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La supplica al Re delle Due Sicilie

di Cavour, Balbo e decine di altri

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Della lettera di Cavour al Re Ferdinando II lessi la prima volta nel libro di Scarfoglio, poi molti anni più tardi l'amico Gernone me la passò da pubblicare sul sito.

Oggi per caso me la son ritrovata mentre cercavo altro su internet. L'ho ritrovata in due versioni, una pubblicata nel 1868 a firma di Balbo e Castelli e la cosa mi ha sorpreso non poco, un'altra pubblicata addirittura a Firenze nel 1859 - una versione diversa da quella più nota (si fa per dire, quanti sanno che Cavour si rivolse a Ferdinando II?). Una versione, quella del 1859, si legge nel libro da cui la prendiamo, sottoscritta da decine di persone abbastanza note del cosiddetto risorgimento italiano.

Evidentemente, allora Ferdinando II non era ancora quella negazione di Dio inventata dagli inglesi nel 1851 e santificata dalla traduzione del Massari a Torino (Massari, quello della Commissione parlamentare sul brigantaggio, gira gira son sempre gli stessi nomi che uno si ritrova tra i piedi).

Quando mi capitano queste sorprese mi viene spontaneo da pensare che è proprio vero che i vincitori hanno operato una sorta di bonifica nei documenti storici, pubblicando solamente ciò che era funzionale al loro dominio.

Zenone di Elea – 6  Agosto 2013

ARCHIVIO STORICO  ITALIANO

NUOVA SERIE - TOMO NONO
PRESSO G. P. VIEUSSEUX EDITORE
FIRENZE
1859
Pag. 186

L'abate Coppi inserisce, com'egli è solito, nella sua opera, per via d'estratto od interi, molti e capitali documenti sopra i quali si appoggia il suo racconto. Tra questi, ci piace trascegliere e riprodurre, di poco abbreviandola, una petizione, o, come la dicono, rappresentanza, che, sul cadere del secondo anno, alcuni italiani giudicarono opportuno d'indirizzare a Ferdinando II, allora re delle Due Sicilie.


Sire.

Non sudditi di Vostra Maestà, ma italiani di altre provincie, ed interessatissimi cosi al bene de' vostri popoli, della vostra corona e della nostra patria comune, noi ci accostiamo in intenzione al vostro trono, o Sire, per supplicarvi di voler accedere alla politica di Pio IX, di Leopoldo e di Carlo Alberto; alla politica italiana, alla politica della Provvidenza, del perdono, della civiltà e della carità cristiana.

Guardate, Sire, lungo tutta l'Italia, alla gioja de' popoli risorti, alla satisfazione de' principi autori delle risurrezioni; alla unione reciproca, alla pace, alla innocenza, alla virtù di tutti questi fatti nostri, ribenedetti dal consenso di tutta la cristianità; e giudicate voi se noi facciamo una stolta ed empia rivoluzione, ovvero non anzi una buona, santa, felicissima mutazione, secondante i voleri di Dio.

Sire, il vostro obbedire a tali voleri, il vostro accedere a tale mutazione, la farà più facile, più felice e più moderata che mai; ed aggiungendo un secondo al primo terzo degl'Italiani già risorti, costituirà risorta in gran pluralità la nazione nostra; la farà inattaccabile dai nemici, indipendente dagli stessi amici stranieri, libera e tetragona in sé; le darà forza, gravità e tempo di svolgere pacatamente tutta l'ammirabile opera sua; farà, in somma, i destini d'Italia, quanto possa farsi umana cosa, assicurati.

Ricuserete voi, all'incontro, di seguire la fortuna, la virtù d'Italia? Allora, o Sire, rimarrebbero sturbati sì nella loro magnifica via, ma non tolti di mezzo perciò i destini italiani. Non può, non può l'Italia rimanere addietro, diversa, contraria della civiltà cristiana, onnipotente, e trionfatrice non che di tutti questi piccoli ostacoli interni, ma di tutte le potenze umane, di tutti i popoli, di tutte le civiltà cristiane. Quali sieno, ora o mai, i nemici e i freddi e falsi amici d'Italia, l'Italia piglierà suo posto nel trionfo delle nazioni cristiane. Ma, forse, come già avvenne, gli ostacoli abbrevierebbero la via; forse (che Dio nol voglia) il rifiuto vostro troncherebbe immediatamente colla violenza le questioni più importanti del risorgimento italiano! Se non che, questo ne resterebbe forse guastato; forse non rimarrebbe più, come è finora, incolpevole, santo, unico al mondo e nel corso de' secoli! E perciò, o Sire, noi gridiamo dall'intimo del cuore e dell'anima nostra: Dio nol voglia! E perciò noi Italiani indipendenti da voi, ci facciam supplici a pregar, dopo Dio, voi, che nol vogliate (pag. 151-53).


Questa petizione fu sottoscritta da trentaquattro più o meno illustri Piemontesi (tra cui C. Balbo, C. Alfieri di Sostegno, C. Cavour, G. Durando, S. Pellico), e da trentaquattro segnalate persone degli Stati romani.

F. POLIDORI.



STORIA  DELLA RIVOLUZIONE DI ROMA DAL 1° GIUGNO 1846 AL 15 LUGLIO 1849

GIUSEPPE SPADA

Stabilimento di Giuseppe Pella

FIRENZE

1868

Pag. 448

Appunto in questi momenti venne presentato al circolo romano un indirizzo elaborato in Torino, in nome degl’Italiani dell’unione e diretto al re di Napoli, affinché cambiasse la sua politica, accedendo a quella di Pio IX, di Carlo Alberto, e di Leopoldo. Tale indirizzo veniva riportato dal Risorgimento, ed aveva per prima sottoscrizione quella di Cesare Balbo, e per ultima quella del conte Camillo di Cavour.

Presentato che fu l'indirizzo al circolo romano per l'adesione ai principi in esso sostenuti, vi apposero la loro firma circa una trentina d'individui, i cui nomi vennero registrati dalla Pallade. *

Tale indirizzo parve un atto di grave momento, sia per l'espressioni in esso contenute, sia perchè si vide che conosciutosi appena nel regno di Napoli o pochi giorni dopo, accadde prima la rivoluzione in Palermo e poscia in Napoli; ciò che determinò il re ad accordare la costituzione. Sembrò in soni ma o che l’indirizzo fosse richiesto dai Napolitani in antecedenza per trovare un appoggio al loro movimenti), o che seppure fosse spontaneamente escogitato in Piemonte senza l’intesa dei Napolitani, la sua lettura venisse in buon punto per determinar lo scoppio di quei movimenti che ivi stavansi maturando.

Ecco il testo dell’indirizzo estratto dal Risorgimento. 1

Proposta di supplica al Re delle Due Sicilie

DAGLI ITALIANI DELL’UNIONE.


Sire!

Non sudditi di Vostra Maestà, ma Italiani di altre Provincie, ed interessatissimi cosi al bene dei vostri popoli, della vostra corona e della nostra patria comune, noi ci accostiamo in intenzione al vostro trono, o Sire, per supplicarvi di volere accedere alla politica di Pio IX, di Leopoldo e di Carlo Alberto; alla politica italiana, alla politica della Provvidenza, del perdono, della civiltà e della carità cristiana.

Sire, l’Italia v'aspetta, l'Europa vi guarda Iddio vi chiama oramai. Noi non entriamo in memorie di altri tempi; noi sappiamo che Iddio misericordioso tien conto a ciascuno dello difficoltà, degl’incitamenti stessi e delle buone intenzioni con che egli poté operare, od anche errare.

E sappiamo che in terra come in cielo ogni uomo rimane poi giustificato o no, secondo che furono i fatti ultimi determinatori di sua vita.

Ed ora, o Sire, voi siete giunto al punto culminante, all'atto sommo della vita vostra, al fatto duce di ciò che ve ne resta; ora non può rimaner dubbia la vostra coscienza, dappoiché dubbio non rimane il volere della Provvidenza.

Guardate su, lungo tutta l'Italia, alla gioia  dei popoli risorti, alla satisfazione dei principi autori  delle risurrezioni; alla unione reciproca, alla pace, alla  innocenza, alla virtù di tutti questi fatti nostri, benedetti dal pontefice, ribenedetti dal consenso di tutta la Cristianità; e giudicate voi, se noi facciamo una stolta  od empia rivoluzione, ovvero non anzi una buona, santa, u felicissima mutazione, secondante i voleri di Dio.

  Sire, il vostro obbedire a tali voleri, il vostro accedere a tal mutazione, la farà più facile, più felice e più moderata che mai; ed aggiungendo un secondo al  primo terzo degl’Italiani già risorti, costituirà risorta in  gran pluralità la nazione nostra; la farà inattaccabile  dai nemici, indipendente dagli stessi amici stranieri, libera e tetragona in se; le darà forza, gravità e tempo di svolgere pacatamente tutta l’ammirabile opera sua; farà insomma i destini d'Italia, quanto possa farsi umana cosa, assicurati.

  Ricuserete voi all’incontro di seguire la fortuna, la  virtù d'Italia? Allora, o Sire, rimarrebbero sturbati sì nella loro magnifica via, ma non tolti di mezzo perciò,  i destini italiani. Non può, non può l’Italia rimanere addietro, diversa, contraria dalla civiltà cristiana onnipotente e trionfatrice; trionfatrice, non che di tutti questi piccoli ostacoli interni, ma di tutte le potenze umane,  di tutti i popoli, di tutte le civiltà acristiane.

Quali che  siano ora o mai i nemici e i freddi o falsi amici d'Italia,  l’Italia pìglierà suo posto nel trionfo delle nazioni cri stiano. Ma forse, come già avvenne, gli ostacoli abbrevierebbero la via; forse (che Dio noi voglia!) il rifiuto  vostro troncherebbe immediatamente colla violenza le  questioni più importanti del risorgimento italiano! Se non  che questo ne resterebbe forse guastato; forse non rimarrebbe più, come ò finora, incolpevole, santo, unico al  mondo e nel corso dei secoli!

E perciò, o Sire, noi gridiamo dall’ intimo del cuore e dell’anima nostra: Dio  nol voglia! Dio nol voglia! E perciò noi Italiani indipendenti da voi, ci facciam supplici a pregar dopo Dio,  voi clic imi vogliate!

Siamo col più profondo rispetto.

Di Vostra Maestà

Gli umilissimi e devotissimi servitori

C. Balbo.

M. A. Castelli.

 

* Vedi la Pallade numeri 134, 135 e 139. 

1 Vedi il Risorgimento del 21 dicembre 1847, n. 2, prima pagina. — Vedi la Pallade del 31 dicembre 1847, n. 134.



La lettera di Cavour ce l'ha fornita l'amico Nino Gernone.

Essa costituisce un documento importante ai fini di una corretta ricostruzione storica delle vicende risorgimentali.

Il Risorgimento fu un processo dinamico dove i giochi non erano predestinati, ma furono il prodotto di una serie di interessi e ideali diversi e contrapposti.

I Borbone decisero di non schierarsi contro il papato ed ebbero contrasti di natura economica con l'Inghilterra - una delle più grandi potenze economiche e marinare del tempo.

Questa scelta di campo fu loro fatale.

Costituivano un ostacolo per taluni interessi forti e furono tolti di mezzo: la vicenda dei finanziamenti a Garibaldi, l'acquisto (nel senso letterale del termine!) della benevolenza di certa stampa lo dimostrano ampiamente.

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Camillo Cavour

Al Re delle Due Sicilie

Sire

"non sudditi di Vostra Maestà, ma Italiani di altre provincie, ed interessatissimi così al bene dei vostri popoli,- della vostra corona e della nostra patria comune, noi ci accostiamo in intenzione al vostro trono, o Sire, per supplicarvi di voler accedere alla politica di Pio IX, di Leopoldo e di Carlo Alberto; alla politica italiana, alla politica della Provvidenza, del perdono, della civiltà, e della carità cristiana.

"Sire, l'Italia v'aspetta, l'Europa vi guarda, Iddio vi chiama - oramai. Noi non entriamo in memoria di altri tempi; noi sappiamo che Iddio misericordioso tien conto a ciascuno delle difficoltà, degl'incitamenti stessi e delle buone intenzioni con che egli poté operare, od anche errare. E sappiamo che in terra come in cielo ogni uomo rimane poi giustificato o no, secondo che furono i fatti ultimi determinatori di sua vita.

Ed ora, o Sire, voi siete giunto al punto culminante, all'atto sommo della vita vostra, al fatto duce di ciò che ve ne resta; ora non può rimaner dubbia la vostra coscienza, dappoiché dubbio non rimane il volere della Provvidenza.

Guardate su, lungo tutta l'Italia, alla gioia dei popoli risorti alla satisfazione dei principi autori delle risurrezioni; alla unione reciproca, alla' pace, alla innocenza, alla virtù di tutti questi fatti nostri benedetti dal Pontefice, ribenedetti dal consenso di tutta la cristianità; e giudicate voi, se noi facciamo una stolta ed empia rivoluzione, ovvero non anzi una buona, santa, felicissima mutazione, secondante i voleri di Dio.

Sire, il vostro obbedire a tali voleri, il vostro accedere a tal mutazione, la farà più facile, più felice e più moderata che mai; ed aggiungendo un secondo al primo terzo degl'Italiani già risorti costituirà risorta in gran pluralità la nostra nazione; la farà inattaccabile da nemici, indipendente dagli stessi amici stranieri, libera e tetragona in sé le darà forza, gravità e tempo di svolgere pacatamente tutta l'ammirabile opera sua; farà insomma i destini d'Italia, quanto possa farsi umana cosa, assicurati.

"Ricuserete voi all'incontro di seguire la fortuna, la virtù d'Italia? Allora, o Sire, rimarrebbero sturbati sì nella loro magnifica via, ma non tolti di mezzo perciò i destini italiani.

Non può, non può l'Italia rimanere addietro, diversa, contraria alla civiltà cristiana onnipotente e trionfatrice; trionfatrice non che di tutti questi piccoli ostacoli interni, ma di tutte le potenze umane, di tutti i popoli, di tutte le civiltà acristiane.

Quali che siano ora o mai i nemici e i freddi o falsi amici d'Italia, l'Italia piglierà suo posto nel trionfo delle nazioni cristiane. Ma forse come già avvenne, gli abbrevierebbero la via; forse (che Dio non voglia!) il rifiuto vostro troncherebbe immediatamente colla violenza le questioni più importanti del risorgimento italiano! Se non che questo ne resterebbe forse guastato; forse non rimarrebbe più, come è finora, incolpevole, santo, unico al mondo e nel corso dei secoli! E perciò, o Sire, noi gridiamo dall'intimo del cuore e dell'anima nostra: Dio nol voglia! Dio nol voglia! E perciò noi Italiani, indipendenti da voi ci facciam supplici a pregar dopo Dio, voi che non vogliate!

"Siamo col più profondo, rispetto

"Di Vostra Maestà

"Gli umilissimi e devotissimi servitori

da " Il Risorgimento " di Torino del 21 dicembre 1847


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