento; gli stessi ribelli non ardirono dichiarar vano un debito contratto per causa così giusta, qual fu la difesa dello Stato. Non solo non l'annullarono ma minacciarono gravi pene contro chi osasse proporlo."

"Ma, indipendentemente dall'interesse dei sudditi, dalla giustizia della cosa, e dal decoro del Governo, i proposti espedienti possono riuscire utili e vantaggiosi, anche indirettamente, per l'Erario? Nello stato attuale del nostro regno i canali di circolazione del commercio interno sono ripieni di carte. Un istantaneo impedimento al corso, di tutte o della maggior parte, produrrebbe un fallimento generale.

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Non si esamini se il nostro regno abbondi o no di numerario; si conceda pure che ce ne sia a sufficienza: ma è in piena circolazione? La rapida circolazione del rappresentante, sia di qualunque natura, forma la ricchezza nazionale. Nelle più ricche nazioni d'Europa vi è relativamente minor quantità di numerario effettivo. Quando si tolgono in un fiato dalla circolazione 28 milioni di rappresentante, la nazione va incontro al fallimento, e l'Erario non potrà avere sorte diversa.,,

"Bisogna dunque non estinguere le carte, ma accreditarle il più che sia possibile, con andarsi pagando di buona fede e regolarmente il debito contratto. Cosi richiede la giustizia, cosi richiede l'interesse pubblico, dei privati e della Corte"

"Pare che gli espedienti per ottenere siffatto intento sieno nello stesso piano contenuti, quando si ributti la proposta demonetazione. Si destinino in esso 5 milioni, per ora, di beni fondi, ed il di più in assegnamenti al 3 per cento, per estinguere il debito della Corte coi Banchi".

"Si cedano dunque solennemente ai Banchi, come immediati creditori della Corte i 5 milioni di beni fondi, valutandosene il prezzo a giusta ragione. Ne incarichi il Governo i Banchi stessi per la vendita, permettendo loro di eseguire le operazioni che meglio stimeranno. Si ceda ai Banchi quella parte di decima che si riscuote dai luoghi pii e d'opera pubblica. Si ordini a questi di dover affrancare in carte le rispettive loro partite di decima al 5 0|0 e si permetta di poter contrarre debiti, per questa causa, con particolari alla ragione che potrà convenire."

"Se questa parte di decima importa 4 in 500 mila ducati annui, si possono ritirare dai Banchi 8 in 10 milioni di carta, che, uniti ai 5 di fondi, compiono la maggior parte di debito della Corte".

"Questo spediente, contenendo giustizia e vantaggio generale, è di facile esecuzione. E giusto, perché i Banchi restan pagati. Il pubblico non ha di che dolersi, e la Corte procede con quel decoro che le conviene. E utile pei possessori di carta, perché possono impiegarla o in fondi o coi luoghi pii. Lo è per questi, che affrancano a maggior ragione di quella dei debiti che potranno contrarre, facendo così nuovi acquisti, non ostante la legge d'ammortizzazione, a cui per tal causa si potrebbe dispensare. Lo è infine per la Corte, perché troverà sempre nei sudditi, trattati con giustizia, immense risorse pei suoi bisogni, restando da ora il di più del fruttato della decima a sua disposizione. In tal guisa la carta si verrà a ritirare senza coazione e senza renderla inutile e ristagnata; sarà anzi accreditata in maniera che l'aggio verrà sempre più, da sé stesso, a diminuire."

"Questi spedienti non son nuovi. In ottobre del passato anno furono proposti e cominciati ad eseguire. La decima da principio fu imposta per tale oggetto. Vi sono mille determinazioni del Re, e mille promesse, a cui non bisogna contravvenire. I sudditi soffrono volentieri questo grave peso, ma non bisogna deluderli. In ottobre si cede ai Banchi la decima per intero e taluni fondi per soddisfazione del loro credito. Prima s'era fatto lo stesso per la vendita dei fondi allodiali, padronati e luoghi pii, il ritratto del' quali doveva pagarsi ai banchi. Tali operazioni progredirono in maniera che avrebbero prodotto tutto il buon effetto, se le male circostanze dei tempi non lo avessero, per dura necessità, impedito.,,


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Il tenore della memoria, che porta la data del 2 di novembre 1799 e che dimostrava quanto fosse poco leale il progetto del Ministro; progetto che la Giunta aveva modificato, peggiorando le condizioni dei creditori, era ignorato da Zurlo, il quale aveva gran voglia di saperlo, e per lettera ne avvertiva il collega Acton, promettendo, appena che l'avesse letto, le sue osservazioni e risposte. Ma Simonetti, che invocava la buona fede, non poteva trovare ascolto presso chi badava unicamente al proprio comodo. Ferdinando approvò le proposte di Zurlo.

12. Li 8 maggio 1800, pubblicarono l'editto pel riconoscimento temporaneo dell'aggio; separazione fra carta vecchia e carta nuora; soppressione della prima mediante cessione di beni stabili, ovvero mediante conversione con fondi pubblici tre per cento. Legge oscura, ad onta d'una verbosità poco comune negli atti governativi d'allora, non priva di contradizioni fra' vari articoli, e piena di promesse inosservate.

"Le novità che negli ultimi tempi hanno avuto luogo in Europa, la necessità di ricorrere a mezzi straordinarii per preparare una valida difesa e per conservare la tranquillità dei nostri amatissimi sudditi, gli sconvolgimenti e le vicende in seguito avvenute, hanno, fra gli altri mali, causato quello dell'aggio sulle carte del banco, il quale, cresciuto ad una ragione enorme, turba l'interna circolazione e produce danni gravissimi alle proprietà dei particolari, ed ai nostri rapporti di commercio coll'estero. Un disordine di tanta conseguenza non isfuggi, fino dai suoi principii, alla nostra paterna vigilanza e cura, ed a questo effetto furono da noi, nei passati anni, di tempo in tempo, pubblicati varii editti, e fatte diverse ordinazioni, per apporvi l'opportuno riparo. Tutte queste provvidenze, per le mutazioni avvenute nello stato delle cose, abbiamo veduto che in parte non possono più aver luogo, ed in parte non sieno bastevoli a togliere un male di tanta conseguenza. Volendo pertanto Noi, sopra un oggetto cosi essenziale, dare dei provvedimenti capaci a sradicare ogni disordine, e combinarli colla salvezza delle proprietà particolari (!), quantunque le attuali circostanze rendessero malagevole questa impresa, pure Noi, preferendo ad ogni altro oggetto il ben essere dei nostri sudditi (!...) ci siamo determinati, dopo maturo consiglio, a prendere le seguenti Sovrane risoluzioni, da eseguirsi inviolabilmente."

"

1° In primo luogo; siccome il lasciarsi correre, in alcuni casi, le polizze di banco al valore nominale, produce l'inconveniente gravissimo, che i particolari che le ricevono non possono poi spenderle in piazza alla medesima ragione, atteso l'aggio che si è introdotto, e debbono perciò farvi perdita; su di che sorgono ogni giorno litigi e controversie nei tribunali; cosi Noi, per togliere il disordine che la carta medesima abbia due diversi valori, per evitare ogni danno nella proprietà dei particolari, e finalmente acciocché i nostri amatissimi sudditi non sieno distratti e dispendiati con litigi, comandiamo: che dal dì della pubblicazione del presente (derogando a qualunque altra, precedente risoluzione), le carte di Banco, in ogni caso e per qualsivoglia pagamento o contrattazione, si paghino e si ricevono non già al valor nominale, ma al corso, ossia al valore pel quale correranno e si cambieranno in piazza col numerario effettivo, nel giorno in cui si eseguirà il pagamento.

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Ed affine di togliere ogni controversia, che potrebbe sorgere per l'interpetrazione di questa nostra Real Volontà, dichiariamo che la medesima debba aver luogo anche per tutte le obbligazioni e per tutti i contratti fatti prima della pubblicazione del presente Editto, purché il pagamento non si sia già eseguito o non si sia espressamente convenuto di eseguirsi il pagamento in carta; nel quale ultimo caso, della particolare convenzione, ne lasciamo la decisione, nei termini di giustizia, ai nostri tribunali (1)".

"2.° E poiché, dalla esecuzione dell'articolo precedente, potrebbe risultare danno ed interesse ai particolari, possessori delle carte; o perché le abbiano essi ricevute al valore nominale, nel percepire le rendite dei loro beni, o perché loro siano stati restituiti in carta i capitali dai debitori, o per altre cagioni; perciò Noi, malgrado la considerazione che gli attuali possessori delle carte, per lo più, non le abbiano acquistate che al corso che da tempo in tempo

(1) Si fecero poi eccezioni contro dei soli Carichi,costringendoli a pigliare ledi pel valore nominale, ed anche ordinando di darle in pagamento.«Ha la M. S. preso in considerazione che da qualche tempo ai portatori dei pegni i banchi hanno dato carta, che si é poi dovuto cambiare coll'aggio, che nei rispettivi tempi è corso in piazza».

"Ha inoltre S. M. preso in veduta, che qualora le fedi di credito che i particolari offriranno ai Bmchi pei dispegni, si ricevessero al corso e non già al valor nominale, molti particolari verrebbero a pagare il triplo di quello che effettivamente hanno ricevuto, e ciò contro la mente dell'ultimo suo Real Editto, il quale non avendo in veduta, se non d' indennizzare i particolari da qualunque danno sulle carte di banco, non può in conseguenza prescrivere che ne soffrano uno tanto grave sulla carta, che i banchi hanno data.»

"Per queste ragioni, e per la ferma idea di sollevare,quanto è possibile, la classe dei poveri, S. M. quantunque vi esistano nei banchi molti pegni fatti in tempo che la carta in piazza equivaleva al contante; pure, senza fare alcuna distinzione, ordina che in tutt'i casi, niuno eccettuato, i banchi ricevano al valor nominale le carte che dai particolari si offeriranno per disimpegnare i pegni fatti, fino alla pubblicazione dell'ultimo Reale Editto, emanalo per le polizze bancali, cioè sino al dì 8 del corrente maggio; purché però tali disimpegni si facciano tra il termine di quattro mesi, da computarsi dalla detta epoca; giacché, elasso tal termine, dovrà anche per questo caso eseguirsi inviolabilmente l'articolo prescrivente di riceversi le carte al corso,»

"Rispetto poi al sistema da tenersi per i pegni,dopo la pubblicazione dello Editto, S. M. vuole che siano eseguite le sue clementissime disposizioni, manifestate a cotesta Giunta per mezzo del Direttore delle Reali Finanze.,,

«La Real Segreteria di azienda lo previene nel Real Nome a V. S. Ill.mi, per intelligenza della Giunta ed adempimento. "

«Palazzo 10 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo. "

"Ha S. M. preso in considerazione, che dovendo i banchi, dalla pubblicazione del recente editto in poi, pagare tutt'i soldi dei loro ufficiali, e far tutte le altre spese in denaro effettivo, giusta il primo articolo del citato editto, e non potendo sì prontamente dalle lor rendite riscuotere tanto contante che basti ai bisogno, si trovano nella posizione o di dover contrarre dei debiti in contanti, o di ritardare il pagamento dei soldi, di spendere, per lo valore corrente in piazza, le carte che abbiano di lor pertinenza.»

"Riguardando S. M. il primo partito come rovinoso,e non praticabile che in caso di assoluta necessità, abborrendo il secondo, come gravoso a tanti suoi amatissimi sudditi, quanti sono specialmente tutti gli ufficiali dei banchi, trova 1' altro preferibile ai primi due."

"Volendo quindi la M. S. provvedere non meno alla economia dei banchi, che alla sussistenza dei loro numerosi individui, ha sovranamente disposto che i medesimi banchi si ritengano, dalle carte di vecchio conto di loro spettanza, che al presente hanno,non meno di capitali che di rendite, tanta somma quanta, con un aggio prudenzialmente calcolato, possa bastare a tutto l'esito occorrente per quattro mesi,dal dì dell'editto, e rechino il dippiù alla Giunta dei banchi, per bollarsi a tenore dell'atto medesimo ".

«Qualora, finalmente, delle carte che riterranno ne avanzasse una parte, sarà bollata allo spirare dei quattro mesi. "

"La Real Segreteria di azienda, lo partecipa nel Real Nome a cotesta Giunta per intelligenza.»

"Palazzo 23 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo ".

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hanno avuto in piazza, e malgrado il danno ch'è risultato al nostro Real Erario, dall'essersi il denaro contante delle casse fiscali cambiato con fedi di credito; pure, sacrificando alla sicurezza delle proprietà particolari, ed alla ferma idea di garentire l'intero capitale delle polizze, ogni altra considerazione ed ogni Nostro vantaggio; vogliamo che sia permesso, ai particolari medesimi, di far l'impiego dei capitali di dette carte, fra lo spazio di quattro mesi, colla Regia Corte, che le riceverà al loro valore nominale".

"3.° A questo effetto, comandiamo che qualunque persona voglia impiegare le sue carte di banco colla Regia Corte, e le esibisca fra il termine di quattro mesi, computandi dal giorno della pubblicazione del presente editto, possa farlo liberamente. Le carte si accetteranno al valor nominale; e si assegnerà l'annualità del tre per cento in contanti e franco di decima; da pagarsene la rata in ogni quattro mesi, e da decorrere quest'annualità dal giorno in cui le polizze verranno esibite".

"4.° 11 pagamento del tre per cento, contenuto nell'art. precedente, sarà fatto dalla Regia Corte nel modo stesso che si pratica coi creditori assegnatarii, sulle rendite che la medesima possiede; e verrà eseguito sul ramo della decima, che continuerà, per ora, ad amministrarsi secondo il sistema che trovasi stabilito; riserbando al nostro Reale arbitrio di prendere in avvenire, sull'amministrazione della medesima, le misure che si crederanno più opportune e convenienti. Per la sicurezza però degl'interessati, dichiariamo che, oltre al ramo della decima, rimarranno obbligati, per la sicurezza dei capitali e per lo pagamento degl'interessi, tutti i beni della Corona, di qualunque natura".

"'5.° Per maggior comodo degl'interessati, vogliamo che sia lecito ad ogni possessore di carte, che voglia impiegarle colla Regia Corte, di farsi fare l'assegnamento loro facilioris exactionis, e per la concorrente quantità dell'annualità che gli sarà dovuta, o dalla partita di decima che lo stesso esibitore paga alla Regia Corte, o da qualunque altra partita domanderà, preferendosi sempre ed in ogni caso, pel medesimo assegnamento, che chiegga prima colui che il primo abbia effettivamente esibite le fedi di credito.,.

"6.° E volendo noi, efficacemente, che il disordine, risultante dal gran numero delle carte di banco, sia tolto colla massima celerità, e che i possessori delle carte ottengano tutte le possibili facilitazioni, per la sicurezza de' loro capitali; pertanto, comandiamo che, per ora, sia posta in vendita, pagandosene il prezzo con polizze, una quantità di beni del valore capitale di cinque milioni; e che questi beni saranno primieramente tutt'i beni dei rei di stato confiscati, a norma delle leggi del regno; indi una quantità de' beni devoluti e di quelli di Regio Patronato, e dell'azienda di educazione, fino al compimento del valore di cinque milioni, se non lo compiranno i beni confiscati. La nota di tutti questi fondi, assegnati all'indicato uso, sarà fatta e pubblicata contemporaneamente al presente editto, per norma degl'interessati".

«7.° I detti rami, dei beni confiscati, dei devoluti, di quelli di Regio padronato, della Reale Azienda di educazione e dei monasteri soppressi, vogliamo che siano, sul prodotto della decima, indennizzati della rendita dei loro fondi che saranno venduti o gravati d'ipoteca».

«8.° La vendita sarà fissata sulla vera rendita di ciascun fondo; all'uno e mezzo per cento nei territorii di Napoli e di Aversa; al due per cento in tutti gli altri luoghi di Terra di Lavoro, ed al due e mezzo per cento nelle altre provincie del Regno. Colla circostanza che, per la vendita delle case, il prezzo delle medesime sarà fissato nella maniera che si crederà più utile e conveniente».

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«9.° Chiunque preferisca l'acquisto dei benifondi alle annualità sulla decima, dovrà farne la domanda nello spazio di quattro mesi, dal di della pubblicazione dello editto; e dovrà, nell'atto stesso della domanda, esibire la quantità delle carte di banco che corrisponde al valore del fondo che intende di acquistare; qualora la rendita del medesimo sia certa; e non essendo certa, dovrà esibire un quantitativo di polizze bancali, che verrà prudenzialmente fissato dalla Giunta che sarà incaricata dell'esecuzione del presente editto. Si riceverà quindi la sua offerta; sulla quale si faranno le subastazioni, e si serberanno tutte le solennità necessarie per l'alienazione dei fondi fiscali. Il fondo sarà dato al migliore offerente; e qualora non resti al primo oblatore, dovrà costui essere rifatto delle polizze esibite da quello che acquisterà _ il fondo, se pure non voglia farle rimanere impiegate colla Regia Corte, nel modo stabilito cogli articoli 3 e I del presente editto».

«10.° Se due persone, nel citato termine di quattro mesi, offriranno di acquistare un fondo con carte di banco, vogliamo che nell'accettazione dell'offerta sia sempre preferito colui che sarà stato il primo ad esibirle, salvo gli additamenti in beneficio del Regio Erario».

«11.° Quando si siano fatte tante domande per compre che esauriscano tutti i fondi posti in vendita; vogliamo che i possessori delle carte non possano in altro modo esibirle alla Regia Corte, nello stabilito termine di (piatirò mesi, che colla condizione di riceverne il 3 per cento di annualità in contanti, franco di decima, nel modo espresso nei precedenti articoli 3 e 4.»

«12.° Tutti coloro che chiederanno fondi, ed esibiranno le carte bancali, a norma del precedente articolo 9, dal giorno dell'esibizione e fino a che non conseguano il possesso ed il frutto del fondo, goderanno dell'interesse del 3 per cento, in contanti e franco di decima.»

«13.° Elassi quattro mesi, dal dì della pubblicazione del presente editto; vogliamo che non siano più dalla Regia Corte ricevute polizze al loro valore nominale; ma, chiunque voglia presentarle, comandiamo che riceva il 3 per cento, in contanti e franco di decima, sul valore delle polizze in contanti, al corso che ha in piazza; o sia per quel quantitativo pel quale si cambia in numerario effettivo nel giorno della consegna. Nel modo stesso saranno valutate le polizze, elassi i quattro mesi, qualora vogliano impiegarle nell'acquisto di fondi".

"14.° Le polizze e fedi di credito che in ciascun giorno verranno esibite, sia per averne l'annualità sulla decima, sia per acquistare fondi, verranno notate nell'ordine stesso con cui si esibiranno, e questo notamento verrà cifrato ogni giorno, non solo dalle persone incaricate a questo oggetto, ma ancora dal direttore delle nostre Reali Finanze, o, non potendovi esso assistere, da uno dei membri della nostra Giunta di Governo, che destinerà a ciò il Luogotenente del Regno. In ciascuna settimana, questi notamenti saranno resi pubblici colle stampe."

«15.° Comandiamo inoltre che, a misura che le polizze e carte bancali verranno esibite, sieno, in presenza e coll'assistenza dell'esibitore medesimo delle polizze, bollate con un bollo con vernice, dall'ima e dall'altra parte, acciocché restino perpetuamente tolte dalla circolazione. Fatta questa prima operazione, vogliamo che le polizze medesime così bollate, in un determinato giorno di ciascuna settimana, siano ad una ad una segnate nuovamente con un altro bollo, alla presenza del direttore delle nostre Reali Finanze, di tutta la nostra Camera della Summaria, e di due individui della Regia deputazione di città. Nell'atto stesso, vogliamo che si faccia una distinta nota di queste polizze annullate, la quale nota si pubblicherà per le stampe ogni settimana.»

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«16.° Se gl'impieghi sulla decima, e le polizze che si daranno per acquisto dei fondi, eccedano il quantitativo del debito della Regia Corte coi banchi, vogliamo che la Regia Corte venga rimborsata dello avanzo, sugli effetti dei banchi medesimi».

«17.° ber le polizze che i particolari non esibiranno alla Regia Corte, permettiamo che i banchi ne facciano l'introito e l'esito, come sinora si è praticato, secondo le regole stabilite. Comandiamo però, che"ciascun banco apra un conto nuovo per le fedi di danaro effettivo, con apporvi nelle medesime delle marche particolari, che le distinguano dalle altre, e specialmente con notarsi in dette fedi di credito di essere deposito di danaro effettivo; rimanendo assolutamente vietato di dar fuori fedi di credito, di questo conto nuovo, senza l'esibizione di danaro effettivo (1).»

(1) Ecco i dispacci all'apertura del conto nuovo, che dopo pochi mesi diventò anch'esso conto vecchio, cioè fu rappresentato da carte inesigibili.

A) «Ha S. M. approvate le istruzioni, formate da cotesta Giunta, per lo stabilimento e per lo prosieguo del conto nuovo dei banchi, prescritto dall'art. 17 del suo Reale Editto degli 8 del corrente; il qual nuovo conto si aprirà lunedi prossimo 12 del mese. - La Real segreteria lo partecipa ecc. - 10 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo».

B) «Istruzioni agli uffiziali dei banchi, per lo stabilimento del conto nuovo, da aprirsi nel di 12 del corrente maggio, in esecuzione del Reale Editto degli 8 del detto mese, per le carte bancali».

«1.° I cassieri dovranno cominciare il nuovo conto, con formare un libro d'introito, uno squarcio di cassa, ed altri libri subalterni appartenenti alla cassa, tutti nuovi, acciocché tal negoziato non si confonda col conto vecchio.»

«2.° A tale uopo, per distinguere le fedi di credito del conto nuovo da quello del vecchio,si dovrà sulle prime, e precisamente nel mezzo del margine superiore, imprimere un bollo dico lor verde, di cui sarà data la forma dalla Giunta dei banchi. Inoltre i cassieri ed i fedisti dovranno, di proprio pugno, scrivervi contanti,con distinguere se la moneta rappresentata da ciascuna fede sia d'oro o d'argento; nella prevenzione che, per la qualità della moneta, si osserveranno nei Reali stabilimenti. Mercé di si fatte distinzioni, le fedi di credito del conto nuovo verranno non solo garentite dalle falsificazioni, ma saranno eziandio discernibili dalle altre del conto vecchio, anche agli occhi degli analfabeti».

«3.° Per le fedi di credito di tal fatta, che diverranno madrefedi, si dovrà benanche distinguere il conto nuovo dal vecchio, con la formazione di un libro maggiore di polizze notate in fede, e dei suoi corrispondenti registri. In tali libri verrà condotto il negoziato delle madrefedi del conto nuovo. Sulle polizze nascenti da queste madrefedi, sarà obbligato il notatore in fede di apporre il nuovo bollo, che darà la Giunta dei banchi, e di aggiungervi di propria mano la parola contanti.»

«4.° Le fedi di credito e le polizze, colla spiegazione in contanti, formate prima dell'apertura del conto nuovo, non si dovranno confondere colle carte e col negoziato del conto vecchio. Accadendo quindi che sopra fedi in contanti del conto vecchio si vogliano notar delle polizze, avvertano i notatori in fede, di non apporre sopra tali polizze il bollo del conto nuovo; ma basterà che vi scrivano, di proprio carattere, contanti. Per la ragione medesima sarà vietato di continuare ad introitar denaro sotto le madrefedi del conto vecchio, benché in contanti, essendo solo permesso di continuare l'esito»

«5.° Nella Ruota dovrà essere un Libro Maggiore,cosi per le suddette fedi del conto nuovo come per lo conto nuovo degli arrendamenti,colle corrispondenti pandette.»

«6.° Inoltre si dovranno formare esiti di cassa, registri d'introito, giornale di cassa e di banco, libri di reste, tutti nuovi; con quanto occorreper la distinzione dell'uno e dell'altro conteggio, dovendo il nuovo procedere colle regole medesime tenute pel vecchio.»

«7.° Saranno indispensabilmente tenuti tutti gli uffiziali addetti alle reste, di formarle separatamente, cioè quelle del vecchio e del nuovo conto.»

«8.° Nel fine di ogni semestre si deve appurare il conteggio dei libri, secondo che prescrivono le istruzioni per lo esatto regolamento della scrittura dei banchi.»

«9.° Finalmente, trovandosi nelle casse dei banchi del contante pervenutovi lino al di 11 del corrente inclusive, dovrà essere separatamente conservato, senza confonderlo con quello che indi verrà nelle casse versato, spettando il primo al vecchio conto, ed il secondo al nuovo.»

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«18.° Per la esecuzione del contenuto nel presente editto, per lo stabilimento del conto nuovo determinato per i bandii, abbiamo stimato di eriggere una Giunta, composta di soggetti da Noi destinandi; la quale farà tutte le opportune provvidenze, e rappresenterà a Noi quello che occorrerà, pel canale della Real Segreteria di azienda.»

C) Affinché la scrittura dei banchi proceda con tutto il buon ordine possibile, e che non si dia luogo a frode, o a sospetto di frode, in danno dei particolari, che vi depositano il loro danaro, comanda S. M. che sieno subito mandate ad effetto le disposizioni seguenti:»

«1.° Che si proceda all'appuramelo dei conti della scrittura del Banco di conto vecchio.»

«2.° Che rimanga proibito di dar debito, nel conto di qualunque persona o corpo, senza che vi sia il credito.»

«3.° Che dovendosi passare qualche polizza in lino dei conti che sbilancia, si debba appurare prima il conto, e poi passarsi la polizza.»

«4.° Che si vegga se, sino ad ora, vi sia su di ciò qualche difetto o mancanza, e mettersi tutto in regola.»

«5.° Che nel conto nuovo non si faccia attrasso, circa l'appurameuto del medesimo in ogni semestre.»

«0.° I Governatori dei Banchi saranno responsabili di ogni menoma negligenza, su i cen nati articoli.»

«7.° Gli uffiziali che mancheranno, se avvenga ciò per omissione perderanno l'impiego; se poi avranno colpa, saranno puniti a misura del delitto.»

«8.° D. Gaetano Barbetta verrà interinamente destinato a vigilare e sopraintendere sulla regolarità della scrittura anzidetta, e dovrà a questo effetto girare i banchi e dar conto di quanto osserverà, (a)

da Real Segreteria di azienda lo previene nel Real Nome a V. S. Ill.ma per intelligenza della Giunta dei Banchi e regola - Palazzo 8 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo».

D) «Avendo il Re preso in considerazione: che il gran fine della ritirata delle carte bancali del vecchio conto, e della istituzione del conto nuovo, sia che, dal recente editto in poi, non circoli carta bancale, del nuovo conto, per questo Regno di Napoli, la qual non abbia il corrispondente numerario che rappresenta, riposto effettivamente nelle pubbliche casse dei banchi; sicché lo scambio della carta col contante possa sempre farsi a piacere del possessore della carta, senza perdita e senza indugio; ha proibito, da ora in poi, a tutti i banchi di notare in fede i mandati degli arrendamenti, quando sopra i fedoni di questi non si trovi l'introito sufficiente all'esito che si vuol notare.»Il praticare altrimenti sarebbe un nuovo avviamento al vuoto dei banchi, ed a quei disordini a cui S. M. sta provvedendo con tanta cura.»

«Nel tempo stesso, la M. S. ha dichiarato che prenderà tutt'i mezzi onde quegli arrendamenti che attendono l'introito dalla sua Regia Corte, vengano esattamente soddisfatti al maturo, e non sentano la mancanza di quell'abilitazione sui banchi, che se finora dalle circostanze è stata permessa, viene d'oggi innanzi interdetta dalla suprema legge della pubblica utilità.»

«La Real Segreteria di Stato di azienda lo partecipa, nel Real Nome, a cotesta Giunta, per sua intelligenza.»

«Palazzo 19 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo.»

E) Col recente Reale Editto, degli 8 del corrente mese, ha già S. M. pienamente provveduto al disordine delle carte bancali, che giravano per lo suo Regno di Napoli, senza che avessero il valore reale corrispondente al nominale. Con questa mira, mentre da una parte ha disposto, co' mezzi i più efficaci, la volontaria esibizione delle dette carte, senza niuna perdita, anzi con gran vantaggio degli esibitori (!), ha dall'altra ordinato che nei banchi si aprisse un nuovo conto, tutto distinto e separato dal vecchio. Di questo nuovo conto, il principale ed essenziale articolo si è che dai banchi non uscirà carta la quale non abbia il corrispondente numerario, che rappresenta; riposto effettivamente nelle casse di essi banchi, sicché lo scambio di queste carte col contante si possa fare ad ogni momento, senza ritardj e senza perdita di ohi le abbia.»

«Volendo quindi S. M. che le sue provvide disposizioni sortiscano il natural fine a cui sono dirette, e che d'ora in avanti torni libero e sicuro il negoziato delle carte, da cui derivano infinite facilitazioni al commercio, significa a tutt'i suoi amatissimi sudditi, che le fedi di credito e le polizze del nuovo conto corrono dappertutto per la somma che portano descritte, poiché nei Banchi si trova realmente depositato il valsente che rappresentano.

«E perché, sulla discernibilità delle dette carte, non cada errore o timor di errore o pretesto d'ignoranza, S. M. dichiara a tutti, che il distintivo delle carte del conto nuovo, è un bollo ad olio di color verde, che nelle fedi di credito si trova nelle loro sommità, e nelle polizze presso al segno della notata in fede, oltre la parola contanti scritta di mano del cassiere e del fedista nelle prime, e del notatore in fede nelle seconde».

«La Real Segreteria di Stato di azienda, lo partecipa alle SS. LL. III.me per loro intelligenza, con prevenzione che sarà subito comunicata tale Sovrana dichiarazione, cosi a tribunali di questa capitale dipendenti da essa ed a Regi visitatori generali e 1 economici delle province, come alle altre Segreterie di Stato, pe' tribnnali alle dipendenze loro, non meno delle province che della capitale. -Palazzo 10 maggio 1800 - Firmato Giuseppe Zurlo.»

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«19.° Convinti che il vero mezzo di far prosperare il nostro Regno, sia quello di togliere i debiti che il nostro Reale Erario verrà a contrarre con questa operazione; e desiderando che niuno tra nostri sudditi risenta il menomo danno dall'operazione medesima, dichiariamo che, subito che le circostanze permettano, prenderemo le più efficaci misure per restituire ai rispettivi proprietarii tutte quelle somme per le quali, in forza del presente editto, riceveranno r assegnamento dell'annualità sulla decima, coli' ordine stesso con cui verranno portate le polizze.»

«Ed acciocché questo nostro Sovrano Editto venga a notizia di tutti, vogliamo e comandiamo che si pubblichi ne' luoghi soliti della capitale e delle province del Regno; con essere da noi sottoscritto, munito col sigillo delle nostre Reali

F) «Con real carta del di 19 maggio, fu da S. M. dichiarato a tutti i suoi amatissimi sudditi,che essendosi coll'editto del di 8 del detto mese provveduto pienamente al disordine delle carte bancali, le quali giravano per Io regno di Napoli sanz'avere il loro valor reale corrispondente al valor nominale, si era dato principio al nuovo conto dei banchi; il cui fondamentale articolo si é che da banchi stessi non uscirà più carta la quale non abbia il corrispondente numerario, riposto effettivamente nelle pubblichecasse. Fu quindi tutto il regno avvertito che le fedi di credito del conto nuovo correvano, siccome corrono, liberamente dappertutto, per le somme in esse descritte, essendone pronto ad ogni istante lo scambio col numerario effettivo. E perché sulla discernibilità delle nuove carte non cadesse errore, o timore di errore, o pretesto d'ignoranza, si fece a tutti noto che il distintivo del nuovo conto era un particolar bollo ad olio, di color verde; il solo distintivo che allora si poté meglio combinare colla sollecita premura che S. M. ebbe di provvedere, fin dal principio, alla sicurtà dei suoi amatissimi sudditi.»

«Oggi che la grande opera della ritirata e dell'abolizione delle vecchie carte bancali è venuta prosperamente al suo bramato termine, in capo dei quattro mesi prefiniti nel citato sovrano editto; oggi che il nuovo conto dei banchi,il quale consiste tutto in carte di valore effettivo,in cui l'aggio non puote avere più luogo,ha già preso il più felice avviamento e va di giorno in giorno aumentando; ha risoluto S. M. di assicurare in un modo vie più fermo e stabile il libero commercio delle nuove fedi di credito e delle polizze; in maniera che non solo indicassero l'effettivo contante che rappresentano,ma portassero le più cospicue indicazioni del conto nuovo, da cui dipendono, dei vari banchi a cui appartengono, e di quelle integrità che le assicura dalla frode delle mutilazioni».

«Dichiara quindi la M. S. che il Reale editto,pubblicato in questo giorno, riguarda solo le carte del vecchio conto, le quali fino al di 10 di ottobre non si riceveranno che al corso e dopo il detto termine rimarranno abolite. Ma in quanto alle carte del nuovo conto, continueranno le medesime a correre nel modo stesso che si trova prescritto nel citato dispaccio dei 19 maggio. Ed acciocché queste carte del conto nuovo non siano soggette ad equivoco alcuno e possano da tutti riconoscersi, si sono già formate in tutt'i banchi le nuove fedi di credito. Il loro distintivo comune è un fregio impresso a nero, che termina da ogni lato la prima faccia di ogni fede; inoltre vi si legge in tutte la parola contanti sulla loro sommità. Il distintivo peculiare che servirà a far meglio discernere di qual Banco sia ciascuna, sarà la figura del proprio tutelare, o l'emblema allusivo al titolo del Banco, col nome di esso banco apposto alla figura o all'emblema. Le polizze poi avranno, allato alla notata fede, il nome del banco, impresso in caratteri chiari, con un fregio, anche impresso,che il contorna.»

«Avverte espressamente S. M. che il corso di queste nuove carte non altererà in menoma parte il corso di quelle altre, introdotte fin dal principio del conto nuovo, distinte co' bolli verdi;le quali seguiteranno inviolabilmente a rappresentare il denaro effettivo a cui corrispondono. Però, da ora in poi, tutte le nuove carte che usciranno da queste si faranno nella nuova foggia,acciocché a poco a poco, e senza incomodo del pubblico, in breve processo di tempo si trovino uniformi tutte le carte dei banchi.»

«Vieta finalmente S. M. in conferma delle sue precedenti risoluzioni, a tutt'i percettori,collettori ed esattori delle sue rendite fiscali e di tutto il denaro appartenente ai vari rami del regio fisco, di ricusare, sotto qualunque pretesto,non solo le fedi e le polizze della nuova ultima divisa ma benanche le prime del conto nuovo,finché né resteranno, come quelle che tutte, a differenza delle vecchie carte abolite, equivalgono al contante effettivo, potendosi ad ogn'ora e da ogni persona farne lo scambio col contante, ne' banchi di questa capitale.»

«La Real Segreteria ecc.-7 settembre 1800-Giuseppe Zurlo.»

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armi, riconosciuto dal nostro Segretario di Stato di azienda, visto dal nostro Vice Protonotario , e la di lui vista autenticata dal Segretario della nostra Reale Camera di S. Chiara - Palermo 25 aprile 1800 - Pubblicato li S maggio 1800.»

Lo stesso giorno, il fisco replicò la manifestazione delle sue pretese sul denaro demortuo, e sul valore dello bancali che non si sarebbero presentate.

"Siccome è a notizia di S. M. che moltissime tedi di Credito o per la morte dei possessori, o per incendii, o per naufragi, o per altri accidenti; si sieno perdute, e dimenticati così i crediti sul Banco; e che specialmente questo abbia avuto luogo nelle ultime dolorose vicende, comanda la M. S. che si abbia di ciò la dovuta ragione, affinché, qualora non si esibiscano mai queste carte, nel corso della operazione ordinata dalla M. S. pel ritiro delle carte, non perda il fisco il suo dritto sul totale a cui ascendono i detti crediti, che devono essere reputati pei beni vacanti, e che dovranno al fisco medesimo addirsi, qualora dai banchi non si producano legittime eccezioni".

"Palazzo 8 Maggio 1880 - Gius. Zurlo".

Prima che finissero i quattro mesi, aggiunse il Ministro quest'altra dichiarazione, più esplicita.

"Benché le facilitazioni di ogni maniera, accordate con vai! particolari dispacci da S. M, assicurino che la spirante ritirata delle carte bancali sia per comprendere tutte quelle che nell'ultimo tempo realmente circolavano per questo regno; e sia per concedere una perfetta indennità ai possessori: si congettura pur nondimeno che tutto il lor cumulo non possa giungere ad agguagliare quella somma che dai libri de' banchi risulta in eredito degli apodissari del vecchio conto".

"La perdita e le dispersioni di molte carte, il loro abbandono per morte senza eredi o per altri casi, la obblivione di molte reste, specialmente de' conti fiscali, effetti tutti non solo dell'ordinario corso delle cose, ma molto più degli straordinari accidenti e soprattutto delle ultime vicende dello Stato, debbono aver cagionato, non ostante il rimedio delle liberanze con cauzione, una mancanza che l'attuale operazione farà discoprire, e di cui niuno è che possa essere ristorato".

"Prevedendo ciò S. M., anche prima di porsi mano all'opera, con Real Carta contemporanea alla pubblicazione cieli editto degli 8 di maggio, mentre ordinò a cotesta Giunta, eretta per eseguirlo,

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di liquidare la vera somma di tutte le carte uscite dai banchi, dichiarò che il valsente di quelle che non si esibissero dovesse addirsi al Regio Fisco, salvo ai banchi i diritti nascenti dalle transazioni.

"Avendo ora S. M. rilevato dalle elette transazioni, passate in vari tempi fra esso R. Fisco ed i banchi, che le medesime non possono per lor natura, essendo tutte particolari, includere un caso sì generale e sì impensato; anche attente le tenuissime somme per le quali si trovali fatte, confermando la precedente dichiarazione, è venuta, in virtù delle leggi comuni e municipali su questa materia, a dichiarare di nuovo ed assolutamente, che tutte le carte le quali non saranno esibite a tenore dell'editto, come costituenti tanti crediti adespoti, vacanti, derelitti, caducati e devoluti, s'intendono fin da ora incorporati, senza ninna eccezione, al detto suo R. Fisco".

"Ha comandato in conseguenza che il medesimo debba essere riguardato come particolar successore degli antichi ed incerti proprietari, per tutte quelle carte che, finché la esibizione sarà aperta, non verranno presentate; e come creditore dei banchi di tanta somma, a quanta sarà per ascendere il valore nominale delle carte non esibite; aggiunta la plusvalenza di quelle che forse si esibiranno al valore del corso dopo i quattro mesi, la qual somma sarà conteggiata coi banchi stessi.

"La Real Segreteria lo partecipa ecc. - 4 settembre 1800 - Gius. Zurlo,,.

Cosi la finanza non s'impadroniva delle sole somme sulle quali avrebbe potuto vantare un certo dritto, cioè le bancali messe in circolazione per suo conto, che i possessori avrebbero trascurato di presentare nei quattro mesi, sì bene pigliava tutti crediti apodissari dell'intero pubblico. Tre secoli di lavoro erano dunque perduti dai banchi, che diventarono debitori liquidi di tutte le passività scritte sui loro registri, ma inesigibili per distruzione del titolo, e per morte o dimenticanza del creditore.

Erano queste positive infrazioni alle antiche regole dei banchi, ed atti d'ingiustizia, poiché Sovrano e Ministri dicevano, a quel tempo, di volerne rispettare la qualità di enti morali autonomi.

Tale qualità portava la necessaria conseguenza che ai banchi sarebbero spettate le somme abbandonate dai creditori.

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Sull'ammontare delle carte non presentate mancano le notizie poiché, non solo trascurarono di farne il conto, ma procurarono di nascondere o distruggere gli stessi registri dai quali si poteva ricavare.

Probabilmente furono molti milioni di ducati, trattandosi di circolazione che durava da trecento anni. Però questo cespite, e tant'altre cavillose industrie di Zurlo, non valsero per sgravare completamente il fisco dai suoi debiti coi banchi. Se non si fosse fatto altro che forzare l'emissione e la circolazione della carta, questa liquidazione del 1800 avrebbe fatta comparire creditrice la finanza; ma poiché s'erano prese le riserve metalliche, le rendite patrimoniali ed i depositi del pubblico, rimase debitrice delle seguenti somme (bilancio 1803).

Carte del vecchio conto (vale a dire bancali di pertinenza de gl'istituti che l'avevano presentate, ai termini dell'editto, per ottenere quella rendita tre per

cento che non è stata mai loro pagata) D. 981,035.40

Città, ossia Senato (debiti del Municipio di Napoli, fatti per ordine e con malleveria della finanza)

"

2,639,505.17

Regia Corte per sé e per altri di Real ordine (residuo a debito del fisco risultato dal conteggio e liquidazione di tutte le carte anteriori al 1800)

"

1,126,592.85

Totale D. 4,747,133.42

*

**

13. Per le parole dell'editto, il compenso ai possessori di carte bancali sarebbe consistito o nella rendita annuale tre per cento, da assegnazioni sulla decima, o nella rendita annuale uno e mezzo, ovvero due, ovvero due e mezzo per cento, da compra di benifondi. La promessa di restituir poi le somme capitali, fatta coll'art. 19, non meritava, né ispirava credito alcuno. Assegnazioni e benifondi valevano somme ben inferiori al prezzo nominalo delle bancali che si volevano distruggere, ne superavano nondimeno, il prezzo corrente, cioè netto di aggio, ed avrebbero in certo modo soddisfatto i creditori, se al Re fosse piaciuto di osservare gli articoli della propria legge che a questi ultimi giovavano.


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Però la lettera di Zurlo, ed i discorsi di Simonetti, dei quali non si fece conto, provano come tutta la legge 8 maggio 1.800 non fosse diretta a liquidare il debito galleggiante, ed a ritirare le carte dei banchi, mediante permute con i beni demaniali o con certificati di rendita 3 per 100. Volevasi invece cavar profitto dall'aggio, adoperando lo scredito che aveva colpito le fedi o polizze, e che speravasi sarebbe aumentato, per pagare il meno possibile.

Con insigne furfanteria, si dettero soli quattro mesi di tempo ai creditori, perché scegliessero fra le due maniere di pagamento. La maggioranza avrebbe senza dubbio preferito i beni fondi; pel valore scarsissimo dei titoli di debito pubblico d'un governo fallito, ed anche perché molti sapevano avere già Zurlo venduto o impegnato il reddito della imposta decima, del 1801 e 1802. Infatti coloro che si contentarono del 3 per cento dovettero aspettare fino a giugno 1802, per ottenere qualche cosa, ed i due anni d'attrasso non si sono più pagati.

Nei quattro mesi menare a termine si dovevano tutte le formalità giuridiche ed amministrative della vendita all'incanto. Atti così difficili, che si riferivano a tante migliaie d'individui ed a tante case o terreni, situati in tutte le provincie del Regno, non si potevano certo sbrigare in centoventi giorni, ed il ministro a bello studio accresceva i fastidi. Egli comandò che la sola Giunta da lui preseduta (1), la quale si riuniva nel monastero di S. Pietro a Maiella, potesse ricevere le bancali e stipulare i contratti; egli volle che nelle sole giornate di lunedì questa Giunta, insieme alla Camera della Summaria,

(1) «Essendosi, coll'articolo decimottavo dell'editto pubblicato da S. M. per le polizze bancali, prescritto che per la esecuzione dello stesso editto, e per lo stabilimento del conto nuovo, per le fedi di credito in effettivo, venisse eretta una Giunta, ha ora S. M. interinamente, e fino a nuova disposizione, comandato che la medesima sia composta dei soggetti seguenti: "

«Il Direttore delle Finanze, D. Giuseppe Zurlo, che sarà il capo.

Il Principe di Bisignano.

Il Marchese di Moutagauo.

Il Consigliere D. Bernardo Navarra.

Il Giudice della G. C. D. Luca Bavarese.

L' Avvocato D. Giuseppe Sanseverino.

L'Avvocato D. Giovanni Tranfo.

D. Pietro Paolo Tramontano.

D. Francesco Vetere.

«Destina inoltre il Re, interinamente, per segretario della giunta medesima, l'avvocato D. Gaspare

Capone.

«E poiché è indispensabile che presso la Giunta medesima esista una razioualia, non solo per i registri da tenersi, ma ancora per la direzione di tutte le operazioni che dovranno farsi, S. M. fino a nuova sua sovrana risoluzione, destina a tale scopo D. Giuseppe Marciano, D. Gaetano Barbetti e D. Vincenzo Grosso, ai quali saranno dati gl'incarichi convenienti».

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potesse concedere il possesso dei beni venduti ed annullare le bancali consegnate per pagarli; egli dette incarico ad un tale Cav. Ferrante di compilare l'elenco dei beni confiscati ai nemici del Re, che già fossero donati ovvero che si stimasse conveniente di donare agl' individui benemeriti della causa Borbonica (1). Dovendosi tali beni escludere dalla lista di quelli vendibili, mediante annullamento di bancali, le subaste non potevano cominciare se non dopo che Ferrante avesse terminato il suo lavoro.

Un altro intoppo si trovò nell'amnistia 30 maggio 1800, che Ferdinando fu costretto a concedere dalle vittorie dei Francesi in Lombardia, per la quale molti fondi rustici ed urbani, già messi nelle liste, si dovettero restituire ai legittimi proprietari.

Quando poi mancavano soli quarantacinque giorni al perentorio termine dei quattro mesi, un'ordinanza reale, che ha la data 7 luglio 1800, ma che si pubblicò ai annullando la promessa di vendere benifondi per togliere dalla circolazione carta dei banchi, disse:

Tutt'i contratti compiuti con Regie approvazioni (2) rimanere fermi ed inviolabili perché garentiti dalla parola di S. M. Ma tanto quelli iniziati, la cui procedura fosse pendente, quanto quelli compiuti per la parte relativa agli atti giuridici, ma non ancora approvati da S. M., rimanere sciolti.

Al danno si aggiunse l'ingiuria, dicendo il Re che egli per giuste cause negava il beneplacito.

«E siccome, per la esecuzione dell'editto, converrà procedersi a vendite, nelle quali è necessario che intervenga e sia inteso un avvocato fiscale, comanda la. 31. S. che interinamente e fino a nuova disposizione, per l'indennità dell'interesse del fisco, quando si eseguiranno le vendite, sia inteso l'avvocato fiscale del Real Patrimonio D. Domenico Martucci, che resta interinamente destinato a tale effetto.»

«Raccomanda la M. S. che in affare tanto decisivo per la prosperità del Regno e pel bene dei suoi amatissimi sudditi, si proceda con un continuo ed indefesso travaglio, colla maggior celerità, colla massima esattezza ed in modo che siano adempite le sue sovrane intenzioni, le quali sono di togliere tutt'i mali che si sperimentano dalla moltiplicazione delle carte, conservandosi colla maggiore scrupolosità i dritti e proprietà particolari.»

«La Real Segreteria di stato ed azienda lo previene nel Real nome alle SS. LL. Ill.me, per intelligenza ed esatto adempimento.

«Palazzo 8 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo.

«(1) Ha il Re ordinato al cav. Ferrante di trasmettere subito, per uso'di cotesta Giunta, una lista dei beni dei rei di stato che si trovino già dati ed assegnati o che sieno per darsi ed assegnarsi, per effetto della sovrana munificenza, alle persone benemerite dello Stato, alfine di escludergli dalle vendite a cui la Giunta sta procedendo, per esecuzione ed a tenore del Reale Editto delle carte bancali.»

«La Real Segreteria di stato ed azienda lo partecipa alle SS. LL. Ill.me per loro intelligenza.»

«Palazzo 15 maggio 1800 - Giuseppe Zurlo.

(2) Che erano pochissimi e sbrigati per favoritismo.

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Sua Maestà, tacendo perdere altri giorni di quel prezioso tempo ai creditori che, mediante consegna di titoli bancali, avevano già pagato il prezzo dello case o terreni da lui messi in vendita, ordinò loro di presentarsi nell'officina S. Pietro a Maiella, perché sentissero dirsi dal Referendario Marciano di essere stati sciolti i contratti, per mancanza del Real Beneplacito, sotto la cui espressa condizione erano stati ammessi a licitare. Quasiché un solenne editto, ed un espresso mandato di vendere, che il R,e aveva dato a Zurlo, Marciano ed altri membri della Giunta, non significassero che il beneplacito esisteva.

Le parole del mandato, quali risultano da un breve dispaccio, che fu pure messo a stampe, dicevano senza equivoco:

"TI Re autorizza, la Giunta, eretta per la esecuzione del recente editto delle carte bancali, ad intervenire nel real nome negl'istrumenti, per gl'impieghi e per le compre che si faranno dai particolari con carte bancali, in virtù del citato Reale Editto. La Real Segreteria di stato di azienda lo partecipa a V. S. Ill.ma per sua intelligenza e adempimento. Palazzo 10 maggio 1880 -Giuseppe Zurlo".

Riferiamo due altri dispacci che meglio provano l'incredibile malafede.

"Il Luogotenente del Regno, Principe di Cassaro, ha partecipato alla Real Segreteria di Stato ed Azienda, con biglietto degli 11 del corrente, quanto segue:"

"Il Capitan Generale Cavalier Acton, con Real Carta del 1° del corrente, mi comunica il seguente: Ecc. signore. Il Re ha veduto la relazione di V. S. dei 25 del caduto giugno, che accompagna le tre altre del Direttore delle Reali Finanze, D. Giuseppe Zurlo, nelle quali tutte si propone, col parere della Giunta dei Banchi, quel che debba disporsi intorno alla validità delle vendite latte dal Marchese Vivenzio, a prezzo di carta, pei beni delle badie di regio padronato, dei luoghi pii laicali, e dei monasteri soppressi; intorno alla proposta abolizione dei revisori fìssi de' pegni nei banchi, ed intorno al sussidio dovuto alla famiglia del defunto D. Carlo Bossio, già Razionale della passata giunta dei Banchi. Quindi S. M. dopo aver lette e pienamente considerate le riflessioni esposte in quelle relazioni, sopra i cennati assunti, è venuta ad uniformarsi ai proponimenti di Zurlo e di V. E. ed ha ordinato; che per le vendite a prezzo di carta, fatte da Vivenzio, rimanendo fermi li contratti di tali vendite già consumati e forniti della Reale approvazione,

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non si dia corso a quelli che manchino di tale approvazione, né si parli più affatto di quelli già incoati; trovandosi impegnata pe' primi la parola Reale, non essendo pei secondi convenientemente accertati i reali interessi, pel vile ed irregolare apprezzo dei beai disposti in vendita, e non avendo pei terzi acquistato alcun dritto i concorrenti alla compra. In conseguenza di tal Sovrana disposizione, vuole il Re, che le carte ottenute dai contratti approvati Sovranamente si aboliscano come le altre, e che pei pagamenti da ritrarsi in carta, per la dilazione accordata a taluni compratori dei fondi, già venduti con regia approvazione dal suddetto Vivenzio, si disponga che tali pagamenti in carte si facciano fra i quattro mesi dall'editto bancale, ovvero si facciano in contanti qualora i compratori vogliano fruire dell'ottenuta dilazione, restando in arbitri o di costoro lo scegliere l'un mezzo piuttosto che l'altro, o dare per rescissi i contratti, ove a nessuno di tali espedienti vogliano aderire. Riguardo all'abolizione dei revisori fissi ecc. ecc. Palazzo 16 Luglio 1880. Giuseppe Zurlo...

"In esecuzione della Sovrana risoluzione, del dì primo del corrente mese, colla quale S. M. negò la sua approvazione a tutte le vendite di beni delle cappelle laicali, di patronato regio e di monasteri soppressi, che non si trovavano fino a quel dì approvate, ferme sempre le già approvate; la Real Segreteria di Stato di Azienda ha restituito al marchese Vivenzio i sessantadue processi relativi a tali vendite imperfette, che il Vivenzio trasmise, e l'ha rimessi insieme a quelle fedi di credito che vi si trovano depositate".

"

Nel tempo stesso l'ha incaricato, nel R. Nome, di render subito i depositi delle dette fedi a coloro che li hanno fatti; facendo sentire ai medesimi che accudissero al Referendario di questa Real Segreteria D. Giuseppe Marciano, per lo disvincolo di quelle carte che si trovassero già girate alla Regia Corte".

"L'ha inculcato finalmente di far noto, a tutti gli oblatori dei contratti non conclusi, la non approvazione di essi, acciocché sappia ciascuno di esserne restato sciolto, per mancanza del Regio Beneplacito, sotto la cui espressa condizione gli aveva il detto marchese Vivenzio ammessi a licitare.

"La Real Segreteria di stato di azienda lo partecipa, nel Real Nome, a cotesta Giunta per sua intelligenza. Palazzo 25 luglio 1800 - Giuseppe Zurlo".

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L'ipocrisia trionfava e ci sono documenti di quell'epoca più strani dei soprascritti. Fra le ragioni con le quali, il governo del Banco San Giacomo, difende (17 giugno 1800) l'atto non regolare di aver nominato, a 6 dicembre 1799, capo dell'archivio un certo Donato Velia, invece di Gregorio Salomone, ch'era di molto più anziano, ed aveva esercitato uffici di maggiore importanza, si legge:

Dippiù si è compiaciuto il Governo in sentire, dagli altri capi d'ufficio, che questo Velia, quotidianamente, nelle ore di vacanza, e molto più nei dì festivi, istruisce ed esercita i giovani dell'archivio negli atti di pietà e della religione, con somma costanza, ed esemplarità".

*

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14. Lo stesso giorno, 8 maggio 1800, che si pubblicò l'editto, fu mandato questo dispaccio:

"Essendosi stabilito da S. M. coll'editto pubblicato in questo stesso giorno, per le polizze bancali, che le medesime, dal dì della pubblicazione, non dovessero più riceversi al valor nominale, ma al corso, ossia pel valore al quale correranno e si cambieranno in piazza col numerario effettivo, nel giorno in cui se n'.eseguirà il pagamento; ha considerato la M. S. che potrebbero su di ciò nascere, in questa città, dov'è il maggior commercio di polizze, delle continue quistioni e dispareri, nella fissazione dell'aggio medesimo. Quindi, siccome è assolutamente necessario, per la speditezza del commercio, che in quest'affare non si dia luogo a lunghe controversie, ha comandato la ]I. S. che interinamente e sino a nuova Sovrana disposizione, si erigga una Giunta, composta dal Presidente del Tribunale di Commercio, D. Felice Damiani, che ne sarà il capo, dal Principe di Canosa padre e dal negoziante D. Ferdinando Politi".

"Costoro, nei casi soli nei quali nasca equivoco o controversia, dovranno dichiarare e definire quale sia in piazza il valore delle polizze, nelle giornate in cui se ne fa il pagamento, prendendone a tal effetto nozione, e tenendone registro giornaliero".

"Quando le parti ricorrano alla suddetta Giunta, dovranno essere intese a voce. Di quello che la Giunta determinerà dovrà farsene un atto, senz'altra solennità",

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"La dichiarazione di questa Giunta non sarà soggetta ad appello, né a gravame di sorta alcuna".

"La Giunta si convocherà ogni giorno, niuno eccettuato, ed in ora fissa ed inalterabile; la quale sarà stabilita dal suo capo e comunicata al pubblico, e specialmente alla Borsa, per regola di chi dovrà ricorrervi".

"

La Beai Segreteria di Stato ecc.".

La perdita per l'aggio variava da un quartiere all'altro della città, ed anche da una strada all'altra dello stesso quartiere. Nondimeno i mentovati tre individui, facendo computi sul prezzo medio, lo stabilirono di 70 per cento in maggio 1800, di 79 per cento in giugno e di 81,50 per cento in luglio. Più tardi giunse ad 83 per cento; e quando, in settembre ed ottobre 1800, le vecchie carte bancali avevano pochi giorni di vita, si davano per uno o due centesimi del valore nominale. Un dispaccio, degli 11 ottobre 1800, sciolse tale Commissione, con parole d'elogio ai componenti, per la ragione che nel precedente giorno 10 era definitivamente cessata la circolazione e l'accettazione delle bancali conto vecchio, che avevano perduto ogni valore. Ma sarebbe stato utile di mantenerla, poiché subirono peripezie ed aggio anche le carte di conto nuovo.

La scadenza 8 settembre 1800 fu rovinosa, per la moltitudine d'individui che non aveva potuto presentare i suoi titoli (1) o che avendoli presentati non era giunta a farli accettare (2). Costoro altro rimedio non ebbero che quello indicato da altro editto, pubblicato ai 7 settembre 1800, pel quale, ferma rimanendo la promessa di pagarle con assegnazioni 3 per cento,

(1) Lo Stato medesimo, agli 11 luglio , non aveva dato a moltissimi suoi creditori le polizze che loro spettavano, e che li 8 settembre avrebbero perduto ogni valore. Ecco il documento:

«Poiché gl'iterati ordini dati , acciocché gli arrendamenti avessero subito spedito gli ultimi loro mandati in carta , non sono stati per anco totalmente eseguiti; restando tuttavia ad uscire parecchi mandati, i quali tengono impedito dall'esibire le proprie carte molta gente, che attende prima di raccoglierle tutte; ha comandato il Re che la Giunta del contante, dopo un perentorio a suo arbitrio, che intimerà ai computanti e scritturali di quegli arrendamenti che non ancora hanno ubbidito, gli sospenda di soldo fino a nuovo ordine.»

Coloro che non possedevano il titolo per effetto di dispersione, furto ecc. ma ne conoscevano la data e la somma, facevan ressa per ottenerne il duplicato, mediante malleveria, com'era prescritto dalle antiche regole. Zurlo inventò nuove formalità (dispacci 17 e 21 agosto e 2 settembre 1800) con le quali passarono i quattro mesi, e la maggior parte non potette fare a tempo per la conversione della nuova bancale in rendita o per cento.

(2) Sono rimasti in archivio fasci di suppliche e di reclami di persone, che non si trovavano nel regno, o che non avevano avuta notizia del decreto o che per legittime ragioni non avevano presentato a tempo le carte. Al 1800, non c'era telegrafo, né ferrovia, e quasi mancava la stampa periodica.

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si accettavano le carte bancali al prezzo corrente, non al valore nominale, e questo prezzo era straordinariamente basso.

Però l'editto dava tempo fino al 10 ottobre dello stesso anno 1800; passato il quale giorno le vecchie carte perdettero qualsivoglia valore. Onde moltissimi cittadini, che furono i più bisognosi, si trovarono privi di quanto stimavano possedere. Nessuna eccezione si fece della regola, che smonetava le carte non presentate. Quando si voleva giovare a qualcuno, come, per esempio, a proposito di Rosa Ciafrone, la quale aveva ottenuto nel 1790 polizza vincolata, per maritaggio di D. 25, e non aveva trovato marito prima del 1801, pagavano qualche cosa a titolo di elemosina o di premio, senza riconoscere, nemmeno indirettamente, la carta di banco. Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat furono non meno sordi di Ferdinando Borbone alle querimonie della gente che, nel 1799, ora stata spogliata per ragion politica, e nel 1800 non aveva potuto far riconoscere le sue bancali. Il valore delle' carte riconosciute per valide dal Governo, ed assegnate sul tributo della decima, fu di D. 23,890,702.11 (L. 101,535,483.97).

Grandi discrepanze troviamo negli scrittori, per la cifra di valute bancali ritirate nei quattro mesi. Bianchini (1) dice ducati tredici milioni; Petroni soli D. 5,876,533.73 ed aggiunge risultare da testimonianza scritta del Sopraintendente della decima, Gabriele Giaimoccoli, che di quella lista di creditori dello Stato entrarono N. 5865 individui. Ma la somma di D. 23,890,702.11 è chiaramente definita da un dispaccio del Re, che manifesta la sua soddisfazione per l'opera della Giunta, e ne premia tutt'i componenti con promozioni e croci.

*

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15. Dopo tale liquidazione, ripresero i banchi il vecchio andamento; però tiravano innanzi con incredibile stento, chè le casse eran vuote, il credito mancava ed il patrimonio stava in potere del fisco. Alcuni si reggevano per filantropia di Governatori, come prova questo dispaccio.

"Informato il Re dello spontaneo e gratuito imprestito di più migliaia in contanti, tatto al Banco del Salvatore dal Governatore marchese Ferrilli; perché il detto Banco, finché non cominci a percepire in contanti le proprie rendite, possa supplire ai soldi ed alle spese dei primi mesi;

(1) Pag-, 193, vol. 3. Storia della Fidanza.

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senza barattare al valor corrente in piazza le carte del conto vecchio, che con maggior profitto s'impiegano con la Regia Corte al valore nominale, ha sovranamente ordinato che si rendesse, a sì benemerito Governatore, una solenne testimonianza del suo Real gradimento".

"Un simile elogio ha comandato che si facesse a D. Pietro Paolo Tramontano, Governatore di Sant'Eligio, per aver costui, mesi addietro; imprestato in simil modo a quel Banco delle varie somme in contanti, in tempo che se ne pativa la maggiore scarsezza. Ha commendato S. M. sì virtuosi esempi non solo per loro stessi, ma soprattutto per la imitazione a cui possono servire di stimolo; si è compiaciuta di sentire con tanto zelo secondate le sue sollecite cure per lo rifiorimento dei Banchi; ed ha preso a sperare di vedere accesa, fra tutti quelli che in qualunque modo possali concorrere nell'opera, quella generosa emulazione per lo miglior servizio di S. M., d'onde dipende la prosperità dello Stato".

"La Real Segreteria ecc.".

Dove i Governatori non vollero o non potettero metter mano alle proprie borse, si tentò, con infelici risultati, di prendere qualche piccola somma in prestito.

"22 giugno 1800. Si è proposto, che mancando la pronta esazione delle rendite di questo banco in contanti, e dovendosi necessariamente in contanti erogare non meno tutte le spese giornaliere che pagare i soldi dogl' individui del banco medesimo, ed altri pesi; a tenore del Real Editto, del dì 8 del passato mese di maggio, vedesi già la necessità assoluta di prendere ad imprcstito il denaro contante: giacche il cambiare in piazza le carte bancali, coll'aggio corrente clf è cresciuto eccessivamente, produrrebbe non meno maggior disvantaggio che rovina: per la gran perdita che si farebbe; e minore per l'altra parte è l'interesse che si paga al mutuante in contante, secondo il conto palmare che ne apparisce,,.

"Quindi si è stabilito, unanimemente, dai signori Governatori, che bisognando per le spese in dies, soldi ed altri pesi che ha il banco impreteribilmente da soddisfare in contanti, la somma di ducati diecimila, si prendano questi a mutuo, da una o più persone, all'interesse che meglio si può convenire, e colla dilazione più breve che potrà convenirsi.

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A qual effetto si ò data ogni facoltà, bastante e necessaria, al signor Governatore Duca di Laurino, di poter trattare per detto mutuo o mutui, convenire, stipulare mio o più istrumenti a nome di questo Banco;,con fare e dare tutte le cautele opportune, che dal creditore o creditori convenientemente si richiederanno; senza che a detto signor Governatore si possa opporre mancanza veruna di potestà e facoltà, intendendosi a lui accordata e conceduta, siccome in virtù della presente conclusione si accorda e concede. Li Governatori del Banco del Popolo. Angelo del Verme, Duca di Laurino, Gaetano Cicarelli, Marchese di Sant'Agapito, Cav. Fra Giambattista Cara vita,,.

"30 agosto 1800. L'urgenza di questo banco a dovere, dopo il Reale Editto del dì 8 maggio ultimo passato, fare tutt'i pagamenti di soldi, pesi e spese in denaro contante, che mancava, commossero lo zelo e premura dei signori Governatori, di rimediare al possibile. Si videro in assoluta necessità di ritrovare ad imprestito sino alla somma di ducati diecimila, quanto si fece conto bisognare fino a dì 8 dell'entrante mese di settembre, siccome fu stabilito con conclusione dei 22 giugno. Ma non essendo, per tutto questo tempo, riuscito di trovare che soli ducati 2600 (1) e fra tanto, per rimediare ai pagamenti correnti di soldi e spese si e, dovuto ritrovare da cimici ad imprestito qualche somma, con impegnare loro le carte di questo banco. Ma la premura di coloro ad avere la restituzione, e gli altri pagamenti che restano a farsi, richiede che prontamente si adempisse. 11 che non potendosi, come si è veduto, far altrimenti, si è stabilito, anche per sentimento presone dal sig. Direttore della Segreteria di Stato di azienda, cui dai signori governatori si è a voce il tutto fatto presente; si è stabilito e determinato di cambiarsi in piazza, coll'aggio che ora coito, già minore di prima, la somma di ducati trentamila di carte di questo banco, sopravanzanti dal conto vecchio per introito superante esito, per avere il contante, e rimediare all'assoluta necessità di fare i detti pagamenti di restituzione ed altro, e le rimanenti carte sopravvanzanti impiegarsi con la Regia Corte,,.

"10 ottobre 1800-Banco Pietà-Rappresentanza - L'effettiva mancanza del numerario, l'esazione delle rendite in buona parte diminuita, e la quantità dei pesi forzosi da doversi soddisfare da questo Banco della Pietà, ci han messo nella necessità di far richieste per prendere di piazza denaro ad interesse, a quella ragione che meglio avesse potuto convenire.

(1) Cioè ducati 1000 li 16 luglio, all'interesse dell'8 per cento, e ducati 1600 il 21 agosto al 9,37 1/2 per cento.

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Dopo molte ricerche, finalmente ci è riuscito trovare la somma di D, 4000, colla condizione di non doversi questa restituire se non dopo l'elasso di quattro anni, precedente denunzia di mesi sei e coll'interesse alla ragione di dodici per cento. Le attuali circostanze del luogo, ed il non aver modo altronde come formare il pieno per pagare le provvisioni de gl'individui, e l'aver attrassato il pagamento di quelle limosine che sono state da V. M. ordinate e fissate sovranamente col piano generale; lo che forma l'estrema desolazione di tante migliaia di povere famiglie, che da tali limosine ritraggono la di loro esistenza, ci hanno fatto risolvere di contrarre questo debito, per toglierlo subito che saranno migliorate le circostanze dei tempi, e della esazione delle rendite di questo Banco. Lo passiamo intanto alla intelligenza di V. M. ecc.,,.

Vari anni durò questa miseria, avendo noi documento che, li 24 dicembre 1803, un altro Governatore di S. Giacomo prestò D. 3500, coi quali si pagarono agl'impiegati certi stipendi ritardati. E che li 9 Febbraio 1800 un dispaccio permise di prendere denari a mutuo e con pegno di partite darrendamenti, potendosi consentire interesse non maggiore dell'otto per cento. Eppure le Giunte non permisero mai che. per le spese amministrative, si toccasse il denaro degli apodissari; cioè la valuta in moneta contante delle polizze di conto nuora, messe in circolazione dopo l'editto ed i dispacci dell'8 maggio 1800. Regola praticata scrupolosamente dai vecchi banchi comandava ai Governatori di non fare uso della moneta depositata, salvo che collocandone qualche porzione a mutuo, pegnoratizio od ipotecario. Per qualsivoglia altro pagamento si doveva provvedere con le rendite patrimoniali e coi lucri.

Il fisco, quantunque debitore di quasi cinque milioni di ducati (pag. 380), pigliavate somme che si restituivano dai debitori, ed anche quelle ricavate dalle vendite dei pegni, col pretesto che fossero di conto vecchio.

"18 Luglio 1800 -Al Banco di Sant'Eligio - In esito della rappresentanza di cotesto Governo, del dì 28 del passato mese di giugno, riguardante l'uso da farsi della somma di D. 4000, ritratta dalla vendita di un antico pegno di perle, che esisteva in cotesto Banco di S. Eligio,

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nel R. Nome respingo ad osso Governo la ledo di credito che ha rimessa, corrispondente all'indicata somma, affinché la giri a beneficio della Regia Corte, mentre, provenendo da un pegno che trovavasi fatto molti anni prima del R. Editto dei 25 aprile 1800, s'appartiene al conto vecchio, di cui tutto il debito è a carico del R. Erario, il quale dev'esserne rimborsato dai banchi, a norma del citato Real Editto. Francesco Seratti".

L'opera dei pegni era ridotta a minimi termini; sicché i Banchi del Salvatore e dello Spirito Santo, volendosi sbarazzare dei Revisori, impiegati messi dal Re nel 1794, i quali, poco o nulla lavorando, si pigliavano ognuno ducati mille all'anno, stipendio a quel l'epoca grosso, dimostrarono, d'avere il Salvatore ridotto il capitale collocato da D. 400,000 a D. 81,000 (istanza 2 agosto 1799) e lo Spirito Santo disse, con la istanza 16 agosto 1799 "Prima s'impegnava quasi giornalmente, fino alla somma di D. 3000, ora di rado giungono i pegni a D. 50. La ragione è molto nota all'alta mente della M. S. senza che noi veniamo a dettagliarla".

Gli altri banchi non ne facevano addirittura. Ma Zurlo, poco curando che mancassero li denari, spiccò quest'ordine:

«Volendo il Re segnalare il ritorno di 8. A. E. il Principe Ereditario in questa Capitale, col ricominciamento di un'opera, intermessa finora per le circostanze passate dei banchi, e desiderata dal pubblico intero per sollievo dei bisognosi di tutte le classi. Volendo nel tempo stesso opporre un argine alla esorbitanza a cui è giunto lo interesse del danaro, soprattutto presso gli usurai, e volendo infine restituire ai banchi il principal mezzo del loro mantenimento, che interessa tanto il bene generale. Ha risoluto e vuole che fino a nuovo ordine e colle nuove regole che verranno spiegate, analoghe alla infermità del provvedimento, si ripigli l'opera dei pegni, in tutt'i banchi della capitale.

l.° 11 fondo di tutta l'opera sarà di D. 100,000, da ripartirsi fra tutt'i banchi, a proporzione del numerario che tengono depositato, _ dal quale dovrà ciascuno prendere il suo contingente. Ha S. M considerato che essendo la detta somma, con altre che saranno appresso indicate, corrispondente al valsente di tutto il denaro sequestrato o altrimenti vincolato che si trova nei banchi, può la medesima essere presa e separata con sicurezza, pel detto salutare uso, attenta la lenta circolazione del denaro legato.

2.° La ripartizione della detta somma sarà la seguente: D 17,500 per lo Banco di S. Giacomo, altrettanti per lo Spirito Santo, altrettanti per lo Salvatore, altrettanti pe' Poveri; D. 12,500 per lo Popolo; D. 9000 per Sant'Eligio; D. 8500 per la Pietà.

3.° Le descritte rate serviranno, nei rispettivi Banchi, per fondo di una cassa di pegnorazione di effetti preziosi, cioè a dire oro, argento e gioie. I detti pegni non saranno maggiori di ducati cinquanta l'uno, né minori di sei.

4.° I medesimi saranno tutti ad interesse, alla ragione del sei per cento, senza la deduzione dei primi giorni franchi, praticata per lo passato.

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5.° I giorni nei quali staranno aperte le casse dei detti pegni saranno il lunedì ed il venerdì di ogni settimana, simultaneamente per tutt'i banchi, cominciando dal prossimo lunedì 2 dei seguente marzo.

6.° Oltre la cassa dei pegni comuni, come sopra, da aprirsi nel banco dei poveri, al pari che in tutti gli altri, vi si aprirà une cassa distinta per pegni di tela e panni di seta e di lana, similmente coll'interesse del sei e senza la franchigia dei primi giorni. Il fondo di tal particolar cassa dovrà essere di D. 18,000, che lo stesso Banco separerà dal fondo dei depositi.

7.° Nel banco della Pietà, oltre la cassa dei pegni comuni, come sopra, se ne aprirà un altra di pegni gratuiti, colle regole praticate per lo passato. 11 fondo di tal cassa, in somma di D. 30,000 di rame, sarà da 8. M. graziosamente somministrato, in soccorso della classe pili indigente, dalla sua cassa di corte esistente in San Giacomo. Il giorno di tali pegni sarà il mercoledì.

8.° La durata dei pegni di ogni sorta, durante la loro interina apertura, sarà in ogni banco di soli mesi sei dal dì della pegnorazione, scorsi i quali sarà il pegno venduto, colla maggior cautela possibile, in favore del proprietario e del Banco.

9.° Per la regolarità di tutta la esecuzione dell'opera, specialmente per la vendita degli effetti impegnati, ha S. M. approvate alcune particolari istruzioni, che si acchiudono ai Banchi, per la esatta osservanza.

10.° Tutto ciò che non si trovi regolato nel presente Real Dispaccio, e nelle dette istruzioni, dovrà esserlo a norma degli stabilimenti e usi antichi dei banchi.

11.° Raccomanda caldamente S M. allo zelo ed alla prudenza dei governi rispettivi dei banchi, l'adempimento di questa sua Sovrana determinazione, dalla cui buona esecuzione si attende un beneficio incalcolabile, non meno in favore dei banchi stessi che di tutt'i suoi amatissimi sudditi. I Governatori invigileranno specialmente, col loro accorgimento, che profittino dell'opera quelli soli che ne abbiano veramente bisogno, e non quelli che, facendo materia del loro profitto le miserie altrui, tentassero di mischiarvisi, per far mercimonio del denaro destinato al sollievo comune. La Real Segreteria ecc. 25 febbraio 1801. Giuseppe Zurlo.»

Alcuni Banchi giunsero a racimolare dai nuovi depositi del pubblico qualche piccola somma e fecero un certo numero di pegni, per mostrare d'avere ubbidito; ma non vennero i D. 30,000 promessi dalla finanza, per quelli senza interesse, e non fu possibile di mettere un servizio regolare. Che anzi, liquidando lo stralcio delle vecchie gestioni, si scoperse allora una deficienza nella cassa Sant'Eligio, fatta dall'orefice apprezzatore Antonio d Amato, ed un altro vuoto si trovò nel Banco del Popolo, per colpa dell'orefice Pietro Paolo Cataldi ed aiutante di guardaroba Giovanni Scafaro; si conobbe pure che dalle filze o volumi dello stesso Banco del Popolo erano state rubate molte fedi e polizze.

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Nel giorno 31 Dicembre 1801, tutto il collocamento in pegni, del Banco Pietà, giungeva a soli D. 11290.70; dei quali 2754.58 appartenevano al patrimonio del Monte e D. 8538.08 s'erano presi dalla massa apodissaria, cioè dai depositi per carta circolante.

16. Il Banco San Giacomo ebbe il monopolio degli affari fiscali.

«Pervenendo alla Tesoreria Generale introiti da diversi rami, i quali hanno il loro introito e la loro madrefede chi in uno e chi in un altro Banco, è avvenuto in conseguenza che la Tesoreria, spendendo il denaro nel medesimo Banco in cui l'introita, abbia tanti diversi conti quanti sono i Banchi.

«Inoltre, esistendo molti altri rami fiscali, i prodotti dei quali non pervengono nella Beai Tesoreria, si fanno pure gl'introiti pei medesimi non già in uno, ma in diversi banchi.

«S. M. ha riconosciuto che questo metodo sia complicato e produttivo di confusione, e che tolga la semplicità e l'unità, necessaria in cose simili.

«Ha considerato inoltre: che dovendosi mettere in sistema i banchi, in conseguenza delle risoluzioni prese col nuovo editto, sia necessario che i medesimi siano al possibile sbarazzati dai rami fiscali, acciò possano le rispettive officine avere il tempo ed il comodo di occuparsi della nuova scrittura ordinata. Comanda pertanto 8. M. che l'introito ed esito della Beai Tesoreria, della Beai Casa, e quello della decima, degli allodiali, della Real Azienda di educazione, dei conti a parte, dei Monti Borbonici, del Monte frumentano, della giunta dei lagni, del ius sententiae, dei beni dei rei di stato, dei monasteri soppressi, della regia posta, dell'amministrazione di Malta, delle regie strade, di tutto ciò che perviene dai luoghi pii soggetti al tribunale misto, ed insomma l'introito ed esito di tutti i vari cespiti ed amministrazioni fiscali, di qualunque natura, niuna eccettuata, si portino nel Banco di San Giacomo; dove si fìssi separatamente (1) e colle dovute distinzioni, l'introito od esito di ciascun ramo, indipendentemente e nel modo stesso che esisteva prima in altro Banco.

(1) La separazione, fra casse di Regia Corte e Cassa dei particolari , non fu esattamente mantenuta nei primi anni , poiché si registrarono bancali di Corte al conto dei particolari e viceversa. Da ciò vuoti di cassa, che dettero luogo a gravi dispute, col Ministro e col Referendario Marciano. A 25 luglio 180), prese la giunta amministratrice di S. Giacomo questo provvedimento.

«Avendo il nostro magnifico Libro Maggiore, per mera inavvertenza, accreditato su conti appartenenti a rami della Regia Corte polizze alla stessa Regia Corte pagabili , che nel conto separato dei particolari erano state formate; ed all'incontro avendo accreditato sui conti dei particolari polizze che dai rami della prelodata Regia Corte erano provenienti, senza fare il dovuto passaggio del numerario dall'un conto altro. Da tale erronea operazione n'è derivato, nei conti di ambo i rami, per la confusione che ha cagionato, quei sconci per li quali viene l'animo di questo governo oltremodo agitato.

«Volendo noi quindi dar sesto a siffatti sconcerti, e venire nel tempo stesso in chiaro della certezza dei fatti, ordiniamo al nostro magnifico Razionale, che di unita al di lui aiutante, Don Francesco Fiorentino, riveggano ed esaminino tutte le filze delle polizze originali di banco, e quelle delle casse ancora; e dove veggano che i due rami si siano fra di loro confusi, senza essersi eseguito il mentovato passaggio dall'un conto all'altro, il magnifico Razionale, con bollettino del prenominato magnifico Libro Maggiore, ma di sua firma roborato, faccia seguire il passaggio del contante in quella cassa dove deve essere rimpiazzato - firmati - Franchini, Sanfelice, d'Afflitto, Frasso».

A. 7 agosto 1802, aggiunse poi la Giunta medesima:

«Si rinnovano gli ordini già dati antecedentemente ai cassieri del conto dei particolari, di non dover prendere polizze di sorta alcuna dai rami della Regia Corte. E qualora la necessità

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«Perché queste Sovrane risoluzioni abbiano esatta osservanza e non si dia luogo a disordini, comanda S. M. che si esegua quanto è prescritto negli articoli seguenti:

«1. Il banco di San Giacomo, delle quattro casse che tiene, ne impiegherà tre per servizio della Regia Corte (1), cioè due per gl'introiti di tutt'i percettori e tesorieri, e degli arrendamenti di Regia Corte e dogane sia nella capitale che nel Regno, e per li pagamenti politici e militari; ed una terza per tutti gli altri rami fiscali.

«2. In dette casse vi saranno stabiliti due contatori per cadauna, acciò non si ritardi punto il servizio di S. M. e del pubblico.

«3. Si formerà un libro maggiore diviso in due volumi, colla sua corrispondente pandetta, tanto pel conto della Tesoreria quanto per gli altri rami fiscali.

«4. Si stabiliranno due note in fede, per tutt'i rami di Tesoreria e fiscali, colli corrispondenti aiutanti, ma con due libri di notate fedi, cioè in uno soltanto il conto della tesoreria pel ramo politico, ed alcuni conti per i rami fiscali, un altro pel ramo militare colli rimanenti conti per altri rami fiscali; eia dividersi i suddetti conti de' di versi rami, secondo la prudenza di chi regola il Banco.

«5. Si formeranno tanti fedoni quanti sono i rami diversi, cioè uno per la tesoreria generale, ramo politico.

«Altro per la tesoreria generale, ramo militare.»

«Altro per la tesoreria, conto dei rami a parte.

«E così tanti fedoni quanti sono i rami distinti.

«6. In conseguenza di queste risoluzioni, il tribunale della camera, e tutti gli amministratori, percettori, e tesorieri, non dovranno più introitare denaro se non nel banco di San Giacomo; e dovranno ancora li ufficiali degli altri banchi, ai quali spetta, domandare a tutte le persone che vengono a fare introito, se l'introito stesso riguarda rami fiscali, e trovandolo tale non dovranno riceverlo, ma farli sentire che portino il denaio al Banco di San Giacomo, dove si tengono questi conti.

«7. Vuole la M. S. che dal giorno di lunedì 13 del corrente mese, inclusivamente, si esegua il contenuto nei soprascritti articoli, facendosi gl'introiti e gli esiti nel cennato Banco di San Giacomo.

«D. Giuseppe Marciano dirigerà quanto occorre, acciò tutto in detto banco sia pronto pel eletto giorno, per le casse, per i libri, per gl'individui, e per quant'altro convenga 1 e 1). Gaetano Barbetti assisterà incessantemente per la esatta esecuzione.

«8 S. M. comanda che non si promuovano dubbi e non si frappongano dilazioni, dai rispettivi rami, per questa importante operazione, che S. M. ha risoluta irrevocabilmente, e che vuole mandata ad effetto nel clii l'adempimento, nella parte che tempo stabilito. le spetta.

richiedesse che si debba introitare qualche polizza di Regia Corte, nelle casse dei particolari, si debba ciò praticare coll'intelligenza del Governo, ed in difetto del Governo, coll'intesa del nostro Magnifico Razionale. Con legge espressa però che, in simili occasioni, li cassieri dei particolari debbano essere sempre cauti che ci sia nel tesoro, in moneta di rame, l'equivalente somma, di quella che dovranno introitare, con ritenere presso di loro le chiavi del suddetto tesoro, sino a che non si siano le corrispondenti somme nelle casse anzidette dei particolari rimpiazzate. Firmati-Franchini, Sanfelice, Frasso, Puoti, d'Aiflitto». Vane precauzioni! Li cassieri dei particolari furon costretti a pigliare carte bancali di conto regio , delle quali a 3 gennaio 1804 tenevano D. 150,000 circa, e nel fallimento della Cassa di Corte, che indi a poco succedette, fu travolta la cassa dei particolari.

(1) Li 5 dicembre 1800 ne aggiunsero una quarta.


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"La Real Segreteria di Stato ed Azienda lo partecipa alle SS. LL. Ill.acciò ne disponga la Giunta dei Banchi l'adempimento, nella parte che le spetta.

" Palazzo 8 maggio 1800. Giuseppe Zurlo."

La data non differisce da quella dell'editto regio; ma è degno di nota che con semplice lettera si facesse un mutamento radicale della costituzione dei banchi. Prima non avrebbero dovuto far distinzione tra fisco e pubblico: le otto regole comandavano espressamente di trattare l'amministrazioni governative come qualsiasi altro cliente. Quel dispaccio, invece, creò una Cassa di Corte o Banco governativo, ch'è durato fino al 1864, esercitando grandissima influenza sugli affari economici del regno di Napoli.

Zurlo, probabilmente, non pensò alle grandi conseguenze di quel monopolio pel Banco San Giacomo. ed ebbe il semplice scopo di fabbricarsi uno strumento più maneggevole. Col pretesto dell'unità e semplicità di servizio, creò un officina che dipendeva solo da lui e gli permise di prendere altri denari dal pubblico, mettendo in circolazione nuova carta moneta.

La spesa fu, per metà, caricata sugli altri banchi, ordinando alla Pietà che pagasse annui D. 5000; a Sant'Eligio e Popolo D. 2500: ed al Salvatore D. 1000 (1). Doppio danno era fatto loro col togliere una porzione dell'attivo, cioè i depositi appartenenti al fisco, e con accrescimento di spesa, quando la rendita mancava.

Furono negati ai banchi i pagamenti di decima, cioè gl'interessi sui capitali prestati. Un breve dispaccio del Ministro lascia intendere che la fuga e ritorno di Sua Maestà cancellava i debiti!

"Propostesi al Re due rappresentanze del rispettivo Governo, dei Banchi del Salvatore e dello Spirito Santo, per restituirsi in benefizio di essi Banchi l'assegnamento sulla decima, che goderono fino alla fine del 1798, per le carte da loro somministrate alla Real Corte; ha S. M. dichiarato di avere, col suo Real ritorno in questo regno, abrogate tutte le precedenti disposizioni su questa materia, per dare quelle altre, più convenienti al risultato delle succedute vicende, che si stanno ora felicemente (?) eseguendo.

(1) Per stipendi e spese d'ufficio le casse di corte o banco San Giacomo avrebbero dovuto costare annui D. 21771.30. Gli altri D. 10771.30 stimavano potersi ricavare dalle residuali rendite patrimoniali e dal provento dei pegni.

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"La Real Segreteria di Stato di Azienda lo partecipa, nel Real nome a cotesta Giunta, per sua intelligenza.

"Palazzo 23 maggio 1800. Gius. Zurlo".

Ai Governatori mancò il coraggio di lasciare l'uffizio; od almeno di formulare qualche atto di protesta.

Ecco un altro documento.

"9 Novembre 1801. - Conclusione della Giunta di Governo del Banco di S. M. del Popolo. Essendosi da S. M. (D. G.) dichiarati sciolti tutti li contratti che avevano i banchi coi loro esattori, per la riscossione delle partite fìscalarie, o che fossero a partito sciolto o forzoso (i contratti) con essersi dalla stessa S. M. incaricata tal'esazione ai Percettori Provinciali, siccome venne a questo banco partecipato, con Real Dispaccio col 1 luglio corrente anno 1801, ecc."

Dopo d'aver provveduto all'accettazione delle nuove bancali nelle casse pubbliche, (1) il governo, con legge 22 settembre 1800, approvò molti provvedimenti sulla forma di queste nuove fedi di credito, perché circolassero, fosse effettivo il valore che indicavano, e niente avessero di comune con le abolite carte. Comandò pure che la sola Tesoreria Regia potesse fare versamenti con moneta di rame (2).

Successivamente provvide Zurlo per le nuove regole amministrative dei sette banchi, con un lunghissimo dispaccio del 10 marzo 1801, che li rese più schiavi di prima. Il proemio è un singolare monumento d'impudenza segretariesca, parlandosi di fiducia, di piena soddisfazione dei creditori e di munificenza Sovrana, poche settimane dopo d'aver tolto ai Napoletani la stessa speme di restituzione dei lor denari, quando non si pagava nemmeno quel meschino interesse di tre per cento, per una parte del capitale, promesso ai creditori trattati meglio degli altri, e quando l'irritazione per l'offese alla borsa era più grave.

"Dopo avere S. M. restituiti felicemente i banchi nell'antica fiducia del pubblico, colla piena soddisfazione dei creditori apodissari del vecchio conto, e con vari regolamenti, ordinati alla inviolabile sicurezza del nuovo, ha veduto la necessità di provvedere al loro mantenimento successivo, con un piano di economia più analogo non meno al loro istituto, che al loro stato attuale.

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Ha veduto che, quantunque essi abbiano dei ricchi patrimoni per sussistere, le spese nondimeno han finora ecceduto le loro rendite (!), talché han dovuto gravarsi di debiti particolari, specialmente negli ultimi tempi, quando la intermissione della pignorazione, togliendo loro i profitti di quest'opera, ha lasciato scoverto l'eccesso della spesa."

"Ha veduto che una riforma di amministrazione interessava non solamente il pubblico intiero, per la immancabile e facile conservazione di un così utile e grande stabilimento, qual'è quello dei banchi, ma interessava benanche direttamente il suo Reale Erario, dal quale sono stati essi banchi riprodotti e ravvivati, con una spesa che eccede di molto i loro fondi, dedotti i pesi, secondo che sarà ampiamente dichiarato con altra Real Carta. (1)"

"Volendo quindi S. M. provvedere a tutti questi oggetti, ha risoluto di porre i banchi sul piede di altrettante amministrazioni fiscali, con dichiarazione che ogni dubbio, che possa emergere in ciò, si abbia a risolvere secondo la regola delle amministrazioni di questa natura".

"Avendo, in conseguenza di queste provvide mire, inteso non solo la Giunta dei Banchi, ma i Governi dei Banchi stessi, ha ordinato, per ora, i seguenti articoli, di cui inculca la esatta e fedele osservanza ed esecuzione; riservandosi l'ulteriore sviluppo di alcuni di essi e lo aggiungimento di altri, secondochè dalle circostanze verrà domandato...

Seguono non meno di settanta articoli, la maggior parte riferentisi a personale. Per l'opera dei pegni con interessi; sono invitati i banchi a consacrarci le somme ricuperabili dai mutui scaduti, e dagli spegni o vendite derivanti dalle passate gestioni dei monti, che chiamavano conto vecchio.

(1) Manca quest'altra Real Carta. È impossibile che sia esistita per la ragione che S. M. non dette nulla, né prima né dopo; anzi allora si riscuoteva buona parte delle rendite dei banchi e non pagava gl'interessi dei loro arrendamenti, cioè fondi pubblici. Verissimo era lo sbilancio per spesa superante introito, ma questo dipendeva dallo sciupo che il fisco aveva fatto di tutto il capitale, compreso quello sacro perché destinato ai pegni gratuiti; e dipendeva pure dall'indebita appropriazione degli arrendamenti, per la quale mancava ai monti il principale provento.

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Riguardo all'altra opera dei pegni senza interessi, per la soppressione della quale c'era grave malcontento, l'art. 42 dice "Per rimettere nell'antico stato l'opera dei pegni senza interessi, già interinamente ricominciata nel banco della Pietà, dovrà la Pietà impiegarvi gli annui D. 12000. che percepisce dalla colonna olearia, pei D. 300000 che questa gli deve, ed inoltre i D. 5000 e più che percepisce dalla decima, per gl'impieghi ultimamente fatti in questa; supplendo colla riscossione dei fiscali e dell'altre rendite arretrate a ciò che forse abbia impiegato in altri usi. Il Banco dei Poveri s'impiegherà similmente annui D. 3000 e più. che percepisce dalla decima come sopra". Zurlo affetta d'avere dimenticato che tali rendite erano nominali, non effettive, perché la decima si spendeva da lui, e perché il Municipio di Napoli non si trovava allora in grado di liquidare la colonna olearia, pagare cioè, se non il capitale, almeno gl'interessi d'un debito fatto dieci anni prima, per la provvista dell'olio.

Ai Governatori Restano proibiti i disvincoli dei capitali dei banchi, i passaggi da un conto all'altro, gl'imprestiti, e qualsiasi altra cosa che esca dalle regole fissate (art. 53) più "Daranno ogni anno il conto formale della loro amministrazione al Direttore delle finanze, il quale ha il carico della sopraintendenza dei banchi" (art. 59). Più, furono dichiarati Ufficiali regi, da nominarsi dal Re, sulle liste che formerebbero i governi collegialmente, derogando il Re ai privilegi di qualche corpo per le elette nomine ed elezioni; privilegi che per lo cambiamento delle circostanze e pei dritti (!) che il fisco ha acquistato sui banchi, non possono più aver luogo." Diventarono dunque i banchi semplici amministrazioni governative, senza ingerenze di cittadini, cosiché la confrateria che possedeva il Monte de' Poveri, il ceto di creditori dell'arrendamento che teneva quello del Salvatore, gli amministratori di ospedali e di conservatori a S. Giacomo, Sant'Eligio, Spirito Santo, Popolo, perderono i secolari loro dritti. Specialmente per S. Giacomo dichiarò Zurlo (art. 61). Questa vigilanza e sopraintendenza dei banchi avrà luogo, in un modo anche più speciale, sulle casse della Regia Corte esistenti nel Banco di San Giacomo, per le quali la Regia Corte, medesima ha un interesse maggiore.

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Quindi i Governatori dovranno, per queste casse, far tutto colla dipendenza dal Direttore delle Beali Finanze. Le contate di casse, e tutt'altro che riguarda la sistemazione e le cautele delle dette Casse di Corte, non si potrà da ora innanzi eseguire se non colla intelligenza ed approvazione del Direttore di Azienda

Fabbricatosi dunque l'istrumento, il Ministro se ne servì per avvalorare altre fedi vacue, e per impossessarsi dei nuovi depositi, che i troppo fiduciosi Napoletani stimavano guarentiti dalle solenni promesse del Re. Nei precedenti mesi Zurlo s'era permessa qualche libertà, per la quale i Governatori, pur obbedendo, gli avevano fatto tenere rappresentanze sgradevoli, che lo costringevano a mettere in carta ciò che non gli piaceva si sapesse. Per esempio, prova l'archivio che, li 31 agosto 1800, ordinò ai Governatori del Banco San Giacomo di avvalorare fedi di credito, da consegnare a lui, per la somma di Duc. 25,000. Alla risposta che ciò offendeva le recentissime leggi, replicò; Rimanere S. M. intesa ma volere assolutamente eseguiti gli ordini dati. Ai 13 settembre dell'anno stesso, domandò altri Duc. 110,000, pure in fedi di credito, che per Duc. 78,638,98 tenevano il corrispettivo in depositi di moneta di rame, i quali forse spettavano alla Tesoreria, ma pei rimanenti Duc. 31,301,02 rappresentavano vuoto di cassa. Osservarono modestamente gl'impiegati, che il Re cadeva in due involontari equivoci. Primo, di credere appartenersi alla Regia Corte il denaro depositato, senza che fosse eseguita la voltura di credito, mentre per legge il denaro appartiene alla persona che lo sborsa, la quale può, quando crede, riprenderlo, se non abbia consegnato ad altri il titolo creditorio; secondo, di ordinare l'emissione della fede di credito, ciò che sarebbe, dicevano, quasi falsità. Replicò che la moneta di rame era troppa, e ne consegnassero, senz'altro, obbiezione, Duc. 27,000 al Delegato Regio, Cafiero. Ogni resistenza finì col dispaccio 10 marzo 1801, che metteva tutt'i banchi sotto la dipendenza del Ministro.

I denari nelle casse non erano allora molti. Con le notizie che fece raccogliere, nel 1833, il Ministro d'Andrea (1), abbiamo compilato questo prospetto del numerario esistente alla fine d'ogni mese dell'anno 1801.

(1) Volume 1156, archivio del Segretariato Generale.

- 400 -

Però tali notizie son prese dai Libri Maggiori Apodissari, ed esprimono la somma che avrebbe dovuto trovarsi, non quella che effettivamente ci era.

Le deficienze sono mascherate con scritturazioni contabili, per le quali figurano, come se esistessero, somme equivalenti alla valuta delle polizze emesse per ordini ministeriali, e si mette alla categoria argento la moneta dì rame.

R I S E R V E

dell'anno 1801

BANCO S. GIACOMO

Anno 1801

cassa dei particolari cassa di corte

nel Tesoro

nella cassa

in monete

di argento

nella cassa

in monete

di argento

Gennaio » 269421,64 522527,01

Febbraio » 300727,11 466196,83

Marzo » 340792,72 480498,86

Aprile » 242604,01 398602,55

Maggio » 277366,46 557676,80

Giugno » 220063,- 372558,98

Luglio » 159315,92 321183,59

Agosto 45701,- 84239,32 527519,46

Settembre 73061,- 126794,26 750513,18

Ottobre 112559,- 207718,95 886764,08

Novembre 141715,20 198387,94 978344,80

Dicembre 129587,20 146934,45 943788,05

Totale 502623,40 2574365,78 7200078,69

Media 41835,28 214550,48 600506,50

Banco

del

SALVATORE

Banco

del

POPOLO

Banco

dei

POVERI

Banco

di

SANT'ELIGIO

Banco

SPIRITO SANTO

Totale

nella cassa in monete di argento nella cassa in monete di argento nella cassa in monete di argento nella cassa in monete di argento nella cassa in monete di argento

79291,63 63740,- 9843,31 50100,- 171333,20 1,232,284,65

80716,90 100560,- 19119,56 50100, - 155132,SO 1,260,825,94

110709,12 76460,- 67942,36 50100,- 311760,85 1,587,937,85

30351,39 65600,- 44278,38 30800- 264925,99 1,133,085,40

39096,51 50000,- 61546,06 30800,- 214127,46 1,293,501,75

11755, SO 50000,- 10713,33 30800,- 216512,47 1,037,600,18

18766,18 50000,- 11846,3 30800,- 134817,48 819,406,80

29337,75 45000 - 31230,13 20800,- 201318,16 1,132,563,29

63874,67 45000,- 19322,33 20800,- 262543,07 1,507,852,22

71146,33 60000,- 25121,68 30000,- 343164,78 1,827,838,33

100226,65 75320- 4730:),40 31000,- 528739,15 2,168,317,32

84112,55 100400- 73262,75 30000,- 534803,72 2,139,734,60

749418,51 782080,- 421529,59 405100,- 3339179,13 17,140,948,33

62451,54 65173,33 35127,37 33758,33 278264,93 1,428,412,86

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Coi mentovati ordini, e con moltissimi altri, si fece un vuoto nei banchi San Giacomo e Poveri di ducati 3,085,060.67. Ai 31 dicembre 1802, il debito della Regia Corte, cioè la mancanza nella cassa S. Giacomo era già arrivato alla somma di Duc. 2,110,080.20, ma nel primo trimestre 1803 si restituirono Duc. 100,000, coi proventi della carta bollata e del lotto, riducendosi a ducati 2,010,080.20 (1). Gli altri Duc. 1,074,980.47 uscirono dal Banco dei Poveri, al quale, in luglio 1799, s'era dato l'ordini di riscuotere certi arrendamenti.

Parecchie volte rifiutò il ministro di mettere la firma alle polizze di pagamento, che per suo ordine si caricavano sul Banco di Corte. Leggesi infatti nel volume delle conclusioni di S. Giacomo:

«Essendosi servita la M. 8. di ordinare, con Real dispaccio del primo del prossimo scorso mese di agosto, che le polizze che devono accreditarsi, col giro di ruota, nella fede madre in testa della Tesoreria Generale, non ostante che fossero mancanti delle firme necessarie, pure si fossero accreditate alla detta generale tesoreria, per poi rimettersi dallo stesso Banco, per farle adempire delle debite firme; si credette nel l'obbligo questo governo di far presente alla prefata M. S. con rispettosa rimostranza degli 8 del menzionato mese di agosto, gli sconci che avvenir potevano "da una sì irregolare operazione. Successivamente, avendo S. M. rescritto, con altra Real carta dei 4 andante, che l'impedirsi una tale esecuzione era pregiudizievole ai Beali interessi, e che voleva perciò che. senza replica,eseguiti si fossero i precedenti Reali ordini; con doversi accreditare le polizze, senza passarsi per ruota, non ostante che fossero mancanti delle debite firme; «abbiamo stimato miglior consiglio di portarci dal Direttore delle Reali Finanze, e di comunicargli colla viva voce le nostre giustificate obbiezioni, iter la irregolarità di siffatta operazione, e per i dissesti che potevano dalla medesima derivare. Avendo noi quindi, in questo giorno, tenuto seco lui lo stabilito abboccamento, per invenire il modo onde il Real servigio non resti punto attrassato, e sia il banco stesso pienamente in simili emergenze cautelato, mediante l'assicurazione di una idonea persona, che, maggiore di ogni eccezione, in ogni futuro evento responsabil ne sia; di comun consenso si è convenuto, che qualora la bisogna richieda, per qualche pressante urgenza della Regia Tesoreria, di doversi prontuariamente accreditare le polizze di questo nostro banco, al prelodato signor di rettore pagabili, o alla disposizione del medesimo girate, e che non siano da esso lui firmate, o perché stia in altro occupato, o perché Torà della notte sia molto avanzata, si accreditino dal nota in fede, non ostante che siano mancanti della firma del prelodato signor Direttore; colla condizione però che debbano essere le medesime roborate in piede della firma del di lui referendario, D. Giuseppe Marciano; e con legge espressi benanche che, nel susseguente giorno, si debbano dall'ufficiale D. Francesco Fiorentino, a tal uopo incaricato, consegnare al Direttore della scrittura dei Banchi, Don Gaetano Barbetti, per farle delle debite firme completare; e resti a cura

(1) Rapporto dei Razionali V. Grosso e F. Cavaliero, 28 maggio 1803.

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di esso Fiorentino , non solo di dar parte immediatamente a questo governo di tutto lo eseguito, ma di ritirare benanche le dette polizze ,nello stesso giorno, dal mentovato I). Gaetano Barbetti, e di restituirle subito sulla ruota, perché siano sulla medesima legittimamente passate. Affinché, nel prestarsi il dovuto istantaneo servizio alla prefata Segreteria Generale, non si deroghi punto alle leggi costituzionali del Banco ,le quali richiedono che le polizze che devonsi col giro colla ruota accreditare, debbano essere ancora delle necessarie condizioni completate. Beninteso, che siccome si permette di potersi, in qualche urgenza, tali polizze mancanti di firma accreditare, cosi resta assolutamente proibito di potersene altre simili, mancanti di firma, accreditare, qualora le antecedenti, accreditate, non saranno legalmente per lo giro della ruota già passate. Si partecipi dunque questo nostro stabilimento agli ufficiali ai quali si convenga, affinché sia, in tutte le sue parti, inviolabilmente osservato - firmati - Frasso-Puoti-Sanfelice = Franchini - d'Afflitto.»

Pretende lo storico Bianchini (1) che Ferdinando IV niente sapesse degli ordini di Zurlo, e dei tre milioni di ducati, nuovo debito per polizze messe in giro. E diffìcile ammettere tale asserzione, quando si pensi all'abuso che tutt'i dispacci fanno nel nome di S. M. e si considerino le parole di quest'ordine, 11 luglio 1800:

"Ha dichiarato finalmente 8. M. che le disposizioni le quali si danno da esso Barbetti (D. Gaetano, il cagnotto di Zurlo) pe' passaggi del denaro pertinente alla Real Tesoreria, sono tutte con Sovrana intelligenza, laonde ha comandato che dagli uffiziali a cui spetta siano sempre con prontezza e con esattezza, secondate. Il Re faceva così rispondere ad una rappresentanza diretta a lui, non a Zurlo, nella quale i Governatori della Pietà denunziavano fatti di appropriazione indebita.

"28 giugno 1800.-Rappresentanza del Banco Pietà. Con Real carta de' 7 corrente anno, volendo la M. V. accorrere, con le sue paterne benefiche cure, al risorgimento dei Banchi, che in massima parte dipende dalla fiducia e buona opinione del pubblico, si benignò di ordinare e dichiarare che il deposito di ciascun particolare doveva essere inviolabile, e da non potersi ritirare dal Banco e spendere in altro uso, se non per quello che dai particolari medesimi sarebbe stato disposto. Ed affinché un tal Sovrano comando, diretto a così lodevole fine, avesse avuto il più esatto adempimento, no chiamò noi responsabili in qualunque caso, anche in quello di equivoco,,.

(1) Pag. 205 vol. 3.

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"Per la pronta esecuzione di questa Sovrana Legge, ne furono subito da noi spediti gli ordini corrispondenti ai cassieri di questo Banco e ad altri ufficiali ai quali spettava. Ma, allorché riposavamo tranquilli, e credevamo che non si fosse alterata, ne alterar si potesse in menoma parte la legge dalla M. V. emanata, con nostra sorpresa, abbiamo avvertito che non una, ma più volte è avvenuto il caso che, per disposizioni date a voce da D. Gaetano Barbetti, alcune somme, ch'esistevano a credito dei particolari, sono state passate a eredito della Beai Corte; ed i cassieri, non ostante il suddetto Beai dispaccio, si son creduti in dovere di eseguire tali disposizioni, credendo che anche su di ciò si estendessero le facoltà che alla M. V. è piaciuto di accordare ad esso D. Gaetano Barbetti. Né noi saressimo, per ora, venuti in cognizione di questo fatto se un tale Crescenzo Cretella non fosse, giorni sono, venuto ad esigere il suo deposito di D. 430, che in data dei 7 caduto maggio aveva fatto in questo Banco, e non si fosse venuto in chiaro, dalle di costui lagnanze, che il deposito medesimo non si trovava esistente, essendo stato, per la surriferita causa, ai 9 di detto maggio, passato in credito della Regia Corte".

"Or siccome la M. V. si serve di ordinare, con legge scritta, tutto ciò che vuole che si esegua; e d'altra parte li verbali stabilimenti possono facilmente andare in oblìo, e dar campo ancora agli ufficiali di non ubbidire agli ordini loro prescritti: e quindi render noi responsabili di ciò che non può esserci a notizia se non dopo avvenuto qualche sconcio, così rassegniamo l'accaduto alla M. V. a ciò si compiaccia d'ordinare che non sia lecito a chi che sia di alterare i Sovrani vostri stabilimenti, quando la legge da V. M. scritta non venga derogata da un'altra, egualmente scritta, ed a noi diretta. Giacché, facendosi il contrario, verrebbero ad essere postergati facilmente i Sovrani vostri comandi, e potrebbero accadere moltissimi sconci".

"E, nell'atto medesimo, passare gli ordini corrispondenti alla General Tesoreria, acciò venga rimessa nel Banco l'anzidetta somma di D. 430, presa dal deposito fatto dal suddetto Crescenzo Cretella, per poterne essere il medesimo soddisfatto".

"Ed intanto prostrati ecc.".

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Avuta la risposta, chiara e sufficiente, che metteva in salvo le loro responsabilità, i Protettori curarono la forma segretariesca. "Si è dai signori Protettori, in esecuzione di tal Sovrana risoluzione,stabilito e determinato; che da tutti gli uffiziali ai quali spetta si eseguano subito, colla debita prontezza ed esattezza, tutte quelle disposizioni che loro verran date dal detto D. Gaetano Barbetti, relative ai passaggi del denaro pertinente alla Beai Tesoreria;con farsene però fare da esso Barbetti l'ordine, o almeno la nota in iscritto, per poterne con esattezza e senza equivoco eseguire il disimpegno, ed in ogni tempo dimostrarne l'esecuzione, per loro giustificazione". Ciò bastò per lavare il loro banco dalla macchia delle fedi vacue. Zurlo e D. Gaetano più non si servirono della Pietà, e non la fecero partecipare a quest'altro vuoto di cassa, perché trovarono maggiore ossequenza nei banchi S. Giacomo e Poveri, dove non si chiedevano comandi scritti.

Chi avesse divulgato la notizia degl'illeciti avvaloramenti noi non sappiamo. Ma era tanto fresco il danno della liquidazione 1800, tanto scarse le riserve metalliche, e così vacillante il credito pubblico, da bastare un lieve sospetto perché i creditori temessero di aver perduta la moneta allora depositata e corressero a pigliarla, se potevano. In soli due giorni furono esauste le casse apodissarie, che puntarono i pagamenti.

S. M. che si diceva sgomentata ed afflitta pel primo vuoto nei banchi, ed aveva con due leggi solennemente promesso di non voler permettere altre offese alla fede pubblica, biasimò nel modo più formale gli atti di Zurlo.

Giustizia esige di ricordare che le condizioni nelle quali si era trovato quel ministro furono difficili e pericolosissime, tali che nessuno avrebbe potuto far buona figura. La Finanza non trovava danari a nessun patto; le tasse davano assai meno del solito; dopo il fallimento del 1796, e le taglie dei francesi, ed i guasti dell'anno 1799, bisognò mantenere a Roma un esercito, e provvedere alla spedizione in Toscana, all'assedio di Malta, e pagare i patti della pace di Firenze, e alimentare il presidio francese delle Puglie, e satollare l'avarizia dei diplomatici stranieri, e sborsar doti per le nozze delle principesse, e mantenere tre reggie e tre corti, una in Napoli del Principe Francesco, l'altra in Sicilia del Re, la terza in Vienna della Regina. Ma pure la finanza lungo tempo resisté, per prestiti rovinosi e per le arguzie del ministro, che trasandando leggi, regole, giustizia, utilità del fisco, utilità dello stato, schermivasi come disperato tra le tempeste e solamente inteso a schivare il naufragio.

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Erasi indebitato coi negozianti della città, con gli esattori delle taglie, con le casse di deposito, co' civili stipendiati, con l'esercito, con la stessa borsa del Re; e a tale stremità pervenne che involò dal procaccio le somme (poco più di dodicimila ducati), che venivano a cittadini privati e bisognosi. Egli per certo tempo quietava i creditori con le promesse, o con le ricompense di alti interessi o d'impieghi pubblici; ma caduto alfine il credito, la fede, la pazienza, si levarono lamentanze infinite, e nella rovina dell'erario rovinò il Ministro.

Il Re, proclive alla collera, lo dimise con onta: ed egli tornava in patria, piccola terra di Molise; povero, creditore del suo stipendio di molti mesi, e debitore agli amici del suo stretto vivere, nella carica sublime di Ministro. Tra via fu rivocato in Napoli, dove andò chiuso nelle carceri del Castel nuovo; ma poco appresso, esaminata dai ragionieri l'amministrazione del danaro pubblico, fu trovata sregolata, ma sincera; i disordini quando comandati, quando necessari, ed il ministro veramente colpevole di tenere ufficio dove era impossibile il successo.

Abolito il ministero si ricompose il consiglio di finanza, Presidente Medici (1).

*

**

17. A' 18 agosto 1803, fu pubblicato il seguente editto:

"Sin d'allora che noi fecimo annunziare al pubblico la nostra sorpresa ed il nostro dolore, perché, in contradizione ai precisi nostri ordini, e senza che ne avessimo avuta alcuna notizia, fosse stato preso qualche arbitrio (!) nell'amministrazione dei banchi; e dichiarammo, sotto il sacrosanto scudo della nostra Real Parola, essere nostra principal cura di conservare ai pubblici banchi l'intera pristina fiducia; onde potessero essere tranquilli tutti coloro che per l'avvenire credessero di affidarvi i loro averi. Niun mezzo è stato per noi trascurato per venirne felicemente a capo; e, con infinito contento del sollecito animo nostro, abbiamo ricevuto delle proposizioni di persone opulenti,

(1) Colletta- Storia di Napoli-Lib. 5 cap. 24 - 11 dispaccio però del 26 luglio 1803 ('vol. 28 archivio pag. 83) che licenzia Zurlo, ha forma molto cortese; dice che lo esonera dall'ufficio per ragion di malattia ed in seguito di ripetute domande. Medici ebbe allora il g-rado di Vice Presidente, non Presidente del consiglio. I subalterni, al solito, furon trattati con meno cerimonia, cosicché parecchi soffrirono prigionia e domicilio coatto. D. Gaetano Barbetti Io tennero per parecchi mesi nel castello d'Ischia (dispaccio 1 settembre 1804) e poi abolirono il suo ufficio di direttore della scrittura dei banchi (3 ottobre 1804).

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di versare sollecitamente nei banchi il contante, quasiché corrispondente alla somma del credito degli apodissari (1) "."Intanto, per rendere viemaggiormente cauti i possessori delle carte bancali, e per facilitarne sempre più la soddisfazione del credito; siamo venuti nella determinazione di assegnare una giusta quantità di fondi,che appresso spiegherassi, onde, colla vendita dei medesimi, si abbia ad incassare quella somma effettiva che dalle suddette carte bancali viene rappresentata. E poiché siffatta operazione, per essere legalmente mandata ad effetto, fa di bisogno che gli apodissari, dell'interesse dei quali si tratta, fossero intesi per mezzo di persone di conosciuta probità, e facoltose insieme; che li rappresentino, e che al tempo stesso veglino all'esatto adempimento dei nostri ordini, e ne assicurino a favore degl'interessati le salutevoli conseguenze;ordiniamo, e col presente nostro Reale Editto comandiamo:

"1.° Che si formi una deputazione,cosi detta degli apodissari, la quale li rappresenti, e possa e valga in loro nome consumare tutti gli atti necessarie legali, come appunto se ella fosse munita di special mandato di procura di ciascheduno degl'interessati; supplendo noi, con la Sovrana nostra autorità, al consenso individuale di tutti e di ognuno di loro".

"2.° Nominiamo per deputati: Il Principe di Bisignano, il marchese di Acquaviva, D. Alfonso Garofalo,I). Giuseppe Carta, il marchese D. Gaetano de Sinno, D. Francesco Buono, D. Giovan Luigi Falcone, D. Giovanni Martini ".

"

3.° Prima cura di siffatta deputazione sarà quella di verificare l'effettiva quantità delle carte bancali che sono in circolazione (2).

(1) Non ci è stato possibile di conoscere i nomi di queste persone opulenti e che somma volessero prestare. La solenne asserzione di S. M. e dei Ministri sembra senza fondamento, dappoiché nessuna fede o polizza fu poi levata dalla circolazione, mediante prestito fatto da tali persone.

(2) L' archivio della Direzione Generale (volume 378) conserva i verbali di verifica e contata generale delle casse, compiuta ai 6 settembre 1803. Le principali cifre sono:

CREDITO

degli apodissari per carte in

ovvero depositiC|C DENARO

in tassa comprese le monete titolopegno DEPUTATO

dei banchi denari

tolti a o per SOMME

prese StatoCREDITO

dei bandii pegno

ipoteca

dei poveri

del popolo

di Pietà

Salvatore Santo'Eligio

San Giacomo

1

,072,675,68,289,74,343,49,979,03,049,857.52,198,89,105,400,82 7,594,17 ,835,24,483,10,173,59,779,81,294,77,515,05 03,093,02 ,000,80,835,00,532,78,938,19,955,18,123,28 1,074,980,47

»

»

»

»

»

2,010,080,30 55,322,20

33,763,21

8,500,-

59,040,80 ,714,-

37 545,26

47,531,-

Totale

Meno i riscontri

7,755,695,17 ,992,610,29 118,025,79 207,079,51 3,085,000,07 282,018,53

Circolazione 3,703,084,88

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E perciò i governi dei rispettivi banchi avranno a dipendere dalle disposizioni che quella sarà per dare; e, finché le suddette carte non venghino fra di tanto soddisfatte, sieno tenuti comunicarle tutt'i lumi che le bisognino, e saranno richiesti; dovendosi considerare la deputazione suddetta, siccome la consideriamo noi, qual posseditrice attuale dei beni dei Banchi. Ed è nostra sovrana volontà che sino a tanto che gli apodissari non siano tutti intieramente soddisfatti, non si abbia a fare nei banchi cosa alcuna senza l'espresso consenso di quella, quindi dichiariamo abolita la giunta dei banchi, restando per ora la sola sopraintendenza, pe' lumi che saranno necessari.

«4.° E per la soddisfazione ed estinzione delle carte bancali, noi destiniamo ed assegniamo agli apodissarì, ed in loro beneficio, e per essi alla deputazione, i più speciosi fondi che ella saprà scegliere, e che crederà di più facile e spedita vendita, dai beni dei nostri allodiali, dall'azienda dell'educazione e dall'amministrazione dei monasteri soppressi (1).

«5.° Dippiù la deputazione unirà a cosi fatti beni, da noi destinati ed assegnati, anche dai beni dei banchi, che ascendono a 13 milioni, quelli similmente che saranno giudicati di più facile e spedita vendita; la quale scelta, fatta che sia, verrà pubblicata per mezzo delle stampe, onde si possano tutt'i beni suddetti esporre all'incanto (2). A tal oggetto noi concediamo alla Deputazione la facoltà di restringere gli additamenti di decima a 10 giorni soli; e quelli di sesta a 20, dispensando', sovranamente e di piena e spontanea nostra volontà, da tutte le altre leggi e prammatiche le quali altrimenti stabilissero. (3)

"6.° Ed affinché la vendita suddetta non venga a ricevere il menomo ritardo, lasciamo ad arbitrio della deputazione di ricevere le offerte corrispondenti all'apprezzo, qualora questo possa speditamente farsi, ovvero corrispondenti alla rendita che costi, depurata però dai pesi colla regola delle coacervazioni..

«7.° Concediamo pure alla deputazione la facoltà di poter ricevere le offerte per affrancazioni di censi e di canoni, sopra i beni tanto delle tre sopraindicate aziende, quanto dei Banchi; alla ragione del) per cento se siano sopra terreni o suoli, e del G sopra case.

«S.° Prometterà la Deputazione, e noi da ora vi prestiamo il nostro sovrano assenso e tutta intera la nostra approvazione, la debita evizione di dritto e di fatto, in amplissima forma, a beneficio dei compratori, e nel modo loro più favorevole, e questa su i beni dei banchi che resteranno invenduti.

Ed a scanso di ogni timore di lite o di qualsivoglia molestia, che possa in avvenire esser recata ai compratori da parte del Fisco, dichiariamo che le vendite, in questo modo

(1) Vedremo in seguito che onesta promessa fu mantenuta solo in parte.

(2) Gli ospedali dipendenti o annessi ai banchi perdettero in quell'occorrenza molti beni, e senza frutto cercarono di provare la separazione d'interessi. Sant'Eligio, specialmente, ch'era nato quattro secoli prima del banco, e si era fatto sempre pagare la pigione per le stanze occupate da questo, fece ogni sforzo per restare in possesso dei suoi feudi e masserie.

(3) Gli anni precedenti si era parecchie volte pensato di pagare, in tutto o in parte, i debiti apodissari con la vendita dei beni patrimoniali dei banchi; si era anche compiuta qualche consegna ai compratori; ma le turbolenze politiche avevano impedita siffatta liquidazione; onde nel 1803 possedevano ancora, i sette Monti, gran parte della dote o capitale patrimoniale che nel 1788 l'abate Galanti valutava D. 13,000,000.

Però lo possedevano solo di nome; che in fatto era il fisco quello che incassava la rendita e teneva 1'amministrazione dei beni immobili. Lo stesso fisco negava allora di pagare la rendita dovuta per decima e partite d'arrendamento, vale a dire pei titoli di debito pubblico; ed una gran parte dei tredici milioni consisteva proprio nel valore capitale di crediti di questa specie contro lo Stato.

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dalla deputazione fatte, non possano essere inficiate da chicchessia, né per vizio di nullità, né per mancanza de' solenni che reputatisi indispensabili nell'alienazione dei beni fiscali, né anche per lesione, comunque si dicesse e norme, enormissima; avendo noi considerato che questa nostra rinuncia ai dritti del fisco resta più che abbondantemente compensata coll'utilità pubblica, che ci è tanto a cuore, ed in preferenza di qualsiasi nostro interesse; la quale utilità consiste principalmente nel riaprimento delle casse dei banchi il quale, ove non fossero le sollecite e spedite vendite mandato ad effetto, sarebbe per cagionare assai maggior danno al Beale Erario ed agii interessi Sovrani. (1)

«9.° E per maggior cautela, più stabile sicurezza dei compratori e loro perfetta tranquillità contro le azioni fiscali, qualunque esse sieno, o potessero mai in ogni futuro tempo essere, vogliamo e comandiamo che l'avvocato fiscale del nostro Real Patrimonio, D. Domenico Martucci, rappresentando legittimamente il fisco, intervenga nel nostro Real Nome a tutti gli atti delle subaste e nelle stipulazioni degl'strumenti di vendite per renderne viemaggiormente sicuro l'atto; senza però che egli abbia punto a ingerirsi, sotto qualunque pretesto, nelle operazioni della deputazione; la quale avrassi sempre a considerare, come noi la consideriamo, come assolata e libera dispositrice dei beni suddetti.

«10.° E poiché noi non vogliamo che il vantaggio dei nostri sudditi, che concorreranno alle nostre benefiche mire, assolviamo i compratori da tutte le spese che simili contratti portan seco, restando queste a carico della deputazione, con quelle della stipula e della copia degl'istrumenti.

«11.° Lasciamo poi alla deputazione la cura di escogitare altri mezzi, che saranno giudicati più conducenti alla facilitazione della vendita dei beni espressati. E siccome da persone facoltose ci vengono fatte proposizioni di versare nelle casse dei banchi non piccole somme in effettivo; cosi vogliamo che resti per noi autorizzata la deputazione stessa a mettere in pratica tutte quelle operazioni che ella stimerà più convenienti, più spedite e meno dispendiose a conseguire il desiderato fine.

«12.° E poiché è nostra sovrana volontà che la suddetta deputazione degli apodissari non abbia a durare che sino a tanto che i Banchi siano in pari; conciosiaché questo sia stato uno straordinario provvedimento da noi preso; ordiniamo perciò che dopo un anno dal di della pubblicazione del presente editto, debba essa deputazione cessare dalle sue funzioni; potendo questo determinato tempo bastare a compire tutte le sue operazioni, quella specialmente dell'espressata vendita dei beni nonché a mettere i Banchi in pari, ossia alla soddisfazione dei creditori, a cui è unicamente diretta. (2).

«13.° E allora, siccome è nostra sovrana volontà, verrà a cessare l'insolidità dei banchi, da noi già sovranamente decretata sin dall'anno 1794; e sarà d'indi in poi ciascun banco restituito al suo pristino regime, l'uno dall'altro separato, e ciascuno distinto da per sè; né vorremo prenderne noi altra cura, se non quella sola che è dalla nostra sovranità inseparabile, cioè di vegliare alla santità ed incolumità dei pubblici depositi, ed alla osservanza delle leggi sopra di ciò ordinate.

(1) Quest'articolo era necessario dopo la cattiva azione fatta tre anni prima, quando, stipulato il contratto, ed incassato pure il prezzo, si annullarono le vendite per la pretesa mancanza di Regio Beneplacito.

(2) Non bastò l'anno. La durata in ufficio della deputazione degli apodissari si prolungò di mese in mese, ma per forza di Reali dispacci, fino ai 1807, rimanendo una commissione temporanea, per r applicazione della legge 11 giugno 1806, che durò fino al 1809. Ci sono in archivio molti atti, con una importante collezione di lettere dei ministri.


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"14.° Il Banco di San Giacomo, soltanto, resterà destinato a tutt'i diversi rami delle nostre Beali Finanze. E perciò, estinta che sarà l'insolidità con gli altri, sarà esso dichiarato Banco di Corte, sotto l'immediata direzione del Ministro della nostra Beale Azienda, e del Tribunale della Regia Camera. E, perché l'indipendenza e separazione dagli altri banchi sia assoluta, sarà allora da noi vietato ai particolari di farvi introito di danaro o spendercelo, se non per oggetti soltanto riguardanti le nostre Beali Finanze e loro dipendenze; e sarà pure vietato che in detto Banco sieno ricevuti i riscontri degli altri, e cosi per l'opposto quelli di questo negli altri. Riserbandoci di pubblicare, quando che sia, le istruzioni necessarie per ]0 buono andamento suo, volendo noi che la sua costituzione non abbia nulla di comune con quella degli altri banchi, essendo assolutamente diverso l'oggetto a cui esso è destinato. Ma, qualora la deputazione degli apodissari, dopo le sue mature considerazioni sulla quantità dei crediti degli apodissari stessi; e sulle cautele per l'assegnazione dei beni suddetti, crederà che la separazione del Banco di San Giacomo, e nuova sua costituzione come Banco di Corte, debba aver luogo prima della soddisfazione dei creditori, noi volentieri condiscendiamo; essendo nostra assoluta determinata Sovrana volontà, che non mai i depositi dei pii vati e le loro operazioni bancali, abbiansi a mischiare con i depositi delle nostre Beali Finanze, e con le loro bancali operazioni (1)".

"15.° Intanto, volendo noi conservare all'amministrazione de' monasteri soppressi, senza niuna diminuzione, quel rispettivo patrimonio che sino al giorno di oggi si trova esistente; ordiniamo e vogliamo che dopo che la deputazione fatta avrà la scelta di quei beni e censi dei monasteri suddetti al suo scopo necessari; prima di eseguirsene l'assegnazione, dai mutui e dalle rendite di annue entrate che i banchi oggidì posseggono, dovrassi assegnare altrettanta quantità di rendita, che sia corrispondente a quella che davano, depurata da pesi, i beni e fondi di essi monasteri, dalla deputazione prescelti; e vogliamo ed espressamente comandiamo, che fra gli otto milioni, che tra mutui e rendite di annue entrate i banchi si trovano al giorno di oggi di possedere, sieno scelti quei mutui o quelle rendite di annue entrate che sono le meglio cautelate e di più facile e spedita esazione, per assegnarsi all'amministrazione dei monasteri soppressi; riserbandoci noi d'indicare persone,

(1) Primo atto del nuovo ministro cav. Medici,era stato l'invio di questo dispaccio. «Con sovrana determinazione del di 8 del mese di maggio dell'anno 1800 fu prescritto, tra le altre cose, che l'introito ed esito di tutti i vari cespiti ed amministrazioni fiscali di qualunque natura, ninna eccettuata, si facessero nel banco di San Giacomo e propriamente nelle particolari casse in quella designate per servizio della E. Curte,Questo stabilimento diretto a togliere nei prodotti della Real Tesoreria generale la complicazione, ed a produrre unità che è madre dell'ordine nelle pubbliche amministrazioni, ha inteso S. M. non sia più letteralmente osservato, tuttoché non siavi alcuna Real risoluzione in contrario.»

«Vuole quindi e comanda la M. S. che la sopracitata sua Sovrana determinazione sia richiamata in esatta osservanza, né vi si contravvenga sotto qualunque colore o pretesto. E perciò di ogni qualunque somma, da pagarsi alla Regia Corte, dovrà farsene introito nel solo Banco di S. Giacomo e propriamente nelle dinotate casse.»

«A tal effetto, comanda S. M. che tanto la Camera, che i delegati, sopraintendenti, amministratori ed altri incaricati dei vari cespiti fiscali non ricevano pagamenti che loro si facciano per conto dei rispettivi pecuniarii, qualora questi non siano fatti per mezzo del Banco di San Giacomo nelle sopraccennate casse.»

«Nel R. nome ecc. - 30 luglio 180?,.-Luigi de Medici».

Dicesi che da Medici si fosse prima consigliato di fare del monte San Giacomo un Banco governativo, ed è cosa certa che tutta l'opera finanziaria di questo ministro, pei molti anni che a varie riprese tenne il potere, fu sempre diretta a servirsi degli antichi metodi bancarii napoletani per comodo e profitto del fisco.

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di nostra piena fiducia, le quali veglino all'indennità de' monasteri e de' loro interessi; essendo nostra volontà che a ciascheduno di essi venga a restare,senza la più piccola detrazione,quella stessa annuale rendita che oggidì si ritrae dai beni esistenti e non venduti, depurata però dai pesi; e solo per l'utilità pubblica abbiamo potuto inclinare il nostro Real Animo a tollerare che sia eseguita così fatta permuta fra beni stabili dei monasteri e crediti dei banchi (1) ".

"Confida il nostro Real Animo chele provvidenze ora da noi date abbiano a restituire alle carte bancali la pubblica fiducia, conciosiachè resti già assicurata l'intera soddisfazione degli apodissarì; ne saranno da noi trascurati altri mezzi, che sapremo escogitare o che ci verranno dalla esperienza suggeriti , onde venga a restare pienamente adempita questa nostra Sovrana determinata volontà; cioè elle al più presto possibile gli apodissarì, ed ogni altro creditore in virtù di carte bancali, sia prontamente soddisfatto in effettivo contante del suo avere ".

" Ed affinché tali nostre sovrane determinazioni, sottoscritte da Noi, e da un nostro Consigliere di Stato, sieno a notizia di tutti, ne alcuno le ignori, vogliamo che sieno date alle stampe , pubblicate nelle solite forme in Napoli, e per lo stesso effetto rimesse ancora nelle provincie, perché abbiano l'esatta loro esecuzione,,.

Questo editto Regio, interpetrarono come un ordine di pagare le carte vacue, con la vendita dei beni immobili e delle rendite degli stessi banchi. Non sono espresse dai documenti d'allora le ragioni per le quali scrisse Medici l'articolo quindicesimo dell'editto, che pare un circolo vizioso, poiché fa vendere poderi e case di monasteri, non di banchi; ma computa la rendita a favore dei monasteri stessi, rappresentati da un'amministrazione governativa, e comanda che la paghino i banchi, mediante cessione di capitali di mutui o d'annue entrate. Sarebbe stata cosa molto più semplice alienare addirittura li belli di banchi, che dovevano servire per colmare il vuoto, cioè debito apodissario, senza cominciare con un baratto che si potrebbe definire compra forzosa.

Probabilmente dovette il ministro considerare che le vendite all'asta pubblica di tutto il patrimonio dei banchi, mobile ed immobile, potevano maggiormente screditare la loro carta. Invece l'espediente di vendere roba di monasteri, sebbene fatto per legge che menava allo stesso risultato, era da presumere che non avrebbe sgomentato i creditori ed aumentato l'aggio delle polizze.

(1) Un dispaccio dei 14 luglio 1804 dichiara l'amministrazione dei monasteri soppressi si dovesse ricevere «tanto di capitale di mutui ed annue entrate dei banchi, a loro scelta ed elezione , quanto è risultato e risulta dal prezzo delle rendite alienate dai monasteri soppressi, alla ragione del sei per cento, essendo il minoramento possibile della rendita ben compensato con la scelta dei migliori capitali di mutui ed annue entrate che loro si accorda.»

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Il pubblico non leggeva i registri e niente sapeva delle scritturazioni contabili con le quali rendite e capitali passavano dalla deputazione degli apodissari all'amministrazione dei monasteri soppressi; vedeva solo che le vendite si facevano di beni di monasteri e con annullamento della carta; ciò gli bastava per sperare la prossima risurrezione dei suoi Istituti.

Altronde non e' era da fare permute in epoca nella quale ambo gli enti, banco e monasteri, dipendevano dallo stesso ministro che si riscuoteva la rendita dell'uno e dell'altro. Gli otto milioni citati nella legge, tenevano i banchi solo nominalmente.

La Deputazione degli apodissari durò più dell'anno prescritto per compiere il suo ufficio, e presentò, nel 1805., una proposta di riordinamento, che fu approvata dal Ho, ma non si potette porre in esecuzione, per gli accidenti politici di quell'anno. E da per mente che sin d'allora pensava Medici di aggiungere, alle antiche operazioni dei Monti della Pietà, una cassa di sconto e di anticipazioni, che ricevesse le scritte commerciali ed i titoli di debito pubblico.

Fece la deputazione molte vendite di beni, dei banchi ed anche di roba ecclesiastica, con le quali ridusse a D. 1,879,549.74 il vuoto di D. 3,085,060.(37. E non fu piccola impresa vincere gli ostacoli messi dalle condizioni economiche, dalla generalo sfiducia e dalla bacchettoneria della Corte. Uno dei prolungamenti dell'ufficio dei deputati contiene queste nuove regole.

"31 Aprile 1804 - Dispaccio - Prorogate, di Sovrano Coniando, sino a tutto il venturo mese di dicembre le facoltà concesse a co testa deputazione degli apodissari, S. M. uniformemente al parere della deputazione medesima, espresso con sua rimostranza del 20 agosto passato, che ho rassegnato alla sua Sovrana intelligenza, ha comandato che sia fatta nota al pubblico questa risoluzione; dichiarandosi al tempo stesso che siccome per la ripristinazione dei monasteri di San Severino e San Martino e della Compagnia di Gesù, i di costoro beni non sono più vendibili né i censi affrancatoli, così rimangono in vendita per lo ripristinamento dei banchi i beni degli altri monasteri soppressi di San Gaudioso, San Giovanni a Carbonara, San Pietro a Maiella, San Pietro ad Aram e Monte Oliveto, i beni tutti dei banchi e quelli dell'azienda allodiale".

2.° Che la ragionata dell'affrancazione dei censi sopra case si continui a fare alla ragione dei sei per cento franco di decima, quella poi sopra terreni e suoli si riduca dal cinque al quattro, parimenti franco di decima".

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"3.° Per le offerte pendenti e presentate innanzi l'epoca del 18 agosto per le elette affrancazioni, ove nell'improrogabile termine di tutto il dì 15 settembre gli oblatori non adempiano all'effettivo pagamento, non debba più tenersene conto; e volendo affrancare debbano presentare nuova offerta, secondo la ragionata nuovamente fissata".

"4.° Dichiara finalmente R. M. che la facoltà accordata agli enfiteuti, di affrancare i censi fra l'anno, che si trovassero eia estranei comprati, s'intende spirata. E per le compre di diretto dominio, che si faranno a tutto dicembre, tempo in cui spirano le nuove facoltà accordate alla Deputazione, gli enfiteuti avranno lo stesso dritto di affrancare dalle mani dei compratori alla ragionata nuovamente fissata; da valersene però tra lo stesso termine improrogabile a tutto il di 31 dicembre del presente anno. Lo partecipo ecc. Luigi de Medici,,.

Il primo cespite, al quale la Deputazione ricorse per colmare il vuoto e pagare la carta governativa, fu la piccola resta di pegni che ancora esisteva. Invano gridò il pubblico, per la perduta comodità ed invano gli stessi banchi facevano notare che togliendo loro quelle poche centinaia di ducati di lucro per interessi, sarebbe divenuta più intollerabile di quanto già fosse la condizione degl'istituti. Furono inesorabili li deputati che per sbrigarsi consentirono rinunzia d'interessi (notificazione di ottobre 1803) e nuove forme contabili pel discarico.

"26 settembre 1803.-Dalle reste dei pegni, rimesse a questa Deputazione, essendosi rilevato che in taluni Banchi siasi nuovamente investito in uso della pegnorazione quel denaro che dai dispegni si è percepito, dal 30 del passato agosto fili oggi, si vede questa stessa deputazione in dovere di pregare l'E. V. perché si compiaccia disporre che assolutamente le somme, che eia' dispegni pervengono, restino in cassa per appianamento del vuoto di questo ramo e non si tornino ad impiegare nell'opere dei pegni...

"Pesterà alla economia dell'EE. VV. il far seguire i dispegni o in contanti o con carte bancali, come meglio potrà riuscire e le circostanze permetteranno; pregandole bensì di non lasciare su quest'oggetto libertà veruna al cassiere o ad altri ufficiali del Banco, ma compiacersi, qualora si debbano ricevere carte bancali per dispegno,

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di farne l'EE. LL. ordine in iscritto in dorso delle polizze con cui si viene a fare il dispegno, affinché possa sapersi con sicurezza quante sieno le somme pervenute in contanti e quante in carta per lo scopo anzidetto

"E qui colla solita stima ecc. firmato, il Principe di Bisignano

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18.Nell'allegazione in difesa del Banco, contro la Congregazione del Monte dei poveri del SS. Nome di Dio, presentata dagli avvocati cav. Nicola Santamaria e Pasquale Benincasa, a 21 aprile 1879, fu stampato un lungo rapporto di questa Deputazione degli Apodissari. Lo trascriviamo per mostrare con quanta umiltà esponevano le loro idee i sindaci del fallimento. Gli è vero che questi deputati o sindaci non s'erano scelti dai creditori, sibbene dal ministro e dal Re, fra' possessori di carte bancali, reputati più obbedienti.

«6 giugno 1804. S. R. M. - Signore. Uniformemente a quanto la M. V. con real carta dei 2 corrente maggio,ha ordinato a questa Deputazione, si sta la medesima occupando alla formazione di un sistema invariabile, per la perpetua cautela dei creditori apodissarii, di tutti i Banchi di questa nostra dominante. Affinché però questo travaglio non rendasi inutile, ci facciamo arditi d'implorare dalla M. V. alcune delucidazioni, perché il nostro edifizio poggi su di una sicura e stabile base. Signore, il primo oggetto che questa Deputazione si propone è di fissare i sistemi dell'amministrazione dei beni patrimoniali de' Banchi onde restino sempre salve ed intatte le casse de' depositi. L'esatta esecuzione del Real Editto de' 18 agosto dell'anno scorso e la premura di accorrere sollecitamente al ripianamento del vuoto de' Banchi ci ha fatto finora, e ci farà indifferentemente, alienare i beni di tutti i Banchi; e la scelta che stan facendo i deputati del rimpiazzo dei beni di Luoghi pii piuttosto da un Banco che da un altro, a loro arbitrio, produrrà certamente che alcuni Banchi si troveranno sprovvisti di capitali sufficienti all'intrinseco mantenimento de' loro pesi; onde bisognerà supplirvi,nel nuovo sistema di ammortizzazione,coi capitali e fondi degli altri; senza che alcuno possa lagnarsi.(!) Il Banco che certamente avrà più bisogno di soccorso ai suoi pesi,sarà quello dei Poveri ; giacché anche prima delle vendite che si son fatte, e si continuano a fare, e l'assegnamento che si sta facendo di rimpiazzo ai monasteri soppressi, aveva una gravissima deficienza nella sua rendita, come in ajipresso si dettaglierà.(1) Altronde un ceto particolare di famiglie, ha creduto finora

(1) Dov'è il dettaglio! Tutti i documenti provano menzognera quest'asserzione poiché con soli avanzi di rendita il Monte e Banco dei poveri s'era fatto un patrimonio ben ricco, una rendita libera che lo metteva in prima riga fra gl'istituti filantropici.

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di sostenere una privativa del governo non meno di quel patrimonio del Banco, che dalla Cassa degli Apodissarii; e sarebbe ora molto ingiusta la condizione di tale privativa, subito che dai fondi degli altri Banchi si dovrebbe supplire al suo mantenimento, o lasciare all'eventualità il pericolo, che per mancanza di rendite si servissero dalla cassa di deposito, come pur troppo si è fatto, e che nel nuovo sistema ci vien proposto di rendere assolutamente impossibile. A rimuovere così grave ostacolo, crede questa Deputazione indispensabile di doversi assolutamente distruggere tal privativa. E, perché il nuovo sistema dell'utilità pubblica non offendesse la privata giustizia; ha voluto questa Deputazione maturamente esaminare qual dritto avessero queste famiglie a tal governo, ed a tutti i vantaggi che ne ritraggono, esaminando le antiche., e nuove capitolazioni delle medesime, approvate dalla Sovrana! Autorità. Ha trovato che in esse non vi sia alcuno appoggio di giustizia a sostenere tal privativa. A meglio sviluppare il nostro sentimento fa d'uopo ricorrere alla storia della origine di ciascuno dei Banchi di questa vostra Dominante, e particolarmente a quella della Congregazione del Monte dei Poveri, che è la sola, al presente, che crede poter conservare l'attuale amministrazione dei beni che si appartengono al Banco, e che sia una sua privativa il governarlo.»

"È ben noto, che dopo la metà del decimo sesto secolo, i privati ricchi di numerario, che erano stati soliti fino allora, per loro comodo e sicurezza, depositarlo volontariamente presso pubblico negoziante (che banchiere comunemente appellavasi) scoraggiti dalle frequenti fallenze di questi, immaginarono di collocare piuttosto i loro depositi presso dei Governatori di alcuni luoghi pii, ai quali, a ragion veduta per la loro integrità, ne aveva affidato la direzione chi reggeva le redini dello Stato. I primi, anzi i soli, su dei quali per molti anni furono fissati i loro sguardi, furono i Governatori dell'ospedale degli Incurabili. Costoro aprirono il primo Banco, e lo tennero pel corso di molti anni nel recinto dello stesso Spedale. Cresciutone il concorso, lo collocarono in una casa al largo di San Lorenzo, che presero in affitto dal Monistero di S. Liguoro, e lo denominarono Banco dei Popolo. Chi però allora reggeva questi nostri fortunati dominii, credette, nel 1584, doverne togliere al Governo dell'Ospedale l'amministrazione, e destinarvi dei particolari Governadori, che scelse da varie classi di persone, e così tuttavia si pratica, senza che mai l'Ospedale abbia proposto eccezioni, per conservarne l'amministrazione. Fin d'allora, Signore, si vide che simili istituzioni dovevano non solamente interessare i particolari creditori apodissarii, ma lo stato intero, poiché colle carte di Banco veniva non solamente a facilitarsi la circolazione del numerario, tanto utile al commercio, ma se ne poteva benanche, colle regole di una data proporzione, aumentare la massa, per la maggior felicità ed opulenza di tutti i sudditi. Nacquero in seguito, contemporaneamente e propriamente nel 1575, quelli della SS. Annunciata e della Pietà. Del primo ne fu lasciata la cura, fino al tempo della sua disgraziata mancanza, a coloro che il Governo, da tempo in tempo, veniva a destinare per l'amministrazione di quello spedale; esempio dispiacevole, che comprova l'irregolarità dell'attuale sistema del Banco dei Poveri, e garentisce quello che crede questa Deputazione doversi adottare.

"Il secondo, cioè quello della Pietà, ebbe origine nel seguente modo. Fin dal 1540, l'Imperadore Carlo l'stabilì di espellere da questi vostri Regni gli Ebrei, i quali, profittando a danno delle classi de' bisognosi, facevano l'illecito traffico di pretendere da costoro de' pegni; dandoli, ad esorbitante interesse, somme molto minori di quello che importavano le robe, che per loro sicurezza ritenevano in pegno nelle loro mani.»

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«In tal rincontro i due professori di legge, Aurelio Pesaro, e Nardo di Palma, per accorrere all'urgenza di coloro che dovevano sollecitamente liberare i loro pegni dalle mani di quegli usurai, che dovevano abbandonare per sempre questi vostri domini, immaginarono, e col loro proprio danaro, o con quello che ritrassero dalla pietà di molti fedeli, animati a tal opera dallo spirito di San Gaetano di Tiene, somministrare senza interesse di sorta alcuna, le somme che bisognavano per liberare i pegni dalle mani degli Ebrei, e che essi tennero d'allora in poi presso di loro; anzi seguitarono a fare la stessa opera di appresso, senza interesse alcuno, impiegandovi il loro proprio danaro.

«In proporzione dell'aumento considerevole di tale opera di pietà, in diversi tempi, ne fu ampliato il recinto. Con giusto fondamento adunque, nel 1575, i privati cominciarono a fare dei volontarii depositi di numerario presso di costoro, che avevano formato del loro lodevole istituto un Banco di sommo credito; non potendo mai né i fondatori dell'anzidetta pia opera, né tampoco i loro eredi, conservare a loro, ed alle di loro famiglie, la privativa di amministrarlo e governarlo; ma sempre è stata cura dello Stato il prescegliervi, dai diversi ceti, quelle persone che ha creduto capaci."

«Lo stesso si praticò in quello dello Spirito Santo, che ebbe,origine nel 1591 ed in quello di S. Eligio, che fu nel 1596; anzi di questi due Banchi, nati sotto gli auspicii di Governatori del Conservatorio dello Spirito Santo, che esisteva già da molto tempo, e dello Spedale di S. Eligio, eretto fin dal 1270, e che per legge di loro fondazione dovevano essere prescelti da una determinata classe di persone, ne nacque qual$R dippiù, poiché lo Stato si assunse non solo il peso di scegliere i Governatori di tali Banchi, ma a questi stessi ingiunse l'obbligo di so praintendere e vigilare benanche a quelle opere di pietà che nel recinto dei Banchi medesimi si amministravano; e non ostante che, prima di devenire pubblici Banchi, avessero fondi e rendite loro proprie per mantenersi.»

«Il Banco dei Poveri ebbe origine nell'anno 1600. Esisteva, fin dal 1563 una fratellanza di magistrati ed avvocati napoletani, i quali, per ovviare alle infinite frodi e sconcerti che accadevano in detrimento dei poveri carcerati della Vicaria, i quali o non trovavano a pignorare le loro robe, o pure pignorandole venivano angariati da incredibili usure, si unirono tra di loro, e stabilirono di pagare una piccola mensuale quota, e di andar questuando di persona a tal oggetto per la città; per impiegare tali somme al sollievo de' carcerati della Vicaria, e ricevere dai medesimi in pegno le loro robe, senza esigere interesse alcuno. Fu chiamata questa Compagnia, ossia Congregazione, col nome di S. Maria Monte dei Poveri.»

«Si cominciò ad unire in una stanza della Casa dei PP. Teatini dei SS. Apostoli, indi passò nel 1571 in quella dei PP. pii Operarli di S. Giorgio, e nel 1585 ottenne un salone, nel cortile della Vicaria stessa.»

«Nel 1588 si uni a questa Compagnia quella del nome di Dio, che presso a poco esercitava gli stessi atti di pietà, onde unite in tal modo, se ne formò una sola, che venne denominata: del Sacro Monte de Poveri del SS. Nome di Dio

«Nell'anno 1600 cominciarono alcuni privati a fare i loro depositi elfi numerario presso questa Congregazione, onde apri anch'essa un Banco, che fu denominato dei Poveri.

«Il luogo ove era allora il medesimo situato (ch'era nel cortile della Vicaria), e la qualità delle persone che alla Congregazione erano ascritte

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(giacché vi si noverarono la maggior parte de' Supremi Magistrati, e degli avvocati i più accreditati) fece si che questo Banco avesse maggior concorso degli altri. Quindi tutti i depositi che nei Tribunali venivano fatti, quasi tutte le quantità che si pagavano condizionate per impiegarsi in compra, in questo stesso Ban co s'introitavano, ragion per la quale, divenuto in poco tempo il più abbondante di numerario, poté renderlo fruttifero, impiegandone una gran quantità; nella sicurezza che la durata de' litigii, e la verificazione delle condizioni non potesse sollecitamente, e nel tempo stesso farne avvalere i proprietarii».

«Credette la Congregazione potersi avvalere delle rendite di tali capitali dal Banco impiegati, e liberarsi cosi delle quote mensuali, come dell'obbligo di andar questuando per la città; onde si addisse a formare delle nuove regole, che fece roborare di Regio Assenso, senza però essere intesi i creditori apodissarii, che vi erano interessati.»

«In queste Capitolazioni però, lungi di esservi la suddetta privativa, si vede anzi che in varie occasioni il Governo, e specialmente S. M. Cattolica, cassò ed aggregò molti fratelli, e non ve n'è alcuna che fissasse quelle doti alle figliuole femine, o per maritarsi, o per monacarsi, e quei lunghi sussidii, che possono chiamarsi piuttosto pensioni, che si han preso in seguito la libertà di stabilirsi; mentre han cessato di corrispondere quelle mensuali prestazioni, che le capitolazioni ordinavano, e che in tutte le fratellanze di simil natura si contribuiscono.»

"L'opera di pegni ai carcerati privativamente non si è più fatta, e solo si faceva l'opera de' pegni senza interessi, a chiunque si presentava; piuttosto dannosa che utile al ceto de' poveri. Col danaro stesso del Banco, nell'anno 1616, fecero acquisto di una casa palaziata al largo della Vicaria, e l'adattarono in modo da poter servire e per Banco, e per Monte, fabbricandovi anche una commoda Chiesa, per unirvisi ad ufficiare. In somma fecero con i denari del Banco tutto quello che avrebbe potuto stabilire un Monte di famiglia, senza soggettarsi a quegli sborsi, che in simili casi erano soliti allora praticarsi da coloro che li formavano. Tali vantaggi della fratellanza resero in seguito molto difficile l'essere ascritto a tale Congregazione, mentre altronde molto facile avrebbe dovuto essere, se si fosse trattato soltanto di doversi esercitare quegli atti di pietà, che nelle loro prime regole vennero stabiliti.»

«Tali stabilimenti svegliarono, non ha guari l'attenzione di coloro che ai Banchi presedevano, onde, colla vostra sovrana approvazione, furono interinalmente sospese quelle doti, che erano state per lo passato somministrate alle donzelle de' fratelli che andavano a marito, o che si monacavano, e fu posto freno alle largizioni. Che, sotto nome di sussidii ai fratelli bisognosi, ed agli individui delle loro famiglie, assegnavansi sussidii che, non ostante restrizioni, a scendono al presente ed annui ducati 3500 in circa.»

«Signore: da quanto abbiamo avuto 1 onore di storicamente esporre alla M. V. se ne deduce, che non solamente il mantenimento della Chiesa e della Congregazione è rimasto a carico del Banco, ma sono anche a peso del medesimo i sussidii anzidetti, e quelle opere di pietà, che la Congregazione, per suo_ istituto, si era prescritto di esercitare, e con proprio danaro, e con la questua per la città.»

«Al presente la esorbitanza di tali pesi, gl'impieghi del capitale del Banco, non sempre fatti colla dovuta oculatezza e cautela, e circostanze dei tempi a noi più vicini; che hanno generalmente deteriorata la condizione di tutti i Banchi, hanno reso quello dei Poveri incapace a poter adempire, nello stesso tempo, a quei pesi che dovrebbero considerarsi

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come stranei dal Banco, ed a quello che è l'intrinseco del mantenimento del Banco medesimo; mancandogli da circa annui ducati 20 mila, posta per esatta tutta l'attuale sua rendita. E molto più lo sarà, dopo che sarà finita l'operazione delle vendite, e degli assegnamenti de' capitali.»

Ciò posto, Signore, crede questa Deputazione, che dovendo essa, per la perpetua cautela de' creditori apodissarii, di cui per vostro Beai Comando rappresenta il ceto, applicarsi alla formazione di un sistema invariabile di amministrazione, sia incompatibile con il medesimo quella prerogativa, che crede avere la Congregazione del Monte de' Poveri del SS. Nome di Dio, di governare ed amministrare la Cassa del Banco, e le sue rendite, e che il distruggerla non rechi offesa ad alcun diritto, che mai abbiano avuto quelle famiglie, che abusivamente l'hanno finora esercitato.»

«Per non togliere però il commodo ad una nobile fratellanza di continuare l'esercizio delle opere di pietà, per le quali fu fondata, crediamo che una porzione di quell'edifizio, sebbene comprato e riattato col denaro del Banco, tutta separata e distinta, compresa la Chiesa, potrebbe rimanere a quella Congregazione, per unirvisi ad esercitare quegli atti religiosi, che sono prescritti dalle sue primitive regole; restando l'altra porzione, dove oggi il Banco si tiene, a solo commodo del Banco, e suoi creditori apodissarii; dipendente intieramente da quel Governo che alla M. V. piacerà destinarvi, secondo il nuovo sistema che si compiacerà V. M. dare ai Banchi de' Privati; senza incaricarsi né punto, né poco della Fratellanza suddetta.»

«In quanto poi alle rendite, non v'ha dubbio che siano tutte del Banco. Per effetto di Vostra Beai Clemenza, si potrebbe benignare ordinare, che dalle medesime si potesse alla Congregazione assegnare un'annua pensione, per sovvenire ai carcerati, e per soddisfare qualche sovvenzione veramente necessaria per gl'individui bisognosi della stessa Congregazione; potendo al dippiù supplire colle loro mensuali prestazioni, o colla questua, come le capitolazioni stesse prescrivono.»

«Tanto si fa ardita di far presente questa Deputazione alla M. V. persuasa; che essendogli infinitamente a cuore il riordinamento dei Banchi, vorrà compiacersi di comunicarci i suoi Sovrani Oracoli sull'assunto, per essere indi, al più presto possibile, la Deputazione nel caso di presentarle quel piano del quale si trova già incaricata.»

«E qui prostrati, ecc.»

Suggerivano dunque i deputati di togliere quel piccolo residuo d'indipendenza, che ad un sol banco era rimasto. Affastellando spropositi e menzogne nel racconto storico, velenose insinuazioni nel descrivere l'ordinamento amministrativo, s'ingegnavano di giustificare siffatto arbitrio, e quasi lasciavano intendere che il fallimento fosse derivato da cattiva costituzione della confraternita. Il dispaccio riferito a pag. 58; l'ascolto dato alle denunzie di Cervelli, che fecero pagare 800 ducati dallo stesso Monte dei Poveri, e molti documenti dell'archivio, provano l'antipatia della Corte per quel banco, lo studio di giovarsi di qualsivoglia pretesto per umiliarne gli amministratori, con brutali rabbuffi.

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Il piano poi, o proposta d'ordinamento generale, presentato dalla Giunta degli apodissari a luglio 1805, fa cadere sui suoi componenti buona parte della responsabilità, per la morte di cinque banchi e per la cambiata natura degli altri Duc. Questi Signori ebbero il torto, che chiamano gloria, di concepire la fusione delle varie casse, esclusa San Giacomo, in un solo istituto, col nome di Banco dei Privati.

"Egli è vero, Signore, che col Real Editto dei 18 agosto dello scorso anno, V. M. coll'art. 13, si degnò di dichiarare che separato il banco di corte e ripianato il vuoto dei banchi, sarebbe cessata la insolidità dei medesimi, dichiarata con E. dispaccio dell'anno 1794, e sarebbero ritornati al loro pristino regime, separato e distinto dal senno per sé. Pur tutta volta, avendo collo stesso R. Editto avutala clemenza di dichiarare la deputazione degli apodissari come l'attual posseditrice dei beni di tutt'i banchi, ed avendo alle sue cure commesso di proporre il nuovo sistema, noi, per base e fondamento di tutto, abbiamo creduto: che non solo la insolidità debba sussistere, ma se ne debba in realtà formare uno, solo ed indivisibile nella intestazione di tutto l'intiero patrimonio e nell'amministrazione, nel modo che ci diamo la gloria d'indicare,,.

Per fare accettevole quest'idea, d'annullare la principale promessa dell'editto 1803, i deputati, nulla curando l'opinione pubblica, ma solleciti di restare padrone dei beni ed arbitri delle vendite, che qualche tradizione pretende si fossero fatte con insufficiente lealtà, offersero al Sovrano grande lucro, e parte non piccola di quanto nominalmente era restato ai Banchi.

Tutto il patrimonio dell'istituto San Giacomo, cambiato in Cassa di Corte, diventava roba fiscale. Tutt'i cespiti attivi dei Banchi Popolo e Salvatore, che proponevano di sopprimere, lasciarono capire i Deputati che si sarebbero poi ceduti alla finanza. Quasi che ciò non bastasse, promisero altro lucro a S. M. pel conteggio delle carte di conto vecchio, cioè anteriori al 1800.

"La prima cura che avrà questa deputazione sarà quella di liquidare il credito che ha V. M. coi banchi per le carte di vecchio conto, che coi fondi dello stato ha avuto la clemenza di ammortizzare (!) e di concertarne col Ministro delle Vostre Reali Finanze la sollecita soddisfazione, nel modo il più equitativo e che si combina coll'attuale commoda sussistenza dei banchi stessi: avendo in mira i molti crediti di difficile o disperata esazione,

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per somme date in vista di vostri Reali comandi, e molti pesi alieni dalla loro costituzione; che per effetto di Sovrani rescritti loro sono stati imposti, e l'intiero fondo patrimoniale del Banco di San Giacomo, che resterà in perfetta e privata proprietà della Vostra Real Corte, onde, soddisfatta pienamente la M. V. non possano giammai, per qualsivoglia evento, i creditori apodissari del banco dei privati temere molestia o ingerenza del vostro regio fisco sul ramo dei suoi beni. Anzi, ad evitarne anche l'esterna apparenza, supplichiamo la M. V. che siccome al fisco rimarrà sempre il dritto di appropriarsi le partite oblite (!) così invece di darne la delegazione all'avvocato fiscale del Real patrimonio, potrebbe accordarla al Regio Commissario

Pare incredibile che si parlasse di partite oblite, quando da poco tempo s'era fatta la generale liquidazione, con annullamento di tutta la carta emessa, ed il fisco non solo aveva conteggiato a proprio benefizio tali partite, ma aveva pure negato il riconoscimento di qualsiasi bancale se non gli fosse presentata nei celebri quattro mesi. I Deputati sapevano benissimo come si fosse fatto punto e da capo; per quali avvenimenti e leggi non potessero a quell'epoca trovarsi crediti di siffatta specie; ma fecero intravvederè la possibilità di altre liquidazioni, profittevoli al fisco, per carpire più ampie facoltà, e per diminuire gV incarichi d'un Delegato (Commissario Regio), del quale, per suggerimento del Ministro, avevano dovuto proporre la nomina nel loro Piano, ma non volevano che potesse diventare un incomodo Censore. Ridotte le funzioni di costui alle partite oblite, che non c'erano, ed alla problematica interposizione del veto, su qualche atto non legittimo, l'opera della deputazione si sarebbe svolta senza controllo e senza impedimento di sorta alcuna.

E non occorre' poco per contentare i Deputati. Di tutt'i beni patrimoni? dei banchi, di qualunque natura, come benanche di quelli di tutte le loro diverse confidenze, formar se ne deve una sola azienda, la quale non sarà amministrata come al presente dai governi delle rispettive casse, ma verranno tutti intestati al Banco dei privati, e saranno amministrati da un corpo che rappresenterà l'intero ceto dei creditori apodissari, e che perciò potrà chiamarsi deputazione amministratrice di detto ceto, per la di cui cautela restar debbono annessi perfettamente tali beni".

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Rispetto a giurisdizione poi dissero: "Questo corpo avrà tutte le facoltà necessarie all'oggetto che gli viene affidato, ed in conseguenza non solo avrà tutte quelle giurisdizioni che oggi hanno i governi di ciascun banco, ma ancora tutte le altre che condurranno alla buona amministrazione dei medesimi, uniformandosi al piano individuale che V. M. avrà la clemenza d'approvare; senza bisogno d'invocare le Sovrane Provvidenze, se non nel solo caso di sopra indicato, cioè che la persona da V. M. destinata(per l'ufficio di censore) si opponga alle determinazioni di essa deputazione".

È troppo visibile nel rapporto il desiderio dei deputati di conservare un ufficio che li rendeva signori dei banchi. All'ostacolo derivante dalla temporaneità delle funzioni, dichiarata solennemente coll'editto regio, essi rispondono con la proposta di farle perpetue, mediante nuove regole; e per non dire nominate o confermate noi sottoscritti, scrivano nel piano:la deputazione si dovrebbe comporre da un feudatario, un ricco possidente, un legale (escluso però qualunque magistrato), un negoziante nazionale ed un estero,, indicando così, con sufficiente chiarezza i cinque firmatari.

Per le difficoltà, più gravi, che nascevano dalla costituzione dei sei banchi e dalle leggi del secolare loro governo, asseriscono che: "Tutt'i privilegi che vantar possono gli attuali governi dei banchi,od i ceti dai quali si sono scelti, restar debbono annullati, o come mancanti di un giusto titolo (!), o come quelli che ceder debbono al pubblico vantaggio (!) ed alla uniformità del sistema,,.

Un pretesto sarebbe stato necessario per togliere lo stesso residuo d'indipendenza, lasciato dalle regole del 1797 e 1801 che, al dire dei deputati;"si diressero con infinita saviezza e prudenza a frenare l'arbitrio dei governi ma questo manca nel piano, leggendosi solo irragionevoli censure dei governatori e degl'impiegati, quasiché fossero costoro i colpevoli dei ripetuti fallimenti, ed i denari non si fossero presi per ordine del Re.

L'uniformità del sistema sarebbe consistita nel proibire ogni rin vestimento in mutui o benifondi, anzi riscuotere e vendere quelli che si tenevano, senza riserbare al banco altro collocamento di capitali che la pignorazione. Escluso dalle casse il rame, salvo che per frazioni minori d'un carlino. Aboliti li pegni gratuiti. Interesse sui pegni sei per cento. L'istituto Spirito Santo destinato per lo sconto di cambiali e pegni di monete straniere; la Pietà per i pegni di metalli e pannine; Sant'Eligio e Poveri per i pegni d'oggetti d'oro o d'argento e di gioielli.

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Il Cav. Medici, il Conte di Mosbourg, che fu ministro delle finanze di Gioacchino, erano persone tutt'altro che ingenue. Servendosi, come vedremo, del piano, passarono al fisco, vale a dire che tennero per sé, tutte quelle facoltà, ingerenze, funzioni che gli ambiziosi Deputati escogitarono, per costituirsi un autorevole e lucroso ufficio.

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19. Eseguendo il decreto o editto 18 agosto 1803, dava luogo ad inconvenienti gravi l'enorme quantità di moneta di rame, che la zecca di Napoli aveva emessa, e l'aggio sul cambio del rame in argento. Un cantaio di eccellente pasta costava alla zecca ducati 60 a 65, che per la impressione del conio divenivano ducati 142,86. Ma non contento di questo lucro, del sessanta per cento

1. più, il governo lo aveva raddoppiato nel 1797, col mettere in circolazione pezzi da grana quattro che appena meritavano di aver corso per due; e nel 1798 uscirono pezzi da grana cinque e da grana due e mezzo i quali pesavano 25 per 100 meno degli altri più antichi, dello stesso valore nominale. Era cosa naturale che l'enorme vantaggio promuovesse la falsificazione, sicché fu straordinaria la quantità degli spiccioli contraffatti che circolava a quel tempo nel regno di Napoli. La cassa di Corte o Banco San Giacomo, con le sue madrefedi della Tesoreria, e con le relative polizze di conto rame, accresceva la confusione, avendosi doppio tipo di carte bancali, doppia moneta per annullarle. L'aggio sul cambio del rame in argento, tuttoché proibito dall'ordinanze, giunse a cinque, sei per cento, e più, producendo continue dispute ed intollerabile incaglio degli affari. Il ministro Luigi De Medici studiò

2. rimedi, e dopo un infelice tentativo di sbarazzarsi dei cambiavalute (1) con effetto analogo a quello visto nei tempi del Cardinal

(1) E giunto a notizia del Re, che malgrado gli ordini reiterati d'allontanarsi dalla negoziazione in confidenza nelle casse dei banchi, i cambiamonete ed i loro mandatari, vi continuino a negoziare; non senza sospetto che i cassieri, dimentichi della santità del loro ministerio e del pubblico danno, per agevolare questa gente scellerata e malvagia, giungano a darli delle fedi, aspettando fino alla chiusura del banco per averne la valuta. E volendo S. M. a così grave inconveniente recare un pronto riparo, ha ordinato che, sotto la responsabilità del governo, sia vietato ai cambiavalute e lor» mandatari di negoziare in confidenza nelle casse, dovendo le di loro polizze e fedi passare per ruota, e fino a nuovo Real ordine non farsene altro uso che fedi di credito in testa delli stessi cambiamonete, per così non esser negoziabili che soltanto per esiggerne il contante dal Banco stesso.


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Zapata, cioè con aggravamento dell'aggio, fece stampare due dispacci, ed una notificazione, che similmente giovarono assai poco; per la mala fede del governo, che voleva riscuotere argento e pagare rame. Sarebbe stato meglio rispettare l'antiche regole dei banchi, i quali, fin dal tempo della riforma monetaria del Marchese del Carpio, cioè fin dal 1680, non accettavano moneta di rame, né tenevano apposita scrittura per metterla in circolazione.

«All'oggetto di evitarsi qualunque frode, che possa commettersi giornalmente, nei pagamenti di moneta contante effettiva, che dalla cassa di li. Corte si fanno, il Re ha risoluto e vuole: che qualunque polizza o fede di credito, si esibisca alla Cassa di Corte, nel Banco San Giacomo, per conto della Beai Corte stessa, sia subito esattamente pagata in moneta di rame; senz'alcuna parte di argento, poiché l'argento esser dee riserbato per pagarsi quelle polizze le quali siano avvalorate da un ordine espresso, in iscritto, del Vice Presidente del Supremo Consiglio delle sue Beali Finanze; e dell'esatto adempimento di questo Sovrano Comando è Beai volontà che sia responsabile il Governatore mensario.

«Ed affinché siano egualmente lontane le frodi negl'introiti della li. Corte, S. M., rimanendo ferme le sue reali determinazioni antecedenti, rispetto a' rami fiscali, e specialmente riguardo a' sali, vuole e comanda: che per le sole dogane, arrendamento de' ferri e percettorie del regno si osservi quello che, con separato Beai Dispaccio, ha la prefata M. S. colla data di oggi, ordinato. Per gli introiti che dai particolari si faranno o sotto alle madrefedi, o per formarne fedi di credito nuove, vuole che siano composti di due terze parti in argento ed una terza parte in rame; intendendosi per argento così l'effettivo, come le polizze di argento del conto dei particolari, di San Giacomo o degli altri banchi, e per rame cosi l'effettivo come le polizze e fedi della stessa cassa di li. Corte. Ripetendo S. M. che tali prescrizioni debbano aver luogo per gl'introiti di particolari, nelle casse di Regia Corte; giacché, per quelli che si fanno da' rami fiscali, si debbono osservare le precedenti sovrane determinazioni; e per le dogane, arrendamenti dei ferri e percettorie del regno, deesi osservare, come di sopra si è detto, quel che trovasi prescritto con altro separato B. dispaccio. Finalmente, ha determinato e vuole S. M. che rimanga espressamente vietato a chicchessia di ordinare che le fedi di li. Corte sieno fatte fedi di argento, cioè che passino al conto dei particolari; riserbando S. M. questa facoltà al solo Vice Presidente del Supremo Consiglio di Finanze, da manifestarla con ordini per iscritto; e dell'esatto adempimento di questo Sovrano Comando ne sarà benanche il Governatore mensario responsabile.

S. M. vuole che il rispettivo governo subito che trovi in qualche cassa la più piccola contravvenzione di questo Sovrano comando, passi alla immediata privazione dell'impiego del cassiere ed alla sua carcerazione, a disposizione di S. M.; e per rendere più esatta l'osservanza di questo comando vuole che, il governatore mensario del banco sorprenda ad ogni momento le casse, ne visiti i riscontri e prometta un premio, da destinarsi da S. M a chiunque denunzi alcun cassiere che sia caduto nella contravenzione.

Di sovrano comando, la Real Segreteria di Stato ed Azienda, lo comunica alla Deputazione degli apodissari per lo pronto adempimento, nella intelligenza che, perché fosse messo da questa mattina in esecuzione, se n'è passato il corrispondente ai rispettivi Governi.-Palazzo 29 Dicembre 1803, Luigi de Medici.

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«Ed affinché quest'ordine sia a notizia di tutti, vuole 8. M. che nelle casse di II. Corte ne sia affissa copia. - La Pieal Segreteria di Stato ed Azienda lo partecipa al Governatore di esso Banco di San Giacomo per la esatta esecuzione. - Palazzo 12 marzo 1804. Luigi de Medici.

«Essendo sommamente a cuore a S. M. che le fedi di credito, e le polizze notate fedi, sieno non solamente ai porgitori cambiate prontamente e senza verun ritardo, comunque la somma ne fosse grande; ma benanche che, nel pubblico girando, non possano far nascere nessuno equivoco sulla qualità del metallo che rappresentano; ha creduto degno di avvertenza e di correzione quel che fin oggi si è praticato nel banco 'di San Giacomo, che le fedi di Regia Corte, volgarmente dette di rame, non abbiano alcuna estrinseca apparente distinzione, la quale assicuri il possessore, non pratico delle forme bancali, della qualità del metallo di cui il banco sia depositario. Degno ancora di avvertenza e di correzione è a S. M. sembrato di non lasciare alla fede di cassieri, del conto di Regia Corte, la libertà di permettere delle agevolazioni ai debitori nel comporre le fedi; conciosiaché obbligati taluni a pagare tutto in argento, e taluni parte in argento e parte in rame, tuttoché con istruzioni date a cassieri si fosse loro ordinato come avessero dovuto regolarsi, nel riceversi gl'introiti dalle diverse classi dei debitori fiscali, l'esperienza ha fatto vedere che tali regolamenti sieno stati tutto giorno elusi. Quanto a pagamenti, che dalla Regia Corte si fanno, così per la sua generale tesoreria, come per altri rami fiscali, avendo tutti la divisa di rame, grande imbarazzo arreca il dare delle disposizioni, onde taluni si abbiano a pagare in argento, e taluni parte di argento e parte in rame, secondo o la diversa qualità dei crediti o i giusti riguardi alla dignità dei creditori; non potendo essere a meno che così fatte disposizioni non sieno talvolta arbitrarie e parziali.

Così fatti sconci, chiamati ad esame dalla deputazione degli Apo dissarii, han fatto sì che eglino ne implorassero dalla M. S. i dovuti provvedimenti a correggerli; anche perché, essendo vicina la separazione del Banco San Giacomo dagli altri, per la diversa costituzione che dovrà avere il Banco di Regia Corte, secondo il Sovrano Editto dei 18 agosto 1803, e i provvedimenti da darsi, essendo analoghi alla di lui nuova forma, servissero di preparazione al sistema da stabilirsi. Degnatasi quindi la M. S. di uniformarsi ai saggi suggerimenti della deputazione, che ha sempre avuto per guida, nelle diverse ordinazioni che ha fatto, per lo ristabilimento dei banchi, mi ha imposto di manifestare i seguenti ordini:

«1.° Proseguendo il Banco di San Giacomo a tenere i due diversi conti, dei privati e di Regia Corte, come fin oggi si è praticato, il conto di Regia Corte sarà suddiviso in due, cioè Conto di Regia Corte Argento, e Conto di Regia Corte Rame, secondo le istruzioni che in fine del presente Real dispaccio saranno inserite. Quindi le fedi e le polizze notate fedi di Regia Corte, sieno di Tesoreria, sieno di qualsivoglia altra Regia amministrazione, saranno, prontamente, al porgitore, pagate col rispettivo metallo che esprimono. E le anzidette fedi, siccome quelle di argento saranno formate o col deposito in argento effettivo o con riscontri in argento, siano dello stesso banco di conto dei privati, o di conto della Regia Corte in argento, siano di altri banchi, tolta qualunque differenza tra carta e contanti (1). Così quelle di rame dovranno esser composte, o di moneta effettiva, o di carta di rame, tolta parimenti qualunque differenza tra carta e contanti, e dal Banco saranno ai porgitori estinte in rame effettivo.

(1) 20 aprile 1805. - Ad un reclamo del marchese Rota, contro d'un cassiere del Banco, che pretendeva moneta metallica, rifiutando polizze pel conto argento, rispose il Ministro:

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Rimanendo in libertà dei porgitori anzidetti, ove così delle prime come delle seconde non vogliano esserne soddisfatti in effettivo, di formarne altre fedi o farne altro giro bancario, sempre però della stessa natura del metallo rappresentato; in guisa che questi due conti, di rame ed argento, siano tra loro divisi per modo e separati, che le carte di rame ed il rame effettivo non possano giammai far parte d'introito di una fede di argento. Quindi li cassieri di Regia Corte non dovranno altrimenti curare, come sin oggi han fatto, qual debito fiscale abbiasi ad estinguere, ma seguire la volontà dei deponenti, accettando e rame ed argento, siccome piacerà loro; conciosiacliè rimarrà a peso e cura degli esattori ed amministratori fiscali il non ricevere dai debitori i pagamenti, che in carte rappresentanti quel metallo con cui soddisfar debbono il loro debito, secondo le Sovrane prescrizioni.

» 2.° Le fedi di rame e di argento, del Banco San Giacomo, sia di conto di Regia Corte, sia di conto dei privati, siccome le polizze notate di ambo i conti, dovranno avere un bollo in istampa esprimente la di loro diversa natura, siccome nelle istruzioni, qui in piedi inserite, sarà specificato.

«3.° Le polizze o fedi di rame potranno esser girate con causali, sieno pagabili alla Regia Corte od a qualche ramo fiscale, come sin oggi si è praticato; sieno pagabili a particolari, il che fin oggi è stato vietato. Con che però, ove la girata non sia diretta alla Regia Corte o a qualche ramo fiscale, ma contenga spiegazioni d'interesse dei privati, non sia obbligato alcuno a riceverle; dipendendo dalla spontanea volontà delle parti di poterle prendere o rifiutare. Ben inteso, che laddove sarà accettata, la girata in dorso d'essa formerà reciproca cautela, come le altre girate in dorso delle altre carte bancali. Quindi potranno anche i particolari formar fedoni e notate in fedi nelle casse di Regia Corte del conto in rame, con che le notate fedi sieno ricettibili o rifiutabili dai particolari, siccome di sopra si è detto per le fedi di rame, restando sempre fisso che le suddette fedi di rame, e polizze notate fedi parimenti di rame, (siano girate alla Regia Corte o qualche ramo fiscale, sieno a particolari) non possano riscontrarsi cogli altri banchi, né colle altre casse di San Giacomo d'argento; attesoché il loro conto è tutto in argento. All'incontro poi le polizze o fedi di argento, del conto di Regia Corte, potranno parimenti esser girate, con causale, anche a' particolari, ed di oltre introitate come riscontri, così nello stesso banco di San Giacomo, come negli altri, al modo stesso che per le altre carte bancali di argento si pratica. E tutto ciò s'intende durevole lino alla totale separazione del banco di Corte, quando la riscontrazionc tra esso e gli altri banchi, a norma dell'editto dei 18 agosto 1803, sarà vietata.

"4.° Tutte le carte di Regia Corte, di data anteriore all'esecuzione del presente Sovrano nuovo stabilimento, dovranno esser tenute per carte di rame, e come tali negoziate.

«Con foglio dei 19 del corrente mese, avendo V. S. 111. manifestata cl' essersi nel Banco San Giacono ricusato gl'introiti di carte del Banco di monete di argento, e di non volersi ammettere che la sola moneta effettiva in con» tanti, le riscrivo in replica che S. M. non ha inteso giammai d'alterare i suoi Sovrani stabilimenti, coi quali ha prescritto d'ammettersi qualunque pagamento in carte del Banco; ed ora espressamente dichiara che preferisce le carte bancali al numerario effettivo; come quelle che maggiormente assicurano la provvenienza e l'incasso delle sue Reali rendite. Quindi ha dati la M. S. gli ordini necessari per la verifica dell'asserto rifiuto».

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«5.° Siccome gli arrendamenti di Regia Corte, i quali si distribuiscono a consegnatari, si sono fin oggi pagati con carte di rame, cosi i pagamenti degli estagli, che la Regia Corte farà dal di primo dello entrante mese di novembre, saranno tutti in argento, per cosi facilitare la spedizione di mandati ai consegnatari, e le altre operazioni bancarie.

«6.° Tutt'i debitori di Regia Corte dovranno fare i loro pagamenti o con fedi di argento o di rame, o parte con polizze di argento e parte con polizze di rame, secondo la diversa natura del loro debito; potendo, nelle rispettive girate, chiamare il compimento pagato con altra carta di diverso metallo. Quindi, i rispettivi tesorieri e percettori o altri regi amministratori, dovranno ricevere i pagamenti in tal modo, e cosi introitarli rispettivamente, sulle madrefedi dell'uno o dell'altro metallo; rimanendo nei loro conti risponsabili di rimborsare al fisco l'importare dell'aggio che correrà, ove avessero ricevuto in carte di rame delle somme che da debitori avessero dovuto esser pagate in carte di argento. E, ad evitare ogni dubbio, sarà qui in piedi inserito il nota mento dei rami fiscali, con di contro le diverse qualità di carta con cui ricever debbono i pagamenti dai debitori. Quindi soddisferanno gli assegnamenti, che vi sono, sopra gli stessi rami, secondo saranno loro dati da di loro rimostranza, la quale specifichi la natura degli assegnamenti e la qualità degl'introiti, onde fissarsi la proporzione dell'argento e del rame da tenersi nella soddisfazione di eletti assegnamenti.

«7.° La general Tesoreria formerà le diverse madrefedi, come sarà detto nelle istruzioni, e noterà i polizzini in rame o in argento, o ne formerà due, che insieme compongano la somma espressa nelle liberanze, giusta i verbali che giornalmente le si rimetteranno dalla Real Segreteria di Azienda, senza potersi prendere alcuno arbitrio, notando di cima del polizzino, al disotto della ditta, conto corrente o conto di attrasso, la qualità del metallo per esteso- argento - rame.

«S.° Finalmente è Real volontà, che il presente sovrano stabilimento di separazione dei due diversi conti di rame e di argento, abbia la sua piena esecuzione del dì 26 del mese di ottobre.

«D'ordine del Re, comunico a V. S. I. queste sue Sovrane risoluzioni, perché la Camera ne curi l'esecuzione nella visione de' conti dei diversi rami fiscali, ed in ogni altra emergenza, che sia di sua ispezione.

«Palazzo 5 luglio 1804. - firmato Luigi de Medici.-Al signor Marchese Vivenzio.

Seguono diciannove lunghi articoli d' istruzioni per eseguire il dispaccio , e l'elenco delle varie imposte , cespiti fiscali per le quali dovevansi aprire nuove madrefedi di conto argento, ovvero di conto rame. Tali cespiti fiscali , a quell'epoca, non erano meno di sessantadue.

«27 marzo 1805.-Notificazione.-Affin di dare il più sollecito moto,che sia possibile, a condurre a termine le operazioni che, per Sovrana clemenza, furono affidate alle cure della deputazione degli apodissarii,per la prossima separazione de' banchi de' privati da quello di Corte, e facilitare nel tempo stesso i compratori dei beni, messi a disposizione della medesima, per lo riempimento del vuoto dei banchi; si è stabilito che tutti coloro i quali sono ancora debitori, per residuo di prezzo di alcun fondo di tal natura acquistato,

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saranno abilitati a soddisfare il loro debito in carta di banco, rappresentante moneta di rame, purché eseguano il pagamento per tutto il di 20 del prossimo entrante aprile.

Con dichiarazione che, elasso il detto tempo, dovranno alle scadenze inalterabilmente pagare l'importo in polizze di moneta di argento. E simile abilitazione avranno anche coloro che, fra il cerniate termine, procurino il dispegno della loro roba, che si trova forse ancora ne' banchi pignorata. Elasso però un tal termine, si dovranno, impreteribilmente, far di nuovo i dispegni e i pagamenti in carta che rappresenti moneta di argento.

20. Assai difficile fu la reggenza della Deputazione degli apodissari. Sospesa; com'era, l'opera dei pegni, sequestrati dal fisco i redditi patrimoniali e gl'interessi attivi, ai Banchi poco restava per le indispensabili spese. Fino gli oggetti di scrittoio si pagavano a stento e con ritardo (1).

Gl'impiegati ottenevano qualche porzione, non tutto lo stipendio, con maggiore difficoltà dei fornisori; ragione per la quale o non andavano all'ufficio o tentavano di buscare mance. Per essi la Deputazione, con poco successo, promulgò varie ordinanze, fra le quali questa:

"In seguito di rapporto della deputazione, 26 luglio 1805, S. M....... perché possansi richiamare ad osservanza gli antichi salutari stabilimenti dei banchi, l'inadempimento dei quali e la rilasciatezza della subordinazione è causa di molti sconci, si è stabilito di rinnovare l'ordine".

"Che niuno degl'individui di ciascun banco, sia ufficiale, sia soprannumerario, possa intrigarsi di presentare polizze ai pandettari".

Che la rota sia inaccessibile a chiunque non sia addetto a quella officina".

"E finalmente che gli ufficiali della ruota, senza legittima causa, e senza intelligenza e permesso in iscritto del governatore, non possano disimpegnare il loro ufficio per mezzo di sostituti, sotto pena ai contravventori della sospensione del soldo per la prima volta, ed indi ad arbitrio di questa Deputazione".

(1) «Con Rea] Carta, dei 29 del passato luglio, nell'essere stato rimesso a questa Deputazione un foglio del Governatore di cotesto Banco, signor Comm. Pignatelli, con cui ha chiesto i mezzi onde poter soddisfare il cartaro dell'importo dei generi di libri, carta ed altro, somministrati per lo passato al Banco stesso, e di quelli ora necessari, è stato ad essa ordinato di farne l'uso conveniente».

«Nell'atto intanto che io, a nome della Deputazione, passo ad intelligenza dell'E. V. di essersi disposto di passarsi dal Banco della Pietà qualche somma a cotesto di San Giacomo, in conto di ciò che li deve, la prego disporre che dalla suddetta somma, che perverrà dal banco anzidetto, e dalla prima esazione delle rendite correnti di cotesto banco, sia soddisfatto il mentovato cartaro alla meglio di ciò che va creditore, non essendo gran, fatto che uno, che ritrae utile dal negoziato che fa col banco, aspetti l'esazione, per esser soddisfatto dell'importo de' generi che ha somministrato (!)».

«Dalla Deputazione degli apodissari, li 15 agosto 1804. - Il Marchese di Acquaviva».

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Medici lavorò sinceramente, dal 1803 al 1806, per la ricostituzione de' banchi, e non fu colpa sua se l'altra invasione dei Francesi, ed una seconda cacciata dei Borboni, gl'impedirono di colmare il vuoto Zurlo. Egli, a 5 Febbraio 1805 dichiarò d'avere già pagato:

Sul vuoto argento D. 546,778.75

" " rame " 658,732.18

1,205,510.93

E che si dovevano ripianare

Per saldo del vuoto argento D. 528,200.72

" " " rame " 1,351,349.02

1,879,549.74

Totale D. 3,085,060.67

Per tale ripiano, cioè pagamento della carta, cedeva i fondi pubblici della giunta delle ricompre, ch'era una rudimentale cassa d'ammortizzazione, i quali giungevano al valore di annui D. 70000, e se si fossero trovati compratori a ragione di quattro per cento, com' egli voleva venderli, avrebbero dato quasi l'intera somma, cioè D. 1,750.000. Dippiù, lece donare dal Re i feudi di dellceto, Montefusco, Airola, Montoro, Sant'Angelo a Scala ed Altavilla, che insieme rendevano più di annui ducati trentamila. I fondi dunque bastavano e sopravanzavano.

Prima di mandare questo dispaccio, Medici aveva 'lavorato pei banchi con energia della quale si veggono gli effetti, col paragone delle due generali contate di casse, 6 settembre 1803 e 6 marzo 1804. In sei mesi aveva fatto migliorare le lor condizioni nel seguente modo:

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6 settembre 1803 6 marzo 1804 Differenza

Circolazione (netta di riscontri) 3763084.88 3830972.92 + 67888.04

Riserva metallica (compreso le monete forastiere) 118625.79 629633.05 + 511007.26

Vuoto ovvero debito della Regia Corte 3085060.67 2868060.67 -217000.00

Vuoto ovvero debito dei Banchi 207679.51 202910.37 - 4769.14

Investimenti del Monte di Pietà, deficienze e diversi 282018.53 130368.83 -151649.70

Per l'anno 1805, tuttoché tanto sfavorevoli le condizioni del regno da risolversi coll'uscita dei Borboni, Medici potette far presentare, dalla Deputazione degli apodissari, il seguente bilancio di chiusura:

DEBITO APODISSARIO OVVERO CIRCOLAZIONE

Circolazione totale giusta i libri mastri apodissari Meno le carte bancali pagate ma non scaricate sui registri Meno pure i riscontri cioè le carte pagate dagli altri banchi Circolazione effettiva

Poveri 1,479,565.60 15,377.42 699,858.56 764,329.62

Popolo 749,639.54 30,634.42 644,956.69 74,048.43

Pietà 2,470,640.79 499,716.30 782.951.65 1,193,972.84

Salvatore 1,064,998.53 10,911.70 984,530.33 69,550 44

Spirito Santo 1,955,038.50 1/2 112,305 51 1,063,729.20 779,003.79

Sant'Eligio 530,851,64 2,893.36 244,015.48 289,942.80

S. Giacomo (pubblico) 1,288,511,04 100,431.16 1,134,731.15 53,349.33

S. Giacomo (Regia Corte) 3,603,803.72 525,785.61 1,608,174.05 1,409,844.00

13,155,049.96 1/2 1,298,055.54 7,162,947.11 4,691,047.31 1/2

DIFFERENZA

debito a credito

- 364,354.28

t. 727.51 -

-

670,742.91

5,371.13 -

-

172,909.77

- 89,348.84

), 164.18 -

1,092.68

-

7,355.80

1,297,355.80

- 434 -

Li 11 Febbraio 1806, Medici, con un dispaccio ohe fu l'ultimo atto di quel Ministero, una specie di testamento finanziario, regalò ai banchi tutta quella loro carta che stava nelle casse erariali, e così tolse ai nemici la facoltà di spenderla legittimamente (1).

Avuto riguardo alle circostanze, non bastano lodi per l'espediente del Ministro, che dichiarò ipso facto pagate dai banchi, spese pel ripianameli to o ammortizzazione delle lor deficienze, tutte le valute cartolarIe che quel giorno si trovavano in qualsiasi cassa regia. Il danno, pei francesi, risultava maggiore di quello fatto da Acton e Corradini nel 1798, quando presero la riserva metallica per portarla a Palermo. Però, invece di commettere un'appropriazione indebita, escogitò il provvedimento che stava nei limiti della più stretta legalità, ch'era onesto e doveroso, poiché tutto si riduceva a pagare un debito, e riconoscere la legittima ragione, tanto dei banchi, quanto dei loro creditori. In quell'atto si vede l'uomo d'ingegno.

Giuseppe Bonaparte, sul principio, tanto non s'accorse del tiro fattogli, che fece stampare un esplicita conferma dell'editto 18 agosto 1803, e dei dispacci 5 ed 11 febbraio 1806. Ma, quando ne vide le conseguenze, fece scrivere secco secco, dal suo Ministro di polizia, Saliceti,Sua Altezza Imperiale ha comandato, che dalla deputazione degli apodissari, venga disposto che il Banco di San Giacomo non ponga ostacoli, al pagamento delle polizze di esito del tesoriere della Real Casa (Dispaccio 2 Aprile 1806)".

(1) Sua Maestà, con real dispaccio segnato a dì 5 febbraio, volendo sempre più render cauti i possessori di carte bancali, e facilitare la soddisfazione del loro credito, coll'intero ripianamento del vuoto rinvenuto nei banchi, in marzo 1803, ha ordinato che per la restante somma da doversi ripianare, in estinzione del vuoto anzidetto, si fossero aggiudicate e prontamente intestate alla deputazione degli apodissari le partite d' arrendamento proprie della Maestà Sua, che si amministravano dalla giunta delle ricompre, e che si dassero in tenuta ed in amministrazione alla deputazione medesima vari fondi allodiali, onde, vendendosi questi e quelle, se ne ammortizzasse la somma, in ripianamento del vuoto, e frattanto se ne impiegasse il fruttato in simile ammortizzazione. Cosi volendo ora curare che i pubblici banchi, il più presto che sia possibile, si mettano in pari, colla intera soddisfazione dei loro creditori apodissarì, è venuto, per sua sovrana clemenza, a comandare e vuole che tutte le polizze esìstenti, sino al presente giorno, nelle varie casse regie, cioè in effetti della scrittura reale, ossiano rami camerali come sotto, once immuni,decima, dogana, percettorie, amministrazione della carta bollata, arrendamenti di corte di qualunque natura, sia che la regia corte ne sia affittatrice, sia che ne sia proprietaria, jus sententiae, giunta di ricompre, monte frumentario, allodiali ed altre qualsivogliano regie amministrazioni, sotto qualsivogliano denominazioni, o che i pagamenti siano in testa della Regia Corte, oche siano dei particolari delegati ed amministratori, o comunque alla Regia Corte spetti e si appartenga,vengano pagate, alla deputazione suddetta degli apodissarì, direttamente per essere ammortizzate. Anzi ipso facto si abbiano e s'intendano già per ammortizzate tali somme, a favore dei suddetti banchi. Ed intanto è sovrana volontà che tutte le somme, fino al presente giorno pervenute nei banchi, delle suddette casse e pervenienze regie, non si paghino ad alcun altro, dovendo solo impiegarsi nell'uso accennato dell'ammortizzazione e ripianamento del vuoto dei banchi medesimi. Di Sovrano comando lo partecipo ecc. Palazzo 11 Febbraio 1806-Luigi de Medici.

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Giuseppe stesso, e Gioacchino Murat, ordinarono cose assai più radicali di quelle suggerite dalla rappresentanza dei creditori apodissari. Dal 1806 al 1815, si promulgarono tali leggi nei banchi, se ne modificò in tante guise l'ordinamento, che è stato possibile, cinquant'anni dopo, negare la successione dell'attuale Banco di Napoli dagli antichissimi sette monti di Pietà.

L'anno 1863, nel Consiglio Generale, cioè nel Collegio che sopraintende all'amministrazione, si disse, dagli avvocati del fisco, che i sette antichi istituti erano stati in varie guise trasformati, poi sciolti, sicché il nuovo banco, surto nel 1816, fu creato dal Governo, con capitale proprio, per lo scopo di promuovere il commercio e di regolare il servizio di finanza, quest'opinione, dettata non dalla storia, ma da spirito di cavillazone forense, trovò sostenitori, i quali pretendevano doversi prendere dalla Finanza tutt'i lucri avuti dal banco, con lo sconto ed i pegni. Noi trascriveremo parecchie leggi o decreti, e qualche autentico documento, per mettere bene in chiaro come quelle poche cose, ottenute dal Banco nel 1816, che falsamente si disse costituire dono o mutuo, altro non furono che minuscola frazione di quanto il Governo stesso aveva preso dal 1794 al 1816.

Uno dei primi atti di Giuseppe Bonaparte (1) fu di confermare l'editto 18 agosto 1803, disponendo che si continuassero ad osservare l'ordinanze, concernenti l'estinzione dei biglietti di banco ed il trasporto dei beni ceduti in pagamento ai detti banchi. La deputazione degli apodissari avrebbe continuato i suoi studi, ed avrebbero seguitato ad aver corso come per lo passato i viglietti di banco, detti fedi di credito e polizze, che saran ricevuti in tutte le casse dello Stato, in pagamento delle contribuzioni, come numerario effettivo.

*

**

21. Gli 11 giugno 1806, uscì questa legge:

«Penetrati della necessità di dare ai banchi della città di Napoli quel grado di confidenza ch'è indispensabile per la pubblica prosperità, e per la sicurezza degl'interessi privati.

«Visto il rapporto del nostro Ministro delle Finanze;

«Udito il nostro Consiglio di Stato; «Abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue:

«1.° L'amministrazione del Banco San Giacomo sarà, da ora innanzi, divisa da quella degli altri banchi;

«2.° Il Banco di San Giacomo resta esclusivamente addetto al servizio della Regia Corte.

«3.° La scrittura d'introito della cassa dei privati, esistente nel Banco di San Giacomo, sarà chiusa dal giorno della pubblicazione della presente legge.

(1) Decreto 19 Febbraio 1806.

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Continuerà esso però i suoi pagamenti, che dovranno essere, per quanto è possibile, compiuti a tutto il prossimo luglio; la qual epoca spirata, la sua scrittura e contabilità verrà trasferita al Banco dei privati. (1)

«4.° Tutte le rendite patrimoniali del Banco San Giacomo restano addette al mantenimento del Banco di Corte (2).

«5.° I banchi dei privati saranno ridotti ad uno solo. Sarà questo diviso in quattro casse diverse, che avranno per centro comune un'amministrazione medesima e sola; conformemente al piano fatto della deputazione degli apodissari, presentato dal Ministro di Finanze e da Noi approvato (3).

«6.° Il Ministro delle Finanze, di concerto colla Deputazione degli apodissari, procederà alla liquidazione degl'interessi esistenti tra il Banco della Regia Corte e quello dei privati; e, nella esecuzione del piano enunciato nell'articolo precedente, veglierà particolarmente a ciò che concerne la sorte degli antichi impiegati.

«7.° La riscontrata, ossia il bilancio settimanale tra il Banco di Corte e dei privati, sarà continuata fino alla liquidazione, che sarà consumata fra due mesi.

«8.° A datare dal giorno della pubblicazione della presente legge, le polizze e fedi di credito del Banco di Corte saranno di una nuova forma, tanto per i pagamenti in argento, che in rame.

«9.° Cesserà ogni obbligazione solidale tra il Banco di Corte e quello dei privati. Non risponderà ciascuno di essi che dei suoi impegni particolarmente contratti.

«10.° La deputazione degli apodissari continuerà nell'esercizio delle sue funzioni attuali, finché non venera altrimenti ordinato.

Grandi disordini vennero dalla morte dei due banchi Salvatore e Popolo, che per interpetrazione dell'art. 5 della legge si chiusero, passandone i beni al demanio, e dalla soppressione d'un principale servizio del Banco San Giacomo, qual'era la cassa del pubblico.

(1) Dispaccio 19 giugno 1806. Volendosi regolarmente procedere alla separazione del Banco San Giacomo dagli altri banchi dei privati, e darsi esecuzione alla legge a tal uopo emanata, il Re, uniformandosi al parere di cotesta deputazione, esposto con rimostranza dei 16 stante, si è degnato autorizzare la stessa deputazione a disporre; che la cassa dei privati, nel detto banco di San Giacomo, non faccia più introiti ma soltanto esiti; onde, nello spoglio del venturo agosto, possa estinguersi il conto dei privati in quel banco, e portarsene la resta in altra cassa de' privati.

Comanda inoltre la M. S. che, fino all'intero sviluppo ed esecuzione della sopradetta legge, i governi delle casse dei particolari non eseguano verun pagamento, ancorché compreso fra gli esiti stabiliti col piano-, del 1801, senza la precedente approvazione di cotesta deputazione.

Ella lo partecipi ecc. II Principe di Bisignano.

2.

Dispaccio 23 giugno 1806. Sua Maestà vuole che non debba esser compreso anche il Banco di San Giacomo nell'ordine dei 19 del corrente mese, con cui fu prescritto al governo dello stesso banco di non far pagamento di sorta alcuna, per quello riguarda cassa dei particolari, ancorché negli esiti permessi col piano del 1801, ma che debba restare al sovrano arbitrio di risolvere ciò che meglio crederà convenire alla economia del banco di corte.

3.

Li 14 aprile 1807 si nominarono amministratori, il Principe Capece Zurlo, Alfonso Garofalo, Domenico de Sinno, Gennaro Bammacaro, M. Falconnet, il Conte di Policastro e Crescenzo De Marco. Furono poi aggiunti Giuseppe Carta e Ferdinando Politi, e, sostituito al Conte di Policastro, il signor Caravita.

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I portatoli della carta ragionevolmente strepitarono pei ritardi e qualche volta pei rifiuti di pagamento, prodotti col passaggio dei registri d'introito dall'uno all'altro edilizio.

Le quattro casse del Banco dei privati avrebbero dovuto essere Pietà, Poveri, Spirito Santo e Sant'Eligio.

Dicendosi penetrato della necessità di dare ai banchi della città di Napoli il grado di confidenza indispensabile per la pubblica prosperità governo di Giuseppe Bonaparte li demoliva con questa legge, perché diventavano più irrecettibili di prima le loro carte nelle pubbliche casse. Confermandosi ed allargandosi un privilegio, dato da Zurlo e da Medici alla cassa di Corte, di farsi pel suo mezzo le riscossioni e pagamenti fiscali, implicitamente si levava ai superstiti quattro istituti quello che ora chiamanocorso legale.Ed a scanso di equivoci pubblicarono dispacci (1), decreti (2), ed istruzioni (3), per cui diventava legale ed obbligatorio il monopolio della cassa di Corte.

Scarso assegnamento potevan fare sul corso fiduciario, mancando i quattro banchi di credito, ed anche di fondi, perché le ragioni loro contro la finanza non furono riconosciute. Anzi espressamente si dichiarò, collart. 7 della legge 2 luglio 1806.I luoghi pii di qualunque natura ed i banchi saranno esclusi dal beneficio della presente legge".

(1) Sua Maestà ha risoluto che dal primo di agosto prossimo entrante mese in avanti, nelle casse regie, non s'introiteranno polizze che del solo banco di regia corte; restando questo interamente diviso da quello dei particolari. Nel Real nome ecc. 29 Luglio 1806-Il principe di Bisignano.

(2) Napoli 2 ottobre 1806. Visto il rapporto del nostro Ministro di Finanza;Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:Art. 1. Gli esiti, che ogni amministratore regio farà, non si potranno fare che con polize del Banco di Corte, e cosi dovrà eseguirsi gradatamente dagli amministratori subalterni.2. Sono eccettuati i pagamenti, che dagli amministratori principali dovranno farsi agli amministratori subalterni, residenti nelle provincie, e quei pagamenti che, dovendo soffrire una troppa piccola divisione, non possono non esser fatti in contanti.3. Qualunque esito o pagamento, che non sarà fatto nel prescritto modo, non sarà mandato buono nella reddizione de' conti, delle rispettive amministrazioni.4. Il nostro Ministro delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.-Firmato Giuseppe.

(3) Il ministro delle finanze, in esecuzione del decreto di S. M. del 2 corrente, dà 1' istruzioni seguenti:

1.° Tutt'i cassieri o esattori subalterni dei cespiti fiscali sono tenuti di fare introito nel banco di Corte, in contanti, di tutto ciò che avranno percepito in contanti.

2.'° Ciò che sarà stato dalli medesimi percepito in carte bancali, del banco di Corte, sarà introitato allo stesso banco in tali carte, purché vi sia ragionato il pagamento, per causa di quel debito fiscale di cui sono incaricati i detti cassieri o esattori.

3,° Di quest'introiti i detti cassieri o esattori subalterni ne faranno una fede di credito, ragionata come sopra, in testa loro, con cui pagheranno i loro principali e cosi di seguito, finché il pagamento sia fatto nella Regia Corte. 11 Ministro raccomanda, alli Direttori ed amministratori dei differenti rami di finanze, l'esatta esecuzione dei voleri Sovrani ed una severa vigilanza- 3 ottobre 1806 - firmato Bisignano.

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Trattavasi di vendere beni ecclesiastici o demaniali, pel valore di D. 10,000,000, ed il beneficio consisteva nel modo di pagarli, poiché il fisco domandava un quarto di moneta contante, e per gli altri tre quarti computava al prezzo nominale le partite d'arrendamento e gli altri titoli di debito dello Stato.

D'allora in poi non si parlò più di compenso agl' istituti e di pareggio di patrimonio; dimenticando l'art. 6 della legge ed anche un decreto, del 24 settembre 1806, pel quale tre Consiglieri di Stato, Codronghi, Delfico e Ferri Pisani, dovevano liquidare le rispettive ragioni di debito e di credito. Senza che nessuna legge, o decreto, o dispaccio lo dichiarasse, scomparve il capitale patrimoniale consistente in fondi pubblici, com'era scomparso l'altro capitale, rappresentato da beni immobili, per conseguenza delle vendite comandate coll'editto 1803.

Insisteva fortemente la deputazione coi ministri, e mandava continue suppliche al Re, per deciderlo a pagare qualche parte di quanto doveva, se non altro le poche migliaia che mensilmente occorrevano per gli stipendi.

«16 Gennaio 1807 (vol. 81 fol. 41) S. R. M. Signore, questa deputazione, stabilita per rappresentare 1 intero ceto dei creditori apodissari dei banchi, e per invigilare alla buona amministrazione ed economia dei medesimi, vedendo che vanno a mancare degli stabilimenti riconosciuti sempre utili allo Stato ed al pubblico, a motivo dell'incaglio ed inesazione delle loro rendite, con più e più replicate rimostranze si è fatta un dovere di rassegnare a V. M. e proporre dei mezzi onde potessero i banchi continuare a sussistere. Niim Sovrano oracolo si è ricevuto sull'assunto".

"L'affare intanto non ammette ulteriore dilazione. Spiacerebbe sicuramente alla M. V. che sotto gli auspici dell'attuale governo venissero a mancare del tutto i banchi, stabiliti in questa capitale fin da circa tre secoli, e che dalle diverse dinastie, che nel frattempo han regnato, sono stati sempre protetti, garentiti e riconosciuti per utilissimi. E quindi non vuole questa deputazione che possa dirsi giammai di non aver essa fatto sapere alla M. V. il vero stato dei Banchi e di» non avere implorata all'oggetto la Sovrana protezione. Ond'è che si vede nel dovere di ripetere alla M. V. ciò che molte volte si è dato la gloria di rassegnarle,,.

"I pubblici banchi di questa capitale esistono, come si è detto, da circa tre secoli. Riguardati sempre come gli stabilimenti più utili, non meno alla pubblica fiducia e sicurezza del commercio, ma benanche dello Stato,


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sono stati sempre garentiti in modo da far crescere giornalmente la di loro fiducia; e questo faceva sì che si aveva nel regno una massa in certo modo maggiore dell'effettivo numerario esistente, mettendosi in circolazione una parte del numerario medesimo; ed una parte con le carte di banco che lo rappresentavano".

"I banchi formavano e formano ancora la sussistenza di circa duemila individui che, colle loro famiglie, compongono sicuramente il numero di più di diecimila persone; e costoro, non ad altro adattati, poggiando solo la lor sussistenza sui soldi che ritraggono dal Banco, al di cui servizio si son consacrati sin dalla più giovane età, si ridurrebbero, col terminare i banchi, alla più deplorevole mendicità; a cui sono già in gran parte ridotti, essendo in attrasso di cinque mesate (1)".

"I banchi avevano delle grosse rendite e coll'avanzo di queste facevano ancora la sussistenza di più migliaia di persone alle quali si trovano assegnati dei sussidi; coadiuvavano a varie pubbliche opere, e sono più volte accorsi ai bisogni della Città e dello Stato. Ora nulla più possono di questo e fino manca loro il modo di pagare i soldi agl'individui ed i più intrinseci pesi,,.

"Consisteano le accennate rendite, per la maggior parte, in partite d'arrendamenti, fiscali, pochi fondi stabili, in capitali di mutui o di annue entrate, e nel fruttato dell'opera dei pegni con interesse, che non era minore di annui D. 25000, per ciascun banco. Pelle circostanze dei tempi, l'opera anzidetta dei pegni, da più anni, è sospesa ed in conseguenza n'è cessata la rendita. Una gran parte dei fondi dei banchi è stata alienata, per ripianare il vuoto fatto dalla Regia Corte, e quindi la rendita per questo ramo è ridotta a nulla. Da capitali di mutui e di annue entrate quasi niente si ritrae, giacché i debitori, per le medesime attuali circostanze, sono Lesi tutti morosi e decotti".

"Ad accorrere alla economia dei banchi, e bilanciare l'esito col l'introito a proporzione dell'attuale lor rendita, trovasi questa Deputazione incaricata di dover eseguire un piano di riforma pe' "banchi, dalla M. V. approvato. Questo nuovo sistema però è poggiato sul solo unico mezzo che, oggi, restava ai banchi per poter soddisfare i loro intrinseci pesi ed i soldi degl'impiegati.

(1) In seguito r attrasse giunse a nove mesate , senza contare le soppressioni di quasi tutti i compensi straordinari.

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Un tal mezzo era la rendita delle partite d'arrendamenti, che per tutti i banchi ascende alla ingente somma di circa annui D. 225000; oltre di altri annui D. 77000 ceduti dalla Regia Corte a questa Deputazione, per ripianamento del vuoto dei banchi; e la rendita delle partite dei fiscali, che pure ascende all'annua somma di circa D. 53000".

"Mancati gli accennati due rami di rendita, oltre dell'esser mancata la circolazione del numerario nel paese, ecco mancato ancora assolutamente il modo di potere reggere stabilimenti cotanto utili, quanto sono i banchi. Manca il modo di soddisfare i soldi agl'impiegati, che non hanno altro mezzo di vivere, ed alla di cui onestà è affidata la pubblica sicurezza. Manca il quotidiano alimento a più migliaia di bisognosi, ai quali, per Sovrana disposizione, trovansi assegnati dei sussidi su dei banchi. Manca finalmente il sussidio ancora ai poveri reclusi nell'albergo, giacché mentre i banchi non esiggono la loro rendita non possono certamente pagare i pesi".

"Subito che per Sovrana disposizione vennero a concentrarsi tutti gli arrendamenti alla Regia Corte, vide fin d'allora la M. V. la precisa necessità che vi era di non dovere i banchi subire la sorte medesima dei particolari, e quindi si compiacque dichiarare, con dispaccio segnato fin dai 9 agosto passato anno, che sarebbe stato pagato ai banchi ini mensuale acconto, corrispondente alla loro rendita di partite d'arrendamenti, onde avessero potuto soddisfarsi i soldi agl'impiegati. Dopo però due acconti, dati a questa deputazione, componenti in una la somma di Duc. 25,000, nell'atto che i banchi vanno creditori di D. 180000, null'altro si è ricevuto. Anzi, dippiù, non solo si sono esclusi i banchi dai mandati del trimestre che s'è pagato, per le partite di loro proprietà, ma, con sorpresa, ha inteso la Deputazione che ne siano anche esclusi pelle partite loro assegnate dai particolari debitori, in disconto di sorte ed interessi ai banchi medesimi dovuti, lo che, quando fosse vero, oltre dell'inviluppo della scrittura, formerebbe la totale rovina dei debitori e l'assoluto arresto dei banchi".

"Intanto, a norma dei vostri Reali Ordini, si sono diggià abolite le due casse del Salvatore e del Popolo, ed è venuta con ciò ad ottenersi una porzione di quella economia e risparmio, che per questa parte si era immaginato.

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Per darsi però esecuzione e sviluppo, in tutte le sue parti, al cennato nuovo sistema, da V. M. approvato, onde possano ottenersi tutti quei vantaggi che dal sistema medesimo verrebbero a risultare, la rendita delle dette abolite due casse, e quella delle altre quattro casse dei privati, dovrebbe concentrarsi nella sola deputazione amministrativa del Banco dei privati; i di cui individui, nel numero di cinque, a tenore della Sovrana risoluzione, dovrebbero da V. M. nominarsi".

"Ma ciò non è possibile d'eseguire, se prima la V. M. non si degni di far sentire la sua sovrana risoluzione, sull'oggetto più volte da questa Deputazione rassegnato, di dichiarare cioè quando ed in qual modo voglia soddisfare ai banchi la rendita degli arrendamenti e dei fiscali di lor pertinenza; giacché non può fissarsi l'esito, quando a punto fisso non si sappia l'introito".

"La Deputazione, adunque, non fa che ripetere, di nuovo e più vivamente, le sue preghiere, onde la M. V. si degni sollecitare sull'assunto la Sovrana risoluzione, d'onde dipende l'esecuzione del nuovo piano e la sorte dei pubblici banchi. Sicura, la Deputazione medesima, che non potrà permettersi ora che vadano a perire dei stabilimenti che per tre secoli han formato l'oggetto delle cure dei passati governi; né che voglia la M. V. permettere che venga a mancare la sussistenza a tante migliaia di persone, che dai pubblici banchi la riconoscono e la traggono giornalmente. E qui prostrati ecc."

Ma S. M. non degnava di risposta; probabilmente perché le pareva disonorevole di negare debiti tanto evidenti, mentre che non le piaceva di compromettersi con altri riconoscimenti, e molto meno di pagare. Immaginando i Deputati che a Corte non s'intendesse l'italiano, cominciarono a tradurre le loro domande in un cattivo francese, però senza migliore risultato. Nuove leggi misero una pietra sepolcrale sulle ragioni creditorie dei banchi, scomparve il capitale ammassato con tanti anni di onesta e filantropica gestione, senza che nemmeno una dichiarazione del fisco provasse quello che risulta dai fatti, averlo cioè preso la finanza perché gli faceva comodo.

Con la legge costitutiva del debito pubblico (14 settembre 1807) il Banco di Corte fu incaricato del pagamento degl'interessi iscritti nel Gran Libro e della estinzione progressiva di questo debito.

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Per questo effetto, esso avrà due casse distinte, di cui una sarà sotto il titolo di cassa di ammortizzazione. I Governatori del Banco ne dirigeranno soli le operazioni, a norma delle nostre leggi e decreti; il nostro Ministro delle finanze ne avrà solamente la sorveglianza e l'ispezione" (articolo 5).

Alla cassa di ammortizzazione, quella cioè che avrebbe dovuto estinguere il debito pubblico, si assegnarono, per tale scopo, annui Duc. 250,000, provenienti da censi e da rendite del Demanio. Lungi dal pagare, od almeno diminuire tal debito, questa cassa, imitazione dei metodi francesi, servì per accrescerlo.

L'altra cassa poi, delle rendite,che faceva solo il pagamento degl'interessi segnati sul Gran Libro, teneva, per sua dote, quanto produceva una sopraimposta di dieci per cento, messa su tutte le tasse dirette; più l'altre somme che dovevasi aggiungere dalla finanza, per compiere questo pagamento, privilegiato ed obbligatorio.

Insomma il banco di Corte, cassa S. Giacomo,non mancava di affari, dovendo raccogliere tutte le somme riscosse dalla pubblica amministrazione. Ma l'altro, dei privati, vivacchiava stentatamente, perché inoperoso, screditato, e senza danari. L'aggio, che ai tempi di Zurlo e di Medici, era stato di 12 per cento, al massimo, con una deficienza di tre milioni, nel giorno 15 luglio 1807 si calcolava a più di trenta per cento, malgrado che il vuoto fosse ridotto a D. 737924,47. Fu riferito al Re l'allarme ed il discredito è cresciuto rapidamente dopo lo stabilimento della novella amministrazione e del nuovo sistema del banco dei particolari. Ciascuno si attendeva che un tal sistema sarebbe stato preceduto dai mezzi per stabilire e finalizzare il conto tra la Regia Corte ed i banchi; e che sarebbero stati dati dei compensi, per fornirli di un capitale, senza del quale non possono pagarsi gl'impiegati, non possono soddisfarsi gli altri pesi forzosi, e molto meno offerirsi sicurezza e confidenza al pubblico".

Se il fisco avesse adempito al suo dovere, potevano sopravanzare i fondi per la sussistenza delle quattro casse, poiché, nel 1807, i residui delle rendite patrimoniali giungevano a D. 440407,35, mentre che la spesa era D. 39041(5,05. Dunque supero per D. 49991,30. Ma, per la ragione ch'era mancata la riscossione degli arrendamenti, fiscali, adoe, cioè di ducati 330609,53 all'anno, ne risultava il disavanzo di D. 280708,23.

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Fece un tentativo, Giuseppe, di prolungare la vita del banco particolari, con la promessa di Duc. 12,000 di annua rendita, mettendo a carico del tesoro le pensioni dei giubilati, delle vedove e dogl'impiegati soverchi. Ordinando pure che si escogitasse qualche spediente, per animare la circolazione delle sue carte bancali e garentirne il pagamento (1). Questo valse poco, la cassa dei particolari fece mala prova, ed il Ministro di finanza, Roederer Conte di Mosbourg, la soppresse, dichiarando che aveva pessimamente sostituito le vecchie istituzioni. Quando fu promulgato il decreto 20 maggio 1808, che Ciccarelli chiama sarcofago dei banchi Napoletani, le casse eran quasi vuote. Il così detto patrimonio consisteva in

Duc. 637,367 Crediti di facile riscossione, al dire del conto, ma che per la massima parte colpivano la finanza ed il comune, i quali hanno tergiversato tanto da finire col non pagarli.

" 910,062 Crediti di difficile riscossione per insolvibilità del debitore o per qualità litigiose del dritto dei banchi.

" 675,442 Rendite arretrate, cioè gli arrendamenti, fiscali ed altre specie di fondi pubblici che la finanza non aveva curato di soddisfare.

Duc. 2,222,871.

I debiti giungevano a Duc. 968,000 circa, cioè:

Duc. 700,000 carta in circolazione e

Duc. 268,000 stipendii da pagare ed altre passività.

A tanta poca roba erano ridotti gl'incerti e litigiosi avanzi di sette banchi, che quindici anni prima avevano i tesori pieni, vantavano patrimonio soverchio, credito indiscutibile! Questi medesimi avanzi nemmeno sarebbero esistiti, se alcuni debiti non si fossero precedentemente riconosciuti, come propri, dal fisco, e scritti sul Gran Libro, che a quell'epoca prese le forme moderne.

(1) Decreto 2'5 novembre 1807.

- 444 -

*

**

22. La liquidazione tenne conto dei settecentomila ducati di carta emessa dal Banco dei particolari. Dice il decreto 20 maggio 1808.

"1.° Il Banco de' particolari è soppresso.

"2:° I suoi beni sono riuniti al demanio dello Stato.

"3.° I suoi creditori sono creditori dello Stato. Le sue polizze saranno ammesse, durante tre mesi, cominciando dal giorno della pubblicazione del presente decreto, in pagamento dei crediti del Banco,tanto in capitale che in interessi o attrassi di rendite; che saranno descritti nello stato, che. sarà determinato dal nostro ministro delle finanze, per una somma almeno uguale a quella delle suddette polizze (1). Spirata la dilazione di tre mesi, quelle che non fossero ammortizzate saranno convertite in cedole, ammissibili in pagamento di beni dello stato, o in acquisto di rendite sul Gran Libro, ed i crediti che resteranno sai anno riuniti alla cassa di ammortizzazione (1).

"4.° Il Banco di Corte aprirà i conti correnti anche co' particolari, tanto pe' pagamenti che riceveranno dal Tesoro pubblico,quanto pe' depositi che essi faranno nel Banco medesimo.

"4.° Sui beni del Banco dei particolari saranno riservate due case, per stabilirvi, se vi è luogo, delle casse di aiuto al Banco di Corte. Le case che saranno riservate sono la Pietà ed il Banco dei Poveri.

"6.° L'amministrazione del Banco di Corte proporrà, al Ministro delle Finanze, un piano per l'organizzazione del servizio delle sue officine e casse di aiuto, se vi è luogo. Essa v' impiegherà i soggetti del banco dei particolari più capaci e più bisognosi.

"7.° Saranno accordate delle pensioni a coloro che si trovano nei casi previsti dalla nostra legge de' 5 gennaio 1807.

Mosbourg, francese, non s'era capacitato dei pregi del sistema bancario napoletano ed intendeva, con questo decreto, di farlo abbandonare. Spiegando ai governatori il senso dell'articolo4, dichiarò, con sua lettera del 30 maggio 1808.

(1) I debitori del banco dei particolari, che in tutto dovevano, come abbiamo ora visto, ducati 2,222^871, potevano dunque estinguere le loro obbligazioni presentando fedi di credito o polizze, nel prescritto termine dei tre mesi.

(1) Capece Zurlo, Bammacaro e Falconet, per invito del ministro , diressero il lavoro di revisione ed annullamento della carta del Banco dei particolari.

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"Egli è ben essenziale, signori, il distinguere questa facoltà (di tenere conti correnti) ben diversa da quella di ricevere il denaro, per pagarlo a compimento e conservare le quietanze negli archivi, per farle servire, in caso di bisogno, di pruova autentica dei pagamenti."

"L'atto di ricevere in deposito le quietanze dei pagamenti, che i particolari fanno da mano a mano, la facoltà di dare autenticità alle medesime, è un attributo piuttosto notarile che bancale. Il banco ha per oggetto essenziale di fare il pagamento; e dei suoi pagamenti egli è obbligato di ricevere e somministrare, al bisogno, delle pruove autentiche".

"Non è già che io costantemente rifiuti di adottare il secondo attributo, fin ad ora abusivamente (?) dato ai banchi, se voi, signori, me lo proporrete, con delle modificazioni e con delle condizioni compatibili coll'ordine naturale di un banco; e soprattutto combinate in modo da non obbligare S. M. a delle ingenti spese, per una manutenzione notarile assolutamente, e la quale si rende esorbitantemente dispendiosa per lui".

Con tali idee, sarebbe fin d'allora finito l'apodissario. Ma gli usi cittadini furono più forti della volontà del ministro, il quale, quando ebbe meglio studiato il vecchio sistema, e conosciuto che la finanza più di tutti ne cavava profitto, sottoscrisse altri decreti, dove si mantengono ed approvano l'incumbenze notarili del banco.

Chiama S. E. dispendioso per Sua Maestà il sistema, quasi che i patrimoni degl'istituti fossero roba del Re. Lo erano infatti divenuto, quello stesso giorno 8 maggio 1808, con la dichiarazione che i beni del banco dei particolari fossero riuniti al Demanio pubblico; nonché per altro decreto il quale dice. Noi dichiariamo ammortizzati tutt'i crediti sullo Stato che possedevano i monasteri, i di cui beni sono stati riuniti al nostro demanio; come pure quelli dei banchi e luoghi pii, che l'art. 7 della nostra legge, dei 2 luglio 1806, esclude dal beneficio della liquidazione. Non saranno mai firmate né emesse cedole pei suddetti crediti, e dichiariamo false quelle che potrebbero essere emesse,,.

Con le soppressioni di banchi e confische dei loro beni, anche le annesse opere pie d'ospedali e conservatori subirono molto danno; sia per la ragione che non si erano mai separati bene i rispettivi patrimoni, onde le controversie giuridiche che vennero dal fallimento della Casa Santa dell'Annunziata, sia perché gli agenti di Giuseppe Bonaparte militarmente procedettero alla presa di possesso dei beni. Gli stessi edifizi non furono risparmiati.

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Del Banco di Sant'Eligio si fece una caserma. Il Banco Spirito Santo e quello dei Poveri, occupati dal Demanio, in parte si affittarono ed in parte servirono per qualche amministrazione pubblica; gli altri del Popolo e del Salvatore, già condannati alla distruzione due anni prima, si vendettero, ed ora son case d'abitazione, che d'antico tengono le sole porte, opere pregevoli dei secoli XV e XVI. La Deputazione degli apodissari aveva fatto molti tentativi, per conservare al patrimonio artistico del paese quei due monumenti. Poiché non poteva impedire l'applicazione della legge 11 Giugno 1806, che riconosceva sole quattro casse del Banco dei privati, né poteva distruggere la proposta da essa medesima fatta, di sopprimere definitivamente li due istituti Salvatore e Popolo, fece dichiarare dal Re che l'edifìzio Salvatore dovesse servire per sua sede (1). Pel locale Popolo, disse di non poter consegnare le stanze, senz'aver prima riscosso ciò che doveva l'erario, per fiscali ed arrendamenti, e senz'aver provveduto per la sistemazione dell'archivio. Ma troppe persone s'arricchivano colle vendite dei beni demaniali, ed i loro intrighi fecero tornare vani questi lodevoli sforzi, quantunque avvalorati da un decreto, di gennaio 1809, pel quale l'edifìcio Salvatore sarebbe servito alla Corte dei Conti.

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23. Gioacchino Murat doveva mantenere la promessa di sistemare il servizio dei Banchi Pietà e Poveri, ma non si contentò di creare semplici officine succursali della Cassa di Corte, giusta il decreto 20 Maggio 1808.

I Napoletani mormoravano per la distruzione dei benemeriti loro banchi, e non mostravano la menoma fiducia nella Cassa di Corte, che pretendeva di farsene l'erede, solo perché manteneva la forma materiale dei registri e delle carte valori.

(1) Deliberazione 7 Gennaio 1807. Avendo dovuto questa Deputazione, fin da luglio 1805 , a causa del noto tremuoto, abbandonare la sua officina in Montoliveto , fu nella necessità di far trasportare tutte le carte e libri attinenti alla Segreteria in casa del Segretario medesimo, e quelle appartenenti alla Razionalia in casa del Razionale. Or essendo tali carte a dismisura cresciute, ed essendo necessario, per le correlazioni tra Segreteria e Razionalia, che tali carte siano tutte in un locale, che formi un punto d' unione, è venuta la deputazione suddetta a stabilire; che siccome col nuovo sistema, da S. M. approvato, la Deputazione amministratrice del Banco dei Privati dovrà reggersi nel locale dell'abolito Banco del Salvatore , ed ivi avere le sue officine di Segreteria, Razionalia ed Archivio ; cosi le carte anzidette della Segreteria e Razionalia, della deputazione suddetta, si passino da ora nell'accennato locale. Perché però è necessario che il medesimo venghi comodamente adattato ecc. ecc.

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Altronde non si poteva pensare alla risurrezione degl'istituti, per varie potenti ragioni. Il patrimonio era scomparso. Mancava quell'intento di filantropica religiosità pel quale erano nati ed avevano progredito i Monti di pegni, nei precedenti tre secoli. Le mani morte, di qualsiasi qualità, erano combattute dalle leggi e dall'opinioni vigenti, che non avrebbero tollerato l'esistenza di confraterie amministratrici dei denari del pubblico. Molto meno il dispotismo d'un governo militare poteva consentire che si reggessero banchi, colla libertà che a Napoli era tradizionale, e che speriamo d'aver provato fosse il fattore precipuo dei loro progressi.

Conveniva dunque pensare ad altro. L'esempio del cognato Napoleone, ch'era per lui poco meno di ordine, spinse Gioacchino a promulgare questa legge del 6 dicembre 1808, nella quale si parla di azionisti, e sono imitati gli statuti della Banca di Francia, che Napoleone aveva recentemente modificati, adattandoli empiricamente alle consuetudini e bisogni del popolo Napoletano.

«1.° Noi istituiamo un Banco nazionale, che avrà il titolo di Banco delle Due Sicilie.

«2.° Il capitale del Banco delle Due Sicilie, per ora, sarà di un milione di ducati, diviso in 4000 azioni, da Duc. 250 l'una.

«3.° Le attribuzioni di questo banco consisteranno:

«Ad aprire i conti nel modo stesso che si praticava da' banchi di Napoli; le sue carte faran fede in giudizio, come per lo passato.

«A fare delle anticipazioni sulle materie di oro e d'argento, sulle monete forastiere e sulle derrate o mercanzie.

«A fare dei prestiti sopra pegno.

«A scontare tutti gli effetti di commercio, le cambiali e le obbliganze verso il Tesoro, con quelle cautele che verranno stabilite nei regolamenti.

«A ricevere in deposito tutte le somme che gli verranno confidate.

«4.° L'interesse del pegni, che si porteranno in deposito nel Banco, non potrà eccedere l'otto per cento l'anno.

«5.° Il Banco verrà amministrato da sette Governatori e tre Censori, sotto la vigilanza di un Reggente, che farà le funzioni di Commissario Regio.

«6.° Il Reggente del Banco sarà sempre nominato da Noi. I Governatori ed i Censori saranno scelti fra gli azionari.

«7.° Il nostro Ministro delle Finanze ci presenterà un progetto, sulla costituzione, regolamenti e servizio del Banco, perché sia fatto noto a quelli che vorranno prendere delle azioni.

«8.° Saranno messi alla disposizione degli azionari del Banco, per goderne durante il tempo del loro privilegio, i due edifizi demaniali, conosciuti sotto nomi di banchi del Poveri e della Pietà. Ci riserbiamo di accordare loro anche i banchi del Salvatore e dello Spirito Santo, se il bisogno lo richieda.

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«9.° Il Banco delle Due Sicilie verrà aperto al 1° gennaio 1809.

«10.° Il Banco di San Giacomo resta solamente addetto al Tesoro Pubblico. All'epoca dell'apertura del Banco delle Due Sicilie verrà chiusa la cassa dei particolari.

«11.° Il servizio della istituzione del Banco delle Due Sicilie sarà ceduto agli azionari, per lo corso di 25 anni, e potrà essere prorogato secondo le circostanze.

Con decreto poi dei 22 dicembre, medesimo anno 1808, si stamparono gli statuti e regolamento del nuovo Banco Nazionale delle Due Sicilie. Eccoli:

Della costituzione del Banco.

Art. 1. Il banco delle due Sicilie, istituito colla legge de' 6 dicembre 1808, sarà rappresentato dalla totalità dei suoi azionari, e questa da venticinque di essi.

2.

I venticinque azionari, che, uniti al reggente, a governatori, ed a'cen sori, costituiranno l'assemblea generale del banco, saran coloro che costi, da' libri del medesimo, essere i più antichi e i maggiori proprietari d'azioni; e dovranno avere l'età non minore di anni trenta.

3.

Il dritto di voce deliberativa, nelle assemblee generali, si acquisterà colla cumulazione rappresentativa di dieci azioni, almeno.

4.

Ciascun numero di dieci azioni farà acquistare il diritto di un voto: ma ciascun votante non potrà mai averne più di tre, qualunque fosse la massa delle azioni, di cui sarà proprietario o rappresentante.

5.

I sette governatori e i tre censori del banco, incaricati della sua amministrazione, sotto la presidenza del reggente, commissario del Be, saranno scelti tra gli azionari dell'assemblea generale, e nominati, precedente scrutinio, alla maggiorità assoluta di voti.

I censori saranno scelti tra la classe de' negozianti azionari.

6. In ogni anno saran cambiati due governatori ed un censore. Nel terzo anno verran cambiati tre governatori.

7. L'uscita dei governatori e del censore avrà luogo, nei primi tre anni, per sorte; e negli altri consecutivi per rango di anzianità.

8. I governatori ed il censore che dovranno uscire, potranno esser confermati, se avranno due terzi devoti. La seconda conferma dev'essere a pieni voti.

9. Entrando in esercizio, i governatori, ed i censori dovran giustificare ch'essi sieno proprietarii, ciascuno, di sei azioni almeno.

10. Il di 10 di gennaio di ciascun anno vi sarà, per dritto, un'assemblea generale di azionari del banco, per esaminare il conto delle operazioni dell'anno antecedente, e per procedersi, precedente scrutinio, alla elezione dei governatori e del censore usciti, ed al rimpiazzo di quelli trapassati o dismessi.

11. L'assemblea generale potrà essere straordinariamente convocata da' governatori del banco, allorché, per causa di morte o di dismissione, il numero de' governatori si troverà ridotto a meno di cinque, e quello de' censori ad un solo, o che si tratterà d'affari urgenti, o tali per loro natura che debbano esser sottoposti all'esame dell'intero corpo degli azionari.

12. Simile convocazione potrà egualmente aver luogo in seguito di domanda formale de' censori, e sulla quale essi avran deliberato fra loro, e dopoché avran fatto conoscere ai governatori i motivi della convocazione.

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13. I governatori e i censori eletti nel corso dell'anno, in rimpiazzo dei morti, o di quelli che avran dato la loro dimissione, non potranno restare in funzione, se non durante il tempo che resterà a decorrere per completare l'esercizio di coloro a' quali saranno succeduti, salvo le conferme, che potranno aver luogo nelle assemblee ordinarie, giusta il prescritto nell'art 8.

14. Il reggente di nostra nomina sarà scelto tra il numero degli azionari, e dovrà esser proprietario di dodici azioni almeno.

15. Per questa volta solamente, i e i censori saran nominati da Noi tra gli azionari. Delle sue obbligazioni.

16. Il capitale del banco fissato, dalla legge de' 7 dicembre 1808, ad un milione di ducati, potrà esser nel tratto successivo aumentato, ma solo per la creazione di nuove azioni. È proibito qualunque aumento sull'azione, fissata diffinitivamente per la somma di ducati dugento cinquanta.

17. Il corpo intero degli azionari sarà responsabile degl'impegni del banco. Ma ciascun azionario individualmente, altro non essendo che un semplice proprietario di azioni, non sarà mallevadore degl'impegni contratti dal banco, che fino alla concorrenza della quantità da esso posta in società; cioè a dire del numero delle azioni, pel quale egli si troverà iscritto al banco.

18. Il codice di commercio formerà legge per questa società.

19. Tutti gli atti giudiziari o estra giueliziari, che avranno luogo, a favore o contro del banco, saran fatti in nome generico degli azionari, rappresentati da' governatori.

20. Le offerte, per interessarsi nelle operazioni del banco, saranno ammissibili immediatamente dopo la pubblicazione del presente decreto. Gli azionari verseranno lo ammontare delle loro offerte in ispecie metalliche d'oro o d'argento, nel tesoro del banco, nel termine di quattro mesi, a datare dal primo di gennaio 1809, in rate uguali, scadibili in ogni mese. Saranno obbligati di sborsare la prima rata in contanti; e potranno dare per le altre tre rate altrettante cambiali, da estinguersi alle rispettive scadenze. Non godranno però del beneficio della dividenda se non avranno adempito all'intero pagamento delle azioni, a cui si saranno obbligati.

Della sua organizzazione e del suo servizio

21. I sette governatori del banco formeranno fra loro la commissione generale, la quale sarà sotto la sorveglianza del reggente.

22. La Commissione generale sarà divisa in tre Consigli, ì quali saranno privativamente incaricati de' principali rami delle operazioni del banco, e ne renderanno conto alla Commissione generale.

23. Vi sarà il Consiglio dello sconto e de' pegni;

Quello delle casse e de' biglietti;

Ed il Consiglio de' conti e della corrispondenza.

Questi Consigli saranno cambiati in ogni semestre, in modo che i membri dei Consiglio dello sconto passino al Consiglio delle casse, e i membri di questo al Consiglio de' conti, e così alternativamente.

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24. Il reggente presederà al governo del banco, e sarà incaricato della direzione generale di tutte le operazioni, e de' rapporti del banco co' Ministri e colla real tesoreria. La Commissione generale firmerà in nome del banco i trattati e le convenzioni che stipulerà. Essa avrà la nomina e la destituzione degli agenti, de' corrispondenti ed impiegati; e farà i regolamenti che concernono il servizio interno ed esterno del banco.

25. Nella sua qualità di commissario del Re, il reggente avrà la sorveglianza cui esige la conservazione degli statuti fondamentali e costituzionali del banco, e l'esecuzione delle leggi, decreti ed ogni altro atto dell'autorità sovrana, relativo al servizio ed organizzazione del medesimo. Qualunque deliberazione de' Con siglio o della Commissione generale non potrà aver forza alcuna, se non è approvata e vistata dal reggente. Egli occuperà sempre il primo luogo di onorificenza. Nessun'altra autorità potrà avere ingerenza nell'amministrazione del banco. La polizia interna del medesimo sarà affidata al reggente.

26. Il reggente sarà supplito, in tutte le sue attribuzioni, da un vicereggente, la nomina del quale apparterrà a Noi. Egli prenderà rango fra i governatori. Sarà scelto fra la classe degli azionari, e dovrà esser proprietario di otto azioni almeno.

27. I censori potranno prender cognizione dello stato delle casse, del portafoglio, e de' libri del banco. Verificheranno il conto annuale, che i governatori dovran rendere all'assemblea generale, e veglieranno affinché le deliberazioni dell'assemblea ed i regolamenti della Commissione sieno esattamente osservati.

28. I censori non potranno far parte di alcun Consiglio, e non avran voce deliberativa nella Commissione; ma vi assisteranno tutte le volte che lo crederanno necessario, e potranno liroporre le loro osservazioni alla Commissione generale.

29. Le funzioni di reggente, di vicereggente, di governatore e di censore saranno esercitate gratuitamente, salvo i dritti di presenza, che saran proposti dalla commissione, e determinati dall'assemblea generale.

30. Il servizio centrale ed il domicilio legale del banco, verranno stabiliti nella cassa detta Pietà. La cassa de' Poveri, posta a disposizione degli azionari, e le altre che loro potranno esser concesse nel tratto successivo, altro non saranndBlie un locale annesso al banco, a cui la Commissione confiderà un ramo di servizio particolare, risultante da' privilegi del banco.

Dei conti correnti.

31. Il banco riceverà, in conto corrente. tutte le somme in numerario metallico, che gli saran versate dai particolari, o dagli stabilimenti pubblici; e pagherà per essi, fino alla concorrenza de' fondi che avrà dai medesimi incassato, le polizze che saran tratte sulla sua cassa.

32. I crediti in conti correnti saran, dati sulle madrefedi, dal cassiere del banco; e i debiti vi saran portati a misura delle polizze tirate sul banco.

33. La cassa de' conti correnti sarà distinta e separata dalle altre.

34. La scrittura, il registro e l'archivio de' conti correnti saran portati nel modo stesso che si praticava dagli antichi banchi.

35. Il banco esigerà un piccolo dritto sulle fedi di credito e polizze, per indennizzazione delle spese di servizio del conto corrente de' particolari. Rilascerà, quante volte gliene sarà fatta richiesta, copia delle polizze, o estratti de' registri; ed esigerà un dritto di conservazione, cercatura e spedizione. Per ciascuna partita di banco che si vorrà estrarre, la Commissione generale del banco ne formerà la tariffa, che vorrà sottoposta alla nostra approvazione.

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36. Il banco sarà aperto in tutt'i giorni, eccetto le domeniche e le feste di doppio precetto. Pagherà a banco apertotutte le polizze "che gli verranno presentate.

Dello sconto.

37. Il banco sconterà le lettere di cambio ed i biglietti ad ordine pagabili in Napoli, forniti però di tre firme di mercanti, negozianti e banchieri sudditi o esteri, notoriamente solvibili.

38. Vi sarà un Consiglio di sei nogozianti azionari, che sarà chiamato dal Consiglio dello sconto a dare il suo parere sulla validità d'una cambiale, o d'un biglietto ad ordine, quando il bisogno lo ricliiegga; ma non sarà mai responsabile dell'evento. Questo Consiglio sarà rinnovato in ogni anno, dall'assemblea generale del banco, sulla nomina della Commissione generale.

39. Gli azionarli del banco godranno della preferenza dello sconto, in quella proporzione che verrà determinata da' regolamenti della Commissione. E gli effetti, che avranno più di due mesi a decorrere, non saranno ammessi allo sconto fino all'incasso della totalità delle azioni.

De' prestiti sopra pegni, e delle anticipazioni.

41. Gli effetti mobili, che saran portati al banco, per sicurezza dei prestiti che farà, saran deposti nei suoi magazzini, dopo d'essere stati stimati dagli apprezzatoli che sono addetti al banco.

42. Il banco non riceverà effetti mobili in pegno, per una somma maggiore di cento ducati, che da persone conosciute e domiciliate, ovvero assistite da un mallevadore, il quale dovrà esser conosciuto e domiciliato. Non si potranno far pegni per una somma maggiore di ducati mille, né minore di Duc. venticinque.

43. I prestiti sopra le materie d'oro e d'argento corrisponderanno a' tre quarti del valore di stima del pegno: quelle sopra le gioie, alla metà: e per gli altri effetti, a' due terzi del prezzo di stima.

44. Nel pegnorare la somma, regolata ne' termini dell'articolo precedente, il banco rilascierà una ricognizione, o sia cartella, dell'effetto che egli avrà pegnorato.

45. I pegni saran fatti per sei mesi, colla facoltà di rinnovarli, spirato detto termine.

46. Per eseguire tal rinnovazione, il peggiorante sarà tenuto di pacare gl'interessi, fissati dalla legge in ragione dell'otto per cento, fino allora decorsi.

47. Gli effetti dati in pegno al banco, e che non saranno stati spegnorati nel termine fissato nell'art. 45, ed enunciato nella cartella rilasciata al pegnorante, saran venduti pubblicamente, all'incanto, per conto del banco; il quale dal risultato della vendita si rimborserà del prestito, degl'interessi e delle spese, e bonificherà al particolare l'eccedente del prezzo, colla restituzione della cartella.

48. L'interesse de' prestiti, che il banco farà sulle derrate e mercanzie, sarà regolato amichevolmente tra la Commissione dei banco ed il pegnorante. 1 prestiti sulle derrate saran fatti sopra i generi esistenti nella regia dogana, o nelle pubbliche conservazioni. La chiave del magazzino verrà deposta nella cassa del banco, per la sua cautela. I generi deperibili non saranno ricevuti in pegno al banco.

Delle azioni.

49. Le azioni del banco saranno rappresentate da una iscrizione nominativa sopra un registro, il quale sarà tenuto per duplicato, e di cui sarà rilasciato all'azionario un estratto firmato da' governatori e censori, e vistato dal reggente.

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50. I trasferimenti d'azione avran luogo di virtù d'una semplice dichiarazione del proprietario, trascritta su i libri del banco, e certificata da uno degli agenti di cambio di Napoli, accreditati presso il banco.

51. Il trasferimento fatto a profitto d'una massa di azioni, sarà valutato proporzionalmente per una firma di sconto.

52. Saranno commerciabili le azioni del banco. Non saranno soggette ad ipoteca, e saranno sottoposte alle azioni de' creditori fino a che si trovino presso del debitore. Saranno esenti dalla tassa d'industria.

53. La dividenda dello azioni sarà regolata in ogni semestre dalla Commissione del banco, che la farà pagare dal suo tesoro, a vista, agli azionari, tostoché ne sarà stata determinata la quantità.

54. Le azioni del banco possono essere acquistate dai forestieri.

55. Le azioni obbligative del reggente, del vicereggente, de' governa tori, e de' censori, non si potranno alienare durante il tempo della loro amministrazione.

Disposizioni generali.

56. Il banco riceverà, a titolo d'impiego ad interesse, tutte le somme che gli saran confidate, per esser pagate in epoche convenute; ed a titolo di consegna ogni sorta di materie, derrate ed effetti reali.

57. Potrà emettere biglietti pagabili a vista, calcolando tale emissione in modo che col numerario effettivo riserbato nel suo tesoro, alla scadenza della carta esistente nel suo portafoglio, possa sempre pagare i suoi biglietti, nel momento della esibizione, ed a banco aperto.

58. Potrà ugualmente rilasciare dei mandati su i diversi luoghi del regno, ne' quali manterrà de' corrispondenti.

59. gl'impiegati che sono risponsabili e contabili del banco, saranno obbligati di dar pleggeria in danaro effettivo, o in azioni depositate al banco.

60. Gli obblighi degli impiegati ed agenti subatterni del banco, ed i loro soldi, saran determinati dalla Commissione generale del banco.

61. Il nostro Ministro delle finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.

Firmato Gioacchino Napoleone

24. Cominciò infelicemente questo Banco delle Due Sicilie, per la ragione che si venderono poche azioni, e queste poche nemmeno furono tutte pagate. Scrisse il Reggente Carta. con relazione del 26 novembre 1809.Sire. Il Banco delle due Sicilie si è aperto per espresso comando di V. M., malgrado che il numero delle azioni fosse cosi ristretto da non presentare un aspetto florido per quest'utile stabilimento. Li azionarli si sono sottoscritti per N. 1312 azioni, che ammontano alla somma di 328.000 ducati, e quantunque non possa dirsi un fondo sufficiente a fare delle operazioni vantaggiose, pure sarebbe stato tale da ottenersi una discreta dividenda, se tutti avessero adempito all'impegno contratto. Ma, disgraziatamente, non è avvenuto così, e sinora,


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malgrado le maggiori premure ed inviti per lo versamento dell'ammontare delle indicate azioni, non si è incassato che ducati 126,000, cioè dalla cassa di ammortizzazione ducati 94,000, dalli particolari ducati 32,000; né rimane altra riserva che sopra ducati 21,000 di cambiali cedute dalla medesima cassa di ammortizzazione, che a poco a poco si spera di realizzare."

"Questi fondi si sono esauriti, perché si sono fatti dei pegni per la somma di ducati 120,000 (1) e poche cambiali si sono scontate."

"Da ciò vede bene V. M. che bisogna ricorrere a degli espedienti per completare il fondo promesso; altrimenti il banco rimane nella perfetta inazione, si discredita nel suo nascere, e soggiace a delle perdite, invece di sperarsene l'utile della dividenda".

"Il Direttore della Cassa di ammortizzazione deve pagare altri ducati 83,000, e, premurato da me, ha risposto di non avere fondi disponibili, se dal Ministro di Finanza non gli vengon fatti. La guardia reale non ha pagato l'importo delle cento azioni cui si è sottoscritta. Li particolari devono ancora Duc. 72,000, e tra questi ve n è una porzione che nulla ha dato in conto; altri poi han pagato una o due rate; ma, accorgendosi che non tutti egualmente adempiono agli obblighi assunti, anche si sono astenuti dal proseguire i loro pagamenti fi), Comprendo bene che è dispiacevole di astringere i debitori, ma non saprei immaginare altro mezzo per la buona riuscita del Banco".

"Mi si potrebbe opporre che l'obbligar per forza a divenire azionario forma un discredito al Banco, che li vantaggi che offre si devono desiderare da un privato per proprio utile, non mai forzarsi chi crede di non trovarci il proprio conto."

"Rispondo: che è vero il principio prima di segnare il proprio nome, nel libro delli azionarli; ma, quando uno ha sottoscritto, non ha la facoltà di retrocedere; poiché tutta la società si è reciprocamente impegnata, e che non si fa nessun torto quando si obbliga a mantenere l'impegno contratto. Dico dippiù, che si farebbe un torto all'intera società delli azionarli, se fosse lecito ad una porzione di ritirarsene, mentre l'altra rimane impegnata, per effetto della somma che si è sborsata, e dalla quale non potrà mai sperare'l'utile che si proponeva di ottenere."

(1) I primi pegni furono occasione di battibecchi con l'ufficio del marchio degli oggetti preziosi (Lettera 3 marzo 1809), ed il ministro ci pose rimedio coll'art. 2 del decreto 10 marzo 1809, pel quale «Il Banco è autorizzato a ricevere in pegno, senza essere bullati, tutt'i lavori d'argento dei particolari già fabbricati, assicurandosi però del valore intrinseco contenuto nei medesimi».

(1) Degli stessi Governatori del banco alcuni non pagarono le azioni che servivano per esercitare legalmente l'ufficio, e, quando furono invitati a mettersi in regola, risposero che non si volevano mostrare più zelanti delle amministrazioni pubbliche, della cassa di ammortizzazione cioè e della guardia reale, le quali, dopo d' aver sottoscritto buona parte del capitale, non lo avevano poi versato (Lettera del Reggente Carta 16 ottobre 1809).

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"Il denaro finora impiegato, nella somma di ducati 125,000, unito a' piccoli dritti che si percepiscono, dà tanto utile da coprire le spese, per un calcolo approssimativo, poiché, stabilite tutte le officine del banco, dei pegni e dell'archivio, la spesa non ammonta a ducati 1000 al mese, e credo che non si poteva fare maggior economia."

"Se altre somme non verranno impiegate, due mali sono inevitabili; il primo di un discredito del banco, che deve chiudere l'opera dei pegni senza averci impiegato che somme cosi tenui; il secondo, ch'è il maggiore, cioè di presentare in fine dell'anno un conto in cui l'utile è assorbito interamente dalle spese, e forse anche con qualche piccolo discapito, nel capitale che un azionario vi ha impiegato."

"Tutte queste considerazioni, di giustizia e di economia, mi obbligano di pregare V. M. a prendere i più efficaci provvedimenti, perché tutti coloro che si sono sottoscritti, come azionisti, adempiano sollecitamente gli obblighi che han contratto; altrimenti questo stabilimento, utile per impedire le usure, vantaggioso per le transazioni private, diverrà nullo, ed anzi nocivo all'interesso di V. M. che è il principale azionario, e di coloro che, per ubbidire a V. M. han concorso a promuoverlo."

Li 3 gennaio 1809, i nuovi Governatori persuasi della impossibilità di dar principio alle operazioni prima che fossero sottoscritte almeno duemila azioni" chiesero qualche aiuto pecuniario o che almeno la rendita de' soppressi banchi, che il fisco non avesse ancora distrutta, si concedesse al novello ente. Ottennero la sola proprietà degli archivi degl'istituti soppressi, che, giusta il decreto 10 gennaio 1809, si dovevano tutti riunire nel localo della Pietà, coll'analogo dritto di riscuotere le tasse per le copie e per i certificati.

Tasse che cercarono d'accrescere, chiedendo facoltà di riscuotere.

Per l'emissione d'una fede di credito grana......................................... 5

id d'un mandato o d'una polizza notata fede....................................... 3

Da ogni individuo, mentovato in un mandato, che si presentasse ad incassare la sua quota..........................................................................

2

Più aumentare a grana 20, per foglio, il dritto per le partite di banco, a dire per le copie di carte bancali, che prima era di grana 10.

- 455 -

Più aumentare a grana 80 per anno il dritto sui bilanci di conti correnti, che prima era di grana 10.

Serbarsi l'antica tariffa, di grana 60, per le attestazioni o certificati.

Finalmente, aggiungersi un dritto di c creatura,di carlini due ad anno, dandosi però la facoltà ai Governatori o Deputati di transiggere per qualche porzione dell'ammontare, quando lo stimassero esorbitante.

Erano sgradevoli novità, per un popolo che, da secoli, si serviva del Banco, senza pagar nulla. Invano i proponenti parlavano di tristi condizioni dell'Istituto, elie non poteva altrimenti tirare innanzi. Si studiavano anche di giustificare le nuove imposte, o l'aumento delle vecchie tariffe, mentovando i pregi delle girate, per le quali i pagamenti fatti con fedi, o polizze, o mandati, davano ad ogni individuo una sicura e perpetua cautela, non soggetta né a frode, né a dispersione, ed offrivano un documento privilegiato in giudizio; dippiù le cinque o tre o due grana erano somme minori di quelle occorrenti per una semplice quietanza legale. Ma questi e maggiori vantaggi si ottenevano anche prima, senza che i vecchi banchi avessero mai pensato di riscuotere dritti d'emissione. Aggiungasi che il Fisco faceva eccezione per sè. Infatti la Cassa San Giacomo, conservata per comodo del Tesoro pubblico, non prese dritto d'emissione; e rispetto alle copie o certificati, si contentava della tariffa 24 febbraio 1809, ch'era sufficientemente discreta.

Fu stabilito che le operazioni del Banco Nazionale sarebbero cominciate al 1° febbraio 1809, e si domandò l'esenzione dalle tasse di bollo sui libri e scritture. Sursero poi difficoltà per l'applicazione delle leggi di registro, volendo i notai che l'imposta si fosse pagata prima di presentare ad essi le bancali, per l'autentica delle firme: ma, dopo un rapporto del Reggente, 9 giugno 1809, la controversia fu accomodata, interpetrando la legge 6 dicembre 1808 come formale riconoscimento delle regole tradizionali, per le quali può la girata contenere qualsiasi patto, e vale come scrittura autentica.

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25. Si parlò eziandio di biglietti al latore, e ci sembra opportuno di trascrivere il rapporto fatto al Ministro di Finanza, perché le ragioni favorevoli o contrarie, espresse settant'anni fa, hanno valore anche oggi.

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"20 gennaio 1809.-Nell'ultima seduta, fatta dai componenti il Governo del Banco delle Due Sicilie fu messo in discussione se convenisse d'introdurre, qui in Napoli, i cosi detti biglietti di banco; ad esempio di ciò che si pratica in Francia, ed in altre piazze cl' Europa».

d'affare fu lungamente esaminato, le opinioni furono discordanti fra loro Uno dei censori fu di sentimento affermativo per l'emissione dei bi: glietti di banco; due altri censori furono di sentimento contrario. Dei Governatori, quattro opinarono di doversi emettere i biglietti, e tre furono di contrario parere».

"Coloro che sostennero la opinione favorevole per i biglietti, ne analizzarono la utilità, facendo riflettere che tutte le altre piazze d'Europa, ove vi sono banchi, hanno adottato questo lodevole sistema; che si sarebbe così introdotta una carta rappresentante moneta effettiva, di più facile circolazione della nostra fede di credito, la quale ha bisogno di molte forme e verifiche; che si sarebbe così, per mezzo dei biglietti di banco, venuto ad accrescere la massa del numerario; e che coi biglietti si sarebbe anche ottenuto molto risparmio, nelle spese necessarie per i commessi, che occorrono per la verifica ed adempimento delle forme richieste dalla fede di eredito, secondo l'antico sistema dei nostri banchi".

"Gli altri, che sostenevano il sentimento contrario, facevan riflettere che se i biglietti sono adottati nelle altre piazze d'Europa, lo sono perché i banchi colà sono altrimenti modellati, e non si conoscono i vantaggi del nostro sistema; che la nostra fede di credito, mentre ha tut t'i stessi vantaggi del biglietto di Banco, non ne contiene i pericoli, giacche non può essere facilmente falsificata, come i biglietti, non può servire volentieri all'altrui frode e malizia; e le forme e verifiche di cui ha bisogno la fede di credito, se impediscono, per pochi momenti di più, il portatore, servono nel tempo stesso alla sicurezza e perpetua cautela dei particolari e del banco; lo che non si ottiene dal biglietto, che falsato può girare ed essere in commercio, venire al banco, emettersi di nuovo e di nuovo tornare, e può dar luogo al cassiere di servirsene, per se stesso o per altri».

«Si aggiungeva essere pericoloso che il banco classe fuori, nel tempo stesso, due differenti carte, sulle quali differente potrebbe essere la fede ed opinione dei pubblico, ed una potrebbe discreditare il valore dell'altra; tanto più che la nostra nazione ha una stabilita opinione della fede di credito, che da tre secoli indietro ha riconosciuta, e non conosce affatto il biglietto. Che, essendo stato riconosciuta eia tutt'i governatori e censori la utilità della fede di credito, sarebbe lo stesso che inviluppare le operazioni del Banco, con due diversi metodi di scrittura».

«Che in dorso alla nostra fede di credito si posson fare delle girate' ed apporsi quelle condizioni che si vogliono nel pagamento. ed è questa appunto la gran molla degli avventori del banco, perché i pagamenti così fatti, formando una prova in giudizio, formano la sicurezza delle proprietà delle famiglie, lo che non si ottiene coi biglietti di banco".

"Che disperdendosi, o essendo rubata, una fede di credito, si può subito impedire al banco, giacché le forme appunto delle quali è contrassegnata, ed il registro che si ha sui libri del Banco del nome del proprietario, dell'epoca e della somma, e la notizia se il denaro sia libero o sequestrato, servono a far distinguere il proprietario dal portatore che l'ha trovata o rubata; vantaggio che non hanno i biglietti".

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«E finalmente, che non è questo certamente il tempo d'accrescere,con una carta monetata, il numerario effettivo, perché crollerebbe nel suo nascere il Banco; e che quando poi sia il banco perfettamente accreditato, e si voglia ciò fare, può aversi lo stesso intento colle nostre fedi di credito, ed aversi intanto quella cautela che non offrono i biglietti di Banco».

«Essendo questo un affare di somma delicatezza, che interessa il pubblico intero, e che servir deve di fondamento al credito o al discredito del Banco, nel momento istesso del suo nascere, mi son veduto in dovere di farlo presente a V. E. perché si compiaccia di passarlo alla Sovrana intelligenza, onde la M. S. co' superiori suoi lumi, prenda sull'oggetto quelle risoluzioni che meglio crederà convenire».

L'altra radicale proposta, d'aprire conti correnti senza interessi, simili a quelli della Banca di Francia, fu respinta con cinque voti contro due: per la ragione che la Madrefede Napoletana equivale al conto corrente, ma offre maggiori malleverie, e maggiore comodità, tanto per l'istituto quanto pel pubblico.

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26. Il pegno degli oggetti d'oro e d'argento fu ricominciato il 1° febbraio 1809, ma trovava intoppo nell'art. 42 del nuovo statuto, pel quale siffatti prestiti non dovevano superare i Duc. 1000, né essere inferiori a Duc. 25. Li 22 febbraio 1809, scriveva Carta al Ministro:

"Su quest'oggetto, mi conviene di far presente all'E. V. che nell'istituire S. M. quest'opera della pegnorazione, ha voluto certamente aiutare la c]asse dei più bisognosi, sollevandola dell'oppressione delle gravi usure".

"Questa classe, per l'opposto, niun utile ricava da un opera così salutare, anzi sarei per dire che forse ne risulta per essa maggior detrimento. Dal primo giorno che fu aperta l'opera anzidetta, accorse a folla la gente a pegnorare i suoi effetti, e giornalmente vi è venuta, per liberarsi dalla gravezza degli usurai. La maggior parte però, del ceto il più bisognoso, ha dovuto tornarsene scontenta, e senza poter fare il pegno della sua roba, giacché non era del valore stabilito dalla legge, per arrivare a peggiorarsi per la somma di D. 25; e soli li più ricchi, che avevano preziosi effetti, han potuto godere del beneficio di quest'opera".

"Or siccome la mente del Sovrano è sicuramente di sollevar tutti, ma con ispecialità li più bisognosi: così prego V. E. di ottenere la modifica

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del suddetto articolo del decreto, e permettere che il Banco possa far prestito sopra pegno della somma da D. 10 fino a D. 1000, coll'interesse dalla legge stabilito".

"Sarebbe sicuramente poi della Sovrana Clemenza lo stabilire, per la classe indigente, la pegnorazione anche di piccoli effetti, per somme minori di D. 10, ed a più basso interesse di quello fissato, dell'otto per cento; siccome prima si praticava, in sollievo dei poveri".

Anche delle monete forastiere, che gli eserciti francesi, tedeschi, inglesi, russi, avevano importato in gran copia nel regno, si dovette occupare la rappresentanza degli azionisti, e scrisse (2 marzo 1809), che mancando di corso legale nel paese, il banco non le poteva emettere, quindi non le poteva nemmeno accettare pei prezzi stabiliti alcuni anni prima, con officiali tariffe, dai ministri Medici e Bisignano. Ricevendo infatti tali monete estere, gli azionisti, che a quell'epoca avevan posto un piccolissimo capitale, e facevano scarso introito per depositi, avrebbero potuto trovarsi in imbarazzo, costituendo buona parte della riserva con monete forastiere, che dal pubblico non si sarebbero prese.

Dichiarò il Ministro che tali monete, senza e orso legale, dovessero rifiutarsi per pagamento, e pigliare solo come pegno, all'interesse otto per cento, quando c'erano fondi disponibili.

Le regole per lo sconto di cambiali rimasero scritte, avendone gli azionisti ammesse pochissime, che appartenevano al solo tesoro, e servirono al pagamento del prezzo dell'azioni.

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27. Uomini operosi ed intelligenti furono da Gioacchino messi a dirigere la Società, ma non potettero vincere né la sfiducia dei Napoletani, che poco credevano alla vitalità del nuovo banco, né la gelosia degli agenti fiscali. Costoro avevano conservato il Banco Governativo o Cassa di Corte di San Giacomo, diretto dal Ministro ed indipendente dalla società di azionisti, con officine pel servizio dei particolari (decreto 26 Dicembre 1808) che lavorava per assorbire la maggiore possibile quantità di depositi del pubblico; ed aveva grandi privilegi, pei quali si può dire che la sua carta godesse una specie di corso forzoso.

Dopo pochi mesi d'esercizio, col pretesto che fosse insufficiente, ma per la vera ragione che il pubblico non lo curava, il Banco Nazionale fu soppresso, con decreto 20 novembre 1809. e si licenziarono gli azionisti, restituendo le somme versate per formare il capitale. La dividenda fu di soli D. 530 (1).

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Prima di riferire il decreto di costituzione del Banco delle due Sicilie, giova ricordare che li 22 marzo 1809 si provvide agl'impiegati dei banchi soppressi, e li 21 agosto del medesimo anno, si annullarono definitivamente i crediti derivanti dai titoli apodissari, anteriori al 1808, con questo decreto:

Art. 1. Le polizze del banco dei particolari, che non sono state presentate all'ammortizzazione nel termine prescritto, non potranno essere mai pili riconosciute dal Governo.

Saranno regolarmente rifiutati, dal di primo ottobre venturo in poi, i bullettini di deposito di quelle polizze che, alla descritta epoca, non si trovassero cambiate contro le ricognizione della commissione temporanea.

Art. 2. I D. 161550,51 di ricognizioni, che non ancora sono stati impiegati, essendo (in vista dei pagamenti già fatti, in esecuzione dello stato determinato dal Ministro delle Finanze, nel dì 18 giugno 1808) inferiori alle somme che si richiedono per la totale estinzione di que' debiti in conto dei quali i debitori han fatto dei versamenti, non potranno essere impiegati, fino al primo del venturo novembre, che in saldo dei debiti stessi.

Spirato un tal termine, quella porzione degli enunciati debiti che non si trovasse ancora estinta,sarà riunita ai beni della cassa di ammortizzazione; e quelle ricognizioni che resteranno in circolazione saran ricevute dal Eeal Tesoro, conformemente all'art. 3 del decreto de' 20 maggio 180S, a similitudine delle cedole dei debito pubblico.

Art. 3. Il nostro Ministro delle Finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

28. Trascriviamo tutto l'importante decreto di Gioacchino, pel quale il Banco divenne unico, gli fu data forma che maggiormente si accostava ai vecchi modelli, ma era confermata la dipendenza dal ministro, ed il carattere d'ufficio governativo.

Li 20 novembre 1809.

Considerando che il banco di San Giacomo, e quello delle due Sicilie, organizzati e retti sopra differenti principii, si pregiudicano scambievolmente nelle loro operazioni, senza recare alcun utile alle di loro casse, al pubblico, o al Governo.

Che la riunione di questi due stabilimenti, formando coi loro capitali una sola massa, e dando un unico centro al moto de' loro fondi e dei loro effetti, procurerà, nel medesimo tempo,

il vantaggio di una grande economia nelle spese di amministrazione, non meno che di un servizio più semplice, più regolare e meglio adattato a' bisogni ed agli usi del commercio.

Che gl'interessi ed i voti de' nostri sudditi sono diretti ad affrettare il ritorno di un sistema bancale, di cui la esperienza di molti secoli ha dimostrato i vantaggi; instituzione nazionale, che presenta insieme un deposito sicuro e senza spese per tutt'i capitali, ed una inviolabile garanzia per tutti i pagamenti, nell'atto che dà alla circolazione de' valori una sicurezza, una facilità ed una speditezza, tale che ne produce la moltiplicazione;

Che, volendo far risorgere dogli stabilimenti, i di cui beneficii furono immensi, egli è necessario sopratutto di rimuovere, con delle misure precise e severe, gli abusi che li fecero perire;

(1) Lettera del reggente Carta, 22 gennaio 1810.

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Che il banco, avendo il maneggio de' denari dello Stato, e di quelli che il commercio, ovvero i particolari v'immettono; non ci sarebbe responsabilità troppo gravosa pe' funzionarii a' quali tante ricchezze sono affidate;

Che egli è giusto di ammettere il commercio alla sopravveglianza di uno stabilimento depositario de' suoi più preziosi interessi; e che questa sopravveglianza può ancora essere utile al tesoro dello Stato, quando essa sia esercitata da uomini versati negli affari, e di uno sperimentato carattere, scelti fra i negozianti del regno i più distinti;

Visto il rapporto del nostro Ministro delle finanze;

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue;

Della costituzione del banco

Art. 1. Il banco di Corte ed il banco delle due Sicilie non formeranno più, a datare dal primo di gennaio 1810, che un solo e medesimo banco, il quale farà il servizio del governo e quello de' particolari, sotto il titolo di Banco delle due Sicilie.

Del capitale del banco

2.

Il capitale del Banco delle due Sicilie, fissato, dallo articolo 2 della legge de' 6 di dicembre 180S, ad un milione di ducati, diviso in 4000 azioni, di ducati 250 per ciascuna, sarà da Noi fornito a titolo di dotazione. Questo capitale sarà aumentato dal prodotto delle azioni realizzate o da realizzarsi da' particolari, da oggi sino al primo del futuro mese di luglio. Indipendentemente da detto capitale, il Governo provvedere a' mezzi di soddisfare tutte le polizze del banco di Corte, che sono in circolazione.

3.

In seguito delle disposizioni dell'articolo precedente, il patrimonio del banco delle due Sicilie sarà composto;

I. da' beni assegnati, co' nostri decreti degli 11 di giugno 1806 e 12 di settembre 1809, al banco di Corte;

II. dal prezzo, realizzato o da realizzarsi in moneta effettiva, delle S00 azioni del banco delle due Sicilie, acquistate dal Governo;

III. dal prezzo delle altre 100 azioni date alla nostra guardia;

IV. dal prodotto del riacquisto delle seguenti partite, che apparterranno al banco, e che saranno nel medesimo versate, a misura che avranno luogo; cioè:

rimborso che devesi fare dall'antica amministrazione de' lotti di Terra di Lavoro.

30000

arretrati de' lotti.... 14800

arretrato dell'antico bollo. 32830

dritti di sentenze.... 70000

pene contumaciali... 144000

officii del regno.... 2000

arretrato dei ferri, comprese diverse percezioni da farsi dopo i giudicati della commissione de' titoli

50000

Totale Duc. 437680

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V. da un supplemento di beni, scelto fra quei de' banchi soppressi, o fra le altre proprietà del demanio, valutate a ragione del 6 per 100 netto, e calcolato in modo che i fondi del banco (dopo l'esito fatto per far fronte alle polizze del banco di Corte) restino fìssati ad un milione di ducati;

VI. dall'ammontare delle azioni de' particolari.

2.

Tutte le azioni delle quali il Governo avrà somministrato i fondi, all'infuori di quelle date alla nostra guardia, apparterranno alla cassa di ammortizzazione; talché la medesima, sopra le 4000, ne possederà 3900, la detta nostra guardia 100.

3.

Per mezzo de' fondi assicurati al banco dagli articoli precedenti, e dal trasporto che al medesimo sarà fatto di tutt'i fondi esistenti in madrefede al banco di Corte, per conto del Governo o de' suoi stabilimenti pubblici, e per conto dei particolari, tutte le polizze che si troveranno date fuori, a tutto il di 31 dicembre 1809, circoleranno per conto del banco delle due Sicilie, il quale ne diverrà garante, dal giorno che saranno state riconosciute.

4.

Tutti gli altri debiti del banco di Corte andranno a carico del Governo; che li farà liquidare e pagare, co' prodotti delle rendite arretrate di detto banco.

5.

Per conoscere l'ammontare positivo delle polizze del banco di Corte che sono in circolazione, e per determinarlo con sicurezza, i possessori delle medesime dovranno presentarle, fra lo spazio di due mesi a contare dal giorno che sarà indicato, acciò sieno riconosciute. Il banco delle due Sicilie non si chiamerà debitore, né pagherà, se non quelle che saranno state sottoposte a tal verificazione; ed il termine a ciò stabilito sarà improrogabile.

6.

I particolari, azionari del banco delle due Sicilie, che non hanno adempito alle loro offerte, e coloro che desiderassero unirsi a' primi azionari, per prender parte negli affari del banco, avranno sei mesi di tempo per fare o completare i fondi, senza per altro esservi costretti.

7.

La cassa di ammortizzazione sarà autorizzata ad accettare i trasferimenti delle azioni che i proprietarii vorranno negoziare.

8.

Nel caso che, per effetto delle alienazioni, il prodotto de' valori da noi assegnati venisse ad eccedere lo ammontare delle polizze del banco di Corte e delle 4000 azioni che il Governo dee realizzare, l'sarà convertito in nuove azioni, a favore della detta cassa di ammortizzazione.

Nel caso poi che questo prodotto fosse inferiore alla somma per la quale saranno stati dati i valori, allora si assegneranno degli altri fondi per completarla.

2.

Il banco avrà l'amministrazione intera di tutti i suoi beni, sia per la loro alienazione, sia per lo di loro regolamento, sotto la sorveglianza del Ministro delle finanze.

Della dividenda

2.

La dividenda, che risulterà dai profitti che il banco potrà fare, sarà ripartita e pagata in ogni sei mesi;

13 Sino a che i valori assegnati al banco non saranno totalmente ratizzati, la cassa di ammortizzazione e la guardia parteciperanno della dividenda, in ragione di 4000 azioni. Ciò non ostante sarà garantita agli azionarii particolari, durante il corso de' due primi anni, una dividenda che non potrà essere al di sotto dell'otto per 100 l'anno. La somma, che potrebbe forse mancare, per far salire a tal ragione la dividenda, sarà presa dalla dividenda della cassa di ammortizzazione.

Del servizio del banco

14. 11 servizio di tutti i fondi del tesoro pubblico, della tesoreria di casa reale, della cassa delle rendite, della cassa d'ammortizzazione, dell'ordine delle due Sicilie,

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e di tutte le amministrazioni pubbliche, residenti in Napoli, è confidato al banco delle due Sicilie.

15.

Tutti gli stabilimenti pubblici, come sono gli ospizii ed altri luoghi di beneficenza dimoranti nella capitale, la comune di Napoli, i luoghi pii, e tutti i corpi ecclesiastici e civili, faranno i loro introiti ed esiti per mezzo del banco. I di loro cassieri non potranno presso di loro conservare altro denaro effettivo se non quello che, per le occorrenze giornaliere, debbono necessariamente pagare fuori banco; e ciò in quella proporzione che loro sarà fissata da quel Ministro da cui tali stabilimenti dipendono, di concerto col Ministro delle finanze. Qualunque cassiere contravvenisse a questa disposizione sani punito, come colui che avrà traviato ad uso illecito delle somme a lui affidate. I debitori di detti stabilimenti non saranno legittimamente quietanzati, se i pagamenti che avran fatti non saranno comprovati dalle scritture del banco.

16.

Il banco continuerà a ricevere, secondo l'antico sistema, tutte le somme che i particolari vi vorran versare; e farà per di loro conto tutti que'pagamenti, la di cui prova desidereranno che sia conservata negli archivi di questo stabilimento.

17.

La cassa che riceverà i fondi depositati da' particolari, e che farà i pagamenti per conto dei medesimi, sarà separata da quella che introiterà ed esiterà per conto del governo.

18. Le polizze del banco saranno ammesse, tanto in Napoli che nelle province, come danaro contante, in tutte le casse pubbliche, per pagamento de' pesi fiscali, dopo la necessaria verificazione, e sotto la responsabilità de' cassieri che le avranno ricevute.

19. I depositi de' particolari saranno cerzionati con delle carte di ricognizione, o dichiarazioni di crediti; che potranno essere trasferite all'infinito per mezzo di una girata, e saranno pagate a vi®a, colla quetanza dell'ultimo depositario, secondo l'uso degli antichi banchi di Napoli.

20. Le fedi di credito del banco faranno fede, e proveranno in giudizio la verità de' pagamenti pe' quali saranno state impiegate da depositarli. Ma le stesse non avranno alcun effetto per istabilire de' pagamenti anteriori; che potessero essere enunciati nelle girate, eccettoché detti pagamenti non fossero anche stati fatti per la via del banco. Queste fedi di credito non potranno giammai servire a provare quelle convenzioni che, esigendo il consenso delle due parti, non potrebbero, per loro natura, altrimenti essere confermate se non in vigore di contratti smallagmatici.

21. Le polizze e fedi credito originali non saranno soggette ad alcun dritto né di bollo, né di registro. Le stesse dichiarazioni de' notai, che potessero essere incaricati di legalizzare e riconoscere le firme de' giratarii, non saranno sottoposte ad alcun diritto.

22. Il banco avrà un archivio generale, ove saran conservate tutte le polizze e fedi di credito quietanzate, e ne rilascerà, in carta bollata, tutte quelle copie o estratti che saranno dimandati dalle parti. Queste copie o estratti saran'soggette a quei medesimi dritti di conservazione che son fìssati dall'attuali tariffe del banco di Corte e del banco delle due Sicilie.

23. Tutti i depositi ordinati per via giuridica, saranno versati nel banco delle due Sicilie; per essere restituiti ai proprietarii tostoché ne sarà ordinata la liberazione, e sarà questa provata nelle forme prescritte dalle leggi.

24. Il banco è autorizzato a ricevere, contro semplici carte di ricognizione, tutti i depositi volontarii di fondi che i particolari vorranno immettervi; ed a bonificarne gl'interessi, a quella ragione che sarà fissata, nel principio di ogni semestre dal Ministro dello finanze, sul parere del consiglio del banco.

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Questo interesse sarà pagato a contare dal decimo giorno dopo eseguito il deposito, sino al giorno in cui sarà ritirato, purché, per altro, l'intervallo sia stato di un mese intero. Le frazioni, di meno di dieci giorni, non saranno calcolate.

25. I fondi depositati, in conformità dell'articolo precedente, saranno restituiti a' proprietarii dieci giorni dopo le domande che ne faranno, unitamente agl'interessi che loro son dovuti.

26. I fondi volontariamente depositati, o versati in conto corrente del banco, non saranno sequestrati.

27. Il banco potrà fare de' prestiti sopra pegni, o sopra effetti di commercio, sottoscritti almeno da tre negozianti o banchieri, di una solvibilità sperimentata Le somme che potranno essere impiegate a questi usi saranno determinate, di sei mesi in sei mesi, dal Ministro delle finanze, in seguito dei conti e degli stati di servizio del banco. La ragione dell'interesse sarà fissata nel medesimo tempo.

28. La dilazione conceduta per la restituzione delle somme prestate, non potrà eccedere lo spazio di sei mesi.

Dell'amministrazione del banco

29. L'amministrazione del banco delle due Sicilie sarà confidata ad un consiglio, composto da un reggente, da dodici governatori, de' quali per lo meno sei saranno scelti fra il ceto de' negozianti i più accreditati del regno, e da tre censori.

30. Il reggente sarà nominato per cinque anni; sei dei governatori saranno da principio nominati per tre anni; e sei per Duc. In seguito sei ne saranno nominati in ogni anno, per esercitare le loro funzioni durante lo spazio di due anni. I medesimi potranno sempre essere nominati di nuovo.

23. Il direttore della cassa di ammortizzazione, quello della cassa delle rendite, equello del gran libro, saranno di diritto censori del banco.

23. Il reggente avrà la direziono generale dell'amministrazione,la corrispondenza col Ministero, la presidenza del consiglio, la nomina di tutti gl'impiegati del banco (salva l'approvazione del Ministro delle finanze) e la polizia interna del banco. Niuna deliberazione del Consiglio potrà aver forza o potrà essere eseguita senza essere stata approvata e vistata dal medesimo.

Tre governatori saranno costantemente di servizio, e regoleranno, col l'autorità del reggente, il primo tutto ciò che concernerà la cassa incaricata degl'introiti ed esiti del tesoro; il secondo tutto ciò che apparterrà alla cassa de' particolari; ed il terzo finalmente tutte le operazioni dei pegni.

23. I censori avranno là facoltà d'ispezionare, quando lo giudicheranno a proposito, tanto i registri di cassa, quanto il portafoglio; siccome ancora di presentare, riguardo a tutte le partite di servizio, sia al reggente, sia al consiglio, i rapporti e le osservazioni che saran loro inspirate dallo zelo per gl'interessi del banco.

33. Il Consiglio del banco si riunirà almeno una volta al mese, per deliberare sugli oggetti che gli verranno sottoposti dal reggente, dai censori, o da qualcheduno dei suoi membri. Esso riceverà e chiuderà ogni sei mesi, dopo aver inteso i censori, iconto che si renderà delle operazioni del banco, circa le somme che dovranno esser proposte al Ministro delle finanze, per essere impiegate all'opera de' pegni, non meno che circa la ragione dell'interesse che dovrà esser fissato pel seguente semestre.

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34. Due uditori del nostro Consiglio di Stato saranno incaricati, sotto gli ordini immediati del reggente, d'invigilare alla regolarità delle scritture ed al dettaglio delle operazioni.

35. I membri componenti il Consiglio generale del banco saranno nominati da Noi. Essi presteranno, nelle nostre mani, il giuramento di non permettere giammai che alcun pagamento regolarmente domandato soffra il menomo ritardo, né che alcun fondo esca dal tesoro o dalle casse del banco, senza che il valore ne sia rappresentato da un discarico legale, o da un effetto creduto di sicuro rimborso dal Consiglio del banco, o da un pegno facile a realizzarsi, e di un apprezzo eguale a quello che l'articolo 43 del decreto de' 22 di dicembre 1808 ha determinato.

36. Il reggente del banco, ed i governatori di servizio, saranno responsabili,personalmente, e sopra i di loro beni, di tutti i fondi depositati al banco, che eglino acconsentissero di rivolgere in altro uso diverso da quello a cui detti fondi saranno stati destinati; sotto qualunque pretesto o ordine ciò avvenisse. Ninna autorità potrà liberarli da questa garanti», acquistata contro di loro da ogni parte interessata.

37. Nella fine di ogni semestre, una porzione de' profitti del banco sarà prelevata, per essere ripartita, a titolo d'indennità, fra i funzionarli che avranno avuto parte all'amministrazione del banco. Questa porzione, che all'avvenire sarà anticipatamente determinata, resta fissata, sino al primo di gennaio 1812, alla duodecima parte de' detti profitti.

38. La somma da distribuirsi sarà divisa in diciotto porzioni, tre delle quali apparterranno al reggente; una a ciascun governatore; una sarà ripartita fra i due uditori dei quali si è fatta menzione all'articolo 34; e le altre due resteranno a disposizione del Ministro delle finanze, per essere distribuite in gratificazioni (sulla proposta del reggente) a colilo Trw gl'impiegati del banco che avranno dimostrato più zelo e talento.

39. I guadagni devoluti alla cassa d'ammortizzazione saranno esclusivamente consacrati all'estinzione del debito pubblico.

40. Per compensare il banco delle spese di qualunque natura, che il servizio del tesoro e la sua istallazione nel locale che dovrà occupare potranno cagionarli, esso sarà compreso nel 1810 nel budget,del Ministro delle finanze, per una somma di Duc. 20000. Noi ci riserviamo, alla fine di ogni anno, di determinare la somma da doversi al medesimo addire nel corso dell'anno seguente, a misura dei servigli di cui sarà incaricato pel Governo.

41. Gl'impiegati del banco saranno scelti fra gl'impiegati più abili dei due banchi attuali. Coloro che non potranno restare in impiego otterranno una pensione, che loro sarà pagata a datare dal dì 1 di gennaio 1810, con obbligo di seguitare, senza appuntamenti, tutt'i lavori che si richiederanno per la liquidazione dei conti del banco, per la di loro verificazione alla Corte de' conti, e per la custodia degli archivii di tutti i banchi soppressi.

42. Sarà fatto, espressamente, un fondo alla cassa delle rendite, per lo servizio delle pensioni che saranno concedute agl'impiegati soppressi del banco di Corte.

43. Il Ministro delle finanze preparerà, senza ritardo, il regolamento organico del banco delle due Sicilie, e lo sottoporrà alla nostra approvazione.

44. Il nostro Ministro delle finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.

firmato Gioacchino Napoleone

29. Pieno di magnifiche promesse era questo decreto, ma peccò nell'applicazione. Al solito, gli articoli che rispettarono,


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furono solamente quelli utili alla Finanza ed alla Corte; gli altri, che accennavano al beneficio del pubblico, e per esso dell'istituto, caddero in dimenticanza.

Il capitale sarebbe bastato, quando fossero stato serie le valutazioni dei cespiti e se veramente l'avessero consegnati. Ma è tanto oscura la dizione degli articoli 2 ad 11, tanto contraddicente alle corrispondenze ed agli ordini posteriori, da rendere inesplicabile la storia bancaria di quel tempo, se non esistessero i conti. Questi ci dicono:

a) Che il patrimonio di San Giacomo, chiamato dal 1801 banco di Corte, e dal 1809 banco delle due Sicilie, s'era già incamerato e venduto; ad eccezione del palazzo, di pochi beni stabili, e di vari crediti litigiosi od inesigibili, sui quali s'incassò, dal 110 al 1820 la meschina somma di D. 800: restando un cespite figurativo, che tutt'i documenti chiamano non valore, di D. 249063.51.

b) Che l'azioni dei privati sottoscrittori, lungi dal conservarsi ed accrescere, si annullarono. Il Banco due Sicilie rimborsò l'ammontare di quelle precedentemente pagate, dai pochi azionisti del soppresso banco dei particolari. Vide il ministro Mosbourg, meglio di lui videro le persone chiamate a governare il trasformato ente, che i comproprietari non l'avrebbero fatto regolare, con piena libertà, dal fisco. Era impossibile pretendere perfetta ubbidienza dal creditore. Applicando perciò il decreto in modo assolutamente contrario alla lettera ed allo spirito di vari suoi articoli, cominciarono dal disinteressare e licenziare tutti gli azionisti, ed allo stesso reggimento guardie tolsero i cento titoli donati dal re, ma non ancora pagati, dicendo che tutte le quattromila azioni si dovessero, con vincolo d'inalienabilità, tenere dalla cassa di ammortizzazione.

c) Le partite bollo, sentenze, lotto ecc. che il decreto valuta .437630, ed un posteriore conteggio D. 469418,82, produssero al banco soli D. 45,740,03 e gli costarono forse più di tanto per liti e spese di riscossione. Si trattava di multe, di vecchie liquidazioni dell'imposte abolite da varii anni, di dritti feudali e d'altri cespiti, tanti incerti che lo stesso ministro fu dalla necessità costretto a sottoscriverne la cancellazione dell'ammontare, dagli elenchi dei residui attivi.

d) Il milione di ducati, valore delle quattromila azioni della cassa di ammortizzazione, non si dette in contanti ma in benifondi:

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cioè case, botteghe, e terreni cl' origine ecclesiastica, che avevano appartenuto ai monasteri tre anni prima soppressi. La calcolazione dei capitale si fece a tre per cento della rendita, in epoca che pei fondi pubblici l'interesse superava nove per cento; ma, con tutto questo, non si potette assegnare valor capitale maggiore di ducati 886774,85.

Insomma, dimostra una relazione, presentata al parlamento napoletano del 1820, che il patrimonio dell'istituto consisteva in beni stabili e crediti stimati riscuotiblli per............................................................................D. 892145,90

ed in ragioni non esigibili per carenza di dritto, ovvero per fallimento del debitore........................................................................................." 249668,51

La rendita lorda era di D. 41963,95. Quella netta d'imposte e spese di riscossione D. 36079,14.

L'eccesso di circolazione, chiamato vuoto del 1803, continuò a sussistere, come vedremo, quantunque il decreto avesse promesso di saldarlo a spese dell'erario.

Ciò non pertanto, il giuridico riconoscimento delle consuetudini napoletane ed antiche leggi, contenuto negli articoli 14 a 23 fu accolto con entusiasmo dal commercio e dal pubblico. Maggiore sarebbe stata la soddisfazione, se l'articolo 20 non avesse indiscretamente moderata la forza probante del titolo apodissario, col dichiarare che non potesse la girata valere come giustificazione di pagamenti anteriori, e non potesse tener luogo di contratto sinallagmatico. Per lo passato, la firma sulla carta bancale, coll'atto di riscuotere il denaro, si stimava prova sufficiente d'accettazione di qualsivoglia patto e qualsivoglia dichiarazione; sicché non occorreva la forma del contratto, e tutti trovavano nel Banco il notaio, che li serviva gratis. Libidine di prendere tasse di bollo e di registro ci ha tolto questo incalcolabile beneficio!

Nessun principio d'esecuzione fu dato agli articoli 24 a 26 del decreto, che parlano di depositi ad interesse. Stimarono gli amministratori che ne potesse venire diminuzione della valuta apodissaria. Ma il conto corrente con cheques e la cassa di risparmio del Banco, hanno provato, dopo più di cinquant'anni, che quest'opinione fosse pregiudizievole ed erronea.

L'articolo 35, che voleva giuramento dei governatori, di non permettere che alcun pagamento regolarmente domandato soffra il menomo ritardo,fu tema d'una buffa corrispondenza. Scrissero al ministro di mandare prima i denari,

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che poi avrebbero giurato; ma lino a quando non avesse colmato il vuoto del 1803; e fosse esistita una deficienza di cassa, di più di mezzo milione, non poteva da loro pretendere simile impegno.

Dalle corrispondenze ed atti, relativi alla esecuzione di questo decreto del 20 novembre 1809, sappiamo infatti che allora la carta si pagava con ritardo. Gli stessi militari, onnipotenti, ai tempi di Gioacchino, ottenevano l'intera somma delle sole polizze o fedi di valuta inferiore a D. 100; sulle altre, di valuta maggiore, avevano un quinto subito, e quattro quinti a rate (1).

Il progetto di organico del personale dava posto a soli 230 individui, mentre che i sette banchi soppressi adoperavano più di duemila impiegati; e gli stessi due salvatisi dal naufragio, cioè la Cassa di Corte (San Giacomo) ed il Banco Nazionale delle Due Sicilie (cassa Pietà) ne avevano allora 314. La riduzione proposta fu dunque di 84 impiegati, cioè più di un terzo. (2)

A 27 dicembre 1809, la Reggenza scriveva al conte di Mosbourg, ministro di Finanza.

"E già in punto pervenuto, in questo Banco delle due Sicilie,tutto il numerario che trovavasi esistente nel Banco San Giacomo, componente la somma di D. 232,055,89, della quale ducati 95,142,68 appartengono al ramo de' particolari, in oro ed argento, e D. 136,913,21 al ramo di Regia Corte; e sono cioè D. 3.311,82 in monete di oro, D. 124,362,71 di argento e ducati, 9238,68 di rame.

"Si sono inoltre ricevute N. 8 casse, suggellate, con entro tutti gli argenti dei conventi soppressi, ch'eran depositati nel banco anzidetto di San Giacomo; il tutto è stato quivi riposto con la dovuta cautela (3)."

Appena cominciate le operazioni del banco governativo, la finanza volle trarne profitto. Li 31 gennaio 1810, prese il governo ducati 40,000, per l'esercizio della zecca; malleveria del prestito certe cambiali di negozianti o banchieri, offerte dal governo stesso.

Con una riserva metallica molto scarsa, non si potevano pagare a vista le fedi o polizze presentate pel cambio. L'annullamento perciò si faceva a poco a poco, dando il banco una parte della somma, più o meno grossa secondo che c'era moneta in cassa, ritirando il titolo, ed emettendo altra fede di credito per la parte residuale. Scriveva il Reggente, al 1° febbraio 1810.

(1) Rapporto 30 dicembre 1800.

(2) Lettera dicembre 1809.

(3) Quando abolirono le corporazioni religiose possidenti, i francesi s'impadronirono, per farne moneta, degli arredi sacri d'oro e d'argento ch'erano sfuggiti alle precedenti confische. Ma dicono che ne toccasse allo Stato una piccola porzione, il resto fu nascosto dai monaci, ovvero lo rubarono gli agenti finanziarii.

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"Mi rincresce però che V. E., nella sua lettera, supponga che questo sconcerto (dell'accordo fra i cambiavalute e gl'impiegati del banco a danno dei possessori di polizze) sia frequente, e non il solo indicato di sopra. L'espressioni sono equivoche, e non so se riguardano li disordini del passato o dell'attuale Banco. Quante volte V. E. parli del Banco di San Giacomo, ne convengo, e ne conosco benissimo l'origine, la traccia e l'estensione. Se poi ha inteso parlare dell'attuale Banco, posso assicurarla ch'è stata male informata, dai falsi rapporti di coloro che non trovano il loro conto colla presente amministrazione. Senza diffondermi, unaprova incontrastabile, manifesta, le vien somministrata dalla tassa , giornaliera, e dall'aggio, ch'è caduto al mezzo percento. Aggio legittimo, che si è pagato anche nei tempi più floridi dei nostri banchi, in premio a coloro che anticipano il denaro, e che hanno l'incomodo di andarlo a riscuotere".

2 febbraio 1810. Aumentati gl'impiegati di altri 20 individui. Il Reggente era lieto del modo come andavano gli affari, avendo scritto. Nell'atto che con piacere vedo aumentarsi, di giorno in giorno, il negoziato di questo Banco, specialmente per lo ramo dei particolari, e che il pubblico, avvezzo a trovare la sua cautela nei pagamenti per Banco, ne voglia assolutamente conservare il sistema e vado ripigliando l'antica fiducia, vedo d'altra parte che, nel giro necessario della scrittura, si sperimenta un incaglio ecc."

14 febbraio 1810. - Si domandò che fosse al Banco esteso il privilegio delle amministrazioni pubbliche, del cifra praeiudicium, di potere cioè accettare bancali contenenti girate con parole o patti nocivi per l'istituto, senza patirne poi danno, e senza dovere, volta per volta, ricorrere ai tribunali o rifiutare il titolo. Ma dovette aspettare otto anni perché questo desiderio fosse, in parte, soddisfatto col decreto 12 ottobre 1818.

Prima di cominciare la liquidazione delle polizze, giusta l'articolo 7, ricordarono al ministro che non occorreva di verificare e riconoscere le carte del banco di Corte, ramo dei particolari. Tal ramo non aveva fatto vuoti, pareggiavano i conti, e pareva regolare di farne sussistere i titoli. Però Mosbourg, che sperava molto guadagno dalla brevità del tempo, di soli due mesi, assegnato per le presentazioni, non accettò questo suggerimento.

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Tutta la carta di San Giacomo fu pagata o barattata con altri titoli. Dice un rapporto del 2 marzo 1810.

"Spirato, nell'ultimo giorno del passato febbraio, il termine accordato, coll'art. 7 del Real Decreto dei 20 novembre ultimo, ai possessori delle polizze del Banco San Giacomo, a poterle presentare per essere riconosciute, furono da me date, il giorno medesimo, le disposizioni per la chiusura di questo conto; a qual effetto dovettero indefessamente lavorare, non solo tutta l'intiera giornata, ma benanche fino a notte avanzata, tanto gli ufficiali di questo Banco, quanto quelli addetti nella revisione del Banco San Giacomo, onde si avessero potuto verificare tutte le polizze presentate da' particolari, e rimesse in gran copia dal tesoro reale, dalla cassa di ammortizzazione, e da tutti i tribunali; ed in seguito ieri, coll'intervento di più governatori di questo Banco, passai a far la contata generale delle casse, per poter stabilire il risultato dei conti rispettivi"

"Dal risultato poi della contata generale delle casse, si rileva che le polizze del Banco San Giacomo, ramo di Corte, ritirate. ascendono alla somma di Duc. 1,045,742,30; dalla quale, togliendosi li Duc. 139,817,16, versati dal Banco San Giacomo a quello delle due Sicilie in contanti, resta il debito della Regia Corte, verificato nella somma di Duc. 905,925,14; e quindi se ne deduce la differenza in beneficio del Real Tesoro, tra questa somma e quella di Duc. 949,636,85, per la quale si trovava fissato l'importo del vuoto, in D. 43,711,71 M.

"Egualmente l'importo delle polizze del ramo dei particolari, che si sono ritirate, ascende a D. 57,357,66 e quindi dall'antica resta dei creditori apodissari, in D. 92,415,92 viene a rimanere la somma di altri D. 35,058,26, di polizze che non si sono presentate alla verifica, nel termine dalla legge prescritto."

"Riunito l'importo delle due di sopra indicate partite, di ducati 43,711,71 del ramo di Corte e D. 35,058,26 del ramo dei particolari, si rileva, che le polizze non presentate al Banco, per essere riconosciute, ascendono alla somma di D. 78.769.97."

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Lucrò dunque la finanza D. 78769.97. Posteriormente si pagarono poche altre carte, sia del ramo di Corte, sia del ramo dei particolari; presentate con ritardo, ma che si ammisero perché appartenevano alla finanza, o per qualche altra ragione che le fece eccettuare dalla regola comune.

Il vero conto della liquidazione del 1810 lo riceviamo da un rapporto del 14 settembre 1814, dov'è detto che le carte apodissarie dell'abolito banco di Corte, presentate in tempo, giunsero a

D. 906,026,89

e quelle presentate con ritardo, che si accettarono per ordine del ministro, a ….....................................................

D. 6,230,39

Ducati 912,257,28

La madrefede patrimoniale, cioè tutto l'attivo, era nello stesso giorno 14 settembre 1814 di.....................................

D. 333,766,82

Deficienza ducati 578,490,46

Stava scritto nel decreto che la finanza avrebbe, con proprio denaro, pagata la carta di suo conto, ed avrebbe pure dato un milione per dote o capitale del Banco. Ma furon tutte mistificazioni e spedienti per accreditare la nuova valuta apodissaria. Niente ebbe il banco; che nascose la deficienza dei D. 578490,46 con emissione e circolazione d'altri titoli, mantenendo un debito galleggiante del fisco, senza interessi, ch'è durato tino al 1865.

15 marzo 1810. -Nell'avere S. M. istituito questo Banco, oltre di avere voluto far risorgere uno stabilimento nazionale, i di cui vantaggi sono stati conosciuti per l'esperienza di molti secoli, volle ancora che l'istituto medesimo servisse a commi vantaggio della popolazione e del commercio, e quindi autorizzò il Banco medesimo a fare dei prestiti sopra pegni e sopra effetti di commercio, sottoscritti almeno da tre negozianti, di sperimentata solvibilità".

"Allorché il capitale del banco era formato dal denaro degli azionarii, fu aperta l'opera dei pegni e dello sconto, e le benefiche Sovrane mire ebbero tutto il loro effetto. Cessarono le eccedenti usure, ed ebbe facilitazioni il commercio".

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"Nell'essersi riunito il Banco di Corte a questo delle due Sicilie, una giusta misura di economia fece sospendere l'opera anzidetta. Ecco ripullulata l'insaziabile sete degli usurai, anche maggiore di prima, perché cresciuto il bisogno della popolazione, ed il commercio da tutte le parti inceppato e senza risorse".

"Un tale stato di cose, il Consiglio di questa Reggenza, nel l'ultima seduta, si applicò a riconoscere lo stato del Banco; o vidde con piacere che, mentre i possessori delle polizze son pagati, con piena loro soddisfazione, nel presentarle, esiste inoperosa nel tesoro una gran massa di numerario cioè; D. 321,000 per Uranio di Regia Corte e D. 250,000 per lo ramo dei particolari. Osservò inoltre ch'esistono nella madrefede D. 97,126,87, de' quali giova disporre, essendovi molto numerario inoperoso nelle casse".

"Il Consiglio della Reggenza, unanimamente, è stato di parere di potersi impiegare la somma di D. 100,000, parte nell'opera dei pegni e parte in sconto di cambiali; onde accorrere ai bisogni della popolazione, facilitare le operazioni di commercio, ed abbattere la smoderata ed eccessiva usura, che, mentre depaupera i cittadini, è sempre rovinosa allo Stato".

"Ha considerato il Consiglio di questa Reggenza, che una tale misura, mentre è di sollievo al pubblico, e forma una rendita ed un profitto vantaggioso al Banco, non può d'altra parte portargli il minimo dissesto, nel giro della sua negoziazione; giacché la costante esperienza ha fatto conoscere che resta sempre, nel giro del Banco, una gran massa oziosa di numerario, ed in qualunque caso, i valori sono realizzabili al momento, e lo sconto delle cambiali, a tenor della legge, non può essere a più lunga durata di due mesi, onde se ne può far subito l'incasso, ed intanto, in questo lontanissimo caso, si può supplire col denaro di proprietà".

"Perciò, in nome di questo Consiglio, lo passo all'intelligenza di V. E. per attenderne la risoluzione, prevenendola che l'interesse dei pegni si trova dalla legge fissato all'8 per 0|0. Per lo sconto delle cambiali, l'interesse finora esatto è stato del nove per cento, ma questo Consiglio sarebbe di sentimento di fissarlo, per tutto il corrente anno 1810, alla stessa ragione dell'otto per cento; affine di accreditare maggiormente il Banco; e quindi, anche per tale assunto, attendo le risoluzioni di V. E. quali prego che sian sollecite,

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onde possano quest'opere riaprirsi pria della imminente Pasqua, tempo in cui sono più precisi i bisogni della popolazione, più cercano di profittare gl'ingordi usurai".

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30. La Reggenza, quando faceva questi progetti, rallegrandosi pel credito rinascente, per l'abbondanza di moneta in cassa, non supponeva che dopo pochi mesi avrebbe dovuto parlare diversamente, poiché dalle spese, per la tentata spedizione militare in Sicilia, veniva un'altra crisi economica. Al solito, trascriviamo qualche documento.

"16 agosto 1810 N. 43. - Non posso dispensarmi di rinnovare a V. E. le più forti premure, perché prenda in veduta le circostanze in cui si trova il Banco, la di cui salvezza, e credito acquistato, mi deve tanto interessare, avendomene voluto S. M. affidare la cura. Dal quadro della resta giornaliera, vedrà bene che nel tesoro, per lo ramo di Corte, non vi è più un soldo; e che nelle casse appena vi esistono D. 70,000, non comprese le monete di rame; ne' quali, essendovi circa D. 40,000 di monete d'oro e d'argento non disponibili, perché non comprese nella tariffa del 1806 (1), solo posso contare sopra li D. 30,000, che sono in parte assorbiti da ordini di pagamento, disposti per lo giorno di domani. Ecco che il Banco si troverà nel caso di minorare la ripartizione giornaliera, e farla a misura delle scarse somme che introita; ecco, in conseguenza l'aumento dell'aggio, che per lo corso di otto mesi si è veduto interamente estinto. E inutile che io le rammenti che da molte province il denaro non viene più al Banco, essendosi direttamente disposto lo invio per le Calabrie, misura savia e regolare nel momento, per economizzare le spese di trasporto, e per lo sollecito ricapito delle somme bisognevoli. Non trovo però egualmente utile e plausibile che gl'introiti delle casse pubbliche, di Napoli e Terra di Lavoro, si versino immediatamente nel tesoro; che forma un banco separato e distinto. Se non m'inganno, questo sistema adottato è in contraddizione cogli articoli 14 e 15 del decreto de' 20 novembre 1809; è mal sicuro, così per la qualità dei locale, che per la forma dell'introito e dei versamenti, e toglie al banco la circolazione del numerario, che sola può far fronte al vuoto di D. 900,000.

"Il Banco tiene stagnanti sulla sua madrefede circa D. 200,000; altri D. 100,000 possono contarsi in riserbo, nella cassa delle rendite e di ammortizzazione; ma D. 600,000, di Corte, eccedenti il numerario, esistono ancora; e questi dalla sola certezza di circolazione possono ricevere quel l'utile che si risente, in modo che l'aggio vedesi sparito, e che il pubblico riceve copiose distribuzioni di numerario. Mi si potrebbe far l'obbiezione che è pienamente superfluo d'immettere il denaro al Banco, per poi, nella settimana, disporne per le Calabrie, e che farebbe impressione una forte estrazione di numerario dal Banco.

(1) Queste monete forastiere, non circolatili, eransi prese dalla precedente amministrazione, ed il nuovo banco aspettava l'occasione di poterle mandare a riconiare nella zecca.

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Ma, domando, se l'ho fatto finora, quando in maggio diedi in un fiat D. 200,000 e due settimane dopo altri D. 120,000 ; se 1' ho fatto le continue rimesse di D. 20,000 e D. 30,000 la settimana, che da tre mesi si operano costantemente ?" Il continuo giro del numerario,che s' immette e si estrae, forma la floridezza dei banchi, ed ogni giorno che si guadagna, tra l'una e l'altra operazione, costituisce la base principale dell'utile di questi stabilimenti. Ora le parlo contro il comodo di quest'amministrazione, perché quanto minor giro si fa di moneta, tanto minore è il travaglio della contabilità. Ma son obbligato di avvertirlo,per lo dovere della mia carica. Credo benanche opportuno di ricordarle che il Banco non é poi assolutamente inutile all'interesse del Real Tesoro,poiché ha scontato per ducati80,000 di cambiali, ad una ragione discretissima , e questi soccorsi non devono reputarsi di poco momento.

«Prego V. E. di prendere in seria considerazione l'oggetto, che mi son creduto in obbligo di rassegnarle, e darvi quel pronto rimedio, che la circostanza esige, se non si vuol vedere di nuovo il banco caduto nell'antico discredito.

Concedette il Ministro che si facessero al banco i versamenti delle due provincie, Napoli e Terra di Lavoro.

28 agosto 1810.-Il Tesoro Reale, richiede di fare un nuovo sconto, coni questo Banco, dell'ammontare di circa 18,000 ducati.

"Quando V. E. lo voglia, questa Reggenza non incontrerà veruna repugnanza di eseguirlo; ma, in ciò fare, prego V. E. di accordare, che l'interesse dello sconto si esigga dal Banco alla ragione di 3!4 percento al mese, come per lo passato si è praticato; essendo questo un interesse molto discreto e regolare (!) ed in cui il Beai Tesoro anche trova il suo vantaggio; giacché la cassa di ammortizzazione non sconta a minore ragione dell'uno per cento al mese; e la prega inoltre, questa reggenza, di darle la facoltà d'impiegare altri D. 20,000 all'opera dei pegni, giacché i bisogni della popolazione sono urgentissimi, e pressantissime sono le richieste.

"Finalmente, siccome, fra le cambiali che. si vorrebbero scontare dal Tesoro Beale, ve ne sono molte scadibili ai 30 del venturo novembre, cosi dovrebbe V. E. compiacersi derogare alla legge, che stabilisce di non poter essere le cambiali, da ammettere allo sconto, di più lunga scadenza di due mesi.

"7 settembre 1810. Di riscontro a quanto V. E. mi ha detto, col suo biglietto, segnato il di 5 del corrente mese, relativamente allo sconto di D. 17.000, tra questo Banco ed il Tesoro Beale, che nella maniera si propone, vorrebbe considerarsi come un semplice affare, da trattarsi e regolarsi tra il solo Reggente del Banco ed il Tesoro medesimo; devo farle riflettere che il Banco, in forza della sua legge organica, emanata a 22 dicembre 1808,non conosce altro mezzo da scontare gli effetti di commercio se non quello delle cambiali; quali fu stabilito che dovessero essere garentite da tre firme, notoriamente solvibili, e di scadenza non più lunga di due mesi; e per potersi ammettere è necessario che vi preceda il parere del Consiglio dello Sconto.

«Inoltre, coll'art. 35 del Beai Decreto de' 20 novembre 1809, che riunisce il Banco di Corte a quelle due Sicilie, vien prescritto che l'effetto, di sicuro rimborso, debba essere reputato tale dal Consiglio del Banco; ed il Reggente, nelle deliberazioni del Consiglio o della Reggenza, ha solamente il Veto, ma non ha dritto di ordinare ciò che l'una o l'altra abbia risoluto negativamente.

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Ed a tutto ciò si aggiunge che le polizze, ossiano ordini di pagamento, non possono esser firmate dal solo Reggente, ma unite alla sua firma vi devono accedere quelle di due altri governatori almeno, altrimenti, per costituzione del Banco, la polizza non passerebbe sulla ruota.

«Da quanto adunque le Lo rassegnato, vede bene V. E., che avendo il Consiglio dello Sconto rifiutate alcune cambiali presentate dal Tesoro, e la Reggenza deciso di non doversi ammettere, non può il solo Reggente ordinare il contrario; né si troverebbero altri governatori che apporrebbero la loro firma alla polizza. Siccome però V. E., a voce, mi fece sentire che il tesoro era possessore di altre cambiali, di più sicure firme, cosi possono con queste permutarsi quelle che il Consiglio dello sconto ha creduto di rifiutare; e questo mezzo, che allontana qualunque difficoltà, non nuoce al Tesoro, e non fa allontanare il Banco delle sue leggi, della di cui osservanza ne vien chiamata responsabile la Reggenza.

31. Senza preoccuparsi della crisi economica, conseguenza di spese militari, e dell'inopia del Banco, il governo pensò di modificarne nuovamente gli statuti, e di nominare altri commissarii per la verifica dei conti.

18 novembre 1810. Visto il rapporto del nostro ministro delle Finanze, abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Lo stato dei beni, di qualunque natura, che il Banco possiede, in fondi, in rendite costituite, in capitali esigibili, in censi, in dritti ed in rendite arretrate; il suo proprio conto d'introito ed esito, dal 1° gennaio 1810; quello dei suoi profitti e perdite; la situazione dei suoi conti pel servizio del governo e per tutti gli stabilimenti pubblici di ogni specie; quella de' conti dei particolari; la situazione della cassa degli sconti e de' pegni; la situazione di quella de' depositi giudiziari; la situazione dell'altra de' depositi volontari; l'inventario apprezzativo e reale degli effetti e materie date in pegno; il conto delle polizze di Corte e dei particolari date fuori, ritirate, ammortizzate e restate in circolazione; saranno verificati e determinati, al pri mo pubblicarsi del presente decreto, da una commissione del nostro Consiglio di Stato; cosicché questa possa diffinire i suddetti conti e stati diversi, pel 31 di dicembre prossimo e presentarci il bilancio generale del Banco, al 1.° di gennaio 1811.

Art. 2. Lo stato delle proprietà del Banco, e del loro valore, verrà diviso in tre capitoli.

Il primo comprenderà i beni dell'antica cassa San Giacomo, posseduti dal Banco di Corte, e quindi assegnati in dote a quello delle Due Sicilie.

Il secondo diviserà le case, gli edifizì e i dritti arretrati che furono aggiunti alla sua dote, e la cui realizzazione è destinata a pagare le polizze che ha garentito.

Nel terzo la Commissione presenterà il capitale del Banco; composto delle azioni cedute alla Cassa di ammortizzazione, di quelle date alla nostra Guardia, e di quelle acquistate da' particolari.

Art. 3. Le rendite, che dovranno entrare nell'attivo del banco, al primo gennaio 1811, serviranno di base ad un secondo stato, nella formazione del quale la Commissione procederà:

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a) Collo stabilire la rendita di ciascun fondo, sino al primo dicembre prossimo; cioè dei beni provenienti dal Banco San Giacomo, da che sono usciti dal suo patrimonio; e delle proprietà che il Banco ha ottenute a titolo di dote supplementaria, da che han cessato di essere amministrate le une da' demanii e le altre dal Tesoro Beale.

b) Col diffalcare da questo conto il prodotto di tutte le somme ricuperate dal Banco di Corte, durante il suo possesso, ed appresso dal Banco delle due Sicilie.

Art. 4. Le alienazioni dei fondi, la restituzione de' capitali, l'affrancazione delle rendite e dèi censi, che avranno avuto luogo dal 1.° giugno 1806, e di cui il Banco di Corte, il Banco attuale, e, in virtù delle nostre decisioni particolari, la cassa di ammortizzazione, avranno profittato; del pari che il ricovramento imputabile sulle percezioni lasciate al Banco, bilanceranno il conto della sua dotazione.

Art. 5. L'attivo del bilancio del Banco consisterà nei beni della sua dotazione; negl'introiti che ne saran derivati; ne' profitti che i suoi negozi, dritti e privilegi gli avran prodotto: e nelle assegnazioni di fondi che avrà ricevute sul nostro Tesoro Beale, per supplire alle spese di amministrazione. 11 suo passivo sarà composto delle spese che avrà fatte; delle perdite che avrà sofferte nelle sue operazioni; e delle sue obbliganze verso gli esibitoli di polizze, i di cui fondi non trovansi realizzati: dimodoché se dal bilancio risulti un saldo a credito del Banco, questo serva alla Commissione, per determinare la dividenda, che dovrà ripartirsi tra i funzionari e gli impiegati del banco, la cassa di ammortizzazione, la nostra guardia e gli azionari particolari; e se al contrario il Banco risulti debitore, possa il suo deficit essere facilmente liquidato.

Art 6. Il saldo del conto corrente, che il Tesoro Reale aveva al Banco di Corte, e il saldo del Banco che si era formato per associazione, saranno definitivamente riconosciuti e fissati; del pari che il trasporto che n'è stato fatto al Banco attuale, allorché questo ha formato la sua madrefede.

Art. 7. Il montante delle polizze che si troveranno in circolazione, per conto del Governo e de' particolari, a 31 dicembre 1810, sarà verificato sulle madrefedi tenute al Banco, e confrontato col denaro contante, co' valori e colle materie che dovranno trovarsi in deposito nelle sue casse e nel suo portafoglio, e di cui la Commissione avrà già fatto uso nel bilancio.

Art. 8. La Commissione formerà il modello dello stato d'introito e d'esito, che il Banco dovrà presentare al Ministro di Finanze, nel primo di ciascun mese, cominciando dal primo gennaio prossimo; come ancora il borderò del bilancio di tutte le somme che avrà ricevuto e pagate colla madrefede, e di tutte le polizze che avrà formate, ammortizzate e lasciate in giro; avvertendo che la situazione ed il bilancio, del mese pel quale il Banco presenterà i suoi stati,siano sempre ricapitolati, distintamente, con quelli del mese antecedente.

Art. 9. Finalmente i Commissari, nell'aprire e nel chiudere il loro processo verbale, faranno constare l'esistenza di tutt'i fondi, di tutt'i valori, e di tutte le materie che sono depositate al Banco; si assicureranno dell'ordine ed esattezza della scrittura che vi si tiene; presenteranno le loro idee sul miglioramento onde crederanno capace quel sistema, sia per la chiarezza dei conti, sia per la celerità delle operazioni, sia pel vantaggio e comodo del pubblico, sia per l'economia delle spese. Formeranno la lista degl'impiegati contabili e responsabili, da' quali il Governo dovrà esigere una cauzione in numerario o in immobili, siccome ogni agente contabile è tenuto a darla; e fisseranno in fine la valuta di ciascuna specie di cauzione da realizzarsi.

Art. 10. Il nostro Ministro delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.

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Di poi, per decreto 23 gennaio 1812, fu ordinatala vendita di tutte le case che erano appartenute agli antichi banchi, e delle altre che il Demanio aveva prese dagli ordini monastici soppressi. Il prezzo si doveva per un quarto pagare prontamente, dandosi al banco mandato di riscuotere; gli altri tre quarti, si conteggiavano con obbligazioni a termine. C'è un conto, del 1813, da cui risulta che le vendite fatte, fino al 6 marzo, rappresentarono il valore di ducati 249590,10, con incasso di D. 61487,55; più l'obbliganze, per D. 153315,75 di capitale e D. 19334,92 d' interessi.

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32. Le regole del 1809 procacciarono molta comodità di sconti per la finanza. Fu cosa meravigliosa che un banco screditato dall'aggio, con patrimonio nominale non effettivo, ricevesse volontari versamenti, e li potesse quasi tutti cedere al ministro, senza che ne derivassero correrie e sospensioni di pagamenti. Ciò non pertanto, parve a Gioacchino d'aver dato troppo, e per nuovo decreto tolse al banco quella dotazione di case cadenti e devastate, d'inesigibili crediti che, senza costar nulla, gli aveva reso grandi servigi. Fece dunque passare i fondi alla cassa d'ammortizzazione, affinché questa li potesse, senza controlli, comprendere nelle vendite dei beni demaniali.

11 febbraio 1813. - Visto il rapporto del Ministro delle Finanze. Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue. Art. 1. L'amministrazione delle proprietà, che abbiamo assegnato in dotazione al Banco delle Due Sicilie,(ed i cui fondi e rendite restano stabilmente addetti alla sicurezza dei suoi impegni ed alla estensione delle sue operazioni) è trasmessa, da oggi innanzi, alla cassa di ammortizzazione,le cui relazioni ed organizzazione prestausi di vantaggio ad una regia di affari contenziosi, e che troverà, nell'azienda cosi affidatale, la garenzia necessaria delle sue 4000 azioni. Art. 2. Verrà nel Banco formato ,senza ritardo, un esatto inventario de' diversi beni appartenenti a questo stabilimento, come ancora un conto di tutte le sue rendite esigibili affin di far seguire il ricupero, nel modo che verrà stabilito dai seguenti articoli del presente decreto. Art. 3. L'amministrazione generale de' demani resterà incaricata, in virtù del presente decreto, e del duplicato dell'inventario che essa riceverà,di eseguire, secondo i suoi regolamenti,la percezione delle rendite dei beni rurali e delle case del banco;e di farne versare dai suoi preposti il prodotto nella cassa di ammortizzazione; osservando il modo di contabilità cui si trovano già sottomessi tutti gli altri fondi destinati ad essere, dall'amministrazione dei demani, versate in questa cassa. La cassa di ammortizzazione avrà, senz'alcun intermedio, la regia dei censi, delle rendite costituite, de' capitali esigibili, e di tutti gli altri crediti che fan parte della dotazione del Banco.

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Art. 4. La cassa di ammortizzazione terrà, nella sua amministrazione, un conto corrente di tutte le somme che riceverà e pagherà pel Banco, e lo bilancerà per ogni semestre, facendo passare dalla sua madrefede a quelle del Banco il saldo che le resterà, dopo averlo fissato con un appuntamento che le due casse riconosceranno tra loro, e di cui sarà rimessa una spedizione conforme al Ministro delle Finanze.

Art. 5. Non potranno ritirarsi fondi dalla madrefede patrimoniale del Banco, e dal suo portafoglio, che in virtù di crediti speciali, che il ministro delle finanze resta autorizzato ad aprire a questo stabilimento, per le sue spese fisse o variabili, e per le sue operazioni, finché non abbia da noi ricevuta la sua compiuta e diffinitiva organizzazione.

Art. 6. Il Ministro delle Finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

Coll'amministrazione diretta del banco, poco s'era riscosso, per intrinseca mala qualità dei beni e crediti. Meno ancora si poteva sperare da un esattore tanto poco diligente, quant'era la cassa di ammortizzazione; infatti, le lettere ed i registri contabili del tempo provano qual dissesto fosse venuto, alla rendita ed al credito dell'istituto, da siffatta forzosa regìa. Solo utile frutto fu il decreto pel quale cancellarono dall'attivo le partite puramente nominali.

10 febbraio 1814.-Visto il rapporto del nostro Ministro delle Finanze.

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. l.° I erediti, proprietà della cassa di ammortizzazione e di quella del Banco, che saranno divenuti irrecuperabili per l'assenza, disparizione o insolvibilità dei loro debitori, per la di cui riscossione si saranno impiegati amministrativamente o giudiziariamente gli ultimi mezzi di coazione, verranno, allo svolgimento di ciascuno esercizio della cassa di ammortizzazione, inventariati e portati in uno stato generale di mancanze, per poter essere distratti definitivamente dal patrimonio cui essi beni apparterranno.

Art. 2.° Il Direttore della cassa di ammortizzazione unirà ai titoli costitutivi, ed agli atti di trasferimento di questi crediti, gli stati per mezzo dei quali detta cassa ne avrà fissato il capitale e liquidato gl'interessi; gli appoggerà cogli altri rispettivi documenti, e colle carte delle differenti procedure che si avran dovuto sostenere; e li trasmetterà, col loro inventario, all'agente giudiziario del Tesoro Beale, che darà loro un corso eguale a quello di tutt'i crediti di cui è incaricato di procurare la riscossione a profitto del governo; fino alla destinazione di cui le leggi e le circostanze possono rendere capaci queste ripetizioni.

Art. 3.° In virtù del duplicato dell'inventario, firmato dall'agente giudiziario, e vistato dal Direttore Generale del Tesoro Beale, la cassa di ammortizzazione farà menzionerei conti della sua amministrazione generale, a datare dall'esercizio 1813, della somma di questi non valori, elie le saranno situati sì in capitale che in interessi, giusta i borderò di liquidazione, che essa avrà fatti stabilire per ciascun credito.

Art. 4.° Il nostro ministro delle Finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

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33. Parecchi mesi prima che si pubblicasse questo decreto, aveva cominciato ad andare male la cassa di Corte, perché diminuiti i versamenti dei percettori; diminuito l'introito dei procacci, cioè la trasmissione di fondi, che dalle provincie si facevano a Napoli; consegnate alla zecca L. 060,000 d'argento, per conversione della vecchia moneta con altra a sistema decimale (1); composta quasi tutta di pezzi duri di Spaglia la riserva metallica, che al 7 luglio 1813 era di sole L. 1,905,520,50 (2); e specialmente perché si chiedevano a prestito dalla Tesoreria somme troppo grosse pel Banco d'allora. Tutte conseguenze della guerra.

Il primo espediente fu di porre in circolazione le monete a sistema decimale, ottenute dalla zecca, senza aspettare il tempo che s'era prima determinato (Lettere del Reggente Carta 5, 0 e 7 luglio 1813). Poi si dettero in pagamento quei pezzi duri di Spagna che avrebbero dovuto servire per le nuove coniazioni; quindi si sospesero le operazioni di sconto e di pegno

(1) «1 aprile 1813. - Il Ministro delle Finanze al signor Consigliere di Stato Carta. Signor Reggente. La rimonta delle antiche monete, che interessa la nazione intera, è stata l'oggetto dell'attenzione e della continua premura del Re. Sua Maestà ha deciso in conseguenza che la coniazione delle nuove monete debba cominciare senza verun ritardo, e che questa operazione importante sia eseguita con prestezza. Il signor Direttore Generale dell'Amministrazione delle monete avendo domandato, che fosse fatto un fondo di GG0,000 lire e che questa somma continuasse ad essere alimentata per battere, il Re ha ordinato, con suo decreto dei 28 del mese scorso, che il Banco fornisse questo fondo, sia in monete forastiere, sia in quelle del regno, nelle proporzioni che il Ministro delle finanze stabilirà. Le casse del banco, conservando nel momento attuale lire 2,174,032,48 di monete di oro e di argento forastiere, la prego di toglierne le 060,000 lire che sono destinate ad essere versate alla zecca, per essere battute col nuovo conio. Saranno date delle istruzioni per li versaniei ti ulteriori che il Banco dovrà fare, a misura che l'amministrazione delle monete li reintegrerà con le nuove. Per garentire alla Reggenza, ai termini dei suoi statuti, le somme che Ella va a togliere dalle Casse, e di cui Ella è depositaria, gli è dichiarato che le azioni del Banco, appartenenti alla Cassa di ammortizzazione, egualmente che il capitale di una iscrizione di 13,200 lire di rendita sul Gran Libro, saranno depositate al Banco, durante il tempo che ci saranno fondi alla zecca. Ho dato conoscenza di questa disposizione al Direttore della tassa di ammortizzazione. Li fondi che vengono tolti al Banco, in monete antiche, e quelli che avranno luogo in monete nuove, saranno sottomessi ad una numerazione ed un peso, che formeranno ogni volta l'oggetto di un processo verbale, del quale mi sarà inviata copia conforme. Il Decreto prescrive li funzionarii in presenza dei quali questi processi verbali saranno fatti e che li dovranno firmare. Ho l'onore di darle una comunicazione ufficiale del decreto del Re, e pregarlo di sorvegliare all'esecuzione. Conviene che sia riunito subito il Comitato Generale del Banco per farli leggere il decreto, e concertarvi con li signori Governatori, che ne sono membri, il turno che essi osserveranno tra loro, perché egli ce n'abbia sempre uno presente alla re daz ione dei processi verbali, che constateranno gli esiti e gl'introiti dei fondi che la nuova fabbrica impiegherà. Gradisca ecc. - firmato Conte di Mosbourg.»

1. Sulle accettazioni di monete forastiere, ed in particolar modo pei 'pezzi duri di Spagna, di cui nel Regno hanno sempre fatto grande uso, la legislazione Napoletana è stata molto oscillante all'epoca dei Borboni e dei Francesi. Qualche volta si stampavano tariffe, approvate dal Re, che avrebbero dovuto essere obbligatorie, qualche altra volta invece lo stesso Sovrano dichiarava che il valore potesse dipendere dalle circostanze; dal cambio cioè con l'estero e dalla libera volontà dei contraenti.


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(lettera 18 luglio 1813); indi si fece il risconto del portafoglio, col vendere le cambiali ai banchieri Bourguignon, Falconnet e Meuricoffre (lettere 22, 27 e 31 luglio 1813); si prese qualche somma dalla cassa dei particolari (lettera 28 luglio 1813); si tenne chiuso alcuni giorni il Banco di Corte (lettera 9 agosto 1813); si presero a mutuo dalla cassa privata del Re L. 393,760,51 (lettera 24 settembre 1813); e si ordinò finalmente che uno dei Governatori (Alfonso Garofalo) avesse firmato le bancali prima di autorizzarne il pagamento; e che questo pagamento si sarebbe solamente fatto allorché gl'introiti giornalieri della cassa avrebbero procacciato il numerario disponibile (19 agosto 1813). L'aggio e la difficoltà di spendere le polizze tormentarono nuovamente il popolo, come prova questa lettera.

"20 agosto 1813. Eccellenza. È giusto di portare alla conoscenza di V. E. che, nella mattina di mercoledì, tutt'i cambiamonete di questa capitale furono chiamati elal Prefetto di Polizia, e ricevettero da lui una insinuazione di realizzare le polizze del Banco non più che del 2 per 100 in argento, e del 3 per 100 in rame, e si esiggè una promessa; che quelli francamente fecero, perché, in quel giorno, l'agio sulle polizze di argento non era che di 1 14. V. E. coi suoi lumi, conosce l'irregolarità di questo passo, che, lungi di giovare al corso delle polizze, può piuttosto nuocere; giacché il ceto dei cambiamonete è stato sempre il nemico naturale della libera circolazione delle polizze, e che cercano tutti i mezzi di tirare nelle loro mani quel contante che dovrebbe animare il Banco. Dall'altra parte, tutti gli espedienti che V. E. ha con tanta saviezza immaginati, ed i soccorsi che con molta generosità S. M. ha accordati, bau fatto sì che il Banco ha per intero soddisfatto tutte le polizze degne di essere realizzate nella loro totalità; come V. S. avrà potuto rilevare dalle note originali che le furono ieri rimesse, di cui l'esattezza si deve particolarmente all'indefessa e saggia assistenza dei Governatore signor Alfonso Garofalo; e solo è rimasta giustamente (!) in attrasso qualche polizza di cambiamo neta; e quindi non solamente non vi è finora un aggio sensibile, e di giorno in giorno, continuando lo stesso sistema, dovrà fra poche settimane ogni angustia cessare. Intanto però se altre autorità, fuori di V. E. vorranno ingerirsi, potrà temersi qualche inconveniente. Onde mi sono affrettato a passare tutto allo notizia di V. E. perché nella sua saviezza possa prendere le misure elie crederà più opportune".

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Pel visto delle polizze e ritardo di pagamento, spesso si veniva a dispute coi militari. Le lettere del Reggente Carta, lo e 28 agosto 1813 e 3 settembre medesimo anno, invocano l'aiuto del Ministro, perché fossero posti a dovere.

Insomma le leggi finanziarie di quell'epoca sono ottime. Riordinata l'azienda pubblica, ogni rendita si trovò soggetta a tributo, ogni peso distribuito, ogni ramo finanziario amministrato da un direttore responsabile, ogni amministrazione soggetta a sindacato della Corte dei Conti. L'erario pubblico, avendo una contabilità centrale coll'ufficio di Tesoreria, ed una cassa col Banco di Corte, tutta la finanza Napoletana era in un sol libro ed in un solo erario racchiusa. Ma gli atti non rispondono agli scritti, perché le guerre e le dissipazioni della Corte facevano rimanere sempre esausto il tesoro pubblico.

8 Ottobre 1813. Essendo terminato il periodo acuto della crisi, tanto che si potettero riporre nel tesoro della Cassa di Corte Lire 251,698.87, lasciando nel tempo stesso al cassiere una quantità di moneta sufficiente, chiese il Reggente che potesse il banco rinunziare all'uso di far vistare le polizze dal Governatore Garofalo, e che per conseguenza si ripigliassero i pagamenti a cassa aperta. Il ministro fu di contraria opinione, probabilmente perché sapeva che presto sarebbero ricominciati i bisogni del fisco, e con questi lo scredito della fede, l'inopia della cassa. Ma il Reggente Carta, che non aveva posto nel Consiglio di Stato, ed ignorava i segreti politici, mostrò il coraggio di replicare (lettera 23 ottobre 1813).

"Devo però prevenire V. E. che ciò avrà luogo (il visto preventivo delle polizze fino a dicembre) come finora si è praticato, pel' le sole polizze della cassa di Corte, mentre, per quelle del ramo dei particolari, non credo affatto che debba aver luogo, e V. E. mi permetterà che per questa parte non siano adempiuti i suoi desideri; giacche il volersi introdurre ora il visto del Governatore, anche sulle polizze della cassa dei particolari, sarebbe certamente un passo falso, peggiore ancora di quello che si diede per il Banco di Corte nella scorsa està, e sarebbe lo stesso, con questa novità, che allarmare il pubblico, farli credere che il Banco non sia più nella circostanza di soddisfare liberamente le sue polizze; ed in conseguenza far affollare, in un punto, tutti i particolari a ritirarsi il loro danaro, ciò che produrrebbe il certo danno e discredito del Banco. Son sicuro che queste riflessioni ecc.".

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Come prevedeva il ministro, dopo pochi giorni (27 novembre 1813) divennero evidenti gl'imbarazzi della cassa di corte, che teneva di contanti sole L. 248,078.76. Quindi necessità di usare gli stessi rimedi dell'altra volta, cioè prelevazioni dalla cassa dei particolari (lettera 28 novembre); chiusura per qualche giorno; mutuo dalla cassetta particolare del Re; pagamento con moneta di rame; ed alla fine pagamento delle sole somme che giornalmente si ottenevano dai percettori delle tasse. Di tali versamenti dei percettori mandavano tutt'i giorni la nota al ministro.

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34. Li 15 settembre del seguente anno 1814, avendo il ministro Pignatelli presentato a Gioacchino, allora tornato dalla guerra, un bilancio patrimoniale del banco, fu provveduto ad annullarne in parte i debiti.

15 Settembre 1814. - Visto il rapporto del nostro ministro delle finanze.

Visto l'articolo 3° del nostro decreto de' 20 novembre 1809, che assegnò al banco del regno una dotazione, per assicurare il rimborso in contante di tutte le polizze, emesse dall'antico banco di Corte, senza farle garentire da un deposito in denaro contante.

Visto il rapporto col quale il nostro ministro delle finanze ci ha fatto conoscere che i prodotti di tale dotazione lasciano al banco una somma disponibile di Duc. 333,766,82.

Volendo far provare, da questo istante, agli esibitoli delle polizze gli effetti salutari dell'ammortizzazione, mediante la quale il deficit, di cui si è il banco incaricato, dee intieramente annullarsi.

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. La somma di due. 333,766,82, tanto in moneta di argento che di rame, che il banco ha ritirata fin oggi dalle vendite ed alienazioni di beni, che noi gli abbiamo assegnato in dote, col nostro decreto de' 20 novembre 1809, e che è portata in credito nelle sue madrefedi patrimoniali, verrà subito passata in debito di tali madrefedi, come rimborso, verificato dal banco, sul deficit dell'antico banco di Corte.

Colla presente disposizione, il conto corrente della cassa patrimoniale trovandosi bilanciato e chiuso, il banco lo farà depositare, insieme con tutte le madrefedi estinte, nel suo archivio generale.

Art. 2. Gli effetti di commercio che il banco possiede nel suo portafoglio, ed il suo capitale de' beni territoriali, in case ed in crediti, continueranno a restare specialmente ipotecati per garentia di tutte le sue obbligazioni.

Art. 3. Il nostro ministro delle finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

Con altro decreto, dello stesso giorno 15 settembre 1814, si modificò leggermente la contabilità dei pegni.

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15 Settembre 1814. Volendo far godere al pubblico tutt'i vantaggi che gli sono assicurati dalle disposizioni del nostro decreto de' 20 novembre 1809, concernenti i prestiti su i depositi di materie di oro e di argento e di pietre preziose.

Volendo altresì che il banco del nostro regno sia, in tutt'i rami della sua nuova organizzazione, amministrato colla più esatta regolarità.

Visto il rapporto del nostro ministro delle finanze.

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il regolamento, preparato e presentato al ministro delle finanze dal comitato del banco, per sottomettere la contabilità de' pegni ad un sistema fisso e compiuto, rimane approvato. Questo regolamento sarà messo in vigore dal primo ottobre prossimo.

Art. 2. La verifica della cassa attuale de' pegni avrà luogo, a 30 del corrente settembre, con tutte le solennità e formalità prescritte dal regolamento medesimo, per le annuali verifiche di questa cassa.

Verrà formato processo verbale della sua situazione; e questo documento servirà a determinare il valore dei depositi, che risponderanno della somma la quale si troverà aver il banco impiegato all'oggetto, nel dì 1° ottobre prossimo.

Art. 3. Non si potranno far prestiti, su i depositi di materie di oro e di argento o di pietre preziose, inferiori a Duc. 10, né eccedenti i Duc.500.

I Art. 4. Il ministro delle finanze aprirà, in ogni mese, un credito al banco per eseguire le sue operazioni di pegni; ed il banco non potrà, sotto verun pretesto, né in alcun tempo, oltrepassarlo.

Art. '). Le somme che giornalmente rientreranno alla cassa dei pegni, non verranno impiegate a nuovi prestiti, ma saranno in ogni giorno, alla chiusura di questa cassa, restituite a quella che le avrà fornite.

Art. 0. Le somme che verranno prestate, in virtù de' crediti che aprirà il#ministro delle finanze, saranno rilasciate direttamente ai pignoranti dalla cassa; che potrà in tal modo esibire costantemente, sia in contanti, sia in mandati della cassa de' pegni, il valore dei depositi affidatile.

Art. 7. Il comitato del banco resta incaricato di concorrere, insieme colla reggenza e col governo del banco, allo stabilimento ed alla sopravveglianza della esecuzione del regolamento riguardante la contabilità dei pegni; al quale non potrà farsi alcun cambiamento senza la nostra approvazione. Uno dei membri del comitato, designato alla reggenza, sulla proposizione del presidente, dal ministro delle finanze, avrà la commessione speciale di eseguire e verificare tutte le operazioni di questa contabilità, sino alla fine dell'anno 1814.

Art. 8. Il nostro ministro delle finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

Fu questo l'ultimo decreto relativo ai banchi che sottoscrisse Gioacchino. A 29 maggio 1815, pel trattato di Casalanza, egli non era più re, e due giorni dopo partiva per Francia. Li 24 maggio, con le schiere tedesche, entrava a Napoli il principe Leopoldo di Borbone; il dì 4 giugno re Ferdinando giungeva a Baia, ed il 6 stava nella reggia di Portici.

CAPITOLO IV

IL BANCO DELLE DUE SICILIE

1816 a 1863

1. Stato del banco quando ritornò Ferdinando IV. Decreto 5 dicembre 1815.- 2. Nuovo ordinamento. Decreti 1 ottobre e 12 dicembre 1810.-3. Regolamento ed istruzioni 20 febbraio 1817. Loro difetti. - 4. Altri difetti del regolamento del 1817. - 5. Il servizio dello Stato. 6. La Cassa di Sconto. Decreto del 1818. - 7. Regolamento per i pegni di rendita. - 8. Operazioni della cassa di sconto dal 1818 al 1820. - L'archivio generale. - 10. I pegni di tessuti e metalli. - 11. Conseguenze pel Banco della rivoluzione del 1820 e confisca dei suoi certificati di rendita. - 12. Progetto di fondare un banco per azioni. Discussione nel Parlamento Napoletano. - 13. Crisi del 1821 e Decreti del 1822. - 14. Provvedimenti per la zecca. I pegni di monete e di verghe. - 15. La cassa del rame. - 10. Riapertura della Cassa Spirito Santo.- 17. Ordinanza dei diciottesimi. - 18. Decreto 12 febbraio 1832 ed altri atti di Francesco 1° e Ferdinando II. - 19. Progetti del ministro d'Andrea. - 20. Regolamento della cassa di sconto 2 aprile 1839. Variazioni sul saggio dello sconto e la ragione degl'interessi.-21. Istruzioni 20 gennaio 1841 sulle rinnovazioni dei pegni di rendita. - 22 Casse succursali di Palermo e Messina. - 23. Stato della cassa di sconto al 1834. - 24. Rivoluzione del 1848. Verifica e separazione delle casse di Sicilia. - 25. La succursale Bari. - 20. I pegni di mercanzie. Decreto e regolamento 3 febbraio 1858.-27. Atti governativi del 1859.- 28. La situazione 31 luglio 1858.- 29. Operazioni della cassa di sconto dal 1818 al 1861.- 30. La mancanza di succursali. -31. Decreti di settembre e novembre 1800. - 32. Programma Avitabile.-33. Crisi del 1801. Le minorazioni. - 34. Ostacoli all'accettazione della carta. - 35. Piccole riforme. - 30. La cassa Donnaregina.- 37. Il sedicente piccolo commercio.-38. Leggi monetarie del 1802.- 39. La cassa di risparmio.-40. Nuovo ordinamento del Banco, rapporto Manna e decreto 27 aprile 1863.

1. Al suo ritorno da Palermo, re Ferdinando trovò il banco in pessime condizioni. Non c'era moneta nelle casse. Non c'erano nemmeno titoli benifondi, per malleveria di pagamento ai possessori di fedi polizze o crediti su madrefedi, poiché Giuseppe e Gioacchino, facendo eseguire i decreti che si leggono nel precedente capitolo, avevano dato, per una parte al Demanio, per una parte alla Cassa di Ammortizzazione, e pel resto al Ministro delle Finanze, il possesso dei beni patrimoniali, con la riscossione delle rendite.

Mancando d'un capitale proprio, senz'azionisti, doveva l'Istituto vivere unicamente di credito. Egli coi soli denari del pubblico aveva tirato innanzi qualche anno; ma, ligato come era alle sorti d'un governo vacillante, pareva che insieme coi Napoleonidi dovesse cadere.

Le carte bancali perciò si rifiutavano nelle contrattazioni fra privati , si rifiutavano eziandio da parecchie casse pubbliche; in alcune provincie del regno a stento trovavano compratori, mediante scapito per aggio, di dieci o dodici per cento.

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Tutti prevedevano la ripetizione della crisi economica, con fallimento dell'erario, che pochi anni prima s'era subita, quando cadde la repubblica Partenopea.

Ma non fu così. Memore forse dei guai d'allora, Ferdinando fece rispettare un proclama ch'egli aveva indirizzato da Palermo al popolo napoletano, prima di riprendere l'avito dominio, nel quale prometteva molte cose, e fra l'altro che avrebbe provveduto ai Banchi. Proclama suggerito, imposto probabilmente, dall'Inghilterra, dalla Russia, dall'Austria ed altre potenze alleate contro Napoleone, che non volevano concorrere ad una ripetizione dei fatti del 1799.

Promovendo la richiesta della carta apodissaria, tentò il Cav. Luigi de' Medici, ch'era tornato alla direzione della finanza, di facilitarne il giro o l'accettazione, e di distruggere l'aggio. Uno dei primi suoi provvedimenti fu perciò quello di comandare che, nella città di Napoli, tutti i pagamenti allo Stato si facessero con polizze di banco (1). Così all'istituto di credito si procacciava una riserva metallica, perciocché i proventi fiscali entravano nelle sue casse. Gli è vero che ci restavano pochi giorni, spendendosi subito dalla tesoreria regia le polizze avute per pagamento d'imposte; ma, questa prova di fiducia nel banco, data dal nuovo governo, bastò per dileguare molti sospetti.

Altro favore, più grosso, concedette poi lo stesso Ministro, ordinando che, in tutte le casse del regno, le fedi e polizze non solamente s'accettassero pel valore nominale, ma eziandio che fossero cambiate in moneta metallica, a richiesta dei possessori (2).

Centinaia di casse regie acquistavano, per quest'ordine, il carattere di corrispondenti e quasi di succursali del banco. Con sano giudizio, dichiarò il Ministro che non intendeva dare corso forzoso alle carte, anzi che lasciava piena libertà ai cittadini di prenderle o rifiutarle. Bastò la sanzione morale, la sicurezza cioè che i cassieri governativi avrebbero preso e barattato, a vista, le bancali, perché tutti se ne servissero.

(1) Decreto 5 dicembre 1815, articolo 5." «Confermiamo le disposizioni date dal nostro ministro di finanze, che, in tutte le casse della nostra città di Napoli, non si possano ricevere pagamenti che per polizze di banco; sotto pena della immediata destituzione dei funzionari, in caso di contravvenzione".

(2) Decreto 5 decembre 1815, articolo 1° «A contare dal giorno della pubblicazione del presente decreto , tutte le casse regie , non esclusi i botteghini del lotto reale, ricevitorie del demanio, delle due direzioni (dei beni riservati alla nostra disposizione e dei beni donati reintegrati allo stato) saranno obbligati, non solamente di ricevere in pagamento di contribuzioni dirette od indirette di qualsivoglia altro credito fiscale le fedi di credito e le polizze del detto banco, ma benanche di cambiarle in moneta effettiva di argento o rame, secondo la qualità della polizza, a richiesta dei possessori, senza che vi si possano rifiutare.»

«Art. 2. Le fedi di credito e polizze, per essere ricevute e cambiate dai sopradetti ricevitori, dovranno avere o 1' ultima gira di firma conosciuta al ricevitore o che la persona esibitrice gli sia conosciuta e sottoscriva in piedi.»

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Si può dimostrare che la vita del Banco delle Due Sicilie, vale a dire dell'Ente che, dal 1816 al 1862, tenne il monopolio della circolazione nell'Italia Meridionale, dipendesse dall'esecuzione di questo decreto. Non era difficile di farlo rispettare; per la ragione che tutti i percettori e cassieri regi ci trovavano tornaconto. La valuta apodissaria era meno incomoda della moneta d'argento. Faceva risparmiare fatica, tempo, coadiutori, locali, spese di trasporti. Essa dava sicurezza al possessore, perché non si temevano falsificazioni, e per la facilità di riscuotere l'ammontare; anche se avesse perduto il titolo, glielo avessero sottratto o distrutto.

Quando sospettavano che qualche agente fiscale manovrasse per creare aggio sulla carta, intascando illecito profitto, con sacrifizio della reputazione del Banco Regio, denunziavano la cosa al Ministro. Fra molte lettere, ci contentiamo di trascrivere questa, del 22 gennaio 1842, per dimostrare con quanta energia si reprimeva l'abuso.

"Ministero e Real Segreteria di Stato delle Finanze - 2.° Ripartimento - 1.° Carico - N. 125.

Napoli, 22 gennaio 1842 - Signore - In un rapporto dei 29 dicembre, Ella, dopo di aver rammentate le disposizioni di un Decreto Reale, dei 5 dicembre 1815, per le quali venne imposto l'obbligo, a tutte le casse regie, di ricevere in pagamento delle contribuzioni dirette ed indirette, e di qualunque altro credito della Real Tesoreria generale, le fedi di credito e le polizze del Banco; e l'obbligo benanche di cambiarle in moneta effettiva d'argento o rame, secondo la qualità della polizza, a richiesta dei possessori, senza che contabili vi si potessero rifiutare, ha esposto di esserle fatto intendere, dai Deputati della Cassa di Sconto, che il cambio delle polizze va soggetto ad un forte aggio, nelle casse dei Ricevitori generali e distrettuali, soggiungendo che, attesa tale circostanza, si desiderano più tostò delle tratte o del danaro contante, malgrado il rischio e la spesa che si soffre pel trasporto di esso.

"In riscontro, la prevengo di aver passati uffìzii a ciascun Intendente, perché qualora, per parte del rispettivo Ricevitore generale della Provincia, o di alcun Ricevitore distrettuale, si commetta un tale abuso, provvegga che sia subito eliminato, e che non abbia ulteriormente luogo, facendomene immediato rapporto;

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avendo inoltre dichiarato, al pari di quanto altra volta venne prescritto da questo Real Ministero, cioè, che avendo i Ricevitori danaro disponibile non debbano sotto pena di destituzione negarsi al cambio delle polizze e fedi di credito, senza poter all'uopo riscuotere, sotto vermi pretesto, qualunque menomo aggio."

"Non lascio di farle osservare che Ella, riservatissimamente, mi farebbe cosa molto grata di prendere delle notizie positive, da' Deputati della Cassa di Sconto, ond'io conosca quale, tra Ricevitori generali e distrettuali, si sia allontanato dalle disposizioni della legge.

"Il Ministro Segretario di Stato delle Finanze - Ferri.

"Al Sig. Reggente del Banco di Napoli".

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2. Nel seguente anno, 1816, furono restituiti al banco quei beni patrimoniali che non avevano trovato compratori, dicendosi:

"Crediamo più conducente al buon servizio del pubblico, ed alla santità dei depositi del nostro banco delle Due Sicilie, di restituirgli l'amministrazione dei suoi beili patrimoniali, la di cui proprietà servir dee di garenzia ai depositarli, e le rendite, che si ritraggono, debbono essere impiegate al mantenimento dei suoi uffiziali, ed alle spese di sua amministrazione (1)".

(1) Proemio del Decreto 1° ottobre 1816. Gli articoli di tale decreto dicono;

Art. 1. Le disposizioni del decreto degli 11 di febbraio 1803, colle quali fu affidata alla cassa di ammortizzazione l'amministrazione de' beni e rendite di proprietà del banco delle Due Sicilie, sono rivocate.

Art. 2. La reggenza del banco, a contare dal di primo di settembre di questo anno, riprenderà l'amministrazione di tutti i beni, fondi ed effetti che si trovano tuttavia esistenti, c che furono assegnati al banco per sua dotazione, col decreto de' 28 di novembre 1809; secondo gl'inventarii che ne furon dati da' 3 di aprile fino a' 28 di luglio dell'anno 1813. Un particolar regolamento fisserà il modo e le forme di questa amministrazione.

Art. 3. La cassa d'ammortizzazione, dopo di aver pagato le spese occorrenti, per lo mantenimento del banco, fino a tutto agosto, passerà nello stesso tempo alla reggenza l'importo delle rendite esatte, dal detto di primo di settembre sino al giorno della consegna, tutti i boni, le obbliganze e le cambiali per residuo di prezzo delle alienazioni dei beni del banco, e l'importo di detti boni, obbliganze e cambiali incassate dal detto di primo di settembre, come ancora i valori che rimangono di quelli che le furon passati per disposiziono ministeriale de' 29 di ottobre 1814, e secondo l'inventario che ne fu formato a' 17 di dicembre 1814.

Art. 4. La cassa d'ammortizzazione, nel corso di un mese, formerà un bilancio generale di tutte le somme pervenute dalle rendite ed alienazioni de' beni del banco, e de' valori contenuti nel portafoglio, che sieno stati esatti o trasferiti ad altri, come pure da' versamenti fatti al banco, sia pel suo mantenimento, sia per qualunque altra ragione. Questo bilancio formerà poi parto del conto generale della cassa anzidetta.

Art. 5. A tenore de' risultati che darà il bilancio suddetto, ci riserbiamo di provvedere a' mezzi di sussistenza, che forse bisogneranno per lo mantenimento del Banco, ed alla quietanza scambievole di queste due amministrazioni.

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A 12 Dicembre 1816. lo stesso re Ferdinando, coi ministri Medici e Somma:

"Considerando che, fin dall'anno 1803, desiderammo di dare una organizzazione definitiva ai banchi di questa capitale; onde, di nostro ordine, da una deputazione di creditori apodissarii, fu formato un piano che noi approvammo, in dicembre dell'anno 1805, che, per la guerra sopravvenuta, non si poté mettere in esecuzione

"Considerando che, in tutto il tempo dell'occupazione militare, molte e gravissime novità sieno avvenute, di soppressione e ristabilimento, di questa antica ed utilissima istituzione nazionale.

"E volendo noi riordinarla".

Dettarono nuovi statuti per l'ente, che continuarono a chiamare Banco delle Due Sicilie.

Rimase,.anzi fu con maggior precisione determinata, la coesistenza di due istituti; dei quali l'uno serviva pel pubblico, l'altro pel fisco. Il primo, posto nell'editi zio Pietà, destinato a prestare esclusivamente la sua opera alle private persone ed ai corpi morali, contrassegnava i suoi titoli con la scritta Cassa dei privati. L'altro, posto nel locale dell'antico banco San Giacomo, teneva il servizio del Tesoro, delle pubbliche amministrazioni e del Municipio; contrassegnava i suoi titoli con la scritta: Cassa di Corte. Biasimati gli atti dei.Pe Francesi, ed annullate le leggi o decreti del 1808. 1809, 1810 e 1813, si fece ritorno al sistema del 1803.

Mantenendo il Banco dei particolari, col nome novello di cassa dei privati, voleva il Governo ricostituire uno degli antichi banchi, nello stesso locale della Pietà, e dare qualche soddisfazione al popolo napoletano, che ardentemente bramava la risurrezione dei suoi istituti di credito: mostrandosi assai poco contento degl'infelici tentativi di Giuseppe o Gioacchino. Gli statuti quindi, le operazioni, l'ordina mento, rassomigliavano, quant'era permesso da mutate circostanze, a quelli dei distrutti Monti e Banchi.

Art. 6. Non ostante le suddette disposizioni, la cassa di ammortizzazione continuerà ad essere incaricata, a tenore del nostro decreto de' 28 di maggio del corrente anno, dell'alienazione dei beni fondi del banco, di qualunque natura essi sieno, e della reluizione de' suoi capitali, trasferendo, volta per volta, al medesimo le inscrizioni di rendita sul gran libro, che riceverà in soddisfazione de' capitali corrispondenti a' fondi suddetti.

Art. 7. Il direttore della cassa di ammortizzazione ed il reggente del banco delle due Sicilie, si porranno d'accordo sulla consegna di tutte le scritture, e sul ritorno degl'impiegati che dal banco passarono alla cassa, allorché questa s'incaricò dell'amministrazione de' beni.

Art. 8. Il nostro segretario di stato, ministro delle finanze, è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

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La Cassa di Corte, invece, creazione del Sig. Medici, e svolgimento dell'art. 14 dell'editto 18 agosto 1803, da lui tant'anni prima suggerito, tendeva a costituire il banco governativo, mettere i depositi a disposizione del ministro delle finanze, giovarsi del credito che le fedi godevano per procacciare capitali al fisco.

Con abilità meravigliosa fu colorito questo disegno. Per cinquant'anni, la Cassa di Corte è stato il più fermo sostegno dell'amministrazione Borbonica.

Dal mentovato decreto 1816 fu dichiarato che, per garentire le carte bancali della Cassa di Corte, il Governo clava in ipoteca ai possessori tutt'i beni dello Stato, in particolar modo il Tavoliere di Puglia. Promessa poco seria, perché non fu provveduto all'esperimento delle ragioni ipotecarie. Poteva benissimo il Governo vendere, donare o cedere ad altri creditori, la garenzia promessa per i debiti della cassa di corte. Infatti, dopo del 1860, furono per legge permessi gli affrancamenti dei canoni del Tavoliere, senza che il banco fosse interrogato. Ai possessori di fede o polizze non si dava facoltà di sequestrare il pegno, né di guardare da chi e come si riscuotesse la rendita, e nemmeno di prendere informazioni, per vedere se i fondi esistessero veramente, quale ne fosse la valuta. Eppure questo pegno ipotetico fu buono per gettar polvere agii occhi, tolse i sospetti legittimi, che ispirava tanto la memoria dei vuoti 1794 e 1800, quanto l'autorità grandissima che il ministro si arrogava.

L'art. 6 del decreto, quello che stabiliva l'ingerenza del ministro da una parte, la garanzia dall'altra, dice così:

"La cassa di corte sarà direttamente sotto gli ordini del nostro segretario di stato, ministro delle finanze, per tutte le operazioni che nella medesima gli converrà fare, pel servizio della nostra Real Tesoreria e gli ordini manifestati con le sue lettere ministeriali verranno immediatamente eseguiti. A qual effetto, la cassa di corte avrà la sua dotazione, distinta e separata; ed avrà ipotecati,per cautela dei suoi creditori, tutt'i beni dello Stato, ed in modo speciale tutte le rendite del Tavoliere di Puglia, da cui resterà perpetuamente garentita la carta che rappresenta il numerario.,,

Mentre si concedevano, a parole, dritti sul Tavoliere di Puglia e sui beni del Demanio, eran col fatto confermate e rese definitive le confische del patrimonio dei banchi, dicendosi, (Decreto 30 gennaio 1817 art. 1)

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"sono dichiarati beni di diretta proprietà dello Stato gli allodiali, i devoluti, i beni dei banchi che rimangono dopo l'assegnazione da noi fatta al banco delle due Sicilie, quelli ancora restanti dei soppressi banchi, i beni residuali del Monte Borbonico,i beni confiscati, o che in avvenire lo saranno legalmente."

Toglievasi cosi ai banchi la stessa speranza di ripigliare il tolto patrimonio, od almeno quella parte dei fondi rustici ed urbani, o delle ragioni ipotecarie, che erasi salvata dalla rapacità del fisco per controversie giuridiche, per mancanza di compratori, o per altre ragioni. Non occorre ripetere che ben poca cosa fu l'assegnazione, magnificata dal decreto, quasi fosse un dono del Re.

Per assicurare diversamente i cittadini creditori del banco, e levare il sospetto che i depositi confidati alla cassa dei privati potessero servire per i bisogni della finanza, od anche pei traffici del banco governativo, si disse:

"La cassa di corte riceverà come moneta effettiva le carte della cassa dei privati (art. 5); La cassa dei privati non potrà servire ad alcuna delle operazioni della R. Tesoreria, né potrà essere obbligata a riceversi, come contante, le carte emesse dalla cassa di corte (art. 8)."

Quest'articolo ottavo però rimase scritto, e non fu mai eseguito; come non furono mai eseguite le prescrizioni della legge intese a separare i patrimonii. La divisione, fra cassa di corte e cassa dei privati, ebbe luogo unicamente per ciò che si riferiva alla tenuta dei conti, ed all'obbligo dei ministeri o amministrazioni pubbliche di adoperare solo la prima. Per tutt'altro il banco si reputava uno; cosicché poteva il cittadino consegnare le valute e chiedere le carte, ovvero i pagamenti, così a San Giacomo come alla Pietà, (art. o) E ciascuna cassa doveva permutare con moneta effettiva, od accettare pel valore nominale, i titoli emessi dall'altra. Alla definizione dei conti provvedeva la riscontrata e le polizze di resta, che tenevano ragione delle differenze a debito od a credito. Lungi dal separare i patrimonii delle due casse, si fecero ambo amministrare dallo stesso Reggente, e fu costituita una contabilità, un personale, ed un bilancio comune.

Ambedue i banchi ebbero facoltà di emettere fedi di credito, che tutte le casse pubbliche della capitale o del regno dovevano accettare come moneta (art. 5).

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Le officine San Giacomo, cassa di corte, tenevano due conti separati; argento e rame, distinguendoli con particolari epigrafi e bolli. Ciascuna fede o polizza era pagata con la qualità di moneta che rappresentava; senza permesso di usare la moneta di argento per una carta del conto rame, o viceversa.

Alla cassa dei privati, dipendenza Pietà, fu proibito di ricevere depositi di rame, ed emettere titoli che li rappresentassero (art. 8).

I fondi della cassa dei privati, cioè quella porzione dei depositi che il ministro avrebbe consentito di mettere a frutto, si potevano collocare con mutui sopra pegno di gioie ed oggetti di oro o d'argento. Qualsivoglia altro uso di capitali era espressamente ' vietato (art. 11).

Ciascuna cassa teneva un Presidente e due Governatori.

L'amministrazione di tutto il banco era poi diretta da un Consiglio di Reggenza, formato dal reggente, capo dell'amministrazione, e dai presidenti delle due casse (art. 12).

I privilegi delle carte bancali furon così definiti dall'art. 13.

"Tutte le carte che si trovano emesse, e che si emetteranno dalle casse di tutti e due i banchi, sieno fedi di credito, sieno polizze notate fedi originali, non solo continueranno ad essere esenti dai diritti di bollo e registro, ma, per accrescerne semprepiù la circolazione, e ripristinarle nel loro antico credito,serviranno di prova della numerazione del danaro. Come ancora tutte le dichiarazioni, convenzioni e patti qualunque, apposti nelle girate delle suddette carte, formeranno quella pruova e produrranno quell'effetto che la natura e qualità dell'atto seco porta; ancorché non sieno registrate, bastando la giornata segnata nelle stesse, per la loro passata al banco, ad assicurarne la data. Rimanendo soltanto soggette a registro le citazioni per atto di usciere, che si faranno in dorso delle carte stesse di banco, o che siano alligate alle medesime, prima di passarsi al banco, per ritrarne il denaro con quelle proteste che le parti crederanno di apporvi, per loro cautela. Saranno parimenti soggette al registro fisso le così dette partite di banco, o sieno copie estratte dalle fedi o polizze, delle quali le parti vogliono fare uso legale, secondo le leggi vigenti.,,

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3. Lo stesso giorno, 12 dicembre 1816, fu soppressa l'imposta per emissione di cartelle di pegno, e stabilito che dal giorno 1 gennaio 1817 i mutui del monte di Pietà sarebbero fatti alla ragione del 9 per cento.

Due mesi dopo, con Decreto 10 febbraio 1817, ordinava Medici che la malleveria, pel pagamento condizionato di bancali disperse, fosse stipulata, con atto amministrativo, dal banco, invece di convenirsi innanzi ai tribunali. Poscia, con lettera ministeriale 26 febbraio 1817, approvò ed ordinò che fossero eseguiti i regolamenti organici e le istruzioni di massima per tutti i servizii.

L'opera, di chi scrisse quei regolamenti organici e quelle istruzioni, consistette nel raccogliere tutte le formalità segretariesche, tutte le minute prescrizioni, tutte le scritture e registri che ciascuno degli antichi banchi aveva usato per suo conto. Coordinando alla meglio i sistemi di otto diversi istituti, aggiungendo un amministrazione centrale, Reggenza, che prima non c'era, un officina per lo sconto e le anticipazioni, il servizio dello stato, ed una esorbitante autorità del ministero, doveva necessariamente disporsi, per ogni lieve negozio, un interminabile treno di fastidiose pratiche. Alla complicazione delle procedure, che spesso impediva di sbrigare faccende semplicissime, rimediavano con espedienti più o meno abusivi.

Col regolamento organico del 1817, avendo terminato d'escludere le confraternite, licenziare le commissioni di creditori apodissarii, annullare le azioni, e sopprimere qualsiasi partecipazione di ospedali ed opere pie, si tolse al banco ogni traccia di personalità giuridica e di autonomia. Era diretto dal Reggente, cioè da un impiegato superiore di qualche amministrazione dello stato (art. 10) il quale farà tutto ciò che il ministro delle finanze crederà commettergli per utilità del servizio (art. 9). I presidenti poi, e governatori delle due casse, dipendevano dal reggente, ed a costoro tutti gl'impiegati dovranno, senza replica, ubbidire (art. 1).

Tre anni durava l'ufficio dei presidenti e governatori (art. 6) ma potevano essere confermati. L'onorario dei presidenti era di annui Duc. 480, quello dei governatori di Duc. 240. Il reggente aveva in compenso di anni Duc. 1000, per la direzione del banco, e durava il mandato cinque anni, salvo conferma.

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Un conto, degl'introiti e delle spese, doveva ogni anno presentare il banco alla corte dei conti; pareggiandosi in ciò a qualsivoglia altra amministrazione dello stato (art. 11).

Restò saldo il principio che tutti i beni immobili si dovessero vendere, e permutare con iscrizioni di rendita sul gran libro. La cassa di ammortizzazione, quindi, seguitò ad eseguire le leggi di Gioacchino, e la reggenza doveva solamente fornire le notizie e documenti necessari per la vendita e per l'immissione in possesso dei compratori (art. 7).

Giova riferire il regolamento per lo sconto di cambiali o altri valori commerciali, ispirato a principii tanto assurdi da recar meraviglia che avesse la firma di Medici, uomo pratico e sagace finanziere. Gli è vero che dopo pochi mesi (23 giugno 1818) ei vide la necessità di annullarlo.

Art. 1. Sarà istallato, separatamente dal governo del banco e senza che abbia ingerenza col medesimo, un consiglio di sconto, composto di due

1.

più negozianti.

Art. 2. La somma da impiegarsi allo sconto dovrà essere determinata, in ogni sei mesi, da S. E. il ministro delle finanze. L'interesse, che si esigerà su di esso, sarà del 9 per 100 l'anno, di cui una parte, da fissarsi dal ministro di finanze, andrà in beneficio dei negozianti che garantiscono lo sconto, come appresso si dirà, ed il rimanente utile resterà al banco.

1.

negozianti non percepiranno premio dagli effetti che disconterà la tesoreria o le amministrazioni che ne dipendono, purché non sia richiesta dal banco la di loro risponsabilità; come si richiede per gli altri effetti scontati.

Art. 3. Gli effetti di commercio, che si vogliono scontare, dovranno essere rivestiti di tre firme di negozianti, o almeno di due negozianti e di un particolare, proprietario conosciuto.

Art. 4. Le cambiali da scontarsi dovranno essere traettizie e pagabili in Napoli, né potranno avere scadenza maggiore di tre mesi.

Art. 5. Li deputati negozianti saranno solidalmente garanti delle somme che si scontano.

Art. 6. Coloro che richiedono lo sconto, presenteranno la dimanda, una col notamento dei valori che si vogliono scontare, in mano al segretario generale della reggenza, il quale farà segnarla dal reggente, a cui è nota la somma ch'esiste, da potersi impiegare in questa operazione, e la passera all'esame dei suddetti deputati.

Art.7. Costoro si uniranno, per fare lo scrutinio dei valori che si vogliono scontare: e quelli che resteranno ammessi dovranno esser firmati al piede dai suddetti negozianti, i quali firmeranno anche il notamento, che dovrà essere in carta bollata, restando così garanti dell'importo dello sconto.

Art. 8. Allorché lo sconto sarà stato ammesso, sarà subito passato al segretario generale della reggenza, il quale avrà cura di passare le carte corrispondenti in razionalia, immediatamente; onde venga subito spedito il pagamento, a favor di colui che avrà negoziato i suoi effetti di commercio.

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Art. 9. Un tal pagamento dovrà farsi con polizza notata fede, giusta il sistema scritturale del banco, quale sarà firmata dal solo reggente: e tali polizze saranno formate in istampa, tutte uniformi, a tenore di un modello che ne daranno i stessi deputati negozianti.

Art. 10. Vi dovrà essere, sotto l'immediata ispezione del razionale della reggenza, un'aiutante che abbia conoscenza del codice e della scrittura mercantile, il quale dovrà essere particolarmente incaricato del disbrigo di questa operazione, e di tenerne il conto e la scrittura in regola.

Art. 11. Finalmente, siccome potrebbe con faciltà accadere che molte cambiali scadessero in una sola giornata; e che taluni dei negozianti facessero i pagamenti, in estinzione delle medesime, in numerario effetti e non già in polizze, ed in tal caso non solo si renderebbe difficile, ma anche rischiosa l'esazione; dovendosi affidare le cambiali in mano di molti, che si ricevano la moneta dai negozianti, così vi sarà un cassiere dello sconto, persona proba e solida, che si renda garante di questa esazione. Al medesimo saranno consegnate le cambiali,ed esso ne curerà l'esazione,a misura delle scadenze, e ne avrà il discarico col versamento delle somme corrispondenti, o colla restituzione delle stesse cambiali; che dovrà aver cura di far protestare, qualora non venissero estinte al maturo, per esigersene l'importo dai deputati negozianti; che han garantito lo sconto; a che li medesimi saranno obbligati, non ostante qualunque circostanza possa concorrervi. Il cennato cassiere dovrà dare una cauzione, di annui ducati trecento di consolidato, restando sotto la sua sua risponsabilità li commessi, dei quali dovrà avvalersi per la esazione delle cerniate cambiali, acciò il banco resti sempre al coverto da qualunque danno.

Si dovette sopprimere questo regolamento, per la semplicissima ragione che li deputati negozianti non accettarono nessuna cambiale. Il rischio di pagarne l'ammontare non era proporzionato al premio o compenso promesso.

Pel monte di Pietà, le ordinanze del 1817 dicono:

Art. 1. L'opera de' pegni, che si rende di grandissimo sollievo per la nazione, di sommo utile per il commercio, e che è una sorgente di ricchezza per il banco; nell'atto che accorre ai bisogni de' particolari, si continuerà a fare, sulle materie di oro, argento e gioie, nel locale dell'antico banco della Pietà, con fondo, de' capitali della propria dote della cassa de' privati, potendosi anche impiegare il denaro in detta cassa depositato, qualora il ristagno ne fosse eccessivo; locché si eseguirà secondo la prudenza del reggente del banco, coll'autorizzazione però sempre del ministro delle finanze.

Art. 2. I pegni si potranno fare anche di piccole somme, inferiori ai ducati 10., e fino alla somma non eccedente i ducati 5(0, per ora, potendosi in appresso, a tenore delle circostanze, aumentare. Su di ogni pegno, di qualunque somma egli sia, si esigerà l'interesse, alla ragione del nove per cento l'anno, calcolato per giorni.

Art. 3. Ogni pegno non potrà godere una mora maggiore di mesi sei, elassi i quali dovrà dispegnarsi. Se però un pignorante, in fine del termine accordato, volesse rinnovare il pegno, pagando l'interesse decorso, sarà permesso di eseguirsi, consegnandoseli una nuova cartella, e descrivendosi ne' libri dell'impegnata, come un pegno allora fatto.


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Egualmente sarà considerato e descritto nel libro, come pegno allora fatto, qualora un pegnorante, in fine del termine accordato, o anche prima, volesse diminuire il pegno, venendo a pagare l'interesse decorso, ed una porzione della sorte principale, nel qual caso anche gli sarà consegnata una nuova cartella.

E finalmente se un pegnorante, in fine del termine accordato, o prima ancora, venisse a pagare l'interesse decorso, e volesse esser restituita una porzione degli oggetti pignorati: sarà questo permesso; purché però venga pagato, contemporaneamente, dalla parte, quella porzione di denaro che sarà giudicato dall'orefice poter valere quelli oggetti che vuol essere restituiti: ed in tal caso sarà rinnovata la cartella, e formandosi un nuovo pegno, se ne prenderà ragione sopra i libri corrispondenti.

Art. 4. Non potranno farsi pegni di vasi o arredi sacri, né di oro e di argento coll'impronta reale, senza permesso in iscritto delle autorità alle quali compete, vistato dal reggente del banco, o almeno dal presidente della cassa.

Art. 5. L'argento fino sarà pegno rato, valutandosi a ducati 11 la libbra, e l'oro fino alla ragione di ducati 13 l'oncia; senza tenersi conto della manifattura, per eccellente che fosse. Le gioie saranno valutate per la metà del valore che corrono in piazza, allorché sono pegnorate, senza tenersi affatto conto del lavoro; restando l'orefice apprezzatoli risponsabile della qualità e valore degli oggetti, che da esso saran pignorati.

Art. 6. In ogni pegno sarà segnato il nome e cognome del pegnorante, ed il domicilio che lo stesso indicherà; affine che si possa mandare ad avvisare, qualora così si disponga dal governo della cassa, alquanti giorni prima che deve seguire la vendita, a dippiù del cartello di avviso che ne sarà affisso nel cortile del banco. Questo avviso però si farà per mezzo dell'usciere del banco medesimo, né avrà dritto il padrone del pegno di reclamare dopo la vendita, asserendo di non essere stato avvisato; giacché, siccome nella cartella del pegno, che si consegna al pignorante, sta scritto e dichiarato, che il termine è di mesi sei, cosi dev'esser noto a ciascuno che in fine di queste prefisso termine, quando il pegno non è dispegnato o rinnovato, deve mettersi in vendita, ed il suddetto avviso si da per una sola maggior attenzione (1).

Art. 7. Allorché sarà scaduto il termine prefisso ed accordato dalla legge, ed i pegni non saranno stati o li spegnati o rinnovati, saranno essi venduti a pubblico incanto, nella piazza degli orefici,per mezzo di pubblici incantatori, liberandosi al maggior offerente, allorché l'orefice apprezzatore conoscerà che non può vantaggiarsi dippiù; restando garante il medesimo orefice pei suddetti incantatori, e restando benanche lo stesso orefice garante delle persone, alle quali vendono liberati i pegni, e dalle quali deve riscuoterne l'importo,nel momento stesso della liberazione: come il tutto sarà, dettagliatamente, dichiarato nelle istruzioni dei rispettivi impiegati dell'officina dei pegni.

Per le spese occorrenti nell'incanto, dritto degli incantatori e di presenza degl'impiegati che vi assisteranno, si riterrà, secondo l'antico solito, il due per cento (1).

(1) Posteriormente si rinunziò a questa benevola consuetudine, sostituendo, all'avviso personale, il magro compenso d'un inserzione sul giornale.

(1) Ordinanza del Reggente, IO luglio 1810, con cui si stabilisce il sistema per la consegna e vendita de' pegni di oggetti preziosi.

Informato questo signor reggente, che attualmente, nella vendita de' pegni, hanno luogo diverse irregolarità; e che contro le buone regole

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Art. 8. In ogni anno si farà l'inventario de' pegni esistenti in guardaroba, eligendosi a tal'effetto un orefice revisore, dal signor reggente del banco; dovendo intervenire a tal atto il segretario ed il razionale della cassa, ed assistervi ancora un governatore della cassa medesima. L'orefice revisore resterà garante, solidalmente coll'orefìce apprezzatoli, del valore impiegato dal banco in ciaschedun pegno, e dell'interesse corrispondente.

Le fedi di credito si stampavano nelle stanze del segretariato generale; ed il regolamento contiene minute prescrizioni per la incisione degli scudi, tiratura, stampa e conservazione, (art. 10).

Tanto per la direzione generale, quanto per le due casse, di Corte e dei privati, ci stavano un ufficio di segreteria ed un uffizio di razionalia, che ambo conducevano l'amministrazione, con incumben ze pressoché identiche. Da ciò difficoltà di scritture e perdita di tempo. Il Razionale del banco, colui che doveva amministrarne la proprietà ed incassarne gli utili e le renditeniun pagamento potrà ricevere in contanti, per conto del banco,

e contro l'antico sistema de' banchi trovansi introdotti degli abusi, che posson esser causa di gravi disguidi, giusta l'alligato rapporto fattone dall'orefice revisore de' pegni; confermando gli antichi stabilimenti, riguardanti la vendita di pegni, è venuto a risolvere quanto segue.

1.

La consegna de' pegni che vanno a calare alla vendita, la quale attualmente si fa dal guardaroba agl'incantatori, contro la buona regola, ed antico sistema dei banchi, dovrà farsi, da oggi innanzi, dagli orefici apprezzatori, nel seguente modo, cioè. Stabilita, col consenso del razionale della cassa e di concerto col medesimo, la giornata nella quale debbono calare i pegni alla vendita, nella stessa giornata, alla prim'ora della mattina, il guardaroba, unito col credenziere, dovrà consegnare agli orefici apprezzatori un numero discreto di pegni; che potrebb'essexe di 24 fino a 30 e non più, e ritirare da' medesimi la ricevuta, sul libro delle vendite. Gli orefici, dopo aversi riveduti e pesati di nuovo i rispettivi pegni, e riconosciuti in regola, cioè che gli oggetti siano i medesimi, e della stessa qualità e peso che essi han pegnorati, dovranno essi medesimi consegnarli agl'incantatori di loro fiducia, e de' quali essi sono risponsabili; ripartendone quattro o cinque per ognuno, affinché la roba sia più sicura, e tutti abbiano il tempo di bene incantarla, e procurare il maggior utile de' padroni.

2. Siccome, nell'eseguirsi la vendita in giornate addette alla pignorazione ed al dispegno, spesso accade che, terminando troppo tardi tali operazioni, tardi ancora vanno a calare nella strada degli orefici gl'impiegati che devono assistere alla detta vendita; ed allora, non essendovi più concorso di compratori, gl'incantatori dicono che non trovano più poste, e si libera il pegno, molte volte, per somma minore di quella che potrebbe aversene se vi fossero i compratori; locché forma un danno a' particolari padroni de' pegni; cosi resta risoluto; che, nelle giornate che saranno destinate per la vendita, si disbrighi, e si termini un poco più per tempo del solito la pegnorazione; affinché gl'impiegati, addetti ad assistere alla detta vendita, possano calare ad ora competente, secondo la stagione, nella strada degli orefici; onde, sotto gli occhi loro, gl'incantatori abbiano tempo di ricevere le poste e stringere i prezzi, e gli orefici abbiano tutto il tempo di esaminare se i pegni incantati sono arrivati al prezzo giusto, e se effettivamente non vi sono più poste per farli liberare.

3. Finalmente, allorché i pegni si crede di potere più avanzare, è che non devono liberarsi nella stessa giornata, per non essere arrivati al giusto prezzo, non dovranno mai lasciarsi in potere degli stessi incantatori; ma tali pegni dovranno ritirarsi dalle di costoro mani, e conservarsi da quell'orefice stesso che l'aveva già ricevuti dal guardaroba, per riconsegnarsi come sopra agl'incantatori, in un altro giorno di vendita. E dovrà inoltre badarsi, che tutta l'operazione della vendita de' pegni sia disbrigata prima delle 24 ore, affinché i particolari avventori, che voglion comprare, non si ritirino; ed in danno degl'interessi de' padroni de' pegni, non restino i soli complottanti, ad imporre sul prezzo degli oggetti che si vendono.

Quindi, per la esecuzione, ha determinato,, il suddetto signor reggente, che se ne spedisca certificato alla cassa de' privati - Visto - Carta - G. Gifuni, Segretario generale.

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ma tutto dovrà essere incassato per mezzo di polizze, e versato in madrefede" (pag. 50).

Tal regola era applicata a qualsivoglia riscossione o pagamento del banco; cosicché i clienti dovevano prima consumare mezza giornata o più, negli ufficii di cassa e notata fede, per depositare la moneta ed ottenere le polizze, quindi perdere maggior tempo, perché queste polizze fossero accettate.

*

**

4. Ciascuna cassa aveva un governo, composto da un presidente o vicepresidente e da parecchi governatori, ordinarli, straordinarii e soprannumeri; che il ministro delle finanze sceglieva a suo libito; bastando, per essere nominato, la qualità di avvocato, di possidente o di commerciante. Tutti erano funzionarli non responsabili, senza obbligo di assistenza giornaliera, che si spartivano le giornate di servizio al banco, per turno settimanale o quotidiano. Mancava dunque lo indirizzo costante ed uniforme all'amministrazione, perciocché il presidente o gOAernatore di turno, non sapeva; e non aveva sempre agio di conoscere, quali ordini si fossero dati dal collega che lo aveva preceduto. Anche meno, nel breve tempo in cui era tenuto d'assistere, poteva prendere esatta e completa conoscenza dei fatti amministrativi. Da ciò risultarono molte malversazioni, per verità poco importanti, inconvenienti d'ogni maniera, e soprattutto una sfacciataggine cl' inservienti ed impiegati subalterni a domandare e pretendere mance, a non eseguire l'obbligo loro se dall'interessato non ricevessero qualche cosa, che erano positive vergogne per l'istituto.

I presidenti poi, mentre facevano da capi nel rispettivo banco, e ne regolavano l'amministrazione, nella giornata o settimana in cui erano di turno, avevano la qualità di membri deliberanti del Consiglio di Reggenza, cioè del consesso cui era devoluta la censura dei loro atti medesimi.

Per gl'impiegati poi, un privilegio malinteso proibiva, a chi non fosse figlio o nipote d'altro impiegato, di entrare nel banco; si tollerava l'inassistenza; si permetteva di cumulare al proprio uffizio quello del compagno; si perdonavano debiti, scrocchi, indelicatezze d'ogni sorta. Al personale subalterno davano compensi assurdi, sedici o venti carlini al mese (L. 6,80 ovvero 8,50). Non essendo possibile di vivere con questo, i più svelti esercitavano la professione di avvocato, di medico, di notaio ecc.,

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altri facevano i sensali, alcuni giunsero a stabilire il domicilio lontano da Napoli, conservando l'impiego, ed una parte di quelli che venivano in ufficio o si faceva pagare dai compagni inassistenti, e raggranellava così il necessario per vivere, o si aiutava con le mance e con le indelicatezze. L'ordinamento difettoso degli uffizii, le strane formalità e soprattutto la conoscenza personale degl'individui, con garenzie delle firme, che richiedevasi anche quando non occorresse, facilitavano queste porcherie. Chi non sapeva perfettamente come fossero congegnate le scritture, e distribuite le funzioni fra varie centinaia di impiegati, si trovava nella materiale impossibilità di sbrigare qualsivoglia faccenda; e non bastava tale cognizione, perché gli affari del banco si facevano tutti con carte nominative, le quali dovevano essere firmate da persone di fiducia. La fiducia si meritava sia con le relazioni personali, sia mediante compenso. Era naturale che l'ufficio di sensale, col suo lucro, toccasse agl'impiegati stessi, ch'erano pagati così male, ovvero ad individui che spartivano con essi il provento.

Dopo tutto ciò, si operavano le promozioni col solo requisito dell'anzianità, mettendosi a capo degli uffizii persone notoriamente disadatte, per vecchiaia o insufficienza.

Gli uomini che dirigevano l'amministrazione del banco, sia come sovrani o ministri, sia come presidenti, governatori o reggenti, ispirati dal sistema del governo, ripugnavano dal modificare qualsiasi parte del servizio, ed anche quando vedevano gl'inconvenienti di qualche difettosa pratica, non ardivano di proporre novità.

Le pensioni erano calcolate nella stessa maniera che per tutti gl'impiegati civili dello stato, ed erano messe a carico del tesoro pubblico, avendo avuta il governo la lealtà di dichiarare (decreto 19 maggio 1817).

"Considerando che colla soppressione degli antichi banchi tatti i fondi dei medesimi furono incorporati allo Stato, ed in conseguenza quel diritto medesimo che gl'impiegati degli antichi banchi rappresentavano sui fondi dei banchi, lo rappresentano ora sullo stato".

Li 20 giugno, fu tolta la tassa, posta da Gioacchino, per l'emissioni delle fedi di credito e polizze, dicendo S. M:

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«Considerando noi che, secondo l'antica istituzione dei banchi, il pubblico servizio si fosse sempre fatto senza alcuna esazione di dritti; che soltanto, in tempo della occupazione militare, sia stata autorizzata l'esazione di grana 5, per ogni fede di credito, e di grana 3 per ogni polizza notata fede o mandato, nel banco dei privati; succeduto al cosi detto banco degli azionarli; e volendo noi ripristinare, per quanto è possibile, tutte le antiche instituzioni, che non si oppongano alle giuste misure di pubblica economia:

«Sulla proposizione del nostro ministro delle finanze;

«Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

«Art. 1.- Qualunque esazione per lo valore e formazione delle fedi di credito, e per le notate fedi o mandati; del banco dei privati, è abolita; a datare dal primo dell'entrante luglio, e tutto sarà fatto gratis, secondo l'antica instituzione.

«Art. 2.-Ci riserbiamo d'indennizzare il banco, su i fondi suppletori che da noi gli saranno assegnati, per far fronte a questo cespite di rendita, che viene a mancare, nell'articolo corrispondente,allo introito del suo stato discusso; qualora dall'opera dei pegni, da noi ripristinata, non ne sia pienamente compensato:».

Furono anche liberate le officine del banco dall'obbligo di far registrare le copie delle fedi o polizze.

Art. 2. La esenzione accordata, come sopra, agli uffiziali del banco, non s'intende estesa al caso di spedizione e consegna di altre carte, che non fossero estratti di partite di banco.

Li 25 agosto 1817.

Veduto l'articolo 10 della nostra legge, del 25 dicembre 1816, sul registro e le ipoteche, l'articolo 2 del nostro decreto del 21 aprile scorso, del pari che l'articolo 6 del decreto del 17 dello stesso mese.

Volendo sempre più favorire lo stabilimento del banco delle due Sicilie e render maggiormente libero il corso delle sue relazioni commerciali, come pure più agevole l'uso delle copie degli atti pubblici, spedite anteriormente all'attivazione di detta legge;

Sulla proposizione del nostro segretario di stato, ministro delle finanze;

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Gli uffiziali del banco delle due Sicilie sono dispensati dall'obbligazione; imposta a funzionarli pubblici; di far registrare; a loro cura e risponsabilità, gli estratti delle partite di banco, che possono rilasciare a' richiedenti. La spedizione e consegna. di detti estratti, sarà fatta dagli uffiziali del banco alle parti interessate, senza previo registro.

Art. 3. Gli estratti delle partite di banco saranno soggetti alla formalità del registro solamente quando se ne dovesse far uso presso qualunque autorità amministrativa o giudiziaria; farne inserzione o menzione in alcuna scrittura pubblica; ed in tal caso la parte interessata sarà tenuta di farla adempiere, ed il ricevitore di farvi apporre il visto dal giudice del circondario della residenza del ricevitore, ed in Napoli dal controloro del quartiere del ricevitore, colla retribuzione portata nell'art. 3 del detto decreto del 21 aprile in favore del cancelliere medesimo, ed in Napoli da esigersi dal ricevitore, giusta il decreto de' 2 del corrente mese di agosto.

Art. 4 Il ricevitore che, dopo il registro di questi estratti, non curasse la vidimazione del (giudice o del controloro alla sua registrata, pagherà l'ammenda di ducati sei. La mancanza però di questa vidimazione non renderà nulla e di niun vigore la registrazione seguita.

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Art. 5. Le copie e spedizioni, i certificati, gli estratti, le fedi ed altre carte, contemplate nel § 7 dell'articolo 38 della divisata legge, rilasciate dagli uffiziali _ e funzionarli pubblici, a tutto aprile ultimo, e da sottoporsi al registro, in virtù dell'art. 6 del suddetto decreto del 17 aprile, che trovansi tuttora,sfornite di quella formalità, in mano delle parti, potranno, a cura delle parti stesse, es

Le copie dovevano farsi su carta da bollo da grana sei (Sovrano rescritto 6 giugno 1818).

sere adempiute, presso qualunque uffizio, della formalità del registro; ed oltracciò dovranno essere munite del visto del giudice, del circondario del ricevitore; salvo le pene portate nell'articolo precedente, in caso d'inadempimento delle obbligazioni quivi prescritte.

Art. 6. Il nostro consigliere segretario di stato, ministro delle finanze, è incaricato della esecuzione del presente decreto.

Provvide, quell'anno stesso, il governo a confermare la inseque strabilità del danaro affidato al banco, e rappresentato, per la circolazione, da fedi o polizze. Ecco il decreto, tuttora vigente, che spesso occorre invocare, perché, nei casi di furti o dispersioni, si compilano atti d'uscieri, ed anche sentenze, non eseguibili.

Considerando che l'antica istituzione de' banchi di questa capitale, da noi definitivamente richiamata in osservanza, col decreto de' 12 dicembre 1817, ha per principale oggetto la libera circolazione, per tutto il regno, della carta rappresentante la moneta depositata nel banco delle due Sicilie, tanto nella cassa di corte, quanto in quella de' privati; e che la intestazione del nome, di colui che ha depositata la moneta descritta nei libri del banco, non pruova che continui la stessa persona a possederne il credito; per la libertà, che ha di girare la carta, data fuori dal banco, ad altri, e da questi passare ad altri possessori, senza, che il banco possa averne contezza: e quindi i sequestri, che si facessero ad istanza de' creditori dell'intestatario della moneta descritta ne 'libri del banco, anderebbero a danno de' legittimi possessori delle carte del banco, da essi ricevute come contante, sotto la garantia della buona fede del pubblico deposito.

Sulla proposizione dei nostri segretarii di stato, ministri di grazia e giustizia, e delle finanze.

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Le somme depositate nel banco delle due Sicilie non potranno essere, da qualunque funzionario o da qualunque autorità giudiziaria, sequestrate, anche ad istanza di parte; salve le disposizioni contenute nel nostro decreto de' 10 di febbraio del corrente anno, per le polizze o fedi di credito disperse.

Art. 2. Le fedi di credito e le polizze di banco neppure potranno essere sequestrate, se non nei casi e nel modo con cui può essere sequestrato il danaro contante.

Art. 3. I nostri segretarii di stato, ministri di grazia e giustizia, e delle finanze, sono incaricati della esecuzione del presente decreto.

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5. Dopo pochi giorni (27 ottobre 1817) uscì un "regolamento sulle formalità

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da osservarsi nel trasporto dei fondi pubblici, e nella loro consegna, tanto al banco delle due Sicilie, quanto ad altre casse regie".

Il banco era già divenuto istituzione affatto governativa, centro, riscontro e sicurezza di tutta quanta l'amministrazione dello Stato. Medici, servendosi con fino accorgimento delle antiche tradizioni dei Banchi, e dei loro metodi scritturali, fece che ivi fosse raccolto tutto il denaro che, per imposte dirette o indirette, dallo Stato si riscuoteva. I proventi fiscali passavano subito, dagli agenti della riscossione, ai ricevitori generali delle province, e da costoro al cassiere principale del banco; che ne prendeva nota, a credito della tesoreria generale, segnando l'introito in madrefede, e ne dava notizia al tesoriere ed al controllore generale. Similmente le spese si facevano tutte con polizze notate; e quindi gli amministratori del pubblico denaro non solamente si trovavano nella materiale impossibilità di usufruirne, o di cambiarne la destinazione; ma, con la semplice notizia delle reste in madrefede, e del carico o discarico, si potevano in brevissimo tempo conoscere le condizioni della pubblica finanza. La madrefede sul banco, con la intestazione Tesoreria Generale, era quindi un perfetto saldaconti o libro di cassa dell'amministrazione pubblica, e doveva contenere la massima parte del numerario, appartenente allo Stato e conservato a Napoli. Nelle province, alle spese pubbliche provvedevano i ricevitori. A tale proposito acconciamente osservava Nisco (1).

«Per cotesto intreccio di servizio finanziario e bancario, la disposizione degl'incassi e dei pagamenti rimaneva tutt'affatto distinta dall'esecuzione, ed a vicenda si controllavano; in guisa che, mentre da un lato, dai registri della tesoreria e della scrivania di razione, che si formavano esattamente sui bilanci, fissati in ciascun anno, per ciascun dipartimento della pubblica amministrazione, si poteva ad ogni ora avere un quadro completo delle somme esatte e delle esigibili, e di quelle erogate, ed ancora da erogarsi, per ogni capitolo del bilancio, nonché per ogni articolo, ed anche per ogni individuo; dall'altro lato la madre fede della tesoreria generale, e quella della pagatoria generale, tenute dal banco, erano i libri maestri di tutta l'attività e passività effettiva erariale; i quali, nella chiusura delle operazioni, fatta dai rispettivi cassieri, presentavano quotidianamente la reale situazione di cassa.»

Quest'era poco a fronte dell'economia di lavoro, di tempo, di spesa; della comodità e sicurezza, per lo stato e pel pubblico, che derivava dall'uso delle madrefedi.

(1) Il banco di Napoli-Lettere di Nicola Nisco, Deputato al Parlamento Italiano, pag.71.

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La finanza napoletana teneva al banco tutto il suo denaro, e quindi non le occorrevano cassieri, ragionieri, verificatori, non subiva la spesa e pericolo che accompagna la registrazione e custodia delle monete o carte valori. I pagamenti poi d'interessi, pensioni, stipendii ecc., faceva quella finanza quasi tutti con polizze notate fedi, e tale forma di mandato alla cassa escludeva le quietanze e gli accertamenti di firme, per la morale sicurezza che il vero creditore, non altri, avrebbe in seguito riscosso. A ciascun amministrazione pubblica bastava un appoderato, cioè economo e conservatore della madrefede, il quale, con molta facilità, sbrigava tutte le faccende pecuniarie; bastandogli di far registrare su quel conto corrente il credito per assegnazioni in bilancio ed il debito per polizze notate; più di scrivere le polizze stesse e consegnarle a chi spettavano.

Peccato che una scarsa conoscenza di quell'ammirevole metodo, con la smania di ridurre ad unico tipo tutti gli uffìzi pubblici d'Italia, abbia fatto rinunziare ai suoi beneficii. I contribuenti pagano molto, ma molto più, e sono peggio serviti. Per convincersi di questo fatto basta d'interrogare i vecchi creditori del fisco, specialmente i pensionisti o possessori di rendita nominativa, ovvero d'entrare in qualche cassa governativa di grande città.

L'antico appoderato, nel giorno di scadenza, aveva già pronte tutte le polizze, ed il pagamento consisteva unicamente nel distribuirle a chi, chiedendole, aggiungeva a voce sufficienti notizie. Non occorrevano firme, non si contava moneta, non si facevano registrazioni, non si temeva di frodi, non si badava ad identità di persone. La polizza era una carta valevole solamente pel vero creditore; dappoiché, senza quietanza autenticata in modo soddisfacente, il banco non avrebbe in seguito pagato. Questo creditore però non aveva bisogno di presentare il titolo all'istituto, ovvero ad altra determinata cassa, quando lo voleva barattare con moneta contante. Accettandosi dal commercio, bastavano le firme perché le polizze divenissero valori non meno circolabili dei biglietti di banca.

Grande abbondanza di depositi ne risultava per l'istituto, all'epoca in cui le condizioni della finanza eran prospere; ed il banco giunse a tenere in cassa duecento trentotto milioni di lire, che in gran parte spettavano al demanio, alla tesoreria, alla cassa depositi, agli altri diversi ufficii alla pubblica azienda, ed alla casa regnante. Ma questo carattere di cassiere di tutte le amministrazioni del regno, non era scevro d'inconvenienti, perché i ministri usavano ed abusavano della riserva metallica;

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che non apparteneva tutta allo Stato, spettandone una parte ai commercianti ed al pubblico, per depositi fatti. Pigliava la tesoreria somme a mutuo, mediante i così detti boni della cassa di servizio, che erano cambiali regie, le quali si scontavano dal banco, alla discretissima ragione del 2 per cento. Dippiù la facilitazione accordata a molti commercianti, di pagare i dazii di dogana con cambiali a tre mesi, si convertiva pine nell'invito al banco di farne lo sconto al tesoro, con interesse egualmente piccolo.

Sui denari poi dello Stato non si poteva fare grande assegnamento, perché sapevasi che breve tempo sarebbero rimasti nella cassa dell'istituto. Insomma, la tesoreria fu a certe epoche debitrice di lire trenta milioni, che s'erano quasi tutte prese dai depositi del pubblico. Le relazioni del governo col banco, lungi dal recar giovamento a quest'ultimo, furon. dannose forse allo sviluppo del suo credito; ed impedirono certamente che adoperasse i capitali a vantaggio dei cittadini.

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6. L'anno seguente fu aperta la cassa di sconto. Trascriviamo il decreto regio e le istruzioni:

Visto l'articolo 7.° del nostro decreto de' 16 dicembre 1816, riguardante l'organizzazione del Banco delle due Sicilie.

Volendo sollecitamente attivare la operazione dello sconto delle cambiali, e di altri valori commerciali, onde animare il commercio de' nostri amatissimi sudditi.

Sulla proposizione del nostro segretario di stato, ministro delle finanze Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il dì 20 luglio di questo anno, sarà aperta una cassa di sconto, sotto la immediata direzione e disposizione del reggente del banco, come opera aggiunta alla cassa di corte in S. Giacomo, a tenore delle istruzioni da noi approvate, e comunicate al reggente, dal nostro segretario di stato, ministro delle finanze.

Art. 2. L'interesse dello sconto non sarà mai maggiore del sei per cento, o sia del mezzo per cento al mese, calcolato per giorni; potrà bensì diminuirsi dal reggente del banco per centesimi, secondo le circostanze, dietro un'autorizzazione che riceverà dal segretario di stato, ministro delle finanze, e la diminuzione sarà fatta nota alla borsa, per inserirsi ne' listini de' cambii.

Art. 3. Per facilitare un tal negoziato, e dargli tutta quella estensione che è necessaria pel commercio de' nostri sudditi, la reale tesoreria fornirà, per ora, un'anticipazione di un milione di ducati al banco suddetto, e propriamente alla cassa di corte, riscuotendo, in luogo di interesse, in ogni trimestre, una quota fissa di lucri, da determinarsi dal nostro segretario di stato, ministro delle finanze.

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Art. 4. Lo stesso segretario di stato, ministro delle finanze, è incaricato della esecuzione del presente decreto.

Istruzioni per lo sconto delle cambiali e di altri valori commerciali

1.

In esecuzione del real decreto di questa istessa data, nel giorno 20 luglio di questo anno, sarà aperta la cassa di sconto nel banco delle due Sicilie, come opera aggiunta alla cassa di corte, residente in S. Giacomo.

2.

Su i fondi che la real tesoreria fornirà, a titolo di anticipazione, alla suddetta cassa, a tenore dell'articolo 3° del suddetto real decreto, la quota de' lucri in esso indicata, da pagarsi alla suddetta real tesoreria, resta arbitrata fissamente alla ragione del 9 per 100. Il dippiù del prodotto, dedotta la suddetta prestazione, e le sole spese amministrative, sarà costantemente, in ogni fine di trimestre, investito in compra d'iscrizioni sul gran libro, e mano mano che se ne sarà fatto l'acquisto, sarà trasferito alla general tesoreria, in estinzione del fondo improntato, e minorata per conseguenza la trimestrale prestazione, finché, estinta l'anticipazione, il fondo della cassa non sia più soggetto a prestazione alcuna.

3.

Sarà, per tale oggetto, aperta una madrefede nella cassa di corte, a disposizione del reggente del banco, coi fondi che, per detta anticipazione, gli verranno somministrati dalla real tesoreria.

4.

Le cambiali da scontarsi dovranno essere traettizie, con tre firme, pagabili in Napoli, ed accettate dai trattarli; o biglietti ad ordine di commercio, colla stessa qualità di tre firme; né potranno avere scadenze più lunghe di tre mesi a scorrere.

Saranno parimenti suscettibili di sconto le cambiali del governo, sulle ricevitorie generali di Capua, Salerno ed Avellino, all'ordino de' privati, dopoché, a loro cura, saranno state accettate. Saranno parimenti ammessi allo sconto i boni della cassa di servizio. E finalmente potranno essere suscettibili di sconto le rendite del gran libro, quando non rimangono a scorrere che soli tre mesi per la maturazione; ossia non potrà farsi lo sconto per lo primo semestre, di maturazione al primo di luglio, che dal primo di aprile in poi; e per lo secondo semestre, di maturazione nel primo di gennaio, che dal primo di ottobre in poi.

L'interesse dello sconto è stabilito a non oltre del sei per cento, o sia del mezzo per cento al mese, calcolato per giorni; restando non però in arbitrio del reggente del banco, coll'approvazione del segretario di stato, ministro delle finanze, di diminuirlo per centesimi, a misura delle circostanze, facendosi palese alla borsa, ed inserendosi ne' listini dei cambi.

Pei valori de' quali domanderà lo sconto la tesoreria generale e le altre amministrazioni finanziere, l'interesse sarà del tre per cento, o sia di un quarto per cento al mese.

Per le cambiali sulle ricevitorie di Capua, Salerno ed Avellino, che si sconteranno dai possessori, sarà cab colato lo sconto per cinque giorni di più della scadenza, e sarà fatta una ritenuta, per compenso del trasporto del numerario alla cassa del banco, di quindici centesimi, o sia grana quindici per ogni cento ducati; e pelle rendite sul granlibro, senza distinzione di numeri, sarà calcolato lo sconto per dieci giorni di più, in conseguenza dei modi dei pagamenti de' semestri, che per la multiplicità dei numeri si eseguono ordinariamente nel corso di venti giorni.

5. Il segretario di stato, ministro delle finanze, nominerà una commissione di quattro negozianti per lo meno, i quali saranno incaricati di esaminare le cambiali

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ed altri valori eia scontarsi; la quale, trovandoli in regola commerciale, buoni ed ammissibili, darà il suo parere, in iscritto, in piedi dello stato, o sia borderò di cui si fa menzione nel seguente articolo, restando non solamente i negozianti, sul loro onore, ma moralmente risponsabili della regolarità e della bontà degli effetti ammessi allo sconto.

Ciascuno di essi riceverà, per tale incarico, una gratificazione annuale di ducati seicento pagabili, o per seduta; o nelle circostanze di Pasqua e Natale, o in altro modo che dal eletto nostro ministro, d'accordo colla commissione, sarà determinato.

6. Un agente di cambio, da destinarsi dal reggente del banco, e da approvarsi dal ministro di finanze, nel lunedì di ciascuna settimana; riceverà i valori che vorranno scontarsi, e ne formerà uno stato o sia borderò, nel quale designerà il nome dello accettante, quello della persona che domanda lo sconto, la somma da scontarsi, il giorno della scadenza, e l'ammontare dello interesse, calcolandolo dal prossimo venerdì al giorno seguente alla scadenza; inclusive; e per le cambiali sulle ricevitorie di Salerno, Avellino e Capua, coll'addizione di altri cinque giorni, più la ritenuta, per compenso di trasporto, dei quindici centesimi; e per la rendita dei gran libro, coll'addizione dei dieci giorni. Rimarrà l'agente risponsabile della verità della firma dell'accettante e del girante alla cassa.

L'agente sarà benanche nel dovere di consegnare, per la sera dello stesso giorno, siffatto stato, colle corrispondenti cambiali, al primo in nomina tra i negozianti componenti la commissione, stabilita coll'articolo precedente; il quale la riunirà la mattina seguente, o nel locale di S. Giacomo, o in altro luogo che crederà opportuno, onde scrutinare i(valori, dichiarando quelli che troveranno buoni ed ammessibili, e restituendoli nella giornata seguente, coll'enunciato stato dell'agente.

Non sarà vietato, ai possessori degli effetti da scontare, di procurarsi direttamente, dalla commissione dei negozianti, senza l'intelligenza dello agente, l'approvazione; rimanendo sempre obbligati, dopo l'approvazione della commissione, di passare i eletti effetti allo sconto, per mezzo dell'agente anzidetto, onde non nasca alcun dubbio sulla verità delle firme.

7. Tutte le cambiali, che si troveranno approvate dai negozianti deputati, nel modo sopraindicato, saranno,prilli a della sera del mercoledì, passate dall'agente dei cambii alla Razionalia della reggenza, con uno stato simile a quello prescritto col l'articolo antecedente; ed il contabile, trovandolo esatto, per quanto riguarda la calcolazione, farà sottoscrivere dal reggente, e notare le corrispondenti polizze, per la somma scontata, dedottone l'interesse; e per le cambiali delle ricevitorie di Salerno, Capua ed Avellino, e per le rendite del gran libro, la sopradetta ritenuta; quali polizze consegnerà allo agente la mattina dei venerdì, tenendo un esatto registro di tutti i nomi di coloro ai quali si sono scontati i valori, degli accettanti, e delle somme accredenzate; qual registro sarà ostensibile alla conimessione dei negozianti, sempre eh è lo richiederà.

8. Le cambiali delle quali la tesoreria generale o altre amministrazioni domanderanno lo sconto, saranno rimesse direttamente, con lettera del tesoriere generale, o dei rispettivi direttori, al reggente del banco, con in piedi se ne permette lo sconto, firmato dal ministro di finanze, con borderò calcolato dallo stesso agente; e ne sarà fatto lo sconto senza passare allo esame della commissione. Le polizze saranno rimesse alla tesoreria generale, ed alle rispettive amministrazioni per mezzo dello stesso agente dei cambii.

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9. Verrà nominato, dal reggente istesso, un esattore delle cambiali, e dei sopradetti effetti commerciali.

All'esattore, nel giorno precedente alla rispettiva scadenza, saranno gli effetti consegnati dal razionale della reggenza, contro suo ricevo; ed egli dovrà, sotto la sua risponsabilità, alla scadenza, esigerne il pagamento dallo accettante; ed in caso di rifiuto farà, tra le ore 24 susseguenti alla scadenza, purché non sia festa di doppio precetto, adempire al protesto per mancanza di pagamento, ai termini degli articoli 1(31, 162, 173 e 174 del primo libro del codice di commercio, provvisoriamente in vigore.

Nel giorno seguente a quello del protesto, l'esattore consegnerà al contabile della reggenza le cambiali protestate,unitamente all'atto di protesto, e questi prenderà immediatamente gli ordini del reggente, per astringersi chi di dritto, ai termini della legge in vigore.

10. Per le cambiali scontate per conto delle amministrazioni finanziere, l'esattore, fatto eseguire nel modo anzidetto l'atto di protesto per mancanza di pagamento, le presenterà alle amministrazioni cui sonosi scontate, e ne esigerà prontamente il pagamento.

11. Tanto i negozianti componenti la commissione, quanto lo agente dei cambii addetto allo sconto, nel caso di fallimento dell'accettante, saranno nel dovere di renderne avvertito immediatamente il reggente, onde possa lo stesso far eseguire il protesto, ed istituire la sua azione, ai termini dell'art. 163 del detto primo libro del citato codice.

13. Le somme, che introiterà l'esattore, saranno passate, con polizze, al contabile, il quale, verificatane l'esattezza, le farà introitare nella madre fede indicata nell'articolo 3°. e discaricherà l'esattore delle corrispondenti cambiali, al medesimo consegnate; come pure gli saranno discaricate quelle che avrà riconsegnate al contabile stesso, protestate, nel caso preveduto dal precedente articolo 0.

Il premio dell'esattore, in cui ogni spesa è compresa, verrà fissato dal reggente, ed approvato dal ministro delle finanze, e provvisoriamente sarà calcolato a carlini 4 per ogni mille ducati di esazione.

14. L'agente dei cambii destinato non potrà esigere altro dritto, su i valori che si scontano, sotto qualsivoglia titolo, oltre quello di grana 50 per ogni ducati mille, che avrà pagato colui al quale si sono scontati i valori. La cassa di sconto pagherà all'agente anzidetto, per ogni ducati mille di effetti scontati, grana venti, senza che possa pretendere altro, non ostante qualunque uso di commercio e stabilimento in contrario.

Per le cambiali ed altri effetti che saranno scontati per conto della tesoreria, gli saranno dalla tesoreria pagate grana venti per ogni mille ducati, e dalla cassa grana 5.

15. In fine di ogni settimana, il reggente del banco rimetterà uno stato, 0 sia bilancio sommario della cassa, al ministero di finanze, in doppia spedizione, secondo il modello che dal eletto ministero gli sarà rimesso.

Delle due' spedizioni, una sarà conservata nel ministero, e l'altra sarà rimessa al tesoriere generale,per conservarla, e per farvi quelle osservazioni che crederà conducenti per la sicurezza del capitale somministrato dalla tesoreria.

16. Le istruzioni per lo sconto delle cambiali, approvate in data dei 26 febbraio 1817, sono rivocate, per tutto ciò che non corrisponde alle presenti.

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Poi si creò il posto di Agente Contabile (decreto 30 giugno 1818). Questo ufficio accrebbe le complicazioni amministrative, perciocché;Tutti i mandati di esito, di qualunque natura essi sieno, e le altre carte contabili, relative tanto all'introito che all'esito, dovranno, oltre la firma del Reggente, avere anche la firma dell'Agente Contabile; beninteso però che la firma del Reggente non lo esonererà (l'Agente) di essere responsabile della regolarità dell'introito e dell'esito

7. Alle regole per lo sconto delle cambiali fece il Ministro aggiungere quelle per le anticipazioni contro pegno di rendita pubblica.

Ordinanza.

Il Segretario di Stato, Ministro, delle Finanze, volendo rendere suscettibili di pegnorazione, come tutti gli oggetti preziosi, gli estratti di iscrizioni sul Gran Libro del debito pubblico, ed i certificati di rendita delle due Amministrazioni Napoli tane; da eseguirsi detta pegnorazione nella Cassa di Sconto, come opera aggiunta alla medesima, ordina quanto segue:

Art. 1. Gli estratti d'iscrizioni suddetti, per i quali non si sarà mai rilasciato duplicato, da giustificarsi a cura del pegnorante, ed i certificati delle due Amministrazioni, potranno essere pegnorati, nella Cassa di Sconto, per lo termine non più lungo di mesi tre.

Art. 2. Sarà in libertà dei possessori, tanto degli estratti che (Te' certificati delle Amministrazioni, di domandare sulle medesime la somma di cui possono aver bisogno, purché non ecceda quel che si pratica nel Banco de' privati, cioè la proporzione tra la somma richiesta ed i pegni dei metalli preziosi e gemme; ed a togliersi ogni quistione sul valore corrente di dette iscrizioni e certificati, potrà essere domandatala somma, fino alla concorrenza di ducati 60 per ogni ducati 5 di rendita.

Art. 3. L'interesse sopra tali pegni sarà quell'istesso ch'esige il detto Banco de' privati per i metalli preziosi e le gemme, come sopra, cioè del sei per cento l'anno, per rata di giorni.

Art. 4. Le operazioni necessarie per l'esecuzione dei pegni saranno fatte dall'agente della Cassa, signor D Pietro Giannelli; il quale non potrà esigere altro dritto se non quello che riscuote dai particolari, per lo sconto delle cambiali.

Art. 5. Nell'atto della pegnorazione, sarà formata una cartella a tallone, contenente le indicazioni precise delle carte pegnorate, segnata in ambedue le parti dal pignorante, il quale ne riterrà una per sua cautela; e l'altra, ossia il tallone, rimarrà in potere della Cassa, per notar visi l'estinzione nell'atto del dispegno.

Art. 6. Se però, elasso il termine de' tre mesi, non avrà l'interessato curato di eseguirne la spignorazione, potrà la Cassa, in forza di una dichiarazione del pignorante, che verrà espressa in detta cartella, procedere, qual sua procuratrice, alla vendita o intestazioue in di lei beneficio della rendita pignorata; ritenendo, dal prodotto in capitale di essa, la sorte principale, l'interesse e le spese, e restituendo il dippiù, quando sarà richiesto dal proprietario.

Napoli li 24 agosto 1818 -Il Segretario di Stato,Ministro delle Finanze - DE MEDICI.

Regolamento.

Art. 1. Quante volte un particolare, intestatario di una iscrizione qualunque sul G. Libro del debito pubblico (purché non l'abbia immobilizzata per cauzione o per altra causa)

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voglia pignorarla nella Cassa di Sconto, dovrà chiedere il Direttore Generale del G. Libro, e da costui subito rilasciarglisi, un certificato, in carta d'officio, senza necessità né di bollo né di registro, da cui venga costatato quanto dalle scritture di quella dipendenza si rileva sull'assunto; e precisamente che, per siffatta iscrizione non sia stato mai rilasciato il duplicato estratto, nel qual caso sarà negato un tal certificato.

Art. 2. Appena che dal Direttore del G. Libro sarà stato rilasciato il certificato suddetto, dovrà, dagl'impiegati di quella dipendenza, sotto la loro più stretta responsabilità, prendersi minutamente ragione, sulle scritture di loro carico, di siffatta circostanza; per impedirsi in ogni tempo, e finché questo notamento non venga cancellato come in appresso si dirà, di rilasciarsi duplicato de' dinotati estratti, di che rimarranno essi garanti.

Art. o. Colui che avrà ottenuto il suddetto certificato lo presenterà, insieme coll'estratto d'iscrizione di cui è intestatario, all'Agente della Cassa di Sconto, al quale dimanderà di volerne pignorare l'importo, nel modo istesso come il Banco de' privati riceve in pegno i metalli preziosi e le gemme, cioè coll'interesse del 6 per cento l'anno, per rata di giorni.

Art. 4. L'Agente della Cassa, ricevuta tal richiesta, conteggerà la valuta della suddetta iscrizione, al prezzo non maggiore di ducati 60 per ogni ducati 5 di rendita, e sarà in libertà del proprietario di domandare il pagamento, contro il suddivisato pegno, o del risultato intiero della somma conteggiata come sopra, o di altra minor quantità, di che ne sarà,dall'Agente suddetto, fatta menzione in dorso del suo borderò di conteggio.

Art. 5. Il disposto nell'articolo precedente è comune anche ai certificati di rendita delle due amministrazioni Napolitane; li quali però, siccome sono intestati a favore del portatore, non avranno perciò bisogno del certificato, prescritto nell'articolo 1°, o di altro documento qualunque; e soltanto rimarrà a cura e risponsabilità dell'Agente della Cassa di assicurarsi della loro veracità, affine di evitarsi la ricezione, forse, di alcuno di essi falso.

Art. 6. Il pegno, per la somma indicata nell'articolo 4°, e coll'interesse suddetto del sei per cento l'anno, per rata di giorni, non potrà eccedere la durata di tre mesi; e, per cautela tanto della Cassa quanto dei pignoranti, sarà a costoro rilasciata una cartella a tallone, eguale al modello qui annesso, segnata in ambedue le parti da' suddetti pignoranti, e che indichi tutte le circostanze necessarie per dinotare la qualità della carta pignorata.

Art. 7. Una delle parti di detta cartella sarà ritenuta dal pignorante, e l'altra rimarrà presso la Cassa; per avvalersene o a notarci il dispegno, allorquando sarà effettuito, oppure a farne uso, quante volte, elasso il termine di tre mesi, non si presentassero a spignorarlo; per ottenere in beneficio di detta Cassa l'intestazione o la vendita della rendita pignorata, e cosi rifarsi la medesima delle somme anticipate, dell'interesse e delle spese, conservando il dippiù, se ne avanzi, per restituirsi a chi si appartiene, quando sarà richiesto.

Art. 8. Per l'esecuzione del prescritto nell'articolo precedente, dovrà il pegnorante dichiarare, in detta cartella, e prestare il suo fermo consenso, che laddove si facesse il caso suddetto, dell'elasso de' tre mesi, possa la Cassa, qual sua procuratrice, procedere, senz'altra formalità, alla vendita o intestazione espressata delle carte pignorate.

Art. 9. Se però l'interessato sarà esatto a ritirare, nel termine di rigore, la carta pignorata di sua proprietà, dietro il corrispondente pagamento della sorte principale ed interesse, in tal caso, gli sarà data dalla Cassa la debita quietanza, in piè della parte della cartella di pegno


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rimasta presso detto interessato; per potersene costui avvalere a presentarla alla Direzione del G. Libro, e cosi far cancellare in quella Dipendenza il notamento preso, in forza dell'art. 2°, cioè di non potersi rilasciare duplicato degli estratti d'iscrizione pignorati.

Art. 10. L'importo dell'interesse del pegno dovrà dalla Cassa essere esatto nell'atto del dispegno, al termine di tre mesi, quando per mancanza di esso, si procederà alla vendita o intestazione delle carte pignorate, e giammai potrà pretendersene ritenuta alcuna dal pagamento della pignorazione.

Art. 11. Per far si che durante il termine di rigore pei pegni degli estratti d'iscrizione, o de' certificati di rendita delle due Amministrazioni Napolitane, possa il proprietario di tali carte riscuotere il semestre dell'annualità pignorata, sia direttamente dalla Direzione del G. Libro, sia dalle suddette Amministrazioni, qualora venisse contemporaneamente a maturare tal semestre, limane stabilito che l'intestatario delle iscrizioni debba, in questo caso, al momento che egli ne chiede il pegno, provvedersi dalla suddetta Direzione di un borderò corrispondente a detto semestre, prescritto nelle istruzioni approvate da S M. in data de' 3 corrente agosto, per lo sconto delle rendite, e che il proprietario de' certificati ritenga presso di sé il cupone che dalle suddette Amministrazioni suol consegnarsi per la riscossione delle annualità.

Art. 12. Siccome i luoghi pii, ed i corpi morali, sono per legge inabilitati a poter alienare le loro proprietà, così rimangono essi esclusi dal beneficio della pegnorazione degli estratti d'iscrizione appartenenti ai medesimi.

Art. 13. L'Agente della Cassa non potrà, per la sua opera necessaria di siffatti pegni, giusta il prescritto nell'articolo 4°, esigere altro dritto, intieramente a carico dei particolari, se non quello stesso che riscuote dai medesimi particolari per lo sconto degli effetti commerciabili, senza che la Cassa sia tenuta, per la sua parte, di niente corrispondere al detto À gente.

Art. 14. Per la vendita poi degli estratti d'iscrizione o de' certificati di rendita, che non venissero spignorati nel termine di rigore, l'Agente suddetto esigerà, a carico intieramente del proprietario di tali cartel quell'istesso dritto che suole per costume della piazza pagarsi generalmente in questi casi, senza che la Cassa debba essere assoggettata a spesa veruna.

Napoli li 24 agosto 1818 - Il Segretario di Stato, Ministro delle Finanze - DE MEDICI.

8. La Cassa di Sconto ebbe, prima della rivoluzione del 1K20, un capitale disponibile di Duc. 3,250,000; avendo il Banco aggiunto al milione di prestito dello Stato altri Duc. 1,400,000 nel 1818, che salirono a Duc. 2,450,000, nel 1819 e 1820, presi in parte dai depositi apodissarii, ed in parte ottenuti dalla circolazione dei suoi titoli di debito.

La valuta delle cambiali giunse a D. 3,930,220,72 nel 1818, D. 12,529,724,55 nel 1819 e D. 1,819,208,71 nel 1820. Quella dei pegni a Duc. 909,588 nel 1818, D. 1,225,225 nel 1819, e D. 605,200 del 1820.

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Gl'interessi, computati a favore della cassa, bastarono per pagare quello che pretendeva il fisco, a titolo di frutto del suo milione, e lasciarono un discreto margine per le spese amministrative.

Ma la massima delle mentovate somme fu presa dalla Finanza.

Riferisce il signor Del Re (1), che le spese straordinarie, subite dai Napoletani, pel trattato di Casalanza e ritorno di Ferdinando furono:

Riunione delle truppe di fanteria, cavalleria, artiglieria e treno (vale a dire spese straordinarie per la fusione dell'esercito Napoletano con le milizie di Sicilia) ….......

D. 5,750,000,-

Id. per la marina.............................................................. " 1,447,000,-

Rimborso di spese tollerate dalle Alte Potenze

alleate …..........................................................................

"

6,000,000,-

Per le spese e servizi d'illustri personaggi e negoziatori......................................................................

"

2,261.000,-

Compenso agli emigrati.................................................. " 200,000,-

Mantenimento delle truppe Austriache,

anno 1815........................................................................

"

1,154.167,61

" 1816........................................................................ " 2,144,832,14

" 1817........................................................................ " 1,645,204,25

D. 20,602,204,-

9. Gli archivi dei banchi, che avevano subite molto peripezie per le soppressioni del 1806 e 1808; come pure per le vendite d'alcuni edilizi, e precipitosi sgombri d'altri, trovarono alla fine convenevole stanza, nel locale Monte dei Poveri, colf esecuzione del decreto 29 novembre 1819.

Visto l'articolo 3° del nostro decreto de' G luglio 1818, col quale ci riservammo di ripristinare l'opera de' pegni di ferro, rame, pannine, telerie, stoffe di seta ed altro, subitochè fosse pronto un comodo ed adatto locale da destinarsi a tale uso. Veduta la nostra Sovrana risoluzione de' 5 aprile del corrente anno, colla quale approvammo il progetto rassegnatoci dal Reggente del banco, di riunirsi nel locale del soppresso Banco de' Poveri l'archivio generale di tutt'i Banchi soppressi, non che quello del Banco delle due Sicilie e del Banco S. Giacomo;

(1) Descrizione fisico, politica ed economica del Regno.

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e ciò non solo pe' grandi vantaggi che risultano dalla riunione in un locale solo di tutte le scritture de' Banchi, ma per rendere ancora sgombra quella parte del locale del Banco della Pietà che ora viene occupata di tali carte; per addirla in seguito all'opera de' pegni di ferro, rame, telerie, pannine, stoffe di seta, ed altro.

Veduto l'altro rapporto del Reggente, del di 25 del passato mese di ottobre, con cui si rinnova il progetto dell'archivio suddetto, e dell'opera de' pegni di sopra espressa.

Sulla proposizione del nostro Consigliere, Segretario di Stato, Ministro delle Finanze.

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il locale del soppresso Banco de' Poveri è interamente destinato ad uso dell'Archivio Generale di tutt'i Banchi, tanto soppressi, che di quelli attualmente esistenti; come anche di qualche altro Banco che in appresso venga a ripristinarsi.

Art. 2. In conseguenza dell'articolo precedente, quella porzione del suddetto locale che ora èaddetta in supplemento dell'archivio generale del Regno; verrà sgombrata, e sarà data in vece a questo archivio una porzione della contigua casa, detta Cuomo.

Art. 3. Similmente, tutti coloro che attualmente godono abitazione nel locale suddetto, a qualunque titolo, dovranno uscirne nel di 4 maggio dell'entrante anno 1820; ed ove sia loro dovuto, per dritto legalmente riconosciuto, compenso, in luogo dell'abitazione che lasciano sarà data ai medesimi un'equivalente abitazione in altre case appartenenti al Banco, o in altro modo che si crederà conveniente.

Art. 4. Rimasto sgombro il locale mentovato, si metterà subito mano per adattarlo ad uso dell'archivio mentovato; assegnandosi, colle convenienti distinzioni, una porzione a ciascun Banco; avendosi riguardo ai Banchi attualmente esistenti, pei quali si deve assegnare uno spazio atto a contenere non solo le carte che ora vi sono, ma benanche le successive.

Art. 5. Passate, in detto archivio generale de' Banchi, le carte di alcuni soppressi banchi, che ora sono nel Banco della Pietà, il locale che queste occupano verrà subito adattato all'opera de' pegni di sopra espressi.

Art. 6. La somma di Duc. 21650, arbitrata preventivamente per adattare il locale del Banco de' Poveri ad uso dell'Archivio generale de' Banchi, e per adattare ad uso de' pegni la parte accennata del locale del Banco della Pietà, come pure per adattare quella parte della casa Cuomo che viene assegnata all'archivio generale del Regno, sarà prelevata dagli utili della cassa di sconto, per la somma di ducati 19150; cioè ducati 11230, che avanzano da'ducati 35230 ammessi nello stato discusso di questo anno, ed altri ducati 7920 dagli utili di detta Cassa nell'anno venturo, ed i rimanenti ducati 2500, sono quei medesimi che, nello stato discusso del Ministero degli Affari Interni, sono ammessi per gli accomodi necessarii nella casa Cuomo.

Art. 7. Appena sarà resa adatta la parte del locale del Banco della Pietà addetta all'opera de' pegni, il Reggente del Banco farà subito ripristinare l'opera medesima, ammettendo i pegni di ferro, rame, telerie, mussoline, pannine, e stoffe di seta; però in pezze soltanto, sieno sane o dimezzate.

Art. 8. Per tali pegni sarà riscosso il 6 per 100, a rata dì giorni, in considerazione delle gravi spese cui l'economia dell'amministrazione di questa specie di pegni è soggetta.

Art. 9. Il nostro Consigliere Segretario di Stato, Ministro delle Finanze, è incaricato dell'esecuzione del | presente decreto.

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Già il ministero, con altro decreto del 6 luglio 1818, aveva promesso di apprestare un comodo ed adatto locale per ripristinarvi l'opera dei pegni di ferro, rame, pannine, telerie, stoffe di seta e simili" ma non trovava siffatto locale nell'edificio della Pietà, ovvero di San Giacomo, per la ragione, che tutte le guarda robe, o magazzini dei pegni, s erano utilizzate per la scrittura, collocandovi i registri e documenti dei cinque istituti distrutti. San Giacomo specialmente, lungi dall'offrire capienza, non aveva nemmeno una stanzuccia pel Direttore, e non poteva contare sullo stesso insufficiente suo locale perché intendevano di togliergli molti saloni, che presto effettivamente gli tolsero, colla costruzione, già incominciata, del palazzo dei Ministeri.

Il Reggente, Comm. Carta, prima fece pratiche per comperare certi suoli e case dirute, adiacenti al Banco della Pietà, per ingrandire quell'edificio, e farlo capace delle scritture e pegni; ma. ricordando poi ch'era quasi vuoto l'immenso locale del Monte dei Poveri, propugnò la destinazione di esso per archivio generale dei banchi.

Molta fatica e spesa costò l'ordinamento di questo archivio, per la ragione che, dopo la catastrofe del 1794, i volumi e documenti avevano parecchie volte cambiato posto. Considerando il fisco come cosa propria gli edifizi dei sette monti, specialmente dopo il decreto abolitivo 20 maggio 1808, certe pubbliche amministrazioni, qualche istituto di beneficenza, ed anche parecchie famiglie d'impiegati regi, ne avevano occupato le stanze, facendo aspro governo di carte o registri, che per loro costituivano fastidioso ingombro. Ma ora le scritture apodissarie, cioè le collezioni dei titoli pagati e deilibri maggiori, squarci, pandette, giornali, bilanciecc. sono quasi complete; stanno in buon ordine, con diligente distribuzione, per banco e per date cronologiche.

Le cure della Direzione furono anche volte a ricuperare le carte che mancavano per fatti anteriori al 1794. Dopo grandi insistenze, si sono ottenuti li documenti del Banco di S. M. del Popolo, per gli anni di gestione municipale, 1623 a 1635, che il Comune di Napoli, da quel tempo, conservava nel suo archivio a S. Lorenzo; ed anche le filze ed i volumi del Banco dell'Annunziata, i quali, fino al 1868, sono stati nelle mani dei sindaci dei creditori apodissarii, giusta i patti del 1716.

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Per collocare bene tanta roba, e trovare posto alle carte più recenti, si è allargato l'edifizio del Monte dei Poveri, mediante l'aggiunzione della casa Cuomo, antica proprietà del Banco Poveri, che pel decreto 1819 avrebbe dovuto assegnarsi all'archivio di Stato, nonché colla compra di molte case adiacenti.

L'archivio generale contiene certamente la più ricca collezione di documenti bancarii che vi sia in tutto il mondo. Centinaia di saloni e di stanze bastano appena per l'enorme mole di volumi e pandette; e questi volumi non solamente sono garentia di quanti abbiano concluse faccende per mezzo del Banco, ma eziandio costituiscono valido documento per quasi tutte le famiglie dell'ex reame; e sono pure una ricca, pressoché inesplorata, miniera di preziose notizie storiche e biografiche.

Ignorato, quasi, dai paleografi, si ricorda ai Napoletani pel bisogno continuo di prendere copia di antichi e recenti contratti. Ben dice il signor Pietro Aiello (1) che "Pochissimi vi hanno fatto ricerche per soli scopi scientifici; eppure nessun altro archivio, o biblioteca, potrebbe fornire notizie e documenti così importanti per la storia dell'economia politica, e specialmente del movimento e dei progressi economici delle nostre province meridionali, in materia di credito e di banche. Questo archivio, si può dire giustamente col Somma,costituisco, un monumento che fa gloria alla nazione; e spero che non si farà rimprovero di spirito municipale, me non napoletano,se aggiungo che nessuno potrà pretendere di scrivere completamente di credito e d'ordinamenti bancarii, e della storia economica d'Italia, che non abbia studiato ed esplorato nei suoi innumerevoli scaffali, che sono come una terra vergine, per l'economista e pel giurista.,,

Più diligente studio meritano le pergamene, ed i volumi di scrittura patrimoniale, o di corrispondenza amministrativa, testé messi in regola. Questi contengono la vera storia civile del Mezzogiorno d'Italia. All'attuale Segretario Generale Comm. Gennaro Marino, spetta la gloria d'aver fatto dissepellire tanti preziosi documenti. dei quali s'ignorava l'esistenza, perché, fin dal principio di questo secolo, quando i francesi soppressero i banchi, I avevano affastellati in sudice ed oscure stanzaccie.

(1) I depositi, le fedi di credito e le polizze dei banchi di Napoli, saggio dell'avv, Pietro Aiello. Fascicoli di novembre e dicembre 1882 della rivista il Filangieri.

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10. Li 27 febbraio 1820, tu pareggiato il banco alle opere di beneficenza con decreto che gli concedeva eguali privilegi per la riscossione delle rendite o crediti, e per la coazione dei debitori.

Si approvavano poi (13 maggio 1820) le regole sui pegni di tessuti e di metalli non preziosi, dov'è detto:

Art. 1. Nel locale dell'abolito Banco della Pietà, ora Cassa de' particolari, sarà aperta la nuova opera della pignorazione del ferro, del rame, ed altri metalli, in verghe o lavorati, e delle pezze, sieno sane sieno dimezzate, di ogni specie di telerie, mussoline, pannine, stoffe e balle di seta, merletti, cosi di seta che di filo, e dippiù dei galloni di oro o di argento. I pegni potranno farsi dalla somma di carlini dieci in sopra.

La valutazione, sopra ogni pegno, sarà fatta pel valore da potersi ritrarre in piazza, in ogni circostanza di vendita, senza tenersi affatto conto della manifattura, per gli oggetti lavorati.

Art. 2. Sopra ogni pegno sarà pagato al Banco l'interesse del sei per cento, calcolato per rata di giorni, relativamente al danaro prestato, nel modo e forma che si pratica pei pegni delle materie preziose.

Art. 3. I pegni non potranno farsi per la durata più lunga di mesi sei, elasso i quali dovranno dispegnarsi. Qualora il pignorante, in fine del termine accordato, volesse rinnovare il pegno, e dall'apprezzatoli sarà riconosciuto, sotto la sua risponsabilità, di esserci la stessa capienza pel valore, potrà farlo, pagando l'interesse decorso; e questa operazione dovrà eseguirsi come se fosse un nuovo pegno, come anche praticasi pei pegni delle materie preziose, a' termini dell'articolo 3° del regolamento approvato da S. M. per l'opera de' pegni suddetti.

Art.4. Il servizio di questa pignorazione sarà ripartito in due officine: la prima è destinata pei pegni delle pezze di telerie, mussoline, pannine, stoffe e balle di seta, merletti e galloni; l'altra per quelli di ferro o di rame o di altro metallo, in verghe o lavorato.

Art. 5. Vi saranno nelle due officine i seguenti impiegati:

Un Custode, che veglierà all'uffizio della pignorazione delle telerie, mussoline ecc.

Un Vice Custode, che baderà a quello della pignorazione del ferro, del rame ecc.

All'immediazione di questi due uffiziali saranno addetti due ajutanti e 4 soprannumerari.

Un Credenziere, il quale avrà un aiutante e 4 sopranumerari.

Un liquidatore degl'interessi.

Un Cassiere, che terrà presso di se uno squarcio di cassa e due sopranumerari.

Due Apprezzatori, uno addetto all'officina dei pegni di telerie, pannine ecc., ed uno a quella de' pegni di ferro, di rame ecc.

Altri due Apprezzatori straordinarii.

Quattro facchini, due per officina.

Art. 6. Quelli tra sopradetti impiegati che dovranno prestare le cauzioni, secondo vien prescritto ne' titoli seguenti, la daranno colla immobilizzazione di ducati cinque di rendita iscritta sul G. L. del debito pubblico per ogni ducati cento di cauzione, ai termini del Real Decreto del giorno 20 luglio 1818. Un particolare regolamento amministrativo fisserà gli averi de' suddetti uffiziali. I loro carichi sono dettagliati negli articoli seguenti.

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Seguono altri trentotto articoli d'istruzioni per gl'impiegati, che non occorre di riferire, avendo il Banco mutato quelle regole, dopo la fondazione della cassa Donnaregina.

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11. La rivoluzione del 1820 fece sospendere il lavoro di sconto, i pegni, e, per poco tempo, pure il pagamento a vista delle polizze. Fin dai primi giorni del pronunciamiento militare, le condizioni del Banco divennero difficili; com'è provato da questa lettera del Reggente.

7 Luglio 1820. - N.° 655 (vol. 1156 dell'Archivio). - Eccellenza - Le attuali circostanze dello Stato, avendo prodotto uno straordinario concorso di creditori apodissari del Banco, che vengono a ritirare il loro danaro, mi mettono nel dovere di rassegnare a V. E. che l'attuale debito della Cassa di Corte, verso i suoi creditori apodissari, ammonta alla somma di D. 3,860,879,34; e che, per far fronte a questo, vi è la somma di D. 1,189,397 in numerario effettivo; altri ducati 185,425,48 che si devono versare dalla Regia Zecca; altri Duc. 423,119,06 che si devono introitare dalla cassa dei particolari, per riscontri di quella cassa pagati; altri D. 1,475,298,46 impiegati a varie diverse operazioni della Cassa di Sconto e che si andranno introitando nelle scadenze. Gli altri D. 83,000, accreditati a vuoto sotto le fedi di rame della R. Tesoreria, negli anni 1815 e 1816; ed i rimanenti D. 487,932,92, che si compongono cioè D. 280,000 in argento e D. 207,932,92 in rame, sono di effettivo vuoto, residuo di quello formato nel 1803, e non ancora ripianato."

"Egualmente, il debito della Cassa dei particolari, verso i suoi creditori apodissarii, è nella somma di D. 1,504,891,67; cioè ducati 423,119,06 che deve alla Cassa di Corte, D. 1,081,772,61 ad altri creditori particolari. Ai quali fanno fronte D. 540,742,67 che esistono in numerario effettivo e D. 964,149 che trovansi impiegati nell'opera dei pegni; cioè D. 952,264 a quelli di gioie, oro ed argento, e D. 11,885 a quelli di pannine, telerie e metalli, cominciati nel dì 12 dello scorso giugno."

"Queste somme, impiegate alle opere suddette, istituite con Sovrani Decreti, tanto nella Cassa di Corte, quanto in quella dei particolari, aneleranno man mano rientrando, e non formano un vuoto effettivo del Banco, a fronte dei suoi creditori apodissarii; essendo solo il vuoto effettivo negli anzidetti D. 570,932.92. Come il tutto potrà V. E. rilevare dall'alligata dimostrazione."

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"Intanto, per il momento, richiedendosi molto tempo a poter realizzare le somme impiegate alle suddette opere; specialmente nelle attuali circostanze, mentre io credo che non si debbano attrassare i pagamenti, e debbasi soddisfare qualunque polizza venga a presentarsi al Banco, finché vi saranno fondi per eseguirlo, locché può calmare l'animo della Nazione e far rinascere la fiducia verso il banco; credo, nel tempo stesso, prudente cosa, quando positivamente l'urgenza lo esigga, il doversi sospendere tanto le operazioni della pegnorazione nella Cassa dei particolari, quanto le operazioni dello sconto nella Cassa di Corte; operazioni che, rinascendo fra breve, come dobbiamo augurarci, la pubblica fiducia ed opinione verso il Banco, potranno senza pericolo ripigliarsi."

"Siccome però le cennate opere sono istituite e pubblicate con Sovrani Decreti, legalmente pubblicati, come di sopra le ho rassegnato, così la prego di prendere sull'assunto gli ordini Sovrani; e farmi indi sentire i suoi oracoli, se creda, quando il preciso bisogno lo richiegga, che debbano sospendersi. Autorizzandomi, in tal caso, ad avvertire il pubblico con degli affissi, che per le attuali emergenze restano tali opere sospese per ora. Come egualmente la prego di farmi sentire se è del mio sentimento, di doversi cioè pagare per intero qualunque polizza si presenti al banco, in questo momento di crisi. Ed allorquando sarà esaurito il numerario effettivo esistente, come dovrò regolarmi in faccia al pubblico, per la soddisfazione delle altre polizze, che verranno a presentarmisi, dandomi sull'oggetto delle precise disposizioni."

"V. E., da se, conosce di quale importanza sia la risoluzione di questi oggetti, e specialmente di quest'ultimo; e quindi mi permetterà che la preghi di darmi al più presto li suoi riscontri".

"D. S. In discarico del mio dovere, la prevengo che dietro l'abboccamento avuto da V. E. avendo ravvisata, nel Banco di Corte, eccessiva la concorrenza dei creditori apodissarii, ho stimato indispensabile di sospendere, in questa giornata, le operazioni dello sconto, e mi regolerò nello stesso modo anche domani, qualora sieno le stesse circostanze di oggi".

Le risposte furono verbalmente date dal Ministro e quindi mancano fra' documenti dell'archivio. Sembra che nessun espediente avesse suggerito o comandato S. E., per accreditare la carta. Lungi dall'aiutare il banco, gli tolse i pochi fondi pubblici che allora possedeva.

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«16 Agosto 1820 -N. 32 Signor Reggente-La incarico di far eseguire, con la maggior possibile sollecitudine, il trasferimento a favore della Tesoreria Generale di tutte le rendite sul Gran Libro, che si trovano iscritte in testa di codesto Banco, di qualunque origine esse sieno, ed a qualunque cespite appartengano. La incarico inoltre d'informarmi di tutte le somme sottoposte a sequestro, che il Banco stesso non ha pagate, né versate fino al presente giorno, e di rimettermene uno stato distinto, nel quale sarà ancora espressa la causa del sequestro, e se nella cassa vi sia l'effettivo in deposito, o pure il credito corrispondente. Il Ministro delle Finanze interino - Macedonio».

«19 Agosto 1820 - N. 759-Eccellenza. Con Ministeriale dei 16 andante, spedita dal gabinetto di cotesto Ministero, e segnata col N. 32, mi ha incaricato V. E. di fare eseguire, a favore della Tesoreria Generale, il trasferimento di tutte le rendite che si trovano iscritte sul Gran Libro, in testa di questo Banco, di qualunque origine esse siano, ed a qualunque cespite appartengano».

«Su questo particolare, in conseguenza ancora di quanto a voce ho avuto l'onore di rassegnarle, permetterà V. E. che io, riportandomi a ciò che dettagliatamente le feci osservare, col mio rapporto in data del 1 andante N. 717, le ripeta che, nell'essersi riunito il Banco di Corte a questo delle Due Sicilie, col Decreto del 20 novembre 1809, fu fatta ad esso una dotazione; parte della quale fu impiegata in estinzione del vuoto fatto dalla Regia Corte, e parte fu addetta al mantenimento del Banco; ma, non essendosi intieramente realizzata la suddetta dotazione, si è stato sempre nella necessità di supplire con altri fondi, dati da S. E. il Ministro delle Finanze, per la soddisfazione dei pesi e spese del Banco. Fra la suddetta dotazione, vi fu una quantità di case, la massima parte in cattivo stato e sparse in tutti i quartieri della città».

«Molte di esse, in conseguenza di reali decreti, sono state vendute o censite; precedente anche particolare sovrana autorizzazione per ciascuna vendita o censuazione, ed il banco, in questo caso, non ha fatto che cambiare la rendita incerta delle case, con un'altra rendita sicura, iscritta sul Gran Libro; e quindi, siccome prima le case suddette formavano parte della dotazione del Banco, e la di loro rendita serviva al mantenimento del Banco suddetto, cosi invece di quelle alienate, oggi la corrispondente rendita, iscritta sul Gran Libro in testa al Banco, appartiene alla sua dotazione; e servir deve al suo mantenimento».

«Egualmente, il Banco trovasi possessore di una partita di rendita iscritta sul Gran Libro, in D. S,442. Questa dipende da una transazione fatta con la Principessa di Bufera, colla quale si convenne di dover la medesima pagare la cennata somma, in totale soddisfazione delle somme dovute dalla sua casa agli antichi Banchi; e con R. Decreto, dei 7 settembre 1818, fu ordinato che la suddetta rendita, di D. S,442, venisse intestata a questo Banco, in supplemento della sua dotazione, unitamente a tutti gl'interessi arretrati, nel contratto convenuti».

«Veda dunque bene V. E. che le partite di rendita sul G. L. che si trovano iscritte in testa di questo Banco, appartengono alla sua dotazione, stabilita con R. Decreti, e servono al mantenimento suo, essendo comprese negli articoli d'introito dello stato discusso; e quindi non è a me permesso di farne il trasferimento a favore della Tesoreria Generale».

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«Colla stessa ministeriale poi, dei 16 andante, mi ha incaricato V. E. di rimetterle,uno stato delle somme sottoposte a sequestro, che il Banco non ha finora pagate; ma siccome è questo un affare che riguarda la cassa di ammortizzazione, presso la quale,in pregiudizio del Banco, si trova introdotto di farsi i depositi giudiziarii,cosi potrà V. E. a quell'amministrazione rivolgersi per l'indicato oggetto».

La legittima resistenza del Banco niente valse. Un decreto, del 20 novembre 1820, ordinò la vendita, in pro della tesoreria, dei certificati appartenenti a parecchi enti morali di Napoli o del Regno, e furono in tale vendita compresi i titoli, per annui D. lo,200, che il Banco a quell'epoca possedeva. Invece dunque di trovare aiuto nel ministro, l'istituto perdette quel po' di rendita che, con grave stento, aveva liquidato a suo favore, per vendite d'immobili, e per transazioni di crediti verso Bufera, nascenti dagli antichi vuoti di Todisco e di Guarino.

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12. Stretto dalla penuria di contante, e dalla mancanza di credito, lo stesso ministro Macedonio aveva già pensato di sopprimere la cassa di sconto del Banco, e crearne un'altra d'azionisti, che lo potesse meglio soccorrere, colluso della carta al portatore, in pro della finanza; colla restituzione del patrimonio d'un milione, che da nominale ed ipotetico, qual era, avrebbe voluto far diventare credito esigibile del fisco: ed anche con cessione di qualche parte dei capitale sottoscritto dagli azionisti medesimi. Tali concetti non sono espressi nel proemio del decreto 22 agosto 1820 (1) che ripete le solite disquisizioni sull'utilità delle banche,

(1) «Considerando che la istituzione delle casse di sconto, presso le nazioni le più illuminate,ha sempre avuto per oggetto di moderare l'interesse del denaro, di facilitare lo sconto dei biglietti di commercio, di ridurre allo stesso livello quello degli effetti della finanza, di togliere dalla inazione molti capitali, che rimangono inoperosi per mancanza d'impiego, di creare delle risorse al commercio, all'agricoltura ed alla industria, di alimentare ed accrescere le transazioni sociali e di dare ancora la più grande attività alla circolazione delle ricchezze dello Stato».

«Considerando che si preziosi vantaggi non possono realmente ottenersi se non se allor quando l'amministrazione di queste banche è indipendente, e quando i fondi che costituiscono il loro capitale di negozio sono spontaneamente e solidalmente formati, e regolati in maniera che possano aumentare i mezzi di sconto, far fronte a tutta le spese che porta seco una grande amministrazione,ed assicurare nel tempo stesso ai loro azionarli dei benefici positivi.

«Considerando che l'attuale cassa di sconto altro non è che un ramo del tesoro, ed un opera del governo, che i suoi amministratori non hanno alcuna responsabilità; che il suo capitale, continuamente variabile, è stato formato con una parte di denaro del tesoro dello Stato, nel quale ha lasciato un vuoto".

«Considerando infine, che conservando la cassa di sconto nelle basi attuali,

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ma risultano da parecchi articoli del decreto stesso, e specialmente dalla fretta con la quale lo volevano porre in esecuzione; prima d'averlo fatte discutere ed approvare dal Parlamento.

Il regolamento di Macedonio conservava piccola parte delle leggi del 1818, e copiava molti articoli di statuti di banche forastiere. Per esso, la nuova agenzia di sconto si doveva aprire nel giorno 1 settembre 1820, col capitale di 3000 azioni, nominative e trasferibili, da ducati 500 ognuna.

Il Governo, promettendo di concedere gratuitamente la casa alla nuova società, avrebbe sottoscritto per 2000 azioni, vale a dire che non ripigliava immediatamente il milione, già dato alla cassa di sconto del Banco. Ma però si teneva un dritto di vendere queste duemila azioni.

L'assemblea generale dei soci poteva fare aumentare il capitale, mediante l'emissione di altre azioni.

Le operazioni alla cassa sarebbero state:

Scontare scritte di cambio, pagabili in Napoli, a scadenza non maggiore di tre mesi, e fornite di tre soscrizioni di mercanti nella città domiciliati. La malleveria personale, dipendente dalla bontà delle firme, potevano in certi casi crescere colla malleveria reale d'un deposito di azioni.

Aprire conti correnti, cosi con privati cittadini e ditte commerciali, come con la Tesoreria generale e gli enti morali; potendo non solo accettare depositi di moneta, ma eziandio assumere l'incarico di eseguire incassi e di soddisfare ordini o mandati di pagamento.

Fare anticipazioni, tanto sulle verghe e le monete straniere d'oro e d'argento, quanto sulle rendite iscritte napoletane. La durata di tali pegni limitata, come per le cambiali, a tre mesi, ma si potevano permettere le rinnovazioni.

Ricevere depositi volontari, con o senza interessi.

Avvalorare biglietti di banco, al latore, e biglietti ad ordine, nominativi, pagabili a vista; gli uni non inferiori a D. 100, gli altri non suscettivi di girate condizionate.

I biglietti esenti da diritto di bollo. Le somme depositate, i valori riscossi, i fondi dell'associazione, non soggetti a sequestro, né gravabili di imposta.

sarebbe lo stesso che allontanare da questa la fiducia nazionale, privarla del credito sopra del quale tutte le banche di Europa hanno trovato i loro principii di utilità e prosperità, ed esporla per lungo tempo ad una funesta inerzia per essere finalmente annichilita»

«Sul rapporto del nostro Ministro delle finanze ecc. Seguono i quarantuno articoli del decreto.

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Mallevadori degl'impegni contratti dalla cassa i socii, ciascuno pel valore nominale delle azioni sottoscritte. Lecito lo sconto di cambiali della Finanza, e di boni tratti dalla Tesoreria Generale di Napoli sui vari ricevitori, però con maggiore garenzia alla cassa, prescrivendosi il deposito preventivo di azioni o di titoli di rendita pubblica. Dice l'art. 15 che "La esistenza della Cassa di Sconto di Napoli dovendo essere basata sui principii della più assoluta indipendenza, tutte le volte il Governo tratterà con essa, la transazione sarà come da particolare a particolare, secondo le disposizioni dell'art. 9 dei presenti statuti".

L'assemblea generale dei socii nominerebbe, a maggioranza di voti, un Comitato Generale di quaranta persone, fra coloro che possedessero almeno venti azioni. Da tale Comitato si dovevano eleggere nove Direttori e tre Censori, che durerebbero di uffizio tre anni, senza divieto di rielezione.

Almeno la terza parte dei Direttori o Censori, doveva esercitare il commercio. Depositavano per cauzione i Direttori dieci azioni, ed i Censori sei, senza poterne disporre, per tutto il tempo che restavano in carica.

I Direttori ed i Censori componevano il Consiglio di Amministrazione, che deliberava a maggioranza assoluta di voti, su tutti gli affari della cassa; ma il voto dei Censori solamente consultivo, con facilità di farlo inserire nel processo verbale delle deliberazioni. Ad agevolezza di amministrare, diviso il Consiglio in tre comitati, dello sconto, dei biglietti e delle casse.

Sorvegliatore per l'osservanza dello statuto ì con attribuzioni di Pubblico Ministero, un Commissario del Governo, pagato dallo Stato. Questi avrebbe il dritto di assistere a tutte le deliberazioni del Consiglio, senza voto, ma con facoltà di fare in esse inserire la opinione sua, nonché di provocare il veto dei Ministri, sui provvedimenti non legali.

La dividende agli azionisti pagate, a vista, ogni anno, dopo compilato il bilancio, e sanzionato dal Parlamento; prelevandosi una somma, non maggiore del sesto dall'utile netto, per fondo di riserva della cassa; da impiegarsi in rendita iscritta, o come altrimenti piacesse al consiglio di amministrazione. Provveduto al modo di trasferire gli affari dall'antica alla nuova Cassa.

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Manifestando al Reggente del Banco d'averlo posto a capo della nuova cassa di sconto, come Commissario Regio; d'aver nominato Direttori Nicola Buonocore, Filippo Buono, Costantino Volpicelli e F. Boutet, censore il sig. Viesseux, aggiunse Macedonio desidero di comunicarle io stesso il regolamento per l'amministrazione provvisoria della cassa di sconto; a qual effetto la prego ad aver la compiacenza di recarsi, personalmente, al Ministero, nel mio gabinetto, domenica mattina, 27 di questo mese, alle ore 12 di trancia precise, unitamente ai direttori di sopra nominati" (lettera 26 agosto N. 46).

Dovevano essere ben pericolosi i progetti che il Ministro non metteva in carta, perché un suo subordinato, qual'era il Reggente, dichiarasse che non si potevano ricevere nelle casse apodissarie i biglietti, al latore o nominativi, di nuova forma.

"5 Settembre 1820. N. 802. Eccellenza. La sua ministeriale, del 3 andante, spedita da cotesto gabinetto, sotto il 11. 71, e diretta ai signori Direttori e Commissari del governo della cassa di sconto, contenendo in fine un paragrafo che riguarda assolutamente il Banco, io, nella qualità di Reggente del medesimo, alla di cui carica S. M. si compiacque di promuovermi, mi vedo nel preciso obbligo di farle delle osservazioni, che credo indispensabili; e crederei di mancare all'adempimento dei doveri a me affidati se trascurassi di palesarle, con sincerità, i miei sentimenti".

"Nella cennata Ministeriale, si dice di avere V. E. incaricati il tesoriere ed il pagatore della tesoreria di concertarsi coi quattro capi di divisione della cassa di sconto, onde prendere conoscenza della forma e carattere dei biglietti all'ordine, per verificarli allorché si presentino nelle casse pubbliche di Napoli; e di dare a me le stesse istruzioni, affinché i cassieri del Banco possano domandare alla cassa il rimborso dei suoi biglietti, ogni qual volta si stimerà conveniente".

"Ciò suppone che il Banco sia obbligato a riconoscere e ricevere, come contante, i biglietti all'ordine. Mi permetta V. E. che io, schiettamente, le faccia osservare che questo non è affatto eseguibile. Il nostro Banco nazionale, i di cui sistemi sono garentiti dalla esperienza di tanti secoli, ed ai quali la nazione è attaccatissima, perché ne ha riconosciuto sempre i vantaggi, non riconosce e non ha mai riconosciuto altra carta, fuorché la sua fede di credito o la polizza notata fede.

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Allorché queste carte, emesse dal Banco, al Banco medesimo rientrano, adempite delle necessarie formalità, niun dubbio può esservi nel doverle contro cambiare in numerario, o nel riceverle per introito, perché nei libri del Banco son esse registrate, e se ne tiene esatta scrittura, dal primo momento che vengono emesse, e prima di consegnarsi alle parti; loccliè non si avvera per i biglietti all'ordine, li quali son considerati come contante, né possono verificarsi al Banco, che non ne ha ricevuto l'equivalente numerario, come accade nella formazione delle fedi di credito e delle polize, e non può conoscerne l'effettivo credito, perché nessun registro ne tiene. E quindi è un bel dire che i biglietti all'ordine equivalgono alle fedi di credito e polize del Banco. Se ciò si verifica in altri paesi, lo è perché non hanno un banco Nazionale, e tutto di deposito, come il nostro. Per queste ragioni dunque, il banco non può ricevere tali carte, perché son esse contrarie alla istituzione del nostro banco; il quale, nel dar fuori le sue carte, deve avere i corrispondenti fondi depositati; e non si possono dal Banco verificare, perché nessun registro ne tiene ne' suoi libri. E finalmente, non può questo avere esecuzione, perché diametralmente opposto ai stabilimenti del banco, ed al Beai decreto dei 12 dicembre 1816, in cui all'articolo 3 si dice".

Saranno ambedue questi banchi (cioè quello di corte e quello dei particolari) autorizzati ad emettere le loro fedi di credito, della stessa forma attuale, non dissimile dell'antica, rappresentanti l'effettivo numerario, e che in tutte le. casse della capitale e del regno saranno ricevute come moneta contante

"All'incontro, nei statuti della novella cassa di sconto, sanzionati da S. A. R. d'accordo colla giunta provvisoria, sebbene si dia facoltà d'emettere i biglietti all'ordine, non si dice però che debbano riceversi dal Banco come contante".

"E quindi né a me, né a tutti gli altri impiegati del Banco, è permesso di allontanarsi da quelle leggi e decreti reali, che sono tuttavia in vigore, né alcun Cassiere del Banco potrebb'essere obbligato a ricevere altre carte, se non che quelle del Banco medesimo, che sono registrate nei suoi libri, fino a che una formale legge della Rappresentanza Nazionale. Sovranamente sanzionata, non lo stabilisca".

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Finalmente, devo farle osservare che al momento che i particolari si avvederanno che il banco, invece di numerario, riceve una carta monetata, sospetteranno sicuramente che il loro contante, depositato al Banco,, più non esiste; ed affrettandosi tutti a ritirare i loro fondi, si vedrà cadere questo antico ed utile stabilimento; che nelle attuali circostanze si è durato e si dura tanta fatica e circospezione per sostenerne il credito e la buona fede. E quindi, per tutte queste osservazioni, vede bene V. E. che io, assolutamente, non posso prestarmi ad eseguire in ciò i suoi ordini; come mi do il vanto di averli eseguiti per lo per lo passato, e mi farò dovere d'eseguire, in tutt'altro che non sia contrario ai miei doveri r.

Opposizioni parimenti energiche fece il Reggente all'invito di sottoscrivere mille azioni, per completare il capitale della nuova cassa di sconto.

"11 Settembre 1820. Eccellenza. Le attuali circostanze della cassa di corte e l'osservare che costantemente, da qualche giorno a questa parte, si ha un esito straordinario ed eccedente, a fronte dell'introito, mi avevan messo nel voto di rassegnare a V. E. lo stato del Banco, e farle osservare che, volendosi al momento eseguire ciò ch'è prescritto nel regolamento per la nuova cassa di sconto, di passarsi cioè la somma di D. 500.000 dal Banco alla cennata nuova cassa, per dar luogo alle sue operazioni, sarebbe stato lo stesso che mettere il Banco di Corte nelle massime strettezze e nella circostanza di non poter soddisfare i suoi creditori apodissari.. Ora però che ho preinteso di esser la general tesoreria in qualche straordinario bisogno, e che abbia la necessità di fare qualche sconto non indifferente, mi veggo nel preciso dovere di rassegnare a V. E. che io, nella qualità di Reggente del Banco, assolutamente non sono, per ora, nel caso di passare alla nuova cassa di sconto li D. 500000, voluti dal regolamento; perché in tal modo darei luogo all'immediato fallimento della cassa di Corte, e forse ad un allarme nel pubblico, in faccia del quale potrei esser colpevole, nello attuali circostanze".

"A. V. E. è ben noto che, prima del cangiamento politico, esistevano nel tesoro e nelle casse del Banco di Corte circa due milioni di ducati; ed ha potuto osservare, dalle reste giornaliere che mi son dato l'onore di rassegnarle, l'esito straordinario che d'allora ha avuto luogo, e precisamente in questi ultimi giorni, dopo pubblicati i statuti della novella cassa di sconto;


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per cui, a tutto il corrente giorno, appena esiste nelle casse e nel tesoro del detto Banco di Corte, fra moneta di oro, argento e rame, la tenue somma di Duc. 360613,24. a confronto del debito che ha il Banco verso de suoi creditori apodissari, nella ingente somma di 4,005,204,91".

Ora volendosi, al momento, passare dal Banco li cennati D. 500000 alla nuova cassa di sconto, e facendosene da questa dello negoziazioni, specialmente col tesoro, vorrebbe questa somma sicuramente a realizzarsi immediatamente al Banco, in effettivo numerario; ed ecco che il Banco non solamente non potrebbe supplire al pagamento di tali negoziazioni, ma verrebbe immediatamente a fallire: perché non avrebbe neppure un soldo di numerario, onde poter supplire e far fronte, nel miglior modo possibile, ai pagamenti degli attuali suoi creditori apodissari: e quindi io non mi veggo affatto, per ora, nella circostanza di passare alla nuova cassa di sconto li 500000 ducati, per prenderne le corrispondenti azioni, ed indi procurarne la vendita,per fare incassare la stessa somma al Banco; e V. E. sotto la di cui direzione immediatamente è la cassa di corte, è necessario che s'incarichi di tale circostanza, e procuri i mezzi onde allontanare qualunque allarme e combustione nel pubblico; ed io crederei di mancare al mio dovere, se non la tenessi di ciò avvertita".

"Si aggiunge a ciò che già la novella cassa di sconto cammina regolamente nelle sue operazioni, e può in tal modo continuare, col solo milione di pertinenza del tesoro Nazionale; sebbene anche per questa somma la nota prudenza di V. E. e quella dei direttori della Cassa di sconto, farà si che il Banco non riceva urto nelle circostanze attuali; e quindi può, per ora, la cennata cassa fare le sue operazioni sul milione anzidetto, senza essere obbligato il Banco a passarli li connati cinquecento mila ducati, che attualmente non tiene, e nell'atto che gli manca il numerario bisognevole per far fronte alla giornata ai suoi creditori apodissari; tanto più che col decreto dei 22 del passato agosto, per la nuova cassa di sconto, (che in niente ha potuto essere alterato dal regolamento per la cassa medesima) nell'articolo 37, si dice che dal credito del portafoglio dell'antica cassa si debba prelevare un milione; tino alla qual concorrenza lo Stato s'interessa negli affari; come si dice nel regolamento, che gli altri D. 500000 debbano esser versati dal Banco, per fornire il capitale della nuova cassa di sconto".

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"Finalmente, mi credo in dovere di far osservare a V. E. che siccome il Banco non ad altro oggetto deve versare alla cassa di sconto la somma di D. 500000, se non che per acquistarne altrettante corrispondenti azioni, per indi farne la cessione ad altri particolari, che si vogliono impegnare nelle operazioni, della cassa; così potrebbe da ora aprire quel registro di soscrizioni stabilito col cennato regolamento, e riceversi, direttamente dai particolari, le offerte per impegnarsi nelle azioni della cassa; senza l'inutile giro tortuoso, di far acquistare dal Banco le azioni, per indi rivenderle e cederle ad altri, onde ripianare al Banco la somma presa in vuoto. Ed in tal modo si avrebbe l'intento che si è prefisso col regolamento, senza mettersi il Banco nella circostanza di un pronto fallimento, per non poter supplire né al pagamento delle polizze, che si emetterebbero dalla cassa di sconto, per le sue operazioni, né a far fronte agli esiti giornalieri, pe' suoi creditori apodissari".

"V. E. nella sua saviezza, pondererà queste riflessioni, che mi sono affrettato di rassegnarle, essendo esse dirette ad allontanare qualunque disordine ed allarme nel pubblico, qualora venisse ad accadere il fallimento della cassa di Corte, ch'è sotto l'immediata direzione di V. E. e non si potessero soddisfare ai particolari quelle somme che, 'in buona fede, finora hanno essi depositate al Banco; e quindi troverà regolare che io, nella qualità di Reggente del Banco, non mi presti, nell'attuale momento, a passare li suddetti D. 500000 alla nuova cassa di sconto, perché questa operazione produrrebbe sicuramente dei grandi sconcerti...

Le settimane che passarono, per queste ragionevoli obbiezioni; fors'anco qualche pratica per affrettare la discussione parlamentare, fecero fallire il progetto di Macedonio, di presentarsi ai Rappresentanti con un fatto compiuto. Scopo confessato dal Ministro era di ripigliare quel milione di ducati, che il Tesoro aveva messo nella cassa di sconto, due anni prima, mediante la vendita delle duemila azioni della Finanza. Così i compratori avrebbero surrogato lo Stato, facendo ricuperare alla Finanza una somma che occorreva per colmare in parte il deficit del Bilancio. Scopo nascosto, era quello d'usare la carta al portatore e le cambiali dei tesorieri, per ottener quello che non poteva sperarsi dal credito pubblico in tempo di rivoluzione e di generale sfiducia, ad un piccolo Stato,

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che minacciavano tutte le grandi potenze d'Europa, collegate colla Sant'Alleanza. Però si coloriva questo disegno col pretesto che la novella istituzione fosse vantaggiosissima alle manifatture, alle industrie, al commercio.

Nella tornata 13 novembre 1820, il Deputato Castagna, con grande chiarezza e precisione, paragonò la cassa di sconto, istituita a 23 giugno 1818, con la nuova che si proponeva fondare: dimostrando la utilità della prima, con discretissima spesa, e il danno dell'altra, con spesa assai grave.

Parlando poi della restituzione del milione, dato da Medici alla cassa di sconto nel 1818, disse che nulla si poteva incassare, dappoiché nessuno proponeva di abolire il servizio apodissario, mediante soppressione dei Banchi San Giacomo e Pietà, chiamati allora Cassa di Corte e Cassa de' Privati. La tesoreria, nell'atto stesso che avrebbe ritirato il milione dall'ufficio sconti del Banco San Giacomo, si sarebbe trovata nell'obbligo di farne versamento all'ufficio del medesimo banco chiamato Cassa di Corte, sia per mantenere la promessa, tante volte fatta, di costituirgli una dote, sia per colmare il vuoto del 1803 e l'altre deficienze a carico del tesoro, che il ministro ammetteva giungessero quel giorno a D. 557,439,02. Qualche somma dovevasi anche dare alla nuova società di azionisti, perché il Governo potesse aver parte ai lucri, e, per necessaria conseguenza, lungi dal fare assegnamento sul milione, sarebbe convenuto di provvedere pel resto. Disapprovava dunque.

Il Banco, acquistando maggior fiducia, avrebbe potuto ripigliare le operazioni di sconto, come faccenda succursale, e continuare il pegno degli oggetti preziosi. In tal guisa sarebbero causati i gravi danni che sentirebbe il paese, per la facilità, conceduta alla nuova cassa, di metter fuori biglietti ad ordine. Domandava, per conchiudere, il Castagna: non soddisfacendosi al debito verso i creditori apodissari, che sarebbe del Banco?

Con maggiori particolarità, faceva un confronto fra la Cassa di Sconto fondata da Medici e quella proposta da Macedonio, il deputato Catalani; esaminando ad uno ad uno gli articoli dei rispettivi statuti. A più alte considerazioni storiche ed economiche elevaronsi nei loro discorsi, il Nicolai, il Dragonetti ed altri. Il giureconsulto Lauria, con la memoria del Banco di Law, ch'era già cosa vecchissima a quell'epoca,

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pretese dimostrare che la nuova Cassa proposta, non solo avrebbe privata la nazione dei vantaggi dalla precedente ottenuti, ma apparecchiata la mina dei possidenti, ed il disordine del commercio.

"La prima Cassa di Sconto a credito dei privati, (ei disse) fu istituita sotto la Reggenza di Orleans dal famoso Scozzese Giovanni Law. Questi, arricchito nei giuochi d'Italia, aprì un banco di suo conto a Parigi: i suoi splendidi principii allettavano i capitalisti, e tutti gareggiarono di addivenire azionarli.

La ricchezza della Cassa alzò a tanta prosperità i progetti di Law, ch'egli, ammirato e benedetto, come l'angiolo tutelare della Francia, il cui commercio aveva rianimato e reso floridissimo;in quattro anni fu feudatario, controlloro delle finanze reali, ministro, amico del Duca Reggente; mentre rinorgoglita sua donna non trovava animale più noioso di una duchessa. Ma l'ambizione di obbligar la Corte, con pagarne i debiti, ed ottenerne il mini stero: lo eccesso dei profitti agli azionarli, ed il suo lusso, vuotarono la Cassa; sovvertirono i patrimonii di infinite famiglie;rovesciarono il credito nazionale; e fecero piombare nel disordine il commercio e lo Stato. Law intanto, fuggendo innanzi all'odio di tutti, andò ramingo, impoverito, a finire in Venezia una vita oppressa dai patimenti e dalla generale esecrazione. Ecco la storia della prima Cassa di Sconto presso i privati. Law raccolse i capitali della Francia e li distrusse. Chi potrebbe garentirci da una simile sorte? L'onestà dei banchieri? Narrasi che anche Law fosse onesto, e che mancò fortuna ai suoi progetti, ma qual pro ai commercianti ruinati?

"Per l'opposto, la gran Banca di Londra ha quintuplicata la massa dei segni degli effettivi valori che circolano nello Stato.11 suo deficit è immenso, e non è più un arcano. Intanto la gran Banca è in fiore; tutti vi portano i loro capitali, ed il commerciò inglese non risente alcun danno. Ma la Banca è sotto la protezione del Re; il Parlamento n'è garante. Ecco il risultamento di una Cassa della nazione: il Governo la cinge di sua autorizzazione e cura, e la pubblica fiducia si conferma; essa spande su tutti i rami del commercio la sua attività e la sua forza.

"Dopo questo paragone, chi di voi non esecrerà una Cassa privata, e di più conceduta a stranieri, e non vorrà confermare quella della nazione?

"Cangia consiglio e cammino chi, caduto in errore, cerca ancora il suo bene; ma lasciare il sicuro, per abbandonarsi al pericolo, più che stoltezza, sarebbe nequizia!

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Non meno eloquentemente, ma con più sode ragioni e più giusto criterio, discorse il Barone Giuseppe Poerio, per esaminare, se convenisse fondare la nuova Cassa in quel momento, o in tempo più opportuno. Ci piace di recare la conclusione di quel ragionamento.

"Si è lungamente disputato quale delle due Casse di Sconto meritar debba la preferenza. Inutile disputa, a mio avviso. Ninna di esse è necessaria, ambedue sono utili.

"Restituito il Banco al suo splendore ed alla sua floridezza, e rincorata la pubblica fiducia, chi potrà negare l'utilità di una Cassa di Sconto sussidiaria, sotto la mano e direzione del Governo?L'esperienza si unisce alla teoria per far decidere raffermativa. Ma, nel tempo stesso, chi potrebbe negare che più casse di sconto,create nell'interesse dei privati, e messe soltanto sotto la vigilanza dell'autorità pubblica, giovino alla moltiplicazione dei valori ed al loro più rapido giro? La rivalità di queste diverse Casse di Sconto sarebbe uno stimolo maggiore per l'attività del commercio, sarebbe il rimedio sovrano contro l'usura, sarebbe infine l'ostacolo più forte contro il monopolio metallico. Gli esagerati pericoli di questa istituzione si riducono ad uno solo: l'introduzione della carta moneta nel regno, a volontà dei particolari. Ma una carta non è mai moneta, quando non è di ricezione forzosa. Basterebbe dunque vietare che i biglietti al porgitore fossero ricevuti in pagamento necessario, e specialmente nelle casse pubbliche. Allora la misura della loro circolazione sarebbe quella del loro credito.

"Stabilita però l'utilità di ambedue le Casse di Sconto, non è men vero che rimane sempre a decidere, se il ripristinamento dell'antica debba aver luogo adesso o in altri tempi. La soluzione di questo problema dipende dalla conoscenza perfetta delle risorse e dei bisogni dello Stato, conoscenza che non abbiamo ancora noi. Se l'aumento dell'esercito sul piede di guerra, se la difesa della nostra indipendenza, esiggono dei grandi sacrifizii, converrà meglio imporre dei nuovi tributi ai popoli, o pure avvalersi del milione di dote residuale della Cassa? Mi sembra perciò più sano consiglio limitarsi oggi a decretare il ritorno dell'antica Cassa sussidiaria del Banco, differendone però l'attività al momento in cui potremo disporre di quella somma, senza offesa della pubblica causa; e frattanto incoraggiare la creazione di quante altre casse di sconto potranno sorgere per conto di privati azionarli".

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Udite anche le considerazioni di parecchi altri deputati, la Camera, con soli tre voti di maggioranza, risolvette: Che non approvava l'abolizione della Cassa di Sconto, istituita nel 1818; e conseguentemente non occorreva di esaminare, e molto meno di sancire gli statuti della proposta Compagnia anonima".

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13. Rimasero dunque saldi gli ordinamenti di Medici. Ma le commozioni politiche, col necessario effetto di crisi commerciale ed economica, avevano fatto interrompere i prestiti sopra pegno, gli sconti di cambiali, e, nel marzo 1821, anche il pagamento delle carte apodissarie. Ecco due lettere del Reggente del Banco, al Parlamento Nazionale ed al Ministro.

2 marzo 1821 -N. 217 -(volume 1156 dell'Archivio).

Il malcontento e le continue lagnanze, che si sentono nel pubblico, a motivo che, da qualche giorno, non vengono soddisfatte e controcambiate in numerario le polizze, che dai possessori delle medesime vengono presentate al Banco, mi mettono nel dovere di rassegnare, a cotesto Nazionale Parlamento, la vera posizione in cui io infelicemente mi trovo.

«Egli è vero ch'esistendo una mancanza nella Cassa di Corte (di cui l'EE. VV. sono pienamente informate) manca in conseguenza una parte del numerario, a fronte delle carte di Banco che si trovano in circolazione; ma questa mancanza, che in altri tempi è stata molto maggiore, come finora non è comparsa, né in niente ha impedito il giro della negoziazione, così niim urto darebbe adesso al Banco, se questo liberamente potesse fare il suo negoziato, e regolare, con una certa prudenza, i suoi pagamenti a favore di tutt'i possessori delle sue carte; ma, disgraziatamente, io mi veggo costretto, per le attuali circostanze, a non poter ciò eseguire.

«Gli urti pressanti, che ad ogni ora si ricevono dal Ministero della guerra, e dai militari che deggiono partire per l'armata, mi obbligano a non poter fare alcun uso dei numerario, che s'introita al Banco di Corte, per pagamento ai particolari, dovendo tutto versarsi al ramo anzidetto della guerra; e quindi vedono bene l'EE. VV. che in tal modo i cittadini avranno ben ragione di dolersi, le loro polizze non saranno mai pagate, ciascuno resterà paralizzato nei suoi affari e mancheranno a molti anche i mezzi come sostenere le proprie famiglie, non potendo ritirare il loro denaro dal Banco, il quale,finalmente, resterà del tutto discreditato, e le polizze non verranno più ricevute.

«Signori, io ben riconosco quanto urgentissima cosa sia il non porre alcun ritardo alle spese della guerra, che nel momento interessar dee l'intera nazione, per la salvezza della patria, e quindi non lascio di prontamente ubbidire agli ordini che ricevo; ma non posso nascondere di essere al vivo penetrato, nel vedere che i privati non possano essere soddisfatti dei loro crediti sul Banco, loc ché cagiona dei serii disquidi a danno dei proprietari, e produce anche il totale discredito della carta di Banco; d'onde ne deriva un male sicuro alla nazione, e le toglie ogni risorsa.

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«Essendo io dunque in questa infelice posizione, costretto ad eseguire gli ordini che mi si comunicano, altro mezzo non trovo, per adempiere ai doveri della carica a me affidata, se non quello di fare di tutto intese l'EE. VV. acciò io sia discaricato in faccia al Governo ed alla Nazione, e Le prego perché si compiacciono di far registrare nei verbali, di codesto Parlamento, la presente mia rimostranza, e far noto ai cittadini che l'urgente ed immensa spesa della guerra, e l'attuale scarsezza di numerario, sono le ragioni del ritardo dei pagamenti delle loro polizze; quali, cessata l'urgenza come mi auguro, saranno fedelmente soddisfatte, onde i possessori delle carte di Banco restino così, almeno in qualche modo, tranquilli».

«5 marzo 1821 = N. 220 Eccellenza - L'affollamento dei particolari e de' militari, che devono partire, è tale questa mattina al Banco che si rende incredibile; e tutti fan chiasso per essere controcambiate in numerario le di loro polizze. Intanto S. E. il Ministro della Guerra ha disposto di tutta la somma ch'esisteva nel Banco, e le disposizioni di legamento fatte da V. S. sono anche al di là. In questo stato di angustie, vedendomi senza alcun mezzo a poter soddisfare tanti avventori, e precisamente i militari che schiamazzano, io prego V. S. a dare qualche disposizione all'oggetto, o almeno indicarmi se posso assicurarli che la giornata di domani saranno, se non in tutto, almeno in parte soddisfatti, onde in qualche modo calmarli, [ed allontanare al momento dal Banco una così numerosa folla di avventori La prego inoltre di mettersi sempre di accordo col Ministro della Guerra, e fargli anticipatamente sapere le liberanze che si fanno dal tesoro, affinché non siano caricati al Banco dei pagamenti, oltre del contante ch'esiste.

«P. S. In discarico del mio dovere, mi dò l'onore prevenirla che non potendo reggere agli urti di numerosa calca di avventori, fra' quali molti militari, per mantenere la quiete al miglior modo possibile, vado a disporre di qualche somma dell'introito venuto in giornata".

Li 8 marzo 1821 furono addirittura sospesi i pagamenti. Non resse il Banco di Napoli, perché mancavano alla sua cassa le somme prese dal fisco, con cambiali dei Ricevitori Provinciali, ed anche perché sussisteva il vuoto del 1803, infelicemente mascherato dalle operazioni con la Zecca e con la Pagatoria Generale. Le riscossioni eziandio di valute commerciali o di pegni scaduti si facevano con difficoltà e lentezza. Per dare un po' di credito alla carta apodissaria, che tutti rifiutavano, il Parlamento permise di riscontare o vendere le cambiali della cassa di sconto (1) e disse che la deficienza di D. 543,392,92, residuo del vuoto 1803, sarebbe solennemente garentita dalla Nazione e pagata subito, con la vendita dei beni demaniali.

(1) Ci sono in archivio l'autorizzazione di consegnare sessantamila ducati di cambiali all'agente di cambio Cianuelli, perché le vendesse alla miglior ragione possibile, con facoltà di consentire fino a nove per cento di sconto, ma non si trova il resoconto di questo sensale.

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Gli stessi pegni di oggetti preziosi, fatti al Banco si potevano riscattare nel termine di quindici giorni, con fedi di credito o con denaro sonante, così dai proprietarii come da terze persone. Per l'anticipata restituzione del prestito, si concedeva il premio dell'uno per cento e le persone che riscattavano i pegni altrui subentravano nei dritti e nelle obbligazioni del Banco; però non potevano levare gli oggetti dal luogo dove erano alla pubblica custodia affidati.

Questi spedienti poco giovar potevano quando, con la circolazione di parecchi milioni, e' erano in cassa soli 17,000 ducati.

Ecco il conto del numerario ch'esisteva alla fine d'ogni mese dal 1821.

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L'arrivo dei Tedeschi, col ristabilimento della monarchia assoluta, c col ritorno al ministero del Cav. Medici, ispirando qualche fiducia nella solidità dello Stato, e nel senno di chi reggeva le finanze, fece nuovamente accettare la fede di credito. In aprile e maggio 1821, l'istituto tentò di scemare l'aggio con tre pubblici botteghini di cambio, dove le carte bancali si scambiavano in monete d'argento legale, colla discreta perdita di un quarto per cento; mentre che l'operazione inversa, di consegnare la moneta per ottenere la carta, si faceva a ragione di uno per mille. Botteghini tenuti dai cambiavalute Raffaele Denza, Pasquale Piezzo ed Amelio Masullo. Ma, dopo pochi giorni, videro ch'erano superflui questi pericolosi rimedi, perché le casse cominciavano ad accreditarsi, cosicché, li 19 maggio 1821, sciolsero i contratti. Tutta la spesa d'aggi non superò D. 1557,74.

Ferdinando IV avrebbe voluto punire i fautori delle forme costituzionali, tanto per ribellione quanto per ladrocinio. Ma si dovette contentare del solo primo capo d'accusa, perché non trovò, nel banco, prove dell'altro, (vol. 815 dell'archivio).

"Commissione consultiva temporanea.-Napoli 16 maggio 1821.- Con determinazione degli 11 aprile, dal Direttore delle Finanze, è stata rimessa a questa commissione una nota, passata alla giunta del governo provvisorio, sui fondi malversati durante l'ottimestre delle passate emergenze; onde si supplisse tutto ciò che fosse conveniente al servizio del pubblico, ed indi, con ministeriale dei 5 maggio, si è avuta anche l'autorizzazione di porsi direttamente in corrispondenza con tutte le autorità, alle quali era necessario di dimandare de' rischiaramenti".

"In adempimento di tale determinazione, la prego che si compiaccia di rimettermi, colla maggiore sollecitudine, li stati riguardanti le somme prese, durante il tempo delle passate emergenze, dal Banco dei Privati e da quello di Corte, dalla cassa di sconto e dalla cassa dei pegni, onde questa Commissione si metta al caso di proporre, a ragion veduta, al Governo gli espedienti che crederà opportuni, per lo ricupero di quelle somme che sono state o maliziosamente involate o scioperatamente e senza utile oggetto dilapidate n.

"(Risposta) 26 maggio 1821.-Con suo pregiatissimo foglio, dei 16 andante, mi ha incaricato di rimetterle dei stati riguardanti le somme prese, durante il tempo delle passate emergenze, dal banco dei privati e da quello di Corte, dalla cassa di sconto e dalia cassa dei pegni,

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onde possa cotesta Commissione conoscere le malversazioni seguite, e proporre al Governo gli espedienti che crederà opportuni, per lo ricupero di quelle somme che o sono state maliziosamente involate o senza utile oggetto dilapidate".

"Di riscontro, debbo rassegnarle, signor Presidente, che nel Banco, così di Corte che dei privati, durante il corso delle passate vicende, non si è disposto irregolarmente di somma veruna. Tutt'i pagamenti sono stati fatti in regola, per lo banco, il quale non ha fatto altro che controcambiare le sue carte in moneta. Lo stesso si è praticato sul conto del Tesoro, il quale ha sempre regolato i suoi esiti sugl'introiti esistenti nelle sue fedi di credito. Se poi que sti esiti siano involati, o dilapidati senza utilità veruna, e non per gli oggetti per cui furono fatti, non può questo al certo apparire dalle gire delle polizze o dalla scrittura del banco, ma, per venirne in chiaro, deve ricorrersi ad altri mezzi".

"Egualmente, niuna novità vi è stata relativamente alla cassa di sconto, giacché, dopo di aver restituito al tesoro il milione di sua pertinenza, che vi teneva impiegato, in forze del decreto de' 22 agosto 1820, che stabilì una nuova cassa di sconto (che fu poi abolita e ripristinata l'antica) rimasero nel banco medesimo, in tanti valori, li D. 2450000, ch'esso vi teneva impiegati. Di questi ne ha ritirato finora la somma di D. 2,097,027,44 e giornalmente va ritirando il resto, in modo che fra poco altro tempo il banco sarà del tutto ripianato. Questo residuo, che deve il Banco tuttavia incassare, dipende, nella maggior parte, dal cambio fatto colla Tesoreria, per ordini superiori, di tanti estratti e certificati d'iscrizioni, pegnorati nella cassa di sconto dal ministero di finanza austriaco, e per esso dall'incaricato sig. Frappart, con altrettanta somma in cambiali girate dal tesoro al banco, a carico dei ricevitori di Napoli e del regno, i quali, se han fatto qualche ritardo, per causa delle passate emergenze, ora che trovasi riattivata la percezione delle pubbliche imposte, colla mediazione ed autorità da me invocata del Tesoriere Generale, son sicuro che sollecitamente salderanno il loro debito".

"Finalmente, in quanto alla cassa dei pegni, non vi è stata alcuna operazione che dir si potesse o irregolare o dannosa al banco. Sospesa l'opera della pegnorazione, ho procurato che con sollecitudine si fossero dispegnati o venduti quei pegni per li quali era scorso il tempo stabilito. E con questo mezzo il Banco si è ripianato, sin ora, della somma di Duc. 670000 circa, ed ora fa liberamente il suo negoziato".

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"Quindi Ella ben vede che il Banco, per suo conto, in ogni ramo, si trova in perfetta regola".

Le deficienze di cassa, del 1821 ed anteriori, furon coverte dalla circolazione dei titoli, ed il banco riprese l'usato andamento; facendosi solo qualche timida riforma nel 1822 (1) con la soppressione dei giornaletti e registri delle notate fedi, registri dei fedisti ed altri inutili libri, i quali, senza rispondere a nessun bisogno dell'amministrazione, producevano perdita di tempo, lavoro e spesa grande.

Le passività delle finanze furono enormi quegli anni, per le conseguenze della guerra con l'Austria, rivoluzione del 1820, e mantenimento dell'esercito Tedesco d'occupazione. Il debito pubblico, in pochi mesi, fu quadruplicato; facendosi un prestito con la Casa Rothschild, per Duc. 800,000 rendita, al prezzo d'emissione 50; poi un altro, con la medesima casa, per Duc. 840,000 rendita; quindi un terzo, nel 1822, per Duc. 1,100,000 rendita; e finalmente un quarto, a Londra, nel 1824, sempre con la casa Rothschild, per la somma capitale di lire sterline due milioni e mezzo. Nulla diciamo delle regie cointeressate delle dogane e dei tabacchi, con le quali si rinnovellarono gli abominevoli spedienti dell'epoca viceregnale, di vendere le gabelle.

Nel contratto del primo prestito, promise Medici pronto rimborso, per via di vendita di beni demaniali: ed intendeva di comprendere tra questi la dotazione del Banco. Come Macedonio s'era servito dei fondi pubblici, Medici si sarebbe valso degl'immobili, se non avesse protestato il Reggente de Rosa, con questo coraggioso rapporto.

"Il sig. Direttore della Real Cassa d'ammortizzazione mi ha rimessa, con suo uffizio de' 26 del passato settembre, la copia di una ministeriale de' 12 detto, donde si rileva, che a' termini del contratto stipulato coi signori Rothschild e Compagnia, a' 7 maggio ultimo, la cassa anzidetta deve procedere alla vendita, in iscrizioni sul G. L., di tutti i beni e rendite appartenenti alle diverse dipendenze finanziere. Ed essendo fra queste notato benanche questo Banco delle due Sicilie, per una rendita di Duc. 41,068,61. il cennato direttore della cassa d'ammortizzazione mi ha chiesto uno stato dettagliato, accompagnato da' notamenti parziali, di tutt'i beni che si devono alienare, di proprietà di questo Banco".

(1) Verbale di Reggenza 31 agosto.

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"Siccome, per questo oggetto, tempo addietro, io le rassegnai una ragionata memoria, colla quale sostenni che il Banco non era una amministrazione finanziera, e che in conseguenza non doveva essere compreso tra le altre amministrazioni di simil natura, per l'alienazione di tutti i suoi beni, in forza del contratto fatto da cotesto ministero, col negoziante sig. de Rothschild; così, vedendo ora che le ragioni esposte in quella memoria non han prodotto il desiderato effetto, e che, seguendo le stesse idee di allora, si vuol dare nuovamente cammino all'affare, mi credo nel dovere di nuovamente rassegnarle, che il banco non può comprendersi affatto fra le amministrazioni finanziere, e deve, per giustizia, formare una eccezione alla regola; per le ragioni che qui appresso vengo a dettagliarle."

"1.° Perché amministrazioni finanziere sono, propriamente, quelle che amministrano fondi del Governo, coll'obbligo di versarne i prodotti alla General Tesoreria, come sono, per ragion d'esempio, il demanio pubblico, la direzione de' beni riservati, quella dei beni reintegrati, ed altre simili. Il Banco adunque, che, lungi dal versare i prodotti de' suoi beni alla Tesoreria, l'impiega per proprio uso, non è un amministrazione finanziera, ma un pubblico patrio stabilimento, succeduto ai sette Banchi che prima vi erano; i di cui beni il Governo incamerò a sé e poscia (di tutt'i sette avendone creato un solo) supplì, in parte, all'assegno de' beni, già incamerati, con una particolare dotazione, nemmeno sufficiente pel suo mantenimento. Quindi, escluso di dritto dal contratto passato col sig. de Rothschild, non può essere spogliato dei suoi fondi".

"2.° Perché, qualora se gli volessero togliere i beni, che attualmente possiede, bisognerebbe dargliene altri in compenso, onde assicurarli i mezzi di sussistenza; e questo cambio di effetti, mentre niente opererebbe in rapporto alla estinzione del debito della Nazione, ch'è stato oggetto principale della disposizione di vendersi i fondi delle amministrazioni finanziere, sconcerterebbe l'attuale sistema amministrativo del Banco; dappoiché il medesimo trovasi di aver dato in affitto tutte le sue rendite, per un estaglio pagabile mensualmente, affine di avere così i mezzi di soddisfare i suoi pesi mensili".

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"8.° Finalmente, perché i beni del Banco non si possono, in modo alcuno, distrarre senza un'espresso decreto del Re (D. G.) poiché essi, per effetto del Reale Decreto dei 12 dicembre 1816, essendo stati dichiarati dotazione della cassa de' privati, colla promessa di aumentarli, sono destinati a garentire le carte di quella cassa; nella stessa guisa che i beni dello Stato garentiscono le carte della cassa di Corte: come si rileva chiaramente dall'art. 5° e 6° del titolo 1° e dall'art. 8 e 10 titolo 2° del mentovato Real Decreto

"Le devo inoltre far osservare che il distrarre i beni del Banco, oltrecliè sarebbe contro la buona fede, mentre sotto l'ombra di questa ipoteca la nazione deposita, con tanta fiducia, i suoi tesori in quella cassa, potrebbe produrre ancora la conseguenza che il pubblico, colpito da questa novità, e memore delle ultime fasi del Banco, corresse a ritirarsi i suoi depositi; loccliè produrrebbe senza dubbio un dissesto ben considerevole, nelle attuali circostanze".

"Da quanto mi son dato l'onore di rassegnarle, Ella ben vede che è evidentemente dimostrato di non essere i beni del Banco alienabili, perché appartenenti ad un pubblico stabilimento, anziché ad un amministrazione finanziera; che se, finora, si son fatte delle alienazioni di alcuni fondi del Banco, contro iscrizioni, il Banco medesimo ne ha introitata la rendita e nulla ha perduto. Che. alienando, non si otterrebbe l'intento di ammortizzare il debito, giacche altri fondi si dovrebbero cedere dallo Stato al Banco, perché, gravati di un ipoteca a favore della Nazione, incontrano nella alienazione la resistenza della legge. Io quindi la prego di mettere, colla sua solita energia, tuttociò sotto gli occhi di S. M. (D. G.), affinché, rammentandosi di quanto trovasi da esso stesso sovranamente disposto, col cerniato R. D. 12 dicembre 1816, ed in vista delle suddette ragioni, da me esposte, si compiaccia di eccettuare i beni del banco dalla vendita di quelli delle altre amministrazioni finanziere, essendo, di dritto, il Banco escluso dal contratto passato col sig. de Rothschild, come di sopra le ho detto".

Sia per le forze di questi argomenti, sia perché si convinse ch'era più giovevole alla finanza, ed allo stesso Rothschild, d'accreditare per via indiretta i nuovi fondi pubblici, mediante facile pegno del titolo e facile sconto della rendita semestrale, rinunziò il ministro all'idea di confiscare gli avanzi del patrimonio dell'istituto; facendo invece stampare questo rescritto.

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"Signore - Con rapporto della data de' 15 di questo mese, Ella mi ha proposto: 1° di aumentarsi, di altri ducati centomila, il fondo destinato, nella Cassa dello Sconto, alla pegnorazione delle Iscrizioni sul Gran Libro, prelevandoli dalla madrefede della Cassa dello Sconto: di permettersi ancora la pegnorazione dei Certificati di rendite delle due "Amministrazioni Napolitano, prendendosi all'oggetto una somma di ducati cinquecentomila dagli Apodissari della Cassa di Corte, in cui tale prelevamento non può portare alcun inconveniente; 8° in fine di calcolarsi, in tali pegnorazioni, tanto le iscrizioni quanto i certificati di rendite, non già alla ragione di ducati (50 per ogni ducati cinque di rendita, ma bensì ad un quarto di meno del prezzo fissato dalla Borsa, all'epoca della dimanda di pegnorazione,,.

"Avendo quindi rassegnato tutto ciò a S. M. nel suo Consiglio ordinario di Stato, del 24 corrente, e la M. S. essendosi degnata di approvare quanto di sopra da lei si è proposto, nel Beai Nome glielo partecipo, signor Reggente, per sua intelligenza, e per lo adempimento di risulta. Napoli 26 giugno 1822. De Medici".

In seguito, il pegno dei certificati di rendita prese tale sviluppo da superare spesse volte il lavoro dello sconto di cambiali, ed ai denari dell'istituto s'aggiunsero certi fondi della finanza. Per maggiore garenzia dei possessori di certificati, ed anche per comodo dell'amministrazione, fu ordinato ai ricevitori che depositassero ogni decade al Banco, caricandola su di apposita madrefede, la quinta parte dei redditi del tributo fondiario. Però il Ministro, che non voleva tenere ozioso questo denaro, lo collocava con pegno di certificati di rendita e sconto di cambiali, per conto della finanza, non del banco, ottenendone qualche anno l'utile di D. 50,000. Ma, nel 1824, prima del prestito di lire sterline 2,500,000, uno straordinario ribasso delle rendite napoletane fece perdere alla finanza D. 200,000.

Per gl'impiegati del Banco si stabilirono, a quel tempo, parecchie massime, che sembraci opportuno trascrivere, in sostegno delle nostre asserzioni che ci fosse privilegio a favore dei figli d'impiegati, e che si tollerasse l'inassistenza.

Avendo, la Reggenza di questo Banco delle due Sicilie, inviato al Ministero di Stato delle Finanze, fin dal mese di ottobre dell'anno scorso, il progetto di stato discusso di questa Amministrazione, per l'esercizio del corrente anno 1822; col quale, per lo miglioramento e maggior facilitazione dei servizio, furon proposte diverse variazioni su lo stato degl'impiegati; ed avendo S. E. il Ministro delle Finanze partecipato a questo signor Reggente, con ministeriale de' 31 del passato luglio,

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che S. M. (D. G.) nel Consiglio di Stato dei 29 detto, si era degnata di approvare quanto erasi proposto col suddetto progetto di stato discusso, ed ordinarne l'esecuzione, la Reggenza medesima, in obbedienza di tali Sovrani ordini, dovendo prima di ogni altro coprire tutte le cariche ed impieghi del Banco, in conformità del nuovo stato di situazione, col quale vengono a sopprimersi alcuni impieghi, che si son creduti meno necessari!, e ad aumentarsi gl'impiegati in alcune officine, ove il bisogno del servizio lo richiedeva, si è riunita, per questo interessante oggetto, nella solita stanza delle sue sedute, nel locale delle finanze in San Giacomo, nei giorni 12, 13, 16, 17, 10, 20 e 21 del corrente agosto, applicandosi indefessamente al regolare passaggio di tutti gl'impiegati, secondo la loro graduazione, e facendone la situazione nelle diverse cariche ed impieghi, secondo che il miglior servizio? di quest'amministrazione del Banco e del pubblico, ha creduto dover richiedere.

Quindi la Reggenza suddetta:

Visto il rapporto del 21 ottobre dell'anno scorso, col quale fu rimesso al Ministero delle Finanze il progetto di stato discusso di quest'amministrazione, per l'esercizio dell'anno corrente, ed il nuovo stato di situazione degli impieghi, colle variazioni, ampliazioni e restrizioni in esso proposte.

Vista la suddetta ministeriale, del 31 del passato luglio, portante la sovrana approvazione del cennato progetto non solo, ma anche di essersi S. M. degnata di approvare che potessero ammettersi nel banco una trentina di alunni senza soldo, onde prevalersene in ajuto degli attuali vecchi impiegati del banco, ed addirli ove il bisogno lo richiegga; giusta l'autorizzazione chiesta da questo signor Reggente, con rapporto dei sedici dell'antipassato mese di giugno; coll'espressa condizione che debbano esser questi giovani alunni di età non maggiore di anni venti e figli di antichi impiegati, esclusi gli estranei.

Vista l'altra ministeriale, de' 17 andante agosto, colla quale venne approvato, che l'esecuzione del nuovo sistema debba aver luogo dal primo dell'entrante mese di settembre in avanti;

Vista la ministeriale dei 24 detto mese di agosto, con la quale viene partecipato di essersi accordate le pensioni di ritiro agli uffiziali D. Vincenzo Calabrese, 1). Biase Capo, D. Gaetano Belsito, D. Alessandro Capo, D. Donato della Rocca, D. Giuseppe Caiazzo, D. Pietro Paolo Damiani, e D. Raffaele Ruggiano; con essere stato autorizzato questo signor Reggente di far pagare a' medesimi i rispettivi soldi da quest'amministrazione, pendente la liquidazione delle suddette pensioni;

Vista benanche la ministeriale con cui vien determinato, in conformità di quanto fu opinato da questa Reggenza e rassegnato a S. E. il Ministro, con rapporto de' 10 detto, che gl'impiegati i quali, per effetto delle proposte restrizioni, vanno a retrocedere,dalle rispettive classi alle quali attualmente appartengono, ad altre classi inferiori, debbano riguardarsi come non rimossi da quelle, ed esser conservati nell'attuale loro soldo e graduazione, onde non abbiano il menomo pregiudizio, né essi né le loro famiglie, in qualunque caso di morte o di ritiro.

Viste finamente le ordinanze della stessa Reggenza, dei 5 ottobre 1821 e_ de' 22 giugno 1822, che vengono richiamate in esatta osservanza, e di cui dovrà darsi conoscenza

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al nostro Agente contabile, il quale resta responsabile della esecuzione degli articoli 5, 6 e 7 della suddetta ordinanza, del giorno 22 giugno 1822.

Intesi inoltre i Razionali delle rispettive Casse, relativamente alla condotta, assistenza e inassistenza di ciascun impiegato;

Considerando che coloro i quali sono inassistenti, e non si presentano all'adempimento de' loro doveri, ancorché mantengano il supplemento nel loro impiego, non possono avere lo stesso dritto, in caso di promozione, come lo hanno quelli che vi adempiono e non mancano alla giornaliera assistenza, e che in conseguenza travagliano maggiormente,per la mancanza di altri.

Considerando elio, coll'attuale nuovo stato delle cariche, che va a mettersi in esecuzione, la Reggenza, mentre ha avuto cura che, non ostante le proposte restrizioni, niuno avesse dovuto perdere o la sua graduazione, o qualche menoma parte del suo soldo, ha avuto però nel tempo stesso in mira il migliore e più spedito servizio del banco;

Considerando, finalmente, che se lo esatto adempimento de' doveri, nello esercizio delle rispettive cariche, merita lode ed anche premio; l'oscitanza per l'opposto, ed il poco impegno, specialmente allorché si tratta di appuramento e bilancio della scrittura, d'onde possono risultare dei seri disguidi al banco,meritano sicuramente una mortificazione.

Ha determinato

1. Che gl'inassistenti, nel caso di promozione, non debbano aver dritto al passaggio, secondo le loro graduazione; ma, restando essi nel grado in cui si trovano, debbono essere preferiti negli ascensi quelli che sono assistenti e li seguono in graduazione; affinché, da ciò avvertiti gl'inassistenti, vengano in seguito ad adempiere a' loro doveri, per meritare il passaggio in altra promozione, fi, continuando a non assistere, saranno cassati dal rollo; non essendo giusto che coloro i quali non intendono affatto di adempiere ai loro doveri, debbano essere di ostacolo alla promozione di altri, che travagliano con zelo ed esattezza. E ciò s'intende anche per coloro che, non assistendo personalmente, si fanno supplire da altri nel loro impiego.

2. Che ciascun impiegato, qualunque sia il suo impiego di graduazione, debba prestar servizio in quella carica ed officina ove la Reggenza lo crederà più opportuno, per l'andamento di quest'amministrazione e per lo disbrigo e miglior servizio del banco e dei pubblico, secondo il sentimento de' signori Presidenti e dei Capi di officio delle rispettive casse; senza che alcuno possa negarsi ad esercitare quell'impiego che o in proprietà, o per permuta gli sarà destinato: giacché la destinazione all'impiego deve dar dritto solamente al soldo ed all'antichità di servizio, e non già alla carica, che può esser destinata a misura del bisogno e secondo la circostanza del servizio: e ciò s'intenda anche pei soprannumerari ed alunni, i quali, nelle promozioni, saranno considerati non secondo la graduazione, ma a misura della loro assistenza, e de' loro meriti particolari nel servizio.

3. Che, ad ovviare gl'inconvenienti che possono derivare dall'attrasso dell'appuramento della scrittura, e dall'attrasso di scritturazione dell'esito di cassa e de' giornali (fermo restando il disposto coi suddetti articoli 5, 6 e 7 dell'ordinanza dei 22 dell'antipassato mese di giugno) il soldo degl'impiegati nella Revisione debba pagarsi dietro certificato del Razionale della cassa, che assicuri la giornaliera assistenza de' medesimi, e che la revisione della scrittura vada in corrente; e lo stesso debba praticarsi per tutti gl'impiegati nell'esito di cassa, nel di cui certificato dovrà ascurarsi di esser stata scritturata l'ultima giornata del mese precedente, di cui si paga il soldo.

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Pei giornalisti poi, dovrà pagarsi il soldo dietro certificato del Revisore e del Razionale, che assicurino di essere in corrente e regolarmente scritturati i rispettivi giornali.

Quindi è venuta la Reggenza a fare il regolare passaggio, ed a destinare gl'impiegati a coprire tutte le cariche ed impieghi, a tenore del nuovo stato di situazione, giusta l'alligato nota mento.

Da decorrere il presente movimento dal 1° dell'entrante mese di settembre in avanti.

La Reggenza- Prospero de Rosa Reggente, Giovanni Sanfelice Presidente, il Barone Ciccarelli Presidente, G. Gifuni Segretario Generale.

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14. Si provvide, nell'istesso anno 1822. a procacciare pasta metallica per la coniazione di nuove monete, mediante ordine alla zecca di pigliare le verghe d'oro e d'argento, le monete estere, e le antiche monete di oro del regno, e di pagarne il valore con mandati a rista sul banco. Ecco la notificazione, pubblicata nel giornale officiale del 18 novembre 1822.

"Il pubblico è prevenuto che per disposizione di S. E. il signor Consigliere Ministro di Stato, Ministro Segretario delle Finanze, la Regia Zecca continua, d'oggi innanzi, a ricevere tanto le verghe che le monete d'oro e d'argento estere, calcolandone l'importo a norma di quanto è prescritto nell'ordinanza ministeriale del dì 8 maggio 1818, rilasciando ai proprietari i mandati di soddisfazione, che verranno a vista estinti dal Banco, delle Due Sicilie. Riceverà parimenti le monete d'oro antiche di regno, venendo soddisfatti i proprietari dell'importo, secondo il loro valore nominale, in monete d'oro nuove, anche con mandati sul banco; prelevandosi dall'importo medesimo il solo valore della mancanza di peso, in caso che ve ne fosse, facendosi il peso in massa, ed in caso che vi sia aumento sarà bonificato».

Un altro vantaggio fu accordato ai possessori di monete e di verghe con la

Notificazione inserita nel giornale officiale, del 1G giugno 1823, per la pignorazione delle monete straniere, e delle verghe di oro e di argento, con l'interesse dell'uno per cento all'anno.

1. E permesso ad ogni particolare di esibire al banco delle verghe di oro e di argento, come anche delle monete forestiere, per pignorarle.

2. L'interesse sopra tal sorta di ])egni sarà calcolato alla ragione dell'uno per cento all'anno, che ricade a grana 25 per 100 calcolato per tre mesi, alla qual'epoca è fissata la durata del pegno, salvo a potersi l'inno vare.

3. Piuma di esibirsi le suddette materie di oro e di argento al banco, dovranno le verghe esser saggiate e valutate dalla zecca, pur l'importo del fino che contengono; e le monete dovranno essere valutate a peso, in conformità della tariffa stabilita con l'ordinanza di S. E. il Ministro di Finanza Cavaliere de Medici, in data de' 10 aprile 1818, rilasciandosi a tal uopo, dalla Direzione della Zecca, il corrispondente certificato.


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4. In vista di detto certificato, sarà fatto il pegno dall'orefice apprezzatoli, colla deduzione dell'uno per 100, per sicurezza dell'importo dell'interesse alla ragione suddetta; interesse che sarà pagato al dispegno.

Il pegno di verghe o monete sarà ricevuto in guardaroba, dopo essere stato scritto nel libro del credenziere, colle solite formalità, come si pratica per tutti gli altri pegni, consegnandosene la cartella al pegnorante; non dovendovi essere altra differenza, tra i pegni delle suddette materie di oro e di argento in verghe o di monete forestiere, ecb i pegni di altri oggetti preziosi, che la sola durata del tempo ridotta a tre mesi, e la ragionectell'interesse, da calcolarsi come sopra, sull'importo che vien determinato dal certificato della zecca, e che forma la base del valore del pegno.

5. Qualora, dopo relasso di tre mesi, il pegno non sarà dispegnato, o rinnovato, saranno le dette materie di oro e d'argento e monete forestiere passate alla Regia Zecca, per coniarsene monete di regno; la differenza dell'uno, dedotto 1 interesse che sarà scorso sin al dì dell'invio delle monete alla Zecca, sarà conservata al pegnorante.

6. Per intelligenza del pubblico, si farà inserire nel giornale la presente ordinanza, dietro l'autorizzazione di S. E. il Ministro delle Finanze.

Il Reggente del Banco. Prospero de Resa,il Segretario Generale, Giambattista Gifuni. Napoli 31 maggio 1823. Approvato. Il Consigliere Ministro di Stato, Ministro Segretario di Stato delle Finanze, De Medici.

Le notificazioni della zecca, pubblicate sul giornale uffiziale del 24 luglio 1823, dicevano:

Si certifica da noi sottoscritti, incaricati del tesoro dell'amministrazione generale delle monete, qualmente, a tenore della legge, le verghe raffinate di oro debbono essere di titolo non minore di millesimi 992, e che il valore dell'oncia, nelle materie di detto titolo, secondo l'ordinanza ministeriale degli b maggio 1818, corrisponde a ducati 20 grana 75 e centesimi 46. Giovanni Pappalettere segretario, Giovanni Hind controloro, Giuseppe Radente contabile.

Si certifica da noi sottoscritti, incaricati del tesoro dell'amministrazione generale delle monete, qualmente, a tenore della leggerle verghe raffinate di argento debbono essere al titolo non minore di millesimi 934; ed il loro valore, a detto titolo, corrisponde a ducati 16 grana Ile centesimi 79 per libbra, a tenore della ordinanza ministeriale 8 maggio 1818. Giovanni Pappalettere segretario, Giovanni Hind controloro, Giuseppe Radente contabile.

Stabilirono, quel medesimo anno 1823, un nuovo metodo di registrazioni contabili per l'invio alla zecca e riconiazione delle monete vecchie. Quasi tutta la pasta metallica fu, sotto VAmministrazione Borbonica, somministrata dal Banco, ed appunto per questo il suo Direttore generale, o Reggente, aveva anche l'ufficio e qualità di capo dell'amministrazione delle monete o Direttore della zecca.

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Secondo il Bianchini, dal 1735 al 1831, si coniarono di

monete d'oro Duc. 35,569,321,09

" d'argento " 37,830,575,24

" di rame " 3,155,463,96

Totale Duc. 76,555,360,29

In media, la somma mancante dalle casse del Banco, per deposito alla zecca, di moneta vecchia da riconiare, superava un milione di ducati.

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15. Il rame procacciava al fisco un lucro netto di 70, e qualche volta 80 per cento, allorché si metteva per la prima volta in circolazione, e la pasta veniva da compra di metallo, non da rifusione di moneta vecchia, che la zecca avesse preso pel valore nominale. Dal 1818 al 1833, la finanza ebbe Duc. 354,546; ma il Banco pagava le spese, avendo dovuto tenere, fino al 1862, tre conti, oro, argento, rame, con casse separate per quest'ultimo, provvedute di numeroso personale.

Siccome molti esattori d'imposte avevano facoltà di fare con moneta di rame, ovvero con fedi e polizze del conto rame, una parte dei loro versamenti, succedeva che nell'apposita cassa del banco se ne accumulava grande quantità,300,000 ducati in media. Le fedi, o polizze, o crediti in madrefedi, tuttoché dicessero, moneta dì rame, erano meno incomode a trasportare ed a custodire dell'effettivo metallo. Si riprodussero fra noi quelle circostanze che avevano condotto, due secoli prima, alla costituzione del banco di Svezia, tanto elogiato dagli scrittori. Gli Svedesi, col loro rame, dovevano usare le carrette sempre che occorresse di far passare somme di qualche importanza da una mano all'altra. Essi trovarono il rimedio di un deposito pubblico o banco, che faceva le volture di credito sui propri registri, senza bisogno di materiali consegne. A Napoli, similmente, il rame, rappresentato com'era da valori cartacei, perdeva i suoi difetti di peso e volume incomodo, perché si affidava al Banco di Corte di San Giacomo (1) che lo teneva a disposizione

(1) E, dal 6 giugno 1882 in poi, anche alla Cassa Privati o Banco Pietà, per effetto di Reale Rescritto.

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del proprietario della fede o polizza, ovvero del creditore in madrefede. Ciò non pertanto, quella parte che rimaneva in piazza era sempre soverchia pel commercio del Regno, cosicché scapitava nei baratti con monete nobili. Nelle provincie, l'aggio sul cambio del rame in argento era del due, due e mezzo, anche tre per cento. Nella capitale sarebbe stato maggiore, se la ricerca che ne facevano gli esattori delle imposte, i quali avevano riscosso argento dai contribuenti, e volevano versare rame all'erario, non avesse ridotto la perdita a più discreta misura.

Concluso il prestito a Londra, di lire sterline due milioni, si venne ad un'altra liquidazione delle reciproche ragioni di debito e credito, fra la Tesoreria dello Stato ed il Banco. Risultò la prima debitrice di Duc. 401,536,59. Ciò fu consegnato in atto verbale (31 maggio 1824) sottoscritto dai Ragionieri della Reggenza e della Cassa di Corte, Amatrice e Gagliardi, dal Reggente Prospero De Rosa, dai Presidenti Giovanni Sant'elice e Barone Ciccarelli, con l'autentica del Segretario Generale, Gifuni.

Il Re, nel Consiglio di Stato dei 28 di giugno, se ne dichiarò inteso. Indipendentemente dai D. 4(31,536,59, debiti vecchi, la Tesoreria aveva preso, quello stesso armo 1824, D. 2,878,467,67, con boni della cassa di servizio, scontati dal banco, alla mitissima ragione del 2 12 per cento.

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16. Atto di maggiore importanza fu la fondazione d'una seconda Cassa di Corte, nell'edifizio dell'abolito banco dello Spirito Santo, pel servizio apodissario e pegni degli oggetti d'oro o d'argento.

Allorché, col Nostro decreto de' 12 dicembre 1815, volemmo dare una organizzazione definitiva ai Banchi di questa capitale, formandone due, sotto l'unica denominazione di Banco delle Due Sicilie, uno cioè pel servizio della Regia Corte, della Teso seria Generale e di altre amministrazioni finanziere, e l'altro pel servizio de' particolari; sulle basi di un piano che, di nostro ordine, fu formato da una deputazione di creditori apodissari, che noi approvammo il? dicembre 1805, e che poi, per la guerra sopravvenuta non si poté mettere in esecuzione, stabilimmo che al più presto che sarebbe stato possibile, si sarebbe aperta un'altra cassa, nel locale dell'antico banco di S. Eligio, riserbandoci di aprirne ancora delle altre, qualora l'affluenza de' depositi e le circostanze del commercio lo avrebbero richiesto.

Ora, con molta soddisfazione del nostro Real animo, abbiamo veduto pienamente risorgere il credito pubblico, verso questa antica ed utilissima istituzione, che trova vasi annientata, a motivo delle gravi novità avvenute per tale stabilimento, in tempo della occupazione militare.

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Abbiamo nel tempo stesso osservato, che l'affollamento del negoziato è tale nel banco di corte, situato nel locale delle finanze in San Giacomo, che, per quanto sia l'attività ed il numero degl'impiegati, deve sempre sperimentarsi un ritardo nel servizio, e nelle operazioni della scrittura del banco medesimo.

Volendo quindi facilitare il servizio, e ripartire in altro locale il negoziato del ramo di corte; e considerando che sebbene, col cennato decreto de' 12 dicembre 1816, fu detto che sarebbe stata aperta un'altra cassa in seguito, nel locale di S. Eligio, pel servizio de' particolari; pure, pel maggior comodo delle diverse amministrazioni finanziere, e dei particolari medesimi, è necessario, per ora, che la nuova cassa sia una cassa ausiliaria del banco di corte, e si apra nel sito più centrale di questa capitale.

Visto il rapporto del nostro consigliere Ministro di Stato, Ministro segretario di Stato delle Finanze.

Udito il nostro Consiglio di Stato ordinario;

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Nel locale dell'antico banco dello Spirito Santo, e propriamente in quella parte dell'edifizio che fu assegnata alla cosi detta amministrazione del Demanio, come di proprietà di detto banco, giusta la transazione fatta con quel conservatorio, in forza del decreto de' 9 gennajo 1812, ed istrumento che fu ordinato stipula,r sene, con ministeriale degli S settembre 1819, e che attualmente si occupa dall'amministrazione del registro e bollo, sarà aperta un'altra cassa, che sarà succursale dei banco di corte, stabilito nel locale delle Finanze, in San Giacomo. L'apertura di detta cassa avrà luogo subito dopo il passaggio della suddetta amministrazione del registro e bollo nel nuovo locale destinato per la medesima in S. Giacomo.

Art. 2. Pel maggior comodo delle diverse amministrazioni finanziere, la cennata nuova cassa, stabilita nel locale dello Spirito Santo, farà particolarmente il servizio del corpo municipale, dell'intendenza di Napoli, dell'amministrazione dei lotti, dell'amministrazione delle poste, di quella del registro e bollo, e di altre amministrazioni di opere pubbliche e di pii stabilimenti, che vorranno avvalersene, e che si stimerà opportuno, secondo le circostanze, di farli negoziare nella seconda cassa di corte allo Spirito Santo. Sarà anche in libertà di tutti i particolari di potersene servire, depositandovi il loro danaro, e disponendone con girate, e con notate fedi, egualmente come trovasi stabilito e si pratica nel banco di corte in S. Giacomo.

Art. 3. La nuova cassa dello Spirito Santo, come soccorsale della cassa di corte, è autorizzata ad emettere le sue fedi di credito, nella stessa forma di quelle che attualmente si emettono dalla detta cassa di corte

Art. 4. La suddetta nuova cassa, egualmente come la cassa di corte in S. Giacomo, avrà due conti separati, uno di argento e l'altro di rame, apponendo nell'epigrafe delle fedi e nel bollo delle polizze le parole Argento, Rame, in tutto come sta ordinato per la cennata cassa di corte, col decreto de' 12 dicembre 1816; e solo, per distinguere le fedi e le polizze di una cassa dall'altra, vi sarà apposta sullo scudo delle fedi di credito l'indicazione seguente; Spirito Santo seconda cassa di corte; e la stessa indicazione si farà, con un bollo, nelle polizze notate fedi.

Art. 5. Riceverà le polizze e fedi di credito, cosi della cassa di corte in S. Giacomo, come della cassa dei privati, sotto la responsabilità dei cassieri e de' pandettarì, coll'obbligo di farne il dovuto riscontro, nello stesso modo e forma come ora si sta praticando tra le due casse di corte e de' privati, secondo trovasi stabilito coll'art. 5 del decreto de' 12 dicembre 1816.

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Art. 6. A fine di facilitare sempre più il commercio, ed accorrere ai bisogni della popolazione, essendo di molto cresciuta l'opera della pegno razione di oggetti preziosi, che si fa nel banco de' privati, stabilito nel locale della Pietà, e grande essendo colà l'affollamento degli avventori, nella suddetta nuova cassa si farà l'opera dei pegni, sopra materie soltanto di oro e di argento manifatturate, nel modo stesso che si esegue nel locale anzidetto della Pietà, e si potranno anche pegnorare le verghe d'oro e d'argento, come ancora le monete forastiere, per la pegnorazione delle quali si osserverà ciò che sta determinato nella notificazione del Reggente del Banco, de' 31 maggio 1823, approvata dal nostro ministro delle Finanze.

Art. 7. La suddetta pegnorazione sarà un opera aggiunta alla cassa di corte, del pari che lo è il negoziato dello sconto.

Art. 8 I regolamenti e le disposizioni generali, fatte col decreto dei 12 ottobre 1816, relativamente alla corrispondenza e riscontrata tra il banco di corte e quello dei privati sono anche comuni alla nuova succursale del banco di corte, restando anch'essa sotto la dipendenza, direzione ed amministrazione della Reggenza del banco.

Art. 0. Un particolare regolamento, sottoscritto dal nostro ministro delle Finanze, darà le norme alle operazioni di questa nuova cassa.

Art. 10. Tutte le altre disposizioni e regolamenti relativi al modo dell'amministrazione del banco delle Due Sicilie e delle sue dipendenti officine, divise nelle due casse di corte e de' particolari, contenute tanto nel citato decreto dei 12 dicembre 1816 e suo regolamento organico, che in tutti gli altri all'oggetto emanati, e che non si oppongono al presente decreto, rimangono nel loro pieno vigore e saranno, da oggi, innanzi osservate per questa cassa succursale del Banco di Corte.

Art. 11. Il nostro ministro delle Finanze è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

Per dirigere la nuova cassa non fecero nomina di Presidente, ma crebbero i Governatori, disponendo che fossero sei: dei quali quattro saranno prescelti tra probi e distinti proprietarii, uno sarà del ceto dei primarii avvocati, e l'altro del ceto dei negozianti accreditati (decreto 23 agosto 1824).

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17. Nominale, dal 1816 al 1824, era stata la separazione fra le faccende governative e quelle del pubblico, per l'organamento strano del banco, duplice negli edifici e nei nomi, unico nella circolazione, riserva, personale, scrittura ed altro; ma tanto, un visibile segno che li distingueva si poteva trovare nella qualità del collocamento fruttifero; tenendo gli affari di sconto e d'anticipazione quella cassa di Corte che i cittadini continuavano a chiamare, e chiamano ancora, Banco di San Giacomo; mentre che la cassa dei Privati, ovvero Banco della Pietà, rimaneva monte di pegno.

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Risorto dunque il terzo banco, dello Spirito Santo, col nome di cassa di Corte e con gli affari di monte di pegno, sparve addirittura la distinzione, della quale non si fè motto, quando fu determinato l'impiego dei fondi del banco, con ordinanza riservatissima del ministro, che è rimasta ignota fino al 1863.

1. La massa dei depositi esistenti, nelle rispettive casse del banco delle due Sicilie, sarà ripartita in diciotto eguali porzioni.

2. La ripartizione sarà eseguita nelle seguenti proporzioni:

Nove diciottesimi saranno sempre in circolazione (1) e serviranno per lo negoziato giornaliero del Banco di Corte in San Giacomo, sua cassa succursale allo Spirito Santo e del Banco dei privati alla Pietà. Da questi nove diciottesimi saranno anche prelevate le somme che saranno rimesse alla Regia Zecca per monetarle.

Due diciottesimi e mezzo saranno addetti ai pegni di oggetti preziosi, e di pannine, seterie e metalli.

Quattro diciottesimi e mezzo rimarranno destinati allo sconto di effetti commerciali, i quali saranno oltre il milione di ducati di proprietà della Real Tesoreria, e che trovasi dato in anticipo, alla eletta Cassa, per una parte della sua dote.

Due diciottesimi saranno assegnati ai pegni d'iscrizioni. Trovandosi attualmente impiegata su di questi pegni somma maggiore, viene rimesso alla prudenza del Reggente del banco di ridurla alla indicata proporzione,per quel tempo che meglio e secondo le circostanze gli potrà riuscire,non tralasciando di darne ragguaglio a S. E. il Ministro delle Finanze, nelle verhali conferenze che terrà col medesimo (2).

3. Tutte le somme che potranno,rimanere oziose sulli due diciottesimi e mezzo, destinati alla pegnorazione di oggetti preziosi, pannine e metalli, saranno aumentate sui quattrodiciottesimi e mezzo assegnati per l'opera dello sconto di effetti commerciali; di modo che fra i pegni indicati e lo sconto siano sempre impiegati sette diciottesimi dei depositi apodissari; cercando, per quanto è possibile , di non far rimanere fondi inoperosi, onde non perdersene il prodotto.

1. Effettiva moneta da tenersi nei tesori e casse.

2. Gran parte dei fondi disponibili del banco serviva per i pegni di certificati di rendita. Pure gli anni seguenti, fino al 18G0, spesso succedette che la stabilita proporzione di due diciottesimi fosse superata.

L'amministrazione Borbonica nascondeva gelosamente i fatti finanziarli, anche quando importassero a tutti i cittadini, e potesse tornare vantaggio al Governo dalla loro manifestazione

Fra centinaia di documenti ci contentiamo di copiare questo, che è abbastanza eloquente nella sua brevità:

«Ministro delle Finanze - 7 luglio 1834.-1° Rip. 2° Car. numero 1454. - Riservata -Signor Reggente. Nel richiamare a di Lei memoria le antecedenti disposizioni, comunicatele con Ministeriale del 2 aprile 1832 mini. 701, onde conoscere le quote proporzionali per diciottesimi delle varie opere e negoziazioni del banco. La incarico di rimettere un analogo stato di situazione a casa mia ed a me solo segretamente in ogni mese. Il Ministro Segretario di Stato delle Finanze - d'Andrea. Vol. 1156 dell'archivio».

Era dunque proibito di dire come procedessero le operazioni del banco, e come fosse collocato il capitale disponibile, non ostante che al 1834 si trovasse in buone condizioni l'Istituto; ed ove si fosse conosciuta quest'ordinanza del 1824, e si fossero redatti e pubblicati i bilanci, maggiore ne sarebbe stato il credito.

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4. Qualora le circostanze del banco richiedessero qualunque alterazione sulle anzidette proporzioni, o in aumento o in minorazione , sarà permesso al Reggente del Banco di eseguirla, sino alla somma di D. 300,000. Eccedendo una tal somma, non potrà farsi altra alterazione, senza una espressa ministeriale disposizione, in seguito di proposta che ne dovrà fare lo stesso Reggente.

5. Perché sia sempre tenuta l'ordinata proporzione, nell'uso del denaro depositato nei banchi, disporrà il Reggente del Banco che, in ogni quindici giorni, il Razionale della Reggenza formi riservatamente uno stato di situazione, dimostrante lo ammontare della massa dei depositi esistenti nei banchi, e l'uso nel quale si trovano impiegati.

Questa dimostrazione farà conoscere se le proporzioni sieno serbate e quali modificazioni sieno a portare in ciascun ramo di negoziato.

6. Il Reggente del Banco resta incaricato esclusivamente della esecuzione di questo regolamento,comunicandolo al solo Razionale della Reggenza, per lo adempimento da sua parte.

Del presente regolamento se ne sono formati tre originali, da rimanere presso S. E. il Consigliere Ministro Segretario di Stato delle Finanze, un altro presso del Reggente del Banco ed il terzo presso del Razionale della Reggenza -firmati de Medici (ministro) Prospero De Rosa (Reggente del Banco) G. Amatrice (Razionale).

Questa regola dei diciottesimi non si potette sempre osservare. Ordinariamente il fondo collocato era ben al di sotto delle proporzioni stabilite, perché mancavano le buone cambiali da scontare, e non si domandavano sufficienti anticipazioni sopra pegno di titoli e di oggetti. Succedette pure qualche volta che si avverava il caso opposto, che cioè la riserva metallica non giungeva alla metà della carta circolante.

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18. Il successore di Ferdinando, Francesco, poco si occupò del Banco. Unico suo atto importante fu di crescere al 4 per 00 l'interesse sui pegni di monete straniere, e di verghe d'oro e d'argento (1) che tre anni prima, con lo scopo già mentovato, era stato ridotto all'uno per cento.

Ai 12 di febbraio 1832, sotto il Ministero del Marchese d'Andrea, uscì questo decreto di Ferdinando Secondo:

Volendo Noi accrescere il movimento dei fondi della Cassa di Sconto, ed animare in un tempo il commercio delle gioje, onde far godere ai nostri amatissimi sudditi de' vantaggi che ne derivano, conciliando il conseguimento di queste vedute con la sicurezza dello esatto rimborso dei fondi stessi,alle scadenze determinate.

Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze;

Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato;

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Dal dì primo di aprile del corrente anno, nella Cassa di Sconto, potranno riceversi dei valori garen titi da depositi di gioje, fatti nel Banco delle due Sicilie.

(1) Notificazione pubblicata a 4 luglio 1826.

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Art. 2. Sono escluse dalle disposizioni dell'articolo precedente le perle e le pietre preziose colorite.

Art. 3. Lo sconto dei valori, ed i depositi delle gioje dovranno eseguirsi secondo le norme fissate nel regolamento annesso al presente decreto, il quale rimane da Noi approvato.

Art. 4 Il nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.

Regolamento intorno al modo dì effettuirsi lo sconto

dei valori nella Cassa di Sconto, contro depositi di gioje.

Art. 1. Le cambiali o i boni che si dovranno scontare con depositi di gioie, dovranno essere non maggiori di ducati mille, saran formati secondo le regole commerciali, della scadenza non più lunga di tre mesi, e potranno esser muniti della sola firma di colui che fa il deposito; salvo quando non fosse di piena soddisfazione de' Deputati della Cassa, nel quale caso dovranno munirsi di firma di qualche negoziante, o di altro proprietario conosciuto, e che goda opinione di onestà e di agiatezza.

Art. 2. Non potranno essere negoziati alla Cassa che dopo di essersi fatto il deposito delle gioie nel Banco dei privati; il di cui valore dovrà essere tre quinti maggiore della cambiale o del bono, giusta la stima degli apprezzatone

Art. 3. Gli oggetti di gioie dovranno sempre valutarsi almeno da tre orefici apprezzatoli ordinari del Banco della Pietà; i quali dovranno esser concordi e non discrepanti tra loro nel fissare il valore; e, qualora saranno dai medesimi stimati di contenere tre quinti di più del valore della cambiale o bono da scontarsi alla Cassa di Sconto, verrà fatto il deposito, colla redazione di un verbale in quattro simili esemplari, in cui sarà, colla massima precisione, dinotata la specie, il peso ed il valore dell'oggetto depositato, giusta il modello unito al presente regolamento.

Art. 4. Gli Orefici apprezzatoli, per l'incarico dell'apprezzo degli oggetti suindicati; dovranno aumentare le rispettive cauzioni di altri ducati cinquecento. Essi rimarranno strettamente responsabili della valuta del pegno, anche coll'arresto della di loro persona. Questa condizione s'intende espressamente accettata da essi colla firma che appongono al verbale.

Art. 5. Fatto il deposito delle gioie, nei modi soliti ordinati da' regolamenti per la pegnorazione, il Presidente d§l Banco invierà al Reggente, come Direttore della Cassa di Sconto, uno degli esemplari del verbale redatto, onde potersi eseguire lo sconto della cambiale o del bono.

Art. 6. L'interesse sul valore della cambiale o del bono sarà del sei per cento, calcolato a rata di giorni.

Art. 7. I Deputati della Cassa di Sconto, e l'agente dei cambi, assumeranno, per questa specie di cambiali o boni, gli stessi obblighi e risponsabilità che hanno per tutti gli altri valori commerciali, che nella Cassa medesima vengono ad esser negoziati.

Art. 8. Scorso il termine de' mesi tre, fissato nella cambiale o nel bono, sarà permesso di potersi rinnovare lo sconto per un altro trimestre, collo stesso deposito di gioie, presentandosi alla Cassa altra cambiale o bono, del valore della prima.

Art. 9. Non pagandosi la seconda cambiale o bono alla scadenza, la Cassa procederà al protesto contro sottoscrittore, secondo le leggi commerciali, ed agirà per le vie giudiziarie, onde astringerlo alla soddisfazione così della somma pagata dalla Cassa

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che degl'interessi e spese tutte giudiziarie, e nel tempo istesso metterà anche in vendita le gioie depositate.

Se il prodotto sarà sufficiente a ripianare la Cassa di ogni suo avere, allora si desisterà dal procedere per le vie giudiziarie; in caso opposto non si lascerà di continuare il giudizio contro del proprietario, e sottoscrittore della cambiale o del bono, e si agirà anche contro gli apprezzatola pel ricupero della deficienza, rimanendo tutti costoro solidalmente tenuti, e risponsabili in faccia alla Cassa di Sconto,per ogni danno ed interesse.

Art. 10. La vendita delle gioie sarà eseguita nella piazza degli Orefici, a pubblico incanto, e con le stesse formalità che si praticano per la vendita degli oggetti preziosi.

Per le spese occorrenti nell'incanto, pel dritto degl'incantatori, e per l'assistenza degl'impiegati, si riterrà il dritto dell'uno per cento sul valore ricavato dall'incanto.

Art. 11. Gl'impiegati della Cassa di Sconto godranno, per quest'oggetto, gli stessi dritti loro accordati sopra tutti gli altri effetti commerciali scontati da' particolari.

Art. 12. Per quelle cambiali o boni che saranno rinnovati per altri tre mesi, collo stesso deposito di gioie fatto giusta l'articolo 8, gl'impiegati addetti alla Cassa di Sconto e l'Agente dei Cambi non percepiranno dritto veruno.

Art. 13. Sarà prelevato, dagli utili della Cassa di Sconto, un dritto del due e mezzo da pagarsi per ogni somma di ducati mille di oggetti depositati, il quale verrà proporzionatamente ripartito dal Reggente del Banco a due Orefici apprezzatola, ed agli altri impiegati che sono particolarmente incaricati della esecuzione di tali depositi.

Art. 14. Per potersi dar principio allo sconto dei valori contro depositi di gioie, con le norme di sopra stabilite, è autorizzato il Reggente del Banco,Direttore della Cassa di Sconto, a prelevare da' fondi della Cassa suddetta la somma di ducati centomila per ora, per impiegarla al detto negoziato.

Non potrà oltrepassare tal somma senza una particolare autorizzazione del nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

Art. 15. Le istruzioni emanate, così per l'officina della pegnorazione che per la Cassa di Sconto, rimangono per quest'oggetto in pieno vigore, in quanto non si oppongono al presente regolamento.

Altro Decreto, degli 8 marzo 1832, aggiunse un nuovo conto apodissario, col permettere alla dipendenza San Giacomo (prima Cassa di Corte) di avvalorare fedi o polizze pagabili con valuta d'oro.

Decreto.

Veduto il decreto de' 12 dicembre 1816, risguardante la organizzazione del Banco delle due Sicilie, col quale è stabilito di farsi i depositi in monete di argento e di rame.

Volendo estendere i depositi alle monete di oro;

Sulla proposizione del Nostro Ministro, Segretario di Stato delle Finanze;

Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato;

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue.

Art. 1. Il Banco delle due Sicilie, dalla pubblicazione del presente decreto, riceverà i depositi delle monete di oro al peso legale, colle norme stabilite nel regolamento da noi approvato, annesso al presente decreto.

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Art. 2. Il Nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.

Regolamento.

Art. 1. Il Banco delle due Sicilie riceverà i depositi in moneta di oro del Regno, al peso legale, di cui terrà un conto apodissario a parte.

Art. 2. Le fedi di credito ed il bollo delle polizze porteranno nell'epigrafe la denominazione della specie delle monete depositate: colle parole - Oro antico - se il deposito verrà fatto in monete coniate prima della nuova legge monetaria de' 20 aprile - Oro nuovo - se il deposito sia in monete coniate in forza della legge suddetta. Ciascuna fede o polizza sarà soddisfatta nella specie di monete di oro che rappresenterà.

Art. 3. Si terranno all'uopo nel Banco due libri, uno apodissario e l'altro delle notate fedi, con esservi destinati dal Reggente, gl'impiegati del Banco, quattro individui, due come Libri maggiori e due come aiutanti, per lo compenso de' quali, non meno che de' Cassieri e Notatori in fede, sarà a tempo opportuno provveduto.

Arti 4. Per la responsabilità di questi depositi di oro, e per quanto riguarda il servizio del Banco, rimangono ferme e nel loro pieno vigore tutte le leggi, decreti, istruzioni e regolamenti finora emanati, e che non sono in opposizione al detto Real decreto di questa data.

In sulla fine del seguente anno (8 di dicembre 1833) modificando il decreto del 10 marzo 1808, proibirono i pegni d'oggetti d'oro e d'argento, che non avessero il marchio della zecca di Napoli. Fu anche stabilito che la Cassa di Sconto potesse anticipare sei mesi di stipendio agl'impiegati del Banco, ed uno o due mesi agli altri funzionarii pubblici.

E poche altre disposizioni attinenti al Banco, né di gran momento, troviamo pubblicate sino al 1839.

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19. Furono anni di relativa prosperità. I depositi apodissarii giunsero a ventidue milioni di ducati. Lungi dal trovarsi in angustia per mancanza di danaro, i Reggenti del Banco erano imbarazzati dalla difficoltà di trovare buoni collocamenti delle somme disponibili. Propose il Ministro d'Andrea che investissero in compra di boni o cambiali della Tesoreria Duc. 3,000,000, che a quell'epoca si potevano aggiungere al capitale messo nelle operazioni di sconto, senza varcare il limite dei quattro diciottesimi e mezzo, cioè la quarta parte dei depositi. Di questi tre milioni la finanza si sarebbe servito per estinguere obbligazioni Anglo Napoletane, ch'erano cartelle nominative d'un prestito rimborsabile fatto da Medici, nel 1824, all'interesse del 5 per cento.

Accettando il progetto d'Andrea, dal Banco si sarebbe ottenuto l'interesse 2 per cento su di un capitale giacente di ducati tre milioni, e dalla Finanza si sarebbe risparmiato l'annuo interesse tre per cento.

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Trattavasi insomma di permuta delle obbligazioni Anglo-Napoletane cinque per cento, con boni o cambiali presi allo sconto alla ragione del due per cento.

La Reggenza del Banco accolse con entusiasmo la proposta (corrispondenze del Segretariato Generale volume 115(r. ma la Consulta di Stato fu di contraria opinione, ed il parere di quel supremo tribunale amministrativo, che per le leggi del Regno doveva essere interrogato negli affari gravi, valse a fare abbandonare l'idea.

Fra molte ragioni assurde, la Consulta ne espresse due valevoli; cioè pessimo effetto morale della notizia che il fisco avesse preso tre milioni, e soverchia lunghezza di tempo che questi denari sarebbero rimasti immobilizzati. Infatti la restituzione dalla somma al Banco sarebbe cominciata dopo sette anni, quando cioè la Finanza avesse già estinte, per scadenza di termini, molta parte delle obbligazioni Ànglo Napoletane.

L'anno seguente (1839) avrebbe voluto il Ministro che dal Banco si facessero compre di rendita pubblica; sempre per collocare i capitali inoperosi; ma ciò non piaceva al Consiglio di Reggenza, che si oppose con le ragioni solite ad esprimersi da ogni prudente amministratore di Banche, cioè che in tempo di crisi monetaria può diventare un grave pericolo e danno tener collocato i depositi in fondi pubblici.

*

**

20. Tornati vani questi concetti, pensò d'Andrea di fare un beneficio alla povera gente, col diminuire dal (5 al 4 per cento l'interesse sui pegni di pannine, telerie, mussolina e stoffe di seta (1).

Poi ottenne l'approvazione del R,e ad un ordinamento nuovo della cassa di sconto, che da cinque anni (2) stavano studiando il Reggente del Banco Barone Ciccarelli, l'Agente del Contenzioso Ferdinando Ferri ed il Tesoriere Governativo, Cav. della Valle.

1. Sovrano Rescritto 18 marzo 1839.

2. Lettera del Ministro 26 giugno 1834 N. 1311 vol. 20 dell'archivio G. 3). Il bene del servizio richiede che la carica di Razionale del Banco di Corte rimanga disgiunta da quella di Tesoriere della Cassa di Sconto. Per siffatta nuova carica isolata di Tesoriere rimane, da ora, fissata la cauzione di D. 30,000, metà in rendita iscritta sul Gran Libro e metà iu benifondi od altro di meglio,

Io la incarico quindi, signor Reggente, di sentire i deputati della cassa di sconto ed il Consiglio di Reggenza; e dopo ciò, riunendosi Ella col Presidente Ferri, agente del Contenzioso, e col cavaliere della Valle, Tesoriere Generale, potrà compilare un regolamento preciso, col quale si stabilisca il soldo del Razionalo, il soldo del Tesoriere, ovvero i lucri di costui, i doveri e le attribuzioni precise di ciascuno, e tutt'altro che si crederà dover determinare sulla materia.

Le inculco altresì la sollecitudine, non potendo differire di provvedere definitivamente la carica di tesoriere della cassa di sconto. Il Ministro - D'Andrea.

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Le regole del 1818 s'erano sperimentate molto difettose. Fra le prove di loro insufficienza e' era un vuoto nella cassa del Tesoriere degli sconti, di oltre ducati quarantamila, che avevano potuto nascondere per molti anni, ed era giunto a notizia dei superiori per sola confessione spontanea dello stesso tesoriere, Carlo Gagliardi.

Questo signore, vittima dei suoi coadiutori che gli tolsero non sappiamo quanto, aveva cercato di sopperire alla mancanza col versare in cassa buona parte dei suoi stipendii ed aggi; ma la vecchiaia ed una grave malattia, della quale morì pochi mesi dopo, non gli dettero tempo. La lettera di confessione al Reggente (volume dell'archivio 20 G. 3) fu scritta quando si trovava nella materiale impossibilità, di assistere all'ufficio.

Regolamento per io servizio della cassa di sconto, approvato da S. M. (D. G.) giusta la ministeriale del 2 aprile 1839, 1° ripartimelo, 2° carico, n. 705.

Titolo 1.°-Disposizioni preliminari

Art. 1. La Cassa di Sconto, istituita col Real Decreto dei 23 giugno 1818,per lo bene e prosperità del commercio, e per vieppiù animare ed incoraggiare le industrie nazionali, continuerà ad essere, qual'opera aggiunta del Banco di Corte, sotto la immediata direzione del Reggente del Banco.

Art. 2. Le operazioni della Cassa riguardano principalmente:

§ I. Lo sconto

a) delle cambiali e de' boni commerciali, esigibili non al di là di tre mesi:

b) di tutti quei valori, qualunque siasi la loro scadenza, che pervengono, previa l'autorizzazione del Ministro delle Finanze, dalla Tesoreria Generale:

c) delle cambiali garentite da un deposito di gioie, ai termini dei particolari regolamenti in proposito.

§ II. L'anticipazione dei soldi, agl'impiegati di conto regio, similmente ai termini di speciali regolamenti sull'oggetto.

§ III. L'anticipazione benanco del semestre corrente di rendita, rappresentata da Cuponi rilasciati dalle due Amministrazioni Napolitane, parimente ai termini della ministeriale dei 17 aprile 1833, relativa all'altra dei 2 dicembre 1818. Oltre all'interesse, la Cassa riterrà quel diritto che dovrà bonificare, al tempo dell'esazione, alle suddette due Amministrazioni, ed alle medesime spettante.

§ IV. La pignorazione degli estratti e certificati di rendita sul Gran Libro, dei certificati della Real Tesoreria, e parimente dei semestri, ugualmente a termini dei regolamenti propri sulla materia.

Art. 3. La ragione dell'interesse, secondo le istruzioni dei 23 giugno 1818, Sovranamente approvate, sarà, per ciascuna delle indicate operazioni,regolata secondo che verrà proposto, a misura delle circostanze, dal Reggente Direttore, ed approvato dal Ministro delle Finanze. In tutti i casi, non potrà eccedere quella del sei per cento all'anno, calcolata per giorni, ai termini delle istruzioni mentovate.

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Gl'interessi che attualmente si esigono, a ragione del due per cento, per gli sconti della Tesoreria Generale, potranno variare secondo le circostanze, in vista delle disposizioni che potrà dare il Ministro delle Finanze, a proposizione del Reggente Direttore; senza poter mai eccedere il tre per cento, secondo l'enunciato articolo quarto delle istruzioni del 1818.

Le variazioni che potranno aver luogo, intorno alla tassa di tali interessi e per ciascuna delle indicate operazioni, saranno, dallo stesso Reggente Direttore, manifestate alla Camera Consultiva di Commercio ed alla Borsa (1).


(1) Varia:sioni degV interessi e sconti.
I documenti arrivati a nostra notizia, che consistono
in decreti regi, ordinanze, bilanci, e lettere,
ci lian permesso di compilare quest'elenco
dei mutamenti fatti, per la ragione degl'interessi,
dal 1817 al 18<>3. Ma è facile che ne manchi
qualcheduno.
Sconti di cambiali al commercio,
1817 - 9 0^0. Ginsta 1' art. 2 d'un regolamento
stampato quell' anno , che pare non si
fosse posto in pratica.
1818 - Giugno 23. - al 6 0^0.
» Dicembre 31. - al 5 0^0.
1820 - Sospesi gli sconti, pei fatti politici di
quello e del seguente anno lS2l.
1821 - Luglio 7. - al 6 per 0^0.
1822 ~ Giugno 19. - al 5 per 0^0:
» Settembre 15. - al 4 per 0^0.
1831 - Marzo 1-1. - al 5 per 0^0.
1832 - Febbraio 12. - Per le cambiali ad una
firma, garentite da pegno di gioie, fatto
nella cassa Pietà - 6 per 0^0.
1832 - Agosto 18. - Al 4 per 0^0.
1833 - Gennaio 28. - al 3 1[2 per 0^0.
1841 - Maggio 1. - al 3 per 0^0 per le sole
cambiali estere, continuando la ragione
di 3 1^2 per quelle nazionali.
1842 - Gennaio 1. - al 3 1^2 per 0/0.
1848 - Ottobre 16. -- al 4 per 0^0.
1858 - Febbraio 3. - Consentita scadenza maggiore
di tre mesi. - Per le cambiali estere
e per quelle nazionali a tre mesi,
meno, 4 per 0/0 - a quattro mesi , A
1[2 per 0/0 a cinque mesi, 5 per O/O; ed
a sei mesi 5 1[2 per O/O.
1858 - Aprile 29. - Per le eambiali a tre mesi
meno 3 1[2 per O/O, per l'altre a quattro
mesi 4 per O/O , a cinque 4 1^2 per
O/O ed a sei mesi 5 per O/O.
1860 - Giugno 9. - Cambiali a tre mesi 5 per
O/O, a quattro mesi 5 li2 per O/O, a cinque
mesi 6 per O/O , ed a sei mesi 6 e
ll2 per O/O.
1860 - Settembre 14. - al 6 per O/O, con proibizioni
di pigliare cambiali lunghe più
di tre mesi.
1862 - Aprile 5. - al 5 per O/O
Sconti alla finanza.
1818 - Dicembre 31. - al 3 per O/O.
1822 - Giugno 19,- al 2 1/2 per O/O.

1823 - Gennaio 18. -al 2 per O/O.


1831 - Marzo 14. - al 2 li2 per O/O.
1832 - Agosto 18. - al 2 per O/O.
Antidiva sioni su pegno di titoli.
1817 - Gennaio 1. - al 9 per O/O.
1818 - Agosto 1. - al 6 per O/O.
1820 - Sospesi i pegni per le vicende politiche
1822 - Aprile 27. - Ripresi i pegni di rendita,
all' interesse del 6 per O/O.
» Settembre 15. - al 5 per O/O.
1826 - Agosto 1 - al 5 per O/O. L' ordinanza
dice che scema 1' interesse sui pegni di
titoli di rendita dal 6 al 5 per cento.
Ma non si è trovata in archivio l'altra
ordinanza , posteriore al 15 settembre
1822, che abbia rialzato quest'interesse
al 6 per O/O.
1831 - Marzo 14. -al 6 per O/O.
1832 - Agosto 18. - al 5 per O/O.
1833 - Gennaio 28- al 4 1/2 per O/O,
» Ottobre 1. - al 5 per O/O.
1835 - Maggio 8. -al 4 per O/O.
» Novembre 17. - al 3 1/2 per O/O,
1842 - Gennaio 1. - al 3 1/2 per O/O.
1845 - Febbraio 12, - al 4 per O/O.
» Giugno 18.-al 3 per O/O; ma per i soli
titoli di rendita napoletana 4 O/O.
1848 - Gennaio 12. - al 3 1/2 per O/O.
» Gennaio 26. - Per le commozioni politiche
, sospesi li pegni al pubblico dei
certificati di rendita.
» Ottobre 16.-al 4 per O/O; ma solamente
alla finanza.
» Dicembre 15, - al 5 per O/O; ma solamente
alla finanza,
1850 - Febbraio 27. - al J per O/O, per la rendita
4 O/O, sempre alla finanza.
1851 - Gennaio 27,-Riprese le anticipazioni al
pubblico. Rapporto del Reggente nura,73.
1853 - Gennaio 15. - al 4 1/2 per O/O.
1857 - Aprile 21. - per la rendita 5 per O/O
al quattro e per la rendita 4 O/O al tre
e laezzo.
» Maggio 13.-per la prima al 3 1/2, per
r altra al 3.

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- 556 -

Art. 4. I valori eia ammettersi allo sconto, secondo che sta prescritto nei numeri 1, 2 e 3 della prima parte dell'articolo 2°, e secondo le norme che in appresso verranno indicate, saranno esaminati, in quanto alla loro forma ed alla bontà e solvibilità delle firme e regole commerciali, da quattro almeno della Commissione dei sei Deputati (1), che il Ministro delle Finanze propone, con Sovrana approvazione,alla Cassa di Sconto, scegliendoli fra i primari commercianti stabiliti in Napoli. Ed i componenti di questa Commissione, nella quale per deliberare dovranno intervenire non meno di quattro, ne saranno moralmente e solidalmente risponsabili, e tenuti sul loro onore, probità e coscienza.

L'esercizio delle funzioni di ciascuno di essi sarà per la durata di sei anni, cangiandosene uno in ogni anno, salvo il caso di conferma. (2)

Dai Deputati suddetti, in numero non minore di quattro, e dal Reggente del Banco, da cui, col titolo di Direttore, saranno preseduti, si comporrà il Consiglio dello Sconto.

A ciascuno dei suddetti Deputati, e per ciascuna seduta ordinaria, di cui il Segretario Generale compilerà verbale di presenza, sarà corrisposto, a titolo di semplice onorificenza, un gettone di presenza, del valore di carlini venti, che sarà realizzato in fine di ogni mese.

Art. 5. Il Consiglio suddetto dello Sconto si riunirà,per lo esame e scrutinio de' valori da negoziarsi colla Cassa, per lo meno due volte la settimana. Le due sedute ordinarie saranno nei giorni di martedì e venerdì. Avvenendo che in questi giorni ricorresse una festa civile o religiosa,le sedute sarai no fissate per altro giorno,dandosene, come anche per le sedute straordinarie, preventivo avviso al pubblico. L'importo però degli effetti scontati sarà pagato in giornata, o tutto al più nell'indomani della loro ammissione,

Art. 6.1 valori ammessi allo sconto verranno, colle formalità che quindi a poco saranno espresse, conservati in una solida cassa di ferro, a due diverse serrature, delle cui chiavi una sarà ritenuta dal Tesoriere, l'altra dal Controloro.


1858 - Aprile 29. - per la prima al 3 per l'altra
al 2 li2.
1860 - Luglio 6. - per la prima al 4 1/2, per
r altra al 3 1/2.
» Settembre 14. - per la prima al 0, per
1' altra al 5.
1862 - Aprile 5. - al 5 per O/O.
Monti di Pietà e pegni diversi.
1817 - Gennaio 1. - al 9 per O/O.
1818 - Luglio 6. - al 6 per O/O.
1819 - Novembre 29. - al 6 per O/O anche per
le nuove operazioni di pwgni di ferro ,
rame, telerie, mussoline, pannine e stoffe
di seta.
1820 - Per le vicende politiche, sospesi i pegni
di oggetti preziosi.
1823 - Giugno 23. - Pegni di verghe d' oro e
d' argento e di monete estere all' 1
per O/O
.
1826 - Giugno 28 - id. id. id. id. al 4
per O/O.
1832 - Febbraio 12 - Per le cambiali ad una
firma garentite con pegno di gioie fatte
nella cassa Pietà 6 O/O.
1839 - Marzo 18. - Pegni di pannine, telerie,
coloni e s^toffe di seta al 4 per O/O.
1845 - Pegni d' oggetti d' oro e d'argento al 6
per O/O, di pannine e telerie al 4 per O/O.

1858 - Febbraio 3.-Pegni delle mercanzie depositate


nei magazzini della Gran Dogana
5 1/2 per O/O.
1858 - Febbraio 3.-Pegni delle mercanzie depositate
nei magazzini alla Eegia Posta
5 per O/O.
l858 - Luglio 10.-4 per O/O sui pegni di mercanzie
tanto della Dogana quanto della
posta; si lasciava mezzo per cento allo
apprezzatore, ed il banco incassava 3 1/2
per O/O.
1860 -• Settembre 14. - Pegni di oggetti preziosi
al 6 per O/O.
18G3 - Gennaio 23. - Pegni di mercanzie al 7
per O/O.
» Marzo 11.-Pegni di mercanzie al 7 1/2
per O/O.
» Maggio 17. - Pegni di mercanzie alTS
per O/O.
(1) Col Sovrano Eescritto del 29 luglio 1843,
il numero de' Deputati |Io aumentarono ad otto.
(2) Lo stesso Rescritto, 29 luglio 1843, stabili
che ogni^anno si dovessero cambiare quattro Deputati,
e che gli uscenti non potessero rientrare
nella commissione prima che fosse passato un
quadriennio.

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Art. 7. Il Segretario Generale della Reggenza del Banco sarà, come lo è al presente, il Segretario della Cassa, e ne controllerà la scrittura, cogli obblighi, attribuzioni ed emolumenti che in appresso saranno indicati.

Art. S. Parimente il Razionale della medesima Reggenza, destinato già col prefato Real Decreto per contabile della detta Cassa, ne sarà da ora in poi il Razionale; con quegli obblighi, attribuzioni ed emolumenti, che del pari qui appresso saranno spiegati.

Art. 9. Per la esazione delle somme, che la Cassa dovrà riscuotere, vi sarà un Tesoriere, gli obblighi, le attribuzioni e gli emolumenti del quale saranno egualmente in prosieguo specificati.

Art. 10 Gli Agenti dei cambi eserciteranno,periodicamente le loro funzioni presso la Cassa, nel modo e colle condizioni che verranno a suo luogo dichiarate.

Titolo 2° Del Direttore della Cassa di Sconto

Art. 11. Il Reggente del Banco, Direttore della Cassa di Sconto, interverrà e presederà, in tale qualità, nel Consiglio dello Sconto: dirigerà ed ordinerà tuttociò che si conviene pel buon andamento del servizio, ai termini non meno del presente Regolamento, che di tutte le altre disposizioni generali e particolari che possono riguardarla: avrà una ispezione superiore sulle diverse ufficine della Cassa: corrisponderà direttamente col Ministro delle Finanze, e conferirà collo stesso, qualora il bisogno lo esigga: corrisponderà ugualmente colle altre Autorità e Magistrature; or dinanzerà, su ciascun borderò de' diversi valori ammessi allo sconto, la spedizione dei rispettivi pagamenti, come di tutti gli altri che per qualsivoglia causa debbono eseguirsi dalla Cassa, e ne firmerà le corrispondenti polizze: disporrà del pari d'introitarsi nella madrefede della medesima tutte le polizze che alla stessa vengono dirette: girerà ciascuno degli effetti negoziati colla Cassa, per farsene la riscossione, alla loro scadenza, dal Tesoriere: si farà esibire ogni mattina, dal Tesoriere, il borderò delle esazioni che si verificano in giornata: disporrà che le cambiali non esatte si passino all'uffiziale pubblico, per levarne i debiti protesti, a norma della legge: interverrà nella stipula dei contratti: destinerà i patrocinatori, per le procedure analoghe, contro i debitori delle cambiali non soddisfatte alla scadenza: presederà nelle sessioni degli affari contenziosi, inteso il Governatore avvocato, ove lo creda: darà le provvidenze opportune, e presederà benanche nelle verifiche dei valori sistenti in portafoglio, o presso la Cassa, che si eseguiranno con frequenza ed a suo talento, e non mai con intervallo maggiore di quaranta giorni: le quali verifiche debbono essere sempre inopinate, e senza che l'operazione della verifica possa esser mai discontinuata. Il Reggente avrà la facoltà dì obbligare il Tesoriere a far Cassa netta.

Art. 12. Il Reggente Direttore, per tutte le attribuzioni che lo riguardano, ne resta moralmente responsabile.

Titolo 3.° - De Deputati

Art. lo. Conformemente alla prima parte dell'articolo 2°, gli effetti da ammettersi allo sconto dovranno essere cambiali traettizie, biglietti all'ordine, ed ogni altra carta commerciale, riconosciuta tale dalle leggi vigenti; e le ime e le altre munite per lo meno di tre firme, due delle quali dovranno indispensabilmente appartenere a persone abitualmente addette al commercio, e che siano riputate in piazza per solide e solvibili, e ciò a pieno giudizio e soddisfazione di essi Deputati; e la terza di un'altra persona, a prudenza dei Deputati, ed a misura dell'ammontare dell'effetto, e della maggiore o minore validità delle altre due firme.

- 558 -

Art. 11. Potranno bensì essere ammessi a negoziazione dei valori che nelle tre firme abbiano la firma di un sol commerciante, purché questi, a pieno giudizio di essi Deputati, sia solido e di un rango proporzionato alla somma dell'effetto che viene a scontarsi, avendo anche riguardo alle altre due firme che l'accompagnano. In tal caso, il numero dei Deputati che intervengono nell'atto non deve essere minore di cinque, e l'atto dovrà meritare l'approvazione del Reggente, da intendersi semplicemente come permissiva. Per le cambiali traettizie poi, provvenienti dall'estero, e che ordinariamente contengono tre firme, potranno queste ammettersi col concorso di una quarta firma, di persona conosciuta, e che dipenda eia colui che viene a negoziare l'effetto alla Cassa; il tutto a pieno giudizio e risponsabilità dei Deputati, nel modo ed ai termini dell'artic. 4° del presente Pigolamento.

È accordata al Reggente Direttore la facoltà, da usarne coll'intervento della intera Deputazione, di fare ammettere a disconto i valori di scadenza maggiore di tre mesi, purché non oltrepassino il quarto mese, che sogliono talvolta venir dall'estero; i quali, sebbene di firme di prima considerazione, pur nondimeno pelle regole generali non potrebbero ammettersi a sconto.

In tutt'i casi, il fido da accordarsi, individualmente e non cumulativamente, a quei tra i negozianti compresi nella classe di eccezione dalla Camera Consultiva di Commercio, non potrà eccedere la somma di ducati centomila; secondo fu dichiarato colla ministeriale de' 4 di marzo 1835, 1° ripartimento, 2° carico, num. 448, e colle clausole e riserve in essa espresse.

Presentandosi bensì allo sconto cambiali traettizie, di firma delle prime case di commercio di Europa, per somme superiori ai ducati centomila, in tal caso, qualora si creda da tutti i sei Deputati, e vi concorra il voto adesivo del Reggente e del Presidente del Banco di Corte, e sian quindi tutti di unanime avviso, si formerà all'uopo verbale motivato, che originalmente sarà trasmesso, con rapporto del Reggente, al Ministro delle Finanze,provocandosi il suo superiore permesso all'operazione.

Art. 15. Ciascuno degli effetti ammessi allo sconto dovrà essere cifrato da uno dei Deputati; ed il borderò nel quale vengono descritti dovrà essere firmato da tutti quei Deputati che ne hanno deliberata l'ammissione; con ripetere in lettere il suo importo totale.

Titolo 4.° Bel Segretario Generale, e della parte

che prende nella scrittura della Cassa.

Art. 16. Il Segretario della Reggenza del Banco, nella qualità di Segretario della Cassa di Sconto, sarà all'immediazione del Reggente Direttore: interverrà nel Consiglio dello sconto e nelle sessioni che si terranno per gli affari della Cassa medesima: sarà di suo carico e cura non solo la corrispondenza, ma benanche la compilazione dei processi verbali, appuntamenti,ordinanze, ed altro che possa riguardare gli affari della Cassa medesima: regolerà l'andamento interno della sua ufficimi.: parteciperà a chi conviene, con darne copia eia lui firmata, tutti gli ordini e disposizioni emesse dal Reggente; ed invigilerà sull'esatta osservanza delle leggi, regolamenti ed istruzioni in vigore; e, laddove il bisogno lo esiga, provocherà dal Reggente Direttore le opportune provvidenze: controllerà e verificherà le diverse operazioni, di qualunque natura esse sieno, della Cassa; e proseguirà a tenero nella sua uffìcina i corrispondenti libri e registri all'incontro: sottoscriverà, dopo averne presa ragione, i borderò ordinanzati dal Reggente Direttore, degli effetti negoziati colla Cassa, con firmarne altresì le polizze di pagamento: riscuoterà, nelle epoche designate, i borderò dei versamenti da farsi dal Tesoriere; e, riconosciuta che ne avrà, col confronto dei suoi libri e registri, la regolarità,

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li sottoporrà, rivestiti della sua firma,alla decretazione del Reggente Direttore, per quindi passarli in Contabilità: munirà della sua firma tutte le polizze di pagamento dirette alla Cassa e le presenterà a quella del Reggente Direttore: farà destinare, per gli effetti non soddisfatti e caduti in protesto, i patrocinatori, per astringere i debitori in giudizio; e farà partecipare dal Reggente Direttore ai Deputati della Cassa i nomi de' sottoscrittori delle cambiali cadute in sofferenza, acciocché non ammettano la loro firma in avvenire, tenendone un apposito registro.

Lo stesso Segretario Generale verificherà, riscontrandolo coi suoi libri e registri, lo stato della situazione giornaliera della Cassa, che il Razionale è tenuto di formare, per rimetterlo al Reggente Direttore, ed interverrà nelle verifiche degli effetti sistenti in portafoglio, distendendone e sottoscrivendone il corrispondente verbale.

Art. 17. Attaccato al Segretario Generale, continuerà ad esservi un'incaricato degli affari contenziosi della Cassa; ed egli, sotto questo rapporto, dipenderà dagli ordini del Reggente Direttore,'e conferirà all'oggetto direttamente collo stesso e col Governatore Avvocato, ed occorrendo, anche coi Deputati.

Art. 18. Lo stesso Segretario Generale dovrà prescegliere gli impiegati per la Segreteria della Cassa di Sconto, tra gli individui del Banco di sua fiducia, e sempre colla intesa e preventiva autorizzazione del Reggente Direttore.

Art. 19. Al medesimo Segretario Generale, per se e per gli ajutanti impiegati nella sua ufticina, saranno corrisposte grana quattro per ogni ducati mille, sopra tutte le somme che la Cassa eroga, per le negoziazioni dei diversi effetti, che colla medesima si eseguono. Questo compenso è indipendente dall'assegnamento fisso di mensuali ducati venti, che gravita a peso del Tesoriere, come si dirà all'articolo 12.

Art. 20. Il Segretario Generale, infine, è moralmente responsabile per tutti gli obblighi, doveri ed attribuzioni della sua carica; vai dire per omissioni e commissioni, come di dritto.

Titolo 5.° Del Razionale della Cassa

Art. 21. Il Razionale della Reggenza del Banco, qual Contabile della; Cassa di Sconto, ne controllerà tutte le operazioni, con essere tenuto a ' darne al Consiglio di Tesoreria il con | to annuale; qual conto verrà esami j nato e discusso, coll'intervento del! l'Agente del Contenzioso, e di due Razionali della Gran Corte dei Conti, che verranno prescelti tanto dallo stesso Magistrato, quanto dal Controloro Generale di detta Tesoreria. Ciò non pertanto, nel Consiglio di Tesoreria, il Ministro delle Finanze potrà destinare altri aggiunti, da sceglierli fra i Magistrati della Gran Corte dei Conti o altrove. Il Razionale, nel modo stesso sinora praticato, continuerà a portarne la scrittura a stile doppio, e ciò tanto per quello che concerne il conto capitale, che l'altro dei profitti e spese della Cassa; ed in conseguenza seguiterà a tenere tutti quei libri e registri in oggi esistenti.

Egli, al pari del Segretario Generale, sarà alla immediazione del Reggente Direttore; conferirà direttamente collo stesso, interverrà al bisogno nel Consiglio dello Sconto e nelle sessioni che possono aver luogo per gli affari della Cassa: riterrà presso di sé le madrefedi in testa della Cassa, sì del conto capitale, come del conto degli utili: ne spedirà le corrispondenti polizze di pagamento,da sottoscriversi dal Reggente;e da lui preventivamente presa ragione, restando responsabile della regolarità delle stesse: conserverà tutti gli effetti e titoli di crediti appartenenti alla Cassa, non esclusi gli estratti di rendita ed i certificati delle due Amministrazioni Napolitane: riconoscerà se i borderò dei diversi effetti scontati e negoziati

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colla Casca sieno corredati di tutte quelle formalità dalle leggi e regolamenti prescritte, e verificherà, accertando colla sua firma, la esattezza del calcolo degli interessi, già formato dall'Agente dei cambi: spedirà, dopo essere stato così ordinanzato dal Reggente Direttore, tutte le polizze di pagamento, sia per causa di sconti, e di altre negoziazioni fatte colla Cassa, sia per qualsivoglia altra causa; e, sottoscritte da lui, le passerà, per essere verificate e vistate, al Segretario Generale, per quindi essere da quest'ultimo sottoposte alla firma del Reggente Direttore.

Il medesimo Razionale riscontrerà parimenti se i borderò di versamento del Tesoriere, non che le polizze in essi contenute, sieno in regola; e trovandoli tali, darà loro il corso analogo, e disponendo ciascuna delle suddette polizze per accreditarsi nelle rispettive madrefedi della Cassa, le passerà al Segretario Generale, perché, dopo averle verificate, ne prendesse ragione, e munite della di lui firma le sottomettesse a quella del Reggente Direttore; ed in quanto agli effetti non soddisfatti e caduti in protesto, passerà questi, dietro ricevo, a quel Patrocinatore che il suddetto Reggente Direttore avrà destinato' Sarà ugualmente sua cura di dar conoscenza ai Deputati della Cassa dei nomi dei soscrittori delle cambiali cadute in sofferenza, come si è detto nell'articolo 16.

Inoltre, lo stesso Razionale dovrà formare lo stato della situazione giornaliera della Cassa, e passarlo al Segretario Generale, per verificarsi dal medesimo, ed indi rimetterlo al Reggente Direttore: nelle verifiche degli effetti in portafoglio egli dovrà intervenire, con compilarne il bilancio; e sottoscrivere non meno questo che il corrispondente verbale di verifica.

Ed in fine, come capo della sua officina, ne regolerà il servizio e l'andamento ed invigelerà sull'esatta osservanza delle leggi, regolamenti, disposizioni ed istruzioni che la riguardano, restandone strettamente responsabile.

Art. 22. Per le pignorazioni degli estratti e certificati di rendita sul Gran Libro, e per lo sconto dei cuponi e dei semestri di rendita, sarà proseguito il medesimo andamento e sistema che sinora è stato praticato, ed ai termini dei regolamenti sull'oggetto superiormente approvati.

Art. 23. Le disposizioni contenute nell'articolo 18, sotto il titolo del Segretario Generale, sono applicabili anche al Razionale.

Art. 24. Al medesimo Razionale, per sé e per gli aiutanti impiegati nella sua officina, saranno corrisposte grana sei per ogni ducati mille, sopra tutte le somme che la Cassa eroga per le negoziazioni dei diversi effetti che colla medesima si eseguono. Questo compenso è indipendente dall'assegnamento fisso di mensuali ducati venti, che gravita a peso del Tesoriere, come si dirà all'art. 12.

Art. 25. 11 Razionale finalmente è risponsabile materialmente, per tutti gli obblighi, doveri ed attribuzioni della sua carica; ed all'uopo darà una cauzione, in rendita iscritta sul Gran Libro, nella somma di annui ducati duecento. Per premio di tal cauzione, per gasti di scrittoio, e tutt'altro, rimane accordato, a dippiii de' compensi di cui è parola nel presente regolamento, una indennità di ducati sedici al mese.

Titolo 6.° - Del Tesoriere

Art. 26. Tutti i valori, che saranno ammessi allo sconto, verranno passati, per mezzo' dell'Agente de' cambii, al Tesoriere, il quale, riscontrati li avrà coll'annotazione già fattane ne' borderò che li contengono, specialmente per ciò che riguarda la somma, le firme, le gire e la scadenza; ed assicuratosi inoltre che sieno rivestiti del bollo proporzionale corrispondente,

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della cifra di uno dei Deputati, e del visto del suddetto Agente, ne accerterà la loro regolarità, con sottoscriverne, accusandone la ricezione, il borderò.

de' risultati derivanti dalla inesattezza di siffatto riscontro ed assicurazioni il Tesoriere sarà sempre risponsabile.

Art. 27. I borderò, mentovati nell'articolo precedente, adempiti non meno di tutte le altre formalità proprie dei Deputati e dell'Agente dei cambi, che del visto del "Controllo presso il Tesoriere, ed ordinanzati dal Reggente Direttore, serviranno di documento al Razionale ed al Segretario Generale, pel controllo della scrittura generale, per la validità e regolarità de' valori ammessi, e per la spedizione delle corrispondenti polizze di pagamento.

Art. 28. Nella giornata medesima dell'ammissione dei suddetti valori, gli stessi valori, preventivamente assortiti, per ordine delle loro date di esigibilità, saranno dal Tesoriere e dal controloro presso il medesimo riscontrati, in quanto alla sola somma, colle scritture del eletto Controloro, e verranno quindi senza discontinuazione rinchiusi in una solida cassa di ferro, di cui una chiave resterà presso il Tesoriere, e l'altra presso il detto Controloro.

Art. 29. Nello stesso modo saranno in ogni giorno estratti dall'anzidetta cassa, ossia portafoglio, tutti quei valori che scadono l'indomani; e laddove i giorni che a questo succedono fossero di festivi, in tal caso dovranno pure nello stesso giorno estrarsi tutti quegli altri valori scadibili nei consecutivi dì festivi, pel in quello non festivo che immediatamente li segue.

Art. 30. Questi valori, nell'atto della loro estrazione, dopo che ne avrà preso conto il nominato Controloro nelle sue scritture, saranno consegnati al Tesoriere, sotto la sola più stretta risponsabilità sua, rimanendo a suo carico di farsegli girare dal Reggente Direttore o da chi a questi piacerà nominare, per indi; a tempo opportuno ed a tutto rischio e pericolo, effettuarne la esazione; ai termini e secondo le prescrizioni delle nostre leggi di eccezione per gli affari commerciali.

Art. 31. In fine della giornata, il Tesoriere dovrà dimostrare al Controloro l'esazione che avrà fatta dei valori consegnatili; consistente in polizze direttamente pagate alla Cassa, resta in madrefede, e valori non soddisfatti. Dopo di che si riceverà gli altri valori, scadibili il giorno seguente.

Art. 32. Col medesimo metodo e colle stesse formalità indicate nelle) articolo precedente, saranno estratti dal suddetto portafoglio specialmente quei valori per dazi doganali, che si volessero estinguere prima del loro maturo, e dee soddisfarsene l'importo con polizze di banco girate alla Cassa.

Queste stesse polizze saranno dal Tesoriere versate lo stesso giorno, con borderò a parte, indicante le scadenze alle quali i pagamenti si appartengono. Lo stesso Tesoriere, per tali effetti estinti anticipatamente, ne rilascerà certificato alle parti, vistato dal Reggente Direttore della Cassa, da servire per uso della Gran Dogana.

Art. 34. Il Tesoriere, ricevuti che avrà i valori, ne curerà a suo rischio e risponsabilità la esazione; e qualora vi saranno de' valori non soddisfatti ne' giorni di scadenza, questi, presane prima ragione dal Controloro, verranno dal medesimo Tesoriere passati la mattina vegnente, non più tardi delle nove, all'Uffiziale pubblico per i debiti protesti da farsi; restando a di lui cura di farseli restituire, unitamente agli atti di protesto, al più tardi nella mattina del di susseguente a quello in cui gli vengono consegnati.

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Il Tesoriere, fra le ventiquattro ore del giorno dopo alle scadenze, verserà, ne' modi e forme che appresso saranno spiegate, il prodotto della esazione, con polizza a saldo della somma descritta nel borderò; ed indicherà del pari la somma de' valori caduti in protesto, che ha l'obbligo di restituire alla Cassa, insieme ai corrispondenti atti di protesto.

Trattandosi di un suo interesse, e restando egli sempre risponsabile,non meno dell'importo del valore non soddisfatto, che della regolarità per l'adempimento di tali atti di protesto e riprotesti, il Tesoriere avrà il dritto, salva l'approvazione semplicemente permessi va del Reggente Direttore, di scegliere l'Uffiziale pubblico che per un tale disimpegno occorre.

Art. 31 Indipendentemente dal ricevo, che deve riscuotere dall'Uffiziale pubblico, cui vengono consegnati 1 valori per adempirli di protesti, lo stesso Tesoriere dee far figurare i medesimi, descrivendo tutti i nomi di quelli che a qualunque titolo vi sieno intervenuti, in un registro particolare, e con far figurare altresì il pagamento, che di poi se ne ricevesse, con un versamento a parte, riportandosi al borderò nel quale figurava la mancanza del pagamento.

Art. 35. Oltre i valori di cui si è parlato nell'articolo precedente, che il Tesoriere dovrà esigere nelle rispettive scadenze, sarà tenuto ancora esigere l'importo dei dispegni; delle rendite del Gran Libro sulla Tesoreria Generale, e quelle delle Amministrazioni Napolitane, coi loro corrispondenti interessi.

Questa esazione seguirà in vista della liquidazione, che sulle cartelle sarà fatta e firmata dal Razionale. Le polizze esatte per sorte ed interesse saranno sul punto medesimo versate in Contabilità, con borderò sottoscritto dal Tesoriere e dal Controloro, in vista del quale il Razionale, colle solite formalità, rilascerà alle parti gli effetti pignorati.

Art. 38. I versamenti, di cui si è parlato negli articoli 32 e 33, dovranno eseguirsi con borderò in triplice spedizione; l'ima per passarsi e restare in Contabilità, l'altra all'ufficina, del Segretario Generale, e la terza, munita delle firme de' Capi di queste due ufficine, per conservarsi, per suo discarico, dal Tesoriere stesso.

Questo borderò dovrà contenere, nella parte del debito, la enunciazione de' singoli valori scaduti nella giornata, colla distinta di quelli il di cui pagamento è a carico dei semplici particolari, e quelli a carico della Tesoreria; osservando, in margine di ciascun valore, se sia stato soddisfatto o in polizze, o in contante, ovvero protestato.

Nella parte dell'avere enuncierà gli effetti che si versano in discarico, compresi in essi quei valori non riscossi, e d'altronde non pregiudicati, non che le somme non esatte e dovute dalla Tesoreria Generale.

Le polizze di pagamento, che saranno dirette alla cassa, dovranno identicamente comprendersi ne' sud eletti borderò di versamenti: il Tesoriere però sarà sempre tenuto per la loro veracità e regolarità, non che per le gire che esse contengono, qualora sieno pregiudizievoli alla Cassa.

Art. 37. I principii, le regole e le formalità indicate nel presente Regolamento saranno comuni, per quanto però potranno adattarsi, a tutti quei titoli e valori che, per qualunque causa, potranno esser consegnati al Tesoriere, per procurare la riscossione dei loro importo.

Art. 38. Il Tesoriere riscuoterà altresì l'importo di quei valori protestati di cui n'è stato discaricato, unitamente agl'interessi che liquiderà, ed alle spese che gli saranno indicate da' rispettivi patrocinatori, nelle loro specifiche.

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I valori esatti, unitamente alle specifiche de' patrocinatori, saranno con separati rapporti, diretti da esso Tesoriere al Reggente Direttore, versati al Razionale; in vista dei quali, se le cambiali esistono ancora presso il medesimo Razionale, saranno da questi restituite alle parti. Laddove poi tali valori esistessero presso dei rispettivi patrocinatori, il Razionale, in vista del preventivo versamento che ne avrà ricevuto, li richiamerà da' medesimi per farli consegnare alle parti.

Art. 39. Qualora ne venga richiesto, il Tesoriere non potrà rifiutarsi di far rilevare, nella quietanza posta a tergo dello effetto, il nome della persona che lo estingue; in tal caso però egli potrà dimandare che il pagamento fosse eseguito con polizza di banco, esprimendone la causa nella girata.

Art. 40. Per lo intervallo che intercede tra il giorno della scadenza del valore, e quello in cui, a' termini dell'articolo 33, deve effettuirsene il versamento, il Tesoriere non è tenuto a corrispondere interessi.

In ordine poi a' valori che si passano al Notaio per protestarsi, sarà serbato il disposto coll'ordinanza dei 10 luglio 1834.

Art. 41. Il Tesoriere è obbligato a rendere una cauzione, la quale sarà fissata secondo il bisogno, a proposizione del Reggente Direttore, dal Ministro delle Finanze. In ogni caso non potrà mai essere minore di ducati quattordicimila, metà in rendita iscritta sul Gran Libro, e metà in beni fondi nella Provincia di Napoli o di Terra di Lavoro, da liquidarsi dalla Commissione dei Presidenti della Gran Corte dei Conti. Questa cauzione dovrà rispondere delle persone tanto del Tesoriere quanto di tutti gli agenti e commessi ch'egli adopererà, a sua scelta.

Egli godrà, per tale cauzione di ducati quattordicimila, una indennità in ragione del due per cento all'anno.

Art. 42. Per totale ed intero compenso di esso Tesoriere, sotto qualsivoglia natura e rapporto, e per emolumenti e soldi d'impiegati e servienti che a sua scelta potrà esso Tesoriere adoperare, riceverà egli mi dritto di grana trenta per ogni migliaio di ducati, sopra tutti i valori a carico dei particolari che la Cassa sconterà, ed un dritto di grana dieci sui valori a carico della Real Tesoreria, e sopra tutte le somme che pervengono per conto di sorte della spignorazione d'iscrizioni e certificati del Gran Libro e della Tesoreria, come pure su tutte le somme che incasserà per i cuponi e semestri di rendite scontati dalla Cassa. Dall'ammontare del dritto del Tesoriere, come sopra stabilito,saranno ritenuti, nelle liquidazioni da farsene mensuabnente, mensuali ducati sessanta, in rimborso dei pagamenti che la Cassa avrà fatti, cioè di venti ducati al mese per compenso del Controloro, e di mensili ducati quaranta per le officine della Segreteria e della contabilità della Cassa stessa.

Art. 43. Avuto riguardo al peso fisso di mensuali ducati sessanta come sopra, ed agl'impiegati e servienti che potrà il Tesoriere mantenere, alla sua opera personale, ed alla sua risponsabilità, rimane stabilita come minimum degli emolumenti mensuali, fissati nell'articolo 42, la somma di ducati ducentoquaranta, e, per essi, netta dei ducati sessanta come sopra, la somma di mensuali ducati centottanta; di maniera che, qualora nelle liquidazioni mensuali gli emolumenti non giungano ai ducati ducentoquaranta, sarà alla liquidazione mensuale aggiunto un supplemento, sicché il dritto arrivi al minimum di mensuali ducati duecentoquaranta come sopra.

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È rivocata la disposizione ministeriale de' 22 giugno 1831, da S. M. approvata, per la quale gli emolumenti agli Agenti dello Sconto non avrebbero dovuto eccedere ducati quattrocentosettanta il mese, rimanendo da oggi innanzi stabilita, come limite degli emolumenti di essi: 1° la somma di Duc. cinquecentosessanta mensuali pel Tesoriere, lordi de' ducati sessanta mensuali, e delle spese di cui è discorso nell'articolo 42:

2.° la somma di mensuali ducati duecentoventi del compenso che gli articoli 19 e 24 stabiliscono pel Segretario e suoi Ajutanti, e pel Razionale e suoi Ajutanti. Laddove poi la esperienza di tre mesi consecutivi mostri che gli emolumenti eccedessero le proporzioni enunciate, saranno adottati provvedimenti convenienti.

Art. 44. Oltre tutte le obbligazioni sopra espresse, il Tesoriere, a simiglianza di quanto è prescritto pel Razionale, potrà al bisogno intervenire nel Consiglio dello Sconto e nelle sessioni che possono aver luogo per gli affari della Cassa.

Per tutti gli obblighi, doveri ed attribuzioni riguardanti il Tesoriere, ne resta egli realmente, ossia materialmente risponsabile.

Titolo 7.° - Del Controllo presso il Tesoriere.

Art. 45. Tutti i valori che saranno ammessi allo sconto verranno, dal Controllo, trascritti in un registro denominato valori immessi in portafoglio, e ne visterà li borderò che li contengono, onde potersi dal Razionale spedire i corrispondenti pagamenti.

Art. 46. In fine della giornata, il Tesoriere esibirà al Controllo tutt'i valori ammessi, e, fattone il confronto col registro indicato nell'articolo precedente, verranno rinchiusi nella cassa, di cui il Controllo ne conserverà una chiave.

altro

Art. 47. Dalla stessa Cassa, in ogni giorno, saranno estratti quei valori che scadono l'indomani; e qualora i giorni che a questo succedono fossero dì festivi, in tal caso dovranno pure nello stesso giorno estrarsi tutti quegli altri valori scadibili nei sussecutivi dì festivi, ed in quello non festivo che immediatamente li segue, e consegnarsi dal Controllo al Teso riere, previo suo ricevo, in un registro denominato valori estratti dal portafoqlio, per curarne sotto la sua risponsabilità la esazione. Una tal consegna però avrà effetto dopo che sarà stata dal Tesoriere giustificata la esazione de' valori scaduti nella giornata, la quale consister deve in polizze girate alla Cassa, resta in madrefede, ed in valori non soddisfatti alla scadenza.

Art. 48. Egualmente saranno estratti dal portafoglio tutti quei valori che si volessero estinguere prima della loro scadenza. Una tale estrazione si farà in vista delle polizze girate alla Cassa, e corrispondenti alle cambiali che si vogliono estinguere, e ne sarà del pari presa ragione del Controllo, nel suo registro indicato nell'articolo precedente.

Art. 49. Tutte le somme che il Tesoriere incasserà, sia per sorte, che per interessi, provvenienti da dispegni delle rendite sul Gran Libro, sulla Tesoreria Generale, e delle Amministrazioni Napoletane, dovranno esser versate nello stesso giorno, con borderò sottoscritto da esso Tesoriere e dal Controllo.

Art. 50. Al medesimo Controllo sarà corrisposto, a carico del Tesoriere, il compenso di mensili ducati venti, siccome si è stabilito nell'art. 42; oltre ad altri ducati 4 mensuali, che saranno precapiti dagli utili stabiliti negli articoli 9 e 24.

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Il Controloro, in guarentia delle sue operazioni, avrà il dovere di rendere la cauzione di ducati dugento di rendita iscritta sul Gran Libro, e per premio di tale cauzione, per gasti di scrittoio, commessi e tutto altro, gli rimane accordato, al dippiù de' compensi sopra espressi, l'indennità di ducati diciotto al mese.

Titolo 8° - Degli agenti dei Cambi.

Art. 51. Ciascuno degli Agenti dei cambii e trasferimenti, somministrata che avrà la cauzione di cui appresso sarà parlato, potrà, conformemente all'articolo 10, trattore per la durata di tre mesi e per turno, le diverse negoziazioni della Cassa.

L'ordine del giro tra loro sarà regolato secondo quello delle date in cui avranno fatto conoscere di aver fornite le rispettive cauzioni, esclusivamente a favore della Cassa.

Il pubblico, mercé l'avviso preventivo che il Reagente direttore periodicamente darà alla Borsa, resterà avvertito del nome dell'Agente di servizio, e lo stesso preventivo avviso sarà anche dato alla Tesoreria Generale.

Art. 52. In conseguenza dell'articolo precedente, l'Agente de' cambii di servizio riceverà tutti quei valori che alle parti interessate piacerà passargli, onde ottenere la somma dello sconto. Egli, riuniti che li avrà, li presenterà ne' giorni di seduta al Consiglio di Sconto, perché ne abbia luogo la discussione.

Non resta però impedito alle parti di presentare direttamente, e senza il mezzo dell'Agente, al Consiglio di Sconto i valori che intendono scontare.

Art. 53. In tutti i valori di cui è stata deliberata l'ammissione, non esclusi quelli esibiti dalle parti al Consiglio, l'Agente suddetto dovrà apporre il suo insto.

Per effetto di questo solo visto, lo stesso Agente resta, di pieno dritto, garante e materialmente risponsabile per la verità della firma degli accettanti, non che di quelle dei penultimi e degli ultimi giratarii, e di coloro che prestano l'avallo; rimanendo anche garante e risponsabile, e nello stesso modo, della verità della firma di uno 0 più de' garanti intermedii, qualora così si richiedesse dai deputati; in simili casi però, egli dovrà specificatamente enunciare, nel suo visto, questa ampliazione di sua garentia e risponsabilità.

Parimente, per effetto del suo visto, il medesimo Agente resta risponsabile e garante, nella stessa maniera di sopra indicata, di tutte le irregolarità che possono esistere, sì nel testo, ossia nel corpo delle cambiali 0 altri effetti, che nelle gire ed avalli di essi; come ancora di tutte quelle nascenti dalla mancanza assoluta o dalla insufficienza del bollo proporzionale di cui deggiono esser muniti.

Art. 54. I valori così ammessi, cifrati da uno dei deputati, ai termini dell'articolo 15, e completati del visto come sopra, saranno dal medesimo Agente riportati in uno stato, altrimenti detto borderò; specificando principalmente in esso, per ciascun valore, il nome dello scribente, dell'accettante, dell'ultimo girante che ne ha richiesto lo sconto, la data di sua formazione, e l'altra del maturo, la somma che rappresenta, ragguagliata alla moneta di corso nel nostro Regno,apponendo nel fronte lo ammontare degl'interessi a ritenersi, calcolato per numero di giorni dal dì in cui se ne effettuisce la negoziazione sino a quello della scadenza, inclusivamente per i due termini, ed a quella ragione che sarà superiormente fissata; in linea poi di osservazione, annoterà in margine dello stesso borderò i nomi di tutti quegli altri che a qualunque titolo siano concorsi 0 indicati nel valore, non che ogni altra qualsisia circostanza che dal medesimo valore apparisca.

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Art. 55. Questo borderò in tal guisa redatto, datato e soscritto dal medesimo Agente de' cambii, sottoscritto benanco da quei Deputati che hanno deliberata l'ammissione de' valori descrittivi, e riconosciuta in lettere, di carattere di uno de' suddetti deputati, la somma totale di essi, sarà, di unita a' valori stessi, passato dal ridetto Agente al Tesoriere della Cassa, per quindi, eseguitosene da costui il dovuto riscontro, secondo i termini dell'articolo 2f, e ritenendo i valori presso di sè, passare il borberò dal medesimo sottoscritto al Razionale della Cassa, per le corrispondenti operazioni di risulta.

Di questo borderò, il medesimo Agente de' cambii dovrà formarne una simile copia, sottoscritta solamente da lui, per passarla all'officina del. Segretario Generale, da servire per le operazioni, che quivi debbono aver luogo.

Art. 56. Per lo sconto de' cuponi del semestre di rendita, rilasciati dalle due Amministrazioni Napoletane e dalla Direzione del debito pubblico, l'Agente dei cambii dovrà similmente formarne il corrispondente borderò. In esso egli riporterà il nome di colui che ne dimanda lo sconto, la enunciazione dettagliata dei cuponi, l'ammontare dell'interesse, calcolato per giorni inclusiva mente, ed il dritto spettante all'amministrazione, da ritenersi anticipatamente dalla Cassa: questo borderò, da lui sottoscritto, sarà passato, insieme ai cuponi, al Razionale della Cassa, per le ulteriori operazioni di risulta.

Art. 57. Per la pegnorazione degli estratti di rendita scritta sul Gran Libro, l'Agente di cambio, in vista non meno dell'estratto da peggiorarsi che del certificato della direzione del debito pubblico, di essersi adempite le formalità prescritte in proposito, ne formerà il corrispondente bordereau, da lui datato e sottoscritto.

In esso egli riporterà il nome dell'intestatario dell'estratto, l'ammontare della rendita, la elevazione di essa in capitale secondo il prezzo corrente fissato in borsa, la somma corrispondente a tre quarti di queste) capitale, giusta il Real Rescritto dei 26 giugno 1822, e quella per la quale si è richiesto di farsi la pegnorazione.

Art. 58. Il borderò, mentovato nel l'articolo precedente, insieme all'estratto di rendita, ed al certificato della Direzione del Debito pubblico, sarà passato in contabilità, ed ivi, formata la cosi eletta cartella, dovrà venire questa firmata dal medesimo Agente dei cambii e dalla parte interessata.

Art. 59. Per la pignorazione dei certificati di rendita delle due Amministrazioni Napolitane, l'Agente de' cambii formerà similmente il corrispondente borderò, da lui datato e sottoscritto; ed oltre le enunciazioni riguardanti la somma della rendita, quella della valutazione in capitale, l'altra corrispondente ai tre quarti di questa valutazione, e l'altra ancora per la quale debba aver luogo il pegno, dovrà specificare, nel detto borderò il numero e la somma di ciascun certificato, come anche il nome e la elezione di domicilio in Napoli della persona che ne ha dimandato la pignorazione.

Art. 60. Questi certificati, di unita alla loro matrice, ai cuponi per la esazione semestrale della rendita rilasciati dalle rispettive Amministrazioni,

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ed al borderò nel precedente articolo espresso, saranno esibiti dall'Agente suddetto, in unione della parte interessata, al Razionale della Cassa; e fatto da quest'ultimo, in di loro presenza, un semplice riscontro de' numeri delle matrici con quelli de' certificati stessi, si le une che gli altri saranno, come anche i loro corrispondenti cuponi, senza alcuna remora, rinchiusi in un plico da suggellarsi a cera; colla impronta della cifra dell'Agente de' cambi, e da questo e dalla parte pignorante firmato; dovendosi ria questi due ultimi sottoscrivere la cartella del pegno, che all'oggetto verrà formata dal Razionale della Cassa.

In questa cartella, oltre la elezione di domicilio in Napoli, che il Pegnorante sarà tenuto di fare, dovrà espressamente pattuirsi, ch'esso pignorante, non comparendo per l'apertura e dissuggellazione dei plico, nel giorno designato nella citazione fattagli, nel suddetto domicilio eletto, da un usciere della Reggenza del Banco, possa in tal caso la Cassa liberamente devenire a tali atti, col solo intervento e presenza del Regio Giudice della residenza della Cassa, che a quest'oggetto, in seguito di un rapporto del Razionale della Cassa, constatante la non comparsa, sarà con semplice, ufficio del suo Reggente Direttore invitato.

Questa formalità sarà sufficiente per tutti i casi di non comparsa, non esclusi quelli per assenza, per morte, o per qualsivoglia altro positivo impedimento.

Le spese tutte che occorrono dovranno cedere a carico del pignorante; esse però saranno anticipate dall'Agente de' cambii.

Art. 61. L'Agente de' cambii, come nelle cambiali, dovrà similmente apporre, in compruova della di loro identità, il suo visto ne' cuponi che si ammettono allo sconto, come pure negli estratti delle iscrizioni di rendite, e nei certificati che si rilasciano dalla Direzione del Gran Libro, come anche nei certificati di rendita delle due Amministrazioni Napolitano, e nei cuponi che debbono accompagnarli; ed in generale di tutte le altre carte e titoli che dalle parti potranno essere presentate; e, per effetto del suddetto suo semplice visto, resta egli di pieno dritto garante e risponsabile della di loro verità ed integrità. E resta egualmente, di pieno dritto, garante e risponsabile, in forza della semplice soscrizione de' borderò, della verità della firma dell'intestatario degli estratti di rendita, e di quella di coloro che vengono a pignorare tali estratti, o i certificati di rendita, o pure a scontare i cuponi, garentendone benanche, sotto la di lui esclusiva risponsabilità, la di loro facoltà e capacità, per poter devenire liberamente a tali atti (1).

Art, 62. È dell'obbligo di quell'Agente de' cambii, pel di cui mezzo sonosi eseguite le pignorazioni, di vendere, al prezzo fissato in Borsa, gli estratti ed i certificati di rendita, laddove, spirato il termine pattuito, non venissero dalle parti ritirati; ed il loro prodotto, netto di spese, dovrà essere da lui versato nella Cassa, non più tardi del secondo giorno dal dì che dal nazionale della medesima gli saranno stati tali valori consegnati.

(1) Con lettera ministeriale, del 24 maggio 1839,la dizione di questo articolo 61 fu modificato nella maniera seguente: Art. 61. L'Agente dei cambii, nello sconto dei cuponi, e nella pignorazione degli estratti di rendita iscritta sul Gran Libro, e dei certificati di rendita delle due Amministrazioni Napolitane, dovrà, per i primi, come praticasi per le cambiali ed altri effetti commerciali, apporre in dorso di ciascun di essi il suo visto ; per i secondi, ossia per gli estratti di rendita, dovrà apporre parimente il suo visto, sopra i certificati a questi relativi, che all'oggetto vengono rilasciati dalla Direzione del suddetto Gran Libro,e ne' quali sono comprese tutte le enunciative ed indicazioni contenute negli estratti medesimi;e per gli ultimi dovrà sottoscrivere il plico ove tali certificati di rendita, unitamente alle loro matrici e corrispondenti cuponi, vengono chiusi e suggellati, nel modo e nelle forme spiegate nell'articolo precedente. Ed inoltre, lo stesso Agente de' cambio resta tenuto ed obbligato di apporre egualmente il suo visto a tutti quei titoli, scritture e documenti che possono essere necessarii ed occorrere perle operazioni in parola, e che possono, per quest'oggetto


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Art. 63. Nel caso di doversi devenire alla vendita dei certificati di rendita, perlocché occorre di aprirsi, in presenza della parte pignorante, il plico in cui sono stati rinchiusi, sarà dell'obbligo dell'Agente dei cambii che ha funzionato nella pignorazione, di fare intervenire a questa apertura e dissuggellazione la parte pignorante; ed in mancanza di comparsa, è tenuto ad adempiere a quanto, a sua cura a spesa, è prescritto in fine dell'articolo 70.

Art. 64 Le polizze di pagamento per le negoziazioni fatte colla Cassa, sì per sconto che per pignorazioni, dovranno essere ritirate dall'agente dei cambii per consegnarle alle parti interessate, dovendone egli però, o persona da lui espressamente autorizzata in iscritto, rilasciar ricevo al Razionale della Cassa.

Art. 65. L'Agente de' cambii, anche dopo finitogli suo periodo di servizio, è nel dovere di sollecitamente avvertire il Reggente Direttore delle fallenze, legalmente pronunziate, di quelli individui che, a qualunque titolo, sieno intervenuti negli effetti negoziati colla Cassa, nel tempo del suo periodo di servizio, e ne sarà strettamente risponsabile.

Art. 66. Per la tenuta del registro, da servire per norma e regola dei Deputati, e per l'assistenza alla formazione del borderò e sue copie, lo stesso Agente dei cambii è obbligato, durante il tempo del suo servizio, di corrispondere, in ogni mese, metà de' ducati venticinque, assegnati per compenso mensile a colui che dal Reggente Direttore ne sarà incaricato, cedendo l'altra metà a carico della Cassa.

Art. 67. Per tutte le operazioni, sia per mediazione di sconti degli effetti commerciali e de' cuponi di rendita, sia per pignorazione degli estratti e certificati di rendita, e per la loro vendita, l'Agente de' cambi non dovrà percepire dalla Cassa alcun dritto o emolumento.

Gli è lecito però di esigere dall'altra parte, per le operazioni di sconto, il dritto, tutto in esso compreso, di grana cinquanta sul primo migliaio di ducati di valori negoziati, e di grana trenta sulle migliaia ulteriori:

Per i pegni degli estratti d'iscrizioni di rendita, sino a ducati mille grana cinquanta, e per quelli che eccedono i ducati mille, grana quaranta a migliaio:

Per i pegni di certificati delle due Amministrazioni Napolitane, fino a ducati mille grana trenta, e per quelli eccedenti questa somma, di ducati mille, grana venticinque a migliaio:

E per le vendite de' suddetti estratti e certificati di rendita riscuoterà quelli stessi dritti soliti a percepirai per tali vendite.

Art. 68. Per vieppiù assicurare la esecuzione e lo esatto adempimento di ciascuno degli obblighi, e di ciascuna delle risponsabilità prescritte col presente Regolamento, a carico dell'Agente de' cambii, lo stesso, oltre della sommissione del suo arresto personale, cui s'intende assoggettato colla semplice accettazione dei presente Regolamento, ed oltre ancora della cauzione di annui ducati cinquecento di rendita iscritta sul Gran Libro,

dalle parti interessate presentarsi. Per effetto della semplice apposizione di talvisto, resta il detto Agente, di pieno diritto,risponsabile e garante, e per tutti i loro effetti,della veracità e regolarità de' suddetti cuponi di certificati, rilasciati, come sopra, dalla Direzione generale del Gran Libro ; non che degli estratti a cui essi si riferiscono, de' certificati di rendita e delle loro matrici, coi corrispondenti cuponi; ed in generale di tutte le altre scritture,come dianzi si è detto, che in occasione delle operazioni di sopra mentovate, o che vi hanno rapporto, possono essere esibite e presentate. In forza poi della di lui sola e semplice soscrizione de' borderò riguardanti le pignorazioni, e delle corrispondenti cartelle e talloni, il medesimo Agente resta del pari tenuto ed obbligato,di pieno dritto, della verità delle firme degl'intestatarii degli estratti di rendita, e delle firme benanche di coloro che vengono a pignorare tali estratti o i certificati di rendite, o scontare i cuponi, estendendosi siffatta sua risponsabilità,senza alcuna limitazione, anche per quello che riflette la piena facoltà e capacità di tutti i sunnominati individui, per poter liberamente devenire a simigliauti operazioni, sien di pegno, sotto le condizioni prescritte ne' regolamenti sulla materia sien di sconto, sien di qualsivoglia altra specie e natura.

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da lui prestata per lo esercizio delle funzioni, dovrà somministrarne un'altra dell'annua rendita di ducati mille, di simil natura, per garentia esclusiva della Cassa, con doverne eseguire la corrispondente immobilizzazione.

Art. 69. Rientrando ne' diversi obblighi dell'Agente quello specialmente di dovere, per effetto della risponsabilità da lui assunta, colla semplice sua soscrizione ai borderò, e dei visto da lui apposto alle diverse carte, titoli e scritture, mentovate ne' due precedenti articoli 53 e 61, ed ai termini di questi articoli stessi, indennizzare la Cassa, per tutte le vie di dritto, e con privilegio sulla eletta cauzione, di tutti quei danni che potesse la medesima risentire, derivanti e dipendenti dalla non verità delle firme, o delle altre circostanze, espresse negli anzidetti due articoli, e da lui in tal modo assicurate e garentite; cosi,avvenendo che l'ammontare di quei valori, pei quali o in occasione dei quali venissero, sia in linea civile, sia in linea correzionale o criminale, promosse quistioni di tal genere, superasse detto ammontare il valor capitale, secondo il prezzo in quell'epoca corrente in orsa, di due quinti della suindicata cauzione, ossia di ducati quattrocento, della suddetta rendita di annui ducati mille; da lui a questo titolo immobilizzata, dovrà egli in tale ipotesi, e per tutta una siffatta eccedenza, somministrare, in seguito dell'avviso che amministrativamente ne riceverà, ed in pendenza delle istruzioni de' giudizii, altra simigliante cauzione, con farne eseguire la corrispondente immobilizzazione; in guisa che restino sempre ed in tutti i casi liberi, intatti ed indeminuti i rimanenti ducati seicento, dell'anzidetta cauzione di ducati mille. Mancando il medesimo agente allo esatto e pronto adempimento di questo obbligo, saranno dal direttore della Cassa presi quegli espedienti che egli meglio giudicherà al proposito.

Art. 70. La disposizione contenuta nell'antecedente articolo, riguardante il supplemento di cauzione nei casi nel medesimo contemplati, essendo per sé stessa un semplice temperamento, ed una misura di pura tolleranza e di equità, basata sulla presunzione della verità e regolarità delle cose, cosi, cessando in forza dei giudicati cotesta presunzione, e venendo coi medesimi giudicati dichiarato il contrario, dovrà in tal caso il detto agente rimborsare prontamente la Cassa, in ciascuna specie, ogni suo avere, per sorte, interessi e spese, al che vi sarà astretto, anche per effetto dell'articolo 68 del presente, col suo arresto personale; indipendentemente dal dritto privilegiato sulla cauzione da lui prestata.

Art. 71. In ogni controversia o contestazione, ed in tutti i giudizi, in cui verranno promosse ed elevate quistioni intorno alla non verità e non regolarità delle cose assicurate e garentite dal detto agente, e pelle quali egli, in conformità dei due succennati articoli 5: pel risponsabile, il medesimo sarà tenuto d'intervenire in causa, ed assumere, in concorso della Cassa, se a questa ultima cosi piaccia, il peso della lite; ed a questo oggetto gli sarà per parte della medesima denunziata la quistione promossa; e sarà inoltre nello stesso tempo, e col medesimo atto, citato per sentirsi condannare di rifare, in caso di soccombenza, la Cassa di tutti i danni, in sorte, interessi e spese, anche col di lui arresto personale, e sempre non escluso il dritto privilegiato della medesima sulla di lui cauzione.

Art. 72. "Verificandosi, per un motivo o circostanza qualunque, la vendita di una parte della suddetta cauzione dei ducati mille come sopra, e non venendo questa subito reintegrata e portata al suo pieno, resta nella facoltà del Direttore della Cassa, e secondo la sua prudenza, di interdire al detto Agente l'esercizio delle sue funzioni verso la medesima: potrà riprendere un tale esercizio tosto che avrà compiutamente adempito a questa obbligazione.

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In tutti i casi in cui occorresse doversi devenire alla vendita di tutta o parte della rendita immobilizzata per garentia e cautela della Cassa, la medesima dovrà aver luogo in forza di una disposizione ministeriale, provocata dal Direttore di essa Cassa.

Art. 73. Finita la sua gestione, a richiesta dell'Agente, potrà essere liberata la suddetta cauzione, per tutta quella quantità che eccede lo importo degli effetti negoziati per mezzo suo, compresi i pegni d'iscrizioni o di certificati di rendita non ancora estinti.

Benvero non potrà l'Agente essere nuovamente ammesso alle negoziazioni della Cassa, se prima non avrà di nuovo immobilizzata la suddetta rendita di ducati mille.

Art. 74. Gli Agenti incaricati delle negoziazioni della Cassa di Sconto non potranno volontariamente cessare dall'esercizio di tali funzioni, se non tre mesi dopo di e ne avran fatta la formale dichiarazione al Reggente. In caso di loro volontario inadempimento, sarà dalla Cassa adoperato altro Agente, per non arretrare il corso delle negoziazioni della Cassa, e le. operazioni di questo Agente si intenderanno guarentite dalla cauzione dell'inadempiente

Nei casi poi di legittimo impedimento, riconosciuti dal Reggente Direttore, potran farsi supplire da altri Agenti, a loro scelta e coll'approva zione dello stesso Reggente; e delle operazioni di costoro saranno essi risponsabili, per risponderne colle loro cauzioni. né saranno, d'ora innanzi, ricevute le cauzioni, senza che si sottopongono alle condizioni nel presente articolo stabilite.

Titolo 9.° - Disposizioni Generali

Art. 75. In caso di legittimo impedimento del Segretario Generale, del Razionale, del Tesoriere e del Controllo presso il Tesoriere, gli stessi dovranno rispettivamente nominare, coll'autorizzazione del Reggente Direttore, un loro aiutante che li rimpiazzerà, restando essi risponsabili delle operazioni del medesimo.

Art. 76. Le disposizioni contenute nel presente Regolamento potranno essere modificate, cangiate ed innovate, sia per ponto di massima, sia pei casi particolari all'occorrenza, a beneplacito del Ministro delle Finanze, ogni qual volta lo crede conveniente, inteso il Reggente Direttore.

Art. 77. Tutte le precedenti disposizioni Sovrane o Ministeriali, alle quali non si è portata col presente Regolamento espressa alterazione o rivoca, restano in pieno vigore.

Art. 78. Il Reggente del Banco è incaricato di trasmettere copia del presente Regolamento a tutti coloro cui riguarda, e dei quali è menzione; e, dal momento della consegna della copia, ciascuno sarà, sotto la sua risponsabilità, obbligato all'esatta osservanza di esso.

Napoli li 31 marzo 1839.

21. Si provvide poi, 30 gennaio 1841, alle rinnovazioni dei pegni di titoli o certificati, con le seguenti istruzioni:

Art. 1. Chiunque voglia rinnovare il pegno di sue iscrizioni sul Gran Libro, o di rendita perpetua sulla Tesoreria Generale, o di certificati delle amministrazioni Napolitane, ne presenterà dimanda, in carta libera, al signor Direttore Generale della Cassa, il quale la rimetterà allo Agente di cambio di servizio, per conoscere il prezzo corrente in Borsa, all'epoca in cui la rinnovazione vuolsi eseguire, e la somma che, a quel prezzo, dedotto il quarto, può darsi sul pegno; conio attualmente l'Agente pratica ne' borderò delle pignorazioni.

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Art. 2. La dimanda, col certificato dell'Agente de' cambi, sarà presentata al Razionale della cassa, il quale formerà, sulla cartella del pegno da rinnovarsi, il calcolo degl'interessi a pagarsi, e della rata del capitale a restituirsi qualora il prezzo attuale sia minore di quello che correva allorché la pignorazione ebbe luogo.

Art. 3. Liquidata cosi la somma a pagarsi, per la rata del capitale a minorarsi e per l'interesse, la parte richiedente presenterà al Tesoriere della cassa la cartella sulla quale ne sarà stata fatta la liquidazione, e questi, esigendosi le polizze corrispondenti alle somme dal Razionale in essa fissate, ne rilascierà rapporto al signor Direttore generale, nella stessa guisa che attualmente si pratica pei dispegni, acchiudendovi le polizze del pagamento, e distinguendo la sorte e l'interesse.

Art. 4. Il rapporto del Tesoriere, colle acchiuse polizze, sarà dal signor Direttore Generale rimesso al Controllo della cassa, per prenderne ragione; e costui, dopo avere ciò adempito, rimetterà in contabilità il rapporto e le polizze.

Art. 5 Il Razionale della cassa, in vista del certificato, di cui si è fatto parola nell'articolo 2°, formerà coll'estratto della iscrizione, che gli fu depositato allorché seguì la prima pignorazione, un novello pegno, per la somma certificata dall'Agente, corrispondente al prezzo corrente.

La polizza di questo nuovo pegno sarà pagabile allo intestatario della iscrizione, e per esso alla Cassa di Sconto, in estinzione del pegno precedentemente fatto.

Art 6. La polizza di cui si è parlato nel precedente articolo, dopo le consuete formalità, sarà notata in fede. Dessa, di unita alla rata di capitale già pagata, come si è detto nei precedenti articoli, nel caso di esser minorato il prezzo della iscrizione, opererà il dispegno dell'originario pegno.

Art. 7. L'antica cartella sarà dal Razionale della cassa, coll'atto del seguito dispegno, passata al Controllo della medesima. La nuova cartella sarà consegnata al proprietario.

Art. 8. Le cartelle ritirate, come nel precedente articolo, saranno di tempo in tempo bruciate; facendosene processo verbale, come si usa per le fedi di credito.

Art. 9. Se il prezzo delle iscrizioni sarà lo stesso che correa all'epoca della prima pegnorazione, il proprietario non sarà tenuto a pagare cosa alcuna, per minorazione del pegno, ammenoché non volesse per proprio comodo diminuirlo; circostanza che dovrà esprimere nella dimanda iire scritta coll'articolo 1°, ed in tal caso le operazioni saranno le stesse già stabilite nell'articolo 2.° e seguenti. Nei casi di considerevole aumento del prezzo delle iscrizioni, rimane riserbato al signor Direttore della Cassa il permettere, quando lo giudicherà conveniente, che il pegno possa essere aumentato, per quella somma che sarà capiente al prezzo corrente, secondo il certificato dello Agente dei cambii.

In questo caso, usate tutte le formalità stabilite nei precedenti articoli, saranno dell'importo del nuovo pegno formate due polizze, una corrispondente all'antico pegno da rinnovarsi, pagabile allo intestatario del pegno medesimo e per esso alla Cassa di Sconto, e l'altra allo istesso intestatario, pel di più che il pegno si aumenta.

Art. 10. I certificati della Direzione generale del Gran Libro, e quelli del Regio Scrivano di Razione, pei pegni di rendita sulla general Tesoreria, saranno alligati ai novelli pegni, fermo rimanendo il vincolo della inalienabilità, sino a che non ne seguirà definitivamente il dispegno.

Art. 11. Ciò che si è finora fissato pei pegni delle rendite iscritte sul Gran Libro, sarà comune anche per quelli dei certificati delle due amministrazioni Napolitano: colla sola diversità che i plichi,suggellati a fuoco, nei quali i certificati si conservano, dovranno aprirsi in presenza

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di coloro che li sottoscrissero nell'atto della primitiva pegnorazione; e quindi,per la formazione del nuovo pegno, saranno i certificati medesimi chiusi e suggellati in novelli plichi, descrivendosi la somma che corrisponderà alla nuova pegnorazione.

Art. 12. Alla scadenza de' semestri delle rèndite d'Iscrizioni sul Gran Libro pignorate, se il proprietario vorrà farne la esazione, ne presenterà dimanda al signor Direttore generale della cassa, il quale autorizzerà il Razionale della medesima a far presentare l'estratto, da un impiegato della sua officina, alla Direzione generale del Gran Libro, per farlo bollare; ed appena ciò seguito, lo restituirà al Razionale medesimo per rimetterlo al suo posto. Di questa operazione sarà presa ragione del controllo della cassa. Lo stesso si praticherà pei pegni di rendita in certificati sulla Tesoreria generale. Durante il tempo in cui gli estratti del Gran Libro, o i certificati della general Tesoreria pegnorati, rimarranno fuori della cassa, per l'indicato oggetto, il proprietario dovrà lasciare presso il Razionale della cassa, in deposito, la cartella del pegno; per ripigliarsela ritornato l'estratto od i certificati. Notandosi nella cartella medesima e nel suo tallone, che è presso la Cassa, essersi pagato il semestre. Se però la rendita sarà in forte minorazione di prezzo, rimarrà nel prudente arbitrio del signor Direttore della Cassa il permettere la esazione della rendita maturata.

Art. 13. quest'abilitazione non sarà applicabile ai pegni cle'certificati delle due Amministrazioni Napolitano; poiché, per distaccarsi dai medesimi i cuponi della rendita, si dovrebbero dissuggellare i plichi, e poi risuggellarli, seguito il distacco, ciò che produr potrebbe qualche inconveniente.

Art. 11. Tutte le altre leggi e regolamenti, che riguardano le pignorazioni de' cennati valori, rimarranno in osservanza, per tutto ciò che non si oppone alle presenti istruzioni.

22. Due anni dopo, decretarono la fondazione di casse succursali del Banco in Palermo e Messina.

Decreto 7 aprile 1843

Veduti gli articoli 2 e 3 del real decreto del 12 dicembre 1816, con cui, provvedendo alla diffinitiva organizzazione del Banco delle due Sicilie, gli fu concessa la facoltà di emettere, giusta l'antica forma, le fedi di credito rappresentanti l'effettivo numerario, che in tutte le regie casse, della capitale e del regno, esser dovevano ricevute come moneta contante;

Visto l'articolo 9 del detto real decreto, con cui ci riserbammo di aprire delle altre casse, qualora la affluenza del numerario e le circostanze del commercio lo avessero richiesto;

Considerando, che le polizze e le fedi di credito del Banco vengono talmente accolte nei nostri dominii oltre il Faro, che cominciasi nelle piazze di Palermo e di Messina a gustare i vantaggi di questa utile instituzione, ed a risentirne il bisogno; poiché detti valori sono tanto più accetti e ricercati in commercio, per quanto meno rischio ed incomodo si sperimenta nel trasferirne il dominio; che anzi, mentre il danaro andar potrebbe soggetto a dispersione od involamento, e con difficoltà se ne rintraccerebbe il possessore, ai valori che si emettono dal Banco resta impressa, con le firme che vi si appongono, la traccia di tutti coloro che l'han posseduti.

Considerando, che per promuovere l'industria ed il commercio fra gli amatissimi nostri sudditi al di là del Faro, é assolutamente d'uopo di attivare la libera e spedita circolazione del danaro, mercé de' valori che lo rappresentano, onde ognuno possa avvalersene, come tante lettere di cambio, ricettibili in ogni cassa regia o provinciale;

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Considerando, che questo utilissimo scopo mirabilmente si consegue nei nostri reali domimi continentali, mercé l'opera dei Banchi, in di versi punti della capitale di Napoli istallati;

Volendo noi corrispondere ai voti dei nostri amatissimi sudditi oltre il Faro, e modellare il sistema di quelle amministrazioni su quello stabilito nei nostri reali domimi continentali,

Sulla proposizione del nostro Ministro segretario di Stato delle finanze;

Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il Banco delle due Sicilie sarà aumentato di due altre Casse di Corte, stabilite una in Palermo e l'altra in Messina.

Art. 2. La direzione dell'interna polizia di ciascuna cassa, e delle sue officine, sarà affidata ad un probo e distinto benestante, che prenderà il nome di Presidente. Egli dipenderà dal Reggente del Banco, ed avrà, in aiuto tre Governatori, uno scelto anche fra il ceto dei più distinti proprietarii, l'altro fra i primarii avvocati, e il terzo fra i più accreditati negozianti. Tanto il Presidente che i Governatori saranno da Noi nominati, sulla proposta del Ministro delle Finanze.

Queste casse, del ilari che quelle stabilite in Napoli, saranno sopravvegliate da un Consiglio di Reggenza centrale, composto dal Reggente e eia due Presidenti delle casse di Napoli. A tal Consiglio dovranno di diritto assistere anche i due Presidenti delle casse di Palermo e di Messina, qualora, per affari della carica, trovinsi chiamati in Napoli, ed in questo caso il Consiglio sarà di cinque componenti; tutti con voto deliberativo.

Art. 3. Per eseguire il servizio delle casse di Palermo e di Messina, sarà, per ora, aggiunto al rollo degli attuali impiegati dei banco un discreto numero di uffiziali graduati e di soprannumerarii, prescelti dalla Reggenza; che ci riserbiamo poi di aumentare, a seconda del bisogno e dell'affluenza del negoziato bancario.

Art. 4. ho dette casse, nel modo stesso che quelle stabilite in Napoli, nei locali di S. Giacomo e dello Spirito Santo, eseguiranno indistintamente il servizio della Regia Corte e dei privati; cioè a dire riceveranno qualsiasi somma di danaro, rilasciando agl'imniittenti dei valori fiduciarii, denominati fedi di credito o polizze, le quali compiranno in commercio una estesa circolazione, tenendo luogo di quella moneta che trovasi versata al banco. Le legalità da cui verranno rivestite saranno le stesse di quelle prescritte negli attuali regolamenti del Banco delle due Sicilie, di cui fan parte le casse di Palermo e di Messina.

Art. 5. In conseguenza, tutte le istruzioni, ordinanze, regolamenti e ministeriali disposizioni, emesse pelle casse del banco dei nostri domini continentali, sono comuni ed applicabili anche alle due casse oltre il Faro, in quanto non si oppongano a ciò ch'è stabilito nel presente decreto. Ed onde viemaggiormente confermare la libera circolazione, per tutto il regno, della carta, rappresentante la moneta riposta nelle casse del banco, la quale, ai termini del real decreto de' 6 ottobre 1817, non può né deve mai soffrire la menoma remora, inibiamo a qualsiasi autorità, civile o giudiziaria, d'imporre impedimento o sequestro al danaro versato nelle dette casse di Palermo e di Messina; quando anche venisse richiesto dalle parti interessate, salvo ad esse il diritto di stabilire, nelle girate, quelle condizioni o quei vincoli che meglio credono nei loro particolari interessi

Art. 6. Ci riserbiamo di stabilire l'opera della cassa di sconto, come l'è in Napoli, ove tale opera ha recato dei vantaggi incalcolabili alla industria ed al commercio. Ogni altro impiego di danaro è da Noi espressamente vietato.

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Art. 7. I beni dello Stato rimango, no ipotecati alle casse di Palermo e di Messina; come anche, per lo stesso oggetto, rimane vincolato il milione di ducati, che la generale Tesoreria tiene impiegato con la cassa di sconto in Napoli.

Art. 8. Istallate che saranno tali casse, i capi tutti delle pubbliche amministrazioni, i pagatori, i ricevitori, gli esattori, ed ogni altro contabile, residente in Palermo ed in Messina, ov'è il banco, non potranno più fare alcun esito in numerario, sì bene dovranno pagare con polizze notate fedi, e quindi stabilire delle madrefedi, che debbono poi presentare alla Gran Corte dei Conti, in caso di richiesta.

Art. 9. Tutti gli amministratori, ricevitori e cassieri del regio erario di Sicilia, in qualunque Provincia o Comune trovinsi, saranno obbligati di ricevere, in pagamento di contribuzioni dirette ed indirette, o di qualunque altro arrendamento e credito fiscale, le fedi di credito e le polizze di banco; e dovranno anche cambiarle in moneta effettiva di argento o rame, secondo la qualità della polizza, qualora abbiano del numerario in cassa.

Art. 10. Le fedi di credito e le polizze, per essere ricevute o cambiate, dovranno esser libere e senza condizione alcuna; e quando anche sien vi delle condizioni, deggiono secoloro portarne lo adempimento; ed avere bensì l'ultima gira conosciuta dai sopraddetti ricevitori, amministratori e cassieri, od almeno che la persona esibitrice, sempre però di loro conoscenza, si segni al piede, dovendo essi rimanere garanti dell'ultima firma.

Art. 11. Le casse del Banco in Napoli sono anche esse autorizzate a ricevere, come contante, le fedi di credito e polizze emesse dalle casse di Palermo e di Messina; né queste possono rifiutare le fedi di credito e polizze delle casse del banco di Napoli, sempre però sotto la risponsabilità dei Cassieri e de' Pandettarii.

Art. 12. Un particolare regolamento, da noi approvato, come parte integrante del presente decreto, stabilirà tanto il modo di praticarsi la riscontrata di siffatti valori, quanto i doveri e le attribuzioni di taluni funzionarii del banco, per quella parte di servizio che non fu preveduta nel regolamento de' 26 febbraio 1817.

Art. 13. Il nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze, ed il nostro Luogotenente generale nei nostri reali domini oltre il Faro, sono incaricati, ciascuno per la parte che lo riguarda, della esecuzione del presente decreto.

Regolamento 20 settembre 1843

Capitolo I. Doveri ed attribuzioni del Presidente.

Art. 1. Il servizio interno della nuova Cassa di Corte in Palermo, da istallarsi nell'edifizio delle Finanze, sarà diretto da un probo e distinto proprietario, col titolo di Presidente. Egli godrà l'onorario di mensuali ducati cinquanta, come gli altri suoi colleghi di Napoli.

Art. 2. Avrà in suo aiuto due Governatori, uno ordinario, che supplirà il Presidente nei casi di assenza o di impedimento, e l'altro soprannumerario: il primo godrà l'onorario di ducati venticinque al mese. Le loro attribuzioni e facoltà sono determinate dal Regolamento organico del governo de' banchi, approvato col Sovrano Rescritto de' 26 febbraio 1817.

Art. 3. Onde non ritardare il servizio delle amministrazioni e de' pubblici stabilimenti, per gli esiti ed introiti che occorrono farsi per banco, il Presidente è autorizzato a tenere corrispondenza con qualsiasi autorità de' reali domini oltre il Faro, per oggetti riguardanti soltanto riconoscenze di firme, richieste di partite, perizie, e liberazione di denaro per fedi di credito o polizze disperse. Per i queste ultime però darà le opportune provvidenze, e ne farà inteso il Reggente.

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Art. 4. Per le richieste poi che se gli faranno dai particolari, per liberazione di denaro di fedi di credito o polizze disperse, dopo gli atti preparatorii, ricever dovrà la cauzione ed i consensi di tutti gl'interessati, che debbonsi alligare in copia agli atti da conservarsi nel volume, in luogo della fede di credito o polizza smarrita.

Art. 5. Occorrendo,per qualsivoglia circostanza, sia di andamento, sia di miglioramento di servizio, provocare delle ministeriali disposizioni, il Presidente della cassa di Palermo non può che per l'organo del Reggente del banco provocarle, stante che a questo è riservata la corrispondenza col Ministro e con le pubbliche autorità,

Art. G. In ogni caso di giubilazione, di destituzione o di promozione d'impiegati, il Presidente dovrà coi Governatori discutere ed esaminare l'affare; ed indi, con ragionato verbale, manifestarne il risultato al Reggente, il quale emetterà i definitivi provvedimenti.

Art. 7. Vi saranno nella cassa di Palermo dieci alunni senza soldo, nominati dal Reggente, sulla proposta che ne farà il Governo della cassa. Tal numero, a prudenza del Reggente, potrà in seguito estendersi a venti, qualora il bisogno lo richiegga.

Gli alunni non godranno soldo, ma avranno un discreto compenso, per le trascrizioni delle fedi di credito e polizze sui giornali.

Art. 8. I soldi, le indennità, gli averi per la trascrizione delle polizze, e le spese minute ed impreviste, per la cassa di Palermo, saran sempre, con l'anticipazione di giorni quindici, pagate a titolo di abbuon conto dall'Agente contabile del banco al Razionale della cassa di Palermo, il quale presenterà tali polizze al visto del Presidente, per accreditarle sulla madrefede, che dovrà all'oggetto tenere aperta, con la seguente intestazione Il Ragionale appoderato della nostra Cassa di Corte.

Da tal madrefede non può egli prolevare alcuna somma senza l'ordinativo del Presidente, il quale, in conferma, dovrà apporre il suo visto alle polizze, che senza di quest'approrazione non si possono notare.

Art. 11. (ili ordinativi del Presidente, pe' soldi agl'impiegati e per l'indennità di cauzione, non possono mai eccedere le somme fisse e determinate nello stato discusso, che verrà appositamente a lui comunicato. Potrà non pertanto tener sequestrati i soldi agl'impiegati, sia per insubordinazione, sia per inassistenza, sia per altra colpa; e dello ammontare di tali soldi potrà anche disporre un competente compenso a colui che avrà rimpiazzato il manchevole, purché ne sia stato autorizzato dal Leggente.

Art. 10. Il Presidente resta autorizzato a rimpiazzare il Reggente, per la firma degli ordinativi del compenso a darsi agli alunni che trascrivono le fedi di credito e polizze sui giornali, secondo la liquidazione che ne farà il Razionale, ai termini dell'articolo 56 delle istruzioni dei 5 gennaio 1819, e per gli ordinativi di tutte le spese minute, che potran farsi dall'usciere del Governo o dal custode del locale, il quale ne avrà poi il rimborso dal Razionale appoderato, in vista della nota approvata ed ordinanzata dal Presidente.

Art. 11. Egli è del pari autorizzato a rimpiazzare il Reggente in tutti quei contratti che per la economia del banco stimerà dover fare; come sarebbe il contratto per la formazione dei volumi delle polizze originali, per gli accomodi de' libri, somministrazione della carta, inchiostro, penne ec. Tali contratti debbono sempre essere approvati dal Reggente.

Art. 12. Lo stesso Presidente è anche autorizzato alle seguenti cose: 1. a tutte le disposizioni urgenti ed indispensabili che non si possono prevedere, salvo a farne contempo francamente rapporto al Reggente;

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2. agli ordinativi per ridurre a volumi le polizze e fedi, sul certificato che in ogni mese sarà firmato dal Revisore, e vistato dal Razionale, il quale dovrà poi liquidare ciò che spetta al ligatore, secondo i prezzi stabiliti;

3. agli ordinativi per fare stampare gli stati di reste, le note dei riscontri ed altro; come _ anche per fare somministrare i libri, la carta,l'inchiostro ecc. sulle richieste dei rispettivi impiegati, vistate dal Razionale, che ne assicuri il bisogno;

4. agli ordinativi, sulle richieste dei cassieri, per sacchi, 1 accetti, ed altro che loro occorre, vistate però dal Razionale, per assicurarne il bisogno;

5. agli ordinativi per accomodi del locale, ed utensili per le officine, sulle domande che ne avanzerà il Razionale.

Le note di tali accomodi ed utensili debbono essere apprezzate da un architetto della finanza, qualora a scendano a somma maggiore di ducati dieci; ed ove trattisi di minor somma possono, in vece dell'architetto, essere apprezzate da un impiegato del banco, autorizzato appositamente dal Reggente, sulla proposizione del Presidente, purché abbia una opportuna conoscenza di tali lavori.

Capitolo II Doveri ed attribuzioni del Razionale.

Art. 13.1 documenti,espressi nel precedente articolo,saranno tutti rimessi dal Razionale all'Agente contabile del banco, il quale, trovandoli in regola, e compilati in conformità del regolamento del 5 gennaio 1819, li presenterà al Reggente, che disporrà i corrispondenti pagamenti. Le polizze saranno dall'Agente contabile rimesse al Razionale della Cassa di Corte in Palermo, il quale avrà cura di fargli pervenire le quietanze, munite di suo visto.

Ove poi i documenti non si trovino in regola, l'Agente contabile li respingerà, con le sue osservazioni, e dopo le analoghe regolarizzazioni si eseguirà il pagamento.

Art. 14. Il Razionale della Cassa di Corte in Palermo, nella sua qualità di appoderato per lo pagamento dei soldi, indennità, gratificazioni e spese minute, è tenuto a dar conto delle somme che se gli anticipano a titolo di abbuonconto; in conseguenza, in ogni tre mesi, rimetterà all'Agente contabile un conto giustificato da validi documenti, che saranno i seguenti:

Pei soldi; lo stato emarginato eia tutti gl'impiegati, ed ordinanzato dal Presidente, coi certificati dei rispettivi capi di uffizio, costatanti l'esatto adempimento dei doveri di ognuno.

Per le gratificazioni ed indennità di cauzioni; un simile stato emarginato dalle parti prendenti, ed ordinanzato dal Presidente.

Per le spese minute giornaliere; le note di colui che le avrà fatte ordinanzare dal Presidente, e la copia della polizza pagatagli, assicurante di aver ricevuto l'originale; e quanto altro occorrerà, ai termini del mentovato regolamento del 5 gennaio 1819.

Art. 15. Tanto il conto che i documenti saran firmati, in ogni pagina, dal Razionale, poiché dessi debbono operare presso la Gran Corte dei Conti, in discarico dell'Agente contabile; il quale avrà il regresso, in caso di significa, verso il detto Razionale] ed all'oggetto darà questi una cauzione di ducati mille, che dovrà rispondere tanto per sé, che pel suo aiutante, ed ogni altro sostituto che verrà da lui prescelto, con l'approvazione del Presidente, nel caso di sua infermità o di qualunque altro impedimento.

Art. 16. Il Razionale della Cassa di Corte in Palermo dovrà, immancabilmente, in ogni corso di posta far pervenire la posizione di cassa al Reggente ed al Razionale della Reggenza, che deve tenerne esatta scrittura, come si pratica per le altre Casse di Corte e dei privati;

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ed onde mantenere sempre esatto ed al corrente tale carico, e quello della corrispondenza e liquidazione dei conti, sarà all'uopo aggregato un sufficiente numero d'impiegati graduati al personale delle officine centrali della Reggenza.

Capitolo III. Stampa e consegna delle fedi di credito.

Art. 17. Lo scudo delle fedi di credito, che si emetteranno dalla nuova cassa di Palermo, conterrà la solita dichiarazione - Il Banco delle due Sicilie tiene creditore N. N.............. in D.......... dei quali potrà disporre con la restituzione della presente firmata.

Per la semplice distinzione della cassa e della qualità della moneta, sotto la firma del cassiere vi saranno impresse le seguenti voci - Cassa di Palermo argento o rame e così egualmente sul bollo delle polizze notate fedi.

Art. 18. La stampa di dette fedi si farà in Napoli, sotto la sorveglianza del Segretario Generale; ma il Razionale della Cassa di Corte in Palermo dovrà sempre tenerne una soddisfacente provvista, facendo delle anticipate richieste al Reggente, per DL' organo del Presidente.

In vista di tali richieste, nelle quali dovrà indicarsi il numero delle fedi, il Reggente ne ordinerà la spedizione, in una o più volte successive; ed il Segretario generale ne curerà lo adempimento, badando soprattutto che vadano molto ben condizionate, per non farle né macchiare né maltrattare. Gl'involti, convenientemente suggellati a cera lacca, coi suggelli del Banco, saranno diretti a quel Presidente.

Giunti gl'involti alla cassa di Palermo, il Presidente farà dal Razionale riconoscere la integrità dei suggelli, ed indi l'autorizzerà a rimuoverli, per fare da lui stesso aprire gl'involti in sua presenza. Ciò fatto, il Razionale si occuperà immediatamente a numerare le fedi di credito per accusarne ricevo al Segretario generale. Tal ricevo sarà ritirato dal Presidente, che lo rimetterà col primo corso di posta al Reggente, per lo discarico del Segretario generale. Questi l'unirà alle richieste, per formarne un volume, che terrà pei giustificazione di quello partite che verran segnate sul libro cl' immissione e consegna delle fedi di credito, senza la sottoscrizione del Razionale.

Capitolo IV. Metodo per la riscontrata.

Art. 19. Dovendo le casse in Napoli realizzare le fedi di credito e le polizze emesse dalla cassa di Palermo, o viceversa, è destinata ad eseguire la riscontrata la sola Cassa di Corte in S. Giacomo con quella di Palermo.

Art. 20. Il cassiere maggiore in San Giacomo terrà particolare registro dei valori in argento della cassa di Palermo, indicando la somma, la data, il nome dell'intestatario, quello del primo e dell'ultimo girante, e quello dello esibitore notato al piede. Tal registro sarà cifrato, in fine della giornata, dal cassiere maggiore, il quale lo passerà al Razionale per far copiare, con lo stesso ordine, e con le stesse categorie, il notamento delle polizze prese nella giornata.

Il cassiere dei conto in rame farà altrettanto, per le polizze di simil metallo.

Art, 21. Ove la cassa di Corte in Napoli fosse creditrice di quella di Palermo, il cassiere maggiore in Napoli avrà l'obbligo di rimettere al suo collega in cui erano le polizze di quella cassa, di unita alla fede di re; sta, in un piego ben suggellato. Tali polizze, nel giorno della partenza della posta e del vapore, saranno, con l'intervento del Razionale e del Segretario presso del Presidente, confrontate di buon'ora col registro del cassiere maggiore, e col notamento esistente in razionalia; ed ove qualche indicazione sia erronea,

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si rettificherà dal Razionale la partita del libro, formandosi altra copia del notamento. Tanto il libro che il nota mento saran cifrati dal Cassiere maggiore, dal Razionale e dal Segretario. Il Cassiere maggiore, in presenza di essi, chiuderà in un piego ben suggellato i riscontri, la fede di resta, ed il notamento, con lo indirizzo al suo collega in Palermo.

Lo stesso verrà parimenti praticato dal cassiere del rame, perle polizze di tal metallo.

Ambo i pieghi saranno dal Segretario avvolti in altra carta, formandone un sol piego, coll'indirizzo alla Cassa di Corte in Palermo, e vi apporrà il suggello del banco. Tal piego si dovrà dal Segretario consegnare alla posta tre ore prima della partenza, e n'esigerà ricevo, secondoché sarà combinato di accordo tra il banco e l'amministrazione generale delle poste.

Art. 22. Il Segretario dovrà tenere soltanto conto del numero delle polizze e del loro ammontare, che si saranno spedite a Palermo, per informarne il Presidente. Ciò non esclude che il Presidente, o qualunque Governatore, non debba vigilare per la esattezza e regolarità di tale spedizione, per cui, assistendovi alcuno di essi, apporrà il visto al libro ed al notamento.

Art. 23. Giunto il piego a Palermo, l'uffizio delle poste curerà di farlo subito pervenire al Presidente od al suo Segretario, da chi si verificherà pria lo stato de' suggelli, e dopo ne farà ricevo. Essendovi alterazione ne farà espressa menzione nel ricevo, per tutte le conseguenze che potranno derivarne. La prima fascia sarà particolarmente aperta dal Presidente o dal Segretario, in presenza del Razionale. La seconda, che avvolge le fedi di credito e polizze di riscontrata, non sarà aperta che dal rispettivo cassiere, in presenza del Razionale e del Segretario, i quali assisteranno al confronto del notamento con le polizze. Il detto notamento, dopo di essere stato cifrato dal cassiere, sarà controposto ai riscontri delle casse di Napoli, esistenti presso di quel cassiere, dal quale, secondo la differenza che ne risulterà, sarà aumentata o diminuita la fede di resta.

Art. 24. Con la prima partenza di posta, i cassieri di Palermo rimetteranno, con le formalità di sopra stabilite, ai loro colleghi in Napoli le fedi di resta di argento e di rame, con le polizze delle casse di Napoli ivi realizzate, di unita ai notamenti. Qui giunto il piego, il Segretario del Presidente verificherà lo stato de' suggelli, facendone menzione nel ricevo, ed aprirà il piego in presenza del Razionale; ivi rinverrà i due pieghi diretti al cassiere maggiore, ed al cassiere di rame, e li passerà loro per aprirli e verificare in presenza tanto del Razionale che del Segretario, se vadano in regola le fedi di resto.

Indi, nel primo giorno della partenza di posta, detti cassieri, col Razionale e Segretario, prepareranno di buon'ora i rispettivi pieghi, con le fedi di resto, i riscontri ed i notamenti, per formarne un solo, e farsene dal Segretario la consegna alla posta, come nell'articolo 21.

Art. 25. Qualora poi la Cassa di Corte di Palermo divenisse creditrice di quella di Napoli, dovrà questa emettere la fede di resto a favore della prima, e si praticheranno egualmente le stesse formalità prescritte negli articoli precedenti.

Art. 26. Siccome, per effetto della riscontrata delle polizze, difficilmente i conti possonsi pareggiare fra la cassa di corte di Palermo e quella di Napoli, cosi, avvenendo il caso che siavi un considerevole sbilancio, il Eeggente del banco resta facoltato a procurare i mezzi per far restituire il numerario alla cassa creditrice; sia con delle operazioni commerciali, sia col trasporto dell'effettivo sui battelli a vapore, secondo che crederà egli più sicuro ed economico, nello interesse del banco, con dover però sempre tenerne informato il Ministro delle Finanze.


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Art. 27. Sia pei pieghi della riscontrata, sia per tutti gli altri pieghi di corrispondenza, diretti al Reggente del Banco, al Banco delle due Sicilie, od alla Cassa di Corte in Napoli, non dovrà pagarsi alcun dritto di posta, siano essi giunti per la via di terra o di mare; come anche vi sarà franchigia per _ tutti i pieghi di uffizio che si spediranno con l'indirizzo al Presidente della Cassa di Corte in Palermo, od alla detta Cassa di Corte.

Capitolo V. Delle cauzioni degl'impiegati.

Art. 28. Gl'impiegati obbligati a cauzione dovranno darla in rendita, secondo i regolamenti per le cauzioni della finanza in Sicilia, sia per lo impiego attuale, che per gli altri ai quali, nel tratto successivo, l'impiegato i^ossa esser traslocato ; e salvo r obbligo di dare il supplemento, qualora il nuovo impiego richiedesse una maggiore cauzione.

Art. 29. Volendosi dare la cauzione in beni fondi, siti in Palermo, l'esame dei titoli e delle cautele resta affidato a quel Governatore avvocato, che ne farà la proposta in sessione; e qualora il Presidente coi Governatori inclinino ad accettare tal cauzione, rimetteranno le carte all'agente del contenzioso, ed indi al Procuratoli generale di quella Gran Corte dei Conti, per farlo esaminare e discutere; dopo di che deve il Presidente tenere di tutto informato il Reggente, per provocare l'approvazione del Ministro delle Finanze.

Se poi si volesse dare in benifondi in Napoli, lo esame dei titoli e delle cautele resta affidato alla Reggenza, con l'intervento dell'avvocato governatore, rimanendo a cura del Reggente d'interrogare l'Agente del contenzioso, ed il Procurator generale della Gran Corte dei Conti, per lo esame, ai termini del Sovrano Rescritto del 13 luglio 1831, e della ministeriale del 23 maggio 1832, per provocarsi l'approvazione del Ministro delle Finanze.

Salvo dunque poche modificazioni e di lieve importanza, furono messe a Palermo ed a Messina le vecchie forme regolamentari del Banco, quali esistevano a Napoli. Al trentuno dicembre 1844, la cassa di Palermo aveva già in riserva D. 1110305,30.

*

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23. La Cassa di Sconto di Napoli faceva a quel tempo rapidi progressi, poiché alle date 31 dicembre ci furono in portafoglio:

ANNO

CAMBIALI appartenenti

al GovernoCAMBIALI appartenenti

ai privati

TOTALE

1840 1,088,864,5 8 1,599,390,40 2,688,254,98

1841 1,785,265,99 2,182,789,73 3,968,055,72

1842 1,821,920,21 2,425,430,21 4,247,350,42

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Quando il Governo pensava di allargare in Sicilia le operazioni apodissarie e di collocamento del Banco, l'ufficio Cassa di Sconto aveva prestato Duc. 4,878.909,21 (L. 20,735,364,34) e poteva disporre, con la regola dei diciottesimi, di altri Duc. 2,266,872,29, cioè lire 9,634,197,23. Il bilancio 25 novembre 1843, uno dei pochi di quel tempo che l'archivio conservi, esprime questa distribuzione dei prestiti e pegni:

Cambiali da scadere. Conto argento..................................D. 2,644,469,16

Stipendi anticipati agi' impiegati. Conto arg......................" 50,574,89

id. id. id. Conto rame..........................................................." 1,230,62

Cambiali garentite con pegno, da scadere..........................." 39,000,-

id. id. id. scadute.................................................................." 53,000,-

Pegni di rendita sul Gran Libro e di certificati delle due amministrazioni napoletane............................................"

1,340,895,-

Pegni di certificati della Tesoreria Generale......................." 18,135,-

Cambiali protestate fino al 31 dicembre 1838....................." 59,999,06

id- id. da gennaio 1839 al 12 novembre 1843......................" 53,904,08

Bono della Cassa di servizio scaduto al 22 novembre 1843 e non ancora contabilizzato dalla Tesoreria Generale..........."

471,917,37

Crediti chirografari della Cassa di Sconto..........................." 145,784,03

Totale ducati 4,878,909,21

Rimanenza disponibile sulle madrefedi della cassa.

Conto rame 299,769,38

Totale ducati 7,145,781,50

Quel medesimo anno 1843 le operazioni del monte di pietà furono:

Mutui con pegno di oggetti preziosi..................................D. 2,626,786

id. id. telerie e pannine........................................................" 303,401

id. id. metalli ignobili..........................................................." 79,639

Totale ducati 3,009,826

Spegni di oggetti preziosi …...............................................D. 2,248,611

id. telerie e pannine............................................................." " 282,232

id. metalli ignobili................................................................" " 55,663

- 2,586,506

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Vendite, per mancato riscatto, di oggetti preziosi D. 48,205

id. id. telerie e pannine 13,312

id. id. metalli ignobili 3,840

65,357

Aumentò per conseguenza, quell'anno, la resta o capitale collocato, di ducati 357.966.

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24. Meno di cinque anni rimasero dipendenti, dalla Reggenza del banco delle due Sicilie, le casse di Palermo e Messina. La rivoluzione del 1848, che proprio a Palermo ebbe cominciamento, staccò per qualche tempo dalla corona di Napoli i domini insulari, e non solo ruppe ogni relazione d'affari fra le casse di Napoli e quelle di Sicilia, ma costrinse queste ultime a sospendere i pagamenti; dopo d'aver esaurito la riserva metallica, e dopo d'avere posto in circolazione moltissime fedi di credito a corso forzoso.

Ristabilito il potere assoluto di Ferdinando 2°, una commissione nominata dal Generale Principe Filangieri, per la verifica dei conti della cassa Palermo, ch'era composta da Gaspare Wochinger, pagatore generale della cassa militare, Felice Carta, Giambattista Galbo e Gennaro Pepe, uffiziali della real marina, nonché dai Presidenti e Ragionieri del banco,

trovò nel tesoro soli D. 5,830,20

presso il cassiere Davide " 19,461,13

id. " Palumbo " 633,12

Totale D. 25,924,45

Liquidò poi i seguenti debiti, per carta in circolazione:

Conto della Tesoreria di Palermo D. 3,042,861,40

Pagatoria " 121,172,54

Diverse amministrazioni " 57,444,25

Privati " 632,629,42

Totale D. 3,854,107,61

Con vendite di nuovi titoli di debito pubblico fu colmato questo disavanzo, e le altre cospicue passività pei moti politici del 1848. Ma il banco di Napoli rimase scoverto della somma di D. 289,979,15, valori di riscontro, ossia carte delle casse Palermo e Messina spese nelle officine San Giacomo, Pietà e Spirito Santo.

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La Tesoreria di Sicilia fece l'obbligo suo, riconoscendo questo debito, consegnando, per pagarlo, parecchi certificati di rendita. Ma li prese il Ministro di Finanza Pietro d'Urso per conto del Fisco. Non valsero sollecitazioni continue del Reggente del Banco, Ciccarelli, né petizioni al Sovrano, perché li restituisse.

Il Principe Filangieri propugnò la separazione dei banchi di Sicilia da quello di Napoli, ed in generale di tutta l'amministrazione dell'isola da quella dei domini continentali; ciò che ottenne con l'atto Sovrano 27 settembre 1849, ed in particolar modo col decreto 15 agosto 1850, pel quale le due casse di Palermo e Messina si chiamarono Banco Regio dei Reali Dominii di là del Faro; con un Consiglio direttivo, formato dal Direttore Generale, che era eziandio Presidente della cassa di Palermo, da tre Governatori, e dal Presidente e Governatori della cassa Messina. La dote si stabilì non minore di annui Duc. 36,813; da crescersi fino a 39,668 se alle operazioni apodissarie si aggiungesse il servizio di sconto, che S. M. aveva promesso, coll'articolo 6 del decreto 7 aprile 1843.

Fece compilare Filangieri un regolamento, approvato poi con decreto dei 26 d'agosto 1854, che conservava gran parte degli ordinamenti del 1843, poc'anzi riferiti. Principali novità l'autonomia, la soppressione della riscontrata con Napoli e l'assegnamento della dote, necessaria ad un Istituto di semplice circolazione, che non aveva lucro dalle cambiali o pegni.

*

**

25. L'anno 1857, fu soddisfatto finalmente il desiderio delle province di Puglia, che da molto tempo insistevano per avere una cassa di circolazione, sconto, pegno: ed avevano fatto proporre, dal Consiglio Provinciale nel 1842, e dalla Società Economica nel 1850, di formarne la dote patrimoniale coi capitali e fondi dell'opere pie, dei comuni, della stessa amministrazione provinciale. Parve più semplice al ministro di Finanze, Murena, servirsi del Banco di Napoli, che allora si trovava in condizioni floride, adoperandone il capitale ed il credito per la fondazione d'un altra Cassa di Corte a Bari. Mediante decreti del 18 maggio e 9 ottobre 1857; ne fece approvare gli statuti e regolamenti, poco diversi da quelli promulgati per Messina e Palermo nel 1843, che serbavano le vecchie forme contabili ed amministrative del banco, salvo qualche indispensabile modificazione.

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Decreto 18 maggio 1857.

Visto l'art. 9.° del Real Decreto del 12 dicembre_ 1816, con cui, provvedendo alla diffinitiva organizzazione del banco delle due Sicilie, ci riserbammo di aprire delle altre casse, qualora l'affluenza del numerario ed i progressi del commercio lo avessero richiesto.

Atteso che la prosperità sempre crescente dell'agricoltura e della industria, il progressivo aumento delle transazioni commerciali, e la grande affluenza del numerario nel nostro Reame, richieggono l'aumento, per ora, di un'altra cassa del banco delle due Sicilie nel centro del commercio delle Puglie.

Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

Udito il nostro Consiglio Ordinario di Stato.

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Il banco delle due Sicilie è aumentato di un'altra Cassa di Corte, da stabilirsi nella città di Bari.

Art. 2. La direzione del suo andamento, e la disciplina degl'impiegati, saranno affidate ad un probo e distinto benestante, che prenderà il nome di Presidente. Egli dipenderà dal Reggente del banco ed avrà in aiuto tre Governatori, uno scelto dal ceto de' proprietari, l'altro degli avvocati, ed il terzo fra i più accreditati negozianti. I medesimi saranno da Noi nominati, sulla proposta del nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

Art. 3. Questa nuova cassa, a similitudine di quelle stabilite in Napoli, resta autorizzata a ricevere qualsiasi somma di denaro in argento o rame, sia per conto dei particolari che della General Tesoreria, e di ogni pubblica amministrazione, rilasciando agli immittenti dei valori fiduciari, denominati fedi di credito o polizze, di cui ciascuno può disporre con girate e notate fedi.

Art. 4. Le medesime, come quelle che si emettono dalle dette casso stabilite in Napoli, saranno ricevute per contante effettivo da tutt'i ricevitori c cassieri del Regno, sia in soddisfazione di dazi e di contribuzioni qualunque, che per essere convertito in numerario; a quale oggetto anche le casse di Napoli sono autorizzato a ricevere le fedi o polizze della cassa di Bari; né questa può rifiutarsi di convertire in numerario quelle delle casse di Napoli, sempre però sotto la responsabilità de' Cassieri e de' Pandettari.

Art. 5. Istallata che sarà in Bari la cassa di Corte, i Ricevitori, gli Esattori ed ogni Contabile dello Stato colà residente,non potranno fare alcun esito,né alcun versamento in numerario, sibbene dovranno pagare con polizze, stabilendo all'uopo presso detta cassa le corrispondenti madrefedi.

Art. 6. Come pure i Ricevitori Generali di Lecce e Capitanata, ed i Ricevitori Distrettuali residenti in dette province ed in quella di Bari, non che il Ricevitore del Tavoliere di Puglia, si asterranno di spedire del numerario in Napoli, dovendolo far pervenire alla Cassa di Corte in Bari, ed invieranno invece una polizza di quel banco alla general Tesoreria, alla cassa di ammortizzazione o ad altra dipendenza cui spetta.

Art. 7. Onde animare maggiormente il commercio e le industrie, per lo vantaggio de' nostri amatissimi sudditi, ci riserbiamo di stabilire in detta cassa le opere della pignorazione di oggetti preziosi, e dello sconto delle cambiali, a misura del cumolo del numerario e dello incremento del negoziato bancario. Ogni altro impiego di danaro è da noi espressamente vietato.

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Art. 8. Per attivare il servizio della nuova Cassa di Corte, sarà staccato dal personale del banco delle due Sicilie, a prudenza del Consiglio di Reggenza, un competente numero di uffiziali graduati e soprannumerari, che ci riserberemo poi di aumentare a secondo del bisogno e delle opere che vi saranno aggiunte.

Art. 9. Un particolare regolamento, approvato dal nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze, stabilirà tanto il modo da praticarsi per la pronta ed esatta riscontrata delle polizze, che vicendevolmente si scambieranno fra la cassa di Bari e quelle di Napoli, quanto i doveri e le attribuzioni di taluni funzionari del banco, per la parte di servizio non preveduta dai vigenti regolamenti, che saranno eziandio comuni alla nuova cassa.

Art. 10. Il nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente Decreto.

Decreto 9 ottobre 1857.

Sulla proposizione del Nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze;

Udito il Nostro Consiglio ordinario di Stato;

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Rimangono da noi approvati gli annessi due Regolamenti pel servizio della cassa di Corte del banco delle Due Sicilie in Bari, e pel servizio della Cassa di Sconto presso la medesima istituita.

Art. 2. Il nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze è incaricato della esecuzione del presente Decreto.

Capitolo 1.° Doveri ed attribuzioni del Presidente.

Art. 1. Il servizio interno della nuova Cassa di Corte in Bari sarà diretto da un probo e distinto proprietario, col titolo di Presidente. Egli godrà l'onorario di mensili ducati cinquanta, come gli altri suoi colleghi in Napoli.

Art. 2. Avrà in suo ajuto tre Governatori, uno ordinario, che supplirà il Presidente nei casi di assenza o di impedimento, e gli altri due soprannumerari;il primo godrà l'onorario di ducati venticinque al mese. Le loro attribuzioni e facoltà sono determinate dal Regolamento organico del Governo dei banchi, approvato col Sovrano Rescritto de' 26 febbraio 1817.

Art. 3. Onde non ritardare il servizio delle amministrazioni, o de' pub blici Stabilimenti, per gli esiti ed introiti che occorrono farsi per banco, il Presidente è autorizzato a tenere corrispondenza con qualsiasi autorità della provincia, per oggetti risguardanti soltanto riconoscenze di firme, richieste di partite di polizze attaccate di falso, perizie e liberazione di denaro per fedi di credito e polizze disperse. Per queste ultime, prima di eseguire il pagamento, ne farà inteso il Direttore generale Reggente.

Art. 4. Per le richieste poi che gli si faranno dai particolari, per liberazione di danaro di fedi di credito o polizze disperse, dopo gli atti preparatori, ricevuta che avrà la cauzione, ed i consensi di tutti gl'interessati, non potrà ordinarne la liberazione se non con l'approvazione del Direttore generale Reggente; che devesi alligare in copia agli atti da conservarsi nel volume, in luogo della fede di credito o polizza smarrita.

Art. 5. Occorrendo,per qualsivoglia circostanza, sia di andamento, sia di miglioramento di servizio, provocare delle Ministeriali disposizioni, il Presidente della Cassa di Bari non può, che per l'organo del Direttore generale Reggente, provocarle; stante a questo è riservata la corrispondenza col Ministero, e con le principali autorità del Regno.

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Art. 6. In ogni caso di giubilazione o di destituzione d'impiegati, il Presidente dovrà co' Governatori discutere ed esaminare l'affare, ed indi con ragionato verbale manifestarne il risultato al Direttore generale Reggente, il quale emetterà i diffinitivi provvedimenti.

Art. 7. Vi saranno, nella cassa di Bari, dieci alunni senza soldo, nominati dal Direttore generale Reggente sulla proposta che ne farà il Governo della cassa. Tal numero, a prudenza del Direttore generale Reggente, potrà in seguito estendersi a venti, qualora il bisogno lo richiegga.

Gli alunni non godranno soldo, ma avranno un discreto compenso, per le trascrizioni delle fedi di credito e polizze sui giornali.

Art. 8. I soldi, le indennità, gli averi per la trascrizione delle polizze, e le spese minute ed impreviste, per la cassa di Bari, saranno, sempre con l'anticipazione di giorni quindici, pagate, a titolo di abbuonconto, dallo agente contabile del banco al Razionale della cassa di Bari; il quale presenterà tali polizze al visto del Presidente, per accreditarle sulla madre fede, che dovrà all'oggetto tenere aperta, con la seguente intestazione: li Razionale. ed appoderato della nostra Cassa di Corte. Da tal madrefede non può egli prelevare alcuna somma senza l'ordinativo del Presidente, il quale, in conferma, dovrà apporre il suo visto alle polizze, che senza di quest'approvazione non si possono notare.

Art. 9. Gli ordinativi del Presidente, pei soldi agl'impiegati e per le indennità di cauzione, non possono mai eccedere le somme fisse e determinate nello stato discusso, che verrà appositamente a lui comunicato. Potrà non pertanto tener sequestrati i soldi agl'impiegati, sia per insubordinazione, ha per inassistenza, sia per altra colpa, e dello ammontare di tali soldi potrà anche disporre un competente compenso a colui che avrà rimpiazzato il manchevole; purché ne sia stato autorizzato dal Direttore generale Reggente.

Art. 10. Il Presidente resta autorizzato a rimpiazzare il Direttore generale Reggente, per la firma degli ordinativi del compenso a darsi agli alunni che trascrivono le fedi di credito e polizze sui giornali; secondo la liquidazione che ne farà il Razionale, ai termini dello articolo 54 delle

Istruzioni de' 5 gennaio 1819, e per gli ordinativi di tutte le spese minute che potranno l'arsi dall'usciere del Governo o eia! custode del locale, il quale ne avrà poi il rimborso dal Razionale appoderato, in vista della, nota, approvata ed ordinanzata dal Presidente.

Art. 11. Egli è del pari autorizzato a rimpiazzare il Direttore generale Reggente in tutti quei contratti che, per la economia del banco, stimerà dover fare; come sarebbe, il contratto per la formazione de' volumi delle polizze originali, per gli accomodi de' libri, somministrazione della carta, inchiostro,penne ec. Tali contratti debbono sempre essere approvati dal Direttore generale Reggente.

Art. 12. Lo stesso Presidente è anche autorizzato alle seguenti cose:

1. A tutte le disposizioni urgenti ed indispensabili, che non possonsi prevedere, salvo a farne contemporaneamente rapporto al Direttore generale Reggente;

2. Agli ordinativi per ridurre a volume le polizze e fedi di credito, sul certificato in ogni mese firmato dal Revisore e vistato dal Razionale, il quale dovrà poi liquidare ciò che spetta alligatore, secondo i prezzi stabiliti;

3. Agli ordinativi per fare stampare gli stati di reste,le note de' riscontri ed altro, come anche per far somministrare i libri, la carta, l'inchiostro ecc., sulle richieste de' rispettivi impiegati, vistate dal Razionale, che ne assicuri il bisogno


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4. Agli ordinati vi, sulle richieste de' cassieri, per sacchi, laccetti, ed altro che loro occorre, vistate però dal Razionale per assicurarne il bisogno;

5. Agli ordinativi per accomodi del locale, ed utensili per le officine, sulle domande che ne avanzerà il Razionale.

Le note di tali accomodi ed utensili debbono essere apprezzate dall'architetto provinciale, qualora ascendano a somma maggiore di ducati dieci, ed ove trattisi di minor somma, possono, invece dell'architetto, essere apprezzate da un impiegato del banco, autorizzato appositamente dal Direttore generale Reggente, sulla proposizione del Presidente, purché abbia una opportuna conoscenza di tali lavori.

Capitolo 2.° Doveri ed attribuzioni del Razionale.

Art. 13; I documenti espressi nel precedente articolo saranno tutti rimessi dal Razionale allo Agente contabile del banco, il quale, trovandoli in regola, e compilati in conformità del Regolamento de' 5 gennaio 1819, li presenterà al Direttore generale Reggente, che disporrà i corrispondenti pagamenti. Le polizze saranno dallo Agente contabile rimesse al Razionale della Cassa di Corte in Bari, il quale avrà cura di fargli pervenire le quietanze, munite di suo visto.

Ove poi i documenti non si trovino in regola, lo Agente contabile li respingerà con le sue osservazioni, e dopo le analoghe regolarizzazioni si eseguirà il pagamento.

Art. 14. Il Razionale della Cassa di Corte in Bari, nella sua qualità di appoderato per lo pagamento de' soldi, indennità, gratificazioni e spese minute, è tenuto a dar conto delle somme che gli si anticipano a titolo di abbuonconto; in conseguenza, in ogni tre mesi, rimetterà allo Agente contabile un conto giustificato da validi documenti, che saranno i seguenti:

Pe' soldi; lo stato, emarginato da tutti gl'impiegati, ed ordinanzato dal Presidente, coi certificati de' rispettivi capi di uffizio, costatanti lo esatto adempimento de' doveri di ognuno;

Per le gratificazioni ed indennità di cauzioni; un simile stato, emarginato dalle parti prendenti, ed ordinanzato dal Presidente;

Per le spese minute giornaliere; le note di colui che le avrà fatte, ordinanzate dal Presidente, e la copia della polizza pagatagli, assicurante di aver ricevuto l'originale; e quanto altro occorrerà, ai termini del mentovato regolamento de' 5 gennaio 1819.

Art. 15. Tanto il conto che i documenti saranno firmati, in ogni pagina, dal Razionale, poiché dessi debbono figurare presso la Gran Corte de' Conti, in discarico dello Agente contabile, il quale avrà il regresso, in caso di significa, verso il detto Razionale; ed all'oggetto darà questi una cauzione di ducati mille, che dovrà rispondere tanto per sé che pel suo aiutante, ed ogni altro sostituto che verrà da lui prescelto, con l'approvazione del Presidente, nel caso di sua infermità o di qualunque altro impedimento.

Art. 16. Il Razionale della Cassa di Corte in Bari dovrà immancabilmente, in ogni corso di posta, far pervenire la posizione delle casse al direttore generale Reggente, che deve tenerne esatta scrittura, come si pratica per le Casse di Corte e de' Privati, esistenti in Napoli.

Art. li. Dovrà eziandio riceversi le casse di numerario, che per mezzo del procaccio si spediscono al banco dai Ricevitori generali e distrettuali; esaminarne lo stato esterno, e farne poi seguire in sua presenza la verifica e numerazione dal cassiere, con l'assistenza dei rispettivi procuratori, ai termini del Regolamento dei 27 ottobre 1817, e delle successive prescrizioni emesse.

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Capitolo 3.° Stampa e consegna delle fedi di credito.

Art. 18. Lo scudo delle fedi di credito, che si emetteranno dalla nuova cassa di Bari, avrà la solita leggenda: Il Banco delle due Sicilie tiene creditore N. N........ in due dei quali potrà disporre colla restituzione della presente firmata.

Per la semplice distinzione della cassa e della qualità della moneta, sotto la firma del cassiere vi saranno impresse le seguenti voci: Cassa di Corte in Bari argento o rame, o così egualmente sul bollo delle polizze notate fedi.

Art. 19. La stampa di dette fedi si farà in Napoli, sotto la sorveglianza del Segretario generale; ma il Razionale della Cassa di Corte in Bari dovrà sempre tenerne una soddisfacente provvista, facendo delle anticipate richieste al Direttore generale Reggente, per l'organo del Presidente.

In vista di tali richieste, nelle quali dovrà indicarsi il numero delle fedi, il Direttore generale Reggente ne ordinerà la spedizione, in una o più volte successive, ed il Segretario generale ne curerà l'adempimento; badando soprattutto che vadano molto ben condizionate, in una cassa di legno all'uopo costruita, per non farle né macchiare né maltrattare. Una chiave di essa si riterrà dal Segretario generale, ed un'altra del Presidente della cassa di Bari. La cassa sarà per mezzo del procaccio spedita in Bari, ma, in caso di pressante bisogno, le fedi si potranno anche spedire per la posta, formando di esse dei pacchi ben aggiustati, e convenientemente suggellati con cera lacca.

Giunta la cassa in Bari, il Presidente farà immediatamente numerare le fedi del Razionale, per accusarne ricevo al Segretario generale.

Tale ricevo sarà ritirato dal Presidente, che lo rimetterà, col primo corso di posta, al Direttore generale Reggente, per lo discarico del Segretario generale. Questi le unirà alle richieste, per formarne un volume, che terrà per giustificazione di quelle partite che verranno segnate, sul libro d'immissione e consegna delle fedi di credito, senza la sottoscrizione del Razionale.

Capitolo 4.° Metodo per la riscontrata.

Art. 20. Dovendo le casse in Napoli realizzare le fedi di credito e le polizze emesse dalla cassa di Bari, o viceversa, è destinata ad eseguire la riscontrata la sola Cassa di Corte in S. Giacomo con quella di Bari.

Art. 21. Il Cassiere Maggiore di San Giacomo terrà particolare registro de' valori in argento della Cassa di Bari; indicando la somma, la data, il nome dell'intestatario, ([nello dell'ultimo girante, e quello dello esibitore notato al piede. Tale registro sarà cifrato, in fine della giornata, dal Cassiere Maggiore, il quale lo passerà al Razionale, per far copiare, con lo stesso ordine e con le stesse categorie, il notamento delle polizze prese nella giornata.

Il Cassiere del conto in rame farà altrettanto, per le polizze di simil metallo.

Art. 22. Ove la Cassa di Corte in Napoli fosse creditrice di quella di Bari, il Cassiere Maggiore in Napoli avrà l'obbligo di rimettere _ al suo collega in Bari le polizze di quella Cassa, di unita alle fedi di resto, in impiego ben suggellato Tali polizze, nel giorno della partenza, della posta, saranno, con l'intervento del nazionale e del Segretario presso del Presidente, confrontate di buon ora col registro della Cassa Maggiore, e col notamento esistente in Razionalia; ed ove qualche indicazione sia erronea, si rettificherà dal Razionale la partita del libro, formandosi altra copia del notamento. Tanto il libro che il notamento saranno cifrati dal Cassiere Maggiore, dal Razionale e dal Segretario.

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Il Cassiere Maggiore, in presenza di essi, chiuderà in un plico ben suggellato i riscontri, la fede di resto, ed il notamento, con lo indirizzo al suo collega in Bari.

Lo stesso verrà parimenti praticato dal Cassiere del rame, per le polizze di tale metallo.

Ambo i pieghi saranno dal Segretario avvolti in altra carta, formandone un sol piego; con lo indirizzo alla Cassa di Corte in Bari, e vi apporrà il suggello del Banco. Tale piego si dovrà dal Segretario consegnare alla posta tre ore prima della partenza; si esigerà ricevo, secondo che sarà combinato di accordo tra il Banco e l'Amministrazione generale delle Poste.

Art. 23. Il Segretario dovrà tenere soltanto conto del numero delle polizze e del loro ammontare, che si saranno spedite a Bari, per informarne il Presidente. Ciò non esclude che il Presidente, o qualunque Governatore, debba vigilare per la esattezza e regolarità di tale spedizione, per cui,assistendovi alcuno di essi, apporrà il visto al libro ed al notamento.

Art. 24. Giunto il piego a Bari, il Direttore della posta curerà di farlo subito pervenire al Presidente od al suo Segretario, da chi si verificherà pria lo stato dei suggelli, e dopo se ne farà ricevo. Essendovi alterazione, ne farà espressa menzione nel ricevo, per tutte le conseguenze che potranno derivarne. La prima fascia sarà particolarmente aperta dal Presidente o dal Segretario, in presenza del Razionale. La seconda, che avvolge le fedi di credito e polizze di riscontrata, non sarà aperta che dal rispettivo Cassiere, in presenza del Razionale e del Segretario, i quali assisteranno al confronto del notamente con le polizze. Il detto notamento, dopo di essere stato cifrato dal cassiere, sarà conservato dal Razionale, ed il suo ammontare sarà controposto a' riscontri delle casse di Napoli, esistenti presso di quel cassiere, dal quale, secondo la differenza che ne risulterà, sarà aumentata o diminuita la fede di resto.

Art. 25. Con la partenza della posta, i cassieri in Bari l'inietteranno, con le formalità di sopra stabilite, a' loro colleghi in Napoli le fedi di resto di argento e di rame, con le polizze delle Casse di Napoli ivi realizzate, di unita ai notamenti. Qui giunto il piego, il Segretario del Presidente verificherà lo stato de' suggelli, facendone menzione nel ricevo, ed aprirà il piego in presenza del Razionale. Ivi rinverrà i due pieghi diretti al cassiere Maggiore ed al cassiere del rame, e li passerà loro per aprirli e per verificarsi, in presenza tanto del Razionale che del Segretario, se vadano in regola le fedi di resto.

Indi, nel primo giorno della partenza di posta, detti cassieri col Razionale e Segretario prepareranno di buon'ora i rispettivi pieghi con le fedi di resto, i riscontri ed i notamenti, per formarne un solo, e farsene dal Segretario la consegna alla Posta, come nell'art. 22.

Art. 20. Qualora poi la Cassa di Corte in Bari divenisse creditrice di quella di Napoli, dovrà questa emettere la fede di resto a favore della prima, e si praticheranno egualmente le stesse formalità prescritte negli articoli precedenti

Art 27. Siccome, per effetto della riscontrata delle polizze, difficilmente i conti possonsi pareggiare fra la Cassa di Corte in Bari, e quella di Napoli, cosi, avvenendo il caso che siavi un considerevole sbilancio, il direttore generale Reggente del Banco resta facoltato a procurare i mezzi per far restituire il numerario alla Cassa creditrice, sia con delle operazioni commerciali, sia col trasporto dello effettivo per mezzo del procaccio, secondo che crederà egli più sicuro ed economico.

Art. 28. Sia pe' pieghi della riscontrata, sia per tutti gli altri pieghi di corrispondenza , che inviansi al Direttore Generale Reggente del Banco delle Due Sicilie, od alla Cassa di Corte in Napoli, non dovrà pagarsi alcun dritto

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di posta, come anche vi sarà franchigia per tutt'i pieghi di uffizio, che si spediranno con l'indirizzo al Presidente della Cassa di Corte in Bari, ed alla detta Cassa di Corte.

Art. 29. Tutte le altre disposizioni racchiuse nel Regolamento del Banco delle Due Sicilie, non che le ministeriali e le ordinanze, che non si oppongono a quanto di sopra è stabilito, rimangono nel loro pieno vigore, e saranno applicabili anche allo andamento del servizio della Cassa di Corte in Bari.

Appendice al Regolamento de! 31 marzo 1839, per lo servizio della Cassa di Sconto, da stabilirsi presso la Cassa di Corte del Banco delle due Sicilie in Bari.

Art. 1. La Cassa dello Sconto, da stabilirsi in Bari, per effetto del Real Decreto del 18 maggio 1857, sarà una dipendenza della'"Cassa di Napoli, ov'è l'amministrazione centrale, affidata alle cure del Direttore Generale Reggente del Banco delle Due Sicilie.

Art. 2. Lo andamento del servizio della Cassa di Sconto in Bari sarà ivi regolato e diretto dal Presidente della Cassa di Corte, il quale dipenderà dal Direttore generale Reggente, ai termini dell'articolo 2° dell'enunciato Real Decreto.

Art. 3. Le operazioni della medesima consisteranno nello sconto delle cambiali traettizie, de' boni della Cassa di servizio e degli altri valori della Tesoreria generale, dei boni ed altri effetti commerciali, esigibili non al di là di tre mesi; secondo le regole stabilite nel Regolamento approvato ai 2 aprile 1839, per la Cassa di Sconto in Napoli.

Art. 4 Lo esame dei valori da ammettersi allo sconto, in quanto alla loro forma, ed alla bontà e solvibilità delle firme e regole commerciali, apparterrà ad un Consiglio, composto dal Presidente del Banco, dal Vice Presidente della Camera consultiva di commercio, e da quattro negozianti, da cambiarsi uno in ogni anno. Quattro componenti del Consiglio possono deliberare.

Art. 5. Quel componente che cifrerà gli effetti ammessi allo sconto, avrà cura di segnare, in un libretto particolare, il nome del negoziante al quale si sia avuto maggior fiducia nell'ammissione delle cambiali, onde lo Agente de' cambii abbia una sicura norma per aprire i corrispondenti conti nel registro dei fidi, che serve di guida al consiglio Art. 6. Al solo Presidente è attribuita la corrispondenza officiale col Direttore generale Reggente, avvalendosi dell'opera del Segretario della cassa di corte e dei suoi impiegati, il numero dei quali verrà convenientemente aumentato.

Art. 7. Lo stesso Presidente ha punì la facoltà di ordinare al Razionale il pagamento:

I. Dei valori ammessi allo sconto.

II. Del gettone di ducati due, spettante a ciascun componente del Consiglio, quando abbia prestato la, sua presenza, secondoché si rileverà in ogni fine di mese dai verbali d'intervento, formati in ogni seduta dal Segretario della cassa, e vistati dal Governatore negoziante.

III. Il compenso mensile, ovvero il dritto spettante all'esattore, secondo la liquidazione formata dal Razionale.

IV. Le spese dei protesti, fatte dall'ufficiale pubblico e trovate in regola dal Controllo.

V. Le spese ordinarie pei giudizi debitamente autorizzati.

VI. Ed ogni altro esito fisso e determinato o superiormente approvato.

Art. 8. Nel giorno precedente alla scadenza dei valori, il Presidente avrà cura di farne la gira allo Esattore per la debita riscossione, e nel giorno seguente si farà esibire il borderò di versamento della esazione fatta; come anche, assistito dal Governatore Controllo

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e dal Razionale, procederà, quando crede, alla verifica dei valori esistenti in portafoglio, fra di un termine non mai al di là di tre mesi.

Art. 9. Il Presidente, ìli ogni corso di posta, rimetterà al Direttore generale Reggente una copia del borderò dei valori ammessi allo sconto; ed in ogni metà e fine di mese gli spedirà lo stato di situazione, tanto del capitale, che degli utili, con la distinta dei singoli valori caduti di protesto; ed al termine di ciascun quadrimestre vi unirà il versamento degli utili, dedotti gli esiti fatti.

Art. 10. La scrittura di Controllo sarà affidata al Governatore negoziante, il quale godrà l'onorario di mensuali ducati venticinque, e ducati dieci al mese per gasti. Egli avrà gli stessi obblighi addossati al Segretario generale, col titolo IV del Regolamento del 1830; a quale oggetto, per la tenuta dei corrispondenti registri e libri, nonché per la compilazione dei rapporti richiesti dal Presidente, si avvalerà del Segretario e dei suoi impiegati; ai quali, con la intelligenza del Presidente, distribuirà mensilmente il compenso delle grana quattro per ogni ducati mille, sopra tutte le somme che la cassa eroga per la negoziazione dei diversi effetti, che con la medesima si esegue.

Art. 11. Il Governatore controllo conserverà gelosamente il registro dei fidi, e vigilerà per la sua esattezza e regolarità. Controllerà e verificherà le diverse operazioni, di qualunque natura esse siano, e rivedrà anche le calcolazioni degli interessi.

Sottoscriverà, dopo di averne presa ragione, i borderò degli effetti negoziati con la cassa, debitamente ordinanzati, e firmerà le polizze di pagamento, in compruova della esattezza delle calcolazioni e della regolarità dei documenti.

Art. 12. Ogni mattina si farà esibire dallo esattore il versamento del giorno precedente; ne verificherà l'ammontare e lo presenterà al Presidente, il quale disporrà passarsi al Razionale, e munirà di sua firma ogni polizza di pagamento diretto alla cassa, sottoscrivendo i borderò.

Art. 13. Terrà conto degli effetti non soddisfatti e rimessi ai patrocinatori, per renderne informati i deputati, onde non ammettano la firma di quei sottoscrittori di cambiali, che non han curato di estinguerle.

Art. IL II Razionale della Cassa di Corte aumenterà a ducati tremila la sua cauzione, e sarà il Razionale della Cassa di Sconto, venendo coadiuvato dà un corrispondente numero d'impiegati. Egli, su tale cauzione, percepirà la corrispondente indennità del tre per cento, ed inoltre il compenso di grana sei, per ogni mille ducati, sopra tutte le somme che la cassa eroga per la negoziazione dei diversi effetti, che con la medesima si esegue; quale compenso si dovrà ripartire in ogni mese coi suoi ajutanti, con l'autorizzazione del Presidente.

Art. 15. Il Razionale registrerà gli sconti delle cambiali, tenendone esatta scrittura a stile doppio, in modo che dia i più soddisfacenti risultati, tanto per lo capitale, che pei profitti, e darà il suo conto materiale al Consiglio della Tesoreria Generale. Questo conto formerà appendice di quello che darà il Razionale in capo della cassa di sconto di Napoli, senza che la responsabilità dell'uno aggravi l'altro, essendo ciascuno di essi tenuto a dar conto per la propria gestione.

Art. 16. Il Razionale in Bari, come controllo immediato dell'esattore, terrà una delle chiavi del portafoglio o della cassa, nella quale debbonsi immediatamente racchiudere i valori ammessi allo sconto. L'altra chiave rimarrà affidata all'esattore, che tiene principalmente in consegna detti valori, ma non potrà estrarne alcuno senza il concorso del Razionale. Estraendosene, per esigenza anticipata a richiesta dei debitori, il Razionale dovrà informarne il Presidente, il quale, si farà esibire i valori per apporvi le gire e per obbligare

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l'esattore a farne il versamento pel di seguente. Insomma il Razionale adempirà a quanto altro nel titolo VII del Regolamento del 2 aprile 1839 e prescritto pel controllo presso il Tesoriere, senza però aver dritto al compenso stabilito dall'articolo 50.

Art. 17. Sarà portato nella sua officina il libro delle scadenze degli effetti negoziati con la Cassa, per conoscere se in ciascuna giornata siasi dall'esattore realizzato il carico illativo delle cambiali che scadono. Come anche terrà registro di tutti gli effetti protestati, con la notizia del patrocinatore incaricato del giudizio, e vi discaricherà i pagamenti, che faranno i debitori per mezzo dell'esattore, e quindi ne passerà avviso al patrocinatore.

Art. 18. Terrà presso di sé la madrefede del capitale intestato alla cassa, e spedirà le corrispondenti polizze, in vista de' borderò degli sconti, qualora il tutto sia in regola, tanto per la esattezza del calcolo degl'interessi, quanto per gli adempimenti che vi occorrono.

Similmente terrà una madrefede separata riguardante gli utili, sulla quale eseguirà tutti gli esiti ordinanzati dal Presidente, in corrispondenza degli articoli 7, 9 e 10 del presente regolamento.

Art. 19. Passerà le cambiali e protesti al patrocinatore destinato, con ritirarne ricevo in pie della copia delle cambiali, qualora trovisi in Bari. Se si troverà in Traili, gli atti con la cambiale si spediranno per mezzo della posta, con piego assicurato, per quindi ritirarne ricevo in piè della copia della cambiale, dovendosi tal copia rimettere al Consiglio di Tesoreria, in appoggio del conto. Avrà eziandio cura di farne altra copia per notizia della segreteria, che dovrà informarne il Direttore generale Reggente, e darne avviso al patrocinatore, con ufficio del Presidente. Apporrà le debite disposizioni alle polizze d'introito di sorta e degli utili, per accreditarle sulle rispettive madrefedi, qualora sieno in regola, e senza gira pregiudizievole alla cassa, e le passerà al Governatore Controllo. Questi le munirà di sua firma, per indi vistarsi dal Presidente, ed eseguirsi l'introito nelle madrefedi.

Art. 20. Il conto, di cui si è fatto menzione nell'art. 15, sarà giustificato da analoghi documenti, e per l'organo del Presidente sarà, in ogni fine di marzo, rimesso al Direttore generale Reggente del banco, il quale lo passerà al Razionale della Cassa di Sconto in Napoli, per aggregarlo al suo conto, dopo di averne verificato i risultati, per ciò che emerge dalla sua scrittura.

Art. 21. Saran validi documenti per la giustificazione degli introiti nella madrefede di proprietà, i borderò di versamento dell'esattore ed i parziali rapporti coi quali accompagnar deve le polizze pagate dai debitori; quali borderò giustificheranno anche il discarico delle cambiali protestate nel corso dell'anno, quante volte siavi l'ordine del Presidente per la loro spedizione al Patrocinatore, ed il ricevo dello stesso, come si è detto nell'art. 19.

Art. 22. Le reste che per cambiali protestate risulteranno ad esigersi, saranno documentate con certificato del Governatore Controllo, vistato dal Governatore avvocato, con cui verranno costatati i giudizi in corso, e le altre ragioni della inesazione delle reste.

Art. 23. In fine di ogni anno il Presidente, assistito dal Governatore controllo, farà la contata di cassa, e dei valori che esisteranno presso dello esattore; e si distenderà dal Razionale e dal Segretario un verbale di verifica, che, munito del visto del Presidente, sarà presentato in giustificazione delle reste che figureranno nel conto. La esistenza in portafoglio ed in madrefede verrà documentata da un certificato dell'uffiziale addetto al giornale della Cassa di Sconto, vistato dal Razionale e dal Governatore Controllo.

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Art. 24. I borderò degli sconti, sottoscritti dall'Agente dei cambii, col visto del Consiglio, ed ordinalizati dal Presidente, giustificheranno gli esiti fatti.

Art. 25. L'Esattore della Cassa sarà obbligato a dare una cauzione, di ducati cinquemila, la quale risponderà tanto del fatto proprio che dei suoi aiutanti e commessi. Su tale cauzione non percepirà alcuna indennità, ma godrà del dritto di grana trenta, per ogni migliaio di ducati, su tutti i valori, a carico de' particolari, che realizzerà; senza nulla corrispondere alle officine della Segreteria e Contabilità della Cassa; non essendo applicabili, per lo Esattore della Cassa di Bari, le disposizioni racchiuse negli articoli 42 e 43 dell'enunciato regolamento del 1839.

Tale dritto è compensativo di ogni sua opera, e della spesa che potrà erogare, per la tenuta della scrittura, e pei commessi e facchini; che adoprerà con la intelligenza del signor Presidente, dovendogliene passare nota prima di adibirli.

Art. 26. Gli obblighi dell'Esattore sono definiti dal regolamento del 2 aprile 1839, sotto il titolo del Tesoriere, ed ai medesimi l'Esattore si dovrà pienamente uniformare.

Art. 27. In caso di congedo o di fisico impedimento, il Presidente sarà rimpiazzato, nella firma e nelle sue attribuzioni, dal primo Governatore, come per gli affari del Banco. 11 Governatore Controllo da altro Governatore. Il Razionale dal suo primo ajutante, sotto la responsabilità dello stesso Razionale; e l'Esattore da un soggetto di sua scelta, purché siavi concorsa l'approvazione del Presidente; di difetto il Segretario ne assumerà provvisoriamente il carico; ed in ambo i casi gli esercenti saranno sempre a rischio e responsabilità del titolare. Elassi quindici giorni dal provvisorio rimpiazzo, il Presidente ne informerà il Direttore generale Reggente, il quale ne farà rapporto a S. E. il Ministro delle Finanze, per le superiori definitive risoluzioni.

Art. 28. Il più abile ed intelligente fra i Regii Sensali di commercio residenti m Bari, che dar possa una corrispondente cauzione in rendita iscritta al Gran Libro, assumerà l'ufficio di Regio Agente de' cambii. Egli apporrà la sua cifra a tutte le cambiali e biglietti ad ordine che saranno ammessi allo sconto; e mercé tale cifra resta responsabile della verità della firma degli accettanti, non che di quelle dei penultimi e degli ultimi giranti, e di coloro che prestano l'avallo; rimanendo anche garante e responsabile della identità delle persone, e della loro capacità di contrattare, come pure sarà responsabile di tutte le irregolarità, intrinseche ed estrinseche, che possano esistere sì nel testo che nel corpo dei valori ammessi allo sconto.

Art. 29. Il Regolamento della Cassa dello Sconto, del 2 aprile 1839, e le Ministeriali ed Ordinanze, che non si oppongono alle presenti disposizioni, rimangono nel loro pieno vigore e saranno applicabili per l'andamento del servizio della Cassa di Sconto in Bari.

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La spesa di compra ed adattamento d'un palazzo si fece per metà dall'amministrazione provinciale di Bari, e pel resto dall'altro due province Pugliesi di Foggia e Lecce. Vincendo varie difficoltà, di natura tecnica ed amministrativa, l'Intendente Manderini riuscì a far inaugurare la cassa nel giorno natalizio di Ferdinando 2° (12 gennaio 1858). Da parte sua, il Ministro Murena lavorò molto a questo primo tentativo d'allargamento delle operazioni del Banco nelle province continentali;

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e tra l'altro scrisse una iscrizione, che i Governatori posero sotto d'un ritratto in marmo del Re (1).

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27. Varie importanti novità si comandarono, nel seguente anno 1858, per la Cassa di Sconto; che avrebbe voluto anticipare al fisco l'ammontare dei dazi doganali, tenendo come pegno le merci depositata nei magazzini regii (2); e per la succursale Spirito Santo, che

FERDINANDUS II

INCOMPARABILIS TOTIUS REGNI SOSPITATOR

REGIUM HEIC AERIS REPOSITORIUM

PROVIDENTIA SUA INSTITUIT EREXIT

QUO PUBLICI PRIVATIQUE CENSUS

INGENS NUMMORUM VIS

IN MAIUS RARA TEMPORUM FELICITATE GLISCENS

QUA COMMERCIORUM QUA SECURITAS ERGO

AD USUM ABSERVARETUR

MENSA INSUPER MERCATURAE COMMODO ADDITO QUAE

PECUNIAE EX LITTERIS COLLIRISTICIS DEBITAE

SOLUTIONEM PRAEVERTERET

ET PIGNORE DEPOSITO NOMINA FACERET'

STATA PRO MORAE DISPENDIO USURA

QUANTA MINIMA

PRIMISCRINIO ET III VIRIS PECUNIAE CURATORIBUS

ATQUE ARCARIS CREATIS

ANNO E. S. MDCCCLVII

L'iscrizione esiste. Il ritratto dovettero toglierlo nel 1860, dopo che l'avevano sfregiato con daghe e baionette certe guardie nazionali, che non seppero far uso migliore dell'armi loro confidate.

2. Decreto 3 febbraio 1858.

Intenti Noi sempre a promuovere la prosperità del commercio ed a diffondere le ricchezze nel regno, a vantaggio dei nostri amatissimi sudditi.

Volendo a tal fine accrescere vie più il movimento dei fondi della dote propria della Real Cassa di sconto, ed estendere le funzioni dei suoi capitali in una larga proporzione, a favore del commercio e delle industrie nazionali, facilitando le attuali operazioni della cassa anzidetta; ed aggiungendovene delle altre di grande utilità, di non lieve importanza alla crescente prosperità economica del Reame.

Veduto l'art. 7 del Real Decreto de' 12 dicembre 1810, col quale ci riserbammo di estendere le operazioni della cassa di sconto alle anticipazioni di danaro sulle mercanzie esistenti in dogana, per animare sempre più il commercio ed estenderne i fondi; nonché l'articolo 6 del Decreto dei 23 agosto 1824, i Reali Decreti de' 29 novembre 1819 e de' 12 febbraio 1832, e il Regolamento della Cassa di Sconto de' 31 marzo 1839, da noi approvato.

Veduto inoltre l'art. 11 del predetto Reale Decreto dei 12 dicembre 1810, e la necessità di stabilire diffinitivamente le norme per eseguirsi, presso il Banco delle Due Sicilie, l'opera della pegnorazione delle monete estere di argento e delle verghe di simile metallo.

Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato.

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1. La Real Cassa di Sconto è autorizzata a fare ai negozianti, a determinate scadenze, prestiti di somme, garentiti dal valore delle mercanzie depositate nei loro magazzini nella Gran Dogana di Napoli; le quali verranno costituite a titolo di pegno a favore della cassa, mediante apposito verbale amministrativo, e senza che siano smosse dai magazzini di deposito.

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ebbe l'acuità d'impegnare le verghe d'argento e le monete forestiere (1). Fu provveduto pure per lo sconto indiretto fra Napoli e Bari

Art. 2. Nel caso della vendila delle mercanzie pegnorate, sul prodotto sarà prima pagato alla Gran Dogana il dazio ed ogni altra tassa liquidata nella scrittura a matrice del deposito, ed il di più sarà versato in pagamento alla Real Cassa di Sconto; il credito della quale, dopo quello della Dogana, è sopra ogni altro privilegiato, fino alla concorrenza delle somme prestate e di ogni altro accessorio delle stesse.

Art. 3. Saranno ammessi dalla cassa di sconto i boni o biglietti ad ordine, sottoscritti da un commerciante, o da qualunque altra persona, che, col solo fatto della sua sottoscrizione, dovrà intendersi di avere assunta una obbligazione commerciale; purché sieno garentiti, in determinate proporzioni, da un valore di mercanzie già sdaziate e poste in circolazione, per le quali sarà stabilito un deposito speciale, di dipendenza della cassa anzidetta.

Art. 4. Le cambiali a tre firme che si ammettono allo sconto, ai termini del regolamento dei 31 marzo 1839, potranno avere la scadenza di cinque mesi, con facoltà al Reggente del Banco, direttore della cassa di sconto, di permettere la dilazione fino a sei mesi.

Art. 5. L'annesso regolamento, da Noi approvato, e che fa parte del presente decreto, stabilisce le condizioni e le norme per la esecuzione di ciascuna delle operazioni indicate negli articoli precedenti.

Art. 6. Sarà pure eseguita, secondo le norme prescritte col predetto regolamento annesso al presente decreto, L' opera approvata col Rea! Decreto dei 12 dicembre 1816, della pegnorazione delle monete estere di argento e delle verghe di simil metallo presso il Banco delle Due Sicilie.

(1) Articoli del regolamento 3 febbraio 1858 riguardanti pegni di verghe e monete estere di argento.

Art. 63. Nel Banco delle Due Sicilie, e precisamente nella 2a Cassa di Corte allo Spirito Santo, sarà permesso di pignorare le monete estere di argento, di antico e di novello conio, come pure le verghe di simil metallo, in seguito di richiesta, in iscritto, che la parte ne farà al Presidente della Cassa.

Art. 64. Nella dimanda dovrà indicarsi il domicilio della parte, il nome del padre, la professione ed il mestiere, non che il numero e la qualità delle monete o delle verghe, il loro valore, ed ogni altra particolarità che vi abbia rapporto. Il Presidente, con sua decretazione, la passerà al Razionale pel corso regolare, e per prenderne nota in apposito registro.

Art. 65. Niuno di tali pegni potrà eccedere la somma di ducati diecimila, e verranno essi annotati, del pari che gli altri pegni, sul libro del credenziere, e riposti in cassettini di legno, dove l'esibitore scriverà il suo nome. Questi pegni verranno conservati nel guardaroba, in una cassa a due chiavi, una delle quali sarà affidata al revisore dei pegni, ed un'altra al custode.

Art. 66. Le monete di argento straniere saranno valutate a peso, come ogni oggetto di simil metallo, ed a giudizio dello estimatore e del revisore si pagherà ai pegnoranti una somma prudenziale, da non eccedere i quattro quinti del valore corrente. Tanto il revisore che lo estimatore dovranno poi firmare i corrispondenti cartellini.

Art. 67. Laddove l'interessato non sia contento della seguita valutazione, sarà inviato alla Regia Zecca, accompagnato da un aiutante del guardaroba che custodirà le monete che sintende. ranno pegnorare. Ivi, qualora le monete si trovino comprese nelle tavole annesse alle ordinanze del di 8 maggio 1818 e 2 ottobre 1822, si verificheranno, e, dopo pesate, si assegnerà alle stessè il valore effettivo che avranno, ai termini di quelle ordinanze. Fatto ciò, si rilascerà un certificato in duplice spedizione, sottoscritto dal verificatore, dal campione e dal contabile del tesoro, e vistato dal controloro; delle quali spedizioni, una sarà consegnata all'aiutante del guardaroba unitamente alle monete esibita, e l'altra sarà rimessa, riservatamente, al Razionale della Cassa, che la conserverà presso di se, per la dovuta sorveglianza sull'andamento del servizio. Questo certificato servirà di norma allo estimatore ed al revisore per la valutazione delle monete; di cui soltanto quattro quinti l? apprezzatore potrà far pagare allo esibitore del pegno.

Art. 68. Ove poi le monete non si vedranno comprese in quelle tavole, il proprietario dovrà farle fondere, a sue spese e rischio, nella piazza o nella Zecca stessa; ad oggetto che quest'ultima possa, sul massello o masselli che si avranno, far praticare i saggi di uso; che pur saranno pagati dal proprietario; ed indi rilasciare i prescritti certificati, nei quali saranno indicati il peso grezzo e fino delle materie, non che il loro valore, a norma dell'ordinanza del 1818, onde possa proporzionarsi il pagamento de' quattro quinti detti di sopra.

Art. 69. I masselli dovranno sempre esser accompagnati dal certificato dei saggiatori della zecca, e portare impresse, su di una delle loro superficie, la cifra di detti saggiatori, non che i millesimi di puro che contengono. né i mentovati saggiatori ometteranno di far giungere, riservatamente. un doppio di tali certificati al Razionale del Banco: onde, in vista di essi

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nonché per le cambiali estere traettizie (1) e per la contabilità dei protesti.

e de' contrassegni marchiati su i masselli, possa permettersi il pegno, per soli quattro quinti, del risultato del valore riportato nel certificato, com'è detto nel precedente articolo.

Art. 70. Non venendo bene riconosciuti i contrassegni, perché forse non chiaramente impressi, ed in caso di qualunque altro dubbio, che sorger potesse all'orefice o al revisore, sul fino dei masselli, potranno i medesimi, unitamente allo interessato, recarsi presso lo Ispettore dei saggi della Zecca, per richiedere in loro presenza un novello saggio ed una nuova impressione de' segni; il tutto a spesa dello interessato.

Art. 71. La cartella, che per tali pegni si rilascerà alla parte, ed il cartellino pel cassiere, saranno vistati dal Razionale della Cassa, il quale prenderà particolare ingerenza di siffatto servigio.

Art. 72. All'epoca del dispegno, il cassiere della pegnorazione ritirerà la somma mutuata, con l'interesse del tre per cento l'anno, calcolato per giorni, ed il custode consegnerà il pegno allo interessato, quando il Razionale avrà riveduta la calcolazione degl'interessi, ed avrà posto il suo visto alla cartella.

Art. 73. Qualora, dopo l'elasso di sei mesi, il pegno non sarà riscattato o rinnovato, l'orefice venditore, assistito dal credenziere, recherà all'amministrazione generale delle monete le verghe o le monete di argento; ed ottenutone il solito mandato, lo realizzerà, dopo i 45 giorni, nella la Cassa di Corte, e farà immediato versamento dello importo di esso, come si pratica per tutti gli altri pegni.

Art. 74. Questi pegni figureranno, come tutti gli altri, nella resta giornaliera che formerà il credenziere; ma il Razionale della 2a Cassa di Corte, ogni qualvolta vi sarà aumento o diminuzione di siffatta specie di pegni, ne farà specifica menzione in dorso, secondo la posizione del registro, che all'uopo porterà nella sua officina.

Art. 75. Il Presidente, ogni qualvolta procederà alla verifica delle casse, terrà di mira anche questo ramo di pegnorazione, e ne farà particolare menzione nei verbali di verifica.

(1) Regolamento 22 maggio 1858

La Cassa di Sconto aggregata al Banco delle due Sicilie, iu Napoli, resta autorizzata a scontare le cambiali e boni commerciali pagabili in Bari. E viceversa, la cassa di sconto in Bari sconterà i simili valori, da accettarsi nella piazza di Napoli.

Le cambiali, estere e traettizie, per essere presentate allo sconto, debbono essere munite di copia firmata dall'ultimo girante, e le cambiali di piazza debbono essere fornite di seconda.

Questi valori, sebbene privi di accettazione, debbono essere rivestiti almeno di due firme di solidi ed accreditati negozianti della piazza, e saranno ammessi allo sconto dietro l'esame e la discussione, che ne farà il Consiglio dei Deputati; ai termini dell'articolo 4° del Regolamento del 31 marzo 1839.

L'Agente dei cambii, presso la Cassa di sconto di Napoli, formerà il corrispondente borderò dei valori pagabili in Bari, nel modo e forma prescritta dallo articolo 55 del detto Eegolamento; ma separato e distinto dagli altri valori, e lo presenterà al Tesoriere, ed al suo Controllo, con due copie, da lui sottoscritte, di unita ai valori.

Lo Agente dei cambii in Bari praticherà lo stesso pei valori ammessi colà, presentando all'Esattore ed al Razionale l'originale borderò, con le due copie ed i valori.

Il Tesoriere ed il Controllo della Cassa di Napoli, fatto il confronto delle prime e seconde di cambio, e degli originali con le copie, accuseranno in piè del borderò originale la ricezione delle seconde cambiali di piazza, e delle copie di quelle estere. Le prime cambiali e gli originali delle traettizie saranno debitamente girate all'Esattore della Cassa di Bari, ed in tal modo adempite, con una copia del borderò, saranno consegnate al Segretario Generale, od al suo aiutante, incaricato della spedizione dei pieghi alla Posta, il quale ne accuserà ricevo in piè del borderò originale, ch3 sarà poi ordiuanzato dal Direttore Generale Leggente, per la formazione delle polizze di pagamento agli ultimi giranti.

Il Segretario Generale, od il sjo Aiutante, spedirà la detta copia di borderò, coi valori originali, al Presidente della Cassa di Corte in Bari, il quale li passerà al Razionale, come Controllo all'Esattore, per farli accettare dai negozianti cui sono gravati. Ed in tal modo adempiti, saranno consegnati all'Esattore, che, di unita al Razionale Controllo, ne rilascerà ricevo in piè della detta copia di borderò, che sarà immediatamente passata al Governatore Controllo della Cassa.

Il medesimo farà eseguire altra copia del borderò, trascrivendovi il ricevo dei valori, e da lui sottoscritta, la invierà, per l'organo del Presidente, al Direttore Generale Reggente, per farlo certo dell'accettazione dei valori. In caso di rifiuto il Razionale avrà cura di farne levare il corrispondente protesto da uno dei Pandettarii del Banco, e le passerà al Governatore Controllo, unitamente al valore ed alla copia del borderò.


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Le scadenze furono allungate consentendosi d'arrivare fino al semestre. Però lo sconto dovevasi calcolare a ragione di 3 per 0|0 sulle cambiali a tre mesi o meno; 4 1|2 per 0|0 a quattro mesi; 5 per 0|0 a cinque mesi e finalmente 5 1/2 per 0|0 a sei mesi. quest'ultime cambiali non si potevano ammettere senza speciale permesso del Reggente Direttore.

Il concetto di fondare una cassa di prestito pegnoratizio, per le mercanzie depositate ne' magazzini governativi della Gran Dogana, rimase senz'applicazione. Volendo dire che avevano ubbidito all'ordine del Re, dovettero gli amministratori concedere fittiziamente un prestito. Fatto confessato dal direttore del Banco, Avitabile, nel suo rapporto al Consiglio Generale, sessione 1863. Di veri mutui non se ne fecero poi che due soli. L'idea fa grande onore al Ministro Murena, cui sembra doversi attribuire, ma fu vero peccato che prima la pedanteria segretariesca, poi la caduta dei Borboni, coi nuovi sistemi doganali, rendessero vane le sue fatiche.

E noto che uno dei benefizi delle cambiali mercantili, il più importante forse, sta nel tempo che lasciano per vendere le merci, senza sopprimere

Se tutt'i valori, riportati iu detta copia di borderò, non siano stati accettati, il Governatore Controllo, per l'organo del Presidente, li respingerà a Napoli, con la stessa copia e coi protesti; per potersi convenientemente agire. Se parte dei valori non sieno stati accettati, farà eseguire la copia disposta nel precedente articolo, e vi farà trascrivere il ricevo dell'Esattore, per quelli accettati, notandovi gli altri, che respingerà a Napoli, perché non accettati.

Il Governatore Controllo aprirà sulla scrittura un conto separato, a debito dello Esattore di Ilari, ed a credito del Tesoriero della Cassa di Napoli, per notarvi tutte le cambiali, che consegna al primo, ed i pagamenti che si fanno all'altro, e ne prenderà conto nel libro di scadenze, al che adempito, la copia del borderò, accettata dallo Esattore, sarà passata, al Razionale, il quale farà lo stesso sulla sua scrittura.

All'epoca della scadenza, l'Esattore riscuoterà, a suo rischio e risponsabilità, l'importo delle cambiali; quale importo sarà presentato in polizze al Governatore Controllo, col solito borderò in triplo esemplare, richiesto dall'articolo 36 del Regolamento del 31 marzo 1839. Uno di essi sarà ritenuto dal detto Governatore, l'altro dal Razionale, per prenderne scrittura in suo discarico; ed il terzo, anziché ritenersi dallo Esattore, verrà spedito, per l'organo del Presidente, di unita alle polizze, al Tesoriere di Napoli; con piego assicurato e diretto al Direttore Generale Reggente.

Il Tesoriere all'arrivo della posta, riceverà le polizze col borderò, e formerà tre simili borderò di versamento alla Cassa di Napoli, respingendo, munito di suo ricevo per discarico di quell'Esattore, lo stesso borderò con le seconde cambiali di piazza, e con le copie delle traettizie, che presso di lui esistevano.

Ammenochè qualche cambiale non si estinguesse con anticipazione, è sempre a presumersi che, per causa della distanza, giunga con ritardo di più giorni il pagamento delle cambiali al Tesoriere di Napoli; quindi costui, per le cambiali che si debbono esigere a Bari, noterà all'osservazione in epoca della scadenza, che si attendono i fondi.

Per la esazione di tali cambiali, l'Esattore della Cassa di Bari riscuoterà il solito dritto di grana trenta a migliaia di ducati, ed il Tesoriere di Napoli grana dieci, per suo compenso sulle somme che verserà.

lo. Le presenti istruzioni sono comuni anche alle cambiali che, scontate a Bari, vengonsi qui ad esigere; ed ogni funzionario o contabile, addetto al servizio di ambo le Casse di sconto di Napoli e Bari, curerà lo adempimento di quanto qui trovasi prescritto; essendo eguali gli obblighi e le risponsabilità fra gl'impiegati e contabili delle Casse medesime, pei posti tra loro corrispondesti.

14. Ogni altra disposizione, emessa per lo andamento del servizio delle Casse di sconto di Napoli e Bari, e specialmente quelle racchiuse nei regolamenti del 31 marzo 1839, e 9 ottobre 1857 rimangono nel loro pieno vigore, per tutto ciò che non si oppone a quanto di sopra è detto.

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l'uso della valuta contanti, che tali merci rappresentano. Il creditore dispone fili dal primo giorno del denaro dovutogli, salvo un leggiero sconto, quando trova da collocare la cambiale; ed il debitore, da parte sua, paga dopo d'avere incassato, poiché i mesi di respiro gli dettero tempo di trovare chi comperasse. Però, nel commercio internazionale, la dogana rappresenta un cuneo nelle ruote. Essa non aspetta vendite o riscossioni, ma pretende che il dazio se gli paghi subito, sia dal debitore, sia dal creditore. Murena, toglieva il treno col suo sistema d'intervento del Banco, che, se si fosse bene applicato, ci avrebbe fatto da gran tempo fruire dei benefici dei Dochs. Per mala ventura le regole, approvate col decreto 3 febbraio 1858, accennano vagamente al progetto di fondare un magazzino generale; ma sono tanto confuse, incomplete, prescrivono un tale numero d'inutili e vessatorie formalità, che non fu possibile d'eseguirle.

Per l'analoga opera, del pegno cambiario di merci senza vincoli doganali, fu scelto il locale dell'antica Regia Posta, presso del teatro del Fondo; dove fondarono un altro piccolo Monte, che durò pochi anni. Le regole, determinate con ordinanza ministeriale del 5 giugno 1860, dicevano:

Art. 1. Chiunque voglia pignorare gran quantità di mercanzie dovrà indicarne la specie,in apposita dimanda, diretta al Direttore Generale Reggente del Banco e della Cassa di Sconto, manifestando il proprio domicilio.

La indicazione della specie serve per la destinazione de' periti, che deggiono esaminare il genere e darvi la valuta. Il domicilio per avvisare il proprietario, in caso della vendita del genere, qualora il Capo dell'Officina creda di farne seguire l'avviso.

Art. 2. I generi, grezzi o manifatturati, ammessibili alla pignorazione sono i seguenti:

Acciaio grezzo Asfalto Bande Stagnate Bronzo grezzo o vecchio Cacao Caffè Cannella Cassialignea Cera vergine Cocciniglia Cotoni grezzi o lavorati Cotone in stoppa e filato Cuoia, pelose, secche, conce, salate, colorate, verniciate Denti di elefante Droghe Ferro nuovo o filato Filati di lino o di canape bianchi Garofani Indaco Lamiere di ferro Lana grezza, lucida, e lavata Legni stranieri, ossia il roseo, il mogano, il palissandro, l'acero, e l'ebano Lino pettinato Litargirio Liquirizia Minerali non combustibili Nanhin delle Indie Ossa di balena segate Ottone grezzo, filato od in foglie Pelli colorate, verniciate Pepe Pimento Piombo in pani, o lavorato in pallini, in piance, o vecchio Rame in pani, in piance, o vecchio Seta grezza Stagno in pani, ed in verghe Tartaruga grezza Thè Tessuti di lana, di ogni specie o colore Tessuti di cotone, di lino, di canape, di qualunque sorta, bianchi Vacchette conce Velluto di cotone liscio o rigato di un colore Aritelli conci Vitelli colorati o verniciati Zinco in pani od infoglie Zuccheri grezzi o raffinati.

Art. 3. Non si faranno pegni per somma minore di Duc. 100; né maggiore di due 6.000, e gli oggetti non potranno rimanere in guardaroba per un tempo maggiore di sei mesi.

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Art. 4. L'officina sarà diretta e sorvegliata dal più anziano dei Governatori del Banco, il quale avrà il titolo di Vice Presidente. Per la compilazione dei rapporti, e dei verbali di pegnorazione, per la verifica delle scritture, e dei conteggi e per quant'altro potrà occorrere nello andamento del servizio, sarà egli assistito da un Segretario Contabile.

Art. 5. Tutti gl'impiegati addetti a questa officina verranno sottoposti agli ordini del Vice Presidente, il quale dipenderà dal Direttore Generale Reggente, e lo informerà dei movimenti diurni dell'Officina stessa.

Art. 6. Nel farsi il pegno, il Segretario Contabile formerà un verbale in doppio, in cui saranno dinotate le specie, le particolari marche e numeri, il peso, la misura, ed il valore degli oggetti pignorati. Un esemplare si consegnerà al Razionale della Cassa di Sconto, per mezzo dell'interessato; e l'altro gli sarà spedito direttamente, per formare la corrispondente polizza di pagamento, da cui riterrà il diritto spettante ai Periti.

Detta polizza, dopo di averne presa scrittura anche il Controllo della Cassa, sarà consegnata con un esemplare alla parte; ritenendo l'altro il Razionale, che servir deve per giustificazione della seguita consegna della polizza al pegnorante

Art. 7. Le mercanzie dovranno valutarsi da due periti, i quali vi asse; gneranno la valuta, secondo i prezzi correnti in piazza; e di tale valuta il proprietario del pegno riceverà soli due terzi, se trattasi di generi non soggetti al capriccio della moda, e riceverà la sola metà pei generi di moda, come sarebbero i tessuti misti di vario colore, o a disegno rilevato ecc. ecc.

Art. S. I Periti daranno urna cauzione di annui ducati cento di rendita scritta al Gran Libro, e sul valore nominale di ducati 2000 riceveranno dalla cassa il premio del 3 per cento l'anno.

Per loro compenso poi, ogni pignorante rilascerà il mezzo percento su quello che riceve, ed il Razionale della Cassa ne farà la ritenzione, come in seguito sarà detto.

Art. 9. Dessi rimarranno strettamente responsabili della valuta data alla mercanzia, anche con lo arresto della loro persona, e questa condizione s'intenderà espressamente accettata con la firma che apporranno al verbale.

Art. 10 La conservazione delle mercanzie pegnorate sarà affidata ad un Custode, prescelto fra i più onesti impiegati del Banco, il quale avrà degli aiutanti di sua fiducia, ed un determinato numero d'inservienti, del cui fatto sarà responsabile.

Egli farà piazzarle, giorno per giorno, con esatto ordine, in appositi magazzini; baderà che un genere non venga dall'altro maltrattato o degradato, ed avrà cura che ciascuna specie di mercanzia sia riposta in casse, od altrimenti condizionata; e contrassegnata da marche visibili o dai numeri della fabbrica, e quindi allacciata da corde ben forti, ovvero avvolta in robusta tela.

Art. 11. Il Custode prenderà registro delle mercanzie che gli si affidano, indicando il nome del pignorante, la qualità, la quantità, peso o misura della mercanzia, con le marche e numeri da cui è contrassegnata, e la valuta datavi. Nel caso di riscatto, o dispegnorazione, ne segnerà il giorno in margine della partita, e terrà per suo discarico il verbale quietanzato dal Razionale della Cassa, vistato dal Segretario Generale Controllo, che gli sarà passato dal Credenziere.

Art. 12. Il Credenziere, come con; frollo del Custode, terrà anch'egli scrittura dei pegni, nel modo di sopra descritto, obbligando gli estimatori ad indicarne i più esatti ragguagli, ed in caso di riscatto riceverà dal Segretario Contabile il verbale di pegnorazione debitamente quietanzato, per prenderne registro al margine della partita, ed indi passarlo al Custode.

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Art. lo. Il Credenziere formerà, ogni giorno, dalla sua scrittura lo stato di situazione del Guardaroba, per numero di pegni e valore di essi, e lo farà sottoscrivere al Custode. Indi lo passerà al Segretario Contabile, il quale ne spedirà una copia al Direttore Generale Reggente, ed un'altra al Razionale della Cassa di Sconto.

Art. 14. Elasso il termine fissato dall'art. o°, il pegnorante sarà nell'obbligo di ritirare il pegno, restituendo il verbale al Razionale della Cassa; e pagherà la sorte e gl'interessi.

11 Razionale rilascerà quietanza in dorso del verbale, e ne prenderà scrittura il Controllo della cassa, il quale restituirà il verbale alla parte, per esibirlo al segretario contabile dell'officina ed al credenziere. Questi ne prenderanno anche scrittura, segnandosi in margine del verbale, e lo passeranno al custode per rilasciare il genere al pegnorante.

Art. 15. Ove il pegnorante sia a ciò inabilitato, potrà avanzare dimanda per la rinnovazione e minorazione del pegno, sottoponendo il genere ad un nuovo apprezzo. Alla dimanda alligherà il verbale di pignoramento, ed il Direttore Generale Reggente, ove creda annuire, destinerà ì periti apprezzatola, i quali dovranno essere diversi da quelli che han fatto il primitivo apprezzo, qualora ve ne sieno più nominati.

Art. 16. Dal Segretario contabile, presenti i periti apprezzatola, sarà compilato un novello verbale in doppio, e questo, di unita alla dimanda ed al precedente verbale, sarà passato al Razionale della Cassa di Sconto, il quale esigerà dal pegnorante gl'interessi con la quota della sorte, di cui si parlerà nel seguente articolo, e ne farà ricevo in dorso del precedente verbale.

Questo verbale, con la dimanda, sarà respinto all'officina della pegno razione delle mercanzie, ed opererà il dispegno, di cui dovrà prendersi scrittura presso di tutte le officine; secondo è detto negli articoli 11 e 12, intendendosi soddisfatto il resto.

Art. 17. In dorso della detta dimanda, il Segretario contabile trascriverà la copia del verbale, con tutti gli adempimenti, e la passerà al razionale della cassa di sconto, per le operazioni della sua officina.

Art. 18. La quota della sorte a restituirsi sarà del decimo, se gli apprezzatoli valuteranno il genere a dippiù dei nove decimi del prece cedente apprezzo.

Ove la valuta sia minore, il pignorante pagherà quanto manca a completare la sorte di cui è debitore.

Art. 19 11 razionale della cassa di Sconto, in vista del pagamento di tal differenza, degl'interessi, del dritto spettante ai periti e del nuovo verbale, spedirà la polizza dello ammontare del pegno a favore del pegnorante, e per esso alla cassa di sconto, onde completare la somma che manca pel seguito dispegno.

Qualora il Direttore non credesse di consentire alla minorazione del pegno, le mercanzie saranno vendute a pubblico incanto, nel locale istesso dell'officina, in linea economica ed amministrati va,come praticasi pei pegni fatti nella Cassa dei Privati; ed il Custode, col più graduato fra gli estimatori, sosterranno l'uffizio dei cassieri.

Art.21. Essi non permetteranno che le merci sieno altrove trasportate, se non quando ne avranno ritirato il prezzo dall'aggiudicatario, poiché in seguito di tale adempimento l'aggiudicazione s'intenderà valida e perfetta. Del prodotto della vendita si formerà madrefede, in testa loro, per notarvisi tre polizze a favore della Cassa di Sconto; l'ima in restituzione della somma prestata al proprietario del genere venduto, lorda del dritto del mezzo per cento;

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l'altra per gli interessi decorsi, e l'ultima per la residuale somma, da tenersi a disposizione del proprietario. Sarà pure ritenuto il dritto del 2 per cento sul prodotto della vendita, che rimarrà in madrefede, per ripartirlo secondo il sistema in vigore.

Art. 22. Se il prodotto non sarà sufficiente a ripianare la cassa vi suppliranno gli Apprezzatori. E qualora non vi adempiranno; la cassa stessa si rivalerà della mancanza sulla loro cauzione ; nel qual caso gli apprezzatori rimarranno sospesi di esercizio; ed ove il dare neppure resti saldato, si agirà contro di essi per le vie giudiziarie.

Art. 23. L'interesse sulle somme che si prestano dalla cassa, su tali pegni, sarà del tre e mezzo per cento l'anno., calcolato per rata di giorni, salvo ad aumentarsi o diminuirsi; sulla proposta che potrà farne il Direttore Generale Reggente; come pure lo elenco delle mercanzie, in principio riportato, potrà in seguito estendersi o limitarsi, secondo che sarà richiesto dalle circostanze della cassa di sconto, e dalle condizioni delle industrie e del commercio.

Nemmeno quest'opera dei pegni di mercanzie potette prosperare. Lo stesso Direttore Generale Avitabile, nel mentovato rapporto al Consiglio Generale del Banco, sessione 1863, confessò che lo scopo non s'era raggiunto; anzi disse che la nuova forma di prestito aveva fatto più male che bene, usandone solo pochi individui quasi falliti. Il vero commerciante non poteva a quell'officina presentarsi senza mettere a grave repentaglio il proprio credito.

***

27. Li 15 settembre 1859, il Governo, che già aveva fondato casse di sconto a Palermo ed a Messina (Decreto 27 dicembre 1858), donando alla prima un capitale patrimoniale di D. 550,000, ed all'altra di D. 450,000, rimise la riscontrata apodissaria fra le casse del continente e quelle di Sicilia. Provvide eziandio per lo sconto d'incasso delle cambiali traettizie, pagabili a Napoli, Bari, Palermo e Messina.

Nell'intento di rendere più rapide e più frequenti le transazioni commerciali, tra l'una e l'altra parte dei nostri Reali Domini, di quà e di là del Faro, con un bene inteso sistema di mutua fiducia, e quindi di libera circolazione e permutazione in contanti dei valori che dai barelli, e dalle casse di corte in essi istituite, rispettivamente si emettono; nonché di mutuo sconto delle cambiali delle rispettive casse di sconto.

Sulla proposizione del Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia, presso la Nostra Real Persona, nonché del nostro Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato delle Finanze;

Udito il Nostro Consiglio ordinario di Stato;

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art, 1. Dal 1° gennaio 1860 in poi, tutte le casse di corte, dell'una e dell'altra parte dei nostri Reali Domini, di qua e di là del Faro, saranno autorizzate a permutare in altri valori, a ricevere in pagamento, ed a cambiare in contanti, a seconda delle richieste, le fedi di credito, e le così dette polizze di banco, che loro verranno esibite, qualunque sia la cassa che le abbia emesse.

Tutti gli amministratori, ricevitori, percettori e cassieri, di qualsiasi pubblica amministrazione, così del ramo finanziere), che civile, avranno il dovere di ricevere le polizze

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e fedi di credito delle dette casse in pagamento, pel concorrente valore di quanto sia loro per avventura dovuto, a qualunque titolo, come tributi, estagli, canoni, multe ecc.

Ove mai costasse di trovarsi nelle loro casse del contante, oltre i bisogni ordinari dell'amministrazione dalia quale dipendono, il suddetto dovere si estende al cambiamento puro e semplice degli anzidetti valori in contanti.

La estinzione o permutazione di valori di rame e delle polizze di rame, non potrà farsi che 111 moneta o valori di rame.

Art. 2. Le fedi di credito e le polizze, per essere ricevute o cambiate, sia dai cassieri delle casse di corte, che da quei delle pubbliche amministrazioni, dovranno essere libere e senza condizione alcuna.

Qualora in dette fedi o polizze, che si presentano alla cassa di corte, sienvi apposte delle condizioni, deggiono seco loro portarne lo adempimento; a soddisfazione, giudizio è responsabilità esclusiva dei Notai Pandettarì delle Casse.

Art. 3. Per estendere maggiormente, a vantaggio del commercio, le operazioni delle casse di sconto di Napoli e Bari, sono autorizzate le dette casse a ricevere e scontare le cambiali esigibili in Napoli e Bari, secondo le norme stabilite in apposito regolamento.

Art. 4. È accordata al Reggente dei Banchi, in questa parte de' Reali Domini, al Direttore Presidente del Banco di Sicilia, al Presidente della Cassa di Corte di Messina, non che al Presidente della Cassa di Corte di

Bari, la franchigia postale, non che quella della telegrafia elettrica; tanto fra di loro, quanto con tutte le autorità con le quali occorrerà che si mettano in corrispondenza; ma però esclusivamente per lo adempimento di quanto è stato disposto nel presente Decreto, e nel correlativo regolamento; e, per ciò che riguarda la telegrafia elettrica, pei casi "di grave urgenza.

Art. 5. L'annesso regolamento, riguardante le operazioni a praticarsi fra le Casse di Corte e le Casse di Sconto dei Nostri Dominii di qua e di là del Faro, per lo cambio delle fedi di credito, e polizze, e per lo sconto delle cambiali ed altri effetti di commercio, di cui sopra è parola, è da Noi approvato.

Art. 6. Il Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia presso la Nostra Real Persona, il Nostro Direttore del Real Ministero e Segreteria di Stato delle Finanze, ed il "Nostro Luogotenente Generale nei Reali Dominii al di là del Faro, sono incaricati della esecuzione del presente Decreto.

Portici 15 settembre 1859. - Firmato- F.

Regolamento del mutuo cambio delle fedi di credito e polizze di banco.

Art. 1. Le fedi di credito o polizze, che si presentano pel mutuo cambio, autorizzato dal Decreto di pari data, deggiono esser munite di firma (li persona ben conosciuta, che ineriti anche la fiducia dei cassieri rispettivi, dovendone essi unicamente rispondere in ogni caso di contestazione; non altrimenti che un pubblico notaio risponde della verità dell'ultima firma, posta ad una polizza che viene realizzata, con giro di ruota, m quel Banco dove ebbe origine. Poiché la firma soltanto della parte prendente dev'essere munita di autentica, secondo è prescritto dall'art 157 del Regolamento pei Banchi di Sicilia, da Noi approvato a' 26 agosto 1854, e dalla ordinanza del Reggente del Banco delle Due Sicilie, del 18 marzo 1819, pei Banchi di Napoli.

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Art. 2. Dovendo tutte le Casse di Corte, dell'una e dell'altra parte dei Nostri Reali Dominii, di qua e di là del Faro, mutualmente realizzare in contanti, o permutare in altri valori delle Casse stesse, le fedi di credito o le polizze, è trascelto a centro di verifica e controllazione l'ufficio della Reggenza del Banco Regio di Napoli, sotto la speciale sorveglianza del suo Direttore Generale.

Art. 3. È istituita all'uopo, presso il suddetto officio, la carica di un Ispettore di Contabilità, e, presso la Cassa di Corte in S. Giacomo, un cassiere addetto esclusivamente alle operazioni che occorreranno per lo servizio della permutazione e realizzazione dei valori, autorizzate col Sovrano Decreto di oggi stesso.

Art. 4. I Cassieri delle casse di corte di Napoli, sia del conto argento che di rame, dovranno rimettere, coi sistemi in vigore, al Cassiere della riscontrata, i valori tanto della cassa di Bari, che delle casse dei Reali Dominii insulari loro esibiti.

Art. 5. Questo Cassiere sarà coadiuvato datine uffiziali, denominati squarci di Cassa, uno cioè per l'argento, e l'altro per conto rame, e da tre aiutanti, uno dei quali sarà addetto al registro delle polizze da spedirsi in Palermo, un altro per Messina, ed il terzo per Bari. Ciascuno di questi aiutanti terrà due registri, uno cioè per le polizze di argento, e l'altro per quelle di rame. Ogni registro indicherà la somma, la data, il nome dello intestatario, dell'ultimo giratario, e dello esibitore notato al piede Questi registri saran cifrati, in fine della giornata, dal Cassiere, il quale li passerà all'Ispettore, per far copiare, con lo stesso ordine e con le stesse categorie, il notamento delle polizze.

Art. 6. Codesto servizio comincerà ad attuarsi dalla Cassa di Corte in Napoli, il cui Cassiere della riscontrata avrà l'obbligo di rimettere al Cassiere di argento, in Palermo, le polizze di quella Cassa, in un piego ben suggellato. Tali polizze, nel giorno della partenza della posta, o dei piroscafi postali, saranno, con l'intervento dell'Ispettore e del Segretario presso del Presidente, confrontateceli buon'ora col registro del cassiere, e col notamento esistente nella officina dello Ispettore; ed ove qualche indicazione sia erronea si rettificherà la partita del libro, formandosi altra copia del notamento. Tanto il libro, che il notamento, saranno cifrati dal Cassiere, dallo Ispettore e dal Segretario; il quale immediatamente chiuderà in un plico ben suggellato i riscontri, la fede di resto (quando vi sarà) ed il notamento, con lo indirizzo al cassiere di argento in Palermo.

Lo stesso verrà praticato per le polizze di rame. Ed ambo i pieghi saranno avvolti in altra carta, formandone un sol piego, coll'indirizzo alla Cassa di Corte in Palermo, e vi si apporrà il suggello del Banco. Tal piego si dovrà dal Segretario consegnare alla posta tre ore prima della partenza, e ne esigerà ricevo.

Art. 7. Il Segretario dovrà tenere soltanto conto del numero delle polizze, e dei loro ammontare, che si saranno spedite a Palermo, per informarne il Presidente. Ciò non esclude che il Presidente, o qualunque Governatore, debba invigilare per la esattezza e regolarità di tale spedizione; per cui, assistendovi alcuno di essi, apporrà il visto al libro ed al notamento.

Art. 8. Tostochè giungerà a Palermo un piego allo indirizzo del cassiere di argento di quella Cassa di Corte, ne sarà all'istante avvertito, a cura e sotto la responsabilità di quell'Amministratore Generale delle Poste, o di chi ne fa le veci, il suddetto cassiere, il quale dovrà immediatamente portarsi colà a ritirarlo, per farne e rilasciarne la corrispondente ricevuta.

Ove avvenisse che il piego offrisse delle alterazioni, ne farà espressa menzione

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nella ricevuta; locchè fatto, un uffiziale dell'Amministrazione delle Poste, da destinarsi istantaneamente dal capo del servizio di quel giorno, accompagnerà il cassiere sino all'uffizio della presidenza della Cassa di Corte. Giunti colà, la prima fascia del piego sarà aperta dal Segretario in presenza del nazionale.

La seconda, che avvolge le fedi di credito e polizze di riscontrata, non sarà aperta che dal rispettivo cassiere di argento e rame, in presenza del Razionale e del Segretario, i quali assisteranno al confronto del notamento con le polizze. Il detto notamento, dopo di essere stato cifrato dal cassiere cui riguarda, sarà conservato dal Razionale, ed il suo ammontare sarà controposto a' riscontri delle trasse di Napoli, esistenti presso di quel cassiere, dal quale sarà formata una fede di credito in testa al cassiere di riscontri, ove siavi eccesso.

Delle anzidette cennate operazioni ne sarà disteso processo verbale, che sarà pur sottoscritto dall'uffiziale postale. Se avvenisse che il cassiere fosse impedito, dovrà egli deputare un impiegato di sua fiducia, e sotto la sua responsabilità, per rappresentarlo nello adempimento delle suddette operazioni.

Art. 9. Con la prima partenza di posta o di piroscafo postale, i cassieri in Palermo rimetteranno, con le formalità di sopra stabilite, al cassiere de' riscontri di Napoli, le fedi di resto di argento e di rame, colle polizze delle Casse di Napoli ivi realizzate, di unita a' notamenti, compilati nel modo prescritto nell'art. 4.° Qui giunto il piego, e ritirato dall'uffizio postale, con le forme prescritte nel precedente articolo, dal cassiere della riscontrata, il Segretario del Presidente verificherà lo stato dei suggelli, facendone menzione nel ricevo, ed aprirà il piego in presenza dell'Ispettore; ivi rinverrà i due pieghi diretti al cassiere dei riscontrile gliela passerà per aprirsi e verificare, in presenza tanto dell'Ispettore che del Segretario, se vadano in regola le fedi di resto.

Indi, nel primo giorno della partenza di posta, o di piroscafo postale, il cassiere de' riscontri, con l'Ispettore e Segretario, preparerà di buon'ora i corrispondenti pieghi, con le fedi di resto, i notamenti, e le polizze realizzate; per formarne un solo, e farsene dal Segretario la consegna alla posta, come nell'articolo G°.

Art. 10. Quanto di sopra è detto, per la riscontrata delle polizze colla Cassa di Corte in Palermo, sarà applicabile per le Casse di Corte di Messina e di Bari, dove saranno praticate le stesse formalità prescritte negli articoli precedenti.

Della spedizione del numerario.

Art. 11. Siccome il mutuo cambio delle polizze farà sempre risultare creditrice quella cassa dove sperimentasi maggiore affluenza di esiti; così il Direttore Generale Reggente del Banco delle due Sicilie resta incaricato di mantenere un giusto ed avveduto equilibrio di numerario fra le Casse di Corte di Napoli e di Sicilia; onde impedire dei considerevoli sbilanci; ed a prevenirli resterà a sua prudenza di fare delle operazioni di commercio, o di richiamare l'effettivo da Palermo, facendolo trasportare sui piroscafi, a spese della Real Tesoreria di Sicilia.

Art. 12. Nelle occorrenze, egli farà la richiesta al Tesoriere Generale in Sicilia, per provvedere alla spesa, ed al Direttore Presidente del Banco di Palermo, per la spedizione del numerario; a quale oggetto i cassieri, tanto di Napoli che di Palermo, restano facoltati a nominare dei procuratori, per farsi rappresentare nella spedizione o ricezione del numerario.

Art. 13. La numerazione del danaro da spedirsi da Palermo dovrà praticarsi in presenza del Presidente, o del Governatore di servizio, e del Razionale, o del suo aiutante,

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e potrà assistervi anche il procuratore del cassiere di Napoli, che dovrà farne introito.

Questa numerazione però, in quanto all'esattezza degli invii, non discaricherà da alcuna responsabilità il cassiere che spedisce il danaro; attesoché la numerazione ha luogo per dare al Banco una guarentia morale, e non per ottenere una garentia precisa dagli errori che possansi commettere.

Art. 11. II danaro, assortito per specie, sarà posto in sacchi ben ligati, ed alla estremità della legatura il cassiere dovrà apporvi un particolare suggello, e ciascun sacco dovrà pesarsi, per indicare su di un cartellino il peso, la somma, e la specie delle monete.

Art. 15. Detti sacchi dovranno essere posti in casse di una conveniente solidità, le quali verranno legate con corde, le di cui estremità saran munite di suggelli del Banco, e del cassiere che li spedisce, non che del suggello del procuratore del cassiere che deve riceverli, se vi sarà presen; te. Per guarentire i suggelli dagli accidenti che possano essere occasionati nel trasporto delle casse, sarà apposta su di essi una piastra di latta, inchiodata nei quattro angoli, e sulla medesima sarà scritto il numero d'ordine che si darà a ciascuna cassa.

Art. 16. Per ogni invio sarà formato un processo verbale, firmato da tutte le persone che avranno official mente assistito alla numerazione del danaro qual verbale dovrà enunciare il peso, e la somma di ciascuna cassa, e di ciascun sacco, non che la natura delle monete Questo processo verbale sarà redatto in tre esemplari, e vi saranno impressi al piede li stessi suggelli apposti allegasse. Uno di questi esemplari rimarrà presso il cassiere, l'altro sarà esibito con le casse sul bordo del piroscafo a Pilota, che riterrà le casse col verbale, ed il terzo sarà inviato in Napoli al Direttore Generale Reggente; munito del ricevo del Mota, per rimetterlo al Presidente del Banco cui si spedisce il numerario.

Art. 17. Le casse di numerario saranno trasportate a bordo, mercé l'opera de' proprii facchini atti a tal servizio, e verranno scortati non meno dall'aiutante del Razionale del Banco, che dal procuratore del cassiere cui si spedisce il danaro, se vi sarà presente. Dal momento che le casse saranno consegnate al Pilota, questi, e per esso l'Amministrazione del piroscafo postale, rimarrà responsabile del peso di ciascuna di esse, dello stato delle corde che le avranno avvolte, e della integrità dei suggelli.

Quanto è stato preveduto e disposto negli articoli 11, 12, 13, 11, 15, 1(5, 17 sarà nel modo stesso praticato ogni qualvolta lo sbilancio del numerario, di cui si è parlato nell'art. 11, avvenga nella Cassa di Corte di Palermo, ed in questo caso le spese sa; ranno fornite dalla Cassa di Corte di Napoli.

Delle pratiche a serbarsi nello arrivo del numerario.

Art. 18. Giunto il piroscafo a Napoli, il pilota farà bentosto avvisare il Presidente del Banco, il quale, per far disbarcare le casse di danaro, e trasportarle al Banco, spedirà immediatamente sul piroscafo l'Ispettore, con un sufficiente numero di facchini, ed il procuratore del cassiere di Palermo,se trovasi al Banco.! medesimi verificheranno a bordo lo stato esterno delle casse, il peso, e la integrità dei suggelli.

Eseguite tali operazioni, e non sorgendo alcun dubbio, l'Ispettore ri; lascerà ricevo delle casse in piedi del secondo esemplare rimasto presso il pilota. Lungo il cammino per terra le casse verranno accompagnate dal detto Ispettore, e dal procuratore, i quali si occuperanno di far subito passare le casse per la Dogana, invitando gli agenti dei dazii indiretti a visitarle nel Banco, a quale oggetto il Ministro delle Finanze darà i corrispondenti ordini a quel direttore Generale.

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Art. 19. Allo arrivo del numerario al Banco, l'Ispettore inviterà il cassiere che deve ricevere la somma, ed il detto procuratore, se pur siavi, alla rimozione dei suggelli, ed all'apertura delle casse; per indi far pesare i sacchi, riconoscere i suggelli, e numerare le monete.

Art. 20. Qualora sorgesse a bordo qualche dubbio sulla integrità dei suggelli, e sullo stato delle casse, oppure il peso non corrispondesse a quello enunciato nel processo verbale d'invio, l'Ispettore inviterà il pilota a scortare seco lui le casse lungo il cammino per terra, per assistere nel Banco all'aperture delle medesime, ed alle ulteriori operazioni di verifica. In caso di rifiuto, l'Ispettore, nel riceversi le casse, farà le convenienti proteste in piè del verbale.

Art. 21. Appena giunto al Banco, informerà dei suoi dubbi il Presidente ed il Governatore di servizio, il quale farà conservare le casse, e farà chiamare il pilota ad esser presente all'apertura delle casse, nel seguente giorno di negoziato bancario.

Art. 22. Allora il Presidente, od il Governatore di servizio, farà procedere all'apertura delle casse, dietro un esame, fatto in contraddittorio del procuratore del cassiere, del pilota del piroscafo, se sieno n'esenti, e dell'Ispettore. Costoro formeranno le loro dichiarazioni sullo stato delle casse e dei suggelli; dopo di che il Presidente disporrà la verifica del numerario, ossia la contata del danaro. E lo stesso praticherà in assenza del pilota, o del procuratore, onde il servizio non rimanga paralizzato.

Art. 23. Il Contatore del Cassiere, incaricato della ricezione del danaro, non potrà che numerare un sacco per volta, e sempre dopo averne riconosciuto il suggello, 'ed assicurato il peso, nel modo indicato nell'art. 10. Se in un sacco si troverà qualche mancanza, dopo essere state due volte numerate le monete che vi si contengono, può pesarsi un'altra volta, ed allora il procuratore del cassiere, od il pilota, se trovinsi presenti, verificheranno essi stessi il conto dello monete, e riconosceranno se vi esista mancanza.

Art. 24. Dopo essersi verificate le somme, si formerà un processo verbale in tre esemplari, se mai ci sarà luogo, delle mancanze che si troveranno. Desso offrirà in dettaglio la natura delle monete mancanti,"il sacco e le casse nelle quali si sarà rinvenuta la mancanza. Un esemplare resterà nella Segreteria del Banco, ove si esegue la verifica, un altro sarà rimesso al Direttore Generale Reggente, ed il terzo al Presidente chi "cui dipende il Cassiere che ha spedito le somme; e, se il pilota del piroscafo sarà presente, si formerà di detto verbale una quarta spedizione, che gli sarà consegnata.

Art 25. Le monete riconosciute false saranno tagliate all'istante, ritenendone un pezzo lo Ispettore e l'altro il procuratore del Cassiere In mancanza di lui, il pezzosarà spedito al Presidente da cui dipende il Cassiere che le ha rimesse. Il valore di tali monete figurerà nel verbale di mancanza; come anche figureranno le monete visibilmente tosate, che, ai termini del Sovrano Rescritto dell'11 febbraio 1853, n. 485, debbonsi tagliare, e così sfregiate saranno consegnate al procuratore del Cassiere.

Art. 26. Nel caso il pilota del piroscafo, od il procuratore del Cassiere, si rifiutassero di segnare il processo verbale della riconosciuta mancanza, il Presidente, od il Governatore, li solleciterà a manifestare in iscritto i motivi del rifiuto; ed ove a ciò si negassero, ne sarà fatta menzione nel processo verbale.

Art. 27. Sia che le somme rimesse si trovino esatte, sia che vi si trovi mancanza, il cassiere che le riceve formerà dell'effettivo ammontare una j fede di credito in testa del suo collega, nella quale dovrà enunciarsi la data del verbale d'invio.


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La medesima verrà dall'Ispettore consegnata al Presidente della Cassa di Corte in Napoli, il quale avrà cura di farla pervenire, col primo corso di piroscafo, al Direttore Presidente in Palermo, ove da colà sia partito il danaro. quest'ultimo disporrà che il Razionale la passi al Cassiere, ritirando il verbale d'invio, che dovrà servire per la giustificazione della spesa a sopportarsi dalla Generale Tesoreria per tal servizio.

La fede di credito, munita di firma, come ogni altro valore, figurerà tra le polizze di riscontrata.

Art. 28. Le formalità prescritte dall'art. 18 in poi, per lo arrivo ed entrata del numerario spedito da Palermo in Napoli, saranno applicabili ai casi ne' quali fosse per avvenire il contrario, cioè che da Napoli dovesse spedirsi il numerario in Palermo; in questi casi le incumbenze dell'Ispettore sono disimpignate dal Razionale.

Art. 29. Le spese per la fornitura delle casse di legno, dei sacchi di tela, che dovranno respingersi immediatamente dopo la verifica, e per la ricezione del numerario, saranno, per le Casse di Corte di Sicilia, apprestate da quella Tesoreria, e, per quella di Napoli, dalla Reggenza dei Banchi. A questo effetto ciascuna Cassa si fornirà con anticipazione di una conveniente provvista dell'uno e dell'altro articolo.

Art. 30. Nel caso il Direttore Presidente del Banco Regio di Sicilia credesse di esservi in Messina un eccedente cumulo di monete, potrà, dopo averne avvertito convenientemente il Reggente de' banchi di Napoli, e fino alla concorrenza del rimborso che le Casse di Sicilia devono a quelle di Napoli, commettere al Presidente di Messina lo invio del numerario in Napoli, che avrà luogo nel modo di sopra indicato, e per conto della Cassa di Palermo, che ne sarà sempre la responsabile. È però sottinteso, che le richieste del Reggente de' Banchi, come centro e controllo delle operazioni di permutazione e di sconto, debbano essere puntualmente eseguite.

Effetti di commercio che si scontano in Napoli,

per esigersi in Palermo, Messina, Bari e viceversa.

Art. 31. Le cambiali estere o traettizie, per esser presentate allo sconto, debbono essere munite di copia firmata dall'ultimo girante, e le cambiali di piazza debbono essere fornite di seconda.

Art. 32. Questi valori, sebbene privi di accettazione, debbono essere rivestiti almeno di due firme di solidi ed accreditati negozianti della piazza. E, purché siavi un tempo non minore di un mese per la scadenza, saranno ammessi allo sconto dietro lo esame e la discussione che ne farà il Consiglio dei Deputati, ai termini dei regolamenti.

Art. 33. Lo Agente de' Cambi, presso la Cassa di Sconto di Napoli, formerà il corrispondente borderò dei valori pagabili in Palermo, od in Messina, nel modo e forma prescritto dall'articolo 55 del Regolamento del 31 marzo 1839, relativo al servizio della Cassa di Sconto in Napoli; ma separato e distinto dagli altri valori; e li presenterà al Tesoriere, ed al suo controllo, con due copie, da lui sottoscritte, di unita ai valori. Lo Agente dei cambi in Palermo, o quello di Messina, praticherà lo stesso pei valori ammessi colà, presentando al Tesoriere Esattore, ed al Razionale, l'originale borderò con le due copie di valori.

Art, 34. Il Tesoriere ed il suo Controllo in Napoli, fatto il confronto delle prime e seconde di cambio, e degli originali con le copie, accuseranno, in pie del borderò originale, la ricezione delle seconde cambiali di piazza, e delle copie di quelle ostere

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. Le prime cambiali, e gli originali delle traettizie, saranno debitamente girate all'esattore di quella cassa che deve riscuoterne l'ammontare; ed in tal modo adempite, con una copia del borderò, saranno consegnate al Segretario Generale, od al suo aiutante, incaricato della spedizione dei pieghi alla posta, il quale ne accuserà ricevo in piè del borderò originale, che sarà poi ordinanzato dal Direttore Generale Reggente, per la formazione delle polizze di pagamento agli ultimi giranti.

Art. 35. Il Segretario Generale, od il suo ajutante, spedirà la detta copia di borderò, coi valori originali, al Presidente della Cassa di Corte in Palermo, od in Messina, il quale li passerà al Razionale, come controllo all'Esattore, per farli accettare dai negozianti cui sono gravati; ed in tal modo adempiti, saranno consegnati al Tesoriere Esattore, che, di unita al Razionale Controllo, ne rilascerà ricevo in piedi della detta copia di borderò, che sarà immediatamente passata al Segretario.

Art. 30. Il medesimo farà eseguire altra copia del borderò, trascrivendovi il ricevo dei valori, e, da lui sottoscritto, lo invierà, per l'organo del Presidente, al Direttore Generale Reggente, per farlo certo dell'accettazione dei valori.

Ili caso di rifiuto di accettazione, il Razionale avrà cura di far levare il corrispondente protesto da un pubblico uffiziale, e lo passerà al Segretario, unitamente al valore ed alla copia del borderò.

Art. 37. Se tutt'i valori riportati in detta copia di borderò non sieno stati accettati, il Segretario, per l'organo del Presidente, li respingerà a Napoli con la stessa copia, e coi protesti, per potersi convenientemente agire.

Se parte dei valori non sieno stati accettati, farà eseguire la copia disposta nel precedente articolo, e vi farà trascrivere il ricevo del Tesoriere Esattore per quegli accettati, notandovi gli altri, che respingerà Napoli perché non accettati.

Art. 38. Per tutte le cambiali, che si consegnano al Tesoriere Esattore di Palermo o di Messina, esigibili in Napoli, il Segretario Controllo aprirà sulla scrittura un conto, a debito di lui ed a credito del Tesoriere di Napoli, per notarvi tutte le cambiali che consegna al primo, ed i pagamenti che si fanno all'altro, e ne prenderà conto nel libro di scadenze. Similmente, per le cambiali esigibili in Bari, ne darà credito all'Esattore in Bari, al che adempito, la copia del borderò, accettata dal Tesoriere Esattore, sarà passata al Razionale, il quale farà lo stesso sulla scrittura.

Art. 39. All'epoca della scadenza, il Tesoriere Esattore riscuoterà, a suo rischio e responsabilità, l'importo delle cambiali, quale importo sarà presentato in polizze al Segretario Controllo, col solito borderò in triplo esemplare; uno di essi sarà ritenuto dal detto Segretario, l'altro dal Razionale, per prenderne scrittura in suo discarico, ed il terzo, anzicché ritenersi dal Tesoriere Esattore, verrà spedito, per l'organo del Presidente, di unita alle polizze, al Tesoriere di Napoli, se trattasi di cambiali scontate in Napoli, ed allo Esattore in Bari, se il versamento riguarda cambiali colà scontate.

Questo borderò, di unita alla polizza, sarà chiuso in un piego raccomandato, e diretto al Direttore Generale Reggente, il quale avrà cura di spedire il piego al suo destino.

Il Tesoriere della Cassa di Sconto di Napoli, appena ricevuta la polizza col borderò, formerà tre simili borderò di versamento alla Cassa di Napoli, respingendo, munito di suo ricevo per discarico del Tesoriere esattore, lo stesso borderò, colle seconde di cambio di piazza,e colle copie delle traettizie, che presso di lui esistevano.

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Lo stesso praticherà lo esattore di Bari, pe' versamenti di suo carico, rimettendo, per organo del Presidente, tali documenti al Direttore Generale Reggente, il quale farà pervenirli a Fai ermo, od a Messina, cui spettano.

Art. 40. Ammenocchè qualche cambiale non si estinguesse coll'anticipazione, è sempre a presumersi che, per causa della distanza, giunga col ritardo di più giorni il pagamento delle cambiali ai Tesoriere di Napoli; quindi costui, per le cambiali che si debbono esigere a Palermo od a Messina, noterà m osservazione che si attendono i fondi.

Art. 41. Dato il caso che qualche cambiale non venisse soddisfatta in scadenza, il Tesoriere Esattore di Palermo, o di Messina, ne farà levare i] protesto, ai termini di legge, e col conto di ritorno la respingerà, per l'organo del Presidente, al Tesoriere in Napoli, od allo Esattore in Bari, nel modo indicato dall'art. 38 Allora il Direttore Generale Reggente, od il Presidente in Bari, disporranno di agirsi immediatamente contro i sottoscrittori della cambiale, e dalla madrefede degli utili rimborseranno il Tesoriere Esattore di Palermo o di Messina della spesa dell'atto, e gli respingeranno eziandio il borderò colle seconde di cambio.

Art. 42. Per la esazione di tali cambiali, lo Esattore percepirà il solito dritto di grana trenta a migliaio di ducati, dalla Cassa di Sconto della dimora del negoziante; ed il Tesoriere o l'Esattore che riceve il versamento, si farà pagare grana 10 a migliaio dalla Cassa cui serve, per suo compenso sulle somme che verserà.

Art. 43. Queste prescrizioni sono comuni anche alle cambiali che, scontate a Palermo od a Messina, vengonsi ad esigere in Napoli, od a Bari; ovvero che, scontate a Bari, debbansi esigere a Palermo od a Messina. Se non che le cambiali scontate a Bari, e pagabili a Palermo, od a Messina, e viceversa, ed i rimborsi de' versamenti a praticarsi fra le dette Casse di Sconto, debbono assolutamente pervenire nell'amministrazione centrale di Napoli, dalla quale si faranno spedire per il loro destino, non potendo affatto essere in diretta corrispondenza il Presidente di Bari con quei di Sicilia.

Art. 44. Rimangono nel loro pieno vigore, per tutto ciò che non si oppone a quanto di sopra è detto, tanto i regolamenti delle Casse di Sconto di Napoli e Bari, del 31 marzo 1839, 9 ottobre 1857, e 20 maggio 1858, quanto il Regolamento delle Casse di Sconto di Palermo e di Messina, del 27 dicembre 1858.

Disposizioni Generali

Art. 45. Onde il presente Regolamento venga con unità di principii, e con sistema uniforme e costante, adottato in tutte le Casse, al di là e al di qua del Faro, il Direttore Generale Reggente del Banco delle due Sicilie resta specialmente delegato a curarne l'osservanza, a reprimere gli abusi che possano introdursi, ed a rimuovere gl'inciampi che si frappongano alla speditezza dei servizio. E, laddove questi avvengano nell'altra parte dei Reali Dominii, a proporre al Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia le corrispondenti misure di repressione, che saranno istantaneamente eseguite, renelendone informato il Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

Art. 40. Aggregata al Segretariato generale del Banco, vi sarà l'officina dell'ispettore addetto alla sorveglianza dei servizio della riscontrata e delle cambiali da esigersi fuori Napoli. Questo Ispettore sarà alla immediazione del Segretario generale, eia cui dipenderà, ed avrà l'obbligo di trovarsi sempre pronto a partire per Palermo, Messina o Bari, quando il Direttore generale Reggente crederà affidargli delle commissioni per aggiustare de' conteggi, e dileguare a voce de' dubbi, per il celere andamento del servizio. Ciò per altro si farà di accordo coi rispettivi Presidenti o Governatori, cui il Direttore generale Reggente farà pervenire i suoi uffizi.

Portici 15 settembre 1859.

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Decreto e regolamento hanno la firma del giovane re Francesco 2° il quale, nei pochi mesi di governo, ordinò pure la fondazione di succursali Casse di Corte a Reggio ed a Chieti (Decreto 11 febbraio 1860). Non spetta a noi di raccontare per quali vicende la Dinastia Borbonica abbia ceduto il posto alla Casa di Savoia.

*

**

28. Niun dubbio che, dal 1816 al 1860, la protezione del Governo abbia molto contribuito a facilitare la ricezione della carta nominativa. Entrata nella cassa la valuta metallica, ci restava gran tempo, poiché nel regno aveva corso legale la sola moneta d'argento, incomoda per volume e peso. Tutti preferivano il titolo del Banco. I pagamenti poi, per la massima parte, si facevano con assegni e voltare di credito, vale a dire si riducevano ad una semplice permuta di carta; convertendo la fede o la polizza, che s'annullava, con altro titolo al nome del nuovo creditore. Dalle scritture,.conservate in archivio, si possono avere curiose prove del numero di passaggi, con girate o con firme, che facevano quelle carte (qualche volta centinaia), del tempo che restavano in piazza, e specialmente della generale consuetudine di non domandare la moneta metallica al Banco. La tesoreria, la casa del Re, la provincia, il comune, i luoghi pii ed ogni altra pubblica amministrazione, come pure i banchieri, i commercianti, ed ogni persona agiata, non altrimenti riscuoteva o pagava somme di qualche importanza che mediante fedi di credito e polizze. E non occorreva barattarle con numerario, bastando che fossero segnate a credito delle persone o enti morali cui spettavano. In particolar modo al tempo dei Ministri d'Andrea e Murena, che s'occuparono con maggior diligenza del Banco, e ressero la finanza in epoca di calma relativa, quando il danaro abbondava e lo Stato era ricco, il Banco ha tenuto nel tesoro, di effettiva moneta, più di trenta milioni di ducati; ed i titoli circolanti hanno passato il valore di cinquanta milioni.

Pur nondimeno i collocamenti erano scarsi, e stavano molto al di sotto di quella medesima stabilita proporzione di diciottesimi, che lasciava tanto poco margine pel commercio e pei cittadini. Doveva il Banco tenere nelle casse o nel tesoro la massima parte della valuta metallica a lui consegnata, per la ragione che si trattava di depositi temporanei della finanza, i quali da un momento all'altro potevano essere domandati.

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Quel medesimo collocamento, fatto com'era con pegni di certificati di rendita, o di cambiali del fisco, giovava molto poco al pubblico.

Il mistero poi, nel quale piaceva ai Ministri tener sepolto le operazioni del Banco e lo stato delle sue casse, (1) non solo lia impedito che il paese ne avesse notizia a quell'epoca, ma rende quasi impossibile di sapere oggi quale fosse. Le situazioni mensili si sottraevano agli sguardi profani, e, per abbondare in cautela, spesso non si compilavano neppure; cosicché lo stesso archivio della Direzione Generale del Banco ne conserva poche. Eccone una:

Situazione del Banco al 31 luglio 1858. Casse di Napoli, cioè 1° di Corte (S. Giacomo), 2° di Corte (Spirito Santo), Banco dei privati (Pietà).

Numerario in Cassa-Oro D. 290,052.95

" " Argento " 21,707,354/26

" " Rame " 198,194,52

D. 22,195,001.73

" nella Zecca-Oro " 1,416.91

" " Argento " 2,035,989.49

" 2,037,406.40

Debito della Tesoreria Generale per la riconiazione-Argento

"

225,942.32

Rame " 23,929.95

" 249,872.27

Pegni di oggetti preziosi nella seconda Cassa

di Corte (Spirito Santo)

"

Pegni di oggetti preziosi, pannine, metalli nel

Banco dei privati (Cassa Pietà)

"

Pegni (V iscrizioni sul Gran Libro

"

Cambiali - Argento. "

Da riportarsi

D.

(1) È cosa probabile che il Governo volesse spargere e sostenere la falsa credenza che tutte le carte in circolazione fossero rappresentate da effettive monete di oro o d'argento, tenute in deposito nelle casse del Banco.

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Riporto D. 32,299,905.47

Cambiali - Rame " 215.23

Conto Corrente col Real Governo " 429,536.59

" con la cassa del Banco a Palermo " 284,008.30

" " " a Messina " 5,970.85

" " " a Bari " 1,088,707.77

Totale ducati " 34,108,344.21

I ducati 249,872.27, riconiazione, esprimono la perdita subita col rifondere monete straniere o consumate dall'uso. Molte lettere del Direttore del Banco giustamente si dolgono che la perdita fosse dell'istituto, al quale restava un semplice credito contro del fisco; mentre che il guadagno della zecca, ottenuto col monetare verghe e valute forastiere, si riscuoteva subito dalla finanza.

I ducati 429,536.55, conto corrente, rappresentano la cifra alla quale era ridotta, nel 1858, la rimanenza pel vuoto 1803 e per altre deficienze, a carico della finanza, che non s'erano colmate.

Gli altri ducati 284,008.30 e 5970.85 erano quelle reste per la riscontrata del 1848 che la tesoreria di Sicilia aveva pagato; ma il Banco non aveva potuto riscuotere perché, come abbiamo detto, d'Urso, sequestrando i titoli di rendita, li aveva convertiti in proprietà del fisco, facendo percepire l'interesse dalla tesoreria di Napoli.

Nella somma di Duc. 4,463,799.34 (portafoglio) erano compresi D. 2,122,639.61 boni della cassa di servizio, cioè cambiali della tesoreria, create dal governo napoletano fin dal 1840, quando aveva dovuto pagare gli speculatori inglesi, che seppero pescare nel torbido colla faccenda degli zolfi. Cambiali rinnovate a misura che scadevano, senza che ne fosse mai pagata porzione alcuna.

Tutta la circolazione, di Duc. 34,108,344.21, era rappresentata da titoli di debito del Banco.

Conto oro D. 13,145.00

Conto argento " 33,431,594.06

Conto rame " 663,605.15

Durava sempre il metodo di contabilità pel quale i debiti a conto corrente (madrefedi) si comprendevano nella circolazione e si chiamavano fedi o polizze. La parte passiva del bilancio è per conseguenza espressa con un solo articolo.

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Ma siccome l'Istituto teneva l'obbligo cl' accreditare sul conto corrente (caricare in madrefede) le rendite, gli utili, i fondi patrimoniali e tutto l'attivo, figurando come debitore di sé stesso, di così fatti bilanci o Situazioni, non risulta che capitale possedesse; né si conosce a quanto veramente ascendessero le carte circolanti.

Non siamo giunti a procacciarci i bilanci 31 luglio 1858 delle Casse di Palermo e Messina, che, per la separazione voluta da Filangieri, formavano un altro banco autonomo; quella di Bari aveva:

Numerario in cassa - Argento D. 457,832,30

« « Rame 3,646.07

Pegni di oggetti preziosi « 5,000.00

Cambiali argento 207,792.67

Totale D. 674,271.10

Cioè: Conto Argento D. 670,625.03

" Rame 3,646.07

c'era poi il debito per riscontrata, con la cassa di Napoli, di D. 1,088,707.77, che avrebbe dovuto essere rappresentato da egual somma di valuta contante.

Ad illustrare questi bilanci, riferiamo due lettere del Reggente Ciccarelli, che esprimono con molta franchezza quali fossero le vere condizioni del Banco. Vi si dimostra. assai meglio di quanto potremmo far noi, che la finanza erasi largamente servita dei depositi apodissarii, e che le passività dell'istituto costituivano, quasi tutte, debiti dello Stato. Ogni quindici giorni, allorché mandava la situazione al Ministro, tornava ad insistere calorosamente il Direttore del Banco, perché la Tesoreria avesse cominciato a pagare, od almeno perché fossero restituiti i titoli di rendita siciliana e gli utili della monetazione. Dava prova di grande indipendenza e coraggio Ciccarelli, scrivendo così spesso la verità a chi non la voleva sentire.

Archivio del Segretariato Generale, volume 1156. Li 27 ottobre 1853. N.° 877.

"Eccellenza. Qui compiegato, mi dò il bene di farle tenere lo stato degli apodissarii, compilato a tutto il 30 dell'ora scorso settembre, dal quale rileverà che il Banco era in quel dì debitore, per polizze in circolazione, di ducati 26,745,056.83; mentre esistevano di

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effettivo numerario soli D. 7,024,060.1 0

di materie da monetarsi nella R. Zecca " 10,447.058.75

e vi mancavano " 8,073,428.80

"Eguale come sopra D. 26,745,050.88

"Ora la esistenza del numerario, in D. 7,624,000.10. attenuati da esiti sofferti dal Banco, ne' primi giorni del corrente mese, a causa delle materie portate in Zecca, vedesi quasi ridotta alla quarta parte delle polizze in circolazione, montanti a D. 20,745,050.83; la quale sproporzione, essendo intollerabile per una banca di circolazione, al dire degli economisti, lo è molto più per un Banco di deposito, il quale, con sterili mezzi, difficilmente può sostenere la concorrenza del cambio delle polizze. Ciò è pel principio. Ma, nel fatto, lo esempio del passato mi spaventa, nel considerare che mentre il Banco, a 31 dicembre 1847, aveva un passivo molto inferiore dell'attuale,

il contante disponibile era di D. 11,486,758.17

Di questi rimasero, a 14 agosto 1848, soli ,, 3,070,010.57

"Per cui, in meno di otto mesi, scomparvero dal

Banco

D. 7,510,147.60

"Che è, presso a poco, l'identica cifra che attualmente esiste nelle Casse."

"Passo ora a dimostrarle come mancano i D. 8,073,428.89, giusta quanto rilevasi dall'annesso stato."

D. 2,100,453.50 per tanti impiegati per le opere di pegnorazione del Banco, sugli oggetti di oro, argento, pannine e metalli rozzi.

" 475,447.00 sono impiegati in pegni di rendita iscritta presso la Cassa di Sconto, ed in maggior parte per ordine superiore, a beneficio di taluni luoghi pii e pubblici stabilimenti.

" 4,093,138.31 impiegati in sconti di cambiali o di boni, per ordine della Generale Tesoreria; ad eccezione, di piccola parte diffusa a vantaggio del Commercio, una col milione di spettanza della Tesoreria.

" 288,874.34 mancano per le perdite sofferte sulla rimonetazione dell'oro, dell'argento e del rame.

" 7,953,913.15 da riportarsi.

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D. 7,953,913.15 Riporto

" 429,536.59 per l'antico vuoto in rame, dovuti anche dalla Generale Tesoreria.

" 289,979.15 pel nuovo vuoto in argento e rame, succeduto per la riscontrata delle polizze con la Sicilia, di cui la Generale Tesoreria si è appropriato i certificati sul Gran Libro di Sicilia.

D. 8,673,428.89 Totale

"Prego quindi l'E. V. a volersi interessare della triste posizione del Banco, ordinando che la Generale Tesoreria cominci a rimborsare le ingenti somme che deve; poiché essa noi potrebbe nei supremi momenti, in cui il Banco ne avesse materiale bisogno; di che le ho ripetute volte favellato, in diversi rapporti."

"Ma, se a tanto non creda provvedere, Le propongo tre espedienti, mercè dei quali potrebbesi, in qualche modo, rimediare alla emergenza del caso, senza dissestare gli interessi della Generale Tesoreria.1.° Rimettere al Banco i certificati di rendita Siciliana, ricevuti dalla Generale Tesoreria, in soddisfazione del nuovo vuoto in argento e rame, di Duc. 289,979.15, dipendente dalla riscontrata delle polizze con le Casse di Corte di Palermo e Messina, una alla rendita sinora percepita."

"2.° Permettere che gli utili della monetazione, dietro le corrispondenti operazioni di scrittura, nello interesse della Generale Tesoreria, si versino costantemente al Banco; in disconto, prima del credito di ducati 288,874.34, per le perdite della rimonetazione, e quindi dell'antico vuoto in rame, di D. 429,536.59."

"3.° Destinare una discreta somma annuale per la estinzione dei seguenti boni, scontati dalla Cassa di Sconto; quali boni riproduconsi in ogni scadenza, quasi per la stessa somma, dietro il pagamento degl'interessi, che si esegue mercé gli annui D. 60,000, che la Cassa dello Sconto suol corrispondere sul milione di spettanza della Regia Tesoreria.

I boni sono:

il primo di D. 480,000.00

" 2.° " 471,916.98

Da riportarsi D. 951,916.98

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Riporto D. 951,016,98

" 3.° " 127,790.48

" 4.° " 750,070.72

" 5.° " 488,184.82

" 6.° " 324,818.75

Totale D. 2,043,387.75

"Sono questi gli espedienti che, nelle mie limitate vedute, ho saputo escogitare, a solo fine di rendere meno vacillante la posizione di questo Stabilimento, la cui rovina porterebbe funestissime conseguenze".

"24 maggio 1854.

"Eccellenza. Sebbene, sotto gli alti suoi auspicii, è a dirsi piuttosto soddisfacente la posizione del Banco, pure dimenticar non posso che, nei momenti di perplessità e di dubbiezza, il numerario sparisce affatto. La qual circostanza ninna impressione farebbe, se gli impronti fatti alla Generale Tesoreria, e la esistenza dei vuoti, che di anno in anno sono andati in aumento, non facessero temere il discredito e la distruzione del Banco. Deplorando una simile sciagura, che sia sempre lontanissima, mi sono renduto importuno verso l'E.a V.a domandando, con replicati miei rapporti, che la Generale Tesoreria cominciasse a soddisfare, almeno a rate, taluno dei suoi gravi impegni, contratti col Banco o con la Cassa dello Sconto; ma perché veggo che non mostra neppure la buona voglia di corrispondere alla fiducia usatale, mi permetto di richiamare l'attenzione dell'E.a V.a ogni qualvolta ho l'onore di inviarle gli stati quindicinali, compilati sulle norme dell'ordinanza ministeriale del 31 dicembre 1824,,.

"Sul proposito, V. E. potrà rilevare che lo stato di situazione, del 15 aprile

ultimo, portava che nel Banco e nella Zecca esistevano D. 17,803,252.84

"E quello del 30 detto, che ora le confoglio, mostra la esistenza in

"

17,240,411.29

"In quindici giorni, adunque, sono scomparsi. D. 010,841.55

Or se, in tempi tranquilli, verificasi una si notabile detrazione di numerario, non so mica mostrarmi indifferente all'idea tristissima del discredito

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delle polizze, qualora, in tempi calamitosi o difficili, il Banco rimanesse esausto di numerario; locché facilmente potrebbe avvenire, a fronte di un passivo di Duc. 20,282,758.53, di polizze in circolazione".

"A prevenire questa sciagura, conviene ora provvedere dalla saggezza dell'E. V., ed è perciò che nuovamente La supplico a degnarsi di prendere in considerazione i precedenti miei rapporti, al riguardo indirettile".

A tali lettere, il Ministro per lo più non rispondeva, ma qualche volta le repliche consistevano in rabbuffi, sul genere di questo:

«2 Maggio 1849. 1150 (volume 1, fascicolo 67, dell'archivio del Segretariato Generale). In risposta di due suoi rapporti, del dì 27 aprile e 1 maggio, N.° 190 e 196, le manifesto che gli ordini Sovrani, comunicati a Lei ed alla Deputazione dello Sconto, con rescritto del dì 23 aprile N. 1052, circa l'ammissione delle cambiali, tratte dal Ministero delle finanze sul ricevitore generale di Napoli, e dei boni della cassa di servizio, sono troppo chiari per meritare le sciocche osservazioni, che la Deputazione dello Sconto si è permessa di fare, ad ordini che aveva il dovere di ubbidire e non di discutere".

"Ella quindi imponga alla Deputazione di dare esecuzione agli ordini Sovrani, né occorre altra risposta alla presente ministeriale - firmato - Ruggiero".

Sciocche osservazioni sarebbero state la mancanza di denari e le contravvenzioni agli statuti del Banco. Infatti, nel ricevere il rescritto 23 aprile 1849 N.° 1052 (1) aveva detto Ciccarelli ch'egli non poteva stabilire, somma fissa in ogni settimana da collocare per lo sconto di carta governativa poiché il fondo addetto alla cassa di sconto vien limitato dal regolamento ministeriale del 27 dicembre 1824 a quattro diciottesimi e mezzo, ossia al quarto della intera massa degli apodissarii (circolazione). E questo fondo trovasi ora, non solo esaurito, ma ecceduto di D. 417,237.44, per accorrere ai

(1) Eccone il testo. Il Re N. S. vuole che le lettere di cambio, tratte dal Ministro delle Finanze sul Ricevitore Generale di Napoli, e da questo accettate, siano ammesse allo sconto, quando sono girate da negoziante conosciuto. Vuole del pari S. M. che siano ammessi allo sconto i boni della cassa di servizio.

Nel Real Nome, ed in risposta al suo rapporto del di 20 corrente, le comunico tale Sovrana risoluzione, per l'adempimento.

Nello sconto di questi effetti, la deputazione userà la prudenza di ammetterne una quantità che non impedisca di dare qualche aiuto al commercio, per lo sconto di cambiali che vengono da negozianti, secondo le regole della cassa. Potrebbe, a modo di esempio, stabilire una somma fissa in ogni settimana, da impiegare allo sconto delle suddette cambiali del Ministro delle Finanze e dei boni della cassa di servizio. - firmato - Ruggiero. »

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pressanti bisogni della general tesoreria, secondo diversi ordini ; dati da S. M. o da V. E.

"Né questa sola quota ha ecceduto, ma bensì l'altra della Pegnorazione degli oggetti preziosi, pannine e metalli, in ducati 292,048.30; sicché l'intero eccesso, secondo emerge dallo stato degli apodissarii ultimamente rimessole, al 7 andante, ascende a D. 709,285.74; somma che va sempre di giorno in giorno aumentando, come V. E. rileverà dal nuovo stato apodissario, che avrò l'onore di rimetterle....

...Non essendovi che disporre, atteso lo esaurimento delle quote, io non saprei qual somma far distribuire ai deputati, né come dare esecuzione ai Sovrani voleri, ed alle sue prescrizioni.

"Tale essendo lo stato delle cose, io prego vivamente l'E. V. di renderne informato il Re, sottoponendo all'alta sua penetrazione come le vicende politiche abbiano ridotto quasi alla metà il decrescente polisario, ossia la massa di creditori apodissarii (carta emessa) e come con la realizzazione (pagamento) di molte polizze sieno dal banco più milioni celeramente spariti; tal ché, a soddisfare quelle che ora sono in circolazione evvi al Banco presso al terzo in effettivo numerario, mentre per regola dovrebbe esistervi la metà. Che, finalmente, le quote impiegate ai pegni ed allo sconto di cambiali dovrebbonsi assolutamente restringere, per portarle ai giusti limiti, stabiliti dallo enunciato regolamento....,, Da parte loro, i Deputati per lo sconto avevano fatto notare, scrivendo nel modo sottomesso che s'usava a quell'epoca, come non potessero ammettere cambiali governative, per espresse proibizioni delle leggi commerciali e delle regole del Banco. Tali cambiali, munite com'erano delle firme di due pubblici funzionari, del Ministro cioè e del Ricevitore di Napoli, non erano suscettive di protesto, né si potevano considerare come titoli cambiarli dei quali fosse lecito lo sconto. In caso di protesto, la cassa avrebbe mancato d'azione contro dei commercianti giratari, perché il codice non ammette responsabilità di chi cede obbligazioni governative; e molto meno avrebbe potuto agire contro di S. E. o dell'accettante Ricevitore Generale, ch'erano troppo bene coverti dalla loro qualità.

*

**

29. Il capitale aggiunto dal Banco al milione del fisco, per le operazioni della cassa di sconto, fu, a fine d'anno.

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di D. 1,400,000 nel 1818

"

"

2,450,000" 1819

e 1820

"

"

300.000

" 1821

"

"

800,000

" 1822

"

"

2,300,000" 1823

"

"

4,310,000" 1824

"

"

3,346,000" 1825

"

"

3,600,000" 1826

"

"

4,100,000" 1827

"

"

5,230,000" 1828

"

"

5,303,484.58

" 1829

"

"

5,280,181.39

" 1830

"

"

5,245,781.50

" 1831

a 1832

"

"

5,645,781.50

" 1833

a 1840

"

"

6,145,781.50

" 1841

a 1844

"

"

6,845,781.50

" 1845

a 1855

"

"

7,500.000 -" 1850

a 1858

"

"

9,000,000 -" 1859

"

"

10,300,000 -

" 1860

"

"

11,000,000 -

" 1861

In media, pei quarantaquattro anni, D. 5,666,231.89; e, col milione della tesoreria, D. 6,666,231.89, pari a L. 28,331,485.58.

Le operazioni di sconto e di pegno giunsero a D. 712,387,437.08 pari a L. 3,027,646,607.59, cioè in media L. 68,810,150.17 all'anno, comprese l'anticipazioni cambiarie o pagnoratizie al Tesoro, che, all'ingrosso, si possono valutare due terzi della somma collocata. La durata media dei collocamenti risulterebbe di mesi cinque circa; ma la massima parte degli sconti e pegni si rinnovava alle scadenze, conteggiando il solo interesse.

Tutte le rendite e lucri della cassa di sconto, nel mentovato periodo, 1818 a 1801, giunsero a ducati 7,089,191.72 (pari a lire 30,129,004.81) e ne fecero il seguente uso.

Spese amministrative.......................................................... D. 591,102.47

Immobili............................................................................... " 119,439.00

Da riportarsi D. 710,602.97

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Riporto D. 710,602,07

Oltre dei pagamenti per rifazione degli edifizi Archivio Generale, Spirito Santo, Pietà, Posta e donnaregina, il Banco contribuì con ducati 32696,72 (pagati dal 1834 al 1853) alla ricostruzione dell'antico Monte e Banco di Sant'Eligio. Per moltissimo tempo, fece la finanza sperare che avrebbe pensato alla risurrezione di quell'istituto, ma poi non mantenne le promesse.

Spese considerevoli (!)......................................... 649,375.09

Questo nome danno nei conti alle spese delle quali non volevano specificare con chiarezza l'indole. Ci sono comprese molte imputazioni a perdita di cambiali inesigibili, qualche restituzione d'indebito, ducati 6,900.62, pagati nel 1844, per l'apertura del Banco a Palermo, eccet.

Utili versati al Banco ….......................................

1,480,435.67

Le scritture del ramo apodissario erano separate da quelle del ramo ca.ssa di sconto; ragione perla quale appare sempre debitore quest'ultimo del fondo preso dai depositi del pubblico; e creditore di quelle somme che, di tanto in tanto, prelevava dagli utili per contribuire alle spese amministrative del primo, ovvero per la costituzione del suo patrimonio. A tali somme non davano carattere di restituzione, né d'interesse.

Somme impiegate in compre d'iscrizioni (titoli di rendita napoletana 5 per 0|0)....................................

1,253,959.76

Somme prelevate dagli utili, a favore della Tesoreria Generale, dietro ministeriali disposizioni.....................

412,177.74

D. 122,596.50, presi con Rescritto del 23 agosto 1856, e D. 160,000 con ordini ministeriali del 14 gennaio e 30 agosto 1860. - I rimanenti ducati 129,581.24 si consegnarono in agosto 1860, insieme ai titoli di rendita; pagati dalla cassa di sconto

Da riportarsi

D. 4,506.550,33


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D. 4,506.550,33

Da riportarsi Riporto D. 4,506,550,33 D. 1,253,959.76, giusta il precedente articolo, e valutati dal fisco D. 1,215,771.50, ch'era il prezzo che facevano nel giorno che li dovettero consegnare.

Utili versati alla tesoreria generale sul milione.

"

2.284,655.96

Grandi dispute si fecero nel 1863 e 1864 per tale partita di credito. Il Banco versava, quasi ogni anno, grosse somme, a titolo di restituzione pel milione, ma la tesoreria, senza rifiutare questi pagamenti, niente sottraeva dal suo credito, acciocché le rimanesse sempre il dritto di computare 90 o 60 mila ducati all'anno d'interesse. Il carattere d'amministrazione governativa e dipendente del ministro di finanza, che aveva la cassa di sconto, rese possibile lo strano fatto di pagare più del doppio, e di rimanere sempre debitore dell'intera cifra.

" 6,791,206.29

Esistevano sulla madrefede degli utili, al 31 dicembre 1861 " 136,370.73

E si dovevano riscuotere da diversi debitori " 161,614.70

Totale come sopra D. 7,089,191.72

*

**

50. Al tempo dei Borboni, non si vedeva la necessità di tenere casse succursali nelle varie provincie del Regno, per la ragione che i Ricevitori e Percettori regi ne facevano in certo modo l'ufficio. La circolazione delle fedi di credito o polizze era largamente favorita dagli agenti finanziari del Governo, che non solo le accettavano per pagamento d'imposte, cosa comandata dall'art. 3.° del decreto 12 dicembre 1816, ma ne facevano il baratto con valuta metallica, e talvolta pagavano aggio per averle. Erano cercate dai ricevitori le carte bancali quando dovevano far pagamenti alla Tesoreria Centrale di Napoli. Allora, mediante invio per la posta di fedi di credito o polizze, risparmiavano le spese ed i pericoli dei trasporti di monete. Ciò non pertanto mancava nelle province il servizio d'emissione, e quelli più importanti di anticipazioni e sconti.

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Succedeva pure che quando il Ricevitore non aveva bisogno di carta, la circolazione divenisse difficile nella provincia e che il baratto con moneta d'argento potesse anche costare qualche, cosa.

Pare che Medici avesse meditato su tale inconveniente. Nisco (1) asserisce che quel Ministro voleva fondare in ogni provincia una vera Succursale del Banco, incaricata di ricevere dai percettori di circondario il pagamento delle imposte, d'accettare depositi, di mettere in circolazione fedi o polizze e specialmente di collocare le somme raccolte con sconto di cambiali e con mutui sopra pegno. Medici avrebbe scritto, nel rapporto al Re, che le Succursali si dovevano aprire onde "l'attività e l'industria venissero in tutti i punti del Regno vigorosamente animate, la percezione della imposta non fosse più un carico pel Tesoro o una sopratassa pei contribuenti, e l'Erario pubblico avesse, pei suoi bisogni ordinari e straordinari, una inesauribile sorgente di riserva, per scontare i suoi effetti, senza mandarli sul mercato della Borsa e produrre le gravi oscillazioni sul corso della rendita, cotanto nocive pel commercio e pel credito di uno Stato".

Il concetto, finanziariamente ottimo, era con chiarezza espresso da chi aveva potere d'eseguirlo. Eppure, dal 1816 al 1860, si fece assai poco per sviluppare nelle province l'opera del Banco, tuttoché la deficienza di succursali fosse vivamente deplorata, e non mancassero continue insistenze dei Municipi ed Intendenti delle città che avrebbero dovuto averle. Solo, come abbiamo visto, Palermo e Messina ottennero le loro casse nel 1843, Bari nel 1857, Chieti e Reggio una semplice promessa nel 1860 (Decreto 11 febbraio) che fu poi mantenuta, dopo molti anni, dall'attuale amministrazione.

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31. Due giorni dopo ch'era entrato a Napoli Garibaldi, si stampò questo decreto:

"Li 9 settembre 1860. Il Dittatore delle Due Sicilie, Decreta:

Art. 1. Il debito pubblico dello Stato Napoletano è riconosciuto.

"Art. 2. I pubblici banchi continueranno i loro pagamenti, a cassa aperta.

"Art. 3. La cassa di sconto continuerà gli affari da essa dipendenti, nei modi conformi alle leggi ed ai regolamenti preesistenti.

(1) Proemio al progetto di Statuto del Banco. Atti del Consiglio Generale. Sessione 1863 p. 159.

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E la seguente settimana aggiunsero: di 16 Settembre 1860.

"Il Dittatore dell'Italia Meridionale, Decreta:

"Art. 1. È ristabilita la perfetta reciprocanza pel libero e mutuo cambio delle polizze e fedi di credito tra le casse del Banco di Palermo e Messina e quelle delle province continentali, nonché per le reciproche operazioni delle casse di sconto, di qua e di là del Faro.

Art. 2. Il Ministro del dipartimento delle finanze è incaricato della esecuzione.

Altro Decreto, 30 novembre 1860, firmato dal Luogotenente Farini, modificò leggermente le regole del Banco di Napoli. Soppresse il posto di Reggente e pose a capo dell'Amministrazione un Consiglio, composto dai Presidenti e Vice Presidenti delle tre casse, S. Giacomo, Spirito Santo e Pietà, e da un Censore, di nomina Regia. Esercitava le funzioni di Capo uno dei Presidenti del Banco, con la qualità e col titolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione" (art. 2.) e questi era scelto, per libero suffragio,fra tre Presidenti del Consiglio di Amministrazione, del quale faranno parte, in questa sola occasione, anche i Governatori ordinarii del banco." (art. 4). La persona scelta restava in carica un anno; poteva essere confermata, con permesso del Ministro delle Finanze, ma per un altro solo anno.

Piccole novità! La clientela poteva ben dire che niente le importava se il Capo si chiamasse Presidente o Reggente, se fosse nominato dai colleghi o dal Ministro. Farini non s'occupava di altro, anzi diceva espressamente che "Il Presidente del Consiglio di Amministrazione assumerà le funzioni ed eserciterà le attribuzioni stabilite dai Regolamenti esistenti per la carica di Reggente (art. 2) Rimangono in vigore le prescrizioni delle leggi e dei regolamenti esistenti, in tutto ciò che non si oppone al presente Decreto (art. 10) Pur nondimeno questo decreto, manifestando concetti più liberali di quelli che fin allora avevano prevalso, fece sperare che sarebbe restituita finalmente l'autonomia, la libertà di agire ed il patrimonio al vecchio Istituto; e sarebbero riprovati gli strani modi del Governo Borbonico.

Questo, come abbiamo dimostrato, si serviva del Banco quasi tosse proprietà dello Stato: credeva forse che delle rendite, dei capitali, ed anche delle somme consegnate a titolo di deposito o di mutuo si potesse servire il Monarca.

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Se non lo credeva, per la ragione che le leggi costitutive del 1816, 1818 e 1839 dicono proprio l'opposto, disponeva le cose in modo da procacciare, con tali fondi, il massimo beneficio della finanza, il minimo dell'istituto e del pubblico.

Dopo che il Governo Italiano aveva rinunziato al mxlo efficacissimo di comandare nel Banco, che era la nomina d'un impiegato regio per Capo dello Istituto, colla subordinazione di costui al Ministro delle Finanze, era cosa naturalo sperare qualche diminuzione dell'ingerenza fiscale. Veramente il decreto 30 novembre 1860 fu principio di buone riforme, non tanto per quello che c'era sciatto, quanto perché Ministro di Agricoltura e Commercio divenne un benemerito nostro concittadino, Giovanni Manna, e perché il primo Consiglio di Amministrazione fu composto di persone operose e sagaci.

*

**

32. Gli anni 1861 e 1862 li spesero in preparativi e studio. Il programma comprendeva molte cose.

1. Conservare tutta la parte del vecchio ordinamento che offeriva una qualche utilità. 2. Rendere più semplici le operazioni, più facile il servizio, più spediti gli affari, migliorando i sistemi contabili, levando le scritture inutili, distruggendo molte formalità, praticate col solo scopo di scemare la responsabilità, o di nascondere la insufficienza di determinate persone. 3. Introdurre, o per dir meglio, rimettere, quelle forme di credito che abbiamo dimostrato fossero usi, fors'anco invenzioni dei Monti Napoletani; le quali, per malvagità di tempo ed insipienza di ministri, s'erano abbandonate proprio quando i progressi cl' altre nazioni e d'altri banchi meglio avevano cominciato a provarne la saggezza; conti correnti cioè, cheques, warrants, cartelle fondiarie, cassa di risparmio. 4. Pagare meglio gl'impiegati, ma senza che pesassero sul bilancio passivo maggiori spese di stipendio; per conseguenza modificare servizio e ruoli d'organici in modo che, scemate di numero le persone, potessero coni pensare decorosamente le fatiche dei buoni ufficiali, 5. Consolidare il credito e la forza dell'Istituto, accrescendone il capitale patrimoniale.

- 624-

Per la pratica esecuzione delle riforme, i membri del Consiglio, ed il nuovo Presidente, Marchese Michele Avitabile, con la modestia che accompagna il vero merito, domandarono giudizio e suggerimenti ai più reputati cultori di scienze economiche o amministrative. Varie commissioni, di cui fecero anche parte commercianti e ragionieri, studiarono con diligenza i registri, le consuetudini, per valutarne la bontà, proporre gli opportuni cambiamenti, e discutere maturamente di qualsivoglia innovazione.

43. Ma gli studi furono disturbati da una grave crisi economica, che, nel 1861, fece vacillare il credito del Banco, mettendo in pericolo la sua stessa esistenza. La rivoluzione del 1860, col suo sperpero di danaro pubblico; i fallimenti, furti all'erario e disordini d'ogni specie, che accompagnarono la caduta della dinastia Borbonica, vuotarono in poco tempo le casse di molti milioni di ducati, che il Governo ci teneva. Più la mancanza di fiducia nei Dittatori, Prodittatori o Luogotenenti, che nel 1860 e 1861 vennero a governare queste provincie, l'assedio di Gaeta, il brigantaggio; insomma la paura che si sospendessero i pagamenti, fece ritirare buona parte dei depositi anche dagli altri clienti. In diciotto mesi, da ottobre 1859 ad aprile 1861. avvenne una diminuzione di quasi due terzi sulla riserva metallica,

perché il numerario da.................................................. L. 82,084,254.81

si ridusse a …................................................................ " 29,730,829.16

con esito di.................................................................... " 52,353,425.65

e di oltre due quinti sulla circolazione, perché la resta di fedi di credito, polizze, polizzini, madrefedi, volture da

L. 155,723,810.33

si ridusse a.................................................................... " 92,346,385.01

con pagamento maggiore dello introito per L. 63,377,425.32

Ricordando che allora si adoperava la sola moneta di argento; che un sacco di piastre, pesante chilogrammi venticinque e mezzo, valeva L. 5,100, possiamo calcolare quanto dovessero crescere i pagamenti, e scemare gl'introiti, per levarsi dalle casse cinquantadue milioni.

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Gli stessi fatti, che diminuivano i fondi disponibili, facevano crescere le domande di prestito. Le commozioni politiche del 1860 pesarono gravemente sul commercio, sulle manifatture e sulle private aziende, permodoché migliaia d'individui salirono, per la prima volta, le scale del Monte di Pietà; o consegnarono per pegno qualche certificato di rendita. Anche i buoni clienti vecchi della Cassa di sconto si mostrarono lenti a pagare le cambiali scadute, solleciti di chiedere, con insolita insistenza, anticipazioni di maggiori somme.

In simili contingenze, le Banche di Francia e d'Inghilterra, che si pretende siano modelli di savia amministrazione, badano anzitutto a fornire la cassa: negano i prestiti, riscuotono i crediti a misura che scadono, rifiutano inesorabilmente ogni proroga o rinnovazione di mutuo. Così danno molto da fare ai notai ed uscieri; rovinano infinite persone, per la quantità di fallimenti che segue l'inaspettato rigore; accrescono l'intensità della crisi ed i suoi danni; ma ottengono la proporzione che vogliono fra riserva di contanti e circolazione di biglietti; provvedono insomma al pagamento a vista dei propri titoli.

Possono queste banche agire in tal modo perché il portafoglio è buono. Le cambiali sono avallate da ricchi banchieri o commercianti, ovvero da altri istituti di credito, ed è cosa certa che saranno, quasi tutte, alla scadenza, pagate. La bontà dell'ultime firme non impedisce un danno del commercio, derivante dalla contrazione del credito bancale, poiché gli altri giratari e debitori sono assuefatti a rinnovare. Essi han regolato le cose in modo da trovarsi pronti per pagare, nel giorno della scadenza, il solo interesse o sconto, ed il bollo della nuova cambiale. Ma ciò importa poco alla Banca. Sono faccende che non le appartengono, e che si devono sbrigare fra chi ha preso il denaro e chi ne ha garentito la restituzione.

Ben differenti erano, alla fine del 1860, le condizioni del Banco di Napoli. Patrimonio quasi non ne aveva; (1) il portafoglio non si poteva facilmente liquidare perché composto, per la maggior parte,

(1) Poche persone conoscevano il congegno delle scritture, che nascondeva la circolazione fiduciaria. Al pubblico facevano credere che tutta la carta avesse un corrispettivo di moneta metallica, esistente in cassa. Nessuna visibile differenza appariva fra le polizze dei clienti, che tenevano tale corrispettivo, perché avvalorate mediante consegna alla cassa apodissaria di valuta contante, ovvero di carta bancale, e le polizze della cassa di sconto, che n'erano prive. La emissione di queste ultime era fatta per ordine del Direttore, ed il corrispondente credito in madrefede dipendeva dal computo dei diciottesimi.

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da crediti, inesigibili allora, contro la Finanza (1), e da obbligazioni di modesti dettaglieli, ed anche d'individui non commercianti. Si erano fatte grandi anticipazioni sopra pegni di rendita pubblica; il Monte di Pietà aveva collocato ducati due milioni e mezzo circa. Esiziale sarebbe tornato il metodo delle Banche di Parigi o Londra, che lo inusitato rigore contro individui i quali, per circostanze indipendenti dalla volontà, non potevano essere pronti, avrebbe fatto cadere insofferenza molte cambiali, avrebbe pure condotto alla vendita di molti titoli e di molti oggetti dati per pegno.

Sebbene ci fosse pericolo di perdere tutto il capitale patrimoniale, ed anche di finire con qualche deficienza sui depositi dei creditori apodissari, il nuovo Consiglio Amministrativo, senza preoccuparsi della riserva metallica che scemava, senza lasciarsi dominare da paurosi concetti, fu largo di dilazioni, e si contentò di piccoli acconti per le cambiali. Il portafoglio diminuì pochissimo quel l'anno.

Maggiori difficoltà davano le anticipazioni, per lo enorme ribasso della rendita Napoletana, nel 1860 e 1861. Qualche milione aveva il Banco collocato, su pegno di cartelle nominative, allorquando i titoli del Gran Libro Napoletano facevano il prezzo di 120.

(1) In settembre 1860, quando Francesco II uscì da Napoli, era debitrice la Tesoreria.

Pel vuoto 1863, (somma residuale) D. 4 29,536.00

Debito dei Banchi di Sicilia che la Finanza aveva incassato " 280,970.15

Perdite subite dal Banco per la riconiazione fino al 1852 (somma residuale) " 97.242.70

Boni della Tesoreria scaduti " 108,584.20

» » da scadere " 2,357,038.00

Boni della Cassa di servizio scaduti. " 1,4 11,351.35

» » da scadere " 500,058.00

Anticipazione presa con pegno di rendita fino marzo 1860 " 800,000.00

Altra anticipazione presa li 6 aprile 1860 " 582,040.00

Primo semestre 1860 delle rendite di pertinenza del Banco e della Cassa di Sconto che non s'era pagato " 32,838,00

Totale D. 6,701,060.04

Cioè L. 28,479,543.42

Oltre di questo, c'erano le perdite sulle riconiazioni posteriori al 1852 , non ancora liquidate ma che si conoscevano maggiori di D. 300,000; le cambiali di dogana, scontate dalla Tesoreria, un debito del Municipio di Napoli garentito dalla finanza, di D. 27,949.68 ; molti mutui ad enti morali, conceduti con ordini di Ministri dell'Interno e della Finanza; e finalmente i titoli di rendita presi dalla Tesoreria e le somme indebitamente percette come restituzione del milione, cioè altri duc. 2,912,606,20. in tutto, la finanza aveva presa una cinquantina di milioni di lire.

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Giusta il Rescritto 26 giugno 1822, che permetteva di anticipare tre quarti del valore effettivo, per ogni cinque ducati rendita, gl'intestatari avevano preso ducati 90. Certo, nel 1861, non conveniva al debitore di riscattare il pegno; pagando novanta la restituzione di un titolo che in Borsa si vendeva sessanta.

Gli è vero che sulle cartelle del banco stava stampato questo patto: Il signor........... ha dichiarato di volersi assoggettare a tutte le condizioni prescritte, fra le quali quella di dovere la presente cartella valere per suo formale consentimento, affinché quante volte, elasso il termine di tre mesi, non abbia curato dispegnorare lo enunciato estratto d'iscrizione, possa la Cassa di Sconto, qual sua procuratrice, venderselo in piazza o intestarselo, per rifarsi del suo credito e dell'importo dell'interesse e delle spese, restituendo al proprietario il dippiù, sene avanzi". Poteva dunque la Cassa di Sconto disporre liberamente del pegno dopo tre mesi. Ma l'esercizio di questo dritto avrebbe fatto vendere migliaia di titoli, con la necessaria conseguenza di aggravare ed accelerare il ribasso.

Il Consiglio Amministrativo, astenendosi dall'aggiungere la sua pressione sulla Borsa ai fatti politici ed economici che screditavano la rendita napoletana, praticò il rimedio delle minorazioni. Egli allargò l'agevolezza, conceduta alla Cassa di Sconto, con le istruzioni ministeriali 20 gennaio 1841, di pretendere che fosso restituita parte della somma capitale, nell'atto di rinnovare la cartella di pegno qualora il prezzo attuale sia minore di quello che correva allorché la pegnorazione ebbe luogo". Senz'aspettare che fossero passati i tre mesi., le cartelle scadute, a misura che diminuiva il prezzo, invitava i debitori a mettersi in regola, ed a restare col debito dei soli tre quarti, mercé rinnovazione del pegno, per somma più discreta.

Si cominciò dal domandare, per tali rinnovazioni, un quinto della somma primitiva; poi fu permesso di pagare il decimo; ed inseguito la minorazione si ottenne dalla stessa rendita che semestralmente pagava la finanza.

Questa rendita non solo era sufficiente per conteggiare gl'interessi, che spettavano al banco, ma lasciava pure un piccolo margine, il quale serviva per diminuire l'obbligazione, cioè il valore della cartella di pegno.

La vendita dei titoli avveniva nel solo caso che replicate lettere ed inviti amministrativi fossero stati inefficaci. Poche volte dovette il Banco giungere a questo, per la ragione che quasi tutti i debitori furono solleciti di minorare, non volendo perdere la rendita.

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34. Quasi che non bastassero le scosse politiche del 1860, ed un mutamento di governo, i ministri della Dittatura e della Luogotenenza, con ordini di pagare grosse somme, e con impedimenti non ragionevoli all'accettazione della carta bancale, fecero più imminente il pericolo che si rinnovassero i guai del 1794 o del 1821.

In gennaio 1861, prese il fisco D. 600,000, con pegno d'un certificato di rendita di annui D. 40,000. Parecchi boni della Tesoreria e della Cassa di servizio, che rappresentavano milioni, si dovettero scontare o rinnovare quando la moneta mancava per l'occorrenze giornaliere, quando pareva difficile lo stesso pagamento a vista della valuta apodissaria.

Un decreto dittatoriale, che imitava gli atti peggiori della reazione Borbonica del 1799, mise sequestro sulle bancali, di data anteriore al 7 settembre 1860, pertinenti alla caduta dinastia, ai reggimenti dell'esercito napoletano, ed alle persone che facessero traffico con Gaeta.

"Siffatto provvedimento, che nella sua attuazione sorprendeva la buona fede di chi si trovava legittimo possessore di quelle bancali, e ne ostacolava la libera e sollecita realizzazione, non tardò a diffondere nel pubblico l'esagerato timore che i titoli del Banco non avessero avuto più corso.

"Oltre di che il modo lato con cui si esprimeva il Governo, per giungere a sequestrare quei valori, come pure la grave responsabilità, che pesava sugli agenti del banco, a cui carico si mise la immediata esecuzione, faceva sì che questi, per prevenire ogni possibile elusìone degli ordini dittatoriali, procedeano con la massima incertezza nel cambio dei valori".

"Non poche rimostranze si produssero, per persuadere il Governo che l'adottato provvedimento, mentre era in opposizione colla insequestrabilità del deposito bancario, mirava a scrollare la buona fede, unica base di questa interessante istituzione (1)".

Altra offesa alla reputazione delle bancali fece il decreto per la soppressione degli ordini monastici (febbraio 1861), con una confisca dei loro crediti apodissari, che sconosceva i dritti dei possessori e portatori della carta.

(1) Rapporto stampato del Direttore Avitabile, anno 1863.

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Ma il fatto più grave fu la proibizione alle casse fiscali di prendere e cambiare polizze. Una circolare del 10 luglio 1861, firmata dal Tesoriere Generale, esprimeva nettamente questa proibizione, sebbene nessun provvedimento legislativo avesse annullato le ordinanze del 1816, confermate da mezzo secolo di pratica costante. Per siffatta circolare, le carte del Banco cominciaronsi a rifiutare in tutte le province meridionali e nella stessa città di Napoli; gli speculatori pigliavano per aggio due, tre ed anche quattro per cento; tutti correvano alla cassa per cambiarle con argento. Se, per mala ventura, l'ordine irragionevole non si fosse rivocato, poteva il Banco giungere alla necessità di chiudere lo sportello del cambio. Ma le rimostranze energiche di Avitabile fecero annullare quel comando del Tesoriere, mediante lettera del Ministro, pubblicata al 1° agosto 1861.

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35. Alla economia d'impiegati e di lavoro, ed alla speditezza degli atti, si cominciò a provvedere mediante soppressione dei registri chiamati giornali. Contenevano questi, o, per dir meglio, avrebbero dovuto contenere, le copie delle bancali tolte dalla circolazione.

Il Regolamento del 1816, al capitolo istruzioni per la scrittura dei giornali, manifesta perché si trascrivevano carte già pagate ed estinte, che stavano presso l'amministrazione stessa del Banco, e si dovevano con la massima diligenza conservare; ma gli scopi erano:

1.

Registrare i titoli apodissarii; copiare le girate, l'autentiche delle firme, gli adempimenti di condizioni e tutto quello che contenevano; per tenere un volume dal quale, in caso d'inopinati accidenti, che avessero fatto distruggere o perdere le carte originali, fosse conservata la memoria delle contrattazioni; e fossero garentite le ragioni dei giranti, dei giratarii, dello stesso banco.

2.

Eseguire un'altra verifica dei titoli; osservando se fossero completamente' adempite le formalità, messe le occorrenti firme ed autentiche, eseguite tutte le condizioni scritte nelle gire.

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3. Tenere un libro di riscontro a quello denominato Esito di Cassa, ch'era un elenco sommario delle carte pagate, per sapere con certezza l'ammontare della somma, cioè il credito dei Cassieri per valori apodissarii estinti.

Tutto questo si poteva fare, prima del 1794, dagli antichi Banchi, che non avevano certi servizi governativi, ed erano otto. La collezione di giornali, conservata nell'archivio centrale, al Monte dei Poveri, prova che i Banchi i quali facevano maggiori pagamenti non consumavano più di dieci o dodici volumi al mese. Ma, dopo del 1818, le fedi di credito e le polizze giunsero alle centinaia di migliaia ogni anno, qualche volta superarono il milione, e moltissime contenevano lunghi contratti. Che improbo lavoro sarebbe mai occorso per adempiere esattamente al compito dei giornalisti?

Le utilità dei libri giornali, anzi la necessità di tenerli, poteva dimostrarsi quando c'era il sistema d'infilzare con una cordicella gli originali titoli, e di appenderli alle soffitte delle revisioni. Ma, nel secolo XVIII, s'abolirono le filze lunghe, mettendo l'uso di ligare a volumi le bancali tolte dalla circolazione, e di tenerle sempre pronte per l'opportune notizie; riscontri, copie ed attestazioni. Divenendo poco meno che inutili le trascrizioni nel registro, perché si ricorreva sempre all'originale, cercarono di pagarle quanto meno potessero, dichiarando, col piano organico del 1797, ch'era incombenza dei soprannumeri ed alunni, cioè dei giovani senza stipendio, mentre prima i giornalisti erano discretamente retribuiti. Però tale dichiarazione, confermata da un articolo dell'istruzioni del 1817, che ordina d'affidare la scrittura dei giornali ai soprannumeri ed alunni più idonei, attenti, e che abbiano intelligibile e corretto carattere (pag. 153) non s'osservava per convenienza dell'istituto, dandosi buoni uffici a chi possedeva siffatti requisiti. Mettevano al giornale gl'impiegati più incapaci, disadatti, inassistenti; quell'incombenza si reputava, ed era veramente, severo gastigo. I registri per conseguenza, illegibili. monchi, infedeli, a nulla servivano, tanto che, fin dal 1799, i Protettori della Pietà (Rappresentanza 16 ottobre) avevano riferito che "vengono ad essere questi libri pieni di sconnessioni, di cassature, e da non potersene molte volte comprendere neppure il senso, onde ne deriva la non sicura cautela del pubblico.,,

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Bene si fece col sollecitare il decreto ministeriale 17 novembre 1862. pel quale rimase soppressa la scritturazione delle polizze sui giornali. Fra gli altri vantaggi, si ottenne anche quello d'evitare che i titoli restassero, per molti mesi, nei cassetti dei giornalisti, ciò che spesso aveva ingenerato disordini ed abusi.

Al Monte di Pietà cominciarono ad usare le cartelle a matrice, dove sono dichiarate e descritte le robe che si danno per pegno.

Le polizze notate ed i polizzini si ordinò che fossero scritti su fogli stampati, che il Banco mette in vendita. Questo provvedimento, consigliato forse da comodità del ligatore dei volumi, e dal minuscolo guadagno che può dare la vendita del modulo, non pare, come gli altri, commendevole. Fra le moltiplici cause di diminuzione della valuta apodissaria tiene posto quel benedetto stampato, che pochi si vogliano pigliare il fastidio d'andare a comperare dai guardaportoni del Banco.

36. Nello stesso anno 1861, il Banco si fece restituire un grande edilizio, prossimo al Monastero di Donnaregina, che ridusse a Monte di pegni delle pannine; vale a dire dei tessuti di lana, seta, cotone e lino. Tal edificio faceva parte della dotazione di beni immobili, conceduta da Gioacchino al 1809, ma era sfuggito alle vendite di case e di botteghe, fatte da Ciccarelli, per questa circostanza:

Il filantropo Padre Capano fondò, nel 1813, un conservatorio dove raccolse parte delle giovanette povere ch'avevan perduto sussistenza ed asilo, per conseguenza delle soppressioni di monasteri e di luoghi pii, fatte poco prima. Egli ottenne la casa in discorso per la pigione d'annui Duc. 340. Nel 1815, se gli dette, a titolo provvisorio, l'uso gratuito del locale stesso, salvo compenso al Banco che fu promesso e stipulato nel contratto, ma, come tant'altre promesse, non fu mai conteggiato.

Morto Capano, il conservatorio diventò collegio di signorine. Ciccarelli, vedendo ch'eran finite l'opere filantropiche, perché l'istituto si faceva pagare buone pensioni dall'alunne, cominciò ad insistere, nel 1856, per la restituzione del palazzo, od almeno pel pagamento delle pigioni. Furon vane le sue pratiche per l'opposizione del Cardinale, che si fondava sulla concessione del 1815, e bisognò aspettare che Avitabile lo rivendicasse dal Demanio.

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Il decreto di concessione porta la data 7 settembre 1861, e l'apertura del nuovo Monte si fece ai 16 dicembre. I fondatori degli antichi Banchi avevano largamente provveduto al pegno dei panni, ma l'interruppero i guai del 1794. Ripristinato al 1819, nel locale Pietà, ed annesso al Monte degli oggetti preziosi e metalli comuni, non aveva potuto convenientemente svilupparsi, poiché lo spazio mancava. Il Consiglio di Amministrazione, tornando ai vecchi metodi, difese con maggior efficacia gl'indigenti dalla pravità usurarla.

Spese il Banco L. 232,000 per mobili e primo impianto, più mezzo milione per adattare il locale al nuovo servizio. Come si prevedeva, il Monte delle pannine è stato per molti anni passivo, ed ora, con grave stento, ottiene poche migliaia di lucro netto da un capitale collocato in pegni che giunge ad un milione e mezzo di lire; ma si tratta di beneficenza non di speculazione.

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37. Sullo sconto di cambiali, scrisse Avitabile, nel rapporto stampato del 1863:

Il ramo della Cassa di Sconto non è stato trascurato. Le istruzioni da noi date ai Deputati della stessa intendono a giovare il negoziante dettagliere, egualmente che alle case bancarie e manifatturiere. Noi abbiamo la convinzione che aiutando il piccolo ed onesto industrioso manufatturiere, come il commerciante minuto modesto, per quanto il loro credito in piazza il comporta, si combatte il monopolio, e mentre si giova agl'interessi della Cassa, si anima efficacemente la produzione indigena, elemento vitale della pubblica ricchezza,,,

Questa volontà di soccorrere il piccolo commercio, accettando cambiali di modesti industrianti e dettaglieli, che fu inspirata forse dalla filantropia: o, come sembra probabile, che fu conseguenza degli articoli dei giornali e della ressa di gente bisognosa, è divenuta poi una piaga.

Le sofferenze, o cambiali non esigibili, sono cresciute di anno in anno. Adesso rappresentano la valuta di alcuni milioni; non ostante che qualche ragguardevole somma si fosse già passata al conto perdite. Per i debiti di gente insolvibile e pei dispendiosi litigi che ne son derivati, la Cassa di Sconto, lungi dall'aiutare il piccolo commercio, ha, con proprio danno, contribuito alla rovina di molte persone.

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I successivi rapporti di Avitabile, e quelli di Colonna, Sacchi, Consiglio, quando parlano su questo argomento, si esprimono in modo ben diverso dal primo. Non vi s'inneggia alla filantropia, ai soccorsi pel modesto traffico, per le botteghe e gli opifìzi di secondo e terz'ordine. Invece si deplorano le soverchie larghezze e l'abuso di ammettere cambiali di comodo, che cioè non dipendono da atti di commercio, ma sono semplici mutui ad impiegati o professionisti. Nondimeno è ancora in discussione la massima se si debba concedere il fido unicamente alle case di prim'ordine.

Qualche volta il Consiglio Generale ha sentito, con discorsi eloquenti, difese le ragioni di quelle meno reputate. Hanno detto che il Banco, per la sua qualità di ente morale, debba soccorrere più volentieri il basso che l'alto commercio; escludere il primo, dalla clientela della Cassa di Sconto, vale lo stesso che sostenere ed autorizzare l'usura. Si è ragionato in tal modo anche dopo che la strana liberalità di certe commissioni di sconto aveva fatto prendere cambiali rifiutate dalle altre banche, e quando l'articolo sofferenze sporcava i bilanci dell'Istituto.

Ma bisogna pure ammettere che dei crediti non vale il numero sibbene la qualità. E vero che la casa di prim'ordine specula sul riesconto; che le cambiali appartengono effettivamente al dettagliere, all'industriante, qualche volta al proprietario o al professionista. E anche vero che l'individuo privilegiato, il quale presenta cambiali all'Istituto di eredito, con patto di garentirne la soddisfazione, si faccia pagare un dritto di provvigione; dritto proporzionato al pericolo, ed alla maggiore o minore fiducia ispirata dell'effettivo debitore. Non si nega che tale dritto di provvigione possa diventare gravoso, sia perché il traente meriti discreta fiducia, sia perché la cambiale passi per molte mani, e paghi varii risconti. Ma tutto questo non costituisce monopolio; la provvigione rappresenta legittimo compenso della malleveria, è un premio pel rischio, ed è anche l'anticipato pagamento della spesa e delle fatiche che forse costerà la riscossione, quando sia venuta la scadenza.

Un grande istituto di credito, specialmente una banca d'emissione, che tiene sul mercato titoli pagabili al portatore ed a vista, non dovrebbe altrimenti soccorrere la produzione e l'industria paesana che mediante fido alle principali case.

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Il piccolo commercio vive del credito che gli è fatto dai grossisti, in particolar modo dalle banche mutue o popolari, casse di risparmio, società cooperative e simili istituti, molto numerosi nelle contrade dove il credito è bene inteso. Queste società, trovandosi in quotidiano rapporto col minuto commercio, lo possono conoscere, valutare e per conseguenza soccorrere, facendo quasi da sensali alle grandi banche.

Torniamo al nostro Istituto. Negli anni che seguirono il 1860, fu dato straordinario svolgimento al metodo delle decimazioni pel pagamento delle cambiali. Sulla pratica di rinnovare il titolo, pagando l'interesse, più il decimo del valore capitale, nessuna precisa disposizione è stampata, sia nel vecchio sia nel nuovo regolamento. Fu ammessa, per tolleranza, fin dal 1818, ma tali forme ed accorgimento usava l'antica Cassa di Sconto, che non si tramutò mai in diritto, né produsse sensibili perdite. Dopo la rivoluzione, fu tale lo strepito dei giornali e dei debitori, che i commissarii permisero alla tolleranza di diventare regola.

Ogni qualità di scritte di cambio fu ammessa alla decimazione, e fu cambiata la maniera di calcolarla. Prima era proporzionata alla somma primitiva, per modo che si otteneva il pagamento nel termine di trenta mesi; dopo, venne ragguagliandosi alla somma gradatamente residuale, onde l'estinzione non si otteneva in meno di sei anni. Lo sconto diventò prestito; poiché le cambiali non avevano il debitore ed il creditore, non rappresentavano consegne di merci od altro atto di commercio, sibbene munificenza della cassa verso le persone ch'avevano carpito il fido, e pigliavano denaro a ragione molto più discreta di quella ch'avrebbero altrimenti ottenuta. Le somme poi erano restituite a spilluzzico; restavano immobilizzati, per lungo volgere di tempo, capitali procacciati coll'emissione di titoli pagabili a vista. Rispetto poi al piccolo commercio, la difficoltà di determinare chi fosse il piccolo commerciante fece sciupare molti quattrini. Secondo il criterio di certe Commissioni, qualunque ciabattino o rigattiere aprisse bottega era nel diritto di sottoscrivere cambiali ed averne la valuta di contanti. Non all'onesto commerciante facevasi dunque il prestito, sibbene a chi lo domandava col proposito deliberato di consumare una truffa.

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38. La legge monetaria, 24 agosto 1862, mise in grande angustia gli amministratori ed impiegati del Banco. L'art. 11 dice:

"Nei contratti e negli atti pubblici, nei registri di contabilità delle pubbliche amministrazioni, ed in ogni altro libro o documento che riguardi gli interessi del pubblico, i valori devono essere calcolati ed espressi di lire e centesimi della moneta italiana; ogni contravvenzione commessa, da un uffiziale pubblico, alle disposizioni di questo articolo è punita con la multa di L. 50."

"Una medesima obbligazione, di esprimere i valori in lire e centesimi della moneta italiana, è estesa a tutte le scritture private, a datare dal 1° gennaio 1863. I contravventori sono soggetti ad una multa da lire 5 a L. 50."

Si dovettero, per conseguenza, cambiare tutt'i registri e tutte le scritture, e fu necessaria la calcolazione del ragguaglio in lire pelle reste a ducati di tutt'i conti aperti; cioè per varii milioni di fedi, polizze e polizzini, cambiali, cartelle di pegno etc. che al giorno 31 dicembre 1862 figuravano come debito o come credito. Notisi che fu promulgata la legge prima di mettere in circolazione la moneta decimale, sicché le scritture si portavano a lire e centesimi, le riscossioni e pagamenti si facevano con ducati e grana. Questa medesima legge ammise il doppio tipo, oro ed argento, dichiarò obbligatoria l'accettazione, per qualsivoglia somma, tanto della moneta di oro quanto dei pezzi da 5 lire d'argento, (1) e con l'articolo 7 disse:

"Niuno è obbligato a ricevere, nei pagamenti, una somma maggiore di lire cinquanta, in monete divisionarie (pezzi da L. 2,1, 0,50, 0,20) le quali sono invece senz'alcun limite ricevute nelle pubbliche casse. La moneta di bronzo può essere impiegata,nei pagamenti, solamente a compimento delle frazioni di lira."

Le difficoltà, pel Banco, di eseguire questa legge non stavano solo nell'obbligo di cambiare i sistemi contabili. L'Istituto, che teneva separate scritture pei vari metalli, ed anche per determinati tipi di monete, dovette sollecitare

(1) Cosa già condannata dalla scienza economica. Questa ha messo fuori dubbio, sia con ragionamenti,sia con la storia dei prezzi, che cambia il valore relativo dell'oro ed argento. Un gramma di oro, che adesso si permuta con quindici di argento, può, dopo qualche tempo, valere quattordici ovvero sedici, secondo che muta la produzione e la richiesta dell'uno e dell'altro metallo. Quando dunque la volontà del legislatore stabilisce un rapporto proporzionale, fissando il peso cosi delle monete d'oro come di quelle d'argento, e con arbitraria determinazione della equivalenza, succede che le riscossioni ed i pagamenti siano fatti col metallo che vale meno.


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un decreto ministeriale sulla fusione dei conti oro ed argento. (1)

(1) Il Ministro delle Finanze

Volendo provvedere a vari dubbi surti nel servizio pratico del Banco di Napoli;

Considerando che avendo il Banco espressamente conservato, nei suoi titoli, il patto di rimborsarne il valore colla moneta del metallo che rappresenta, non possa disertare dai principi incrollabili del dritto comune, e quindi debba religiosamente rispettarlo. Che siffatta teoria viene apertamente ritenuta nel sistema pratico con cui il Banco stesso attualmente regola la sua scrittura, vale a dire tenendo il doppio conto argento ed oro, da cui s'inferisce con chiarezza che non abbiasi inteso confondere il duplice tipo metallico. Che non valga il aire che il banco, in virtù della legge 21 Agosto 1862, possa sottrarsi dalle osservanze del principio, avvegnaché la legge cui si accenna non ha distrutto il tipo argento, e perciò il Banco non è messo nell'assoluta impossibilità, per negarsi all'esatto adempimento del patto cui è tenuto, senza urtare la legittimità dei dritti dei suoi deponenti e scuotere la base fondamentale del suo credito; che ciò non pertanto, qualora i deponenti e loro cessionari non incontrassero alcuna difficoltà a riceversi somme in oro, per rimborso delle bancali di valore argento, niun dubbio che il banco possa prestatisi, senza pregiudizio alcuno.

Considerando che tanto il Banco che la cassa di sconto, nel ricevere e fare i pagamenti, non possono sottrarsi al dettato nella legge 24 Agosto 1862; ma che il Banco, esclusivamente nelle relazioni coi suoi deponenti, sia facoltato a dichiarare sotto quali condizioni intende ricevere, da ora innanzi, i depositi, qualora le stesse non siano in opposizione alla legge.

Considerando che a soddisfare quei pagamenti che potranno venir domandati in argento dagli esibitori di titoli di tale metallo, sia indispensabile tenersi una sufficiente riserba di tale moneta; che ciò non ostante, per effetto delle risoluzioni prese nel presente decreto, nel banco affluisce una quantità di detto numerario argento assai superiore al bisogno che possibilmente potrà sperimentarsi; che perciò tutto quello che sia da stimarsi eccedente, senza il benché menomo inconveniente, possa passarsi al governo, mercé il pronto rimborso, nei modi consentiti da' regolamenti.

Considerando che le copie delle polizze, estratte dai giornali, mancano delle formalità, dalla legge prescritte, per dare agli atti la caratteristica di autentici, e che le verifiche a cui potrebbero servire i giornali possono eseguirsi dagli altri ufficii bancali, sicché manca lo scopo per cui quei giornali furono dai regolamenti bancali stabiliti.

Decreta ecc.

Art.0 l.° Il Banco pagherà agli esibitori delle sue carte in argento l'equivalente in oro, a meno che espressamente reclamassero l'argento.

Art.0 2.° Ad oggetto di diminuire il numero dei suoi creditori di argento, tutte le operazioni della Cassa di Sconto, meno quelle che riguardano il Governo, da ora in avanti debbono essere eseguite sulla madrefede in oro, versando al Banco tutte le polizze d'argento, non che il contante che si esigerà in pagamento.

Art.0 3.° Similmente tutte le operazioni delle officine di pegnorazione, che superano le venti lire, debbono essere eseguite in oro, cumulandosi nella riserba metallica argento, tutte le somme che di tale metallo verranno restituite in riscatto di pegni.

Art.0 4.° Onde il Banco venga ad esimersi per l'avvenire da qualsiasi inconveniente, nei rapporti coi suoi deponenti, dal 1.° Gennaio 1863 in avanti, nelle sue carte, dovrà espressamente dichiarare, che la restituzione dei depositi sarà fatta in oro, oppure in argento.

Art.0 5.0 Ad evitare il cumulo delle monete in lire due, una e di quelle in centesimi cinquanta, di cui è parola nella Legge 28 Agosto 1862, il Banco, semplicemente nei depositi, non sarà tenuto a ricevere oltre la decima parte delle cerniate monete; e lo stesso sistema sarà serbalo nella restituzione a coloro che si negassero riceverne in maggiore quantità.

Art.0 6.° La riserba di metallo argento non potrà essere minore di L. 8 milioni e sulle quantità che eccederanno tal cifra potranno essere consegnate al Governo le somme di vecchia moneta non decimale, previo il pronto rimborso in effettivo oro, ovvero col mettere alla Cassa di Sconto e con l'interesse del 2 p °0; in conformità dei regolamenti cambiari della Banca Nazionale, o di altre case commerciali.

Art.0 7° Ove mai si sperimentasse il caso che la detta riserba diminuisca al disotto dello L. 8 milioni di sopra stabilita, sarà sospesa ogni ulteriore consegna di somma al Governo, ed il Consiglio di Amministrazione del Banco proporrà i mezzi opportuni ad aumentarla.

Art.0 8.0 Resta abolita la scritturazione delle polizze sui giornali.

Art.0 9.° Gl'impiegati che fin'ora sono stati addetti a siffatto servizio, saranno dal Consiglio di Amministrazione destinati negli uffici del Banco ove il bisogno lo esigerà. Dato a Torino li 17 Novembre 1862

Fir. Il Ministro - Sella

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Questo distrusse la secolare consuetudine, riconosciuta da leggi, ch'era un grande titolo di benemerenza pel banco, di determinare cioè quale metallo, od anche qual tipo di moneta fosse rappresentata dalla sua carta apodissaria. Non sapremmo abbastanza deplorare gl'infelici ripieghi coi quali cancellarono uno dei caratteri distintivi della valuta nominativa; proprio quello che ricordava i banchi Olandesi e per centinaia d'anni aveva fatto innocui, nel Regno di Napoli, gl'inconvenienti del polimetallismo e del lavorìo di zecca non concordante coi bisogni del mercato. Avendosi indicazione della qualità di moneta, nessuno poteva temere che il banco rimborsasse con valuta d'inferiore qualità. Ogni criterio d'aggio, come pure di perdita o guadagno, per decorrere di tempo e per modificazione del relativo prezzo dei metalli, era dunque escluso dall'indole stessa della carta bancale. Le nostre casse non solo erano regolatrici della circolazione, ma servivano pure come serbatoi delle quantità superflue; dappoiché, quando cominciava a correre aggio sfavorevole per uno dei metalli, o per qualche determinata moneta, il possessore usufruiva del dritto di permutarlo con titolo creditorio, universalmente accetto e ricevuto al prezzo nominale.

Le controversie per l'applicazione del sistema decimale non vennero da questo criterio teorico, di cui non tennero conto, sibbene dallo scapito che ragionevolmente se n'aspettava il banco per l'interiore qualità della roba nuova. Avendo la Zecca coniato moneta spicciola d'argento, al titolo di 835 millesimi, ed essendosi poi detto che nei pagamenti se ne dovessero accettare lire 50 e non più, il Banco correva rischio che tutta questa moneta spicciola restasse nel suo Tesoro. Infatti, mentre che pel carattere di pubblico cassiere doveva prenderne la quantità che somministrava il Governo e l'altra che tutta la clientela versava per accreditare madrefedi o per avvalorare fedi di credito, non aveva poi dritto di pretendere che i creditori ne accettassero più di lire 50.

L'officina Cassa di Sconto ebbe anch'essa facoltà di giovarsi dell'art. 7, rifiutando la moneta spicciola d'argento, per somma maggiore di L. 50. Però le operazioni di collocamento avevano importanza troppo minore di quelle apodissarie; per ogni sacco di spezzati, che la Cassa di Sconto rifiutava, n'entravano cento nella Cassa di Corte o dei Privati. E quello stesso sacco rifiutato poteva benissimo diventare una fede di credito, che la Cassa di Sconto avrebbe ricevuta.

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L'accettazione della moneta decimale trovava invincibile ostacolo nelle abitudini del popolo Napoletano.

Conviene anche dire che questa legge monetaria, 24 agosto 1862, fu pessimamente eseguita, sia perché non si ritirarono in breve tempo le monete Borboniche, sia perché si tardò troppo a mettere in circolazione le monete decimali, e non si provvide alla difficoltà del cambio.

Per molti mesi, quelle lire e centesimi che la minaccia d'una multa faceva servire di base ai computi, furono più rare delle medaglie Puniche. Ogni individuo doveva dunque tenere i conti con una moneta; riscuotere o pagare con un'altra. Quando finalmente il Governo fece cominciare la coniazione dei pezzi decimali,, preferì le lire o mezze lire; perché il titolo procacciavagli un utile di 7 1|4 per cento circa, ed anche perché aveva detto, con l'art. 6 della legge:

"I pezzi da L. 5, di argento, al titolo di 900 millesimi, non si conieranno se non per conto e sopra domanda di privati, ed avranno corso legale al pari delle monete di oro."

Tutti però sapevano di quanto il valore intrinseco degli spezzati fosse inferiore a quello dei pezzi da 5 lire; ed anche minore di quello dei carlini o tari, che avevano ovvero di fino.

Rifiutandosi dal pubblico le nuove monete, perché scadenti ed ignote, quella grande quantità di lire e mezze lire, che usciva da zecche nazionali o estere, la tesoreria di Napoli consegnava alle casse del Banco, pigliando invece fedi, polizze e crediti per madre fedi, che adoperava per i suoi pagamenti. Gravi perdite temeva l'Istituto se per avventura i proprietari della carta, domandandone il pagamento in oro e argento, avessero rifiutato le quantità di moneta spicciola maggiori di L. 50.

Pel bronzo, peggio! Trentadue milioni di lire, in soldi e centesimi, furon coniati, per ordine del Governo Italiano, in zecche forestiere, dagli appaltatori della monetazione Estivent, Colombier etc. e vennero quasi tutti a Napoli nel 1863, alla cassa del Banco, che offeriva la comodità di permutare con carta.

Da ciò inconvenienti di ogni sorta. I cambiavalute facevano monopolio sulla moneta di bronzo e sulla carta che la rappresentava, con aggio a loro favore che giunse al 4 per cento; la tesoreria dello Stato pagava con polizze del conto bronzo, adoperando la cassa del banco per metterne in giro eccedente quantità; temevasi che gli appaltatori della monetazione, sedotti dallo straordinario guadagno, potessero coniarne più di quanto si era convenuto.

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Il pubblico non voleva quella roba, ed il Banco era costretto a tenere 56 impiegati nella sua Cassa del bronzo, spendendo, pel solo materiale, per sacchi cioè, corde, registri, più di lire ottomila all'anno.

Non si seppe trovare altro rimedio che sopprimere questa cassa del bronzo, essendosi gli amministratori convinti che faceva danno al paese, mentre rovinava la reputazione dell'istituto, per la perdita che subivano i portatori delle mentovate polizze di tesoreria. Dopo due giornate di dispute nel Consiglio Generale (16 e 20 biglie 1863) fu invitato il Tesoro dello Stato a ripigliare il bronzo, e chiudere le relative madrefedi. Si approvarono eziandio, unanima mente, le seguenti due proposte:

"1. Il Banco, dal 1.° gennaio 1864, cesserà dal fare operazioni d'introito in contante di bronzo.

"2, Dal 1.° gennaio 1864 al 31 dicembre, detto anno, il Banco, farà operazioni sulle fedi, madrefedi, e polizze di bronzo già emesse (1), elasso il quale periodo i possessori di tali effetti avranno soltanto il dritto di ritirare, in una sola volta, in numerario, la moneta depositata."

Per gli spezzati di argento poi, il Consiglio Generale medesimo (tornata 3 Decembre 1863) manifestò i suoi voti al Governo affinché:

"1. La coniazione degli spezzati sia fatta in moneta eia due lire, in preferenza di quella da una lira, ed in tanta quantità da far fronte alla quantità di vecchi spezzati.

"2, Siccome gl'inconvenienti pel baratto, fra la vecchia e la nuova moneta, si verificano più per gli spezzati che per le piastre,così occorrerà che le piccole monete borboniche fossero ritirate a preferenza delle piastre.

«3. Ritirare la vecchia rame con nuovi spezzati e non col bronzo,per non contravvenire alla legge.

"4. Provocare, per mezzo dei poteri competenti, una modifica alla legge 24 agosto 1862, nel senso che i pagamenti, invece di eseguirsi con la quota fissa di 50 lire in moneta spezzata, fossero fatti per un decimo o per un ottavo nella indicata moneta".

(1) Questi termini perentori si dovettero poi prorogare. Deliberazione del Consiglio Generale 5 gennaio 1865.

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Molti provvedimenti occorsero per levare dal mercato la moneta napoletana, sostituendo il sistema decimale. Nondimeno gl'inconvenienti ed i pericoli cessarono solamente nel 1866, pel danno assai più grave derivante dall'applicazione del corso forzoso. Ma non fu colpa del Banco, che da parte sua si adoperò, con la massima energia, onde il passaggio dal vecchio al nuovo sistema monetario fosse fatto col minore danno e fastidio dei cittadini. Sul finire del 1864, quando cioè le zecche italiane avevano quasi fatta la riconiazione delle piccole monete di argento, ma si subivano gli effetti di una crisi monetaria, che colpì tutte le Borse di Europa, con incalcolabili perdite ed aggravio d'interessi, il Banco ebbe il coraggio di dire che accettava qualsivoglia quantità di moneta spicciola di nuovo conio, ma che non intendeva di costringere i suoi creditori a prenderne più di quanto volessero.

Bastò questo per togliere la paura e le difficoltà, avvegnacché tutti mandavano al Banco la moneta 835/1000 cambiandola con fedi di credito, pagabili dopo in oro o in moneta 900/1000. La lieta accoglienza fatta dal Banco agli spezzati di argento valse per sé sola a metterli in credito od almeno a diminuirne l'antipatia. Avendo ciascuno modo di sbarazzarsene facilmente, mancò la ragione di rifiutarli o di tenerli in uggia. Si ritirò pure la vecchia moneta, e si diffusero nel minuto commercio i nuovi spezzati d'argento, con semplicissimo espediente, che fu l'apertura di dodici officine di cambio nei varii quartieri della città. Ivi il baratto della vecchia con la nuova moneta era fatto, dai fattorini del banco, senz'aggio. In breve tempo furono levate dalla circolazione lire undici milioni della prima, emettendo egual somma dell'altra, non ostante che il valore intrinseco o titolo fosse inferiore.

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39. Vecchio desiderio dei Napoletani erano le casse di risparmio, che il Governo dei Borboni, per inesplicabile antipatia, aveva sempre contrariate. Una sola timida prova era stata permessa alla Società di assicurazioni diverse; ma con ordinamento della cassa per la società vessatorio, scarso di beneficio pei depositanti, cosicché poco s'era raccolto, e quel poco apparteneva a persone agiate, cioè agli stessi azionisti della società, ed a persone che avevano con questa quotidiane relazioni, per affari bancarii.

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Il Governo Nazionale vide la necessità di divulgare l'uso dei piccoli depositi ad interesse e dei libretti nominativi. Ma la vera occasione di fondare altra cassa di risparmio fu l'incredibile numero di petizioni per elemosine che, nei primi mesi, si presentarono a Vittorio Emmanuele ed ai suoi Rappresentanti. I tesori di Golconda non sarebbero bastati a soccorrere tanta gente. La risposta negativa che facesse minor danno alla popolarità del nuovo Monarca, dei Luogotenenti, e del Municipio, si stimò poter consistere nel dono di un piccolo capitale, per la fondazione d'un istituto di previdenza. Con grande sfoggio di rettorica, furono, dalla stampa liberale, incolpati i Borboni della petulanza de' richiedenti; e sviluppate teorie intrinsecamente giuste, vale a dire che la nuova cassa avrebbe giovato molto più dell'elemosina, sia perché offeriva a chiunque volesse giovarsene il modo di provvedere agl'impreveduti bisogni, sia perché doveva diffondere principii di morale, di ordine, di assegnatezza. Per siffatte ragioni furono donate L. 152,250, e nacque la cassa di risparmio.

Non mancarono sul principio difficoltà e perdite di tempo. Il primo statuto, fatto per regolarne l'amministrazione, che porta la data 30 marzo 1801, ebbe l'approvazione del Luogotenente Farmi, ma rimase lettera morta, e la cassa non si potette aprire a quell'epoca, per le preoccupazioni politiche che impedirono di pensarvi seriamente. Anche le pratiche del Luogotenente Lamarmora niente conclusero; e solamente ai 14 settembre 1862, con la firma del Ministro Pepoli, comparvero sulla Gazzetta Ufficiale il decreto costitutivo della cassa di risparmio ed un nuovo statuto. Quest'ultimo era stato discusso e proposto da una commissione della quale fecero parte Giovanni Manna come Presidente, Nicola Nisco come Segretario.

Troppo piccolo era il capitale di L. 152,250; e difficilmente avrebbe attecchito la cassa di risparmio Vittorio Emmanuele, se il Banco non provvedeva alle spese di fondazione e d'esercizio, alla sicurezza dei depositanti, agl'impiegati, ai locali ed a tutto l'occorrente. Fu la cassa dichiarata annessa al Banco di Napoli, ed ebbe sul principio una certa autonomia, per la ragione che nel 1862 il Banco dipendeva ancora dal Ministro delle finanze, ed il fisco non volle assumere nuove responsabilità.

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Pur nondimeno lo scopo dell'annessione fu d'improntare alla cassa di risparmio il nome del Banco di Napoli, quasi che sorgendo con la protezione del vecchio istituto, e togliendo esempio dal modo scrupoloso come è diretto, in breve avesse acquistato credito uguale. Il fatto rispose alla espet tazione. Nessun dubbio fu mai espresso sulla sicurezza dei depositi. Questi hanno sempre superato le speranze; sono giunti a somma che reca fastidio per la difficoltà di collocarla con lucro che permetta di pagare o capitalizzare gl'interessi. Salvo pochi mesi dell'amministrazione Avitabile, potremmo dire che la storia della cassa di risparmio si riduca alla storia di provvedimenti diretti a scemare il movimento dei capitali.

Quando fu restituita al Banco l'autonomia, mediante lo statuto del 1863, che ora riferiremo, cessarono le ragioni per le quali la cassa di risparmio stava divisa. I consigli direttivi della cassa stessa e del banco fecero pratiche per una completa fusione dei due istituti; e pareva che nessun ostacolo dovesse sorgere. Ma una lettera del Ministro di Agricoltura e Commercio al Municipio, poco benevola pel Banco, mise tutto in quistione. Il Ministro suggeriva al Comunale Consiglio di riflettere meglio sul voto già espresso, dicendo che non occorreva preoccuparsi del credito ovvero esistenza della cassa di risparmio, la quale poteva benissimo vivere e prosperare, indipendentemente dal credito, concorso e garanzia del Banco di Napoli, nel modo stesso che vivono e prosperano le casse di Milano, Genova, Bologna. Aggiungeva che prima conseguenza del voto definitivo sulla fusione sarebbe pel Municipio la perdita del dritto di nominare gli amministratori, che godeva coll'articolo 17 dello statuto 1862.

Letta tale nota ministeriale, il Consiglio Comunale dichiarò, (1) a piccola maggioranza, che non intendeva di voler perdere un suo privilegio colla rinunzia alla scelta degli amministratori. Consentiva la fusione; però col patto espresso che fosse mantenuto e confermato l'art. 17 dello statuto 1862.

Era assolutamente impossibile, per ragioni di competenza amministrativa, ed anche per dignità, che il Banco si rassegnasse a questo; onde il Consiglio Generale, dopo grave discussione, approvò unanimamente l'ordine del giorno, proposto dal Comm. Aveta.

«Letto il resoconto della tornata del Municipio di Napoli, del 30 giugno ultimo»

«Visto l'ordine del giorno, votato da quel Consiglio, ed espresso nei seguenti termini:

(1) Sessione 30 giugno 1864.

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«Il Consiglio, letta la nota del Ministro di Agricoltura e Commercio, e vagliate le ragioni in essa contenute, dichiarando di non rinunziare al diritto di nomina del Consiglio di Amministrazione della Cassa di Risparmio Vittorio Emmanuele, che gli concede il decreto organico della medesima cassa di risparmio, conferma la deliberazione del dì 11 aprile 1804, sulla fusione col banco, e passa all'ordine del giorno.

«Considerato che, dopo il voto esplicito ed incondizionato per la fusione della cassa di risparmio Vittorio Emmanuele col banco di Napoli, manifestato da S. M. il Re, dal Generale Cialdini, dal Municipio di Napoli, e dallo stesso Consiglio di Amministrazione di quell'Istituto, soli e veri interessati nella quistione, non era ragionevolmente a dubitare che altri ostacoli ed inciampi sorgessero, per ritardare l'autorizzazione superiore, e l'attuazione sollecita di quella progettata annessione».

«Che, lungi ogni idea di assorbimento, nell'accettare l'annessione completa, ed esprimere al governo il voto di convenienza ed opportunità che la cassa di risparmio si fosse fusa col banco di Napoli, il Consiglio Generale non ebbe, né potrà avere, altro scopo che quello di provvedere al più largo sviluppo ed alla maggiore solidità di una istituzione tanto provvida e benefica pel popolo, concorrendo coi suoi mezzi e con tutta la sua possa ad assicurarne la esistenza.

«Che, nella condizione fattale dai suoi statuti, e stante l'affluenza nelle sue casse di forti depositi di speculazione, per loro natura celeramente rimborsabili, (fatto cui non è estranea la fiducia ispirata nel pubblico dal sapersi la cassa di risparmio annessa al Banco San Giacomo) e la mancanza di convenevoli sbocchi di impieghi, fecero un dovere imprescindibile al Consiglio generale del Banco di Napoli, accorrere tostamente all'aiuto, e prevenire anche l'ombra di una crisi passeggera, che più che altrove avrebbe potuto addivenire funesta al credito, all'avvenire ed alla stabilità del nascente istituto.

«Che, per le vicissitudini ed oscillazioni che sogliono accompagnare l'esordire di siffatte istituzioni difficilmente la Cassa di risparmio, senza essere appoggiata al Banco di Napoli e confortata dal suo credito, avrebbe potuto resistere e far fronte alla urgenza e moltiplicità dei rimborsi, colle sottili ed esigue risorse della sua primitiva dotazione, che appena tocca le L. 152,000; e la quale a quest'ora sarebbe rimasta assorbita dalle prime spese di impianto, se il Banco non vi avesse altrimenti sopperito coi suoi mezzi, col personale e colla somministrazione gratuita dei proprii locali».

«Che, nella normalità del saggio d'interesse sugli sconti, con grave difficoltà, privata dell'appoggio di un potente istituto di credito, potrebbe la cassa di risparmio corrispondere un interesse ragguagliato al quattro per cento; posto mente che dai suoi impieghi non ne possa ritrarre che il '5 al massimo, e col dover tenere in sofferenza una riserva in numerario almeno della metà, per far fronte ai numerosi e successivi rimborsi; ed è questa anche una ragione validissima per determinarne la fusione».

«Che, improvvido consiglio sia quello, nell'interesse della cassa di risparmio, per ovviare ai possibili inconvenienti di estrazioni ed accumuli di capitali, e per metterla in grado ad ogni evenienza di far fronte a richieste straordinarie ed imprevedute di rimborsi, il determinarla a collocare i suoi fondi in rendita pubblica. Andandosi a ritroso di ogni principio economico, e della mala pruova fatta in Francia, che deplorevolmente ebbe a sperimentarne le disastrose conseguenze. Ciò produrrebbe un afflusso di capitali alla borsa, spostandoli dalla loro naturale destinazione, ch'è quella di sovvenire l'industria ed il commercio.

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Oltreché non è conveniente ne savio esporre il capitale dei depositi alle rapide ed iniprevidibili oscillazioni della rendita, facendo rimanere costantemente la cassa di risparmio sotto la minaccia di un vuoto e di una possibile crisi».

«Che, mal si giudicherebbe della progettata fusione della cassa di risparmio di Napoli, facendo un paragone con quello che si è verificato a Milano, Bologna, nell'Umbria ed in altri luoghi d'Italia. L'incremento e grandiose proporzioni di quegli istituti mettono capo in ragioni speciali, che non è del proposito rivangare, che bene ad essi permisero di sorgere ed ingrandire nella sfera della propria autonomia. Per accennarle in iscorcio, vuolsi ciò ripetere dall'organamento dei loro statuti, che in molte parte diversificano da quello adottato per Napoli, da condizioni economiche ed industriali diversissime, e massime dallo sviluppo dato al credito fondiario, operazione non consentita alla Cassa di Risparmio di Napoli».

«Che, come meramente gratuita e priva affatto di fondamento, il Consiglio Generale respinge da sé qualunque osservazione colla quale si sia voluto far credere che nel provocare ed accettare la progettata fusione, il Banco abbia voluto far torto alla popolazione Napoletana, quasi non fosse da tanto, o non sapesse concorrere e dar vita ad una istituzione di credito, da cui può e deve trarre molti ed innumerevoli vantaggi. Surta la amministrazione del Banco dal libero suffragio del popolo, fieri i suoi componenti di essere Napoletani, anche essi comprendono chetale un'accusa non li può riguardare. Però istituzione municipale antica e rispettata il Banco, come municipale la cassa di risparmio, dirette entrambe al vantaggio e progresso del popolo, non si potrà dai loro amministratori raggiungere il maggiore sviluppo, progresso ed ampliamento, se non si annettono e si uniscono in un sodalizio perfetto; e diventi un fatto quella fusione che ora si vorrebbe contrastare, con supposte ed insinuate idee di ambiziosi ingrandimenti ed indelicate ingerenze».

«Che, la fusione col Banco della cassa di risparmio, nel modo come venne prima liberamente votata e consentita dal Consiglio Municipale e dagli altri corpi interessati, anziché un fenomeno, invece di far torto alla popolazione napoletana, segnerebbe un progresso nella storia e svolgimento delle casse di risparmio; essendo un desiderato della scienza che, raccolti i piccoli risparmi, frutti di accumulata economia, una potente ed accreditata istituzione di credito li faccia valere e li metta nel torrente della circolazione, senza che la massa dei depositi costituisca un impaccio, più che una risorsa».

«Che, ritenuta e dimostrata la espedienza ed utilità della fusione, per raggiungere lo scopo ed essere conseguente ai principii, il voto che la proclama e la consacra vuole essere libero ed incondizionato, non già ristretto e vincolato, qual'è quello del Municipio, che ha creduto poter riserbare a sé la nomina degli amministratori della Cassa di Risparmio!

«Che, inaccettevole pel Banco, incompatibile, contraddittoria, risulta una tale condizione, perocché la fusione deve importare unità di gestione, di direzione, di amministrazione, e quindi di polso esclude una estranea ingerenza, che verrebbe ad esercitare un potere la dove la responsabilità non sarebbe la sua».

«Che, una doppia ed indipendente amministrazione contradirebbe ai regolamenti organici del Banco, distruggerebbe in fatto quella fusione che m principio si accetta; gitterebbe la confusione nella sua pratica attuazione; e potrebbe rendere il Banco garante e responsabile di fatti che non procedano dalla sua direzione».

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«Che, in ultimo, si tenga pure quel calcolo e quella buona ragione che si, voglia dei motivi che consigliarono il Banco ad accettare e consentire alla fusione, è oltremodo urgente che cessi una situazione precaria, che prolungata potrebbe essere produttiva d'inconvenienti e perturbazioni deplorevoli, le quali occorre ad ogni costo evitare».

«Il Consiglio (generale del Banco)delibera sospendersi ogni deliberazione sulla proposta avanzata dal Consiglio di Amministrazione; ma intanto esprimersi il voto al Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio,per dichiarare e protestare: che qualora si voglia ritenere la condizione apposta dal Municipio, per la fusione nel Banco della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele; modificando in ciò la sua incondizionata adesione dell'11 aprile, quanto a riserbarsi la nomina del Consiglio di Amministrazione, il Banco di Napoli non intende prestare all'uopo, sotto questa novella condizione, il suo consentimento;salvo a prendere, dietro le superiori risoluzioni, gli opportuni provvedimenti per regolare in prosiego le sue relazioni e rapporti con essa Cassa di Risparmio».

L'energico contegno del Consiglio Generale produsse buoni effetti, perciocché il Municipio fu sollecitato dal Ministero per novello studio della deliberazione; e di accordo cancellarono l'articolo che offendeva la dignità del Banco. Solo chiesero che la rendita del capitale donato dal Re e da Cialdini, quando fondarono la cassa, fosse al Municipio lasciata per le sue opere di beneficenza; su questo non s'incontrarono difficoltà, trattandosi di somma inferiore ad annue L. 10,000. Così nacque il decreto 20 novembre 1864, che consentì la fusione; onde la cassa di risparmio divenne un ramo d'operazioni del Banco, simile all'apodissario, allo sconto, ed agli altri svariati suoi servizi.

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40. Il merito maggiore dell'amministrazione Avitabile fu d'avere apparecchiato ed ottenuto un nuovo ordinamento del Banco, cioè il decreto 27 aprile 1863. Questo decreto, con la relazione del Ministro che lo accompagna, è l'unico moderno provvedimento governativo che mostri vero liberalismo. Bene si espresse l'Avitabile, chiamandolo atto eloquente di lealtà e giustizia, che manifesta con ammirabile chiarezza di quali ragioni finanziarie ed economiche tenne conto il Governo, quando rinunziò quasi ad ogni ingerenza nel Banco, gli lasciò la sua naturale autonomia, la pienezza dei suoi dritti, ed un'amministrazione niente fiscale.

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Giovanni Manna, egregio nostro concittadino, fatto ministro, volle far tornare l'istituto ai suoi principii; e non potendo giungere alla risurrezione delle confraternite, che con tanta sapienza avevano fondato i Monti di Pietà: non informato dell'antico sistema di designazione del successore; sistema che stimiamo abbia contribuito più di qualsiasi altra circostanza alla lunga e gloriosa vita dei banchi napoletani, costituì, col Consiglio Generale, l'assemblea che rappresenta l'universalità degl'interessi.

Riferiamo per intero tale relazione e decreto, dai quali comincia un nuovo periodo di storia del Banco.

Storia non meno istruttiva dell'anteriore; che ci proponiamo di raccontare, completandola colle minute descrizioni degli ordinamenti contabili ed amministrativi, quando l'Italia avrà la promessa legge di riordinamento bancario.

Relazione a S. M. fatta nell'udienza del 21 aprile 1863, in Pisa.

Il Banco di Napoli, nella forma in cui si trovava ridotto dal passato Governo, non poteva ulteriormente continuare. Istituito nelle sue origini a beneficio dei privati e per alcune opere di pietà, era esso diventato, a poco a poco, un amministrazione strettamente legata e dipendente dalle finanze, di cui servivasi largamente il Tesoro.

Già il Cav. Farini, primo Luogotenente di V. M. nelle province napoletane, avea cercato di ridonare a quell'Istituto una amministrazione meno dipendente dal Tesoro, e quindi una garantia maggiore ai privati depositanti, coll'ordinare altrimenti il Consiglio di amministrazione, coll'abolire il Reggente, il quale fino a quel tempo era stato un vero impiegato del Governo, e col porvi soltanto un Censore. Ma questi soli mutamenti non bastavano a togliere ogni attinenza intima fra il Banco e il Tesoro dello Stato, né a finirla con una confusione dei due stabilimenti; ed iu una ingerenza governativa esorbitante c compromettente.

Un altro gran passo verso la separazione assoluta degli interessi del Tesoro da quelli del Banco era fatto allorché, pei regolamenti della contabilità dello Stato, applicati alle province meridionali col regio decreto del novembre 1861, veniva a cessare nel Banco di Napoli l'amministrazione dei fondi del Tesoro, col darsene il carico al Direttore dell'uffizio del Tesoro ed al Tesoriere presso di esso.

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Altro importante fatto era quello che il Tesoro dello Stato ritirava dalla cassa di sconto i boni della cassa di servizio, che, per la quantità di meglio che 20 milioni di lire, erano stati scontati dalla cassa di sconto (1).

Ma tutto ciò, se dava inizio ad un nuovo ordine di cose, non ispezzava recisamente tutti i legami che mantenevano il Banco di Napoli avvinto al Tesoro, e gli davano il carattere di una amministrazione finanziaria.

Ciò non può durare. Il Governo non può farsi amministratore dei fondi de' privati, né disporne a suo talento. Molto meno esso può regolare per lo minuto le operazioni della cassa di sconto, che è una delle dipendenze del Banco. Lo Stato non può farsi dispensatore del credito, né giudicare a quale saggio abbia a farsi, né chi lo meriti. Se ciò è incomportabile in qualunque forma di governo, è poi assurdo nel nostro, in cui il Governo deve offerire garentie a tutti, pel libero uso delle proprie facoltà.

Fin dai primi giorni, in cui da Vostra Maestà io mi ebbi affidata la direzione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, tolsi a studiare quali partiti si avessero ad adottare per uscire da questo stato anormale di cose, senza recare però nessuna scossa alla fiducia onde il Banco gode nella pubblica opinione in Napoli.

Un'altra ragione che mi spingeva a questa ricerca era l'opinione che io trovava radicata presso tutti coloro coi quali io avéa preso a trattare per la fondazione di una grande Banca Nazionale estesa a tutta Italia: lo sconto in Napoli, essendo regolato dal Governo, era impossibile a' capitali privati di esercitarlo in larga base, quando avessero ad ogni tratto ad incontrare la concorrenza di uno stabilimento amministrato direttamente dal Governo. E questa opinione era tanto ferma, che nei diversi progetti per la fondazione di una Banca Nazionale, che io trovava nel Ministero, erasi proposta la soppressione della cassa di sconto come dipendenza del Banco.

Se non che la voce sparsasi di questi stridii, che facevansi nel Ministero, esagerata e travisata per la incertezza del partito che il Governo sarebbe stato per adottare, dette origine al timore che si fosse voluto sconvolgere quell'istituto, e torgli alcuno dei suoi attributi. L'opinione pubblica in Napoli ne fu scossa.

(1) Il nome di Bono del Tesoro sostituito a quello di Bono della Cassa di servigio faceva sempre sussistere il fatto del mutuo allo Stato. Ritiro dei boni non significava restituzione dei denari.

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Ad evitare inutili polemiche, le quali nessun buon frutto avrebbero potuto produrre; io m'indirizzai, con lettera del 31 marzo, messa a stampa, alla Camera di Commercio ed arti di Napoli, per ispiegarle gl'intendimenti del Governo. La risposta della Camera non mi è ancor giunta: ma l'opinione pubblica si è apertamente pronunziata favorevole al mantenimento del Banco, con tutte le sue dipendenze, compresa la cassa di sconto. Se non che tutti han riconosciuto, quasi unanimemente, di dover esso ritornare ad essere un istituto interamente separato dal Tesoro e governato con norme diverse dalle presenti, che lo tengono sotto l'amministrazione diretta del Ministero delle Finanze.

Forte di questo appoggio dell'opinione pubblica, e trovando le stesse idee nel mio collega delle finanze, il quale è il primo a riconoscere gli assurdi, ed anche i pericoli e le responsabilità che il Governo può incontrare nei presenti ordini del Banco, io vengo, d'accordo con lui, e col parere unanime del Consiglio dei Ministri, a sottomettere all'approvazione della M. V. il seguente Regio Decreto pel riordinamento dell'amministrazione del Banco.

Lo spirito che informa questo Regio Decreto è quello appunto di spezzare ogni legame fra il Tesoro dello Stato ed il Banco di Napoli, e di restituire quest'ultimo alla sua vera indole d'istituto di beneficenza e di credito, come sono le casse di risparmio, il Monte de' Paschi di Siena, ed altre simiglianti utilissime istituzioni, onde l'Italia è sì ricca.

Non altra che questa era infatti stata l'indole del Banco di Napoli, fino a che un Governo poco scrupoloso non andò ad attingervi le risorse di cui mancava, per cooperare coll'Austria alla repressione della rivoluzione francese.

Prima di quel tempo erano in Napoli sette banchi, i quali erano sorti dal concorso d'illustri e pii personaggi napolitani. Costoro avea no voluto fondare dei Monti di Pietà, dove si ponessero in pegno oggetti preziosi e pannilini e stoffe, per averne danaro in caso di bisogno. Quei Monti esercitavano altre opere pie, come escarcerazione dei debitori, maritaggi, ospedali, ed anche riscatto di coloro che erano fatti schiavi da Barbareschi.

Col processo di tempo, i privati cominciarono a riporvi in sicuro il loro danaro, avendone invece delle cedole o polizze, ossia certificati di deposito, i quali erano accettati in pagamento senza difficoltà, mediante la semplice apposizione del nome, tanta era la fiducia che in quei Monti si avea. Fino il Tesoro dello Stato vi teneva il suo danaro.

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Cotesti istituti andarono sempre acquistando maggiore importanza, tanto che nel 1793 tenevano un deposito di circa 100 milioni di lire (somma enorme per quei tempi) e una proprietà valutata a L. 60 milioni circa.

Ma nel 1794 cominciarono tempi fortunosi per quegli antichi istituti. Ferdinando IV organizzava la guerra che, di unita all'Austria, far doveva alla Francia nell'anno seguente, nei campi del Piemonte e della Lombardia, dove si mostrò la prima volta il raro genio di Napoleone I. Ma, scarso di risorse, pensò di valersi di quel denaro che era depositato nei banchi. Dopo averli tutti riuniti in una solidale Amministrazione e posti sotto la dipendenza del Governo, fece emettere per L. 140 milioni di carte dei banchi; ciò che ne produsse il discredito. I banchi non si rimisero più dopo quella scossa, ad onta di molti provvedimenti adottati per l'assicurare la fede pubblica.

Il Governo francese, succeduto nel 1805 a quello del Borbone, in mancanza di mezzi per restituire ciò che erasi preso dalla caduta dinastia, studiò ogni modo di richiamare la fiducia universale; ma non poté riuscirvi. Esso però riunì in un solo tutti i banchi, ed aggiunse alle operazioni di pegnorazione quella dello sconto delle cambiali. Il Governo tentò di fondar questa con un principio più logico, qual era quello di costituire una società di azionisti per interessarsi nella cassa di sconto insieme al Governo. Gioacchino Murat soscrisse le prime azioni, per invogliare altri a seguitare l'esempio; ma il tentativo non ebbe successo.

Ritornata, al cadere del primo Impero francese, la dinastia dei Borboni, uno dei suoi primi atti fu il riordinamento del Banco, e sopra le basi allora stabilite quell'istituto si è governato fin oggi.

Esso però, quale fu costituito dal Ministro di finanze di quel tempo, il de Medici, diventò quello che è stato poi sempre, un istrumento del Governo per servirsi del danaro dei privati.

Infatti, il Decreto del 12 dicembre 1816, istituiva il Banco delle Due Sicilie con due casse, l'una detta dei privati, l'altra di Corte. Nella prima erano ricevuti i depositi di privati e con essi si faceva la pignorazione degli oggetti di oro, d'argento, metalli ignobili, gioie, pannilini e stoffe. Ad essa erano costituiti in garentia tutti i beni mobili ed immobili che ancor rimanevano di antica proprietà dei banchi.

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Nella cassa di Corte erano depositate tutte le entrate del Tesoro, ed essa faceva il servizio del Tesoro stesso. A sua garantìa erano dati i beni del Demanio dello Stato e le rendite del Tavoliere di Puglia. Era vi annessa una cassa di sconto per gli effetti del Tesoro e dei privati. Ma era data nel tempo stesso facoltà ai privati di depositare anche nella cassa di Corte il loro danaro.

La cassa dei privati era posta sotto la sorveglianza del Governo. Quella di Corte sotto la dipendenza del Ministro delle finanze.

Il Banco era governato da un Reggente, e da alcuni Presidenti e Governatori nominati dal Re.

Parea dopo ciò che, se non molte, almeno alcune garentie fossero date a' privati pei loro depositi; ma la facoltà data a costoro di porre anche nella cassa di Corte il loro danaro, era la prima origine di confusione fra gli interessi dei privati e quelli del Tesoro, e questa confusione veniva accresciuta dalla istituzione, avvenuta nel 1824, di una seconda cassa di Corte, dove erano ammessi del pari i depositi privati, e cui fu data l'opera della pignorazione degli oggetti d'oro e d'argento, in concorrenza di quella che già facevasi da]la cassa dei privati.

Da ciò nascea che non era possibile distinguere le casse di Corte e la cassa dei privati; e quindi la ingerenza, o a dir più veramente l'amministrazione diretta del Governo si estendeva a tutto.

E questa ingerenza esagerata diventava ancor più grave allorquando, col Decreto del 25 giugno 1818, affine di dar vita alla cassa di sconto, promessa due anni prima, autorizzavasi il Tesoro ad anticipare un milione di ducati (4,250,000 lire italiane) alla detta cassa, coll'interesse del 9 per 100, ridotto in seguito al 0, coll'obbligo di restituire sul dippiù degli utili.

Era ben naturale che il Governo volesse vegliare al modo come era amministrata quella cassa, e difatti tutto il regolamento del 1818 concorda nel dare al Ministro delle Finanze una disposizione quasi assoluta di essa.

Egli fissava il saggio dello sconto; egli doveva ogni settimana conoscere le operazioni che si faceano, egli poteva concedere sconti oltre i limiti fissati dal regolamento; egli infine potea variare questi regolamenti a suo giudizio.

Ma ciò non faceasi per sola libidine di potere. Nella cassa di sconto voleasi trovare modo di mantenere il debito galleggiante dello Stato, evitando il bisogno di negoziare i boni del Tesoro nella piazza, come si usa di fare da ogni altro Stato.

- 651-

Questi boni erano scontati dalla cassa suddetta al 2 per 100 appena, né rare volte il Tesoro ha creato rendita del debito pubblico, scontandola quivi per non uscire a venderla nella borsa.

Il Tesoro scontava quivi del pari le cambiali che riceveva dai negozianti, in pagamento de' dazi di dogana e per non lievi somme.

La cassa di sconto insomma era un istrumeiito di credito nelle mani del Tesoro, servendosi del danaro dei privati.

È superfluo, dopo ciò, ricordare tutti i regolamenti successivamente fatti dal Governo per la detta cassa. Essi, anziché mutar nulla all'ordine di cose creato negli anni 1816 e 1818, non ebbero altro scopo che di confermarlo ed allargarlo.

Il Banco era definitivamente considerato come un annesso del Tesoro dello Stato, ed avea perduto ogni qualità del Banco di depositi e prestiti privati.

I depositi privati erano investiti in non piccola parte di tali operazioni; le carte circolanti, emesse dalla cassa di sconto, erano vere creazioni, perché sui depositi dei privati si erano già dati i certificati di deposito, che circolavano in tutto l'ex-reame.

E perché meno si fosse potuto dubitare che il Banco era un istituto governativo, vi era stata unita anche l'amministrazione della Zecca dello Stato.

Ma perché mai, ad onta di ciò, la fiducia pubblica nel Banco non era stata scossa? Perché vi continuavano i depositi deprivati?

Varie ne sono le ragioni ed evidenti.

I certificati di deposito, o, come in Napoli addimandansi, fedi di credito, hanno avuto de' privilegi tutti speciali.

Sul dorso di esse potevasi fare qualunque contrattazione voleasi, fino di comprevendite di stabili di qualunque anche più ingente valore, senza obbligo di registro o di carta bollata. Il giorno in cui la fede di credito era restituita per pagamento al Banco stabiliva la data certa.

Quest'agevolezza è stata sempre considerata come della massima importanza.

Oltre a ciò il Banco prestava un servizio gratuito ai depositanti, i quali sull'ammontare de' loro depositi potevano trarre mandati in favore di terzi, Le case di commercio, tutta la gente un po' agiata, come tutte le amministrazioni pubbliche, si servivano di questo mezzo semplicissimo di pagamento, senza aver bisogno di tener presso loro il danaro.

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Le casse pubbliche erano tenute a ricevere le fedi come danaro sonante; e nelle province i cassieri dello Stato erano obbligati a mutarle in danaro.

In un paese dove mancava ogni altro istituto di credito, questi privilegi non importavan poco.

La circolazione in quelle province era quasi tutta di monete di argento..La moneta d'oro era stata sempre in piccola quantità, e dopo che nel 1853 le casse pubbliche ebbero divieto di accettarle in pagamento, diventarono anche più scarse. Per le grosse somme era meglio aver polizze del Banco.

Il Governo non avea mai tollerato che sorgesse alcuna istituzione di credito che avesse rilasciato biglietti al latore. Quale altro mezzo dunque rimaner potea per tenere in deposito i capitali, che il Banco?

E poi bisogna pur dirlo: la confusione che il Governo avea fatta de' depositi dei privati e pubblici aveva esteso nel fatto anche ai primi la garentia del Governo. Ognuno teneva per fermo, che questo non avrebbe mai potuto abusare del Banco in modo da compromettere i pagamenti delle fedi di credito; sarebbe stato un darsi la scure sui piedi e vedersi ad un tratto privato di ogni risorsa.

Ecco le vere ragioni per le quali il Banco di Napoli ha potuto continuare a godere della pubblica fiducia, non ostante la soverchia ingerenza governativa e l'abuso fattone.

Io ho già detto, in principio di questo rapporto, che, pei nuovi ordini di contabilità generale dello Stato, il Tesoro non si serve più del Banco di Napoli pe' suoi servizi. Il tesoriere della Direzione del Tesoro in Napoli ha invero in deposito il danaro che in Napoli si riunisce per conto dello Stato, ma ve lo tiene come ogni altro privato. Gli esiti dei Tesoro non si fanno più per mezzo dei Banco; non vi ha altro che un conto col tesoriere. Si paga anzi un compenso al Banco per questo solo servizio; cosa non mai fattasi prima.

In conseguenza, fino dal 1° gennaio 1862, le casse di Corte del Banco son finite di sussistere, e tutto il Banco è la sola cassa dei privati.

Né ciò soltanto; ma anche nella cassa di sconto è finito ogni interesse del Tesoro.

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Due erano questi: l'uno per buoni della cassa di servizio del Tesoro, i quali non erano circolanti sulla piazza, e che il Tesoro spesse volte rinnovava, pagandone il solo interesse del 2 per 100 l'anno. Ora ciò non più esiste. Il Tesoro li ha cambiati con boni del Tesoro italiano, a scadenza di pochi mesi, e che sono sempre soddisfatti regolarmente.

La cassa di sconto li ha come un impiego qualunque, e può realizzarli in piazza sempre che ne abbia mestieri.

L'altro interesse, che il Tesoro aveva nella cassa di sconto, era pel capitale di L. 4,250,000, dato a prestito nella sua fondazione nel 1818, coll'obbligo della restituzione, la quale si avrebbe dovuto eseguire mediante acquisto di rendita del debito pubblico, fatto al fine di ciascun semestre cogli utili della cassa, detrattane la quota spettante al Tesoro, per gli interessi del detto capitale.

Ma ciò non erasi mai eseguito. Il Banco aveva acquistato bensì delle rendite del debito pubblico, ma non erasi mai fatta veruna restituzione.

Intanto il Tesoro aveva in parecchi incontri fatto cedere alcune partite di rendita, ma come un diritto del Tesoro a partecipare degli utili del Banco in generale, e gli esempii di ciò erano stati non rari.

Ora, qualunque siano per essere le ragioni del Tesoro contro il Banco e viceversa, rimane indubitato che le somme così incassate dal Tesoro superano il capitale di fondazione della cassa di sconto, in lire 4,250,000; e che, salvo una liquidazione definitiva, può tenersi per fermo non essere più nel Banco la detta somma di conto del Tesoro.

Il perché il Ministro delle finanze ha consentito a dichiarare che, fatto salvo ogni diritto del Tesoro, e riservandosi un definitivo conteggio col Banco, il capitale di lire 4,250,000 trovasi già ritirato, e che in conseguenza è cessato ogni interesse del Tesoro nella cassa di sconto.

Anche la Zecca, la cui amministrazione era riunita a quella del Banco, ne è stata separata dall'anno scorso.

Stante dunque questa separazione, già avvenuta, il Governo può agire più francamente, e ridonare al Banco di Napoli la sua amministrazione; salvo la sorveglianza che il Governo ha dovere di esercitare su di ogni stabilimento che non sia puramente privato.

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E, perché questo nuovo ordine di cose apparisca più spiccatamente, il Banco cesserà di dipendere dal Ministero delle Finanze e passerà sotto la sorveglianza del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, al pari di ogni altro stabilimento pubblico di credito.

Ma come regolare questa amministrazione?

I veri interessati nel Banco sono coloro che vi hanno il loro danaro; ma coloro che vi hanno fatto il primo deposito di una certa somma non ne sono più proprietari appena che, avuta la fede di credito del loro deposito, ne hanno disposto, cedendola ad altri con una semplice firma del loro nome, e queste cessioni sono quotidiane e frequentissime. Può dirsi che tutto il pubblico sia interessato al Banco, perché tutti ricevono o possono ricevere i loro pagamenti in fede di credito.

Manca adunque una rappresentanza diretta degl'interessati nel Banco e non si può costituire.

È stato perciò necessario di aver ricorso ad una rappresentanza, dirò così, degl'interessi dell'universale.

Io propongo alla M. V. che voglia approvare che l'amministrazione del Banco sia affidata ad un Consiglio Generale e ad un Consiglio di Amministrazione.

Il primo sarà composto di membri elettivi, delegati dalla Camera di commercio, dal Consiglio provinciale, dal Consiglio comunale, e dalla Camera degli avvocati di Napoli; non che da' Presidenti della camera di commercio e del Tribunale di commercio, e dal Sindaco della città di Napoli.

E poiché anche in Bari c'è una cassa del Banco, concorreranno alla composizione del Consiglio Generale i delegati della Camera di Commercio e dei Consigli provinciali e comunali di Bari.

V'interverranno ancora i componenti del Consiglio di Amministrazione, perché è necessario che sia nel Consiglio Generale chi dia tutti i chiarimenti opportuni, e porti nella discussione i risultamenti della pratica quotidiana delle faccende del Banco. Essi intanto non avranno voto deliberativo nella revisione dei conti, ed in affari in cui sieno personalmente interessati, o abbiano presa parte come amministratori.

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Per altro, il Consiglio di Amministrazione, nel modo com'è da me proposto, offre tutte le garentie al Consiglio Generale. Ne faranno parte due de' suoi componenti, ed il Direttore del Banco e due Ispettori generali.

Il Banco avrà, oltre del detto Direttore, un numero di Sotto-Direttori e di Ispettori da determinarsi dal Consiglio Generale. Due degl'Ispettori avranno la qualità d'Ispettori generali.

Tutti costoro saranno sostituiti agli attuali Presidenti e Governatori, i quali costituiscono ora due Consigli, e le cui attribuzioni erano inconciliabili col nuovo ordinamento.

La nomina del Direttore, de' Sotto-Direttori e degli Ispettori io ho stimato dover essere riservata alla M. V., a mostrare come il Governo guardi con interesse a questo Istituto. Ciò si pratica per altri grandi stabilimenti di beneficenza di Napoli.

Questo sistema accrescerà le garentie per l'universale, senza togliere la loro responsabilità innanzi al Consiglio generale.

Oltre di questi mutamenti inevitabili, ho creduto doversi lasciare al Consiglio Generale il provvedere a tutti gli altri che occorreranno.

Il Consiglio Generale approverà i bilanci ed i conti consuntivi; delibererà sulle alienazioni, permute e transazioni de' beni del Banco; sulla organizzazione dei servizi o stipendi degl'impiegati, ed altri affari generali.

Per le sole riforme degli attuali Statuti del Banco occorrerà la approvazione del Governo.

Il Consiglio Generale si riunirà, ogni anno, in sessione ordinaria, al 1° novembre. Le sue sedute non dureranno oltre i trenta giorni. Esso si sceglierà il suo Presidente, Vice-Presidente e Segretario.

Potrà essere convocato, in sessione straordinaria, dal Consiglio di Amministrazione e dal Governo.

Se non che, per questa prima volta, dovendosi adattare l'ordinamento del Banco al nuovo sistema, io propongo alla M. V. di convocarlo pel 1° del prossimo luglio. Si avrà per tal modo l'agio di tutto preparare acciocché, pel 1° di gennaio 1864, funzioni il nuovo ordine di cose.

Come conseguenza di ciò, l'attuale Amministrazione continuerà nelle incombenze fino al 31 dicembre del volgente anno.

- 656-

Nel segnare il progetto di R. Decreto qui unito, la M. V. è per dare alla Città di Napoli un'altra prova dei sentimenti nobili e generosi ond'è animata verso quelle popolazioni.

Confermando gli statuti del Banco, garentendo i depositi che vi si fanno, da ogni deviazione in benefizio di altri che non vi abbiano interesse, affidandone l'amministrazione a persone delegate dai corpi che rappresentano, per diversi modi, gl'interessi economici di quelle popolazioni, e lasciando a questa nuova Amministrazione una grande libertà d'azione, il Governo della M. V. coopererà a volgere a vero vantaggio di que' popoli una istituzione la quale, sorta dalla pietà dei loro maggiori, era stata deviata dalla vera sua indole.

Io non dubito punto che quest'atto sarà apprezzato al suo giusto valore nelle Provincie Napoletane.

Né dubito medesimamente che il Consiglio Generale sarà all'altezza della sua missione. Esso saprà comprendere la franchezza e lealtà del Governo della M. V., e saprà rispondervi con pari franchezza e lealtà.

Le facilitazioni, confermate al Banco, per la circolazione delle cartelle che esso emette, e per le sue operazioni di pignorazioni e di crediti, lungi di essere, come per lo passato, un impedimento alla fondazione di altri istituti di credito, dovranno essere volte ad agevolare questa; perché soltanto col moltiplicarsi di tali istituti si estenderà la benefica azione dei capitali in tutte le branche dell'industria nazionale e si affretterà il miglioramento economico delle popolazioni di tutte le Provincie Napoletane, che è nei voti di tutti.

L'agevolezza, che è confermata, di fare pagamenti alle Casse pubbliche con fedi di credito del Banco, dovrà essere valutata in guisa da rendere agevole al Tesoro qualche operazione, non di credito, ma di depositi e giro di fondi nelle occorrenze, e da prestarsi volentieri a rendere qualche uffizio al Tesoro, come sarebbe per avventura il pagamento dei semestri di rendita dello Stato e simili.

Se il Tesoro favorisce il credito del Banco, con accettare le sue carte, è giusto che gli si renda qualche servizio di poco conto.

Sono perciò certo che il Consiglio Generale, comprendendo tutte queste necessità, ne terrà il dovuto conto nelle proposte che sarà per fare nella sua prima sessione.

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Real Decreto del 27 aprile 1863 N. 1226.

VITTORIO EMMANUELE II. ecc.

Visti i Decreti del 12 dicembre 1816, del 26 giugno 1818, del 23 agosto 1823, dell'8 febbraio 1857, relativi al Banco di Napoli e diverse sue dipendenze;

Veduto l'altro Decreto, del 18 maggio 1857, col quale il Banco suddetto fu aumentato di un'altra Cassa di Corte nella Città di Bari;

Veduto il Decreto del 30 novembre 1860, del Luogotenente Generale nelle Province Napoletane;

Considerando che i Banchi di Napoli, i quali erano di origine Monti di Pietà, dove i privati mettevano in deposito il loro danaro, erano stati deviati dalla loro pristina istituzione, diventando un'amministrazione governativa, così per l'aggiunzione delle Casse di Corte pel servizio del Tesoro, nelle quali promiscuamente erano depositati il danaro dello Stato e quello dei privati, come per essersi dal Tesoro anticipate al Banco lire quattromilioni duecentocinquantamila, per la fondazione di una Cassa di Sconto;

Considerando che. per l'applicazione dei nuovi regolamenti della contabilità generale dello Stato, fino dal 1° gennaio 1862 sono cessate le operazioni e quindi le garentie delle Casse di Corte per servizio del Tesoro, e che, salvo la liquidazione definitiva dei conti, il Tesoro non ha più interesse nella Cassa di Sconto;

Volendo restituire il Banco alla sua vera indole, di uno stabilimento pubblico, nel quale il Governo non ha altra ingerenza se non quella della sorveglianza, e volendo nello stesso tempo dare garentie ai privati, per l'amministrazione dei loro depositi;

Sulla proposizione del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, di concerto con quello delle Finanze:

Udito il Consiglio dei Ministri;

Abbiamo decretato e decretiamo:

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Disposizioni Generali.

Art. 1. Il Banco di Napoli, con tutte le sue attinenze, cessando di dipendere dal Ministero delle Finanze, sarà, come ogni pubblico stabilimento di credito, sotto la sorveglianza del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.

Art. 2. Esso conserva i suoi attributi ed i suoi statuti, in quanto non sono opposti alle' disposizioni del presente Decreto, e salvo la revisione da farsene, a norma degli articoli 6 e 12.

Art. 3. L'amministrazione del Banco sarà affidata ad un Consiglio Generale e ad un Consiglio di Amministrazione.

Del Consiglio Generale.

Art. 4. Il Consiglio Generale si compone nel seguente modo:

Per la Città

di Napoli Sindaco della Città,

Presidente della Camera di Commercio ed Arti

Presidente del Tribunale di Commercio

Quattro membri eletti dalla Camera di Commercio

Quattro eletti dal Consiglio provinciale

Quattro eletti dal Consiglio comunale

Due eletti dalla Camera degli avvocati.

Bari

Due eletti dalla Camera di Commercio ed Arti

Due eletti dal Consiglio provinciale,

Altrettanti eletti dal Consiglio comunale.

I componenti del Consiglio di Amministrazione faranno parte del Consiglio Generale, ma non avranno voto deliberativo nell'esame dei. conti consuntivi , ed in ogni affare nel quale sieno personalmente interessati, o abbiano preso parte come amministratori.

Art. 6. L' uffizio dei componenti elettivi durerà per un triennio.

Essi potranno essere rieletti.

Le loro funzioni saranno gratuite.

Art. 5. Il Consiglio Generale è incaricato:

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I. Di discutere ed approvare il bilancio annuale e i conti consuntivi;

II. Di fissare gli stipendi del Direttore, Sotto-Direttori, Ispettori ed Impiegati;

III. Di deliberare sull'alienazione e permuta di beni di dotazione del Banco;

IV. Di deliberare, sulla proposta del Consiglio di Amministrazione, intorno alle modificazioni che si crederà opportuno di fare negli Statuti del Banco, salvo l'approvazione del Governo;

V. Di deliberare sulle modificazioni da arrecarsi ai regolamenti generali ed organici delle diverse dipendenze e sopra ogni altra proposta d'interesse generale, non che sugli altri affari che il Consiglio di Amministrazione giudicherà di presentargli.

Art. 7. Il Consiglio generale si riunirà in Napoli, ogni anno, il 1° di novembre, in sessione ordinaria, da non poter durare oltre trenta giorni.

Potrà essere convocato in sessione straordinaria, a richiesta del Consiglio di Amministrazione o del Governo.

Esso eleggerà il suo Presidente, il Vice Presidente ed il Segretario.

Le sue deliberazioni saranno prese a maggiorità assoluta di voti.

Il numero dei votanti, perché una deliberazione sia valida, dovrà essere della metà più uno dei componenti il Consiglio generale.

In ogni caso, dovrà intervenire un numero non minore della metà dei membri elettivi.

Art. 8. Nell'adunanza annuale, il Consiglio di Amministrazione presenterà, unitamente al progetto di bilancio dell'anno seguente, ed al conto consuntivo dell'anno precedente, una relazione sull'andamento dell'amministrazione del Banco e sui miglioramenti da arrecarsi.

Del Consiglio di Amministrazione.

Art. 9. Il Consiglio di Amministrazione si compone del Direttore e di due Ispettori generali del Banco, e di due Delegati scelti dal Consiglio Generale fra i suoi membri.

Il Direttore ne è il Presidente.

Uno degl'impiegati superiori del Banco eserciterà l'uffizio di Segretario.

Art. 10. Il Consiglio di Amministrazione eserciterà le stesse incombenze che sono ora attribuite all'attuale Consiglio di Amministrazione.

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Art. 11. Oltre il Direttore del Banco, vi saranno Sotto Direttori ed Ispettori, per le varie sue dipendenze.

Due dei detti Ispettori avranno la qualità di Ispettori generali.

Il Direttore e tutti i detti funzionari saranno nominati con Real Decreto, sulla proposta del Ministro di Agricoltura Industria e Commercio.

Disposizioni transitorie.

Art. 12. La prima adunanza del Consiglio Generale è convocata, in sessione straordinaria, pel 1° luglio corrente anno,'per prender notizia dell'andamento del Banco, stabilire le norme generali per la sua amministrazione; ed anche per regolare i rapporti tra il Banco e la Banca Nazionale.

Art. 13, L'Amministrazione attuale continuerà nelle funzioni fino al 31 dicembre 1863.

Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Pisa, 27 aprile 1863.

VITTORIO EMMANUELE

G. Manna - M. Minghetti.

- Luglio 2011

INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME

CAPITOLO I.

Fondazione ed ordinamento dei vecchi Monti di Pietà di Napoli

Leggi e fatti concernenti li mutui contro pegno 1538 a 1793

1. Fondazione del Monte di Pietà, malamente attribuita ad una espulsione degli Ebrei - 2. Monti di Pietà anteriori a quelli di Napoli; Controversie teologiche cui dettero occasione- 3. Il Monte di Roma. Applicazione del fervore religioso alle opere filantropiche - 3. Il Monte di Pietà di Napoli - 5. Il Monte dei Poveri - 6. La Casa Santa dell'Annunziata ed il Banco Ave Gratia Piena - 7. L'Ospedale degl'Incurabili ed il Banco di Santa Maria del Popolo - 8. Il Conservatorio e Banco dello Spirito Santo - 9. L'Ospedale e Banco di SanV Eligio - 10. La Chiesa, Ospedale e Banco dei Santi Giacomo e Vittoria-lì. Il Banco del SS. Salvatore-12. Antiche regole sui pegni. Pag. 3

CAPITOLO II.

Il servizio apodissario degli antichi banchi

1. Antichi banchieri a Napoli. Privilegio di Giovanna d'Aragona-2. Prammatiche di Carlo V. e di Filippo lì. - 3. Elenco dei banchieri. Notizie sui loro libri commerciali - 4. Dispute per le cauzione = 5 Tentativo di mettere un monopolio bancario (1580) - 6. Petizioni del Monte della Pietà e della Cassa Santa dell'Annunziata - 7. Il Banco Incurabiles - 8. Provvedimenti presi contro dei Banchieri - 9. Secondo tentativo di mettere il monopolio con la Depositeria Generale-10. Indole ed operazioni dei banchi nei primi tempi - 11. Le alterazioni di monete - 12. Sedicente riforma monetaria del Card. Zapatta - 13 Sospensione di pagamento dei banchi per le zannette- 14. Prammatica 10 aprile 1623 - 15. La Gabella sul vino -

- 662 -

16. Prammatiche sulle monete tosate-17. Altre sospensioni di pagamento al 1636 ed al tempo di Masaniello-17. L'ufficio di Regio pesatore e le monete scarse - 19. Dispute pel denaro demortuo-20. Riforma monetaria del Marchese del Carpio-21. Bilanci del 1701-22. Uso di tagliare le monete false o tosate-23. Fallimento del Banco e Casa Santa dell'Annunziata-24. Ordinanze dei Viceré Austriaci che proibiscono la riscontrata-25. Altro tentativo di monopolio bancario-26. Atti di Carlo III. e di Ferdinando IV.- La denunzia dell'Avvocato Rossi-28. Bilancio dei banchi al 1788....... Pag. 111

CAPITOLO III.

Appropriazioni fiscali e liquidazioni forzose; tentativi fatti per ricostituire i banchi ai tempi di Ferdinando IV e di Gioacchino Murat,

1794 a 1815

1. Ultimi atti amministrativi del marchese Palmieri - 2. Apparecchi di guerra e spese relative-3. Prime frodi nei banchi. Vuoti Todisco e Guarino-4. Giunta dei banchi e decreto di fusione 29 settembre 1794-5. Scredito delle carte bancali e sospensioni di pagamenti-6. Spedienti per l'aggio; confisca degli oggetti d'oro e di argento-7. Altre appropriazioni indebite-8. Atti della Repubblica Partenopea-9. Ritorno dei Borboni. Crediti sequestrati nei banchi-10. Proposta Zurlo; sua lettera ad Acton-11. Discussione alla Giunta di Governo. Parere del marchese Simonetti - 12 Editto 8 maggio 1800 - 13. Esecuzione di tale editto-14. Giunta dell'aggio. Annullamento di crediti contro del Governo o dei banchi-15. Tristi condizioni degli istituti di credito- 16. Nuovo ordinamento dei banchi e nuove frodi. Destituzione di Zurlo-17. Editto 18 agosto 1803-18. La Deputazione degli apodissarii-19. Le polizze di rame-20. Povertà dei Banchi all'epoca della Deputazione. 1 provvedimenti di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat-21. Legge 11 giugno 1806-22. Decreto 20 maggio 1808-23. Legge 6 dicembre 1808-24. Il Banco Nazionale delle due Sicilie - 25. Proposta d'introdurre i biglietti al latore-26. La Reggenza del Banco delle due Sicilie=17. Soppressione del Banco Nazionale. Decreti 22 marzo e 21 agosto 1809-28. Decreto 20 novembre 1809- 29. Esecuzione di esso-30. Pretensioni del Fisco ed imbarazzi del Banco per la tentata spedizione di Sicilia-31. Decreto 18 novembre 1810-32. Decreti 11 febbraio 1813 e 1 1 febbraio 1814-33. Crisi economica del 1813-34. Ultimi Decreti di Gioacchino, Pag......................................................................... 317

- 662 -

CAPITOLO IV.

Il Banco delle due Sicilie, 1816 a 1863

1. Stato del banco quando ritornò Ferdinando IV. Decreto 5 dicembre 1815-2. Nuovo ordinamento. Decreti 1 ottobre e 12 dicembre 1816-3. Regolamento ed istruzioni 26 febbraio 1817. Loro difetti-4. Altri difetti del regolamento del 1817-5. Il servizio dello Stato-6. La Cassa di Sconto. Decreto del 1818-7. Regolamento per i pegni di rendita-8. Operazioni della cassa di sconto dal 1818 al 1820.-9. L'archivio generale - 10. I pegni di tessuti e metalli - 11. Conseguenza pel banco della rivoluzione del 1820; confisca dei suoi certificati di rendita - 12. Progetto di fondare un banco per azioni. Discussione nel Parlamento Napoletano-13. Crisi del 1821 e Decreti del 1822 - 14. Provvedimenti per la zecca. I pegni di monete e di verghe - 15. La cassa del rame-16. Riapertura della Cassa Spirito Santo-17. Ordinanza dei diciottesimi 18. - Decreto 12 febbraio 1832 ed altri atti di Francesco I e Ferdinando II-19. Progetti del ministro d'Andrea-20. Regolamento della cassa di sconto 2 aprile 1839. Variazioni sul saggio dello sconto e la ragione degl'interessi - 21. Istruzioni 20 gennaio 1841 sulle rinnovazioni di pegni di rendita-22. Casse succursali di Palermo e Messina-23. Stato della cassa di sconto al 1834 - 24. Rivoluzione del 1848. Verifica e separazione delle casse di Sicilia-25. La succursale Bari-26. I pegni di mercanzie. Decreto e regolamento 3 febbraio 1858-27. Atti governativi del 1859 28. La situazione 31 luglio 1858-28. Operazioni della cassa di sconto dal 1818 al 1861- 30. La mancanza di succursali-31. Decreti di settembre e novembre 1860 - 32. Programma Avitabile-33. Crisi del 1861. Le minorazioni-34. Ostacoli all'accettazione della carta- 35. Piccole riforme-36. La cassa Donnaregina-37. Il Sedicente piccolo commercio - 38. Legge monetaria del 1862-39. La cassa di risparmio-40. Nuovo ordinamento del Banco, rapporto Manna e decreto 27 aprile 1863 Pag.......................................................................... 485








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