La patria è in pericolo. "Ritornano gli sconfitti della storia"; le forze "fanatiche", "reazionarie" e "sanfediste" dell'anti-Risorgimento sono lanciate in "una aggressione contro i principi laici e liberali che sono parte fondante della Costituzione repubblicana", con "propositi di erosione dell'assetto democratico della società".
È Alessandro Galante Garrone a gridare
ieri quest'allarme un po' spropositato in prima pagina di La Stampa con
un articolo - anzi un appello "firmato già da 66 intellettuali"
- di chiamata alla Nuova Resistenza: i sanfedisti assetati di rivincita
"devono essere respinti". La loro "provocazione è inaccettabile
per l'Italia civile".
Con chi ce l'ha? Con il tentativo, spiega, "nel meeting di Comunione e
Liberazione" di denigrare il Risorgimento.
Quell'evento già dimenticato dalla cronaca continua a irritare i
custodi universitari della Storia. Anzi, l'irritazione cresce
più il tempo passa. Galante Garrone è solo l'ultimo a
insorgere. Sempre su La Stampa, nella "data emblematica del 20
settembre" (sic) tre storici come Galasso, Salvadori e Tranfaglia hanno
già gridato la loro indignazione per "il revisionismo" della
"parte più primitiva del clericalismo italiano".
Il 22 settembre
su Repubblica Salvadori rincara: è "un revisionismo da
combattere". Il 26, un altro storico torinese, Angelo d'Orsi, torna su
La Stampa a spiegare: è vero, la "revisione è l'anima
della storia". Ma essa va strappata dalle mani "degli ideologi di
turno, siano i neointegralisti papisti o gli ammiratori del duce, per
arrivare fino ai negatori dei campi di sterminio nazisti". Solo "la
cultura democratica e razionalista conosce l'unico modo serio di essere
revisionisti".
Conclusione (nel titolo): "Il revisionismo è di
sinistra", altrimenti è un delitto. Esagerano? "Quel che
più spiace, è constatare che questa "ingiunzione a
tacere" viene da storici che sanno il loro mestiere", risponde lo
storico Giorgio Rumi. "Io sono un cattolico che difende il
Risorgimento, penso che l'Unità d'Italia sia stata un bene; non
per questo vilipendo chi combatté per i Borboni. Da una parte
perché i cosiddetti "vinti" sono miei concittadini. Dall'altra
perché so che il Risorgimento non fu la lotta fra Luce e
Tenebre, fra Progresso Laico e Reazione cattolica, raccontata da una
certa versione ufficiosa. I fatti e le persone furono molto più
complessi.
Cavour e Ricasoli erano dei cristiani. Visconti Venosta, il ministro
degli Esteri che preparò le condizioni per la presa di Roma,
visse una crisi di coscienza che trascinò per vent'anni. Il
tenente che aprì a cannonate la breccia di Porta Pia finì
frate di clausura. Nel Conclave del 1849, l'Austria mise un veto
sull'elezione di Mastai Ferretti, il futuro "reazionario" Pio IX,
perché lo giudicava troppo liberale".
Aggiunge Rumi: "Mi pare
penoso che quegli storiografi si arroghino un diritto di censura su chi
interpreta i documenti in modo diverso. Come se usassero la storia per
sacralizzare un assetto istituzionale di fatto, anziché per
scoprire come è davvero andata. La storia non si scrive per
difendere "la linea giusta".
La generazione di Galante Garrone è
quella che, giustamente, si disgustò della "romanità"
recitata dal fascismo. Dovrebbe dunque essere in grado di capire che i
giovani di Cl, proprio in quanto giovani, fanno la stessa cosa: sentono
finta la versione autorizzata del Risorgimento, non ci si ritrovano, la
sfidano. E la sfida intellettuale, poi, è il bello della
ricerca, storica e scientifica". Ma la "generazione dei Galante
Garrone" non ha accolto bene nemmeno la sfida di De Felice, la sua
lettura del fascismo.
"Giovanni Volpe fece lavorare alla Enciclopedia Italiana degli storici
che sapeva bene essere antifascisti", racconta Rumi a modo di apologo:
"Quanti di noi sapremmo, quanti saprebbero avere la stessa
generosità intellettuale, oggi? Volpi fu grande in questo. E
alcuni storiografi ufficiosi sono piccini". Dice Agostino Giovagnoli
(storico alla Cattolica di Milano): "C'è poco di storico in
questa chiamata alle armi degli storici.
Vedo un tentativo di risollevare una conflittualità, questa
sì antistorica, fra cattolici e laici: e la provocazione della
mostra di Rimini in fondo, fa comodo. Consente di gridare "al lupo" per
un lupo di carta. In realtà, oggi, laici e cattolici sono
entrambi minoranza di fronte a una società flaccidamente
adagiata nel vuoto di valori e progetti".
Un altro storico, Francesco
Traniello, docente di storia contemporanea a Scienze Politiche a
Torino, giustifica: "L'eccesso d'allarme di tanti storiografi laici,
fra cui ho molti amici, nasce dal fatto che quella mostra sull'"altro
Risorgimento" ha coinciso, del tutto casualmente, con la beatificazione
di Pio IX. Per di più in un passaggio politico, dove è
opportuno
"tener fermo" (lo raccomanda anche il Papa) un certo grado di
unità nazionale, contro derive disgreganti. E la reazione del
campo laico è resa più esasperata da un fatto: il tipo di
argomenti scelto dalla "provocazione" di Cl non appartiene agli
argomenti polemici tradizionali di quella che Spadolini chiamò
"l'opposizione cattolica", che è poi più il cattolicesimo
sociale che quello liberale. Quelli, non sono mai giunti ad attaccare
il mito dello Stato nazionale, a ridurre il Risorgimento a oppressione
criminosa. Del resto, anche molti cattolici non mi pare siano stati
contenti di quelle uscite cielline...".
Appunto: i ciellini sono
giovani d'oggi. Non chiedono a nessuno il permesso di pensare.
"D'accordo. Non ci sono argomenti-tabù.
Ma si deve sapere che nel campo laico certi nervi sono più
scoperti. Mi sentirei di invitare tutti a più reciproca
tolleranza.
Qualche elemento comune deve pur restare ed essere difeso da tutti".
Franco Cardini è canzonatorio: "Nel momento in cui tutti, destra
e sinistra, sono (a parole) per rifare l'Italia in senso federale, come
scandalizzarsi che qualcuno rilegga la storia dell'unificazione
nazionale? E poi, l'area culturale che ci ha rotto per anni le orecchie
col "vietato vietare", ora vuol vietare una lettura storica che discute
la storia ufficiale. Mi sembra che i veri clericali siano proprio loro,
i difensori d'ufficio della versione "intoccabile" del Risorgimento". E
Pietro Scoppola? "Non posso rispondere", si scusa, "perché sto
giusto scrivendo un articolo per Repubblica sul tema sollevato da
Galante Garrone. Anche in risposta della sciagurata manifestazione
anticlericale del 20 settembre". Lo leggeremo..
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