Carissimi,
e' vero che l'ultimo medico ha sempre ragione perché vede gli
errori degli altri Ma leggendo il De Cesare si capisce, pur calandosi
nella realtà delle conoscenze del tempo, come TARDIVA sia stata
la decisione di incidere una raccolta di pus in zona femorale in un
paziente che ne aveva tutti i sintomi e segni.
Il diabete mellito si conosceva da secoli e Ferdinando ne soffriva
senza dubbio, in più si sapeva benissimo che questo tipo di
malattia predispone alle infezioni della pelle e del sottocutaneo.
Un certo dottor Nicola Longo a Bari voleva fare una incisione e disse
al sovrano che la sua sventura era di non essere un paziente qualunque
ma il Re, se non lo fosse stato sarebbe già stato operato e
molto probabilmente guarito.
Malgrado Ferdinando gli dicesse " Don Niccola, mo me trovo sotto,
facite chello che vulite" la camarilla di Corte decise di
trasportarlo via mare a Napoli e poi Caserta, lì giunto si perse
altro tempo prezioso e quando ci si decise a procedere chirurgicamente
la raccolta di pus era diventata molto grande ma, quel che e' peggio,
c'era stata una disseminazione per via sanguigna (setticemia) con
conseguente formazione di nuovi ascessi sulla pelle e negli organi
interni.
Giuseppe Ressa - Internista -
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Presso a morire Ferdinando II dettò il testamento cui volle scritto di mano del figlio Francesco, presente la Regina, i due più grandicelli figliuoli, Luigi e Alfonso, e Monsig. Gallo, in questi sensi:
"Raccomando a Dio l’anima mia, e chiedo perdono ai miei sudditi per qualunque mia mancanza verso di loro, e come sovrano e come uomo. Voglio che, eccetto le spettanze matrimoniali alla Regina, e gli oggetti preziosi con diamanti al mio primogenito, si facciano della mia eredità dodici uguali porzioni: vadano una alla Regina, e dieci ai miei dieci cari figli. La dodicesima a disposizione del primogenito, stabilisca Messe per l’anima mia, sussidii a’ poveri, e restauri e costruzioni di chiese nei paesetti che ne mancassero sul continente e in Sicilia. I secondogeniti entreranno in possesso compiuti gli anni trentuno; sino a qual tempo, ancorché fossero coniugati, staranno a spese della real casa. Ciascuna quota di secondogenito, sarà a vincolo di maggiorato; e ove si estingua, torni a casa reale. Delle quattro porzioni delle femmine voglio da ciascuna si tolga il terzo, il resto sia loro proprietà estradotale, con vincolo d’inalienabilità; e se maritate finissero senza figli, ritornino a casa reale. Da tai prelevati quattro terzi dono ducati 20 mila a ciascuno de’ miei quattro fratelli, Carlo, Leopoldo, Luigi e Francesco; ducati 15 mila al principe di Bisignano, e ducati 5 mila alla gente del mio servizio. Del rimanente si cresca la porzione dei maschi secondogeniti, ma disugualmente, distribuita in ragione diretta degli anni di età di ciascuno; affinché i minori di età abbiano col moltiplicamento di più anni raggiunta la porzione pari a quella dei maggiori fratelli. La villa Capossele a Mola, come bene libero, lascio al mio primogenito, al mio caro Laso (così per vezzo l’appellava). E voglio questa mia disposizione abbia forza di legge di famiglia, non soggetta a giudizio di magistrato, ma giudice unico ed arbitro ne sia il mio successore e chi lo seguirà."
"Questa eredità privata, continua il De Sivo, era diversa dai beni di casa reale, componevasi di rendite napolitane, siciliane ed estere, oggetti preziosi valutati 60,787 ducati, 41,377 ducati trovati in oro, e altre parecchie carte di crediti su casse di difficile esazione. Tutta la eredità disponibile fu stimata 6,795,080 ducati; però ne spettarono a Francesco 566,256 e 69, ed altrettanti alla vedova Regina; 756,521 e 92 al Conte di Trani, e agli altri minori fratelli poco meno, in proporzione delle età. Le Principesse ebbero per ciascuna ducati 377,504 e 46 inalienabili, fuorché la rendita da porsi a frutto. Francesco volle entrassero nella sua porzione i valori di difficile esazione; ma la Regina vedova, gareggiando di sensi generosi, nol sofferse e ne tolse la metà nella sua parte.
"Vegga dunque il lettore quanti fossero i milioni lasciati dallo economo Ferdinando in ventinove anni di ricco regnare, risparmiati dalla sua lista civile, e da’ frutti delle doti di due mogli, moltiplicati in tanti anni. E la setta predicavali innumerevoli e rubati alla nazione! Inoltre aveva spesi due milioni per riedificare l’arsa reggia di Napoli, e altri per quelle di Caserta e Capodimonte. Coi beni di Casa reale aveva maritate le sue quattro sorelle, provveduto di maggioraschi i fratelli, ciascuno di ducati 60 mila. Sempre ospitale a Imperatori, a Re, a Papi, aveva con giusto fasto sostenuto il decoro della sua casa e del reame. Dappoi, quando la calunniatrice setta entrò in trionfo nella misera Napoli, confiscò ogni cosa alla Casa Borbone: i risparmi degli orfani, l’economie annose, le doti delle Regine e Principesse, e tutto quasi fosse cosa del regno rapito!" [...]
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