Il 13 maggio 1855 fu un giorno fondamentale per la vita e lo sviluppo
della città di Bari. Infatti in quel giorno, con
l’inaugurazione del nuovo porto voluto e reso possibile con
grande lungimiranza e determinazione da Re Ferdinando II di Borbone,
vennero rilanciate le antiche vocazioni mercantili e commerciali della
città, che divenne il fulcro economico ed imprenditoriale
dell’intera regione pugliese.
Nella seconda metà del ‘700 Francia ed
Inghilterra, disponendo di una notevole flotta mercantile, godevano di
una posizione di monopolio nel commercio marittimo col Regno di Napoli.
Ciò era la conseguenza del malgoverno dei viceré
spagnoli, della mancanza di una efficiente flotta e di un valido
sistema portuale.
Carlo III aveva ereditato i regni di Napoli e di
Sicilia in condizioni disastrose, per cui decise di intraprendere una
serie di riforme miranti soprattutto al rilancio dell’economia
dello Stato, ed emanò provvedimenti tesi al recupero dei porti
perché fossero incrementati anche i commerci ad opera
dell’emergente ceto mercantile, che si avviò a sostituire
l’antica nobiltà agraria nella guida amministrativa ed
economica delle città.
Con lungimiranza questa nuova borghesia vide il
futuro economico proprio negli scambi commerciali, e comprese quindi
l’importanza di avere grandi ed efficienti porti, insieme ad una
potente flotta.
Nel secondo periodo borbonico, infatti, dopo la
restaurazione ed il reinserimento sul trono napoletano di Ferdinando IV
furono emanate validissime leggi di navigazione, tra il 1815 ed il
1826, con il preciso scopo di favorire la ripresa economica ed il
miglioramento della bilancia commerciale del Regno nei confronti di
Francia ed Inghilterra.
L’abbattimento dei dazi doganali deciso da
Ferdinando arrecò inoltre notevolissimi benefici alle
esportazioni, e permise enormi recuperi di competitività sui
mercati europei nei confronti di merci provenienti da Grecia ed Africa.
Al tempo era fondamentale per l’economia di
tutto il Regno il commercio dei prodotti agricoli, in particolare
dell’olio prodotto particolarmente nelle masserie
dell’entroterra; gradualmente il commercio di questo prezioso
alimento venne accentrato nella città di Bari, e da lì
smistato verso i mercati del nord Europa.
La nuova borghesia quindi, che si arricchiva proprio
con il commercio e le esportazioni dei prodotti agricoli,
prevalentemente olio, mandorle e grano, si specializzò nei
traffici via mare.
Con grande intraprendenza, la nuova classe dei
“negozianti d’olio per mare” vide il futuro economico
della provincia barese proprio negli scambi commerciali fra le zone di
produzione agricola ed i mercati di consumo. Legati alla marina
mercantile ed in molti casi provenienti da famiglie marinare, con
esperienza e competenze commerciali notevoli, i negozianti d’olio
conoscevano bene i mercati dell’alto Adriatico e riuscirono a
costruire, attraverso i loro contatti e conoscenze, rapporti proficui
con quelle popolazioni.
Si assistette così ad un’intensificarsi
di iniziative, che videro i commercianti baresi grandi protagonisti
poiché riuscirono a controllare tutto il commercio di olio della
provincia, che veniva conservato nei depositi della città.
Attraverso tale espansione economica ed
imprenditoriale giunsero a controllare l’intera flotta
mercantile, costruendo o acquistando direttamente navi affidate poi al
comando di familiari ed amici, o comunque di persone della massima
fiducia e ben introdotte sulle piazze dell’alto Adriatico.
Fra il 1840 ed il 1855, dopo la costruzione, dopo la
costruzione della Camera di Commercio e della Scuola Navale, la prima
in Adriatico, l’esigenza di poter usufruire di un nuovo porto con
fondali profondi per consentire l’attracco di grandi mercantili
si fece pressante.
Già nel 1819 l’ingegnere Giuliani de
Fazio aveva avanzato una proposta di ampliamento del vecchio e piccolo
porto esistente. Questa proposta fu subito bocciata però dagli
stessi mercanti, perché non rispondente alle loro
necessità che li obbligavano a dipendere dal porto di Trieste,
ove erano costretti ad accettare condizioni spesso svantaggiose.
L’idea per risolvere il problema consisteva
nella costruzione di un grande porto, ex novo, ad occidente della
città, su fondali profondi, che avrebbe permesso la nascita di
una nuova società commerciale di navigazione.
Questa, utilizzando i bastimenti a vapore, avrebbe
incrementato il commercio estero e favorito soprattutto gli scambi con
la Francia.
La bontà di tale progetto si verificherà,
purtroppo, solo dopo la conquista del Regno delle Due Sicilie quando,
nel 1876, nacque la “Prima Compagnia Barese di Navigazione a
Vapore”, seguita subito dopo dalla “Società di
Navigazione a Vapore Puglia”.
Tra il 1830 ed il 1840, dunque, vari altri progetti
per la realizzazione del porto furono presentati: uno ancora ad opera
dell’Ispettore de Fazio, accantonato a causa dei lunghi tempi di
realizzazione e degli eccessivi costi, ed un secondo ad opera
dell’architetto Ercole Lauria, che prevedeva la realizzazione del
nuovo scalo in 8 anni e con un preventivo di spesa quasi dimezzato
rispetto al concorrente.
Quest’ultimo fu alla fine approvato da parte
del Consiglio di Stato nel 1847. Quando però nel 1851 giunse a
Bari il generale Carrascosa, Ministro dei Lavori Pubblici, si rese
conto che difficilmente anche questo progetto sarebbe stato realizzato,
ed intervenne il Sovrano in persona per sbloccare la situazione.
Ferdinando II, con Sovrana Risoluzione del
20/1/1851, commissionò agli ingegneri Bruno e Petrilli un
ennesimo progetto del porto, e l’Ingegnere Direttore di Acque e
Strade Don Luigi Giordano provvide ad elaborarne il grafico definitivo,
ubicandolo ad occidente di Bari.
Approvato dal Re, l’appalto dei lavori fu
assegnato alla ditta “Lembo e Ma succi”, con contratto del
16/5/1854 depositato presso lo studio del notaio Gaetano Calvani.
L’anno seguente, alle 10 del mattino del 13
maggio, ebbe luogo il rito della benedizione e alla posa in opera della
prima pietra del nuovo e modernissimo porto di Bari, alla presenza
dell’Intendente della Provincia marchese Ajossa, e dedicandolo al
Santo protettore della città “San Nicolò il
Magno”.
Lungo le mura della città vecchia furono
innalzate sei grandi tribune addobbate a festa con drappi di colore
bianco e rosso, decorati di gigli e fiori, di rosoni dorati e di
festoni; al centro, ben visibili, erano collocati i busti di Ferdinando
II e di Maria Teresa d’Asburgo. A sinistra le bande musicali.
Anche la strada era addobbata a festa, con drappi,
festoni e trofei.
Tutte le autorità religiose e civili presero posto,
insieme alle alte cariche della magistratura, i deputati del porto, gli
ingegneri nonché gli impiegati tutti del Reale Governo, e si
unirono sui palchi ai rappresentanti della classe dei mercanti, ai
signori ed alle dame più in vista della città.
Nel mare era un brulicare di barche, di scafi
mercantili e natanti di ogni genere, gremiti di popolo festante; le
bianche bandiere borboniche garrivano al vento. Il lido, i muri di
cinta, i balconi e le terrazze delle case erano gremiti di gente
festante e gioiosa.
Finalmente il reverendo Basilio Clary benedisse il
primo blocco marmoreo da calare in mare dove era stata inserita una
medaglia con l’effigie di Ferdinando II, che aveva patrocinato
con ferma volontà gli studi del progetto ed il reperimento dei
fondi necessari alla sua realizzazione.
Il rombo dei cannoni, il suono delle bande musicali,
lo scampanìo festoso delle chiese, il lancio di palloncini,
l’agitare frenetico di fazzoletti bianchi accompagnarono grida di
gioia e lacrime di commozione del popolo barese che, a gran voce,
levava al cielo il grido di Viva il Re, Viva Ferdinando II!
Al rito sacro seguì l’offerta di
rinfreschi, dolci e pastiglie di zucchero con lo stemma reale. La
pioggia battente non permise lo spettacolo delle luminarie e dei fuochi
d’artificio.
La sera infine, autorità ed invitati
raggiunsero il Teatro Piccinni, il nuovo teatro costruito su disegno
dello stesso ingegnere Giordano. Un triplice ordine di ceri lo
illuminava a giorno e ne esaltava la sfavillante bellezza, che lo
elevava al terzo posto tra i teatri dell’Italia intera.
La rappresentazione dell’opera “Il
Lionello” di Verdi ed un nuovo ballo, “Il Sogno”,
allietarono degnamente quella memorabile giornata di festa e di letizia
che rimase scolpita indelebilmente nel cuore del popolo barese, e fu
tramandata per generazioni.
I finanziamenti necessari alla gigantesca opera
furono reperiti attraverso l’autotassazione cui i commercianti
oleari si sottoposero spontaneamente ed assai volentieri; il Comune e
la Provincia contribuirono con la somma rispettivamente di 4000 e 6000
ducati annui, ai quali il Sovrano aggiunse 3000 ducati concessi in
prestito.
Inizialmente il progetto prevedeva la realizzazione
di due moli fra il Capo del Liceo e quello di San Cataldo, ad occidente
della città, il primo per la lunghezza di circa 106 metri (400
palmi), mentre il secondo sarebbe stato costruito ad una distanza di
circa 64 metri (240 palmi) dal primo. Tale progetto subì
notevoli modificazioni in corso d’opera a cura dello stesso
ingegnere Giordano, che provvide a congiungere i due moli separati con
una curva di raccordo.
Per la costruzione del porto vennero importati da
Venezia moltissimi larici, mentre per la pavimentazione fu utilizzata
la pietra lavica, tuttora esistente di colore scuro, denominata
“pozzolana”, fatta arrivare da Bacoli con apposite navi.
Nel 1856 i negozianti ed i marinai baresi donarono
all’erigendo porto una statua a mezzo busto di San Nicola, il
cosiddetto San Nicola Nero, proveniente dall’antica chiesa di San
Pietro delle Fosse. Il signor Vito Pancrazio, uno degli appaltatori dei
lavori, in un’apposita lettera all’Intendente della
Provincia cavalier Mandarini chiese il permesso di allocare sul molo di
levante la statua del protettore di Bari San Nicolò.
Nel 1857 l’appalto dei lavori fu trasferito a
Giuseppe, Agostino e Vincenzo Beltrani.
I baresi, in riconoscenza verso il sovrano, gli
dedicarono la più importante strada cittadina, il corso
Ferdinandeo, oggi conosciuto come corso Vittorio Emanuele II.
L’intendente Mandarini, leggendo nel 1858 il
discorso inaugurale del Regio Banco delle Puglie, aveva avanzato la
proposta affinché i cittadini baresi innalzassero una statua in
onore del Re, da collocarsi in corso Ferdinandeo, idea ripresa dal
sindaco Giuseppe Capriati nel 1859 quando si era diffusa la notizia
della imminente visita a Bari della famiglia Reale in occasione del
matrimonio del principe ereditario Francesco con la duchessa Maria
Sofia di Baviera.
Incaricati dell’esecuzione della statua
marmorea furono gli scultori Tito Angelini, Gennaro De Crescenzio,
Giuseppe Sorbillo ed Emanuele Caggiano. Tale progetto non fu comunque
portato a termine, a causa dell’occupazione militare del Regno
delle Due Sicilie.
Alla fine del 1865 il ministro dei LL.PP di casa
Savoia dispose il definitivo completamento del molo del porto,
prolungandolo di altri 200 metri e ripiegando per 450 metri verso la
punta di S. Cataldo, con un angolo di 140 gradi.
Questi lavori, affidati in un primo momento ai
pugliesi d’Atri, Sartori e Maraini, furono trasferiti
successivamente alla ditta Geisser di Torino e quindi
all’ingegner Casimiro Dini (!), iniziando anche in questo
l’opera di colonizzazione decisa con la conquista del Regno.
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